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#lavoretto di natale
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Decorazioni Ghirlanda
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nonsonotecnologico · 4 months
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Oggi condividiamo come fare una fascia per capelli con renna, completo di un modello stampabile gratuito. È un lavoretto di Natale divertente..
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lamilanomagazine · 5 months
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Roma, Festa della Befana "a piazza Navona inizia il mercatino di Natale"
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Roma, Festa della Befana "a piazza Navona inizia il mercatino di Natale" La Festa della Befana è tornata a piazza Navona per immergere romani e turisti, grandi e bambini, nella magia del Natale fino al 6 gennaio. Due giornate speciali, l'8 e il 9 dicembre daranno il via a un calendario di eventi e attività dedicato a famiglie, bambine e bambini. Venerdì 8 dicembre, alle ore 11.30, appuntamento con il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri e Monica Lucarelli, Assessora alle Politiche della Sicurezza, Attività Produttive e Pari Opportunità di Roma Capitale per inaugurare la festa e fare un giro nel mercatino di Natale nella piazza più suggestiva della Capitale. Sabato 9 dicembre, un evento speciale, dalle 15 alle 17 con bambine e bambini sarà allestito l'Albero della Pace. Ogni bambino è stato invitato a portare un proprio addobbo o lavoretto da appendere all'albero e se vorrà anche un disegno e un pensiero sul tema della "Pace" che verrà esposto in piazza per tutta la durata della manifestazione. L'invito è aperto a tutte le bambine e bambini. Verrà messa a disposizione un'area dedicata dove i piccoli potranno apporre disegni e pensieri sul tema della "Pace". Ad animare il pomeriggio è prevista, inoltre, l'esibizione, alle ore 17, della Banda Musicale della Polizia Locale di Roma Capitale con un repertorio dedicato, dai brani tipici del Natale a quelli più adatti ai bambini, fino ad arrivare alle più celebri musiche note in tutto il mondo. Roma Capitale presidierà la piazza per tutta la durata della manifestazione con uno stand istituzionale dove sarà possibile per tutti entrare in contatto con diverse realtà della Amministrazione Capitolina: dai prodotti della Centrale del Latte di Roma agli sportelli ai cittadini, dalle associazioni che gestiscono la rete antiviolenza alle esperienze tecnologiche immersive. Le Biblioteche di Roma collaborano con la Festa con un ricco calendario di attività per bambini. Inoltre, durante tutto il periodo verranno organizzati spettacoli teatrali, concerti e animazioni direttamente nel cuore di Piazza Navona. E per gli amanti dello shopping natalizio, i mercatini allestiti in piazza offriranno prodotti artigianali, regali unici e prelibatezze gastronomiche.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Famiglia Gaston
E’ il momento per Zac di iniziare una nuova fase della sua vita, Pamela e Tomas organizzano per lui una bella festa di compleanno.
Gabriella studia molto ottenendo un bel 10 in pagella.
Zac ha sempre voluto lavorare nella carriera dell’avventura, e decide così di trovare un lavoretto part-time in quella carriera.
E’ Natale, è il momento di festeggiare, Pamela organizza una bella festa con i loro nuovi amici.
Zac sul lavoro si impegna molto tanto da ottenere un buon successo, senza tralasciare la sua carriera scolastica, riuscendo a mantenere dei buoni voti.
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tempestainmare · 1 year
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Mas_x
Il tanto atteso... venerdì. Il prossimo sarà Black, i miei sono tutti Total White. Per la gioia di molti ho smarrito lo smartphone 📱 ergo sum ancora. Michele, tu saresti il più capace a spiegare a NOI (not me) come si spendono i soldi nel paese di Chinonso. Che paesello inutile in apparenza. Vivono della festività del Santo Natale 🎅 Come se uno come te potesse accontentarsi di una festività per definirsi Amlet. Che nottataccia. Non ho chiuso occhio per salvare un pinguino dall'estinzione. Ah se la Charity fosse un lavoro a tutti gli effetti, sarei proprio l'Africa for the Children. Invece no, screditata per un lavoretto precario temporaneo da una commercialista e una shampista in preda ad uno scompenso ormonale. Screditata poi, se tu imiti me e tu imiti me e tu fai proprio me, io che faccio? Accrescere fama e notorietà non è un male... NIENTE GUADAGNO (ancora!). Quello che scrive i libri? ESISTE. Quello che canta? ESISTE. La Tv? ESISTE. Lisa? Esiste anche lei. Tutta colpa di una collana di perle. Eppure a causa di una sola ondata di CALDAIA ACCESA sono nata io. Notte insonne e... qualche domandina di troppo. Una Dallas a tutti gli effetti. Il petrolio o una rosa? TUTTO o NIENTE. L'amicizia post 18.00 c'è stata, il caffettuccio al bar pure. Lezione di inglese a parte, siamo già nel VENERDì. I wanna dance. Venerdì nel paese di Chinonsò. Giorno di paga per chi ha un lavoro FISSO. Stanotte mentre salvavo un pinguino 🐧, Lillo, ho appreso una grave notizia per l'umanità: LORO non esistono più. I pinguini si e loro MAI più. LORO. Loro non sono lei, cioè non sono io che non possono essere una lei in un posto altro da quello che tu lei sia noi mai e poi... STOP! Quel suo strano modo di vestire... il maestro di musica. Secondo voi può nascere l'amore sul posto di lavoro? Di solito gli artisti si scelgono tra loro. Non s'è mai visto un violinista e un conducente di autobus 🚍 Cosa avrebbero mai in comune. Lei, ad esempio. Così beltate all'acqua di rose con uno zappatore! Certo è che una principessa che si rispetti, Sophia, sarà già promessa sposa all'erede della Lapponia alta. Una contessa non sceglierà mai un miserevole barista di urban city. La mamma di Giuseppe, quello in alto, stasera sarà al bar con noi, tutte mamme senza mariti e felicemente libere di essere femmine ancora desiderate ma solo nei pensieri. Il giovedì seratina aperitivo e amici di sempre. Lui deve accompagnarla ovviamente. E' proprio quella gonna che mette in risalto la coscia tonica palestrata che fa la differenza. Tranquillo Tony, che sarà mai, è tua. ;) Giorno 5 della settimana, il preferito assoluto del paese di Chinonsò, una giornata dedicata interamente a quel sentimento nazionale che muove i monti sibillini: AMORE 💕.
L'AMORE è anche questo, la notte è fatta per dormire 🛌, i letti mezzi e mai fini, le stelle solo COMETE.
La coppia più amata del web è a cena, lei con gli amici di sempre e lui a casa con gli amici di sempre, "pokerino" senza assi.
Lui&Lei 07.30 sveglia ⏰ 07.45 capsula #nesquik per me e latte schiumato tazza larga per lui, orzo a parte in tazza trasparente, mela a dadolata con spolverata di cannella, yogurt magro con spolverata di cacao, 4 macine #mulinobianco, 2 pan di stelle #mulinobianco e succo ACE 08.15 doccia insieme ma no 08.45 Lilly a spasso (bisogni) e sigaretta per me 09.00 messaggio alla mamma "sono viva, giornata super piena- che stress" 09.13 lui va a lavoro come ogni giorno dal lunedì al venerdì nell'azienda di babbo 🎅 09.45 l'amica di sempre e palestra alto impatto 11.00 doccia (borsone da preparare) 12.00 spesa 🛒 (pane+latte+ lasagna #surgelati) 12.45 letto da rifare 12.55 bagno da pulire 13.05 tv accensione 13.15 friggitrice ad aria e lasagna in forno 13.20 apparecchiare tavola per bene 13.30 telegiornale 13.45 accensione friggitrice ad aria 13.55 soap opera 14.15 lui a casa, a tavola! 15.00 piatti da lavare 15.03 Uomini e Donne 16.00 Paradiso 17.00 Fenicottero Rosa 18.30 pilates 19.45 doccia 20.30 outfit curato nei minimi dettagli ->
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occhidibimbo · 2 years
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Ogni anno nel periodo di Natale mi trovo a dover affrontare il fatidico dilemma... quale attività proporre ai bambini per il laboratorio di Natale? È veramente difficile trovare qualcosa di particolare che non abbiano già fatto a scuola o a casa. Una delle attività che ho proposto quest'anno sono le formine con impasto di amido di mais (maizena) e colla vinilica. La particolarità di questo lavoretto sta proprio nell'impasto. É un'idea, molto interessante, che ho trovato su Pinterest. Io l'ho proposta ai bambini dai 3 ai 10 anni, si può proporre anche ai più piccini avendo l'accortezza che non si mettano in bocca l'impasto; per esempio la mia collega ha proposto un impasto molto simile allo spazio gioco, frequentato da bambini da 0 a 3 anni, l'impasto era formato da bicarbonato, amido di mais e acqua; questo impasto a differenza del precedente va cotto (vedi sotto la ricetta). La mia collega ha utilizzato questo impasto per fare in modo che tutti i bambini anche quelli allergici al glutine potessero giocarci. Tornando a noi, la pasta modellabile di colla vinilica e maizena è molto semplice da realizzare e come ho detto in precedenza non ha bisogno di cottura. Mescolate in una bacinella due parti di amido di mais e una parte di colla vinilica fino a quando non avrete ottenuto un impasto lavorabile come un panetto di pizza; se nella lavorazione l'impasto tende ad attaccarsi alla superficie di lavoro aggiungete altra maizena. Stendete l'impasto dello spessore che più gradite e utilizzate le vostre formine per realizzare graziosi alberelli o pupazzi di neve e chi più ne ha più ne metta. Durante tutto il procedimento i bambini sono stati partecipi hanno versato la farina e la colla e si sono sbizzarriti nel creare tante decorazioni natalizie. Un ultimo suggerimento, la pasta dopo un po' che si lavora diventa dura, quindi vi consiglio di non fare un grosso impasto ma di crearlo man mano all'esigenza. Le formine una volta essiccate (dopo circa due ore sul termosifone) risultano lisce e molto resistenti; si possono colorare con gessetti o pastelli a cera, lasciarle bianchi o colorarle con lo smalto per unghie in modo tale che risultino laccati! Insomma potrete dare sfogo alla vostra fantasia e anche quella dei vostri bimbi. Il risultato di queste decorazioni mi ha molto colpito infatti anche per decorare il mio albero di Natale ho realizzato alberelli, stelline e fiocchi di neve con questa pasta. Ingredienti 200 gr di bicarbonato 100 gr di amido di mais (maizena) 150 ml di acqua Una volta lavorata può anche essere fatta seccare all’aria e dipinta. Mescola gli ingredienti in una casseruola e fai cuocere a fuoco medio mescolando finché il tutto non si sarà ben addensato e un po' appiccicoso. Lascia raffreddare in una terrina coperta con un panno umido e lavorala finché non ottieni un impasto liscio e morbido.
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3nding · 3 years
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Il mio primo primissimo lavoretto è stato un rifugio in montagna, sopra Bassano, avevo 16 anni. Quattro ore di servizio, mezz'ora di strada andare, mezz'ora tornare, 20€. In nero.
Poi a 18 è arrivata la stagione. Tre mesi di lavoro (beh, però, uno era di tirocinio non pagato eh), 8-10 ore al giorno in reception, senza giorno libero. 900€. Novecento. In totale. Tre mesi. In nero. Con vitto e alloggio però, eh, ah ok allora. Poi abbiamo fatto i conti: sono circa 2.80€ l'ora.
Ho voluto andare via di casa a 19 anni per studiare e non sono più tornata. Mamma e papà hanno sofferto un po', ma lo dovevo fare. E non volevo chiedere loro nulla.
Ho iniziato con gli extra in ristorante, nei weekend. Per anni non ho visto Natale, Capodanno, il mio compleanno, se non dietro i piatti delle persone. 7€ all'ora per servizi su più piani di scale da fare. In nero. 8 a Natale. In nero.
Poi è arrivato quello che mi ha effettivamente permesso di mantenermi davvero fino ai 24 anni: il catering ai matrimoni. Il catering ai matrimoni inizia alle 7 della mattina con il montaggio di sedie e tavoli e finisce - di media - alle 4 della mattina dopo, con gli ospiti sbronzi e i bicchieri rotti. 17-18 ore di turno in camicia e cravatta, sotto il sole, in piena estate, costantemente. 7€ all'ora. In nero. Spesso e volentieri pagati due, tre settimane dopo, a volte anche un mese. Facevamo tre servizi prima di vederci pagato quello precedente. E comunque tutto questo perennemente in sessione.
Ho fatto altri dieci lavoretti infami nel corso del tempo e ho avuto un contratto solo da uno di questi, sono dieci anni che lavoro, ma sulla carta avrò sì e no tre mesi di contributi. Che non torneranno mai. Avrei potuto farmi male in qualsiasi momento (è effettivamente successo) senza che mi venisse riconosciuto, avrei potuto essere lasciata a casa in qualsiasi momento senza sicurezza, ho lavorato in condizioni inaccettabili perché
non
avevo
alternative.
Avevo bisogno di lavorare. Dovevo fare l'università. Volevo fare l'università. E del resto, me l'aveva inculcato in testa il mondo, te lo devi fare andare bene, lo sai che questo settore va così, *risatine* contratto *risatine*, sei giovane, devi fare gavetta prima di pretendere qualcosa.
Allora.. siccome Michele Serra quando scriveva degli sdraiati forse qualche esempio ce l'aveva, ma sicuramente non è questo, la situazione è che noi la voglia di farci il culo ce l'abbiamo, ce l'abbiamo sempre avuta e ce lo siamo pure fatto.
E oggi, con dieci anni di esperienza e alla quasi seconda laurea io devo avere paura di andare da Toni Pizza a chiedere quante ore devo fare e quanto mi paga. Devo solo essere felice della grazia che mi sta venendo concessa: lavorare. Come se mi facesse un favore.
Siamo ancora giovani e abbiamo sempre avuto il diritto di pretendere qualcosa: un contratto, condizioni umane, trattamento economico dignitoso, rispetto. E non permettete mai a qualche imprenditore di farvi credere che meritate meno, perché è letteralmente il minimo sindacale.
E a voi cari ristoratori, u've fucked with the wrong generation. È arrivato il momento in cui ci riprendiamo tutto. O vi lasciamo in mutande. - Noemi Fantinato
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giulia-liddell · 4 years
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Rimorsi
Parole: 3059
No beta, we die like men
Fandom: Sanremo RPF
Ship: Borgan (sì, davvero)
Avvertimenti: menzione di uso di droghe, lieve menzione di pensieri autolesionisti, fine di una relazione, meccanismi di coping non salutari, ANGST.
Note autore: Questa cosa è stata scritta per il Cenone di Natale AU del server di Discord, ma è tranquillamente comprensibile anche senza essere a conoscenza di tutto l’AU. 
È normale ad un certo punto della propria vita provare rimorsi. È una cosa completamente umana. Non tutto può andare come vorremmo ed inevitabilmente ci ritroviamo a sperare che forse in un altro universo gli eventi si possano essere evoluti in maniera differente.  
Essere un artista che deve avere a che fare con numerosi rimorsi può avere i suoi vantaggi: non esaurisci mai materiale per scrivere nuove canzoni. Cristian ha passato gli ultimi anni a sprecare fiumi di inchiostro per i suoi testi, segretamente sperando che ogni singola goccia potesse modificare il passato. Ma ovviamente non è così che funziona, non è mai così che funziona.  
Ricordare è doloroso, ma Cristian non può fare a meno di perdersi nei ricordi, perché oltre al dolore, oltre alla rabbia, oltre ai rimpianti, ci sono stati tanti momenti felici. Si ricorda perfettamente di quando lui e Marco si sono conosciuti, di quando passavano notti insonni a parlare, di quando erano capaci di vagare senza meta per ore intere e divertirsi con nulla e di quando non riuscivano a stare lontani per più di due minuti. Certo, facevano un sacco di cazzate. Ma erano giovani. Erano ragazzini. Tutti a quell’età fanno cazzate. E in fondo il bello era anche quello, potevano fare di tutto insieme, potevano fare qualsiasi errore, potevano dire qualsiasi stronzata e sapevano perfettamente che l’altro non li avrebbe mai giudicati nemmeno per un secondo. Lui voleva fare il ribelle e fare casino e Morgan era con lui. Lui voleva essere indipendente e cavarsela senza la sua famiglia e Morgan era con lui. Che riuscisse ad ottenere risultati oppure no, Morgan era sempre con lui. 
Erano stati loro a darsi quei soprannomi. Si ricorda ancora del momento in cui aveva detto a Marco che aveva deciso di chiamarlo “Morgan”. Lui aveva fatto quella faccia confusa, ma ancora sorrideva perché non vedeva l’ora di sapere da cosa venisse quell’idea. Cristian aveva spiegato tutto timido che siccome era affascinato dalla pirateria, ci voleva un nome piratesco e quello secondo lui era perfetto. E lo era davvero. Cristian se lo sentiva. Marco ne era stato entusiasta ed aveva rilanciato con “Bugo”. La prima spiegazione era stata “perché… Non lo so, suona buffo… Però suona come te… Lascia perdere Cristian, non importa… Posso sempre chiamarti ‘Cri’…”, ma a Cristian era piaciuto davvero. Certo, suonava buffo, ma lo trovava perfetto. Quello era stato… forse un paio di settimane prima della proposta. Avevano a malapena vent’anni.  
Avevano preso a chiamarsi così spesso con quei soprannomi che ormai usare i loro veri nomi tra di loro gli sembrava strano. Era così facile al tempo abituarsi alle novità. Poi c’era stata una serata in cui erano usciti con amici perché nessuno aveva da lavorare ed avevano fatto baldoria fino alle quattro o alle cinque del mattino. I loro amici erano tornati a casa e loro avevano deciso di passeggiare un po’ perché non se la sentivano ancora di tornare. Quando iniziò a sorgere il sole, loro erano nella zona dei navigli a camminare vicino all’acqua e ormai avevano smaltito quasi del tutto l’alcol. C’era quella luce calda e morbida tipica dell’alba che faceva sembrare tutto sospeso nel tempo. Cristian si ricorda che si sentiva leggero in quel momento, come se avesse potuto camminare sull’acqua. E per un momento forse lo aveva immaginato, di prendere Marco per un braccio e ballare sopra l’acqua. Forse ci aveva riso su. Aveva decisamente riso perché Marco si era voltato verso di lui incuriosito e poi si era fermato a fissarlo. Nella confusione di quel momento Cristian aveva pensato che ci fosse qualcosa che non andava e si era preoccupato e Marco aveva semplicemente sussurrato “sposami.” Così senza preamboli, senza spiegazioni. Gli era sfuggito, più che altro. E Cristian si era dovuto aggrappare a lui per non cadere in acqua. Era rimasto stordito, ma non c’era nessuna sensazione che gli avesse detto che si trattava di qualcosa di sbagliato, anzi. Aveva senso, aveva perfettamente senso.  
Non era stato niente di elaborato, perché nessuno dei due voleva che fosse qualcosa di elaborato. Doveva essere una cosa solo per loro e così era stato. L’unica cosa su cui Morgan aveva insistito era che almeno entrambi si comprassero qualcosa apposta da mettere, dato che già non potevano avere un ricevimento e non potevano avere una luna di miele, almeno avrebbero avuto dei vestiti decenti e, beh, ovviamente delle fedi. La storia delle fedi era stata tutta un’altra cosa. Cristian non riesce più a ricordare i dettagli, ma… Un
paio di giorni dopo la proposta accidentale si erano ritrovati dentro al negozio di un tatuatore e avevano pensato “perché no?”, in fondo ormai la scelta era stata fatta. Così si erano ritrovati con il tatuaggio di un filo spinato intorno all’anulare. Cristian non può fare a meno di considerare quella scelta, fatta al tempo solo perché erano giovani e gli sembrava figo, come una premonizione che erano stati troppo ingenui per capire. Si odia profondamente per quel pensiero, perché sa perfettamente che è condizionato soltanto dalle esperienze successive e che il lui di allora non aveva assolutamente nessuna ragione di sospettare, nemmeno inconsciamente, che le cose non sarebbero andate bene. Perché allora, in quel momento sui navigli, nel negozio di quel tatuatore e poi nella sala del comune, non era nato ancora nessuno dei problemi che poi aveva portato alla loro separazione.  
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Morgan si pente di molte delle scelte che ha fatto nel corso della sua vita, anzi quasi di tutte. Ma non riesce mai a pentirsi di aver fatto quella proposta a Cristian. Perché al tempo era giusta. Cristian era davvero la persona che lo conosceva meglio al mondo, anzi lo è ancora. È lui che gli ha dato quel soprannome che lui sente più come il suo vero nome. Sì, in un certo senso è come se Cristian lo avesse battezzato una seconda volta, con qualcosa che sente davvero suo, che sente che lo rappresenta in tutto e per tutto. Si ritrova spesso a chiedersi come diavolo ha fatto a rovinare un rapporto così bello. E di solito si incolpa da solo. Perché è quello che ha fatto per tutta la sua vita: rovinare i suoi rapporti con gli altri, tagliare ponti, causare problemi. Forse se avesse detto tutto a Cristian allora, tutto quello che gli passava per la testa, forse le cose sarebbero andate diversamente. Forse Cristian non lo avrebbe voluto affatto: era quella la sua paura più grande al tempo, che Cristian lo rifiutasse.  
Sentiva il caos nella testa e lo voleva mettere a tacere. È tutto quello che si ricorda di quel periodo. Pensava che se non riusciva ad essere normale, doveva forzare la sua testa a spegnersi per poter mantenere i suoi rapporti con gli altri. Aveva paura. Con il suo modo di essere aveva già allontanato la sua famiglia e non voleva perdere anche la sua nuova famiglia, Bugo ed i loro amici. Cristian non gli aveva detto nulla all’inizio. Perché era normale in quegli anni che uscendo con gli amici qualcuno provasse qualcosa e poi Cristian beveva, quindi non si sentiva nella posizione di fare prediche. Poi le cose erano peggiorate. Volevano vivere per i fatti loro, come sembrava giusto per due persone sposate, ma soltanto Bugo aveva un lavoro ed era sempre stanco e stressato. Morgan lo guardava e si sentiva inutile. Insomma, lui stava a casa tutto il giorno a non fare niente e Cristian lavorava in un locale per notti intere per fare comunque fatica a pagare l’affitto. Vedeva Cristian trascinarsi dentro casa la mattina, quando lui si stava alzando e a malapena scambiavano due parole. Passavano qualche ora insieme la sera, quando Cristian si svegliava e poi doveva già tornare al lavoro. Era il loro primo anno di matrimonio e per la maggior parte del loro tempo a stento si vedevano in faccia.  
Morgan aveva giornate intere di vuoto, solo con i suoi pensieri. E si odiava. Si odiava così tanto. Quando aveva l’istinto di farsi del male optava per prendere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Così in quelle rare occasioni in cui riusciva a trovare qualche lavoretto, non riusciva a tenerlo perché faceva fatica a capire dove si trovava o cosa stava davvero facendo. E Cristian non diceva nulla. O meglio, non si incazzava mai. Morgan avrebbe voluto che almeno una volta gli avesse detto chiaro e tondo quello che pensava, ma no. Cristian ingoiava il rospo, sorrideva e buttava fuori un “troverai qualcos’altro” o “andrà meglio la prossima volta”. Morgan sapeva benissimo che Cristian disapprovava di lui e delle sue abitudini, ma si ostinava a rispondergli sempre e solo con quella maledetta positività. E così lui continuava. Continuava a distruggersi in ogni modo possibile. 
Il problema è che a furia di tirare la corda si spezza. Morgan non si ricorda neanche di preciso quale sia stato il momento di rottura. Era così perso che avrebbe potuto confondere gli eventi di un mese intero per gli eventi di un giorno solo. Ma la loro situazione era diventata ingestibile. Si vedevano poco e quando stavano insieme facevano finta che andasse tutto bene anche se Morgan aveva abbastanza schifo nelle vene da non ricordarsi quasi il suo nome. E Cristian aveva bisogno di riposo e di affetto e di tutto quello che Marco in quelle condizioni non era in grado di dargli. Hanno avuto forse un paio di giorni di pace, in cui tutto sembrava risolto, come quando si erano appena sposati, prima di riprendere la loro routine e ritrovarsi ad esplodere.  
Morgan si ricorda perfettamente la sensazione di profonda solitudine di quei giorni, ma non molto di più. Cristian era arrivato al punto di piangere, finalmente dopo mesi, forse anche anni, Morgan non ne è sicuro, di completo nulla. Ogni emozione era scoppiata all’improvviso e per il cielo solo sa quanto non hanno fatto altro che piangere ed urlare e buttarsi addosso veleno. Perché nessuno dei due ce la faceva più a vivere così staccato dall’altro e dal resto del mondo allo stesso tempo. Erano da soli, ognuno nella loro bolla e continuavano ad allontanarsi sempre di più. Finché Cristian era rientrato dal lavoro un giorno ed aveva trovato Morgan mentre si preparava una dose. Era la prima volta in tutto quel tempo in cui lo vedeva con i suoi occhi e probabilmente non aveva retto. Si era affrettato a cacciare due cose essenziali in una borsa mentre Marco invece che scusarsi, come avrebbe voluto fare, non riusciva a far altro se non insultarlo perché le scuse gli morivano in gola. Non riesce a togliersi dalla testa il momento in cui ha visto il suo Bugo uscire dalla porta, quando si è voltato solo un attimo, con le lacrime che gli rigavano le guance e la sua voce è uscita fuori spezzata e soffocata per dire “Ti amo, Marco. Ma non così. Non posso.” 
Quelle parole sono il motivo per cui Morgan non è mai stato veramente incazzato con Cristian. Avrebbe potuto. Perché Cristian il lusso di tornare a casa dai suoi durante la separazione ce lo aveva, ma lui era completamente solo. Perché Cristian aveva fatto i suoi errori e non aveva parlato quando avrebbe dovuto e non aveva detto di star soffrendo anche lui quando avrebbe dovuto. Perché Cristian in fondo non aveva completamente il diritto di giudicarlo. Ma quelle parole. Quelle parole erano la dimostrazione, secondo Morgan, che Cristian si rendeva conto di tutto questo. Per quello non è mai stato veramente incazzato con lui. Neanche quando si sono urlati insulti per i mesi successivi, neanche quando hanno messo in mezzo gli avvocati per dividere quel poco che avevano, neanche quando Cristian gli ha lasciato gli ultimi regali che gli aveva fatto.  
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Il vero problema era che lontani loro non ci sapevano stare. Il loro matrimonio era stato affrettato e si era bruciato velocemente, ma loro continuavano a vedersi e a seppellire i loro sentimenti sotto una facciata di risentimento. Così Cristian si era ritrovato ad osservare Morgan nella sua strada verso l’autodistruzione e si era accorto degli errori che aveva fatto. Si era accorto di non averlo mai aiutato veramente, di aver solo ignorato il suo problema e quale che fosse la sua causa perché era più facile così. Si era accorto di non aver mai davvero permesso comunicazione tra di loro, perché se lui stesso non diceva di cosa gli pesava e cosa lo faceva stare meglio, come mai avrebbe potuto Morgan sentirsi in condizioni di farlo? Avevano deciso di avere una relazione adulta, senza prima essere diventati adulti loro stessi. Ovviamente non aveva funzionato. E Cristian si sentiva un idiota per questo. Era consapevole di aver buttato via la sua occasione con l’amore della sua vita. Perché nonostante tutto sapeva perfettamente che Marco era l’amore della sua vita.  
Avevano ancora amici in comune e per forza di cose finivano negli stessi giri. Cristian continuava a guardare Morgan ogni volta sempre messo peggio, che si faceva accompagnare ogni sera da una persona diversa e doveva trattenere sempre l’istinto di vomitare. Non sapeva nemmeno lui perché. E forse per ripicca anche lui aveva iniziato ad uscire con diversa gente, perché voleva liberarsi di quella voglia di continuare a tornare da Morgan. Ma alla fine da Morgan ci tornava lo stesso. Dopo ogni rottura, dopo ogni relazione finita prima ancora di nascere, Cristian andava sempre a bussare alla sua porta, che era stata la loro porta una volta, e si buttava tra le sue braccia, a volte da sobrio a volte no. Si risvegliava al mattino confuso e per un istante, un singolo meraviglioso istante, non si ricordava della separazione e del divorzio. Era appena un secondo in cui nella sua testa si svegliava semplicemente accanto a suo marito, nel loro appartamento e poteva godersi il suo calore. Era esattamente come i primi tempi quando potevano ritagliarsi un momento solo per loro e riuscivano a stare vicini e bastava solo quello. Poi la realtà gli crollava addosso come un macigno e allora fuggiva via, spesso prima che Morgan potesse anche solo accorgersene. Andava a cercare qualcun altro con cui uscire, solo per poi rifinire punto e a capo nella stessa situazione ogni singola volta. Perché non importava con chi uscisse, non era mai la stessa cosa, non era mai Morgan. 
Erano riusciti in un qualche modo anche a chiudere quel capitolo. Cristian era riuscito a trovarsi in un paio di relazioni stabili e non era più finito periodicamente nel letto Morgan. Così semplicemente non si erano quasi più visti. Forse un paio di volte per qualche incontro familiare, ma nulla di più. Non era una distanza che bastava a dimenticarsi però. Per quello anche senza essersi visti o sentiti per mesi, quando Cristian aveva visto di avere una chiamata in arrivo da parte di Morgan aveva risposto subito, senza neanche pensarci. Perché per loro era naturale così. E quella chiamata lo aveva portato a andare a trovare Marco, ricoverato in terapia intensiva per un mix sbagliato.  
Era stato vederlo in quelle condizioni e sentire una morsa che gli si stringeva intorno al cuore che gli aveva fatto capire di amarlo ancora. Non era assolutamente cambiato niente da quando erano ragazzini, avrebbe ancora voluto essere suo marito. Per quello gli era rimasto accanto, gli aveva letto libri, gli aveva fatto ascoltare musica e gli aveva parlato per ore di nulla in particolare. Per quello aveva pianto di sincera commozione quando finalmente Morgan era stato in grado di rispondergli e stringere anche solo leggermente le sue dita. Ed in quel momento presi dell’euforia di essersi in un qualche modo ritrovati avevano fatto promesse che in fondo sapevano di non poter mantenere. Morgan sapeva di non riuscire a ripulirsi senza un aiuto professionale e Bugo sapeva di non riuscire a stare con Morgan senza discutere di quello che avevano passato. 
Così erano caduti di nuovo in quel limbo di nulla e di emozioni represse che nel giro di mesi aveva portato una seconda esplosione. Questa volta, forse, più dolorosa della precedente, perché carica della consapevolezza di non aver imparato dai loro errori.
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La seconda separazione fu più definitiva. C’era del risentimento e dell’astio che non potevano essere dimenticati facilmente. C’era la credenza, da parte di entrambi, che un cambiamento fosse impossibile. Però Morgan sperava davvero di poter fare di meglio. Sapeva esattamente per quali motivi aveva perso Bugo e sapeva che qualsiasi altra relazione che avrebbe potuto provare ad avere non avrebbe funzionato per quegli stessi identici motivi. Per quello era riuscito più o meno e ripulirsi. Che nel suo caso voleva dire che era riuscito a passare a sostanze meno pesanti, cose che potevano essere più socialmente accettabili, anche se di poco.  
Manteneva i suoi momenti di maggiore sobrietà, che comunque per una persona normale non sarebbe stata affatto accettabile, per gli incontri familiari. Perché per uno strano scherzo del destino lui e Cristian si erano ritrovati a far parte della stessa famiglia e non era possibile rifiutare di partecipare alle riunioni familiari. Ma dopo tutto quel tempo e con tutte quelle ferite sulle spalle rivedersi in quelle condizioni non era facile. Per quanto Marco si fosse ripromesso di mantenersi sobrio almeno per le cene di famiglia, continuava a buttare lo sguardo verso Cristian di tanto in tanto e la testa gli si riempiva di pensieri e di ricordi e l’unico modo che conosceva per affrontare il problema era mettere a tacere la sua mente. Tanto se qualcuno si ubriaca ad una cena di famiglia non è esattamente un evento straordinario.  
Ad ogni bicchiere Morgan riusciva a sentire sempre di più lo sguardo di Cristian addosso a lui e soprattutto il suo disappunto che portava alla necessità di altri bicchieri. A nulla servivano consigli di vari parenti sul bisogno di parlare tra di loro. Morgan voleva solo arrivare alla fine di quelle cene e poi correre a casa a distruggere più che poteva il ricordo degli sguardi di Cristian e della curva delle sue labbra e della presa delle sue mani intorno al bicchiere e degli abbracci che aveva dato agli altri parenti e del sorriso che aveva fatto quando era arrivato e del suono della sua voce e della risata che gli era sfuggita alle battute più inappropriate. 
Ma ogni anno, suo malgrado, continuava a venire invitato e così anche Cristian ed ogni anno, suo malgrado, non poteva fare a meno di presentarsi.
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Mamma e papà ti hanno detto
che tutto va bene, che il mondo è perfetto
datti da fare trova un bel lavoretto
fatti una casa e fatti un bel figlioletto
io quasi quasi ci credo
mi infilo un vestito, vado fuori e ci provo
ma ovunque mi giro vedo solo casini
amici di amici, nipoti e cugini...
tutte quelle belle signorine dove andranno mai?
a tutte quelle feste ricche
dove non ti fanno entrare sai
Il mondo non riesce più a girare
fatica a respirare ma cosa posso fare
è colpa del natale, di pasqua e ferragosto
adesso basta esco
Tu che cammini spedito
con l'ora sul polso e un anello sul dito
tu sei convinto di avere capito
fai poche domande e ti senti pulito
io invece vivo nei dubbi
ho mille incertezze e ho letto un pò troppi libri
mamma e papà non mi avevano detto
che usare il cervello è un grande difetto...
tutti i professori sono falsi e non mi vanno giù
da domani cambio tutto e scrivo scuola con la q!
Il mondo non riesce piu' girare
fatica a respirare ma cosa posso fare
è colpa del natale, di pasqua e ferragosto
adesso basta esco
Sai... che assai disarmante...
ma io... non credo più a niente...
ormai... è tutto apparente...
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Realizzazione Ghirlanda
parte 1
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Video realizzato con InShot
Musica: sleigh ride
Musicista: Rook1e
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nonsonotecnologico · 4 months
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Questo lavoretto è perfetto da fare come regalo di Natale o anche da fare con i tuoi bambini, ecco come fare una ghirlanda con impronte di mani..
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gabbiadicarta · 4 years
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anche io sono cresciuta come te, con una famiglia umile. come fai a mettere da parte qualcosa? lavori?
ho venduto vecchi gioielli d'oro che mi sono stati regalati e che non avevo mai indossato in vita mia, in più ho messo da parte tutti i soldi ricevuti a natale. A breve vedrò di trovarmi un lavoretto, così inizio ad accumulare qualcosa e potrò usarli come mi pare e piace.
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levysoft · 4 years
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Carl Barks, creatore – tra moltissimi altri spunti e personaggi – del mitico Manuale delle Giovani Marmotte nella storia “Paperino e l’E.S.S.B“. Un libricino piccolo-piccolo, nel quale però – non è dato sapere in che modo – era contenuto tutto ciò che fosse servito ai generalissimi Qui, Quo e Qua per risolvere situazioni di qualunque tipo e difficoltà. Traduzioni di antichi linguaggi ormai perduti, consigli per la sopravvivenza nei boschi, indizi per individuare le rovine del labirinto del Minotauro e mille altre notizie ancora, tutte racchiuse nella preziosa guida… quasi fosse – appunto – un tablet dal quale poter accedere a tutta la conoscenza disponibile.
La geniale idea di Barks venne ripresa in seguito da moltissimi autori, facendo oscillare il manuale da brillante spunto ironico a pedante deus-ex-machina, ma sempre ammantandolo di una sorta di “irraggiungibilità”, essendone preclusa la lettura a chiunque non fosse una Giovane Marmotta.
Ma nel 1969 le cose cambiarono: la Mondadori pubblicò – inizialmente in Italia e poi praticamente ovunque nel mondo – il Manuale delle Giovani Marmotte. Un successo globale clamoroso, numeri di vendita da far impallidire i best seller dell’epoca (e di oggi) e capostipite di una serie di manuali che costituirono uno dei fiori all’occhiello della casa editrice di Segrate.
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Il misterioso codice dei Dada Urka… riuscite a decifrare il messaggio?
Realizzato a cura di Mario Gentilini con la collaborazione di Giovan Battista Carpi e Elisa Penna (a me è sempre sembrata strana però l’assenza dai credit ufficiali dell’onnisciente Martina…) il Manuale si compone di 256 pagine, copertine comprese, piene di notizie e consigli: imparare l’alfabeto Morse, cenni di araldica, come conservare i dischi (in vinile, ovviamente) o leggere le carte topografiche, il comportamento da tenere nel caso si incontrasse una vipera, riconoscere le pitture di guerra dei pellerossa, riparare un filo elettrico… tutto!
Quando in terza elementare ci fecero fare un lavoretto a gruppi sui diversi alfabeti, io e il mio amico Massimiliano ci guadagnammo un fantastico 10 riproponendo su cartoncino l’enigmatico codice dei Dada Urka! E che dire della mappa delle stelle? Quante volte ho riciclato i suoi insegnamenti (quasi sempre inutilmente) in occasione di romantiche serate estive…
Ricevetti il Manuale come regalo a Natale 1976 (seguito l’anno dopo dal terzo manuale, mentre per il secondo avrei dovuto aspettare ancora un po’) e fui affascinato sia dall’enorme quantità di notizie contenute, sia dai disegni di Carpi, che non riconoscevo come tale, ma che sapevo essere quello che faceva anche le storie belle su Topolino.
So che negli ultimi anni per la Giunti è uscito nuovamente con la stessa veste editoriale, sarei curioso di sapere il ritorno di successo, pubblico e vendite, visto che immagino oggi i bambini siano decisamente diversi da quelli degli anni Settanta e che il fascino dell’orologio dei fiori o del modo per risparmiare il costo di un busta da lettera possano non essere accolti oggi come allora…
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alicesfeelings · 4 years
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Mi sento sola. Anche questo Natale e anche quest'anno sempre la stessa storia.
La mia amica lavora ed io ogni tanto trovo qualche lavoretto e non riusciamo a scriverci. Dopo il primo semestre all'uni mi sono ritrovata addosso tante responsabilità esterne/interne che manco il presidente della Repubblica... Non trovo nemmeno un po' di voglia e tempo per studiare. Ho deciso di dare solo un esame proprio perché materialmente non ce la potrei fare a darne due.. Però fortunatamente mi tolsi un'esame già da inizio dicembre. La mia preoccupazione è di cadere e di non riuscire a mantenere niente di quello che sto cercando di non far crollare. È tutto un azzeccare i pezzi, la mia vita. BUON NATALE.
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giugiuexpat-blog · 5 years
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Primo Capitolo - Houston
Quattro anni fa decisi di trasferirmi negli States.
Ovviamente, fui spinta dal mio attuale marito, in caso contrario sarei ancora piazzata a casa di mia madre.
La città in cui passare 4 anni era Houston.
Invito ognuno di voi a scrivere Houston su Google e cliccare sulle immagini. Sono sicura che vi sia apparsa una delle più belle città che vorreste visitare.
Google vi sta imbrogliando.
Houston è una città enorme, in cui ti puoi spostare soltanto in macchina. Quando ti improvvisi camminatore, la gente ti viene in soccorso perchè crede che tu sia in preda al panico o perchè stai vedendo Dio o qualche oggetto volante extraterrestre.
Houston non è bella e sicuramente non una meta turistica.
I primi mesi sono stati molto difficili. Non mi ero trasferita a Houston per lavoro ma per amore. La mia fortuna/sfortuna era avere mio fratello e il mio compagno con me. Si erano trasferiti due anni prima, per cui tutto quello che per me era nuovo, per loro era la routine. Io soffrivo di nostalgia e loro mi dicevano che ero stupida. Storia chiusa.
Il problema maggiore era la lingua. 
Ho smesso di bere la coca cola per molto tempo perché ogni volta che la ordinavo, il 90% dei camerieri scoppiava a ridere e il restante mi portava la cioccolata calda. La motivazione : pronunciavo la parola coke, cok invece che couk. La prima significa pene e la seconda coca cola. Quindi per i primi mesi avevo chiesto in tutti i ristoranti se potessi ricevere un pene al tavolo. 
Il secondo problema era ottenere i documenti per poter lavorare. 
Quando sono arrivata in America, avevo un semplice visto turistico. Col visto turistico, non puoi lavorare. That’s it! Puoi sicuramente trovare qualche lavoretto in nero come cameriere in un ristorante ma se per caso ti dovessero beccare... puoi dire bye bye agli States per tutta la tua vita. 
Io non mi ero trasferita con l’idea di ritornare in Italia ma volevo stare con il mio compagno. Prendemmo una decisione di petto. Ci siamo sposati in meno di 48 ore in corte. Mio marito pianse il giorno prima del matrimonio e io durante. Non sono riuscita a pronunciare nessuna parola... quindi lui mi ha promesso il mondo e io mi sono limitata a rispondere con singhiozzi e soffiate di naso. 
La svolta è arrivata quando ho ottenuto i documenti per potere lavorare. In 3 mesi ho ottenuto l’autorizzazione al lavoro e ho trovato lavoro grazie alla mia amica Roxana. 
Mi hanno assunto in un’azienda come receptionist. Vi ricordate che non sapevo parlare in inglese? la situazione non era cambiata. Per cui passavo il mio tempo nascosta in bagno per evitare di rispondere alle chiamate dei clienti. 
I clienti erano disperati, io lo ero molto di più. 
Il CEO mi aveva presa a cuore e decise di non licenziarmi ma spostarmi di posizione. Iniziai così a lavorare come Order entry, in sostanza inserivo gli ordini dei venditori e successivamente come Expeditor. 
Se gli Americani sono considerati politically correct, nell’ambiente lavorativo lo sono molto di più. Non si dicono parole offensive, sessualmente esplicite o che possono urtare la sensibilità dei tuoi colleghi. Dato che la loro sensibilità è molto alta, te ne freghi delle regole e li corrompi successivamente per non avere problemi con il dipartimento delle Risorse Umane. Ad ogni lite con il mio collega  Italiano, metà dell’azienda pensava che stessimo per ucciderci senza se e senza ma.
Dopo 6 mesi finalmente avevo un lavoro, degli amici e convivevo con mio marito. Da quel momento in poi la mia vita negli States cambiò radicalmente. 
Houston era diventata la mia casa. 
Ti sembra di vivere in una realtà aumentata tipo il Grande Fratello. Vivi tutto in modo eccessivo. 
Le amicizie diventano ben presto la tua seconda famiglia. Non esiste alcuna differenza tra le amicizie che ho costruito negli anni nella mia città natale e quelle a Houston. Anzi, spesso quando torni a casa ti senti un pesce fuori dall’acqua. Questo accade non perché hai manie di grandezza ma necessariamente cambi, inizi a confrontarti con tematiche, problemi, culture così diverse che ti portano a fare un percorso diverso rispetto a chi è rimasto per anni nello stesso luogo. 
Uno dei problemi maggiori di cui mi trovo spesso a parlare quando sono nella mia città natale è il lavoro. Un argomento che mi deprime perché per quattro anni ho imparato che il lavoro si basa sulla meritocrazia. Parliamoci chiaramente, ci sono le segnalazioni, che hanno come unico scopo la possibilità di presentare in azienda una persona che ritieni valida. Se non dovesse rivelarsi tale, verrà licenziata. 
Impari che puoi diventare chi vuoi, indipendentemente da cosa hai studiato. Questo non vuol dire che diventerai Steve Jobs in 10 ore di volo dall’Italia, ma se hai delle qualità puoi diversificati. Chi ha studiato legge, non per forza sarà un avvocato ma, ha la facoltà di scegliere di diventare altro senza essere sottoposto ai giudizi inutili degli altri. Il gol è avere una vita migliore e non importa come raggiungi quell’obiettivo. L’importante è che tu riesca a raggiungerlo. 
In una città così grande come Houston, riscopri la voglia di passare più tempo a casa degli amici. I party più belli sono quelli a casa con gli amici che portano i loro amici che diventeranno i tuoi nuovi amici. In sostanza ogni qualvolta mio marito mi chiamava per farmi sapere che aveva organizzato una cena tra intimi, sapevo che avrei dovuto non apparecchiare la tavola ma un buffet. Credo che siamo riusciti a ospitare 40 persone in un salone di 50mq. Lui cucinava e io pulivo. 
Houston mi ha regalato una delle esperienze più belle della mia vita. E’ stato amore puro. Ho riscoperto la bellezza delle persone, ho costruito legami indistruttibili, ho pianto e riso con consapevolezza, sapendo che prima o poi quell’esperienza sarebbe finita. 
Giunta al termine della mia esperienza non mi resta che ringraziare me stessa principalmente per essere stata audace. Mio marito per avermi aiutato a capire che la bellezza della vita sia gironzolare per il mondo e i miei amici-colleghi per essere stati tali. 
Adios Houston! 
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ultravita · 2 years
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MANCANZA
Sono le sei di mattina circa, sento la voce di mia mamma che mi chiama da dietro la porta - è ora di svegliarsi - mi dice.
Accendo la lampada di Snoopy, una cabina telefonica inglese dove ho disegnato il muro e le scritte di The Wall dei Pink Floyd, come gran parte delle pagine della mia Smemoranda, che giace sul pavimento vicino allo zaino dell’Invicta pieno di libri che non ho mai aperto.
Lento esco dal letto, infilo le calze di spugna, un paio di jeans con i risvoltoni, una maglietta bianca e una felpa colorata che mi piace un botto.
La colazione è già sul tavolo, il Guido è già da un po’ che è uscito per andare a lavorare, mentre l’Anna è curva sul lavandino.
Latte e biscotti della Galbusera, che immergo poco perché se no si squagliano e sembrano già digeriti da qualcun altro.
La piccola tv della cucina è spenta, mentre alla radio c’è qualcuno che parla da Radio Adamello.
Dopo un fulmineo passaggio in bagno a sistemarmi il ciuffo dei cappelli con la lacca, indosso la giacca e il pesante zaino, le Timberland, ed esco di casa in una fredda mattina di Febbraio.
Percorro la stessa strada ogni giorno, dal lunedì al sabato, la vicina mi saluta dalla finestra, attraverso i giardinetti e all’ultimo piano delle case popolari, mia nonna è già li, sulla terrazza, al freddo che mi aspetta, con la gonna sotto al ginocchio, lo scüsal a fiorellini, una maglia di lana, i collant rigorosamente rammendati e le ciabatte.
Mi urla come ogni giorno - Ciao gioia! - ed io, nel bel mezzo dell’adolescenza e con altri ragazzi che come me percorrono quella strada, vorrei far finta di niente e tirare dritto, ma tocca salutarla, io diciassettenne con qualche brufolo sulla fronte, accenno un piccolo ciao con la mano, mentre alla Gilda splendono gli occhi nell’augurarmi buona scuola, ricordarmi di coprirmi che fa freddo, e che all’una ci sono le cotolette.
La Gilda, mia nonna.
Una donna forte, buona come il pane (ma quello proprio buono, in quarant’anni non l’ho mai vista arrabbiarsi, mai.
Sempre a risparmiare, sempre a riciclare (sarebbe piaciuta tantissimo alla Thunberg), sempre sola, sempre a ricordare il marito morto troppo presto, gli anni in Svizzera a lavorare, gli anni come donna delle pulizie di un ricco concittadino, le malattie passate, le ore chiana nell’orto o sui fornelli, sempre in giro con la sua bicicletta nera, con gli elastici per non far entrare la gonna nella ruota posteriore, ci saliva “al volo” ed era uno spettacolo.
La Gilda.
La Gilda mi ha cresciuto, fin da piccolo stavo con lei mentre i miei genitori erano al lavoro.
Come mi raccontava lei, ero bravissimo, mi metteva sul tavolo della cucina e insieme recitavamo le preghiere mentre preparava la salsa, o le lasagne o i ravioli di carne fatti a mano.
Poi stavo ore nel salotto di casa sua a giocare con i Lego, mille avventure, mille costruzioni.
Venne anche il momento in cui, in teoria, si doveva andare all’asilo, ma fu un dramma. Io stavo bene con la nonna, non capivo perché dovessi andare in mezzo ad altri bambini, mangiare quello che mi davano le suore, essere punito perché non lo mangiavo e continuare, incessantemente, a piangere.
Il tutto è durato un settimana, una mattina, poco prima di uscire a prendere il pulmino che mi portava all’asilo, mi sono messo nell’angolo del corridoio e non mi sono più mosso da li.
E sono rimasto con lei ogni giorno fino all’inizio delle elementari (che è stato, ovviamente, un altro dramma).
Viziato? Forse. Ma io le facevo compagnia e lei mi accudiva come e meglio di qualsiasi asilo.
Forse non avrò socializzato, forse non avrò fatto qualche stupido lavoretto per Natale, ma sono sicuro di essere stato un bambino felice.
Andavamo dalla Iole a prendere il pane e il latte ogni giorno, e qualche volta dal Gianoni a prendere il formaggio, poi si andava a casa, lei faceva i mestieri ed io giocavo fino a mezzogiorno, quando i miei rientravano dal lavoro.
Sì, abbiamo sempre mangiato dalla Gilda a mezzogiorno, era un rituale, menù fisso, la carne era arrosto, brasato o cotolette. Il riso era condito o giallo, mentre la pasta con il sugo rosso. A volte, c’erano le tagliatelle fatte in casa, ma solo quando il giorno prima si era mangiato l’arrosto.
Anno dopo anno.
Sempre così.
Al sabato mi portava alla messa delle 18:00. Primo banco sulla destra. Ogni sabato. Sapevo tutte le preghiere, tutte le canzoni, ogni movimento. Mi confessavo un sabato sì ed un sabato no, perché, secondo la Gilda, la confessione aveva una scadenza, e se volevo prendere l’ostia dovevo fare l’upgrade confessorio.
Ma tanto le cose da dire al prete erano sempre le stesse, e le preghiere che mi dava per espiare le mie colpe, pure.
La Gilda veniva sempre al mare con noi, o almeno, fino a quando ci siamo andati tutti insieme.
E mare per la famiglia Bellesini voleva dire campeggio, e campeggio voleva dire sempre lo stesso posto (o almeno un tot di anni nello stesso per poi cambiare e farne un altro tot in uno nuovo). Si partiva sempre di notte, Guido e Anna davanti, io e la nonna dietro. E dietro di noi, attaccato alla macchina, c’era il carrello con la tenda ed ogni tipo di comfort formato campeggio.
Chiamarla tenda era riduttivo, era, credo, qualcosa di progettato per l’esercito, con paleria in acciaio, telo verde militare, ed uno spazio all’interno da fare invidia ad un appartamento in città.
Due camere, ripostiglio, zona cucina e zona pranzo, più veranda apribile.
Tv in bianco e nero, frigorifero e fornello completavano l’allestimento ed era sempre una forte emozione mettere in piedi tutta quella struttura, più che altro per le imprecazioni di mio padre.
In spiaggia la Gilda portava sempre la sedia pieghevole, costume a fiori e si piazzava sotto l’ombrellone per tutto il tempo che passavamo li.
Ovviamente dormivamo insieme, sulle brandine con le molle che, ad ogni minimo movimento, svegliavano anche le persone nella roulotte vicina.
La Gilda, a casa, era sempre indaffarata a pulire o a cucinare. Doveva sempre essere tutto pronto ed in ordine, si mangiava alle 12:00 precise, non un secondo prima e non un secondo dopo e si preoccupava per tutti. Avrà cucinato 1247 risotti e ogni volta mi chiedeva se volessi il grana sopra, ed io per 1247 volte le ho risposto di no.
Faceva anche una buonissima pizza con il tonno in una vecchissima teglia rotonda e tutta ammaccata, nella sua cucina che è sempre stata uguale, la stufa con il fuoco dove il Guido girava la polenta taragna, la Madonna appesa ad un chiodo sulla parete con un rametto di ulivo secco che ogni tanto perdeva una foglia. Sopra l’armadio c’era una scatola di latta dei biscotti pieni di arnesi del nonno, e nei cassetti ogni tipo di utensile o di cosa “che non bisognava buttare”.
All’entrata della casa c’era un bruttissimo mobile adibito ad armadio delle giacche, con specchio e ripiano dove era appoggiato il telefono. Tutto ciò che era appoggiato su qualcosa aveva rigorosamente sotto un centrino. Tutto. Dalle foto, al telefono, al vaso con i fiori recisi dell’orto.
E poi c’era la cassettiera in camera da letto da dove magicamente estraeva la banconota da diecimila lire ogni volta che prendeva la pensione, passata poi ad una da venti euro che, in caso non ci fossi, metteva via e segnava su un pezzetto di carta in modo da non dimenticarsene.
Sono quattro anni ormai. Ieri. Quattro anni che non sento più - cara la mia gioia - quattro anni che non sento quel buon profumo di nonna, perché le nonne hanno un profumo tutto loro, che sa di pane, di farina, di casa.
Quel profumo, quel sorriso imperfetto, la permanente, le lacrime ogni volta che ricordava il marito o che uscivamo di casa, quanta bellezza in una donna, quanta bontà, quanto altruismo.
Manca la Gilda, manca a tutti noi. Era il nostro sole, le nostre vite ruotavano intorno a lei. Tutto è cambiato, tutto parla di lei, la portiamo dentro il cuore ed io la porto anche dentro allo zainetto che uso per sentieri, sempre li, sempre con me.
Quante volte avrei potuto rimanere un po’ di più da lei, quante volte avrei potuto parlare un po’ di più con lei. Io troppo intento a pensare ad altro, ma lei sempre intenta a pensare a me, a noi.
Avrei voluto scrivere qualcosa ieri, ma non sono riuscito, volevo lasciar perdere.
Poi stanotte l’ho sognata la Gilda.
Dam an basin Gilda.
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