Azzedine Alaïa, couturier tunisino e designer di scarpe, particolarmente affermato a partire dagli anni ’80. La sua abilità nel taglio e le sue interpretazioni idiosincratiche su sagome classiche hanno reso popolare Alaïa per decenni.
Alaïa, nato il 26 febbraio del 1935 a Tunisi – Tunisia – da genitori che coltivavano grano, è cresciuto con i nonni nella capitale. Azzedine aveva una sorella gemella, affascinante Hafida, sua ispiratrice nel tentare la strada della moda. Si pagava gli studi cucendo orli per una piccola sartoria della zona, imparò a tenere in mano ago e filo grazie alla sorella Hafida, che lavorava come sarta, era molto legato a lei. L’accademia lo aiuterà a scoprire il corpo e le forme. Fu anche influenzato dalla frequente lettura di Vogue.
Alaia mentì relativamente alla propria età per avere accesso al locale istituto delle belle arti a Tunisi, dove studiò scultura. Dopo aver terminato gli studi, Alaïa iniziò a lavorare come assistente di un sarto e nel 1957 si trasferì a Parigi, per lavorare nel campo del design della moda. All’istituto delle belle arti aveva conosciuto Leila Menchari (che per trent’anni disegnerà le vetrine di Hermès) insieme sognavano Parigi; fino a quando nel 1957 decisero di trasferirsi nella capitale della moda per eccellenza dove avrebbero avuto la loro possibilità. Non avevano denaro, ma molta ambizione, insieme prendono in affitto una chambre de bonne.
Qui, Alaïa fu assunto presso Christian Dior, ma solo per cinque giorni, la Francia era in guerra con gli indipendentisti algerini e chiunque venisse dall’Africa del Nord non era ben visto. Bastarono questi pochissimi giorni alla Maison per capire che il suo unico desiderio era quello di vestire le donne, soprattutto quando vide l’attrice Marlene Dietrich scendere dall’auto con le sue gambe perfette.
La sua fortuna fu andare a lavorare come babysitter dalla marchesa di Mazan e la contessa di Blègiers per le quali cuciva abiti che loro indossavano a cene e teatri.
In questo periodo conobbe il suo compagno, il pittore tedesco Christoph Von Weyhe che gli rimarrà accanto per tutta la sua vita.
Lavorò per due con Guy Laroche per due stagioni, a cui seguì Thierry Mugler prima di decidere di aprire il proprio atelier, nell’appartamento in rue de Bellechasse, sulla Rive Gauche della Senna nei tardi anni settanta.
Da Dior sono rimasto il tempo di un soffio. Da Guy Laroche ho imparato tutto quello che bisogna sapere in fatto di tecnica. Una cosa, però, devo ammettere: detestavo disegnare. A me interessava capire cosa c’era sotto gli abiti, come facevano a stare in piedi. Da piccolo, sono cresciuto studiando le creazioni di Balenciaga sulle riviste di moda. Negli atelier, finalmente, avevo la possibilità di capire come fossero possibili. Ero l’incubo di tutti: passavo il tempo a guardare dentro ogni bustier, dentro tutti i cappotti, sotto ogni tubino.
Non si definiva un designer ma un Couturier, un sarto.
Per vent’anni Alaïa realizzò gli abiti per diverse donne di spicco dell’alta società francese come Marie-Hélène de Rothschild e Louise de Vilmorin.
1979 Alain Bernardin, fondatore del Crazy Horse, chiede allo stilista di disegnare e realizzare i costumi i costumi delle 23 ballerine del noto locale di cabaret parigino.
Lavorare con le donne, è la cosa più importante per uno stilista. Ne apprendi lo charme, l’attitudine, il gusto. Ricordo quando Cecile Rothschild mi presentò Greta Garbo. L’attrice arrivò con un mantello, pantaloni larghi, camicia da uomo, un cappello e occhiali scuri. Era divina e non parlava molto. Raccontò che le avevano detto che ero bravo e lei voleva cappotti, mantelli e vestiti. Glieli confezionai e, dopo la sua morte, li riacquistai a un’asta.
Alaïa fonda il proprio marchio, a 40 anni, incoraggiato da Thierry Mugler. Lo stilista si impone con uno stile riconoscibile fatto di abiti scultorei. Della sua formazione iniziale di scultore si trovano le tracce lungo tutto il corso della sua carriera, in un notevole lavoro sulla silhouette che gli consente di essere oggi considerato come uno dei pilastri della storia della moda.
Nel 1980 fu prodotta la prima linea di prêt-à-porter dello stilista, con i riflettori puntati addosso, realizza abiti per le donne dell’alta società francese.
Segna la storia il suo rapporto con Naomi Campbell:
Naomi è come una figlia. Mi fu presentata quando aveva quattordici anni da un’altra modella. La presi subito per una sfilata, ma la madre era contraria. Quindi la chiamai, e lei mi disse che avrebbe accettato solo se avessi ospitato la figlia a casa mia. Così dopo la sfilata, passavamo le serate insieme. Naomi parlava un inglese terribile, che non capivo: quindi chiamavo al telefono la madre che parlava un po’ di francese, e facevamo assurde conversazioni a tre. In salotto, da soli, mettevo il film Donne di George Cukor e filmati di Josephine Baker. Le dicevo: guarda queste dive, devi imparare da loro.
Nel 1982 Alaïa presenta una sfilata nel grande magazzino di lusso Bergdorf Goodman di New York. Occasione che conosce la giornalista di moda Franca Sozzani con la quale inizia una lunga amicizia che durerà per tutta la vita: la “soeur italienne” la “sorella italiana” come la chiamava lui.
«Era il 1979, lavoravo per Vogue. Mi parlarono di questo sarto straordinario che trattava la pelle in maniera unica, realizzai uno speciale su di lui e volai a Parigi. Volle farmi un abito, iniziò a prendermi le misure commentandole: “Seno: perfetto. Vita: perfetta. Sedere: ah, che sedere mediterraneo!”. Iniziammo a ridere così tanto che tra noi si stabilì un’affinità di quelle che capitano poche volte nella vita. Il nostro era un rapporto d’amore, ammirazione e grandi divertimenti. Azzedine poi era incredibilmente orgoglioso di essere riuscito a farmi licenziare da Elle, che ai tempi dirigevo, per via di una cover mai uscita con un suo abito, da allora ribattezzato “la robe Carla”. Le diceva che l’abito dev’essere un bel ricordo, credeva nel lavoro, nella magia di quei momenti, nell’ideazione, nella creazione, nei dettagli che fanno la differenza, nei materiali, nelle prove dell’abito. Diceva: “Lavorare con le donne è la cosa più importante per uno stilista. Ne apprendi lo charme, l’attitudine, il gusto.”
Stesso anno conosce, attraverso l’illustratore e regista francese Jean-Paul Goude, la cineasta e ex modella di documentari francese Farida Khelfa.
Maniaco della perfezione, incontra, s’innamora e veste una delle figure più emblematiche del tempo, la cantante Grace Jones.
Grace è un fenomeno della natura: appena entra in una stanza, ha la capacità di cambiarne i volumi e l’atmosfera, come fosse una scultura primitiva. È un’amica e una diva, una donna instancabile e bellissima.
Nel 1984 fu nominato “Miglior stilista dell’anno” e “Miglior collezione dell’anno“, durante la cerimonia di premiazione degli Oscar della Moda, indetta dal ministero francese della cultura nel 1984; in un evento memorabile in cui la cantante giamaicana Grace Jones lo ha portato in braccio sul palco. Anno, ’84, che lo stilista si trasferisce al numero 17 di rue du Parc Royal. La maison viene arredata dalla designer Andrée Putman. La sua carriera salì alle stelle quando due dei più potenti redattori di moda dell’epoca, Melka Tréanton di Depeche Mode e Nicole Crassat di French Elle, lo sostenevano nei loro editoriali. Grazie all’involontaria sponsorizzazione fornitagli dallo stilista Putman, le collezioni Alaïa iniziarono ad essere vendute anche negli Stati Uniti. L’interior designer Andrée Putman stava percorrendo Madison Avenue con uno dei primi cappotti in pelle Alaïa, fu fermata da un acquirente di Bergdorf Goodman che le chiese cosa indossasse, il che diede inizio a una serie di eventi che portarono alla creazione e alla vendita dei capi esortati e venduti a New York City e Beverly Hills
Dal 1988, furono aperte le boutique di Beverly Hills, New York e Parigi, e le creazioni dello stilista iniziarono ad essere sempre più richieste da celebrità come Grace Jones (che indossa i suoi abiti nel film Agente 007 – Bersaglio mobile), Tina Turner, Raquel Welch, Madonna, Brigitte Nielsen, Naomi Campbell, Stephanie Seymour, Carine Roitfeld, la giornalista Franca Sozzani e Carla Sozzani.
I suoi vestiti seducenti e aderenti sono stati un enorme successo e dai media è stato chiamato “The King of Cling“.
Nel 1989 Azzedine realizza gli abiti tricolori indossati dalla soprano Jessye Norman durante i festeggiamenti del 200° anniversario della Rivoluzione francese, compreso tutti i costumi della sfilata.
Agli inizi degli anni ’90, ispirato dall’emergente musica hip hop e dallo stile street, propose il Total Look Maculato ottenendo un grande successo.
La Collezione Primavera Estate 1992 diviene protagonista nel libro pubblicato da Prosper Assouline.
A metà anni novanta in seguito alla morte della sorella, Alaïa scompare dalle scene, pur continuando a lavorare per una clientela ristretta, e producendo le linee di prêt-à-porter. Ha presentato le sue collezioni nel suo spazio, nel cuore del Marais, dove ha riunito sotto lo stesso tetto il suo laboratorio creativo, la boutique e lo showroom.
Il mondo della moda inizia a cambiare diventa più globale, viene travolto dai grandi gruppi di lusso e dalle collezioni cadenzate con ritmi precisi. Alaïa farà un passo indietro perché, come dirà in seguito:
Non c’è più alcuno studio sugli abiti. Capire cosa significa davvero Couturier, ma soprattutto per comprendere come si possa ingannare il tempo tiranno e le logiche commerciali, rimanendo sempre fedeli a se stessi e coerenti ai propri ideali (di stile). Rema contro corrente, fieramente fuori sistema, rifiuta categoricamente i tempi altrui…Sfilo quando sono pronto.
Le sue collezioni uscivano anche due o tre mesi dopo gli altri, non guardava il lavoro dei suoi colleghi, non si faceva coinvolgere dai trend ma teneva conto di cosa andava di moda.
Nel 1996 partecipò alla Biennale della Moda a Firenze, dove insieme ai dipinti dell’amico di lunga data Julian Schnabel, ha esposto un abito eccezionale creato per l’evento. I mobili progettati da Schnabel, così come le sue tele di grandi dimensioni, decorano ancora la boutique di Alaïa a Parigi.
All’uscita di Gianfranco Ferré da Dior, gli propongono il ruolo di direttore creativo, lui non accetta perché significherebbe chiudere la Azzedine Alaïa.
Nel 2000 firmò un accordo con il gruppo Prada, grazie al quale il nome del marchio Alaia sarebbe poi tornato in auge nel luglio 2007.
Per la prima volta le Collezioni Estate Inverno 2002 vengono presentate nella boutique al numero 7 di rue de Moussy.
Nel 2007 riacquisisce il controllo della proprio Maison da Prada ed entra a far parte del gruppo Richemont, che possiede Cartier e Van Cleef & Arpels. Fonda l’Association Azzedine Alaïa insieme a Christoph von Weyhe e la gallerista Carla Sozzani per proteggere i suoi archivi di moda, design e arte con la prospettiva di farla sviluppare in una fondazione di interesse pubblico.
Nel 2008 ha ottenuto la Legion d’onore, la più alta onorificenza conferita dalla Francia.
Nel 2015 espose i suoi abiti scultura a Villa Borghese a Roma ed espresse con un profumo la sua estetica, il profumo Alaïa, creato dal naso di Marie Salamagne, caratterizzato da note di pepe rosa, fresia, peonia, note animalico e muschio. Il film Van Gogh – sulla soglia dell’eternità di Julian Schnabel è dedicato a lui.
Lo stilista Azzedine Alaïa muore a Parigi il 18 novembre 2017, all’età di 77 anni, dopo che a luglio era tornato sulle passerelle con l’ultima collezione durante la settimana dell’haute couture di Parigi. Per l’occasione aveva sfilato per lui anche Campbell.
Alaïa è deceduto dopo diversi giorni di coma causato da una caduta, secondo le informazioni del settimanale Le Point e in seguito confermate da parenti e collaboratori.
Un gigante in miniatura. Piccolo di statura, sarto massimo, si arrampicava letteralmente sulle modelle e sulle donne conquistando forme, curve e vette come farebbe un alpinista dello stile.
Non vi sono bozzetti delle creazioni Azzedine, non amava disegnare (come lui stesso aveva dichiarato), creava e realizzava ispirandosi direttamente sul corpo femminile di qualsiasi donna; amando e ammirando il corpo in tutte le sue forme.
Per conoscerlo bisogna amarle, le donne, e interessarsi a loro fino a dimenticarsi di se stessi, per questo io mi vesto sempre allo stesso modo.
L’abito di Madeleine Vionnet del 1935/36 è un esempio di cui nessuno comprendeva l’enigma del drappeggio.
Vengono inaugurate mostre in memoria dello stilista. A Parigi nella sede dell’associazione nel 2018, con un esposizione di quarantuno abiti, selezionati dal designer e storico di moda Oliver Saillard. Verso la fine dello stesso anno a London Design Museum, lo celebreranno nella mostra Azzedine Alaïa The Couturier a cura dell’illusionista Mark Wilson: presenti sessanta delle più emblematiche creazioni di Azzedine.
Una nuova era della maison è stata inaugurata con l’apertura del primo flagship store a Londra, in New Bond Street ad opera degli stilisti che hanno lavorato al suo fianco e porteranno avanti la sua tradizione.
Nel gennaio 2019 è stata svelata una targa in onore del suo lavoro nel suo laboratorio del Marais.
EDITIONS ALAÏA
Le creazioni di Azzedine Alaïa resistono alla prova del tempo. La collezione Editions è costituita da modelli provenienti dall’archivio tra il 1981 e il 2017, incarna l’essenza della Maison ALAÏA: un connubio di tradizione e innovazione. Capi fedelmente riprodotti nei atelier sulla base dei modelli originali, riflettendo l’inimitabile alla bellezza senza tempo di Alaïa e la visione, che aveva, della sensualità e della impeccabile tecnica sartoriale. All’interno di ogni capo, l’etichetta indica la stagione e l’anno, un omaggio al passato, rinnovato nel presente.
aggiornato al 17 novembre 2020
Autore: Lynda Di Natale Fonte: maison-alaia.com, d.repubblica.it, web
Azzedine Alaïa – Maison Alaïa Azzedine Alaïa, couturier tunisino e designer di scarpe, particolarmente affermato a partire dagli anni '80. La sua abilità nel taglio e le sue interpretazioni idiosincratiche su sagome classiche hanno reso popolare…
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Corinne Cobson, Designer With a Rock ’n’ Roll Edge, Dies at 62
Corinne Cobson, the French fashion designer whose self-assured clothing for women gained acclaim in the 1980s and ’90s, died on April 16 at a clinic in Saint-Cloud, a suburb of Paris. She was 62.
Her husband, Tanguy Loyzance, a photographer, said the cause was lung cancer.
Ms. Cobson’s designs were distinguished by their rock ’n’ roll-inspired edge but were nonetheless worn with ease. They frequently incorporated men’s-wear silhouettes and unexpected pairings of materials, like black leather, juxtaposed with fluid silk or buoyant feathers.
She also played with proportions at her runway fashion shows, for instance layering a chunky, oversized coat over trim trousers. Her clothes regularly revealed bare skin — an exposed midriff here, thighs below an extra-high hemline there — and suggested an empowered wearer in control of the alluring reveal.
As Woody Hochswender of The New York Times wrote in a 1991 review of one of her Paris fashion shows, her clothing “exploited the current fascination here with men’s style for women, a kind of tough-girl chic.”
In spite of their spunk, Ms. Cobson’s clothes were not intimidating and were comfortable to wear.
“First essential thing: A woman needs to feel attractive, good in her skin and her clothing,” Ms. Cobson told the French online magazine Journal de Femmes in 2006. “She must not need to think about what she will have to wear with her outfit. For me, a garment needs to be very simple and sophisticated at the same time, well cut, in beautiful materials.”
The clothing also seemed to exude French style. When the Parisian department store Galeries Lafayette opened its short-lived American outpost in New York City in 1991, it carried Ms. Cobson’s clothes as well as labels like Thierry Mugler and Guy Laroche. Fans of Ms. Cobson’s brand included the French actresses Juliette Binoche and Vanessa Paradis.
Ms. Cobson’s influence can be seen in the work of designers like Isabel Marant and Nicolas Ghesquière, who early in his career was an intern for Ms. Cobson before working for her full time. At one point he lived in Ms. Cobson’s extra apartment, in the same building where Ms. Cobson and her husband lived at the time, near the Tuileries Garden.
Ms. Cobson was born Corinne Jacobson on Sept. 12, 1956, in Paris. Her parents, Elie and Jacqueline (Schneider) Jacobson, were the founders of Dorothée Bis, a successful brand of women’s wear that operated its own boutiques. The eldest of three sisters, Corinne joined the business as a teenager, but not for a precocious love of fashion.
“She didn’t want to go to school anymore,” Mr. Loyzance said in a phone interview. “So her dad said, ‘O.K., you don’t want to go to school? Tomorrow you’ll go to the shop.’ She went to the shop when she was 16 and she started to work.”
She showed talent and after a few years began designing for Dorothée Bis. Some of her pieces were memorably worn by the actress Pascale Ogier in Éric Rohmer’s film “Full Moon in Paris” (1984), including a slinky black sheath dress hardened with bold zipper detailing on thick shoulder straps.
Her own collection was introduced in 1987. The name Cobson was her own invention: a combination of letters from her first and last names.
“She wanted to be recognized as herself, not because she was the daughter of someone,” Mr. Loyzance said in a phone interview. “She was really proud of her mother, but she wanted to be recognized as Corinne Cobson.”
She took great delight, he recalled, when, several years after her brand was well established, the magazine editor Polly Mellen casually asked about her parents over lunch one day and was surprised to learn about her lineage.
Nonetheless, family was a priority. In the mid-1990s, Ms. Cobson moved her atelier from the bustling Rue de la Roquette to a large space at 213 Rue Saint-Honoré, which was close enough to her daughters’ school that she could meet them for lunch every day. After a few years, she passed the property over to a friend, Colette Roussaux, who opened the influential fashion boutique Colette there.
Ms. Cobson stepped away from her clothing line about a decade ago after she had a stroke. Her furniture brand, Corinne Cobson Home, is still in operation. Over the years, through licensing agreements, she designed a wide range of items, including cosmetics, sunglasses and lingerie. She also designed men’s wear for Cacharel for several years in the 1990s.
In addition to her husband Ms. Cobson is survived by their two daughters, Angèle and Rubis Loyzance, as well as her mother and two sisters, Carole and Laurane Jacobson.
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