Tumgik
#è andato come non so cosa
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" Non so che cazzo imparavi da me "
GINO IO TI ADORO, SII LA MIA FATA MADRINA!!
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susieporta · 7 months
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Accetta che una persona non desideri più restarti accanto. Accogli che si cambia così come possono farlo i sentimenti.
Fai pace con le promesse che si sono sciolte. Non aggrapparti a queste. Se mutano i sentimenti, mutano anche le parole che vi erano dentro.
Perdona i tuoi errori.
"Se avessi fatto, se fossi stato, se... " no, no anima mia: smetti questa tortura. Tutto è andato e va come deve andare. Non c'è cosa che potevi essere o fare per ottenere qualcosa di diverso da ciò che doveva necessariamente accadere.
La vita è saggia, ricordi?
Lascia andare. Sì, lascia andare.
Apri la mano, molla la presa della mente, guarisci il tuo cuore.
Arrenditi.
Nessuna lotta, nessuna resistenza. Pace.
Vivi il vuoto, il disagio. L'aria continua ad avere ossigeno e tu continui a respirare. Credimi. Crediti. Ricreati.
Fa' spazio al nuovo.
Lo so è notte buia, è buio denso, buio pesto. Allora prenditi per mano, lavati, profumati con dolcezza, nutriti con grazia, cambia stanza, spalanca le finestre che invece è la luce.
Credimi. Crediti. Credile, alla vita.
Tu sei l'amore e non muti mai.
Muta, mai: esci e di' al mondo chi sei.
Gloria Momoli
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aurozmp · 3 months
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stasera proverò ad usare tumblr come quando ero ragazzina, come quando nessuno mi conosceva e il sentirmi giudicata era l’ultimo dei miei pensieri. è da un po’ che sento il bisogno di sfogarmi qui sopra ma sono costantemente frenata da una sorta di paura apparentemente senza senso. mi sono ripromessa più e più volte di non cedere alla tentazione e di non commettere azioni che potessero ferire la mia salute, fino all’altra sera. un paio di giorni prima dell’accaduto la vocina nella mia testa, che tanto mi ha tenuta compagnia per molti anni, si è fatta sentire rumorosamente, impavida come non mai. ho cercato di frenarla, di non ascoltarla e fare finta di niente. ci ho provato, ma è bastato essere un minimo su di giri che ho ceduto all’impulso. io continuo a dire che non so perché l’abbia fatto, che non ho ragioni per aver commesso una cosa simile ma la verità è che aspettavo questo momento da tempo. l’ho assaporato, ho tolto tutto ciò che in mia convinzione mi deforma e continuato finché di me non è rimasto solo ossigeno nei polmoni. inutile dire che io ora sto facendo finta di niente, sto vivendo le mie giornate come se nulla fosse successo, come se io stessi comunque bene. ho paura che questa sia la classica “goccia che fa traboccare il vaso” perché è così che funziona. parlarne è difficile, ammettere agli altri, a voce alta, tutto questo è vergognoso, umiliate. mi sento umiliata da me stessa e questo odio smisurato verso le mie azioni mi costringono a pensare che oramai farlo una, due, tre, cento volte non cambi la situazione. sono delusa del mio comportamento, sono delusa perché ora come ora posso dire con certezza che queste sono scelte prese e ben pensate. che una parte di me sapeva che in quella determinata situazione e circostanza sarebbe stato semplice, che sarebbe andato tutto secondo i piani che la mia parte malata idealizzava da tempo. io non voglio rimproverarmi troppo, ho timore nel farlo. vorrei solo capirmi meglio e cercare di consolarmi ma è così difficile. appena incontro un problema lo scanso, ci passo sopra, lo evito. non riesco ad affrontare niente senza la paura di crollare e questa cosa prima o poi mi si ritorcerà contro. mi sento sola in questa situazione, mi sento non capita da chi mi sta intorno, da chi fa finta di niente nonostante sapesse determinate cose. mi sento presa in giro. mi tengo impegnata il più tempo possibile, mi riempio di cose da fare per non concentrarmi su quanto io, anche se in modo più lento e meno continuativo, mi stia rovinando. la sera a letto, quando sono da sola, non riesco a evitare tutto questo e ogni notte sono terrorizzata da ciò che la mattina seguente dovrò affrontare, per ciò che la mia mente ha pensato nel mentre sono circondata da buio e silenzio, e che la parte razionale quando mi alzo dal letto il giorno dopo deve affrontare.
e niente, tutto qui, per ora
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ideeperscrittori · 1 month
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(Premessa: nel 1993 avevo vent'anni.)
La domanda "Qual è una cosa che proprio non sopporti su Facebook?" può mettere in difficoltà tanta gente. C'è l'imbarazzo della scelta. Ma io so cosa rispondere. In prima posizione metto quei post di incredibile successo tipo: "Noi giovani degli anni 80 e 90 siamo stati i migliori. Ci divertivamo con poco, sapevamo amare davvero, ci incontravamo dal vivo, senza Netflix, senza internet, senza social".
Poi, non si sa come, gli straordinari e profondissimi giovani degli anni 80 e 90 sono cresciuti, si sono iscritti in massa ai social network e molti di loro hanno cominciato a pubblicare cose imbarazzanti come: "Gli italiani nelle tende, gli immigrati negli hotel a cinque stelle con 35 euro al giorno"; "Ma quale cambiamento climatico? Oggi fa freddo"; "Complotto gender"; "Noi giovani degli anni 80 e 90 siamo stati i migliori".
Cosa è andato storto?
[L'Ideota]
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ambrenoir · 4 months
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Dopo 21 anni di matrimonio, mia moglie mi prese da parte per dirmi qualcosa di importante. Voleva che passassi del tempo con un’altra donna, la portassi al ristorante e poi al cinema. Mia moglie mi disse: “Ti amo, ma so che anche quest’altra donna ti ama, e voglio che tu trascorra del tempo con lei”.
Quest’altra donna era mia madre. Viveva da sola da 19 anni, dopo la morte di mio padre e a causa del mio lavoro e dei miei tre figli, potevo farle visita solo occasionalmente.
Così quella sera stessa ho fatto quello che mia moglie mi aveva chiesto. Ho invitato mia madre al ristorante e poi al cinema.
“Cosa sta succedendo?”, mi chiese la mamma: “Sei sicuro che vada tutto bene?”
“Ho pensato che sarebbe stata una buona idea trascorrere del tempo con te”, ho risposto. “Solo io e te”.
Mia madre, al telefono, restò in silenzio un momento, poi finalmente disse: “Mi piacerebbe davvero tanto”.
Poi il venerdì seguente, dopo il lavoro, sono andato a prenderla a casa. Ero un po’ nervoso, era passato tanto tempo… Si era fatta i capelli e indossava lo stesso vestito del suo ultimo anniversario di matrimonio. Il suo sorriso, raggiante di felicità, la faceva sembrare un piccolo angelo.
“Ho detto alle mie amiche che uscivo con mio figlio stasera e sono rimaste tutte molto colpite”, ha detto entrando in macchina. “Non vedono l’ora che racconti loro della nostra serata!”
Così siamo andati in un ristorante, non troppo elegante, ma abasstanza intimo e confortevole. Mia madre mi ha preso il braccio come se fosse la First Lady. Ci siamo seduti e le ho dovuto leggere il menù, dal momento che i suoi occhi riuscivano a leggere solo i caratteri più grandi. Appena finito di leggere le portate, ho girato gli occhi e ho visto che lei mi guardava con un sorriso carico di nostalgia. “Quando eri piccolo, ero io che dovevo leggerti il menù”, mi ha detto con semplicità. “Allora, è tempo che tu ti riposi un po’ e mi lasci restituire il favore”, ho risposto.
Abbiamo cenato e abbiamo parlato, niente di straordinario, abbiamo solo parlato delle novità nelle nostre rispettive vite. Alla fine, abbiamo parlato così tanto che ci siamo dimenticati del film. Ma in realtà, non ci è dispiaciuto averlo perso. Quando l’ho riaccompagnata a casa, mi ha detto che voleva uscire di nuovo, ma solo se le promettevo che l’avrei lasciata invitare me la prossima volta. Ho accettato.
“Come è andato il tuo appuntamento?”, mi chiese mia moglie quando rientrai a casa. “È andato davvero bene. Ancora meglio di come avrei mai immaginato”.
Non sono però stato in grado di mantenere la mia promessa e farmi invitare al ristorante. Pochi giorni dopo, mia madre è morta a causa di un problema cardiaco. È successo così velocemente che nessuno ha potuto fare niente per lei.
Sono passate alcune settimane e poi ho ricevuto una busta con una copia di un conto di un ristorante, lo stesso ristorante dove avevo portato mia madre. Insieme alla ricevuta, c’era una piccola nota che diceva: “Ho pagato questo conto in anticipo. Non ero sicura se avrei potuto esserci, ma in ogni caso, ho già pagato per due, per te e per tua moglie. Non sai quanto questa serata abbia significato per me. Ti amo, figlio mio”.
Quel giorno ho capito l’importanza di dire “ti amo”, e l’importanza di trascorrere del tempo con la propria famiglia e le persone che ci sono care. Niente, in verità, è più importante di quest’amore ❤️
Autore sconosciuto
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yomersapiens · 2 months
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Attendendo, prego
Il foglio è bianco e vengo istigato a scrivere dalla barra lampeggiante. Appare e scompare, cerca di stimolarmi a buttare giù i miei pensieri ma non so come fare a dirle che ne sono privo. Mi sento svuotato. Ho la testa gravida di progetti che dovrebbero partire ma non partono. Sono una stazione piena di treni stracolmi di viaggiatori durante uno sciopero dei trasporti generale e totale in cui i sindacati si rifiutano di comunicarne la durata. Come sono finito così? Ho spremuto tutto lo spremibile forse, o sono diventato geloso dei miei pensieri e li tengo dentro di me, sperando crescano così tanto da partorirli già in grado di farcela da soli.
Se non avessi imparato dalle mie malattie croniche l'arte dell'attesa penso inizierei a preoccuparmi. È arrivato il momento di cominciare con una nuova terapia, oramai sarà la ventesima dopo diciannove fallimenti, ma i dottori non hanno fretta (quando mai ne hanno) e quindi se la prendono con calma. Il termine "paziente" credo si riferisca proprio a questo. Devi portare pazienza. Io non solo porto pazienza ma porto anche il laptop e un libro da leggere e il telefono carico. L'attesa sarà lunga e io sono sempre più un oggetto che arreda le corsie dell'ospedale.
Ogni volta che vado a presentare il mio libro in giro devo essere entusiasta, positivo, pieno di energia. Devo convincere che è un investimento di tempo sensato, anzi no, necessario, che ti cambierà la vita e ti riempirà come solo un capolavoro può farlo. Io sono così scarso a vendermi. Cioè si vede che sto mentendo. Ok l'ho scritto io e a me piace, ma boh a te potrà fare schifo che ne so. Chi sono io per dirti cosa ti deve piacere o cosa fare. Fai quello che ti pare. Non comprarlo. Non leggerlo. Lasciami in pace. Dico queste cose mentre sono sul palco, la presentatrice della serata mi guarda stranita. "Ma Matteo io non ti ho posto nessuna domanda, perché stai parlando da solo?". Ah cavolo, l'ho fatto ancora. Mi sono sabotato. Come si fa a fingere di essere interessanti? Neanche quando si tratta di amore o sesso riesco a vendermi bene. Se ti piaccio è perché hai problemi e sarebbe ora tu li risolvessi. Oppure subisci la fascinazione da una certa tipologia di ruderi. Quelli oramai quarantenni, panciuti, spelacchiati e incapaci di prendersi seriamente. Ma molto, molto bravi ad aspettare. Io sarò felice di godere del tuo amore, finché non tornerai in te e capirai che puoi avere di meglio, ecco. Io aspetto, ma nel frattempo wow, davvero posso toccare? Ok, ok. La ringrazio signorina lei è molto gentile.
Stamattina ho fatto una cosa che stavo rimandando da troppo tempo: mi sono pesato. Le cose che rimando da troppo tempo sono: - pesarmi e rendermi conto quanto mi sono lasciato andare - aprire la app del conto in banca e osservare il baratro - la risonanza magnetica (ma quella l'ho prenotata) - chiedere quanti libri ho effettivamente venduto alla casa editrice - rasarmi completamente la testa e archiviare i capelli come esperienza passata - comunicare alla padrona di casa che me ne vado e vendere tutto quello che ho collezionato in 11 anni di vita a Vienna Rimando perché tutto è ancora piuttosto stabile, rassicurante, come un edificio in piedi dopo un terremoto devastante. Mi sono pesato e in effetti eccoli lì quei chili di troppo che rendono difficile chiudere i pantaloni. Poi però, per non affrontare questa consapevolezza da solo, sono andato a prendere il gatto e ho pesato anche lui che è bello cicciotto e allora ecco amico mio, siamo in due a doverci dare una regolata, si torna a fare sport e mangiare sano. Ma mica lo facciamo subito, eh no, si aspetta. Ti faccio vedere io come attendere.
Il foglio è meno bianco, o meno nero, dipende dalle impostazioni del vostro schermo. Nel mio caso dovrei dire che è meno nero. Se lo dico ad alta voce, nel bar dove sono, che sono felice tutto sia meno nero mi danno del razzista e mi cacciano via. Anzi no, non credo, con la situazione politica attuale finisce che mi danno un ministero. Meglio se sto zitto, io di lavorare non ho voglia. Ho voglia di aspettare di trovare il lavoro giusto e il lavoro giusto per me è attendere.
Mi immagino insieme a degli anziani in qualche sala d'attesa, ascoltare i loro discorsi mentre la segretaria aspetta di ricevere ordini dal dottore curante per convocarli. Potrei imparare a fare a maglia. Aiutare con i cruciverba. Sentire gossip sulla vita amorosa di alcuni vip che pensavo morti da un decennio. Forse sono morti ma fanno lo stesso l'amore, cioè mica solo io mi merito di essere fortunato eh. Aspetterei l'esito delle analisi e poi troverei un modo per abbracciare, sostenere, diventare spalla su cui piangere. Potrei stare vicino alle persone che aspettano una risposta a una mail "Non ti preoccupare, potrebbe anche non arrivare mai la risposta ma ora siamo insieme, sono al tuo fianco, ti faccio vedere cosa altro si può fare di utile con il tuo computer, hai mai sentito parlare dei siti porno?". Potrei viaggiare con chi odia stare fermo in un treno e giocare a "trova la mucca" salvo poi rendermi conto che stiamo viaggiando verso Milano e al massimo si vede a pochi metri di distanza causa smog. Povere mucche lombarde, con quel loro latte dal sapore affumicato quanto un whisky disgustoso.
Vivere per me è diventato applicare ogni giorno, quando mi sveglio, la frase motivazionale "aspetta e spera". Lo dico a Ernesto, quando mi salta in faccia per reclamare la sua porzione di pappa. "Aspetta e spera bello mio". Lo dico a me stesso quando mi ricordo che ancora non hanno deciso di finanziare il mio prossimo progetto. Era meglio essere un lavoratore dipendente e odiare colui che fu il mio capo? O essere un libero pensatore che come hobby parla con il gatto e odia il suo di capo? Inteso come testa, perché rende impossibile riuscire a fingere entusiasmo per le cose.
Per questo idealizzo gli anziani. Anche loro ne hanno le palle piene di fingere. Per questo faccio schifo alle presentazioni del mio libro o quando invio richieste di finanziamento, perché dai, i vostri soldi potreste investirli in qualcosa di più utile. Tipo una campagna di riqualificazione dei piccioni come animali da compagnia.
Fossi nato ricco avrei sperperato tutta la mia fortuna in carte Pokémon. Lo so. In quello e in allucinogeni, che poi sono la stessa cosa. Però la bellezza di dire "Ehi, vuoi salire da me a vedere la mia collezione di carte Pokémon?" e sentirsi rispondere cavolo sì, che bello, sono curiosa. Poi magari deludo anche lì. Magari illudo e pensavi che il mio Pikachu fosse molto più grosso, però dipende da come lo usi, se aspetti un po' magari si evolve. Ti chiederei "Sai a che livello si evolve Pikachu" e tu risponderesti "Non so, al 50?" e io ti caccerei di casa perché Pikachu si evolve tramite pietratuono non avanzando di livello e non mi concederò mai a una persona così ignorante. Che disgusto.
Aspetto mio nipote cresca un altro po' così da poter finalmente avere una conversazione decente con lui senza desiderare di stropicciargli quelle guanciotte tonde e rosa pesca che si ritrova. Oppure questo non accadrà mai e io, inquanto zio, lo vedrò sempre come un esserino piccolo e carino e gli stropiccerò le guanciotte il giorno del suo matrimonio.
Un treno, nella metaforica stazione dei miei pensieri, è partito. Con incalcolabile ritardo. Sarebbe più pratico i miei pensieri fossero aerei. Volerebbero da te. Si schianterebbero a pochi metri da casa tua spaventando i vicini. Ma gli aerei mi terrorizzano ancora, quindi i miei pensieri viaggiano su lente, prevedibili rotaie. Poi io ci tengo al pianeta, non lo voglio distruggere, è il posto ideale dove passare il tempo aspettando nella fine del mondo.
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intotheclash · 3 months
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- Ma non ce vai a pranzo, Alessa’? - No. Stamattina ho litigato con mia moglie e sicuramente sarà ancora incazzata come una biscia, così non c'ho proprio voglia de torna’ a casa. - Cazzo, fammi capire bene: oggi, San Valentino, tu che hai fatto? Hai litigato co’ tu’ moje? Come l'anno scorso? - Si, ma l'anno scorso è stato per colpa mia, quest'anno, invece, per colpa tua! - Mia? E che cazzo c'entro io? - Eccome se c'entri! Te lo ricordi come è andata l'anno scorso? All'ora di pranzo, m'ero presentato a casa con un bel mazzo di fiori, lei sembrava tutta felice, poi m'ha chiesto: e il biglietto? Io, il biglietto, non l'avevo scritto, a che cazzo serve un biglietto? Avevo portato i fiori, che c'era da scrive’? cos'era che non aveva capito? Insomma, se l'era presa a male perché non c'era il biglietto. - Beh, non è che avesse tutti i torti. Un biglietto, in questi casi, è fondamentale. - La stessa cosa che m'hai detto l'anno scorso! Apposta dico che è colpa tua. Quest'anno il biglietto l'ho scritto. E glielo ho pure dato. Cazzo, è successo il finimondo! - Ma che c'hai scritto su quel biglietto per farla avvelenare tanto? - Felicitazioni! - Ma dai! Ma che cazzo ci sei andato a scrivere? - Senti, Anto’, io faccio l'operaio, mica il poeta, che cazzo ci dovevo scrivere? In vita mia, ho mandato solo due biglietti, su uno c'ho scritto “condoglianze”, sull'altro “felicitazioni”. Penso che se le avessi scritto “condoglianze” sarebbe stato peggio! - Si, sarebbe stato peggio, ma pure “felicitazioni”! Per San Valentino! - Si, lo so che questa è una festa speciale, infatti non ho scritto solo “felicitazioni” Per chi m'hai preso? - E che c'hai scritto, allora? - Tantissime felicitazioni!
(al bar)
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chouncazzodicasino · 5 months
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Ieri pomeriggio è venuto papà in negozio, a sorpresa. Così. Non che ci sia nulla di strano, ma un po' mi fa sorridere questa cosa. Io e mio padre non abitiamo vicinissimi, lui abita in centro a Roma, io fuori in un paese. È venuto e abbiamo passato il pomeriggio insieme a chiacchierare mentre lavoravo. L'altro ieri mi ha chiamata per chiedermi un consiglio su alcune delicate dinamiche familiari, questa estate siamo stati molto l'uno di supporto all'altro per queste dinamiche micidiali (non si capisce per quale motivo si dice parenti serpenti e non parenti pezzi di merda). Insomma, nell'ultimo periodo sento che i miei consigli sono per lui importanti e di supporto, sento che ha bisogno di sentire la mia campana e questa cosa mi stupisce piacevolmente ancora un po'.
Negli ultimi anni papà si è smussato. Non voglio dire cambiato perché non sarebbe il vocabolo giusto. Si è calmato? Forse. Si è rasserenato? Eh, dai, forse sì. Sì è rassegnato? In alcuni casi sì. Ma sono tutte accezione positive del termine e io sono una vera sega a parlare quindi meglio di così non riesco a spiegarlo. Penso spesso a quando è cominciata questa sua variazione da "orso" a "orsetto" e non so bene a cosa attribuirla. Un misto di pensione/nonnitudine/vecchiaia e di certo la malattia di nonna. Veder passare una donna da totalmente indipendente, dinamica, con una vita così piena e attiva che se solo ci penso io oggi mi viene il fiatone, ad una nonnina con la testa che fugge e si stacca, che ha bisogno di un aiuto pratico per quasi tutto, nel giro di pochi mesi, è stato devastante. Lacerante. Sono convinta che questo lo abbia molto scosso. Come scuote e percuote me, anche solo a scriverlo, con le lacrime agli occhi. Perché mia nonna è il mastodontico perno di questa grande famiglia chiassosa, stronza e dispersa nel mondo, che nonostante tutto amo. Comunque...
Io e mio padre siamo sempre stati connessi. Culo e Camicia. Quando ci chiamavano così io immaginavo un culetto pallido con dei bottoncini attaccati alla pelle (che ero io) e una camicia azzurro chiara che si abbottonava perfettamente su quei bottoncini (che era papà). Eravamo uguali. Fumantini. Forti. Spigolosi. Tuonavamo. Ma anche molto divertenti e buffi. Poi lui se n'è andato di casa e mi ha lacerato il cuore. "La persona che odio e amo di più al mondo", solo così riuscivo a pensare a lui nella mia mente in quel periodo, in quei merdosissimi anni che la mia mente vuole ricordare solo a sprazzi. In quel periodo ho eruttato come un vulcano violento, contro il mondo, ma soprattutto contro di lui. Poi col tempo, ci siamo ritrovati, ritrovati veramente, dentro, perché fuori non ci siamo mai persi. So che il mio giudizio su di lui in quel periodo ha pesato come un macigno, ma è giusto che sia così. Oggi siamo sempre molto simili, ma siamo entrambi cambiati. Io, come lui, mi sono smussata.
Mi piace questa nuova fase della nostra vita dove oltre a figlia che può essere portata in braccio fuori dai rovi come un cerbiatto delicato, sono anche la figlia che hai bisogno di sentire per un parere, quella che parlando, in un continuo brainstorming incasinato e mal parlato, ti fa riflettere e ti apre finestrelle nella mente che tenevi chiuse senza volerlo.
Se penso a questa nuova nostra fase la prima immagine che mi viene in mente è il giorno di ferragosto di quest'anno. Dopo il classico pranzo sotto le montagne, con le tante famiglie della nostra gigante famiglia, tante risate e tanto buon cibo abbiamo portato nonna a riposare e io ho cominciato a pensare ai miei zii, a cosa si stanno perdendo vedendola poco o niente, a come sono lontani, come cerchiamo di includerli e ci scanzano, la scanzano. Ho raggiunto papà, su una panca vista ghiacciaio, e ho cominciato a parlarne con lui, piangendo. Non per me, sticazzi di me, ma per nonna. Ho rotto i miei argini. Ho pianto per tanto tempo, vomitando bile su questa situazione che ci fa stare una merda, urlando e singhiozzando, quando senti la pelle bollente dalla rabbia e gli occhi rossi, con mio padre che mi ascoltava, mi parlava, mi consolava, mi stringeva la mano, guardava le montagne e piangeva. Un triste e rassegnato consolarsi a vicenda.
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der-papero · 7 months
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Ieri sera guardavo, giusto per allenare il mio tedesco, Captain America - The Winter Soldier, e mi son posto una domanda.
Immaginatevi l'Hydra, questa organizzazione di cattivoni.
Mo', lasciamo stare quelli che hanno i superpoteri, o detengono posizioni di potere, insomma i protagonisti o le figure secondarie, la mia domanda verte sui personaggi ordinari.
Cioè, quando questi entrano al palazzo dell'Hydra, c'è il personale alla reception, c'è quello che ripara gli ascensori, c'è quello delle pulizie, ci sarà pure Natasha all'ufficio HR, Philipp alla contabilità, quello che compra le sedie e le scrivanie, l'inculato al reparto IT che gli tocca riparare stampanti dalla mattina alla sera, e mi chiedo: ma li pagano bene a questi per faticare per i cattivi?
Quando hanno fatto il colloquio e sono stati presi, cosa è accaduto quando son tornati a casa? "Figliu mije, come è andato il colloquio? Per chi lavori?" - "Eh ma', m'hanno preso, so' 'na maniat 'e uomm'n 'e merd, ma ci sono le ferie pagate, il salario minimo e i festivi maggiorati, e a Natale il pacco per tutti". Magari quello al reparto personale dell'Hydra, in fase di colloquio, gli avrà detto "ci sono interessanti prospettive di crescita, stiamo investendo in diversi settori", ma poi, alla macchinetta del caffè, ti accorgi che questi ciurlano nel manico, e che fai, non ti cerchi un altro lavoro?
E insomma, tutti interrogativi inevasi.
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Quando racconto che impiego mediamente mezz'ora (a volte di più) per correggere un compito, persone/colleghi mi guardano straniti.
Io non so come correggano gli altri, ma per me correggere non significa solo segnalare un errore/problema, ma spiegare perché è un errore/problema e mostrare come sarebbe dovuta essere la risposta corretta (cosa che nelle foto non si vede, vi risparmio le mini-lezioni tecniche di filosofia).
Alla fine faccio sempre un piccolo riassunto di cosa è andato storto (e a volte anche di cosa è andato bene).
Sottolineo che è tutto tempo non pagato, ma che è comunque parte imprescindibile del mio lavoro, cioè una parte funzionale, che non posso non svolgere. Quindi, per metà del tempo, io lavoro gratis e questa cosa è bene che si inizi a dire a voce alta.
"Lavorate solo 18 ore a settimana!"... No, siamo pagati per 18 ore a settimana e lavoriamo il doppio. Non abbiamo orari, ci portiamo SEMPRE il lavoro a casa, il nostro lavoro permea le relazioni personali, le relazioni in famiglia, caratterizza weekend e vacanze, diventa un membro in più del nucleo famigliare.
"Fate tre mesi di vacanze estive! Natale, Pasqua, tutti i ponti!"...Davvero stiamo ancora a discutere di questo? Io ci andrei a lavorare d'estate, pure per Natale e Pasqua, ma ahimé la scuola è chiusa e gli studenti sono a casa. I giorni di ferie dei docenti sono uguali a quelli di tutti i dipendenti pubblici, con la differenza che i docenti questi giorni non se li possono gestire come desiderano, ma sono vincolati alle tempistiche della scuola. Ciò significa che se vogliamo andare a farci una settimana in montagna o al mare ci tocca farlo in alta stagione, quando tutto costa il triplo (quindi restiamo a casa, è sottinteso. Spesso a correggere i compiti).
"Vi pagano per stare seduti e parlare!"... Vero, ora prova tu a parlare ininterrottamente per 5 ore al giorno, ogni ora a 30 adolescenti diversi, rumorosi e maleducati (non tutti eh, per carità), ai quali - per la maggior parte - non importa assolutamente nulla di quel che hai da dire.
E poi sentiti dire che rubi lo stipendio, che non sei formato, che la colpa di ogni male della società è tua e della tua categoria.
Fatti quindi caricare ogni anno di obblighi e responsabilità aggiuntive e ulteriori, ma che non corrispondono a un aumento del monte ore contrattuale e, di conseguenza, a un aumento dello stipendio.
E poi fatti insultare/picchiare/accoltellare/sparare dal primo alunno/genitore che passa e che non trova giusto un tuo voto o un tuo commento. E poi sentiti dire che quel che è successo è colpa tua, che non sai capire le difficoltà dei ragazzi e le problematiche delle loro famiglie.
Fatti bloccare gli adeguamenti/aumenti stipendiali per 15 anni.
Lavora in modo precario per decenni, sapendo che, se mai passerai di ruolo, non avrai diritto a veder riconosciuta la ricostruzione di carriera (a meno che non insegni religione, loro sì che possono, ma si sa...loro hanno un santo in paradiso). Ah, se lavori con MAD (tra i 4'000 e i 10'000 docenti ogni anno) non hai nemmeno diritto ai contributi.
“Se non sei di ruolo dopo 10 anni è perché non hai passato i concorsi, quindi è colpa tua!”
Altra splendida storica narrazione, peccato che i concorsi siano pensati non per essere passati con lo studio e l'impegno, ma con la fortuna; peccato che, a volte, in 3 anni si fanno 4 concorsi con modalità tutte diverse, e poi niente per altri 10 anni. Seriamente? Perché siano seri i concorsi andrebbero fatti a cadenza regolare con modalità fisse e sensate, pensate per valorizzare capacità, merito ed esperienza. Non raccontiamoci balle, se ai concorsi non passa il 90% delle persone è perché alle casse dello Stato facciamo più comodo da precari, con uno stipendio basso e fisso pagato per soli 8 o 9 mesi all'anno. Perché, se i concorsi fossero seri, se i concorsi fossero davvero dirimenti per quanto riguarda la competenza o meno di un docente all'insegnamento, allora chi non passa il concorso non dovrebbe poter insegnare mai, in generale. Invece, come docenti di ruolo non andiamo bene, non siamo sufficientemente formati e competenti per poter mettere piede in un'aula scolastica, ma come docenti precari sì, andiamo benissimo, peccato che il lavoro sia il medesimo! Come possiamo non andare bene come docenti di ruolo, ma andare bene come docenti precari?
“Eh ma non ci sono i posti per stabilizzarvi!”
Ah no? E allora come mai lavoro da 10 anni? Spesso sulla stessa cattedra? Altre balle!
Sèntiti negare da sempre l'istituzione di un Albo Professionale perché, in fondo, si sa che un docente non è un vero professionista. Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna.
Sèntiti dire ogni anno che non basta la laurea triennale, non basta la magistrale, non basta l'abilitazione, non bastano i duecento corsi di aggiornamento obbligatori a pagamento che ti hanno costretto a fare quasi ogni anno (salvo poi annullarne la validità al primo cambio di ministro). No. Quest'anno c'è un requisito minimo nuovo, un nuovo corso, un nuovo percorso...solo che stavolta non costa 10 euro e nemmeno 100, nemmeno 1000, ne costa tra i 2000 e i 2500, equivale a 60cfu e devi farlo altrimenti sei fuori. Come dici? Sei già laureato due volte e lavori da 15 anni? Non importa, per noi sei fresco di diploma, non sai fare niente, non hai mai fatto niente, quindi paga e ringrazia. Ah, sappiamo entrambi che è solo un modo per fare cassa, vero? Neanche a dirlo, ormai ci conosciamo. Stiamo già preparando l'aggiornamento nuovo, quello che arriverà tra due o tre anni!
E poi sèntiti dire che non puoi lamentarti delle tue condizioni lavorative, perché quel lavoro l'hai scelto tu e se non ti piace puoi andare a fare altro, magari un "lavoro vero". Come se la scelta fosse tra l'accettare condizioni umilianti e lesive della tua dignità come individuo e come professionista o cambiare lavoro, buttando nel cesso magari decenni di "investimenti" in istruzione e formazione. Come se una professione non potesse prevedere aggiustamenti e miglioramenti.
Fai tutto questo, fallo per 1500 euro netti al mese (se ti va bene, io l'anno scorso l'ho fatto per poco più di 1000, quest'anno per circa 800) e poi sentiti dire che devi tacere e ringraziare, che i veri insegnanti, quelli bravi, lo fanno per vocazione! Per missione! Per passione!
Ci ho provato eh, ma purtroppo queste non sono valute accettate all'Eurospin, non riesco a pagarmi cibo e bollette con la passione, questi stronzi di negozianti vogliono i soldi!
Come se poi passione e retribuzione fossero scelte che si escludono a vicenda. Non posso svolgere con passione un lavoro per il quale ricevo una adeguata retribuzione? No? È vietato?
Se ancora faccio questo lavoro è per i miei ragazzi. Perché ancora conservo una parte di quella illusione che mi fa credere di trasmettere loro qualcosa.
Anzi, detto proprio onestamente, fuori dai denti e in modo consapevolmente volgare, se ancora non ho fatto un bel pompino con ingoio alla canna di un fucile è proprio per la paura di far passare loro il messaggio che non c'è speranza.
Però sono sempre più stanco.
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hope-now-and-live · 6 days
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Sono uscita stamattina per una bucolica pedalata in una strada di campagna che ci collega al paese più vicino, circondata dal delicato profumo dei fiori d'acacia.
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Ed è andato tutto bene fino a quando, mannaggia a sua madre, la catena è uscita. Dopo essermi sporcata le mani di nero ed essere riuscita a rimetterla in assetto, mi sono resa conto che la parte posteriore della catena si era incastrata completamente tra i rocchetti del cambio. Dopo aver fatto un tentativo, ho chiamato il mio best, grande esperto nell'arte di montare e smontare qualunque cosa, che per l'appunto era fuori in moto. "Non ho mai visto una roba del genere, ma come hai fatto?". Risposta: "E io che ne so, stavo pedalando 😭".
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Risultato, ho dovuto legare la bici ad un albero del bosco e farmi 40 minuti a piedi per tornare indietro. Adesso il mio difettoso bolide è abbandonato nel verde fino a quando non capiremo come cavolo fare.
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libero-de-mente · 7 months
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Il Caregiver
Questa mattina sono andato da mia madre, come tutte le mattine, ma con un impegno in più.
Infatti oggi comincia il servizio di assistenza a domicilio per mia madre, la struttura a cui mi sono rivolto le ha assegnato un'assistente. Si chiama Dolores.
"Buongiorno soy Dolores" - così ha esordito qualche giorno fa l'assistente al telefono con me.
"Buenos días" - le ho risposto per darmi un tono
"Lei è il señor Tomasseli?
"So' Rino" - ma come cacchio le parlo?
"Sorino? Lei è el señor Sorino?"
"No Sorino, solo Rino. Il mio nome".
"Ah, Solarino... me scussi, ma che nome è?"
"Maggnente, sono uno che tira sole e quindi Solarino è i mio soprannome"
Nulla da fare, la deficienza telefonica mi aveva preso, ora come potevo rimediare?
Nel frattempo Dolores gira dei fogli, si sentono chiaramente al telefono, probabilmente sta cercando i dati di chi ha compilato la domanda, ed ecco che trova ciò che cercava "Ah, lei se chiama Rino Tomasseli"
"Si" - le rispondo divertito di come chi parla lo spagnolo raddoppia alcune consonanti eludendone altre.
Arriviamo a questa mattina. Dolores è puntualissima, bella truccata e pimpante come lo sono le persone che debbono sostenere persone anziane e in fase discendente.
Entra in casa e saluta entrambi con un sorriso rassicurante, le presento mia madre e le faccio vedere la casa.
In soggiorno il televisore è sintonizzato sulla Santa Messa, in camera da letto l'altro televisore idem.
"Doppia Messa, como mai due televissori acessi?"
"Effetto stereo"- le rispondo.
"Como?!"
"Si, ascolti... non sente la stereofonia del prete che dice <Prese il pane>, non sente la potenza della frase raddoppiata?"
"No" - mi guarda stranita.
Credo che l'ironia non sia in questo momento cosa buona e giusta.
Così Gesùrino prese l'ironia, la piegò la pose in un cassetto e disse <Pendete e andate senza sorrisi, non ve li meritate>.
Tornando in soggiorno, dove c'è mia madre, Dolores mi chiede: "Mi potrebbe firmare questi due moduli, è lei il caregiver, vero?"
"No, lui è mio figlio" - interviene secca mia madre, poi guardando me - "Tu sei mio figlio non o' carabbinier"
"Ma no mamma caregiver, ovvero quello che si occupa di te"
Le brillano gli occhi, si sente protetta e poi guarda Dolores, conosco quello sguardo di chi comincerà a raccontare aneddoti sulla mia vita di quando ero piccino. La fermo a tempo.
"Beh"- dandomi un tono da attore consumato che sta per uscire dalla scena sul palcoscenico di un teatro - "Io devo andare, mamma sei in buone mani - poi rivolgendomi a Dolores le stringo una mano - "Grazie, grazie mille dell'aiuto che mi darà".
Il sorriso di Dolores mi conforta.
Sono in auto, scommetto che il sorriso di Dolores sarà diventato una risata. Già mi sembra di sentire mia madre raccontare i "famosi aneddoti" di un piccolo Rino che ancora, illuso, si permetteva di vivere d'istinti e d'istanti (frase da boomer lo so).
Come quando mia madre, a un cambio del pannolino, si divertiva a "rubarmi il pisello" come si fa con il naso dei bambini, solo che io per assicurarmi che non lo avesse preso davvero le pisciai in volto.
O quella volta che entrai in una cabina al mare, credendo che fosse la nostra per cambiarmi il costumino pieno di sabbia, invece era di un'altra famiglia. La ragazza, penso allora ventenne, che stava dentro (nuda) non si scompose più di tanto, avevo cinque anni più o meno, e mi disse "ma tu bel bambino da dove sbuchi?". Sorrise.
Io no, rimasi pietrificato guardando una micia. Non sapevo che dei micini vivessero proprio lì nei costumi delle donne. Uscii dalla cabina rosso in volto, con una paresi facciale e la
Voglia di remare
Fare il bagno al largo
Per vedere da lontano gli ombrelloni, -oni, -oni
Da allora nessuna donna mi ha più sorriso se entravo per sbaglio in una cabina o uno spogliatoio dove ci stava una di loro. Va beh, forse quando ci provai ero troppo avanzato con l'età. Credo di averne avuto venti o venticinque in più, di anni intendo.
Oppure le racconterà di quando, la sera di una Vigilia di Natale con cenone ben disposto sulla tavola e ospiti pronti al pasto, stando in piedi sulla sedia all'urlo "Sono la tigre di Mompracem!", persi l'equilibrio e arrivai preciso con la faccia nell'insalatiera che conteneva chili di insalata russa.
Ecco perché crescendo sono traumatizzato dalle patate femminili e le insalate russe.
Però mi piace cucinare.
E mangiare.
Grazie mamma per avermi fatto empatico e rispettoso degli altri, ma anche molto meno andava bene. Per dire.
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filorunsultra · 1 month
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SciaccheTrail TRC Expedition 2024
Ogni anno c'è il weekend di Sciacche, e ogni anno c'è un pezzo su questo blog intitolato così (qui il primo, qui il secondo). Ah, avvertenza: ho scritto di getto e senza rileggere. Lo faccio quasi sempre su questo blog (mai altrove, beninteso). Poi ci ritorno sopra nei giorni successivi. Cosa imperdonabile, lo so, ma qui mi permetto sciatterie altrove vietate. Facile insomma che se rileggete un articolo dopo qualche tempo, cambi qualcosa.
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Io, la Chri, Pass, Marta e Amanda Basham, durante un'intervista per Coltellate all'Alba, la domenica mattina, al negozio del Nic e la Chri di Manarola.
Dunque, partiamo dall'inizio. L'anno scorso, il giorno dopo la gara, io e il Pass ci recammo a Riomaggiore per la conferenza stampa di presentazione di una nuova distanza, la 100k, che si sarebbe aggiunta alla classica 47k. Andammo alla presentazione e c'era già un'idea di percorso, l'idea: unire il mare all'entroterra, da cui, parrebbe, provengano le vere origini dei popoli delle Cinque Terre. Qualche mese fa il Nic mi invitò a correrla e io intelligentemente rifiutai (perché continuo a essere convinto che non riuscirei a preparare una 100k dura per fine marzo). Il Pass invece ci credeva e si è iscritto, e io sono andato a fargli da pacer, un po' per lui, un po' per la gara, a cui, comunque, in qualche modo avrei voluto partecipare. Un anno dopo sono a Cognola, dopo una corsa in Argentario e una pastasciutta a Povo (che in primavera suscita ancora più nostalgia), con il Metti e la Marta, ad aspettare la Leti che esca di casa tutta trafelata dopo aver "smontato" il turno in comunità. Comunque la strada per Monterosso è lunga e brutta e la Cisa fa davvero schifo. Alla fine arriviamo all'imbrunire, trovando il Pass nel suo furgone, parcheggiato nel carissimo parcheggio sul mare a Monterosso, cercando di dormire in vista dell'imminente parenza. Andrea è qui dal giorno prima e ha già ritirato il pettorale, così accompagniamo Marta a ritirare il suo, trovando il Nic già completamente andato (lo dice lui) ma galvanizzato dal weekend che sta per iniziare. Poi andiamo a mangiarci una pizza in paese, dove ci sono seduti anche Kathrin Goetz e suo marito, e dove soprattutto incontriamo il grande Jacopo Bozzoli che avevo visto l'ultima volta al Morenic e sono super contento di rivedere. Dopo la pizza torniamo in macchina ad aiutare il Pass a prepararsi lo zaino.
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I letti per la prima notte: la Leti sopra, nel tendalino, io sotto, nel furgone, Marta e Metti nella macchina del Metti. Il Pass non c'è perché è in gara e la sua partenza è a Riomaggiore a mezzanotte. Dopo aver fatto lo zaino, la Marta va a letto, visto che il giorno dopo deve correre la sua prima ultra e ha programmato di svegliarsi esageratamente presto per fare colazione. Prima che parta, io, il Pass e la Leti ci chiudiamo in furgone per ammazzare il tempo guardando il documentario di Jeff Browning a Moab 240 (Jeff è il mito del Pass). Poi lo accompagniamo alla stazione di Monterosso per prendere il treno che lo porterà alla partenza a Riomaggiore, ad appena 13 minuti di treno più in là. Non glielo dico, ma ho programmato di svegliarmi verso l'una e mezza di notte per vederlo passare al suo 17esimo chilometro a Monterosso, così io e la Leti andiamo a letto per provare a dormire. Due ore dopo la sveglia suona ed è orribile. Mi metto le Birkenstock e vado al ristoro, dove i primi devono ancora passare. In generale i tempi stimati sono tutti più lenti e così passa un'ora prima che Andrea arrivi. Poi alla fine distinguo la sua corsa sbucare dall'oscurità e gli chiedo come va. Ha scavigliato un paio di chilometri prima, si fa una fasciatura ma per il resto sta bene; è contento di vedermi e faccio con lui un chilometro fino al parcheggio. Torno a dormire. La seconda sveglia è dannatamente presto, appena quattro ore dopo. Facciamo la prima colazione e poi accompagniamo Marta alla partenza. Ci sono Kuba, Mau e la Raffaella Ressico, sono contento di vederli. Nel frattempo mi arriva un messaggio dal Pass che dice di aver scavigliato di nuovo, ha perso una ventina di posizioni ed è rimasto solo, percepisco che sia vicinissimo a ritirarsi ma non glielo chiedo: se sta male sarà lui stesso a dirmelo, ma non sarò io a dargli l'idea. Intanto la 47k parte e io, il Metti e la Leti andiamo a fare una seconda colazione. Poi loro partono di corsa verso Manarola, io resto in macchina e poi prendo un treno, per raggiungerli, prezzo di 5 euro (per fare circa 8 minuti di treno). A Manarola la Marta passa in sesta posizione e sta benissimo, siamo contenti di vederla e le facciamo un po' di tifo, forse troppo perché affronta le scalette dopo il paese con eccessivo entusiasmo. Mangiamo un panino vegetariano di rara bontà e riprendiamo il treno per Monterosso.
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Qui iniziano i casini: il primo treno che prendiamo non ferma in paese e così ci ritroviamo a Levanto. Il controllore non ci fa la multa e per pura casualità non mi controlla il biglietto che non ho, perché non avevo fatto a tempo a farlo in stazione. A Levanto dobbiamo aspettare venti minuti e iniziamo a pensare di non riuscire ad arrivare in tempo alla aid station di Riccò del Golfo, dove dovrei iniziare a fare da pacer al Pass. Quando arriviamo finalmente a Monterosso spostiamo tutte le cose della Marta nel furgone del Pass, con l'idea di prendere la macchina del Metti con cui la Leti dovrebbe accompagnarmi a Riccò, mentre Metti resterebbe in paese per aspettare l'arrivo della Marta. Saliamo finalmente in macchina, la Leti gira la chiave ma la macchina non si accende. Proviamo un paio di volte ma la batteria è chiaramente andata. Nel frattempo il Metti si è aperto una gamba contro un pezzo di ferro arrugginito che spunta da terra nel parcheggio, ma non ha tempo per preoccuparsene e non gli fa nemmeno tanto male. Andiamo in cerca di un paio di cavi e dopo dieci minuti finalmente li troviamo in un bar vicino, ma non funzionano. L'unica è andare col furgone del Pass, che però la Leti non si sente di guidare. Così chiudiamo tutto, rispostiamo le borse, abbassiamo il tendalino, e io e il Metti partiamo. Il furgone del Pass non ha benzina e i freni sono andati, ma in qualche modo, tra incidenti e tornanti, arriviamo a Riccò. Scendo al volo e il Metti riparte. Da qui le nostre strade si dividono. Una volta tornato indietro, mi racconteranno, il Metti avrebbe chiesto una medicazione ai medici della gara, poi sarebbe andato al pronto soccorso di Levanto, pagando altri 5 euro di biglietto del treno (nelle Cinque Terre il biglietto costa sempre 5 euro, che tu faccia una o cinque fermate, sempre 5 euro). In ospedale gli avrebbero fatto la profilassi antitetanica chiedendogli consenso soltanto dopo avergliela iniettata. Nel frattempo avrebbero trovato altri cavi con cui far partire l'auto. Il buon Tommi Maggiolo, un nostro amico ligure che abbiamo conosciuto alle Group Runs del mercoledì, aveva deciso di raggiungerci da Chiavari per vederci arrivare. Non aveva calcolato gli scioperi dei treni e così sarebbe rimasto bloccato a Monterosso e costretto a dormire con noi in furgone la notte successiva.
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Nel frattempo alla aid station di Riccò del Golfo aveva iniziato a piovere. La Chri era arrivata ma del Pass ancora nessuna traccia. Resto ad aspettarlo lì per delle mezz'ore quando finalmente lo vedo comparire nel tracking della gara e decido di andargli in contro. Riesce a correre in salita ma gli fa male la caviglia. Si cambia, mangia qualcosa, e ripatiamo. I primi chilometri dopo la aidstation sono i migliori che avremmo trovato nei successivi 40. Il tempo fa schifo e, ammettiamolo, anche il paesaggio. Comunque proseguiamo, inseguendo il fantasma della Chri 10 minuti avanti a noi (solo poi sarebbero diventate mezz'ore, e infine ore). La prima discesa sembra il Vietnam, è piena di fango e il sentiero non è davvero un sentiero. Raggiungiamo finalmente il ristoro di Biassa e poi affrontiamo il Telegrafo, che non tarda ad arrivare. Superata quell'ultima cima e il relativo ristoro, ritorniamo sul versante del mare, da cui risbucano dalle nuvole gli ultimi raggi di sole della giornata. Il tramonto arriva definitivamente a Riomaggiore: il Pass è carico e sente profumo di arrivo, ma è ancora lunga, 8 chilometri più lunga di quello che avremmo immaginato. Addenta comunque le salite di Riomaggiore e di Manarola, ma le discese sono un'interminabile agonia. La caviglia gli fa male e le rocce bagnate dall'umidità del giorno sono diventate delle saponette. La discesa da Volastra è forse il pezzo peggiore della 47k, quando lo si affronta con appena 40 chilometri sulle gambe, figurarsi con 80 e una caviglia malmessa. Ciononostante, arriviamo a Corniglia. Da qui a Vernazza dovrebbe essere veloce ma non lo è. Inizio a guardare l'ora poco prima di arrivare in paese, conto di fargli tirare dritto il ristoro per chiudere sotto le 24 ore, ma quando scorgo un'altra ansa della costa da dover superare mi convinco che non ce la possiamo fare. Ogni chilometro è interminabile e Andrea non si capacita di come possano esserlo: è normale amigo, gli dico. Le gare lunghe sono così. Ci sono due tipi di ultra, quelle in cui, grossomodo, la media è di 10km/h, e cioè quelle in cui tendenzialmente corri, chilometro più chilometro meno, e ci sono quelle da 5km/h, in cui cammini. Puoi andare più lento o più veloce ma grossomodo la media è quella. Ne mancano più di 6, e al nostro passo significa due ore. Così affrontiamo l'ultima discesa a Vernazza e poi quella fino a Monterosso. Terribile resta terribile, ma è l'ultima. Sul sentiero a picco sul mare, illuminato solo dalla luna e dalla sua frontale semiscarica (di quattro che ne avevamo, solo quella che mi aveva prestato il Metti era rimasta accesa, e io mi ero ritrovato a correre gli ultimi 20km senza frontale) — sul sentiero a picco sul mare, dicevo, illuminato dalla luna, fermo il Pass e gli faccio notare la bellezza del momento: siamo solo io e lui, di notte, con la luna piena, a guardare la scogliera sotto di noi. Lui è sbudellato e non sono certo che se ne accorga, ma ci tengo a farglielo notare perché spesso quando soffriamo non riusciamo del tutto a assaporare le cose belle. E in alcuni momenti anche io avrei voluto avere qualcuno accanto che mi distogliesse dalla gara e dalla sofferenza e mi facesse guardare quel pezzo di mondo coi suoi occhi. Sussurra qualcosa di sconfortato, si ripete che è ancora eterna: gli dico che lo è, che soffrirà ancora, ma che domani mattina sarà la persona più felice del mondo.
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Nel frattempo i nostri cellulari si sono scaricati e siamo completamente isolati dal mondo. L'ultimo chilometro è lunghissimo e talmente lungo che nemmeno l'adrenalina riesce ad accorciarlo. Così tratteniamo il respiro, poi prendiamo le scalette sul mare, e infine arriviamo in paese. Il gonfiabile d'arrivo è stato smontato e c'è solo un bellissimo archetto di rami di vite e pampini. L'arrivo è intimo: ci sono Metti, Leti, Marta, Tommi, Nic e la Chri, che dopo essere arrivata è rimasta ad aspettare gli ultimi, da buona americana. Mangiamo un sacco al luculliano terzo tempo della gara, in cui siamo rimasti solo noi. L'orologio segna mezzanotte e mezza, il paese è deserto. Ci raccontiamo le storie della giornata, di quanto sia stata bellissima e orribile. Di quanto il Pass sia stato un duro a chiuderla, mosso da un solo sentimento: il desiderio. Ha chiuso SciaccheTrail 100 perché ci teneva da morire, per il Nic, per la Chri, per chi si è sbattuto a organizzarla. Voleva farlo e lo ha fatto, scavando nel profondo. Dio se ha scavato, posso garantirlo. Così raccattiamo le nostre cose e ci incamminiamo per quell'ultimo chilometro tra l'arrivo e il parcheggio. Ci facciamo la doccia e andiamo a letto: io e la Leti nel tendalino, e il Pass e Tommi di sotto.
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La mattina è dolce e il Pass è la persona più felice del mondo, come avevo detto. Salutiamo quattro volte il Tommi che per quattro volte ci saluta per andare a prendere il treno, per poi tornare indietro ogni volta constatando che anche quello è stato annullato. Facciamo colazione e poi Tommi se ne va davvero. Raccattiamo le cose e andiamo a Manarola dove abbiamo un appuntamento con Amanda Basham e sua sorella, il Nic e la Chri per cercare di registrare un podcast che non abbiamo preparato. Non sono mai entrato nel negozio del Nic perché di solito la domenica è chiuso e l'unico momento in cui avrei il tempo è dopo la gara: di per sé è molto carino e accogliente anche se ora è invaso dagli scatoloni. Facciamo l'intervista e parliamo di cose che non ricordo, poi andiamo a mangiare nello stesso posto in cui abbiamo mangiato il giorno prima. Spendiamo in modo irragionevole e mangiamo in modo irragionevole. Poi ripartiamo: Riomaggiore, Spezia, Cisa, Parma, Modena-Brennero. Io e il Pass ci stiamo addormentando e siamo rimasti solo io e lui, ancora una volta. Sono contento perché questo pellegrinaggio ormai per tradizione è nostro. Parliamo di tante cose, animatamente, felici, concordi. Sono contento, anche lui e adesso lo sa. Ci vediamo l'anno prossimo.
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canesenzafissadimora · 2 months
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"Cara Francesca,
spero che questa mia ti trovi bene.
Non so quando la riceverai. Quando io me ne sarò già andato.
Ho sessantacinque anni, ormai, e ne sono passati esattamente tredici dal nostro primo incontro, quando imboccai il vialetto di casa tua in cerca di indicazioni sulla strada.
Spero con tutto me stesso che questo pacchetto non sconvolga in alcun modo la tua vita. Il fatto è che non sopporto di pensare alle mie macchine fotografiche sullo scaffale riservato all’attrezzatura di seconda mano di un negozio o nelle mani di uno sconosciuto. Saranno in pessime condizioni quando le riceverai, ma non ho nessun altro a cui lasciarle e mi scuso del rischio che forse ti costringerò a correre mandandotele.
Dal 1965 al 1975 ho viaggiato quasi ininterrottamente. Nell’intento di allontanarmi almeno parzialmente dalla tentazione di telefonarti o di venire a cercarti, tentazione che da sveglio in pratica non mi lascia mai, ho accettato tutti gli incarichi oltreoceano che sono riuscito a procurarmi. Ci sono stati momenti, molti momenti, in cui mi sono detto: << All’inferno, vado a Winterset e, costi quel che costi, porto Francesca via con me>>.
Ma non ho dimenticato le tue parole, e rispetto i tuoi sentimenti. Forse avevi ragione, non lo so. So però che uscire dal viale di casa tua, in quella arroventata mattinata di agosto, è stata la prova più ardua che abbia mai affrontato e che mai avrò occasione di affrontare. Dubito, in effetti, che molti uomini ne abbiano vissute di più dure.
Ho lasciato il National Geographic, nel 1975 e da allora mi sono dedicato soprattutto a fotografare ciò che piaceva a me, prendendo il lavoro là dove potevo, servizi locali o regionali che non mi impegnavano mai più di pochi giorni.
Finanziariamente è stata dura, ma tiro avanti.
Come ho sempre fatto.
Buona parte del mio lavoro lo svolgo nella zona di Puget Sound. Mi va bene così. Pare che invecchiando gli uomini si rivolgano sempre più spesso all’acqua.
Ah, sì, adesso ho un cane, un golden retriever.
L’ho chiamato Highway, e lo porto quasi sempre con me, quando siamo in viaggio, se ne sta con la testa fuori dal finestrino, in cerca di posti interessanti da fotografare.
Nel 1972 sono caduto da una rupe nell’Acadia National Park, nel Maine, e mi sono fratturato una caviglia.
Nella caduta ho perso la catena e la medaglia, ma fortunatamente non erano finite lontano. Le ho recuperate e un gioielliere ha provveduto ad aggiustare la catena.
Vivo con il cuore impolverato, Meglio di così non saprei metterla. C’erano state delle donne prima di te, qualcuna, ma nessuna dopo. Non mi sono votato deliberatamente alla castità: è solo che non provo alcun interesse.
Una volta ho avuto modo di osservare il comportamento di un’oca canadese la cui compagna era stata uccisa dai cacciatori. Si uniscono per la vita, sai. Dopo l’episodio, ha continuato ad aggirarsi intorno allo stagno per qualche giorno. L’ultima volta che l’ho vista, nuotava tutta sola tra il riso selvatico, ancora alla ricerca. Immagino che da un punto di vista letterario la mia analogia sia troppo scontata, ma è più o meno così che mi sento anch’io.
Con la fantasia, nelle mattine caliginose o nei pomeriggi in cui il sole riflette sull’acqua a nord-ovest, cerco di immaginare dove sei e che cosa stai facendo.
Niente di complicato…ti vedo in giardino, seduta sulla veranda, in piedi davanti al lavello della cucina. Cose così.
Ricordo tutti. Il tuo profumo e il tuo sapore, che erano come l’estate stessa. La tua pelle contro la mia, e il suono dei tuoi bisbigli mentre ti amavo.
Robert Penn Warren scrisse: << Un mondo che sembra abbandonato da Dio >>. Non male, molto vicino a quello che provo per te certe volte. Ma non posso vivere sempre così. Quando la tensione diventa eccessiva, carico Harry e, in compagnia di Highway, ritorno sulla strada per qualche giorno.
Commiserarmi non mi piace. Non è nella mia natura. E in genere non me la passo poi tanto male.
Al contrario, sono felice di averti almeno incontrata.
Avremmo potuto sfiorarci come due frammenti di polvere cosmica, senza sapere mai nella l’uno dell’altra.
Dio o l’universo o qualunque altro nome si scelga di dare ai grandi sistemi di ordini ed equilibri, non riconosce il tempo terrestre. Per l’universo, quattro giorni non sono diversi da quattro miliardi di anni luce. Per quanto mi riguarda, cerco di tenerlo sempre a mente.
Ma, dopo tutto, sono un uomo.
E tutte le considerazioni filosofiche non bastano a impedirmi di desiderarti, ogni giorno, ogni momento, con la testa piena dello spietato gemito del tempo, del tempo che non potrò mai vivere con te.
Ti amo, di un amore profondo e totale. E così sarà sempre."
L’ultimo cowboy,
Robert.
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“I ponti di Madison County”, R.J.Waller
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gcorvetti · 1 month
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Emozioni forti.
Come ho scritto oggi, ed è raro che faccio due post nello stesso giorno, sono andato a Milo, paese dove abitava fino alla dipartita Franco Battiato, oggi che sarebbe stato il suo 79esimo compleanno. Ma aveva una casa anche Lucio Dalla, innamorato del paesaggio e della tranquillità del posto. Il paese ha voluto rendere omaggio ai due artisti commissionando una statua ad uno scultore, di cui ho letto il nome ma che non mi ricordo (abbiate pazienza l'età). Arrivato e sceso dall'auto mi è subito venuto addosso un brano di Franco, si proprio così, il comune ha una cassa da dove escono i brani uno dopo l'altro, sarà per il fatto del compleanno, poi immerso in questa atmosfera magica tra musica e panorama mozzafiato è facile farsi prendere dall'emozione e sono restato due ore, ho anche mangiato e preso il caffè, ad ascoltare e gironzolare intorno alla statua ma anche al paese, molto bello anche se il tempo era nuvoloso e a tratti fresco, se il sole veniva coperto, ma tutto sommato si stava bene. Alcuni scatti, personalmente trovo la faccia di Battiato troppo seria, lui era uno molto ilare, va bè.
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Poi quando ho deciso che era stato abbastanza e l'orario era ancora presto ho pensato scendo ad Aci Trezza, ma si mi vado a prendere una granita, tanto cosa ho da fare di così importante, niente. Mangiata sta granita (alle mandorle) e fatto meditazione tra gli scogli, ho pensato che era ora di chiudere un cerchio, lasciare andare quel passato se pur bello, volendo vedere che fine ha fatto la casa dove abitavo, si perché nella mia vita ho abitato 3 anni ad Aci Trezza (con tanto di residenza) dal 93 al 96, mi sono avvicinato alla salita, perché venivo dalla scogliera, con circospezione come fanno i gatti quando sono diffidenti e da lontano ho notato che è stato costruito un balcone dove io di solito mettevo il vespone e dove c'era questa grande porta a tre ante, la porta c'è ancora. Seduto sul questo balconcino c'era un signore anziano, mi sono fermato a qualche metro e l'ho salutato "Salve", lui "Salve" ed è tornato al suo foglio di carta. Va bè la faccio breve, gli ho detto che io abitavo la e da li in poi è iniziato un dialogo meraviglioso con sto vecchietto sia sulla casa che sulla mia vita, era curioso cosa ho fatto, nel frattempo è arrivata la figlia e lui tutto contento le fa "Oh, non ricordo il nome, lui abitava qua, sai", quindi la discussione si è inerpicata nelle persone che conoscevamo e che popolavano il vicolo soprattutto d'estate, tutto coincideva, è stato bellissimo. La casa era di mio nonno e quando lui morì venne venduta e i proprietari la divisero in due, il vecchietto, Sergio, è in affitto. Adesso è difficile riavvolgere il nastro e scrivere tutte le cose che ci siamo detti, però è stato bellissimo, anche ora che lo scrivo sento quella gioia, è stata una giornata di emozioni continue, l'ho salutato con la promessa che gli manderò una cartolina dall'Estonia, tanto l'indirizzo lo so, e lui e la figlia quasi piangevano, quando mai un estraneo arrivato dal nulla è così gentile e poi chi manda più cartoline? Io lo farò di sicuro. Quindi vi lascio con un brano del Sommo Franco e parte del testo
"...L'impero della musica è giunto fino a noi Carico di menzogne Mandiamoli in pensione i direttori artistici Gli addetti alla cultura E non è colpa mia se esistono spettacoli Con fumi e raggi laser Se le pedane sono piene Di scemi che si muovono..."
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francesca-70 · 10 months
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Credimi
Accetta che una persona non desideri più restarti accanto. Accogli che si cambia così come possono farlo i sentimenti.
Fai pace con le promesse che si sono sciolte. Non aggrapparti a queste. Se mutano i sentimenti mutano anche le parole che vi erano dentro.
Perdona i tuoi errori.
"Se avessi fatto, se fossi stato, se... " no, no anima mia: smetti questa tortura. Tutto è andato e va come deve andare. Non c'è cosa che potevi essere o fare per ottenere qualcosa di diverso da ciò che doveva necessariamente accadere.
La vita è saggia, ricordi?
Lascia andare. Sì, lascia andare.
Apri la mano, molla la presa della mente, guarisci il tuo cuore.
Arrenditi.
Nessuna lotta, nessuna resistenza. Pace.
Vivi il vuoto, il disagio. L'aria continua ad avere ossigeno e tu continui a respirare. Credimi. Crediti. Ricreati.
Fa' spazio al nuovo.
Lo so è notte buia è buio denso, buio pesto. Allora prenditi per mano, lavati, profumati con dolcezza, nutriti con grazia, cambia stanza, spalanca le finestre che invece è la luce.
Credimi. Crediti. Credile, alla vita.
Tu sei l'amore e non muti mai.
Muta, mai: esci e di' al mondo chi sei.
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Gloria Momoli
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