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#scritture sperimentali
marcogiovenale · 2 years
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cts ryan on the cut up technique
https://www.briongysin.com/cut-ups/
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goriromano · 1 month
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Era necessario fornirsi di lussuosi palloni ad aria per raggiungere il borgo in alto, confinato tra vulcani sempre pieni di vita e squarci nel terreno
Crepe senza fondo e i corpi imbalsamati dalla polvere bollente intimorivano le entrate e le uscite via terra, isolando il paesello con tutte le torri e gli archetti
< E per questo motivo chi arriva trova un paradiso. Qui abbiamo soltanto artiste attori e molti parlamentari. La mattina passa sempre il famoso Barbaresco, prende sempre un caffè.Mi raccomando bello forte altrimenti mette il broncio e fa scenate, urla nomi importanti, minaccia.
Ma con un caffè bello duro lo accontenti.
Potrete lavorare tutti i giorni, poco ma tutti giorni, è una bella esperienza.
È lavoro soprattutto, ma in che contesto? Siamo tutti in pantaloncini e collane al collo.
E se vi sentirete stanchi c è un dormitorio. Niente di raffinato, da condividere con altri 4 o 6 piedi, ma non sarete mai stanchi perché dovreste essere stanchi, finite le ore andrete a cavallo o a bere vino, nessuno si chiude in casa in mezzo a queste fortune...>
l'accento nato in un innesto tra due regioni parlava così fiero e moderno da non accorgersi che i due ragazzi in ascolto si divisero
Il più timido con pala e secchio prese a scavare e riempire di mota e frutta scartata un fossa alle spalle dell'imprenditore che impaurito da un piccolo BU del giovane di fronte fece un passo indietro e si ritrovò incastrato come un cretino in una pozza di fango e mele grinze.
Rimase libera la testa per garantire un respiro
E il braccio sinistro che provava a svuotare la trappola e liberare il busto o almeno l'altro braccio.
Arrivarono i porci attratti dal rumore e affamati ma dopo il primo morso all'orecchia scapparono con il vomito stampato nel grugno; il sapore tanto familiare li fece sentire cannibali.
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gammm-org · 7 months
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centroscritture · 2 months
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"Soggetti eccentrici. La sperimentazione poetica nelle scrittrici italiane del secondo Novecento" / seminario online in due incontri di Marilina Ciaco in programma venerdì 1 e 8 marzo 2024.
Link per info e iscrizioni in basso.
Il canone letterario del Novecento ha lasciato dietro di sé una vasta costellazione di autrici donne la cui fortuna editoriale e critica ha dovuto, troppo spesso, fare i conti con i meccanismi di soggettivazione, rappresentazione ed esclusione imposti da una società patriarcale, dove l’accesso delle donne alle istituzioni culturali è stato sistematicamente ostacolato. All’interno di un tale contesto, diverse autrici sono state soggette a un duplice livello di esclusione, non solo in quanto donne, ma anche in quanto testimoni di un approccio alla scrittura difficilmente riconducibile a delle categorie interpretative tradizionali.
Considerando un periodo particolarmente cruciale per gli sviluppi e la diffusione delle sperimentazioni poetiche – e cioè quello che parte dagli anni Sessanta e che influirà sulle tendenze della poesia contemporanea fino a oggi – le “donne sperimentali” hanno intessuto un dialogo serrato con i «santi padri» della tradizione, di volta in volta riprendendo in chiave straniata, ridiscutendo in maniera radicale o mostrando il rovescio negativo dei discorsi e delle pratiche ricevute in eredità.
Si approfondiranno nello specifico sei autrici, per diverse ragioni emblematiche: Amelia Rosselli, Patrizia Vicinelli, Giulia Niccolai, Mirella Bentivoglio, Jolanda Insana e Patrizia Valduga. Ciascuna di queste autrici rivela un percorso originale e autonomo, senz’altro «eccentrico», riprendendo la celebre formulazione di Teresa De Lauretis: a torto ritenute “oscure” o poco “leggibili”, le loro scritture attestano una posizione critica, autodislocata e disidentificata rispetto ai dispositivi istituzionali (letterari e sociali), al simbolico e allo stesso linguaggio, ma anche rispetto alle determinazioni vaghe e riduttive legate a un’idea essenzialista di “scrittura femminile”.
Le autrici in questione saranno pertanto discusse e analizzate indagando le loro specificità in termini linguistici, stilistici, formali, macrotestuali, nonché nel dialogo fra istanze di poetica e strategie compositive.
INFO E ISCRIZIONE
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pangeanews · 4 years
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“Tornare spettatori dello sconosciuto”. Dialogo con Giulia Perelli, tra lingue, boschi, bestie. “Quando qualcosa è bello, può salvare chiunque”
Ci incontriamo nell’inedito, nell’inesauribile, dunque, sulla soglia dell’alba, quando i cani fiutano le ombre come fossero creature, carne. Giulia Perelli mi invia un libro, si intitola Attenzioni, sulla copertina c’è il disegno di una volpe, guardiana, forse, “Ebbe a che fare col nulla, con l’essere, col caos e col miracolo. Come tutti, ma se ne accorse”, scrive lei, in una specie di autobiografia su corteccia, su battito di ciglia. Nella nota che allega al suo sito è scritto che “è cresciuta in un bosco”; del viso, in effetti, colpisce ciò che è sbilanciato, sbilenco alla metropoli, proteso al selvatico. Dagli occhi potrebbe dilatarsi un branco. Certamente avete visto Giulia in tivù: fa effetto, con uno sguardo un po’ schizoide, di fianco ad Alessandro Gassmann, in una pubblicità. Dovete vederla, invece, mentre dice Simon, Gangster of Art di Jan Fabre, claustrofobico rito, tra scarabei e ghiacci, pianto, lacrime, riso, denti&occhi esposti, deriva del corpo, assolutezza, pulizia. Soprattutto, Giulia è lì, nei lavori per William Kentridge, Romeo Castellucci (Democracy in America: “I suoi spettacoli toccano in punti nevralgici, come una puntura che crea una scossa in zone contratte di noi stessi”, dice, tra l’altro, di quella esperienza), “a 26 anni, viene scelta da Jan Fabre per la sua compagnia, diventando una ‘guerriera della bellezza’”. Sacrificata al teatro, Giulia scrive: film sperimentali (Un Bel Niente, Nietzsche), parole per la scena, racconti, versi. Mi pare che in tutto voglia arrivare al punto della spoliazione, dello sposalizio con l’annientamento. Prova il linguaggio finché non si strama (con Fine del linguaggio verbale finisce il suo libro), rastrella il corpo perché cada – e di quei frantumi si faccia concime. Se le metti un lenzuolo addosso, è probabile che Giulia Perelli si tramuti in donnola, scompaia in un tremore di api. Per il momento, l’ho interpellata nella sua forma umana. (d.b.)
Scrivi: “talvolta ambisce a creare una lingua nuova”. Cosa significa? Perché talvolta? Che senso ha una lingua nuova?
Talvolta, perché a volte sono senza speranza e non ambisco.
Già da bambina mi insospettì: sentii che mi mancavano delle parole per dire delle cose. Provai a crearne alcune e a svincolarmi dalle altre già in uso, che in qualche modo non mi convincevano.
Lo facevo come esercizio, ho quaderni che attestano questa buffa impresa.
Ora riconosco che era un tentativo interessante di partecipare all’essenza delle cose.
La lingua è un codice, un simbolo che rappresenta “la cosa in sé”.
Le cose esistono nella nostra coscienza quando sono nominate, e danno forma al mondo che conosciamo, come il dio creatore della Genesi, che nomina per creare.
Creare un nuovo linguaggio, significa creare un nuovo mondo.
Quando percepiamo in noi un mondo innominato, vale la pena trovare un modo per farlo esistere. A volte servono altri linguaggi, non verbali.
Dice Edgar Morin che siamo esseri capaci di percepire l’ipercomplessità, e ciò ci rende geniali ma anche impanicati di fronte ad una spaccatura innominata, in cui si vede “l’infinito indefinito”.
Le forme artistiche vivono il caos di questa spaccatura che, come scriveva Rimbaud è un “Sacro Caos”.
Ascoltarlo rende la vita ricchissima.
A proposito di lingua. Il teatro. Come ti accade? Il palco, forse, è come un bosco (selvaggio a cui ritorni). Oppure, il luogo su cui agisce la ghigliottina. Che cos’è il teatro?
Il teatro per me è il luogo dell’esplorazione e della rivelazione, che avviene in un processo rituale, nel mettere in atto un mito. In una condizione di massima intimità, apertura e attenzione, una realtà esterna dialoga con l’interna, si manifestano le idee, i simboli, gli spiriti che vivono in noi, o fuori… Non so quanto sia differente. È lo spazio della massima empatia, dove entro per ricevere, a volte anche un’epifania.
“Tornare al selvaggio” forse è tornare al pre-linguaggio, rivedere spogliati la cosa in sé, tornare spettatori dello sconosciuto. In qualche modo, accade.
Il teatro, e le arti, hanno un ruolo fondamentale per la costruzione di una civiltà.
Ci fanno vedere, e a volte prevedere.
Il teatro porta a riconoscere le dinamiche umane, sé stessi, è una forma di educazione emozionale, è filosofia in azione: dovrebbe essere una materia scolastica.
Diceva Romeo Castellucci che il momento di massima rappresentazione della tragedia ad Atene, è stato quello di maggior fioritura della civiltà greca.
Eppure è un dolore la sofferenza di tutte le arti, in Italia.
È il paese famoso per questo, che gli apporta anche una grande economia, ma il sistema continua a credere che la gente voglia più entertainment.
Non credo sia per questo che ci sono file davanti agli Uffizi. C’è più sete di bellezza.
Gli artisti contemporanei sono valorizzati molto di più nel resto d’Europa.
Serve più coraggio e servono più menti curatoriali.
Giulia Perelli interpreta “Simon, gangster dell’arte” di Jan Fabre
A proposito di lingua. Come entra la poesia, la parola poetica nella tua ricerca? In fondo: cosa cerchi?
La poesia non sa, eppure è precisa. Spacca le parole, ci fa un buco dentro, le apre a quel caos. Sa scrivere il silenzio, la eco del senso. Comprende la musicalità dei versi, che è una forma di letteratura estetica nel senso estatico, più sensoriale, quindi ci tocca, come fa la musica.
La poesia è il lato erotico e spirituale della letteratura.
E non imbriglia in teorie, come sto facendo io adesso, e non vorrei.
Ti definisci così: “Si difese come poté dall’angoscia del divenire. Ebbe a che fare col nulla, con l’essere, col caos e col miracolo. Come tutti, ma se ne accorse”. Cosa vuol dire?
Cerco di leggere la mia vita in chiave simbolica così che sembra di vederne il senso, che credo sia un po’ quello di tutti.
Hai chiamato il tuo libro di scritture e di disegni Attenzioni: perché? Che lato della tua ricerca riguarda?
Perché i testi e disegni che fanno il libro sono frutti di momenti di attenzione.
E credo che sia così che accade “l’arte” e così che ci accorgiamo delle esistenze, con atti di estrema presenza. È più un cahier, ma per ora è ancora qui solo con me, devo ancora riuscire a pubblicarlo.
Nei tuoi disegni ci sono tanti corpi. Che cos’è il corpo?
Il mio lavoro è un lavoro di corpi, per questo li disegno tanto.
Che cos’è il corpo? Oso: il corpo è l’inconscio.
È un indicatore incredibile, una bussola, non va anestetizzato, va estetizzato, nel senso di sensibilizzato. Ne sa più di noi. O almeno, conosciamo davvero qualcosa quando la conosce il corpo.
L’assenza dei corpi, che in questo momento stiamo vivendo, ha qualcosa di tragico. Quanto è invece miracolosa la presenza dei corpi.
La potenza creativa di questo organismo che ce la mette tutta e, allo stesso tempo, è così certa la sua fine, che è di una tenerezza commovente.
Il movimento del corpo riflette la Coscienza della persona. Banalmente, si vede se la persona si permette di esistere, la consapevolezza che ha di sé, dell’altro.
Castellucci in un’intervista ha detto che “il corpo è il destino”. Hillman diceva che il carattere è il destino. Quindi, si può dire che il corpo è il carattere e che, alla lunga, il corpo è il destino. Ma, ce lo insegnano molte discipline olistiche e le arti marziali, che un’idea mentale può cambiare atteggiamento fisico, e un movimento fisico può cambiare un atteggiamento mentale. C’è speranza.
Innamoriamoci dei corpi come della Terra, sentiamo continuamente il pulsare del cuore che come un epicentro fa vibrare tutti gli organi, che ci fanno esistere. Già questo è un bell’omaggio all’esistenza.
Quale incontro ti ha segnata? Quale libro (se c’è)?
Con i miei strumenti di viaggio, quasi mezzi di trasporto: la scrittura, la lettura, il corpo, la voce, l’immaginazione, la macchina, gli aerei.
L’incontro con l’arte, e con ciò che ti porta in uno stato di essere.
L’incontro con la corrispondenza, che è quella che segna e disegna di più.
Poi, circa 10 anni fa, con lo spettacolo Il concetto del volto del figlio di Dio di Romeo Castellucci.
E, in modo elettrico, ovviamente diversissimo con Orgy of tolerance di Jan Fabre. Lì fui spettatrice, poi è iniziata l’avventura totalizzante di lavorare con Fabre ed anni dopo, finalmente, con Romeo Castellucci, che mi ha dato il ruolo più bello, profondo e intenso che abbia mai fatto.
Il testo, un vero “canale”, è di Claudia Castellucci. Sull’esperienza con i loro mondi artistici c’è tantissimo da dire.
Mi hanno segnato gli anni di tournée e i colleghi e gli amici, con cui ho condiviso strati e strati di vita intensa, di ricerca insieme.
È la nostra condizione e il tempo che amplificano le segnature degli incontri.
Libri, tanti… gli autori sono generosi. Ne dico uno: “Porte regali” di Pavel Florenskij.
Che animale pensi di essere, quale bestia, intendo?
Non saprei, forse siamo tutti arche di Noè, comprendiamo tutti gli animali. E i vegetali. Ho molta ammirazione per gli animali e arrivano sempre nei miei lavori, anche da soli, come uno, magico e bellissimo, che è volato in casa mentre giravo il mio ultimo video… vi lascio la sorpresa.
Come vivi nel mondo, tra gli uomini?
Ci vivo poco.
Ma forse non è di nessuno questo mondo.
Ci sono tante realtà, tanti mondi.
Dispiace trovare qualcuno che è imprigionato in un sistema precostituito, e non vede oltre quella forma mentis. Purtroppo sono spesso i più sicuri e quelli che determinano di più la realtà sociale. Questo è un guaio. Però ho fiducia: quando qualcosa è bello, può salvare chiunque.
Raggiungere l’umanità è un bel fine. L’umanità mi piace. Sto molto in solitudine, ma mi piace. Noto che dopo spettacoli, dopo momenti di contatto con l’arte, diventa più umana, si ricongiunge a sé.
Nei miei lavori personali non parto con l’intento di farmi capire, di fare ponti, ma penso di fare un lavoro comprensibile, con diversi livelli di lettura, ma non criptico. Fermo i culmini della ricerca, fermo la rivelazione di un processo, diventa un’opera iconica per me, quando va bene anche per gli altri.
L’icona, l’immagine, ha quel potere di far entrare nella spaccatura, nell’altro mondo infinito e universale. È, come dice Florenskij, una “porta regale”.  
A cosa stai lavorando? A cosa vorresti lavorare?
È appena uscito sulla mia pagina fb e quella del Troubleyn, un ultimo lavoro video, Simon, gangster dell’arte. L’ho girato e montato in una settimana, da sola, col cellulare. Senza budget, senza crew. Jan Fabre mi ha proposto di scegliere un suo testo e fare un reading, per mantenere uno scambio di ispirazione tra artisti, anche in questo momento fermo. Ho scelto un ruolo maschile, di potere e impotenza, complesso, e credo sia forte “giocato” da una donna, senza fingere di essere un uomo. Non c’era bisogno. È un processo creativo di un’attrice e di un’artista, un dialogo tra il suo mondo e il mio.
Ho osato, perché non abbiamo mai parlato del testo.
È stato molto emozionante. Quello che vorrei è realizzare due progetti che sono già pronti al salto, fare collaborazioni, scrivere e riportare in scena Vivere qui, una performance che ho costruito insieme a mio fratello Piero Perelli, un batterista straordinario!
Durante la quarantena mi sono dedicata interamente alle mie opere: ho girato una serie di video di atti performativi, dove la performance sconfina nella videoarte. Fatti tutti col cellulare, cavalletto, in casa o a 200 mt da casa, da sola. Qualcosa è già visibile, e lo sarà fino a fine luglio (2020), alla mostra collettiva  curata da Filippo e Martina Bacci Di Capaci, a Lucca, nella loro Galleria. La mostra, Reaction, ha l’intento di reagire positivamente al periodo di lockdown. La mia serie di lavori l’ho chiamata Dimensioni interiori, sono quasi preghiere, devozioni alla vita.
La quarantena può essere vissuta come un periodo di deserto, di distacco dal mondo di fuori e dai suoi meccanismi ed invenzioni, dal sistema sociale abituale, per fare “ecologia mentale” e scoprire le nostre realistiche necessità, ristabilire i valori, il nostro vero desiderio, il nostro limite, far emergere le risorse e le ricchezze. E, ancora più a fondo, per ricevere un sogno, un’immagine, ricevere una conoscenza. Questo è il senso di ogni ritiro.
Questi video sono nati da un processo di indagine e scoperta sulla natura umana, animale, vegetale.
Da una parte le condizioni e dall’altra le risorse: la capacità di immaginare, la relazione, l’ascolto possibile, la dissoluzione, la sapienza della mutazione, l’occasione continua di conoscere.
È la nostra ricchezza, è quello che abbiamo.
L'articolo “Tornare spettatori dello sconosciuto”. Dialogo con Giulia Perelli, tra lingue, boschi, bestie. “Quando qualcosa è bello, può salvare chiunque” proviene da Pangea.
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dunkelwort · 5 years
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Scritture sperimentali e di ricerca dagli anni Sessanta ad oggi
Scritture sperimentali e di ricerca dagli anni Sessanta ad oggi
Alcune tirature limitate di miei lavori, qui: “Scrivere Liberi – Scritture sperimentali e di ricerca dagli anni Sessanta ad oggi”, mostra a cura di Giuseppe Garrera e Sebastiano Triulzi curators MU.SP.A.C, L’Aquila, (14.12.2018-11.01.2019).
Venerdì 14 dicembre 2018, alle ore 18,00, presso la sede del MU.SP.A.C. in Piazza d’Arti, sarà inaugurata la mostra “SCRIVERE LIBERI. Scritture sperimentali e…
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persinsala · 7 years
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Dal 26 al 28 maggio, la nona edizione di Festival Periferico ha trasformato il Villaggio Artigiano di Modena Ovest in un esperimento di teatro a cielo aperto per interrogarsi sulla reale possibilità dell’arte di «operare delle trasformazioni in luoghi che sembrano cementificati nel loro presente».Visto da lontano, il senso del festival ideato e organizzato dal collettivo modenese Amigdala (Gabriele Dalla Barba, Federica Rocchi, Sara Garagnani e Meike Clarelli) corre il rischio di venire semplicisticamente interpretato quale analisi e ricerca di una nuova relazione tra centro e periferia.
Se l’alternativa tra monadi (il centro e la periferia) poteva funzionare come ipotesi di lavoro per le nascenti scienze umane di fronte al compiersi dei poderosi processi di massificazione e industrializzazione socio-culturali del secolo scorso, oggi essa risulta totalmente inadeguata e priva di alcun senso. Contaminando corpo artistico e corpo urbano in una suggestiva ambiguità, volgendosi a rinnovare una narrazione tanto canonica quanto obsoleta che costringe centro e periferia a una strutturale contrapposizione tra parti (la prima vitale e pulsante di cultura, politica ed economia, la seconda marginale), Amigdala raccoglie in realtà una delle sfide più affascinanti e proprie della post-modernità, ossia strappare all’inutile banalità di ogni definizione eterodiretta l’individuazione e la funzione del rapporto mai interrotto tra spazi ed esseri umani per così spostarne significativamente il baricentro oltre la possibile riduzione in termini di consumo e capitale.
A mostrare con lancinante opacità come la periferia possa essere un’illusoria eterotopia, un luogo che, in realtà, possa macellare dentro la carne e il sangue di chi lo vive passivamente è il Villaggio Artigiano di Modena Ovest, un contesto «sorto nel 1953 […] grazie a un intervento pubblico di innovazione sociale ante-litteram» e attualmente caratterizzato da «estinzione del lavoro artigianale […] abbandono degli immobili […] degrado dello spazio pubblico […] assenza di verde urbano e convivenza interetnica», e che, a latere delle sue strade, degli edifici e delle assenze che lo innervano, continua a ricordare come nel recente passato fosse riuscito a distinguersi per l’imponente e qualitativa cultura del lavoro e della produzione.
Ciò che muove «un lavoro che connette attivazione territoriale, riflessione urbanistica e arte partecipata» e che vede nel progetto Periferico di OvestLab di rigenerazione di «una delle tante officine dismesse del Villaggio Artigiano» lo step di una «restituzione più ampia e articolata» non è un’ideologica affermazione di principio o un furore avanguardistico. Raccogliendo il poetico suggerimento di Franco Armino di abitare i luoghi con «intimità e distanza», Amigdala segna difatti il solco di un percorso di straordinaria lungimiranza, accompagna lucidità a complessità e «focalizza ogni anno contenuti e proposte su un’area della città selezionata attraverso un lungo lavoro di ricerca che coinvolge anche architetti, urbanisti, imprenditori, ricercatori, giornalisti, cittadini e così via».
Un percorso affatto semplice e non esente da punti deboli, come la complicatissima opera di tessitura con le anime locali, coinvolte e presenti solo in parte, ma rispetto al quale il collettivo modenese rivela, opportunamente, di avere una chiara e consapevole strategia d’azione, rilanciando per i prossimi tre anni «una nuova fase del progetto OvestLab con cui […] radicandosi nell’ex-officina, […] avviare nello spazio e nel quartiere un nuovo presidio locale partecipato dei processi di rigenerazione del territorio», così promuovendo «processi continuativi in forme laboratoriali e sperimentali per ampliare progressivamente la durata del festival in una progettualità su scala annuale», per cercare di accompagnare sempre maggiore inclusione e per interpretare con un’intenzione affatto naif la dicotomia tra un centro ridotto a specchio per il turismo globale o alla conservazione museale, dunque promotore di solitudine nella moltitudine, e, di contro, una periferia non romanticamente elevata a contesto in cui si concentrano le condizioni più idonee per il fiorire della cultura e dell’arte, ma vissuta come comunità orizzontale e, di conseguenza, come autentico argine all’aridità dell’emarginazione.
In questo quadro di permeabilità al meticciato, di attraversamento dei confini rispetto ai quali si è ormai al di là ed è innaturale/disumano opporsi, Amigdala attribuisce al teatro e all’arte performativa un decisivo ruolo di migrazione delle coscienze da uno status quo (percepito immutabile) a margini operativi in cui potersi coltivare fuori dall’anonimato della massificazione e al periferico non di anacronistica isola geografica, ma di spazio fisico e simbolico, di riunione con l’alterità (etnica e sociale) in cui promuovere un’esperienza direttamente incisiva nell’individuazione del soggetto sociale.
Nella pratica, Periferico sviluppa questa volontà di esercizio condiviso attraversando e lasciando attraversare ex officine, strade e cortili del quartiere, imprese e case del Villaggio Artigiano, spazi in cui il Made in Italy ha conosciuto i fasti dell’eccellenza. E, dalla delicatissima installazione La disobbedienza dell’acqua al (troppo) cervellotico Office for a Human Theatre, dalla strepitosa The Streetwalker (una galleria open air di ready-made in grado di innescare con sontuosa semplicità la compartecipazione del pubblico) ai Racconti Americani secondo i Muta Imago (una restituzione «per suoni e immagini» della banalità del disagio contemporaneo tratta dai meravigliosi testi di Herman Melville e John Cheever), che il Villaggio Artigiano fosse un esperimento sociale e politico di dimensione comunitaria lo ha ricordato uno dei momenti più potenti della tre giorni, lo sconcertante incontro – inopportunamente turbato dalla vis comica del conduttore Simone Francia – con Beppe Manni, celebre ex prete-operaio che negli anni settanta, con Gianni Ferrari e Franco Richeldi, fu co-protagonista di un radicale tentativo di applicazione pastorale dell’anelito rinnovatore del Concilio Vaticano II all’interno del Villaggio Artigiano; un’autentica perla di memoria che obbliga alla necessità di ripensare con responsabilità il valore e la funzione umanitaria della localizzazione, ossia della strutturazione gerarchica dei luoghi in cui cultura e natura devono necessariamente coesistere.
Perché se le periferie, fisiche o simboliche, rappresentano – di fatto – la distanza dai luoghi dell’Istituzione, la cui normatività ideale è spesso sinonimo di perdita del senso di realtà, la perturbazione promossa dalle fantastiche visioni del collettivo Amigdala rilancia non l’illusione di una terra promessa cui giungere da stranieri al termine di un esodo più o meno volontario, quanto l’intimo valore sociale di una cultura che, quando strutturatasi instabile perché libera, riesce nel proprio magico intento di facilitare la costituzione delle identità attraverso le differenze e, come auspicato, di «operare delle trasformazioni in luoghi che sembrano cementificati nel loro presente».
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Periferico è un progetto di Amigdala ideato e diretto da Federica Rocchi, Gabriele Dalla Barba, Meike Clarelli, Sara Garagnani cura Federica Rocchi suono Meike Clarelli immagine Sara Garagnani scritture Gabriele Dalla Barba organizzazione, logistica, amministrazione Frida De Vreese ufficio stampa Michele Pascarella e Silvia Mergiotti social media manager Silvia Mergiotti tecnica Davide Cristiani e Fabrizio Orlandi coordinamento rapporti con il territorio Silvia Tagliazucchi tirocinio Cuan Sommacal, in collaborazione con Master in Public History Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e Istituto Storico di Modena volontari Diego Fiori, Alberto Vezzelli, Paolo Credi, Dino Zanasi con la preziosa collaborazione di Eredi Cavallini, Silvio Lolli -Fabele, LUOGO –spazio eventi con cucina, Bianco Creative Studio Design, Learco Menabue, Circolo Piazza, Angelo Fantoni e famiglia, Rossana Lusvardi e Angelo Canali, Silvia Sitton, Matteo Diici, Trame 2.0 e Laboratorio Tric e Trac, Emilia Romagna Teatro Fondazione con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena; Quartiere 4 del Comune di Modena; Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il patrocinio di Regione Emilia Romagna un ringraziamento a Nicola Ferrari; Patrizia Canali; Donatella Caselli;Angelo Canali; Andante Coordinamento Teatrale, Instabile 19, Teatro dei Venti, Drama Teatri, Aliante Cooperativa Sociale punto ristoro a cura di: Keller Nell’ambito di Andante 2016/17, progetto selezionato attraverso il bando Rassegne teatrali 2016 promosso e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
Programma
Venerdì 26 maggio dalle 17 alle 22.30 FILIPPO TAPPI Con tendenza a perdere | da Ovestlab installazione
dalle 17 alle 21 AMIGDALA La disobbedienza dell’acqua | ex officina Cavallini Radiatori
ore 18.00 FILIPPO ANDREATTA (Office for a Human Theatre) conversazione | LUOGO, partenza da OvestLab
ore 19.30 ISABELLA BORDONI Adiacenze | per le strade del quartiere | partenza da OvestLab performance itinerante
ore 21.30 COMPAGNIA ABBONDANZA BERTONI Le fumatrici di pecore | Ovestlab spettacolo
ore 22.30 Ceci n’est pas un dj set | OvestLab
Sabato 27 maggio ore 10.30 Inaugurazione progetto Un Community Hub al Villaggio Artigiano (a cura di Amigdala e Associazione Archivio Architetto Cesare Leonardi) con la partecipazione di CLAUDIO CALVARESI | OvestLab
dalle 10 alle 23 FILIPPO TAPPI Con tendenza a perdere | OvestLab installazione
dalle 17 alle 21 RADHARANI PERNARČIČ Skin-deep jag. The doors to deep skin – prima assoluta | Ovestlab performance
ore 16.00 LEONARDO DELOGU conversazione | cortili del quartiere, partenza da OvestLab
dalle 17 alle 21 AMIGDALA La disobbedienza dell’acqua | ex officina Cavallini Radiatori
ore 17.30 ORME | visite guidate nelle imprese e case del Villaggio Artigiano | partenza da OvestLab
ore 19.30 ISABELLA BORDONI conversazione | cortili del quartiere, partenza da OvestLab
ore 21.30 OFFICE FOR A HUMAN THEATRE JA site-specific version di squares do not (normally) appear in nature | Ex officina, via C. Della Chiesa, partenza da Ovestlab
ore 22.30 MUTA IMAGO Racconti Americani: Bartleby | OvestLab videoracconto
ore 23.00 Ceci n’est pas un dj set | OvestLab
Domenica 28 ore 10.30 Visite Laboriose a cura di ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione nell’ambito del progetto Un bel dì saremo. Narra BEPPE MANNI legge SIMONE FRANCIA | cortile di Ovestlab
ore 12.00 Geo Esplorazione condotto da ANTONIO CANOVI (geostorico) fino al Laboratorio Tric e Trac e pranzo conviviale (a cura di Associazione TRame 2.0) | partenza da Ovestlab
dalle 17 alle 21 RADHARANI PERNARČIČ Skin-deep jag. The doors to deep skin | Ovestlab performance
dalle 17 alle 21 AMIGDALA La disobbedienza dell’acqua | ex officina Cavallini Radiatori
ore 15.00 CLAUDIA SORACE (Muta Imago) conversazione | cortili del quartiere, partenza da OvestLab
ore 16.30 CLAUDIA CATARZI 40.000 cmq | Ex officina, via C. Della Chiesa, partenza da Ovestlab spettacolo
ore 18.00 ENRICO GABRIELLI conversazione Musica tradotta e tradita | OvestLab
ore 19.45 ILARIA GRAZIANO E FRANCESCO FORNI concerto | partenza da Ovestlab
ore 21.30 MUTA IMAGO Racconti Americani: The river – prima assoluta | OvestLab videoracconto
ore 22.30 Ceci n’est pas un dj set | OvestLab
INSTALLAZIONI Venerdì 26, sabato 27, domenica 28 dalle 10 alle 24 LJUD Streetwalker | Installazione per le strade del quartiere
FILIPPO TAPPI Non un manifesto | Installazione per le strade del quartiere e della città
CESARE LEONARDI Paesaggi Domestici (a cura di Archivio Architetto Cesare Leonardi) | Ovestlab
SILVIA TAGLIAZUCCHI, GIULIA FIORILLO, MARIA GRAZIA ARGENTIERI OvestMaP | mappatura partecipata del Villaggio Artigiano in collaborazione con CivicWise e Architetti di Strada
Venerdì 26 e sabato 27 dalle 16 alle 20 ANGELO FANTONI Casa/studio aperta | via Rinaldi, 81
Domenica 28 dalle 16 alle 21 FEDERICO LOMBARDO Identità artificiali | Bianco Creative Studio Design – via Emilio Po, 111
  Alto Fragile Urgente. Festival Periferico 2017 – IX edizione Dal 26 al 28 maggio, la nona edizione di Festival Periferico ha trasformato il Villaggio Artigiano di Modena Ovest in un esperimento di teatro a cielo aperto per interrogarsi sulla reale possibilità dell'arte di «operare delle trasformazioni in luoghi che sembrano cementificati nel loro presente».
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editions-nous · 7 years
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Entretien autour des éditions Nous pour la revue italienne Alfabeta2, par Andrea Inglese
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Questa intervista è stata realizzata con le due persone che fanno esistere la casa editrice indipendente Nous, in Francia, Benoît Casas e Patrizia Atzei. Il primo è impegnato nella scrittura di poesia, nel lavoro editoriale, nella traduzione, nella fotografia e nell’esplorazione dell’Italia. La seconda, italiana, vive e lavora a Parigi dal 2002. È editrice, traduttrice e si occupa di filosofia politica contemporanea.
1) Cominciamo dall’inizio. Le edizioni Nous esistono dal 1999, da quasi vent’anni. Si può ben definire un’esperienza di lunga durata. Come è cominciata la vostra storia di editori? E che cosa vi ha attirato di più in questo mestiere ?
B : All’inizio c’è stata un’arrabbiatura nata dal rifiuto, quello di troppo, di un organismo che formava alle professioni dell’editoria. Ho deciso di creare il mio progetto personale, visto che nessuno mi voleva. Ho subito stabilito un duplice orientamento, poesia & filosofia, per poi contattare i miei due maestri in ognuno di questi campi: Jacques Roubaud e Alain Badiou. L’altro aspetto del progetto originario riguardava la pubblicazione della poesia straniera, degli autori essenziali e troppo poco tradotti in Francia, Zanzotto ad esempio. Il primo libro della casa editrice Nous è un Hopkins, nel marzo 1999. I motivi d’attrazione principali: il desiderio di fare esistere dei libri che non esistevano, di esserne il primo lettore, di trasformare gli entusiasmi in un oggetto.
P : Prima delle edizioni Nous, mi ero occupata di editoria in un gruppo di ricerca, ma non ero ancora editrice. Solo quando ho raggiunto Benoît ho davvero capito cosa volesse dire fare l’editore, e ho scoperto il “mondo dell’editoria”. Mi piace l’idea che l’editore sia anche un mestiere : questo termine ha il vantaggio di rendere più complessa l’immagine un po’ mitizzata dell’editore-intellettuale. Essere editore comporta un insieme organico di attività disparate, tra cui alcune molto “pratiche”, senza le quali una casa editrice non potrebbe esistere. Il nostro lavoro intellettuale è indissociabile dalla gestione quotidiana di una struttura, dal rapporto alle istituzioni e all’economia, da un’organizzazione del tempo. La magia di questo mestiere è che tutto questo è messo al servizio di un’intuizione, di una percezione (evidentemente soggettiva) di ciò che “manca” e che merita di esistere, e fondamentalmente di una credenza in ciò che può un libro.
2) Un primo sguardo al vostro catalogo – a quanti titoli siamo oggi? – rende evidenti i due assi d’interesse di cui parlavate, poesia e filosofia. Guardando però più da vicino, il paesaggio appare più articolato: c’è una collana “Via” che è dedicata alla letteratura di viaggio, “Captures” che riguarda la fotografia, e ci sono delle riviste che hanno un carattere apertamente militante e politico ( grumeaux e soprattutto exemple). Ma vorrei capire meglio la logica delle collane. Ci si aspetta una collana di poesia e una di filosofia, ma non è così. La collana “Antiphilosophique” contiene un saggio molto bello di Badiou su Wittgenstein e due libri di Žižek su Lacan, ma anche un libro di poesia di Pierre Parlant, Les courtes habitudes. Nietzsche à Nice. C’è la voglia o la necessità di confondere le frontiere tra la parola poetica e filosofica ? O il desiderio di porre queste due pratiche in un dialogo perpetuo?
B : Siamo a circa 120 titoli oggi, di cui metà sono di poesia. Il desiderio all’origine della nostra « Antiphilosophique collection » non era tanto quello di confondere quanto quello di rispondere a una duplice esigenza. Quella di pubblicare dei libri di filosofia, non cedendo sulla questione dell’inconscio né su quella della scrittura (il discorso universitario, con la sua visuale dall’alto e la sua scrittura strumentale, non vi ha quindi posto). E l’esigenza di pubblicare una poesia che non ha paura di pensare, non una poesia filosofica, ma una poesia che pensa nell’elemento stesso del testo poetico. Ci teniamo ugualmente a proporre dei libri che pensano l’intersezione e la rivalità della poesia e della filosofia, o per citare un’espressione di Jean-Patrice Courtois “la differenza di affermazioni” di queste due pratiche.
P : Con la collana « Antiphilosophique », volevamo rendere esplicito, attraverso l’articolazione di libri di filosofia e libri di poesia, ciò che si tende abitualmente a dissimulare: da un lato, il rapporto della filosofia con la lingua, con l’esistenza, con la questione dell’atto, e in maniera più generale con tutto ciò che dovrebbe esserle esteriore, e che viene incessantemente a sovvertire, sul suo stesso terreno, i suoi presupposti e le sue frontiere; d’altra parte, il fatto che non ha il monopolio del pensiero, che c’è del pensiero altrove che nella filosofia, e singolarmente nel testo poetico che condivide con essa linguistica – da ciò risulta il loro dialogo stretto e storicamente “conflittuale”. Si tratta per noi di rendere conto di questo dialogo infinito, di metterlo al lavoro attraverso i libri che, passo dopo passo, danno corpo a questa collana.
La logica delle collane ci interessa molto. La prima, inaugurale per Nous, è stata “NOW”, che ha accolto della poesia straniera del ventesimo secolo, quelli che si potrebbero chiamare i “classici moderni”. La traduzione – proporre al pubblico francese delle opere di autori maggiori mai tradotte in precedenza – è assolutamente centrale nell’idea che ci facciamo di ciò che vuol dire essere editore. Dopo l’“Antiphilosophique”, la collana “Disparate”, lanciata nel 2009, ha segnato una svolta nel nostro catalogo, aprendolo alla poesia contemporanea così come a dei testi più sperimentali e talvolta inclassificabili. È attraverso questa collana che le edizioni Nous hanno riempito una nuova funzione, quella di scoprire e far scoprire, puntando su autori della generazione più giovane o semplicemente meno conosciuti. Ed è stato così che, col succedersi degli anni e dei titoli, ci ritroviamo oggi ad occupare un posto particolare nel paesaggio dell’editoria indipendente in Francia. Questa dimensione del nostro catalogo, che scommette sulle scritture contemporanee nelle quali crediamo, incarna una “missione” che è divenuta progressivamente essenziale, e che era stata per altro anticipata (come in una sorta di verifica retrospettiva) dalla frase di Mallarmé scelta al momento della creazione della casa editrice per presentarla: “Oggi, per davvero, che cosa c’è?” (« Véritablement, aujourd’hui, qu’y a-t-il ? »)
3) Ho citato la collana “Antiphilosophique”, che mi sembra derivare dal concetto di “antifilosofia” abbastanza importante in Badiou e che si ritrova sia nel suo libro dedicato all’antifilosofia di Wittgenstein sia nella raccolta di saggi Que pense le poème ? Badiou è parecchio presente nei vostri titoli. È quindi una figura importante per voi. Gli date uno spazio importante nel paesaggio intellettuale francese di oggi?
B : Badiou è stato una figura fondatrice per Nous. È stato, a partire dagli anni Novanta, il filosofo che mi ha dato di più. L’elaborazione concettuale la più potente non è mai separata in lui dalla rielaborazione continua della domanda “Come vivere?”. L’autore de L’éthique è stato per me altrettanto decisivo di quello di L’être et l’événement.
P: Alain Badiou ha avuto fiducia nella casa editrice, ci ha sostenuto con semplicità e entusiasmo dall’inizio, si è creato così un legame di amicizia. Ma la di là di questo aspetto, il suo pensiero è stato formatore, strutturante, per noi come per molte persone della nostra generazione. Per quanto mi riguarda, è un autore che mi ha accompagnata quasi quotidianamente durante gli anni della mia tesi di dottorato, che riguardava la sua concezione politica e quella di Jacques Rancière: sono queste due figure maggiori della filosofia contemporanea, e non solamente francese, che hanno enormemente contato nel mio percorso.
4) Il vostro catalogo contiene un campione significativo della poesia francese contemporanea, da Joseph Guglielmi a Jacques Jouet, da Frédéric Forte a Michael Batalla, da Jean Daive a Sonia Chiambretto. C’è un posizionamento di Nous nei termini di una concezione della poesia, di un partito preso che potreste formulare? O, più semplicemente, che cosa cercate in una scrittura poetica oggi? Appare chiaro, in ogni caso, che esiste un interesse per quelle scritture che si potrebbero chiamare di ricerca o sperimentale, per utilizzare delle categorie in grado di orientare il lettore italiano.
P : È difficile definire ciò che cerchiamo in una scrittura poetica oggi. Si potrebbe dire che è il testo che ci insegna ciò che noi cerchiamo, che ci segnala che lo stavamo aspettando. In maniera generale, che si tratti di poesia o di prosa, il desiderio di pubblicare un libro risulta essenzialmente da un’esperienza di lettura, da un’esperienza in senso forte, nel senso della novità, ossia di una alterità: un testo di cui ci si dice che non si è letto nulla di simile, un testo che ci interroga, sino all’ultima pagina, su quel che stiamo leggendo. È una sensazione di turbamento molto gradevole, e un segno che orienta spesso le nostre scelte.
B : Noi pubblichiamo in poesia (molto più che in filosofia), dei libri molto disparati (come l’ha ricordato Patrizia, è il titolo di una delle nostre collane), dei testi eterogenei. Nessuna tendenza precisa, ancora meno una cappella. Ma accontentarsi di parlare di singolarità sarebbe limitante. O semmai per completare: certamente noi cerchiamo delle singolarità inventive, dei testi sorprendenti. Dei testi che, durante la lettura, impongono un duplice sentimento di evidenza e di estraneità. Aggiungo anche che si tratta quasi sempre di libri che si pensano come libro (e non come semplice raccolta). Ricerca e esperienza sono di fatto due parole rispetto alle quali siamo sensibili.
5) Devo ora complimentarvi per l’attenzione che dedicate alla poesia straniera: tra le altre cose avete fatto tradurrre e pubblicato Andrej Belyj, Robert Creeley, Gertrude Stein, Oskar Pastior et Reinhard Priessnitz. Ma tra gli autori stranieri, gli italiani occupano un posto importante: penso a Pasolini, Zanzotto, De Angelis, ma anche a Porta e Sanguineti. Di quest’ultimo avete pubblicato Corollario e un testo teatrale, L’amore delle tre melarance. Inoltre, avete una collana dedicata alla letteratura di viaggio, “Via”, che include autori quali Malaparte, Vittorini, e Carlo Levi. Da dove nasce questo interesse per la letteratura italiana? E, in termini più generali, questa apertura verso la letteratura straniera ha qualcosa di audace. Quali sono le risposte dei vostri lettori?
P : La collana “Via”, che accoglie libri che abbiano come oggetto comune l’Italia, il viaggio in Italia, è anche il prolungamento più visibile del nostro rapporto, non solo intellettuale ma anche esistenziale, con l’Italia, intanto perché io sono italiana, e poi perché Benoît è un fervente italofilo.
B : Per quanto riguarda l’Italia e la letteratura italiana, vi è un interesse duplice, e quasi dissociato. Da un lato, c’è attraverso la collana “Via” una passione del viaggio in Italia, che sia nella forma dell’erranza, della fuga, o dell’inchiesta. Dall’altro, c’è l’ammirazione suscitata da una serie di poeti e scrittori italiani molto grandi e spesso troppo poco conosciuti in Francia, eccezion fatta per Pasolini (ma che, di conseguenza, finisce per concentrare forse troppo l’interesse). C’è infine una constatazione abbastanza appassionante e in contrasto con la situazione francese: in Italia l’avanguardia si è manifestata attraverso la poesia. I Novissimi (rispetto ai quali, quelli di Tel quel sono dei nani) sono scandalosamente misconosciuti in Francia. E noi lavoriamo a questa rivalutazione e in particolare a quella del magnifico Sanguineti.
7) Vorrei abbordare ora la questione del vostro impegno militante, che ho seguito con interesse, attraverso una serie d’iniziative, come quelle della rivista exemple. Ho l’impressione che in Francia ci sia ancora l’idea dello scrittore (poeta e romanziere), come una coscienza critica che è tanto più efficace quanto più si tiene lontano da forme d’impegno diretto. Confrontando la situazione italiana con quella francese, la mia impressione è che lo statuto dello scrittore italiano sia troppo fragile, perché si accontenti di preservare una postura critica attraverso l’esclusivo lavoro sulla lingua e le forme della scrittura. C’è spesso un nesso abbastanza forte che lo coinvolge sul piano sociale o in combattimenti politici concreti. Mi sembra in ogni caso che il vostro progetto editoriale sia in qualche modo indissociabile dal vostro impegno politico.
P : Si, la politica è per noi importante e essa gioca un ruolo nella nostra maniera di concepire l’editoria. Ciò non significa, - e vale la pena di sottolinearlo – che per basti pubblicare dei libri per fare politica. Questo tipo di discorso che confonde le pratiche culturali e/o artistiche e la politica è l’espressione di un’impostura tipicamente contemporanea. Dire che si fa della politica scrivendo delle poesie, realizzando delle performance, dando delle conferenze, ecc. è per altro la maniera più confortevole di non farne mai. Siamo in piazza o altrove, lontani in ogni caso dai nostri computer, quando è necessario – e mi sembra il minimo. Il fatto che ciò non appaia come un’evidenza è il sintomo dell’impasse contemporanea che stiamo vivendo, impasse in parte attribuibile, almeno in Francia, a questa stessa “cultura” che insiste nel voler dirsi “politica”.
B: Non abbiamo la minima simpatia verso la postura critica, molto francese in effetti, che si tiene ben a distanza dal reale della politica. Nessuno è tenuto a fare della politica, ma ci sembra indispensabile evitare almeno l’impostura. Bisogna a questo punto delimitare più precisamente le cose e dire, per esempio, che ci sono delle politiche del linguaggio e che è una delle sfide maggiori della poesia. O che la filosofia non può fare a meno di pensare la politica come condizione della sua pratica. Ma la politica ha la sua esistenza singolare, fatta di enunciati condivisi e di rottura, di movimenti e di lotte, e noi abbiamo la convinzione che è meglio parteciparvi piuttosto che il contrario.
8) Per concludere, un’ultima domanda Benoît e Patrizia sulle vostre attività rispettive, soprattutto poetica per Benoît, soprattutto filosofica per Patrizia. Quali sono attualmente i vostri progetti personali ?
P : Sto preparando con Bernard Aspe un seminario al Collège international de philosophie per l’anno 2017-2018. S’intitolerà : « Paradigmi della divisione politica: violenza e dialettica». Nello stesso tempo, mi occuperò di riscrivere la mia tesi di dottorato, che riguarda la nozione di universalità nella filosofia politica contemporanea, particolarmente in Alain Badiou e Jacques Rancière. L’obiettivo di questo lavoro di riscrittura: liberarla dai codici accademici per farne un “vero” libro.
B : Lavoro a diversi libri, in maniera simultanea, o a sprazzi, con un sentimento d’urgenza, su un libro un altro progetto s’impone, poi c’è una ripresa del precedente, e ancora, a strati, fino al momento in cui se ne conclude uno. C’è un libro che uscirà a settembre, per le edizioni Cambourakis : L’agenda de l’écrit. Un libro costituito da 366 poesie di 140 caratteri, ciascuno scritto in omaggio e a partire dal lessico di uno scrittore nato o morto il giorno in questione. L’obiettivo era di scrivere ogni volta nel formato massimo di un tweet, un enunciato lapidario e intenso. La somma di questi brevi testi costituisce un diario compresso e, nello stesso tempo, una sorta di galassia di nomi (ben più ampia, ma che include in parte quella del catalogo della casa editrice.)
Entretien réalisé par Andrea Inglese pour la revue Alfabeta2. 
Source: 
https://www.alfabeta2.it/2017/05/24/interferences-9-nous/
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marcogiovenale · 11 days
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"cinema di sortilegi", di tommaso ottonieri: oggi a roma, da chourmo
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marcogiovenale · 14 days
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nuovo post su 'esiste la ricerca': dieci testi di michele marinelli
https://www.mtmteatro.it/testi-di-michele-marinelli/ _
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marcogiovenale · 14 days
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link e materiali per "oggettistica" (tic edizioni, collana ultrachapbooks, marzo 2024)
POST IN CONTINUO AGGIORNAMENTO scheda editoriale: Oggettistica di Marco Giovenale è un libro di accensioni e – appunto – brevi oggetti in prosa, strade e narrazioni interrotte su tratti solo apparentemente rettilinei. Si trovano qui, fianco a fianco, microracconti, apologhi al limite del surreale, cataloghi di paure, e poi gente al lago, vampiri timidi, suggerimenti per una soluzione omicida al…
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marcogiovenale · 14 days
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audio della prima presentazione di "oggettistica", libreria tic, 13 aprile 2024
Massimiliano Manganelli presenta Oggettistica. Letture dell’autore, Marco Giovenale. Libreria TIC, piazza San Cosimato 39, Roma, 13 aprile 2024, h. 19 https://slowforward.files.wordpress.com/2024/04/prima-presentazione-di-oggettistica_-tic-13-apr-2024.mp3 _ il libro:…
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marcogiovenale · 17 days
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un meme memo da johann wolfgang goethe: per domani
J. W. Goethe ricorda a tutti la presentazione di Oggettistica di domani, sabato 13 aprile 2024, da TIC: https://www.facebook.com/events/7004896196288853/
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marcogiovenale · 19 days
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johann wolfgang goethe ha fatto l'evento facebook per sabato
con la sua consueta gentilezza, J. W. Goethe ha fatto l’evento facebook per la presentazione di Oggettistica di sabato, 13 aprile 2024, da TIC: a questo punto è impossibile mancare. click qui: https://www.facebook.com/events/7004896196288853/
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marcogiovenale · 20 days
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casa morra per henri chopin: da oggi, 9 aprile, a napoli
you you Data: Opening a partire dalle ore 18. Presenza fino all’11 Aprile 2024 Luogo: Casa Morra. Archivi d’Arte Contemporanea – Salita S. Raffaele, 20/c, NapoliIn occasione del Terzo Anno di Millenanni, La Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee, in collaborazione con la Fondazione Morra, nell’ambito del Progetto XXI, inaugura il 9 aprile 2024, alle ore 18.00, il percorso espositivo…
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marcogiovenale · 21 days
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francesca perinelli legge un testo da "spostamenti", di carlo sperduti (tic, 2024)
il libro: https://ticedizioni.com/products/spostamenti-carlo-sperduti _
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