Tumgik
#se tutto va bene riesco in 3-4 settimane
mancano-le-parole · 5 months
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Che vizio di merda che hanno alcuni dei professori dell'uni di pubblicare l'appello esattamente una settimana prima dell'esame
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magicnightfall · 3 years
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MY SADNESS AND MY HOPE
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*Avviso ai naviganti: questo post è come quelle ricette che trovate sui blog di cucina in cui prima di arrivare a leggere il procedimento per la panna cotta dovete sorbirvi il racconto dell’infanzia a San Vito Chietino di chi ha scritto l’articolo. Pertanto, se non volete conoscere lo stato della mia sanità mentale dopo più di un anno di pandemia, perché giustamente pensate vabbèmachecazzomenepuòfregarechegiàhotantiproblemidimio e volete andare subito alla parte in cui blatero e straparlo di WandaVision, scorrete fino al primo titoletto in grassetto corsivo*
«Ciao, sono PieraPi e non vado al cinema da 479 giorni.» «Ciao, PieraPi.» Una volta contavo i giorni che mi separavano dalle cose belle future, e adesso posso solo tenere traccia di quelli trascorsi, che si ammucchiano come vecchie riviste su quel tavolino da caffè traballante che è la mia testa. Mi sento sempre più vicina allo sbroccamento totale, e sapessi almeno quando avverrà — una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran — potrei organizzare un conto alla rovescia in memoria dei bei vecchi tempi. E invece no, manco ‘sta soddisfazione mi viene data. Vivo in costante attesa di un tracollo che sento vicino ma che non arriva, un po’ come quando ti pizzica il naso ma non riesci a starnutire, e resti appesa con la faccia da deficiente. In realtà dico così perché ho sempre pensato che il tracollo debba essere una specie di eruzione pliniana, un evento così distruttivo da divenire un chiaro spartiacque tra il prima e il dopo, ma a questo punto mi è venuto il dubbio che invece possa semplicemente essere un processo sedimentario, una consunzione lenta e ineluttabile (wink wink nudge nudge). Perché esplosa no, non sono esplosa. Erosa però sì. Mi sa che sono tracollata da mo’, e manco me ne sono accorta. Quando va bene mi sento soltanto un guscio vuoto che si trascina nel mondo non per volontà ma per inerzia, non per scopo ma per abitudine, per cui nulla ha senso e tutto è futile, senza più nessun entusiasmo e ancor meno interessi, quello che forse i cinici greci chiamavano adiaforia, ma è più fregancazzismo.
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Quando invece va male passo un sacco di tempo a cercare di non piangere; non sempre ci riesco. Guardo indietro e vedo solo anni buttati via a studiare cose che non mi interessano per fare un lavoro che non mi piace; guardo avanti e non riesco a vedere un futuro che vada oltre le nove di sera del giorno in cui mi sveglio. E se per caso capita che riesca a squarciare il velo di Maya-hii maya-huu maya-haa maya-ha ha che sta all’orizzonte, non vedo una me del futuro felice. Contenta ogni tanto, forse, ma felice mai. È colpa della pandemia? Sì, no, non sa/non risponde. Certo è che mentirei se dicessi che per gran parte non mi sentissi miseramente, superbamente a pezzi anche prima. È una sbronza, la pandemia: non altera la personalità ma si limita a far emergere ciò che da sobri riusciamo a nascondere o almeno a controllare. Tra l’altro io addirittura svuoto i Mon Chéri forandoli con lo stecchino per buttare via il liquore, quindi in effetti che diavolo ne posso sapere.
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Ma almeno prima, santoiddio, potevo andare al cinema. Almeno prima, santoiddio, avevo qualcosa da attendere. E sebbene ci siano stati alcuni film che ho aspettato con trepidazione — su tutti, per stare in tema Marvel, quelli della saga dell’infinito — in generale era proprio l’idea di andare al cinema che mi elettrizzava. Sedermi in poltrona, vedere le luci abbassarsi, guardare i trailer. Perfino le pubblicità sparate a tremila — ristorante pizzeria Orange, prima o dopo il cinema — per me erano una cosa bella. Andare al cinema era l’equivalente dell’infilare un caricabatterie in una presa di corrente, una botta di vita che mi rendeva tollerabile tutto il resto, e che mi sostentava fino all’esperienza di sala successiva. E lo stesso vale per le serate film a casa di un’amica che chiamerò Melania per tutelare la sua privacy, insieme a un’altra amica che chiamerò Silvia, in cui la prima passa la metà del tempo a scusarsi per il disordine e le tazzine di caffè dimenticate in bagno, e l’altra si gira a dormire e si sveglia solo per chiedere di abbassare il volume. Almeno quando ancora si poteva indulgere in cotali trasgressioni. Adesso, che nella presa di corrente infilerei ben più volentieri un dito, privata dell’una e dell’altra esperienza, è da un anno che mi alzo la mattina e, come Homer Simpson, “cerco solo che il giorno non mi faccia troppo male, finché non mi imbacucco nel letto” e scivolo nella benvenuta incoscienza. Gli unici film, ormai, sono quelli mentali. E non sono avventure epiche, no: sono Ricomincio da capo, o 50 volte il primo bacio (che poi non si può manco baciare nessuno, c’è la pandemia), perché ogni giorno è contemporaneamente la ripetizione del precedente e di quello successivo. Il concetto stesso di tempo, se il tempo è la misura del cambiamento, è volata dalla finestra: non scorre in linea retta e nemmeno in cerchio, ma in un groviglio di Jeremy Bearimy. Ogni tanto è martedì. La fine, per cortesia, si può vedere la fine? È in questo contesto desolante e mesto che si è inserita WandaVision, la miniserie introduttiva della Fase 4 del Marvel Cinematic Universe che, per otto settimane, mi ha fatto compagnia il venerdì sera e nei giorni di mezzo, quando con gli altri fan ci si scambiava opinioni, teorie e meme in egual misura. Se le serie tivvì (quelle sui supereroi in special modo) sono da sempre il mio rimedio contro il logorio della vita moderna, a maggior ragione una serie Marvel adesso è stata un cataplasma per il mio animo sgualcito. Per un po’ ho avuto qualcosa da attendere, ed è stato bello. E no, non mi sfugge l’ironia del cercare rifugio dalla realtà in una serie la cui protagonista    a sua volta cerca rifugio dalla realtà nelle serie. È la vita che imita l’arte che imita la vita. So you’re saying the universe created a sitcom starring two Avengers? WandaVision, le cui vicende si svolgono pochi giorni dopo Avengers: Endgame, vede come protagonisti due personaggi che, sebbene decisamente importanti nell’economia dell’MCU, sono sempre ricaduti sotto l’etichetta “secondari”: Wanda Maximoff e Vision. Questa miniserie è stata dunque la benvenuta occasione per gettare luce su coloro che, inevitabilmente, si sono sempre mossi all’ombra di personaggi ingombranti come Captain America, Iron Man e Thor, e l’ha fatto costruendo una solida e approfondita caratterizzazione (per Wanda in special modo) che soltanto una narrazione a episodi poteva consentire. Innanzitutto, c’è da dire che WandaVision è un prodotto innovativo, che utilizza la grammatica, il linguaggio e gli stilemi delle sitcom per raccontare il lutto e la sua elaborazione. E lo fa muovendosi contemporaneamente su due binari: da una parte percorrendo i vari decenni della tv americana, partendo dagli anni ’50 fino ai giorni nostri, adattando tecniche e registri stilistici sia all’epoca sia alle serie cult di riferimento, dall’altra le cinque fasi del lutto secondo il modello postulato dalla psichiatra Elisabeth Kübler-Ross nel 1969. Così, mentre vediamo Wanda e Vision passare dal bianco e nero a colori, dai 4:3 ai 16:9, dagli effetti speciali col filo trasparente alla CGI, parallelamente osserviamo Wanda venire a patti col suo dolore, dapprima negandolo (epp. 1-2) e poi accettandolo (ep. 9), ma non prima di aver sperimentato rabbia (epp. 3-4), patteggiamento (epp. 5-6) e depressione (epp. 7-8). E in effetti è proprio Wanda il vero focus della serie, che avrebbe ben potuto chiamarsi “Wanda’s vision”, se non fosse stato appena appena spoiler. È lei che, sebbene inconsciamente, ha creato la realtà fittizia che ha inglobato dentro a un esagono di pura magia una piccola porzione di New Jersey, la cittadina di Westview, che Vision aveva scelto come luogo per “invecchiare insieme”. Wanda riscrive la realtà secondo il suo bisogno di lieto fine, che segue a vent’anni di traumi accumulati e mai affrontati: la morte dei genitori in un bombardamento e poi quella di Pietro dovuta a Ultron, l’incidente in Lagos in cui Wanda ha causato la morte di alcuni civili nel tentativo di salvarne altri, gli accordi di Sokovia e la conseguente etichetta di fuorilegge (se non proprio di terrorista), la prigionia nel Raft, dover uccidere Vision per salvare metà dell’Universo, ma solo per vedere Thanos portare indietro il tempo e ucciderlo lui stesso. E poi lo “snap” del titano e il “blip” di Hulk, il ritorno cinque anni dopo e Vision smembrato dallo S.W.O.R.D. La “visione di Wanda” è dunque l’illusione di una famiglia, lei che ha perso ogni singolo membro della sua, e un luogo cui appartenere, lei che è una straniera in terra straniera. La sua illusione prende la forma delle sitcom, quella particolare categoria di serialità in cui tutto si risolve e nessuno è mai “realmente ferito” perché “non è quel tipo di show”, in cui lei ha sempre trovato conforto. Io, per dire, sono perfettamente consapevole del ruolo che ha giocato Modern Family nel tenermi sana di mente durante gli oscuri anni universitari. Ecco quindi che WandaVision non è solo un tassello del Marvel Cinematic Universe che porta avanti una storia iniziata nel 2008 con Iron Man, ma è anche e soprattutto un brillante esperimento di meta-televisione, in cui i riferimenti alle serie tv del passato non sono mero citazionismo pop fine a se stesso ma diventano necessario meccanismo di narrazione in quanto, appunto, strumenti per l’elaborazione del lutto di Wanda. Perfino gli intermezzi pubblicitari, elementi ulteriori che ci hanno venduto l’idea di stare assistendo alla trasmissione di un programma (endo)televisivo vero e proprio, hanno contribuito a narrare in via simbolica e subliminale il malessere di Wanda (va da sé che, come le sitcom, anche le pubblicità sono frutto dell’inconscio di lei stessa): lo spot del tostapane a marchio Stark, con l’unico tocco di colore in una trasmissione altrimenti in bianco e nero dato dalla luce rossa pulsante, richiama il lampeggiare della bomba inesplosa di Sokovia; quello dell’orologio a marchio Strücker è un riferimento agli esperimenti cui sono stati sottoposti i gemelli Maximoff; quello del sapone a marchio Hydra è piuttosto eloquente nel promettere una fuga dalla realtà, e rivolgendosi a chi voglia trovare la propria “dea innata” è altresì un sagace richiamo all’essenza (mitologica) di Wanda stessa; ugualmente eloquente lo spot della carta assorbente Lagos, “per quando combini un casino senza volerlo”. Quello dello yogurt Yo-Magic, in cui il bambino naufrago sull’isola deserta finisce col morire di fame per non essere stato in grado di aprire il vasetto, potrebbe invece essere un diretto riferimento a Vision, che è stato creato con la magia (“your magic”) ma potendo esistere solo all’interno dell’esagono quella stessa magia non è in grado di sostentarlo in toto; infine, quello del farmaco antidepressivo Nexus si riferisce, oltre alla condizione psicologica di Wanda, anche al fatto che nei fumetti lei sia un “essere Nexus”, ossia uno di quegli individui, uno per ogni mondo del multiverso, in grado di alterare la realtà. Dick Van Dyke again? Always sitcom, sitcom, sitcom... Dei nove episodi di WandaVision, ognuno con un titolo che richiama il mondo seriale, sei sono in stile sitcom. Molte di più, però, sono quelle omaggiate, nelle tecniche, nelle sigle, nelle scenografie: The Dick Van Dyke Show (Dick Van Dyke è stato persino consultato), Lucy ed io, Vita da strega, La famiglia Brady, The Mary Tyler Moore Show, Genitori in blue jeans, Gli amici di papà, Casa Keaton, Malcolm, Happy Endings, The Office, Modern Family (per quest’ultima rimediando l’aperto plauso di Julie Bowen, interprete di Claire Dunphy).
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In realtà ve ne sono moltissime altre, perlomeno a giudicare dai mille articoli di approfondimento imperversati su internet, che più articoli erano tesi di laurea, ma le mie limitazioni anagrafiche e una coscienza seriale che si sviluppa solo a partire dalla metà degli anni ‘90 non mi consentono di essere più di tanto esaustiva. Una cosa però la so: vista la mia già menzionata affezione per Modern Family, vedere Elizabeth Olsen dar impeccabilmente vita alla versione MCU di Claire Dunphy mi ha portato più gioia della ricezione di un bonifico.
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I’m so tired. It’s just like this wave washing over me, again, and again. It knocks me down, and when I try to stand up, it just comes for me again. It’s just going to drown me. In ogni caso Wanda Maximoff nasce, e resta, un personaggio estremamente tragico, e non c’è nessuna sitcom che possa ovviare a questa verità. D’altronde, le sitcom stesse non erano che un mezzo per arrivare a un fine: vivere un’esistenza, per quanto soltanto fittizia, per una volta priva di dolore (e lo stesso passaggio da un decennio all’altro non è che un modo per illudersi di avere avuto, con Vision e i figli Billy e Tommy, tutto il tempo che hanno le altre famiglie). La sofferenza di Wanda ha una portata tale da informare ogni sua decisione, conscia e inconscia. È certamente conscia la decisione di tenere Westview sotto il suo incantesimo, per quanto non immagini nemmeno che le persone coinvolte ne soffrano (anzi, crede sia il contrario), ed è certamente inconscia la creazione dell’esagono: l’unica consapevolezza riguarda il sentimento che ha condotto a quell’evento.
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Per Wanda il tracollo è stato sì un’eruzione pliniana, scatenata dalla vista del lotto di terreno acquistato da Vision e che nei piani era destinato a diventare casa loro. Sopraffatta, Wanda cade in ginocchio e la magia che andrà a produrre sia l’ESA sia Vision prorompe non (soltanto) dalle mani, come è sempre stato, ma direttamente dal petto, in una sequenza tra le più intense e drammatiche, in pieno parallelismo con quella di Age of Ultron, in dieci anni di MCU.
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I don’t know how I did it. I only remember feeling completely alone. Empty. Just endless nothingness. Il fatto che la creazione dell’ESA e tutto ciò che ne è conseguito fosse involontaria, e che Wanda ne abbia soltanto una minima (ma via via crescente) consapevolezza (quando dice di non essere lei a controllare gli abitanti di Westview nella misura che insinuava Vision, di totale privazione del libero arbitrio, o ribadisce ad Agatha di non aver fatto nulla, non sta mentendo: sta soltanto rimuovendo e sopprimendo un trauma) contribuisce a delineare il personaggio in una maniera assolutamente originale. Non sarebbe stata la stessa cosa se invece vi fossero state premeditazione e volontà di ferire gli altri in cambio della sua felicità: in quel caso avremmo avuto a che fare con un’antagonista pura e semplice. Wanda, invece, che comunque milita nelle fila dei buoni, è qualcosa di più: è un’eroina tragica nel senso in cui lo intendeva Aristotele nella “Poetica”: “Sarà cioè buon personaggio da tragedia colui il quale, senza essersi particolarmente distinto per sua virtù o sentimento di giustizia, neanche sia tale da cadere in disavventura a cagione di sua malvagità o scelleraggine, bensì a cagione soltanto di qualche errore” [Laterza, edizione digitale 2019, trad. Manara Valgimigli]. Wanda, nonostante quello che possano pensare i cittadini di Westview, non è una villain: non ha agito (nella parte conscia delle sue azioni) per malvagità, ma per il “difetto fatale” che le è proprio, cioè l’incapacità di processare il suo lutto. E quando si rende conto che quegli stessi cittadini preferirebbero morire che vivere un solo altro istante con il dolore di lei nella testa, non esita a distruggere l’ESA, anche se questo significa dover rinunciare all’illusione in cui si era rifugiata. Tra l’altro, è opinione dello Stagirita™ che la tragedia non debba rappresentare “uomini estremamente malvagi cadere dalla felicità nella infelicità, perché, se anche una composizione siffatta potrebbe soddisfare per un certo rispetto il gusto del pubblico, non potrebbe però suscitare nessun sentimento né di pietà né di terrore: si prova pietà per una persona la quale sia immeritamente colpita da sventura, si prova terrore [“terrore”, in tutte queste espressioni, significa più propriamente “trepidazione”] per una persona la quale [, egualmente colpita da sventura,] abbia parecchi punti di somiglianza con noi; e insomma, pietà per l’innocente, terrore per chi ci somiglia”. Quand’anche in questa miniserie Wanda si muova spesso in un’area moralmente grigia, resta in ogni caso un personaggio verso il quale provare aristotelica empatia. Di più: le si vuole bene, dai. You, Vision, are the piece of the Mind Stone that lives in me. You are a body of wires, and blood, and bone that I created. You are my sadness, and my hope. But mostly, you’re my love. Dopotutto, bisognerebbe essere proprio dei cuori di pietra per non sentirsi nemmeno un po’ partecipi della più delicata e sventurata (e insolita — Vision non è nemmeno un essere umano) storia d’amore dell’MCU. Quello che nei film era stato appena accennato (data la natura corale degli stessi, in cui il focus era sui personaggi “maggiori”) qui è stato sviluppato e approfondito: dalla scena del paprikash di Civil War a vederli genitori di due gemelli tanto pucciosi quanto magici; dalla vita fuori dai radar a Edimburgo a una casetta con la staccionata bianca nella placida periferia americana. Certo, basta solo non pensare al fatto che quel Vision lì non esiste davvero. I can’t feel you Il vero Vision, infatti, giace(va) ormai smantellato come una macchina qualsiasi e non un essere senziente e dai sentimenti purissimi nonostante la sua natura artificiale. Nell’episodio 8 quel fil rouge di percepirsi, quella comprensione profonda l’una dell’altro che era la cifra del loro rapporto, si è definitivamente spezzato, unitamente ai nostri cuori. Cioè, il mio di sicuro.
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But what is grief, if not love persevering?
Però cos’è il dolore, se non amore perseverante? Non deve stupire che sia stato Vision a pronunciare la frase-simbolo della serie. Nonostante sia un sintezoide, dalla sua introduzione nell’MCU si è rivelato il personaggio in grado di dimostrare la più pura forma di solidarietà, comprensione e indulgenza verso gli altri. Un essere artificiale, sì, ma da sempre definito dalla sua caratteristica migliore e principale: l’umanità. D’altronde, prima ancora di Cap, Vision è stato fin da subito degno di sollevare il Mjölnir di Thor.
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L’ESA-Vision, poi, è ulteriormente peculiare. Rivive per unica volontà di Wanda, suprema demiurga, e nonostante sia “un ricordo diventato realtà” esercita, a differenza degli altri abitanti di WestView, il libero arbitrio, al punto da arrivare a mettere in discussione la “sceneggiatura” della moglie.
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This is Chaos Magic, Wanda. And that makes you the Scarlet Witch WandaVision è stata anche, e soprattutto, l’origin story di Wanda Maximoff come sceneggiatrice regista produttrice segretaria di edizione tecnica delle luci costumista Scarlet Witch. Sebbene Wanda abbia fatto il suo ingresso nel Marvel Cinematic Universe già nel 2014 (nella scena dopo i titoli di coda di Captain America: The Winter Soldier) e sia stata presente in Avengers: Age of Ultron, Captain America: Civil War, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, per una mera questione di diritti del personaggio (allora appartenenti alla 20th Century Fox) non era stato possibile, fino ad oggi, appellarla col suo nom de guerre fumettistico, Scarlet Witch. Vederla trasformarsi e poi discendere dal cielo di Westview col nuovo costume e la consapevolezza di chi effettivamente è mi ha gasata tanto quanto, al cinema durante Endgame, mi ha gasata vederla apparire dal nulla e piazzarsi davanti a Thanos. Sì, il traguardo è stato tagliato dopo una maratona lunga sette anni, ma ne è valsa la pena.
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A questo punto, tra l’altro, si può anche dichiarare concluso l’annoso dibattito su chi sia l’Avenger più potente: è Wanda, statece.    Di certo è anche quello a cui serve più terapia. You know... a family is forever. We could never truly leave each other, even if we tried. You know that, right? In narrativa, e in generale nelle storie che fruiamo a prescindere dal medium, il “difetto fatale” è qualcosa che il personaggio, dopo averne preso consapevolezza, deve superare. Il superamento del fatal flaw di Wanda coincide con la quinta e ultima fase del modello Kübler-Ross, l’accettazione. Lo scontro finale con Agatha ha dimostrato quello che già dall’episodio 7, con l’ESA che “sfarfallava”, Wanda aveva iniziato a intuire: l’insostenibilità, nel lungo termine, della sua illusione; vi rinuncia per salvare i cittadini e per salvare se stessa. La Wanda che lascia Westview ha imparato la sua lezione: ha elaborato il lutto, non ne è più sopraffatta, e ora è in grado di conviverci. È tornata nel mondo al termine del proprio personale viaggio dell’eroe, e ora è pronta a iniziarne un altro: comprendere chi è, i suoi poteri, il suo ruolo. Nell’ultima scena dopo i titoli di coda la vediamo, infatti, nei panni di Scarlet Witch studiare il Darkhold sul piano astrale. Se non fosse che, inaspettate, le voci dei gemelli che chiedono il suo aiuto vengono a turbare questo nuovo equilibrio, la qual cosa potrebbe farla ripiombare nel baratro e cadere nella tana del bianconiglio che è il multiverso della pazzia di cui al prossimo film di Doctor Strange. Considerando poi che Agatha ha dichiarato che il destino di Scarlet Witch è quello di distruggere il mondo, be’, c’è poco da star tranquilli. In ogni caso, in questo pandemico e stinfio mondo, ora come ora ben poche cose sono suscettibili di portarmi gioia come il pensiero di una reunion tra Wanda e i figli, quindi io dico: daje. Purché Wanda non mi sbrocchi definitivamente nel processo.
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She recast Pietro? A proposito di reunion, quella farlocca tra Wanda con il fratello Pietro è stata la più grande trollata di sempre e l’ho amata alla follia. In molti ne sono rimasti delusi, perché credevano che significasse l’introduzione degli X-Men nell’MCU e di conseguenza del multiverso: d’altronde, perché chiamare a interpretare Pietro Maximoff non Aaron Taylor-Johnson ma Evan Peters, ossia il Pietro Maximoff dell’universo Fox? La risposta è una: perculata. O, se vogliamo, un meta riferimento in una serie che è già meta di suo. Considerando che, per quanto sia fan di roba supereroistica, gli X-Men proprio non riesco a farmeli piacere, per quanto mi riguarda non poteva andar meglio di così.
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It’s been agatha all along
Se nella realtà il falso Pietro è opera degli autori, nella narrazione è invece opera di Agatha Harkness, una strega già a spasso ai tempi di Salem (nei fumetti era addirittura presente quando è scomparsa Atlantide). Strega estremamente potente, nel canone fumettistico è stata sia la mentore di Wanda che la tata del figlio di Reed Richards e Sue Storm dei Fantastici 4. WandaVision strizza l’occhio ad entrambe le circostanze (quando Wanda la ringrazia ironicamente per la “lezione” sulle rune e quando Agatha, ancora Agnes, si propone come babysitter per Billy e Tommy) ma reinterpreta il personaggio in altro modo. In particolare, qui Agatha è una sorta di antagonista ma non l’antagonista, ed è arrivata a Westview con l’obiettivo di comprendere l’anomalia magica in corso. Funge altresì da catalizzatore per la nascita di Scarlet Witch e sblocca anche, sebbene indirettamente, il trauma di Wanda facendole rivivere il passato, l’ultimo tassello per la definitiva accettazione. Ora, sebbene già si fosse intuito che la bislacca vicina di casa Agnes, colei che fondamentalmente ha ricoperto fino all’episodio 7 il ruolo di spalla comica, fosse la famigerata Agatha Harkness, la rivelazione della sua vera identità ha saputo in ogni caso stupire, il che è anche la cifra della cura con cui è stata realizzata la serie: l’originalità meta narrativa con cui è stato (re)introdotto il personaggio nell’episodio 8 è tra le cose migliori di WandaVision.
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E la canzoncina di riepilogo che l’accompagnava è diventata una hit e un meme in tempo zero, mi aspetto almeno almeno un riconoscimento ai prossimi Grammy. Bravo! Se dopo un post lunghissimo di mila e mila parole (cosa che in genere riservo solo a Taylor Swift) ancora non si fosse capito, ho amato questa miniserie in ogni aspetto. Saltare da un decennio all’altro, ognuno con le sue peculiarità in fatto di abiti, acconciature, scenografie, stilemi e tecniche è stata una benvenuta novità in un mondo – quello delle serie supereroistiche — abbastanza standardizzato. Da questo punto di vista WandaVision può certo stare in compagnia di una serie della concorrenza, DC’s Legends of Tomorrow, che ha fatto della follia senza freni e del rompere gli schemi il suo tratto distintivo, e che per ciò è una delle mie preferite da anni a questa parte. Ora, al di là dell’evidente ottima realizzazione tecnica, cioè che per me è davvero il fiore all’occhiello della serie è la recitazione. Il duo Olsen-Bettany, già ben rodato, qui ha ancor più ribadito la propria intesa, e Kathryn Hahn nei panni di Agnes/Agatha, già piacevolmente oltre le righe in Parks & Rec, è stata una vera sorpresa. Comunque, la vera punta di diamante è la protagonista in persona, Elizabeth Olsen. Che fosse decisamente brava non è certo una novità (e lo sa bene chi ha familiarità con la sua filmografia, fin dai suoi esordi con La fuga di Martha, passando per quel capolavoro totale che è I segreti di Wind River, e arrivando alla serie Sorry For Your Loss, dove più che brava è straordinaria), ma qui se possibile si è superata. Ha condotto Wanda attraverso le epoche di volta in volta modellando l’interpretazione al decennio di riferimento (ed è tanto più evidente se si confronta il modo di porsi della Wanda anni ’50 con quella contemporanea), ma sempre mantenendone intatta la coerenza di fondo. Di quando in quando ha lasciato tornare in superficie l’accento sokoviano, ha coniugato comicità e dramma (il primo aspetto è una novità tanto per Wanda quanto per Elizabeth stessa, la cui carriera è sempre stata orientata sul secondo), ed è stato incredibile vedere con quanta velocità modificasse registro di recitazione quando la serie stessa cambiava di passo in quelle scene stranianti e stridenti rispetto all’illusione perfettamente confezionata che Wanda provava a vendersi e a venderci.
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Pertanto, se nella stagione di premi di là da venire Elizabeth Olsen non si porta a casa t u t t o, tra Emmy e Golden Globe a carriolate proprio, giuro che creo io stessa una realtà alternativa in cui vince qualsiasi cosa, dal Nobel al Telegatto. Please stand by WandaVision è stata solo la prima portata di quello che è praticamente un pranzo di matrimonio, tra tutte le serie e i film della Fase 4 che vedranno la luce tra quest’anno e il 2023, e sarà bello bello bello. Sì, sì, per carità, c’è la pandemia e la vita è miseria, ma siccome è miseria a prescindere, non fa certo male tenersi un po’ di roba Marvel a portata di mano, tipo EpiPen.
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faccia-d-angelo · 5 years
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• Mania di perfezione:
“Perché giochi le demi-volée in mezzo al campo?! Chi ti credi di essere, John McEnroe...?”
- “Sul campo da tennis sei solo. Mi chiedono perché mi arrabbio così tanto: la solitudine in campo è una delle ragioni principali. Sentirmi solo, allo sbaraglio. In tutta sincerità, a volte mi chiedo come tutto questo sia potuto accadere. Credo di essere stato spinto verso una carriera che non desideravo affatto. Ovviamente per me il tennis si è rivelato un’avventura incredibile, ma la verità è che non cercai questa carriera fino a quando non fu il tennis a cercare me. Molti atleti amano il loro sport con tutto il cuore. Non credo di aver mai provato un sentimento simile nei confronti del tennis. Non vedevo l’ora di giocare ma la partita in se’ era una costante battaglia contro due avversari: l’altro giocatore e me stesso”. John McEnroe, il braccio sinistro di Dio, il mancino dotato di un talento fuori quotazione che ha rivoluzionato, deliziato, sconvolto l’impettito mondo del tennis; il ribelle che non si è mai vergognato di urlare la propria rabbia in faccia agli arbitri, di disprezzare gli avversari, di insultare il pubblico; ma anche colui che ha portato la magia dentro un campo da tennis, l’uomo che più di ogni altro è stato associato al tennis, che “era il tennis” e che ha lasciato un vuoto incolmabile proprio in nome di quella geniale e irripetibile contraddizione quale era lui, nella sua essenza, nel suo essere John McEnroe.
John Patrick McEnroe Jr nasce il 16 febbraio del 1959 a Wiesbaden, nell’ex Germania Ovest, in una base militare statunitense dove all’epoca il padre prestava servizio come ufficiale della Air Force Statunitense. Figlio di John Joseph McEnroe, che una volta tornato in patria diventa associato in uno degli studi legali più prestigiosi di New York, e di Katherine Tresham, ex infermiera figlia di un vice sceriffo di Long Island; è dalla madre che John ‘eredita’ il carattere, quella “visione del mondo” che tanto lo influenzerà durante le tappe più importanti della sua vita, sia dentro che fuori dal campo da tennis. “La personalità di mio padre è intrisa di umorismo irlandese, infatti non c’è niente che ami di più che ritrovarsi con gli amici e farsi due birre. Mia madre invece è sempre stata una donna molto timida, eccessivamente esigente, diffidente anche verso le persone più miti. Per lei non esistono sfumature: le cose sono bianche o nere. A differenza di mio padre, io non saprei ripetere una barzelletta nemmeno fosse una questione di vita o di morte, ma in compenso tutte le ‘spigolosità di mia madre si sono impresse dentro di me”.
John cresce a Douglaston, la tipica zona residenziale dell’area metropolitana di New York. Suo padre lo iscrive all’Accademia di Port Washington e inizia a giocare a tennis sotto alla guida di due maestri d’eccezione: Antonio Palafox, uno dei doppisti più forti negli anni 60’ ed Harry Hopman; l’uomo che aveva creato Rod Laver, Ken Rosewall, Lew Hoad e Roy Emerson. Proprio come il suo idolo, Rod Laver, il piccolo John usa la stessa impugnatura per ogni colpo: diritto, rovescio, servizio e volée. Non solo i suoi allenatori, anche un noto giornalista sportivo, tale George Lott, riconosce in lui le stigmate del campione, eppure a dodici anni il suo sogno è quello di diventare un giocatore professionista di basket. “Più le cose andavano bene, più diventava difficile anche solo pensare di abbandonare il tennis”; spiega con il senno di poi Mcenroe che ad appena sedici anni viene considerato uno dei migliori juniores degli Stati Uniti. A diciassette anni, quando ancora gli US Open si giocavano sulla terra verde, sfiora l’accesso al tabellone principale, o meglio, per alcuni minuti si qualifica proprio. Sul punteggio di 5-7 7-5 5-4, John va a servire per il match contro il numero 150 del mondo Zan Guerry ed un passante di rovescio sulla riga induce il giudice di sedia a proclamare: “game, set, match McEnroe”. Guerry però non va a stringergli la mano, rimane a fissare il segno, per interminabili minuti richiamando l’attenzione dell’arbitro che, controllato il segno, conferma la sua decisione. John McEnroe invece di uscire dal campo, si intestardisce: vuole che il suo avversario si riconosca sconfitto e gli stringa la mano. Messo al corrente del parapiglia interviene il giudice arbitro, Anita Shukov, che fa ripetere il punto. McEnroe perde le staffe ed il match: da quel giorno arbitri e avversari saranno suoi nemici giurati.
La stella di John McEnroe si staglia in tutto il suo splendore nell’estate del 1977. Partito con 500 $ sponsorizzati dalla USTA alla volta dell’Europa, vince il Roland Garros under 18 juniores e il doppio misto in coppia con Mary Carillo. A Wimbledon supera tre turni di qualificazioni e raggiunge le semifinali, prima di cedere a Jimmy Connors. “Prima del match mi avvicinai per salutarlo. Per me era già uno sforzo alzare la testa e guardarlo negli occhi ma lui non mi guardò nemmeno. Era come se si rifiutasse perfino di riconoscere che esistevo”. Diventato professionista nel giugno del 1978, il mancino americano non riesce a confermare la strepitosa performance di Wimbledon ma scrive il suo nome nell’albo d’oro del Master dove sconfigge in finale Arthur Ashe. Da quel momento McEnroe è inarrestabile: nel 1979 vince dieci tornei, tra cui Dallas dove sconfigge in finale Bjorn Borg e si afferma per la prima volta in un torneo del Grande Slam, agli US Open, dove si sbarazza di Jimmy Connors, in semifinale e, nel match decisivo, di Vitas Gerulaitis.
L’anno seguente John McEnroe, che aveva già osato infrangere il religioso silenzio del “All England Club” con le sue intemperanze, entra nella storia di Wimbledon grazie alla finale, leggendaria, che gioca contro Bjorn Borg. Lo svedese è in vantaggio di due set a uno quando durante il tie-break si vede annullare cinque match point prima che l’americano, al sesto tentativo, porti l’incontro al quinto set. “Quando vinsi il tie-break per 18-16 sentivo di aver vinto il match. Pensai che Borg si sarebbe demotivato. Ma la forza che lo animava era al di là della mia immaginazione”. Borg riesce a prevalere 8-6 al quinto vincendo il suo quinto Wimbledon consecutivo ma, poche settimane dopo, McEnroe difende il suo titolo US Open, sconfiggendo in finale proprio l’orso svedese per 7-6 6-1 6-7 5-7 6-4. “Quando a fine match ci stringemmo la mano vidi che era distrutto. Era come se per la prima volta si fosse veramente sentito sopraffatto da me”. La verità è che dopo quella sconfitta all’interno di quel meccanismo perfetto che anima Bjorn Borg avviene un cedimento, qualcosa si incrina, irrimediabilmente. Ma per attendere il passaggio di consegne definitivo bisogna attendere Wimbledon 1981.
Quando un giudice di linea chiama fuori un servizio che solleva uno sbuffo di gesso, John McEnroe urla verso il giudice di sedia, lo scozzese Edward James, l’accusa che sarà destinata a diventare il titolo della sua autobiografia ufficiale: “Man, you cannot be serious!”. E’ il primo turno della 95ª edizione del torneo di Wimbledon e “Super brat”, sempre durante il match disputato contro Tom Gullikson, arriva ad apostrofare la schiera arbitrale come “la feccia del mondo”. I tabloid inglesi si scatenano ed un giornale riporta il parere di uno psicologo che definisce lo statunitense un “isterico estroverso”. Si scatena pure McEnroe che usurpa il regno di Bjorn Borg prima superandolo in finale a Wimbledon, poi scalzandolo dal primo posto del ranking mondiale. Il trionfo agli US Open, ottenuto proprio sconfiggendo in finale un Borg talmente furioso da disertare la premiazione, consacra John McEnroe come migliore giocatore del mondo. E’ l’inizio del suo regno, è la fine della rivalità con Borg, perché da quel giorno lo svedese inizia a maturare la decisione di abbandonare il tennis.
Il 1982 è un anno complesso per McEnroe, pur rimanendo in vetta al ranking per la maggior parte della stagione deve vedersela con un Jimmy Connors versione lusso e l’ascesa di un nuovo rivale, Ivan Lendl. Se il secondo sigillo a Wimbledon ottenuto nel 1983 prevalendo in finale sul modesto Chris Lewis non è stata una delle sue vittorie più memorabili, l’anno seguente McEnroe non solo trionfa lasciando per strada un solo set durante l’arco del torneo, giunto all’ultimo atto, umilia l’odiato Jimmy Connors battendolo 6-1 6-1 6-2. Una vittoria che, paradossalmente, non riuscirà mai a fare da contrappeso alla delusione rimediata appena un mese prima, al Roland Garros quando cede il passo ad Ivan Lendl dopo essersi trovato in vantaggio di due set a zero. Si tratta di una ferita mai sanata, che John McEnroe definisce: “la peggiore della mia vita, una sconfitta devastante. Quando ci ripenso non riesco ancora a dormire. Persino adesso è un’impresa commentare gli incontri dell’Open di Francia. Quando arrivo a Parigi per un paio di giorni ho la nausea, perché sono lì e torno con il pensiero a quella partita. A ciò che buttai via quel giorno, a come la mia vita sarebbe stata diversa se avessi vinto”. Il 1984 di John McEnroe rimane comunque la sua stagione migliore: dopo Wimbledon vince il suo quarto US Open ed il suo terzo Master chiudendo l’annata con un bilancio di 82 vittorie e 3 sconfitte. Nel 1985 McEnroe raggiunge dieci finali in tornei ATP vincendone otto, ma negli Slam non riesce a trovare il suo tennis migliore. Agli Australian Open perde ai quarti di finale in cinque set da Slobodan Zivonjinovic, al Roland Garros si arrende in semifinale a Mats Wilander ed a Wimbledon viene sovrastato 6-2 6-2 6-4 da Kevin Curren. Gli Us Open rappresentano per il John McEnroe un’occasione di riscatto. “In finale contro Lendl andai in vantaggio 5-2, poi all‘improvviso, dopo il cambio campo mi alzai, raggiunsi la mia parte del campo e avvertii una strana sensazione. Era come se il mio corpo fosse rimasto a sedere. Mi ero spento”. Quel match rappresenta una svolta decisiva, sia per la carriera di John McEnroe che per quella di Ivan Lendl. Se nel 1981 le sconfitte che John McEnroe infligge a Borg prima a Wimbledon poi agli Us Open provocano nella mente dello svedese uno squarcio devastante; la rimonta di Ivan Lendl al Roland Garros nel 1984 e quel 7-6 6-3 6-4 scandito sempre dal ceco agli US Open 1985, fanno sentire il geniale mancino “tagliato fuori. Mi aveva scalzato dalla vetta, il numero uno era lui”.
Nel 1986 John McEnroe si prende una sorta di anno sabbatico, si sposa con l’attrice Tatum O’Neil, diventa padre, nel 1987 ritorna senza però mai essere veramente competitivo, vuoi perché la schiena gli fa spesso male, vuoi perché il tennis ha preso irrimediabilmente un’altra direzione e lui non è più disposto ad adeguarsi a quella nuova dimensione così fisica, ‘robotica’. “Non è stato solo il talento, è stata anche la mia determinazione a portarmi dove ero arrivato. Poi quella ferocia è svanita”. Nel 1989 raggiunge la semifinale a Wimbledon, dove perde contro Stefan Edberg, l’anno dopo è semifinalista agli Us Open e in questo caso a superarlo è il futuro Re degli anni 90’, Pete Sampras. L’ultimo acuto avviene a Wimbledon, nel 1992, quando si issa fino alla semifinale in singolare, e insieme a Michael Stich vince il torneo in doppio.
Settantasette titoli ATP tra cui sette prove del Grande Slam e tre Master. In doppio di successi ne ha totalizzati settantuno: dieci di essi sono Slam; nove nella categoria maschile ed uno nel misto. Addirittura sette sono i trionfi al Master, tutti consecutivi e tutti insieme a Peter Fleming, come del resto la maggior parte dei titoli di specialità. “Fin dall’infanzia con Peter Fleming si instaurò un legame molto forte. Siamo stati compagni di doppio per più di dieci anni, ci completavamo a vicenda”, ricorda John McEnroe nella sua biografia. Accadde però un episodio che “rovina tutto”. Dopo aver sconfitto Yannick Noah ed Henri Leconte nella finale di Coppa Davis nel 1982, un giornalista chiese a Fleming quale fosse la più grande coppia nella storia del doppio e lui rispose “John McEnroe e un tennista qualsiasi”. Forse Peter Fleming ha sempre avuto la sensazione di vivere nell’ombra del leggendario compagno, o forse come ammette John: “Non ho mai potuto sopportare di cedere il passo a qualcuno di cui ero amico e nonostante Peter non sia mai stato un giocatore di alta classifica, lui possedeva doti che io non avevo, come portare empaticamente il pubblico dalla sua parte”. Piccole gelosie, tanti dissapori e altrettante incomprensioni finirono con il separare quello che è stato probabilmente il doppio più forte di sempre.
Dopo il divorzio con Tatum O’Neil, l’ex ‘moccioso’ del tennis vive con la sua seconda moglie, Patty Smyth e con sei figli, tre avuti dal primo matrimonio, due dalla seconda consorte, e uno che Patty ha avuto dal precedente marito. A volte capita che torni ad essere ‘the genius’ e prenda la racchetta in mano per partecipare a qualche torneo senior o esibizione. Ora, ufficialmente, è però un commentatore sportivo per la BBC che si diletta a suonare la chitarra ben figurando quando viene invitato a salire sul palco durante concerti, trasmissioni o eventi benefici. Lui e la musica sono uniti da un legame di lunga data e forse non è un caso che Chrissie Hyde, la cantante dei Pretenders, abbia inserito in un suo noto brano, “Pack it up” la famosissima frase urlata da John McEnroe allo scandalizzato pubblico londinese: “You are the pits of the world!”; siete la feccia del mondo”. Era il 1981, ma John McEnroe immortale lo era già.
Fa un certo effetto leggere una considerazione riportata da John McEnroe nella sua biografia: “Quando raggiungi la vetta da giovanissimo poi una parte di te cerca costantemente di rivivere quelle emozioni travolgenti. Questo è il motivo per cui molti atleti finiscono male. Non riescono più a trovare quell’euforia assoluta ed avvertono un terribile vuoto. La mia vita al contrario, è piena di cose positive, lo è sempre di più, ma per quanto sia fantastica, a volte è difficile dimenticare quelle vittorie esaltanti. In quei momenti devo ricordare a me stesso che non avevo nessuno con cui condividerle. E ripenso a quanto fredda e solitaria fosse la vetta della montagna”.
Dice sul serio John McEnroe. Così come ‘dicono sul serio’ i reduci di quel mitico periodo, quello tra la fine degli anni 70 e il tramonto degli anni 80’, quando ripensano a quelle sfide crudeli, estenuanti, a quegli odi viscerali, esagerati, forse folli. Come possono i tennisti moderni, così ‘politicamente corretti’, regalare le scariche di adrenalina sperimentate con John McEnroe; con Bjorn Borg, lo svedese di ghiaccio; con Jimmy Connors, l’antipatico che come un invasato fomentava le folle; con Ivan Lendl, il profugo che ha osato usurpare il loro regno? E poi, via, via fino ad arrivare a Wilander, a Becker ad Edberg… Certo ora c’è Roger Federer, l’uomo dei record, Mr perfect; c’è Rafael Nadal, il Re della terra che ha superato persino Borg a Parigi; c’è Novak Djokovic, la macchina perfetta. Eppure… eppure se parliamo con i reduci di quegli anni magici, ci diranno che non è la stessa cosa.
Ho un ricordo appannato degli US Open 1992. Non tanto riguardo al torneo: ricordo la vittoria di Ivan Lendl al quinto set contro Boris Becker e la sua successiva sconfitta per 7-6 al quinto contro Stefan Edberg; che poi sarebbe prevalso in finale su Pete Sampras. Ho ben presente pure che John McEnroe perse contro Jim Courier, agli ottavi di finale. Il ricordo appannato riguarda una frase che disse Gianni Clerici. Ero una ragazzina, tifavo per Ivan Lendl e John McEnroe non è che mi stesse tanto simpatico. Ma Gianni Clerici disse qualcosa tipo “ho sempre saputo che il giorno in cui John McEnroe avrebbe giocato la sua ultima partita un pezzo del mio cuore si sarebbe spento per sempre”. Qualcosa di simile. Non so perché non riesco a ricordare precisamente cosa disse Clerici. Ricordo però che lo disse con un tono di voce che mi commosse. Il suo dolore era sincero. E il silenzio che seguì, fu qualcosa di talmente profondo da indurmi ad afferrare il telecomando e ad alzare il volume. Ma non era un problema dell’audio. Gianni Clerici rimase in silenzio e fu come se sopra New York fosse calato un vuoto incolmabile. Sono passati ventuno anni. John McEnroe oggi compie 54 anni. Quel vuoto incolmabile però, resiste ancora.
“So che giocare contro di me poteva essere un’esperienza frustrante, ma ero convinto che il mio modo di giocare fosse avvincente da guardare: credo che anche i miei avversari migliorassero il loro stile, quando erano alle prese con me. Essere un counter puncher richiede una mentalità diversa. Wilander e Borg, due maestri in quest’arte, erano sempre ad attendere la tua mossa successiva, ti aspettavano al varco come se dicessero lo so fare meglio di te.
Io preferivo prendere l’iniziativa: giocare d’anticipo, agire e vedere se gli avversari erano in grado di reagire ai miei attacchi. Li provocavo: secondo me è una strategia molto più interessante. O si vince o si perde. Non c’è bisogno di aggiungere che ho sempre preferito vincere.”
Il più creativo, talentuoso, egocentrico, irascibile tennista di tutti i tempi. Mancino, il genio del serve and volley, fascia rossa e capelli ricci, impossibile dimenticarne la classe, gli eccessi e la spettacolarità del gioco. McEnroe si impone grazie ai colpi imprevedibili, alla grinta, all’anticipo sulla palla, alla sensibilità del tocco – memorabili le smorzate e le rotazioni velenose –, al dritto piatto, allo slice mancino del servizio. La sua personalità e il suo gioco oscurano e intimoriscono gli avversari. McEnroe, soprannominato “The Genius”, sul campo perde spesso la pazienza, contesta le decisioni arbitrali, fa a pezzi le racchette, lancia insulti ai giudici di linea e di sedia, a spettatori a caso tra il pubblico, ai raccattapalle, a un ciuffo dell’erba di Wimbledon, a una nuvola passeggera mentre sta per battere il servizio, a sé stesso. La sua celebre frase “You cannot be serious” (“Non stai dicendo sul serio”) rivolta a un arbitro diventa il titolo della sua autobiografia. Conquista sette titoli del Grande Slam, quattro Us Open e tre Wimbledon, ed è il numero uno del mondo per quattro anni consecutivi, dal 1981 al 1984. Terminata la carriera, rimane nel mondo del tennis come commentatore degli incontri per Nbc e Cbs negli Usa e per la Bbc nel Regno Unito e come allenatore della squadra americana di Coppa Davis. Padre di sei bambini, appassionato di musica rock e amante dell’arte, ha aperto una prestigiosa galleria d’arte a New York nel quartiere di Soho.
John McEnroe non era tanto alto, eppure si può ragionevolmente affermare che sia stato il miglior giocatore di serve and volley di tutti i tempi; ma d’altronde, McEnroe era un’eccezione rispetto a tutti o quasi gli schemi di prevedibilità esistenti. Al suo apice (diciamo dal 1980 al 1984) è stato il più grande tennista di sempre – e il più dotato, il più bello, il più tormentato: un genio. Per me, guardare McEnroe che indossa una giacca blu in sintetico e fa quelle ignobili telecronache colorite, zeppe di luoghi comuni idioti, è come guardare Faulkner che fa uno spot pubblicitario per una catena di negozi di abbigliamento.
In merito al genio di McEnroe sono confortato dall’opinione di Gilles Deleuze, il quale una volta si esercitò nell’ekphrasis di un suo tipico gesto: “Una specie di aristocratico metà egiziano metà russo… ha inventato un colpo che consiste nel deporre la palla, una cosa curiosa, non la colpisce nemmeno, la depone”. Ecco, al di là degli aspetti squisitamente tecnici (il servizio a catapulta, tutto in torsione; la risposta in chip and charge; il metodico, ma ogni volta diverso, serve and volley), è in questa gestualità rituale che consiste il suo genio. Delicato ma micidiale, virtuosistico ma infallibile. Genio non è sregolatezza: al contrario è fondare nuove regole. Di geni autentici il tennis ne ha conosciuti uno a decennio. McEnroe è gli anni Ottanta, Pete Sampras i Novanta, Roger Federer il decennio presente. Se in Mac si incarnanp gli anni Ottanta, suo bacino di coltura sono però i Settanta (esordì nel climaterico ’77, quando a Wimbledon arrivò in semifinale partendo – mai accaduto prima – dalle qualificazioni). Infatti McEnroe fu sì aristocratico, come vuole il filosofo; ma, anche, genuinamente punk. Non perché strimpellasse ogni tanto la Stratocaster, o perché la sua icona riccioluta mettesse a rumore l’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Ma per l’unione di talento impareggiabile e altrettanto sovrana maleducazione. Un’interpretazione buonista vuole che la proverbiale scorrettezza di McEnroe fosse preterintenzionale: che la sua rabbia folle, ai limiti dell’epilessia, fosse dovuta al fatto che non potesse ammettere limiti alla propria infallibilità. No: bisogna avere l’onestà di ammettere che McEnroe fosse insieme sublime e scorretto, angelo e demonio. Non si contano gli incontri nei quali un avversario in vantaggio, scosso da un Vietnam di recriminazioni, abbia finito per arrendersi indecorosamente a Mac.
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ilcorpodiunaragazza · 3 years
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4.MANUALE PER ODIARSI
È finita l estate, un estate di merda. Ho strafocato tantissimo e vomitato altrettanto. Non sono ingrassata. 59,5kg fisso. Ma mi odio. Odio tutto di me, mi faccio uno schifo assurdo. Tra due settimane inizia la scuola e io mi odio con tutta me stessa. Il mio carattere, il mio fisico, i miei pensieri. Non mi riconosco più e non riesco a capire neanche il perché. Ho fame, mangio e vomito in continuazione 3-4 volte al giorno, non mi sono allenata neanche una volta in tre mesi e il mio fiso lo schifo più di quando pesavo 75kg. Non so proprio come fare.
Ho bisogno di C. Bisogno di baciarlo e abbracciarlo come prima. Tra due settimane ci vediamo ed io ho paura lui non mi voglia più. Ho paura che mi veda come mi vedo io. Se fosse così io potrei cadere in un vortice di tristezza assoluta che mi porta sempre allo stesso giro di merda : sono brutta, per non essere brutta devo dimagrire, per dimagrire non devo mangiare, per non mangiare dovrei non avere fame, per non avere fame dovrei essere morta, per morire devo tagliarmi, per tagliarmi mi servono le felpe, per le felpe mi serve l inverno, per l inverno devo aspettare ...cosa faccio mentre aspetto???? MANGIO.
E questo NON VA BENE!!!!!!!!!!!
Questo non mi fa stare bene. Prima stavo bene, quando riuscivo stavo BENE! Io ho bisogno di finire in ospedale ho bisogno di stare male per stare bene. È una cosa normale? NO ...Ma per me è l unica soluzione e il fatto di non riuscirci è insopportabile per me. VOGLIO MORIRE.
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Neck Deep - All Distortions Are Intentional
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A volte mi chiedo se la vita non sia una specie di scherzo malato
Magari mi sveglio ed è tutto finito?
No, sono ancora qua e non sono morto
(da: Sick Joke)
1. Sonderland
Sonderland
   In lontananza, lontano fin dove arriva l’occhio
C’è un posto che io non capisco
Un posto che conosciamo come Sonderland
Io lo chiamo casa, lo chiamo inferno
Sono sicuro che se potesse, pure lui mi chiamerebbe con dei brutti nomi
Tipo “disgrazia ambulante” sulla giostra peggiore del mondo
   Questi strani tempi in cui viviamo
Pian piano ti mangeranno vivo se non ti adatti
   Benvenuti nella mia disperazione nera
Qui tutti quanti sono un incubo
E continuano a parlare nel sonno
Sto pensando: sicuramente dopo andrà meglio di così, vero?
   Perché le cose belle capitano a tutte quelle persone orribili?
E Dio sarebbe la star del futuro se la sentiste in radio?
Dove sono andati a finire tutti quelli bravi?
Arrivano ultimi o muoiono giovani
Poi si passa al post successivo
La storia di una generazione fissata solo con le cose nuove
Ma un po’ di sincerità ogni tanto non sarebbe malaccio
   Benvenuti nella mia disperazione nera
Qui tutti quanti sono un incubo
E continuano a parlare nel sonno
Sto pensando: sicuramente dopo andrà meglio di così, vero?
   No, non voglio sedermi a parlare di politica o di scienze sociali in contraddizione
Non quando son qui a guardare nel vuoto giù dal precipizio con cupa ambizione
   Questi strani tempi in cui viviamo
Pian piano ti mangeranno vivo se non ti adatti
   Benvenuti nella mia disperazione nera
Qui tutti quanti sono un incubo
E continuano a parlare nel sonno
Sto pensando: sicuramente dopo andrà meglio di così, vero?
       2. Fall
Cadere
   Questa città pulsa
Questa città pulsa come un tamburo
Ah, lo senti?
Ah, lo senti che arriva?
I tuoi occhi, alba nel buio
Mi fa impazzire e mi fa scattare
Prendimi, sto cadendo
Prendimi, ci sto cadendo in pieno
   Mai viste così tante facce che lasciano la scia e alzano un polverone
Cavolo, ma quanto è bello
   Cadere dentro la notte, la notte
Cadere dentro la luce, la luce
Magari trovi il vero te
Non riesco a resistere al bisogno di cadere dentro la notte, la luce
   Questa città chiama
Questa città chiama il tuo nome
Il rossetto è spaventoso
Mi ha lasciato la faccia piena di baci
   Sempre più profondo, cado più veloce
Ma magari possiamo fare un passo di troppo
Cavolo, ma quanto è bello
   Cadere dentro la notte, la notte
Cadere dentro la luce, la luce
Magari trovi il vero te
Non riesco a resistere al bisogno di cadere dentro la notte, la luce
   Mai viste così tante facce che alzano un polverone
Non me la sento mai di guardarmi allo specchio la domenica mattina
È un veleno, guarda
È la normalità
   Cadere dentro la notte, la notte
Cadere dentro la luce, la luce
Magari trovi il vero te
Non riesco a resistere al bisogno di cadere dentro la notte, la luce
   Credimi, è una piccola fetta di paradiso
Spero che ci ribecchiamo presto
E la prossima volta che ci vediamo, giuro che non sarò così matto
Possiamo fare qualcosa di normale
Prendercela con calma
Prendercela con calma
       3. Lowlife
Canaglia
   I miei colori, giallo e verde
Ma mi piace un po’ di viola sul mio mandarino
Mi sai dire il nome di una malattia più bella?
Sono giovane e sciocco
Ho un posto vuoto
Ho un posto vuoto
Sono vuoto
   Tu sei perfetto, perfettamente pulito
Io bevo il caffè su un tappeto elastico
Ti credi migliore di me
Perché io sono giovane e sciocco e vuoto, capito?
Sono vuoto, capito?
Sono vuoto
   Vabbè, vabbè, sei un normie
Quanto cazzo sei noioso
Magari ci vediamo all’inferno, Mister “Quanto-sono-importante”
   Il mio mondo ideale sarebbe io e Alice
La mia vita è un’unica grande baldoria
Se hai voglia di sederti, no, non ti ci puoi fermare
Non ci sono posti vuoti
Non ci sono posti vuoti
Sono vuoto
   Vabbè, vabbè, sei un normie
Quanto cazzo sei noioso
Magari ci vediamo all’inferno, Mister “Quanto-sono-importante”
   Mister Importante, io ti ignoro
Il re della mattina, che cazzo di noia
   E allora? E allora?
Sono una canaglia che vive la vita con calma, tesoro
Ci vediamo all’inferno, Mister Morto-dentro
   Mi sai dire il nome di una malattia più bella?
Sono giovane e sciocco
Ho un posto vuoto
A far baldoria
Su un tappeto elastico
Mandarino viola
Ho un posto vuoto
       4. Telling Stories
Raccontare storie
   Okay, è ora di parlarci chiaro
Sto cercando di dire una verità
O a essere sinceri, mi sento devastato
So essere davvero un coglione (uno stronzo), scusami
Grazie di esserci
Non mi ascolta mai nessuno
   A Emily piace il suo lavoro e le piace la sua assistenza sanitaria
Dice che è una bella sensazione amare un pochettino sé stessi
Lo so che ha ragione, ma è difficile dirlo
Perché io non saprei proprio come sia quella sensazione
   Tu ti addormenti mai a forza di piangere?
Non si può vincere
   Non farmi perdere tempo con le tue storie
Ne ho già perso di mio
Una battaglia infinita
Ormai sono dieci anni che sto alla fermata dell’autobus
Mai avuto un lavoro vero
Mai avuto granché da fare
È un peccato
Non contano le cose che sai, ma gli amici che hai
   E Jack non sapeva un cazzo
È arrivato lontano, ma non ha saputo quando smettere
Se la tira, ma deve ripigliarsi
Ma Jack non riesce più a star senza
Non comportarti da uomo ora
Se ti tieni le cose dentro, le devi buttar fuori
Ti devi aiutare, metti giù la bottiglia
   Se ci provi magari scopri che ti piace
Giusto per dire, eh
   Non farmi perdere tempo con le tue storie
Ne ho già perso di mio
Una battaglia infinita
Ormai sono dieci anni che sto alla fermata dell’autobus
Mai avuto un lavoro vero
Mai avuto granché da fare
È un peccato
Non contano le cose che sai, ma gli amici che hai
   Tutti gli altri, tutti parlano solo di sé stessi
Ti sei mai sentito smarrito guardando la finestra?
Con un disperato bisogno di essere amato ma ti sbattono fuori?
   Dieci anni che sto alla fermata dell’autobus
Mai avuto un lavoro vero
Mai avuto granché
Un’altra notte a morire dentro
A morire cercando di azzeccare qualcosa
Qualcuno mi ascolta?
   Non farmi perdere tempo con le tue storie
Ne ho già perso di mio
Una battaglia infinita
Ormai sono dieci anni che sto alla fermata dell’autobus
Mai avuto un lavoro vero
Mai avuto granché da fare
È un peccato
Non contano le cose che sai, ma gli amici che hai
È un peccato
Non contano le cose che sai, ma gli amici che hai
Non contano le cose che sai, ma gli amici che hai
       5. When You Know
Quando lo sai
   Splende il sole, questo non è il nostro posto
Non abbiamo fiori da far crescere
Ma quant’è bello quando sei su di me, amore
Quant’è bello quando sai cosa, quando sai cosa
   Fai pace coi tuoi fantasmi e spera che ti lascino stare
E fai pace coi tuoi sentimenti
Ammetti che c’è un motivo se non te ne stacchi
Potremmo precipitare dentro al nulla, a braccia aperte come se fossimo infiniti
Non hai più niente da perdere se è tutta notte che piangi
   Splende il sole, questo non è il nostro posto
Non abbiamo fiori da far crescere
Ma quant’è bello quando sei su di me, amore
Quant’è bello quando sai cosa, quando sai cosa
   Scappa
Eh, no, non letteralmente, ché alle otto devi andare al lavoro
E io ho amici che mi odiano
No, scappa da tutto quello che ti rende debole
E in quel momento restaci per sempre e un giorno
Oppure dopo tre mesi…
Io ho in mente un po’ più di settimana prossima
Amore, sei d’accordo?
   Splende il sole, questo non è il nostro posto
Non abbiamo fiori da far crescere
Ma quant’è bello quando sei su di me, amore
Quant’è bello quando sai cosa
   E quando sai cosa, vuoi imbottigliarla quella sensazione
Non staccartene mai
Dio, quanto non mi piace quando te ne vai
Quant’è bello quando mi vuoi, amore
Andrò dove andrai tu, dovunque andrai tu
   Splende il sole, questo non è il nostro posto
Non abbiamo fiori da far crescere
Ma quant’è bello quando sei su di me, amore
Quant’è bello quando sai cosa, quando sai cosa
   E quando sai cosa, vuoi imbottigliarla quella sensazione
Non staccartene mai
Dio, quanto non mi piace quando te ne vai
Quant’è bello quando mi vuoi, amore
Andrò
Quando sai cosa
       6. Quarry
Cava
   Son partito per lo spazio giusto un attimo per andare un po’ via
Dici che domani è un altro giorno
Non ne voglio sapere nulla fino al giorno che mi potrò dissipare
Mi dissolvo e mi disintegro
Trovo il grande divario e ci nuoto dentro per poter levitare
C’è una cava di fianco all’interstatale
Quando sarò ridotto in cenere, riportatemi indietro e mi butto di nuovo giù dal burrone
   Hai mai perso un amico vero?
Hai mai tenuto i messaggi nelle bozze, li hai scritti ma non riesci a inviarli?
Da solo nel tuo appartamento
Pensi a quando non era tutto così difficile
E adesso una per dimenticare e reprimere l’impulso
Altre sei per dormire
No, di più è di meno
È S-T-R-E-S e poi S
Sta alla radice di tutto, è lo stress
Una per dimenticare e reprimere l’impulso
Altre sei per dormire
No, di più è di meno
È S-T-R-E-S e poi S
Sta alla radice di tutto, è lo stress
       7. Sick Joke
Scherzo malato
   Non svegliatemi
Erano settimane che non mi sentivo così bene
E ad essere del tutto sinceri, preferirei essere felicemente morto o addormentato
   Mettiti comoda e ascolta
Chiudi gli occhi se lo senti
Perché io sto mettendo in dubbio tutto quanto
Mi condiziona tutte le decisioni
Ti ho vista allo specchio e ho cambiato ritmo
Sto inseguendo un sogno o ci sono intrappolato dentro?
   A volte mi chiedo se la vita non sia una specie di scherzo malato
Magari mi sveglio ed è tutto finito?
No, sono ancora qua e non sono morto
   E quasi tutti i giorni, sembra tutto uguale
Non vedo la differenza tra piaceri e dolori
E mi fa star male, uno scherzo malato
Come se la vita mi ficcasse due dita in fondo alla gola
   A volte mi chiedo se la vita non sia una specie di scherzo malato
Magari mi sveglio ed è tutto finito?
No, sono ancora qua e non sono morto
E mi aggrappo a un momento come un bambino triste a una coperta
Non mi diresti che va tutto bene, che sono ancora qua e non sono morto?
   Mettiti comoda e ascolta
Chiudi gli occhi se lo senti
Perché io sto mettendo in dubbio tutto quanto
Mi condiziona tutte le decisioni
Ti ho vista allo specchio e ho cambiato ritmo
Sto inseguendo un sogno o ci sono intrappolato dentro?
   E un giorno ti troverò, come una vecchia chiave di una porta chiusa
È tutto una specie di scherzo malato?
Sono ancora qua?
Perché non capisco
   A volte mi chiedo se la vita non sia una specie di scherzo malato
Magari mi sveglio ed è tutto finito?
No, sono ancora qua e non sono morto
E mi aggrappo a un momento come un bambino triste a una coperta
Non mi diresti che va tutto bene, che sono ancora qua e non sono morto?
       8. What Took You So Long
Perché ci hai messo così tanto?
   Perché ci hai messo così tanto?
La tua impressione duratura ha risposto a domande prima sconosciute
Perché ci hai messo così tanto?
E cosa stai aspettando?
Dai, baciami, mi sono dimenticato la sensazione
Non la cerco più
   E non sono stato me stesso finché non ho scoperto te
   Per la prima volta mi sembra di sentirmi un qualcuno
Ho trovato un po’ di gioia nella nostra insignificanza
Nessuna questione, nessun dubbio a riguardo
Tu sei la differenza
Tu sei significativa
Tu mi rendi significativo
Tu sei significativa
   Perché ci hai messo così tanto?
E dove te ne sei sempre stata?
Quanto sei acuta
Adoro il tuo disprezzo per chiunque e qualsiasi cosa
L’agitazione delle nostre cellule che invia energia
Ora ci connettiamo in forme diverse, in modi migliori
Quest’intelligenza è un’epifania
   E non sono stato me stesso finché non ho scoperto te
   Per la prima volta mi sembra di sentirmi un qualcuno
Ho trovato un po’ di gioia nella nostra insignificanza
Nessuna questione, nessun dubbio a riguardo
Tu sei la differenza
Tu sei significativa
Tu mi rendi significativo
Tu sei significativa
   Prima di te, non mi sembrava possibile poter coincidere con un mondo tanto grande, in così poco tempo
   Non sono stato me stesso finché non ho scoperto te
Non sono stato me stesso finché non ho scoperto te
   Per la prima volta mi sembra di sentirmi un qualcuno
Ho trovato un po’ di gioia nella nostra insignificanza
Nessuna questione, nessun dubbio a riguardo
Tu sei la differenza
Tu sei significativa
Tu mi rendi significativo
Tu sei significativa
       9. Empty House
Casa vuota
   Spero di sentirlo presto
Spero che questo giorno finisca per poter ricominciare da capo
Perché a forza di vedere tutto nero ho la mente offuscata
E tutto quello che vedo ruota intorno a te
   Ma cosa mi ci vorrà per stare anche solo benino
Se la luce in fondo a tutto questo è così lontana?
Magari la speranza? L’amore? Il tempo?
Abbiamo bisogno di spazio?
Abbiamo bisogno di spazio?
   Son qui seduto in questa casa vuota a cercare di sentirmi molto meglio
Cerco di sentirmi molto meglio
Giro e mi eclisso per cercare di migliorare le cose
Cerco di migliorare le cose
   La superficie dimostra solo che non sto bene
E io non sto bene senza di te
Le cose che consumo mi consumano, perpetuano il mio umore
   Ma cosa mi ci vorrà per stare anche solo benino
Se la luce in fondo a tutto questo è così lontana?
Magari la speranza? L’amore?
Parliamo? È come in terapia?
Perché io non ho amore e non ho granché da dire
   Son qui seduto in questa casa vuota a cercare di sentirmi molto meglio
Cerco di sentirmi molto meglio
Giro e mi eclisso per cercare di migliorare le cose
Cerco di migliorare le cose
   Spero di sentirlo presto
Spero che questo giorno finisca per poter ricominciare da capo
   Son qui seduto in questa casa vuota a cercare di sentirmi molto meglio
Cerco di sentirmi molto meglio
Giro e mi eclisso per cercare di migliorare le cose
Cerco di migliorare le cose
   Ma cosa si può dire di un nuovo giorno se mi fa male tutto, cazzo?
Non può esserci un altro modo se ti amo così, ti amo così tanto
Non può esserci un altro modo se ti amo così tanto
       10. Little Dove
Colombella
   Lascia stare
Lo dici in continuazione
Lo dici, ma non lo sai
E lascia stare
Lo so che ti fa piangere
Lo so, non sei da solo
E lascia andare la tua colombella
Amorino mio, continua a guardare in sù
Devono ancora venire tempi migliori
   A mille miglia da qua c’è un’isola senza connessione di rete
Questa vita moderna piano piano ci ucciderà o ci riavvicinerà
Tutti quanti non parlano d’altro
   Andrò a nascondermi dal mondo e da tutte le sue aspettative su di me
E andrò a tuffarmi nelle profondità di questa vecchia cava
E ultimamente sono piuttosto triste
Non so perché, non so perché
   Mille miglia non sono poi una gran complicazione con la nostra connessione di rete
Questa vita moderna, scrollare le foto di altre persone
Tutti quanti non parlano d’altro
       11. I Revolve (Around You)
Io giro (intorno a te)
   Di strada ne abbiamo fatta parecchia, parecchia da dove eravamo prima
Ed eravamo stelle in collisione
Su una rotta quella sera diretta proprio verso la terra
E ci siamo incontrati alla stazione dei treni
   Ma so che nel passare degli anni ci sono stati tempi duri
Ma questo non significa, no, non significa niente
E se Carl Sagan aveva ragione, pallido puntino azzurro nella notte
Allora quello che c’è tra di noi è tutto
   Ci muoviamo come pianeti solitari e ci sentiamo come, come lune fredde
Ma come satelliti attratti dalla tua forza di gravità, io giro intorno a te
   Sono pigro
Giro in giro tutti i giorni
A ruota, super ripetitivo
Ma lei è l’orbita che mi fa tirare avanti
Cambio con le stagioni
Tu mi fai incazzare senza motivo
E mi hai fatto fare a pugni coi miei spettri
E pensi che a questo punto starei meglio
   “Posso capire quello che intendi”
Lei parla, io ascolto
Sta succedendo
Vieni con me, devo distrarmi un attimo
   Ci muoviamo come pianeti solitari e ci sentiamo come, come lune fredde
Ma come satelliti attratti dalla tua forza di gravità, io giro intorno a te
   Prigioniero del tuo raggio di sole, giro solo per te
Lontanissimo da me, ma ti sento comunque
Io penso che pensi un pochino troppo
Ti isoli con la testa un pochino troppo
Meno parole, un po’ più di contatto
Va tutto bene ora, stiamo benone
Tu pensi un pochino troppo
Ti isoli con la testa un pochino troppo
Meno parole, un po’ più di contatto
Va tutto bene ora, stiamo benone
   Ci muoviamo come pianeti solitari e ci sentiamo come, come lune fredde
Ma come satelliti attratti dalla tua forza di gravità, io giro intorno a te
       12. Pushing Daisies
Concimare i fiori
   Se ti lasci andare magari scopri che la fine racchiude il tuo nuovo inizio
Questi cicli ci tengono in movimento per permetterci di fare il prossimo passo
   Se so che c’è una cosa vera, è che in realtà io non so un bel niente
Tutti pensano di saperla lunga
Ma non gli interessa, ed è tutto sbagliato
   Per cui se chiedi a me
Ricordati che finiamo tutti quanti a concimare i fiori
Ed è così che funziona
Eh, se chiedi a me
Devi lasciar correre, devi lasciar stare
So di non poter cambiare il mondo
Ed è così che va
   Ce n’è di strada, ma io non ho paura
Sono proprio sicuro, sono proprio certo
Eh, no, non puoi combatterci contro
Non puoi combattere l’amore
Non puoi tornare indietro
E no, non puoi ammazzare il tempo
   Se so che c’è una cosa vera, è che in realtà io non so niente
E tutto ti torna indietro
È un nuovo inizio, è il prossimo passo
   Per cui se chiedi a me
Ricordati che finiamo tutti quanti a concimare i fiori
Ed è così che funziona
Eh, se chiedi a me
Devi lasciar correre, devi lasciar stare
So di non poter cambiare il mondo
Ed è così che va
   Sono sicuro che si vede che sto molto meglio ora
Io e la mia ragazza, e abbiamo capito come funziona il mondo
La vita è uno scherzo e tanto moriamo in ogni caso
I ragazzi dei bassifondi devono vivere come vuoi vivere tu
Fanculo la società
Fanculo la tua politica
Fanculo te
E fanculo a come vanno le cose
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cardiganuvolosi · 4 years
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questo post sarà aggiornato ogni giorno (se me lo ricordo si intende)
quarantena giorno 1
la mia quarantena è iniziata oggi 11 marzo 2020, teoricamente ieri non appena sono tornata dal Belgio, praticamente oggi, mi mancano le mie sigarette girate male. ho passato il pomeriggio a studiare e leggere, mi sento sola ma in casa non sono mai sola. Non mi sono nemmeno sistemata i capelli, tanto chi vuoi che mi veda. però ho messo l'orologio stamattina, ho bisogno di avere la percezione del tempo.
giorno 2
oggi sono proprio presa male. chi l'avrebbe mai detto che avrei vissuto una pandemia, che poi non è nemmeno una malattia pericolosa. se siamo sopravvissuti alla peste sopravviveremo anche a questo. ho fatto le focacce con mamma oggi pomeriggio. mi mancavano le mie amiche e le ho videochiamate, è strano veder cambiare i rapporti con le persone che non vedi mai e quelle che eri abituato a vedere sempre.
giorno 3
stamattina sono uscita in terrazza a leggere il maestro e Margherita, è stata la prima volta che ho preso un po' d'aria da quando sono in quarantena. non ne posso più, l'idea che possano prolungarla oltre il 3 aprile mi terrorizza. è una domenica che non finisce più. quando tutto questo sarà finito un sacco di piccole cose che prima erano insignificanti avranno un sapore nuovo.
giorno 4
ho fatto 23 minuti di workout, seguendo un video su youtube, ho sudato come un maiale calabrese ma devo dire che mi sento bene. oggi sono più positiva, ho fatto le meringhe con mio papà, con gli albumi rimasti dal tiramisù che ha fatto la mamma, se riesco a distrarlo anche per dieci minuti da quello che sta passando per me va bene. la parte più brutta è proprio quando si fanno le due di notte e resto sola con i miei pensieri, nessuno con cui parlare, un po' mi viene da piangere ma non ci riesco mai.
giorno 5
oggi ho rimandato la sveglia quattro volte, mi sono allenata e i miei addominali chiedono pietà. io odio la domenica, è il mio pretesto per non fare nulla, non ho nemmeno voglia di aprire un libro per studiare. è bello però vedere come tutti gli italiani siano uniti su certe cose, tipo la pizza il sabato e il dolce la domenica a pranzo. mi mancano le mie amiche. guardavo un video in cui da un balcone cantavano ma il cielo è sempre più blu di rino gaetano e pensavo a quanto questa cosa possa far sentire meno sole le persone anziane che vivono sole. non credo di essermi mai sentita cittadina italiana quanto in questo momento storico.
giorno 6
oggi va un po' meglio, pensavo sarà bello tornare ad uscire a vedere i tramonti, ad abbracciarsi e a darsi baci, tornare a vedere il mare e sentire l'acqua fredda dei primi giorni di giugno, sarà bello incrociare i vecchietti per strada, quelli che salutano sempre anche se non ti conoscono, sarà bello prendere quei mezzi sempre in ritardo, saranno più buone le birre prese in compagnia e i caffè presi da soli, sarà bella anche la scuola, saranno belli i contatti umani e tutto avrà un sapore più dolce perché siamo in tempi di privazioni e sacrifici.
giorno 7
è passata una settimana che sembra essere durata un mese, cosa resterà mi chiedo di questi giorni sospesi? mi chiedo se quando tutto questo sarà finito tornerà tutto come prima o inizieremo a vivere davvero la vita. un giorno dei libri di storia parleranno di questo, un giorno avrò figli e nipoti a cui raccontarlo, un giorno qualcuno da questa situazione tirerà fuori un film un libro o una serie.
giorno 8
è interessante come una cosa così stupida come dover fare un video mi spinga a prendermi cura del mio aspetto che in questi giorni sto trascurando particolarmente. per assurdo parliamo meno ora che abbiamo entrambi più tempo rispetto a quando avevamo le giornate piene.
giorno 9
assurda questa cosa che la notte vado a dormire senza avere sonno e la mattina mi sveglio con la necessità di dormire altre 10 ore. mia mamma ha tirato fuori la wii e gioca con i miei fratelli da ore ormai, mi sembra di essere tornata a dieci anni fa. oggi è la festa del papà, ho rivisto delle vecchie foto dei miei genitori in un album papà scattava un sacco di fotografie alla mamma, come se non volesse dimenticare quanto lei fosse bella e quanto loro fossero felici, chissà quando questa cosa ha smesso di essere. è bello come a migliorarmi una giornata basti un tweet di uno sconosciuto che dice che diventerà padre, in che mondo strano nascerà questo bambino, però che bello che la vita continui.
giorno 10
oggi la giornata è iniziata bene, ho ascoltato l'album di Conan Gray e lo trovo bellissimo, ho visto un film e studiato quasi tutto il pomeriggio, e sono stata due ore al telefono con un amico prima di andare a dormire. niente di speciale insomma.
giorno 11
oggi mi sento stanca, il che è assurdo perché sto tutto il giorno a casa senza fare nulla che non sia studiare, guardare film, suonare, leggere, allenarmi mezz'ora o quarantacinque minuti al giorno. oggi però non mi sono allenata e mi sento un fallimento perché sono chiusa tutto il giorno e se prendo questa piega la mia salute mentale avrà delle conseguenze. nella strada di casa mia non passano più macchine, questo silenzio è surreale. guardo l'orologio, sono le 22, io a quest'ora dovrei prepararmi a passare un altro noiosissimo sabato sera con di provincia, dovrei mettere un filo di eyeliner, storto, come sempre è storto, dovrei l'idea di lasciare la casa per espormi al freddo e al vento, metterei il mio rossetto rosso scuro e odierei l'idea di fare conversazioni inutili, salutare gente che non mi conosce nemmeno, tornare a casa e andare a dormire con la consapevolezza che ho passato un sabato sera normale, nulla di speciale. invece sono qui, ad aspettare il comunicato del presidente del consiglio e a rimpiangere la monotonia dei miei sabati sera.
giorno 12
oggi ho tagliato i capelli a mio papà, abbiamo fatto aperitivo in salotto e decluttering di un armadio, per un momento questa domenica ha avuto un senso. cerchiamo i modi più disperati per intrattenerci in questo periodo difficile.
giorno 13
sono esausta, i miei nervi stanno cedendo. non so chi ha detto che scrivere prima di andare a dormire aiuta perché io stamattina non mi sento affatto meglio.
giorno 14
ufficialmente due settimane chiusa qua dentro, senza un adeguato sistema scolastico, con le lezioni che si accumulano e i compiti che aumentano. i professori non capiscono che anche avendo relativamente più tempo non siamo in vacanza. siamo in una situazione nuova che anche noi fatichiamo a definire, una situazione a cui ognuno di noi risponde in modi completamente differenti.
giorno 15
ennesimo giorno di pioggia speso davanti a un computer di plastica chiusa in questa bolla. non succede mai nulla di buono dopo le due di notte ma nemmeno prima e quindi sono qui a farmi foto allo specchio mentre mi lavo i denti e a pretendere orgoglio ignorando i tuoi messaggi
giorno 16
erano le 18.25 e stavo studiando seduta sulle scale per il troppo rumore, mamma mi dice studia nella mia stanza che io sto andando a cucinare e allora mi sono seduta sul suo letto e mi sono messa a piangere forte. non lo so perché piango ma in questo momento mi sembra la cosa più naturale da fare. è che non ce la sto facendo più, sono stressata, sono nervosa, rivoglio la mia vita, non ci riesco a sentire mio fratello suonare la batteria, non riesco a stare concentrata sui libri, non riesco a litigare con mia sorella, non riesco a stare sempre in queste quattro mura, non riesco a sentirmi così sola e così vuota e inutile ogni santo giorno. non ce la faccio più. basta.
giorno 17
assurdo come l'ansia per un compito in classe scritto su carta si sia trasformata nell'ansia per un compito tutto digitale, ansia di come rendere il tutto il più credibile possibile, ansia di non farsi scoprire mentre si copia, ansia che il computer si spenga improvvisamente e tutto vada perso.
giorno 18
mi tengo occupata per distrarmi dall'ansia. mi sono abituata a questa routine così statica e noiosa, in cui gli eventi più banali diventano importanti solo perché nuovi.
giorno 19
quanto ancora dovrò aspettare per svegliarmi una mattina e scoprire che nella notte hanno sconfitto l'ultimo caso, che siamo tutti liberi che è andato tutto bene e ce l'abbiamo fatta?
giorno 20
oggi giornata iniziata tra cattivo umore e nervosismo. mi hanno definito la sintesi tra amelie poulain e lady bird non credo ci sia qualcosa di più azzeccato. pazzesca questa cosa che se facciamo tutti un piccolo sacrificio si ottiene un cambiamento anzi un miglioramento, se lo facessimo anche per altre cause e anche senza essere costretti certo che forse cabieremmo davvero il mondo. uno dei momenti più belli di questa quarantena è stato suonare oggi pomeriggio con mio papà la canzone del sole, lui alla batteria e io alla chitarra.
giorno 21
sei andato via pure tu, che questa sia l'ultima volta, l'ultima davvero che faccio questa cazzata. perché piango allora se è una cosa che sapevo già? probabilmente un giorno che sicuramente non è oggi ci troverò un lato positivo come è mio solito fare in tutte le cose. meno male che sono a casa così nessuno mi vedrà triste, dall'altra parte però ci sono così poche distrazioni qui che finirò per pensarci e ripensarci. il mio cervello continua a elaborare possibilità ipotetiche, scenari futuri, rimorsi del passato quando invece dovrebbe metterci un punto, chiudere il capitolo cambiare pagina. spiegami adesso come farò ad ascoltare la mia musica se metà me l'hai consigliata tu?
giorno 22
questa giornata si affronta con un album di De Gregori e con un diffusore per capelli, c'è bisogno di ristabilire certezze e di cambiare. ci mancava solo il ciclo, che stavolta ha portato con sé una serie di spilli che mi lacerano l'addome.
giorno 23
oggi ho rivisto la vita di Adele, è stato bello. Mi sento persa come Adele nei primi piani da 15 minuti in cui mangia, fuma o piange, sento come lei di non essere in grado di lasciare andare veramente una cosa nemmeno quando mi viene sbattuta in faccia la realtà.
giorno 24
oggi sono stata produttiva, ho studiato, suonato, mi sono allenata, ho messo in ordine i libri. mi fa bene tenermi occupata, non pensare a ciò che mi fa stare male, riempire le mie giornate di cose.
giorno 25
è quasi passato un mese eppure sembra passata contemporaneamente una vita e un attimo. quando ne usciremo?
giorno 26
nessuno di questi giorni sembra avere un senso ma la domenica ancora meno, per fortuna ci sono gli aperitivi di mio papà.
giorno 27
ci sono giorni come questo in cui mi sento così inefficiente e improduttiva, sempre distratta e con la testa altrove incapace di portare a termine ogni cosa che dico di voler e dover fare.
giorno 28
sono stanchissima era vero che la primavera mi avrebbe allungato le giornate per farmi soffrire il triplo. appena usciamo da qui vorrei andare a prendere le mie amiche e abbracciarle fortissimo per poi ubriacarci fortissimo e avere altre storie da raccontarci il giorno dopo.
giorno 29
non riapriranno le scuole. vorrei che tutto questo fosse uno scherzo, che l'articolo fosse uno sbaglio, che ci fosse ancora una speranza, che il 4 marzo non fosse stato il mio ultimo giorno di liceo. io mi meritavo il mio ultimo giorno di scuola a giugno, mi meritavo di fare l'esame di maturità e poi andare a mare, mi meritavo di vedere gli esami della mia classe, mi meritavo gli ultimi momenti divertenti e quelli tristi con loro, mi meritavo anche le incazzature e le giornate no, le sigarette prima di entrare a scuola, il caffè schifoso della macchinetta, il corso di teatro, il caldo di maggio, le assemblee, mettere la mia firma sul libretto delle assenze, saltare un giorno con le mie amiche, la cena di fine anno, i bigliettini passati all'ultimo momento, i compiti consegnati senza sapere come è andata, le risate in corridoio e il suono della mia ultima campanella.
giorno 30
mi piace pensare che in un universo parallelo stamattina mi sono svegliata presto per andare in una città lontanissima dalla mia, che mi sono fatta tre ore di autobus e appena sono arrivata in stazione ti ho mandato un messaggio su whatsapp con il cuore a mille, sperando di averti fatto perdere un battito. mi piace pensare ad a che mi abbraccia fortissimo e mi porta nei suoi posti preferiti, mi piace immaginare che mi sono vestita e truccata per la festa di compleanno di emme e che è stato un po' più speciale di qualsiasi altra volta. mi piace pensare che abbiamo bevuto tanto, fumato un po' e riso moltissimo, che mi ha presentato i suoi amici e non mi sono sentita in imbarazzo. mi piace pensare che a un certo punto sei arrivato tu e ci siamo stretti fortissimo, che sei un po' più alto di quello che immaginavo e che hai un profumo buonissimo, che siamo rimasti abbracciati e che poi ti ho guardato negli occhi e ti ho detto ciao, finalmente.
giorno 31
esattamente un mese che siamo in questa situazione e staremo ancora così per altri ventitré giorni. ho fatto una lista delle cose che vorrei fare poi, mi aiuta a pensare che questo periodo è destinato a finire, che sarà solo una parentesi nelle nostre vite che in qualche modo ci ha influenzati tutti.
è mezzanotte e diciannove e io e papà stiamo ridendo da circa dieci minuti guardando degli agnelli di pasta di mandorla brutti. questa quarantena ci sta facendo psicologicamente male.
giorno 32
stanattina ho giocato con il mio gatto e ho preso il sole in terrazza tra le api e i fiori mentre leggevo un libro, la giornata è iniziata bene.
certi giorni vorrei solo avere un giradischi per ascoltare la mia musica triste mentre guardo fuori da una finestra di notte.
giorno 33
una Pasqua un po' più triste quest'anno, però mi sono vestita e truccata presa da non so quale voglia di rinascita come i fiori che sono spuntati in terrazza.
giorno 34
una pasquetta inaspettata passata a grigliare la carne in terrazza ascoltando la mia playlist vintage. l'anno prossimo penso che mi ubriacherò il doppio per compensare possibilmente con le mie amiche.
giorno 35
sarebbe mentire dire che non ci ho fatto l'abitudine, sarebbe anche mentire dire che non mi manca niente e che mi basta sapere che stando seduta sul divano salvo il mondo per aumentare i miei livelli di serotonina. ho travasato le mie due piantine grasse in un vaso più grande I'm modo che abbiano più terra, più spazio, più nutrienti, per farlo ho sfrattato una famiglia di lumachine da un sottovaso credendo fossero morte, vederle strisciare lentamente alla ricerca di una nuova casa e osservare le mie piantine nella loro nuova casa mi ha fatto pensare che a volte ci vuole solo tempo. ci vuole tempo per guarire una ferita, bisogna solo aspettare, ci vuole tempo per abituarsi a una nuova realtà, il tempo è ciò che ci fa crescere e imparare.
giorno 36
non so come ho convinto stamattina il mio corpo ad alzarsi alle 7.45 per fare lezione.
giorno 37
vorrei non avere più sonno, vorrei svegliarmi una mattina e non sentire più parlare di covid
giorno 38
hai presenta la pasta delle caramelle? ecco questa è la mia concezione del tempo in questi giorni.
giorno 39
da lunedì fallirò anche nell'essere produttiva.
giorno 40
okay bene sono passati quaranta giorni e questa realtà è ancora troppo dura da accettare, il tempo non torna indietro e 18 anni non li avrò mai più. è indicibile quanto mi sto perdendo in questi giorni.
giorno 41
sono venti giorni da quando siamo rimasti solo amici, venti giorni e io continuo ad essere legata a te ma con distacco, ti penso ancora si ma sono proiettata avanti, alla fine di questa quarantena, alle cose che mi aspettano. magari un giorno verrà un tempo per me e per te.
giorno 42
da questa quarantena ho imparato che puoi avere zero distrazioni quando hai bisogno di distrarti da un pensiero specifico e mille distrazioni quando devi concentrarti su una cosa sola.
giorno 43
sono uscita di casa per la prima volta dopo un mese e mezzo, è stato un insieme di emozioni strane, il silenzio surreale, l'assenza di persone per le strade, i gatti, la bottegaia con la mascherina, la mia mascherina azzurra da medico che mi fa appannare gli occhiali e sentire stupida, e pensare che questa, tra venti giorni, sarà la nostra quotidianità.
giorno 44
ho fatto merenda con mia sorella ed è stato bello, è stato come incontrare un'amica al bar. non so se sia l'aria primaverile o altro ma a me non va di fare nulla.
giorno 45
è incredibile che manca solo una settimana alla fase due e ancora nessuno sa in cosa consisterà di preciso, girano voci molto positive in cui si dice che sarà addirittura permesso riunirsi in casa e uscire senza un valido motivo e altre secondo cui non cambierà nulla.
giorno 46
forse una delle cose che che ho imparato durante questa quarantena è che va bene giustificarsi perché è un periodo difficile ma non va bene quando diventa una scusa, a volte è necessario spingersi un po'.
giorno 47
mi chiedo quando torneremo alla normalità, quando potrò prendere un aperitivo con le mie amiche, fumare una sigaretta al tramonto, ballare in una piazza piena di gente, tornare a fissare gli sconosciuti per strada o prendere un caffè al bar, va bene, non sarà il quattro o il diciotto maggio, ma almeno il primo giugno mi voglio illudere che qualcosa cambierà.
giorno 48
vorrei morire, no vabbe questa vita non è poi così male, ma ho bisogno di sapere quando usciremo, non posso vivere nell'incertezza, ma si sta bene anche in casa dai, mi viene da piangere, però questo meme mi fa molto ridere, ho paura del futuro forse dovrei prendere qualche decisione, ma se non so nemmeno quando arriverà questo futuro, ho fame, sono grassa, devo dare un senso a questa giornata che sono le cinque e non ho ancora fatto niente di utile, ok questo non è vero ma devo fare qualcosa lo stesso, non riesco a raggiungere i miei obiettivi, sono un fallimento, ho sonno, non ce la faccio più, non devo stare al telefono, dal quattro maggio vado a correre da oggi sto a dieta, o era da ieri?
sì, ho il ciclo.
giorno 49
avevi ragione tu, siamo sotto lo stesso cielo.
mi piace ballare in bagno mentre mi lavo i denti, anche senza essere ubriaca.
giorno 50
provo una strana euforia mentre vado a comprare il riso basmati in bottega, sarà il sole e l'aria sottile dopo il temporale, sarà la solitudine e il silenzio tanto agognati in questi giorni, sarà la sensazione di liberazione dopo l'ultima versione di greco della mia vita.
giorno 51
non voglio combattere, voglio solo uscirne viva e uscire al più presto da questa casa.
giorno 52
mi viene da piangere se penso che questi sono gli unici diciotto anni della mia vita e io non li vivrò come avrei voluto. niente viaggi, niente concerti, niente amici, niente maturità, niente notti in spiaggia, niente albe post discoteca, niente sbronze, niente cazzate, niente risate, niente regionali sporchi.
giorno 53
mi chiedo se la mia sia paura di ritornare al punto di partenza o paura di lasciarlo.
giorno 54
alla fase due che verrà domani, alla speranza che non ci sia mai più una fase uno.
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andreas29-runandfun · 6 years
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La mia mistica Maratòn Valencia Trinidad Alfonso 2017
Che maratona quella di Valencia! Sono già passati diversi giorni, eppure il senso di gratificazione, gli “animo, animo” e i “campeones” del pubblico, i riflessi del sole sugli edifici storici, riecheggiano ancora intensamente nella testa e nel cuore.  
Fino all’estate non avevo un grande stimolo a correre questa maratona, non sentivo una particolare attrazione per la città e per la Spagna in generale. Ciò mi risultava strano perché uno dei viaggi che ricordo con maggior piacere è stato quello post laurea, in Andalusia insieme al compagno di studi e amico Marzio. Anche i week end a Madrid, i viaggi di lavoro a Barcellona, le vacanze alle Baleari mi erano tutti molto piaciuti, eppure, per la Maratona di Valencia non sentivo una grande attrazione. Hanno deciso la mia partecipazione Stefania e i suoi amici, io con grande resistenza ho… ceduto. A metà agosto ho organizzato la trasferta e mi sono concentrato sulla preparazione formulata dal grande coach e amico Marco Boffo.
Quest’ultima è stata molto diversa dalle precedenti e anticipata da un buon numero di chilometri a bassa intensità intervallati da una gara al mese sui 30 km in montagna, non proprio dei trail, ma quasi. Questa fase credo sia stata molto utile sotto diversi aspetti tra cui l’aumento di forza specifica, sempre un’area critica per gli amatori vecchietti come me. Durante le ultime 12 settimane ho continuato a gareggiare molto più del solito, con mezze maratone e ancora gare di 30 km, non ho invece corso lunghi lenti né ripetute brevi e veloci. Vado però ora al dunque, il week end della maratona: partenza il 17 novembre, venerdì, giorno nero per molti, positivo e ricco di significato per me, per le mie origini, per i valori che mi sono stati trasmessi. Oggi mio padre avrebbe compiuto 85 anni e ci penso con intensità. Cosa direbbe sapendo che parto per la Spagna per correre la mia decima maratona? Lui, fiero di essere (più che esser stato) Alpino, sa qual è il valore della fatica ma, questa della maratona, senza un apparente scopo specifico e tangibile, come lo considererebbe?
Prima di partire corro l’ultima corsa lenta di 6 km, faccio colazione con un bel piatto di pasta e delle proteine e via con tutto il gruppo verso il Marco Polo di Venezia. Un paio di panini, uno scalo a Madrid, mezz’oretta di taxi e lasciamo le valigie in hotel a 500 metri dalla Ciutat de les Arts i les Ciències. Una breve camminata, il tempo per rimanere con il fiato corto per la bellezza architettonica dell’area, qualche foto e siamo dentro all’Expo per il ritiro del pettorale. Incrociamo i pacer, rubo una foto a uno di loro che sta provando lo zaino e l’asta con cui correrà domenica con il vessillo che indica 3:00. Dentro di me mi chiedo se “sarà la volta buona”, perché in effetti è dall’autunno del 2015 che credo di essere pronto per andare sotto le 3 ore e non ci riesco per mille motivi diversi.
il giorno dopo facciamo un po’ i turisti, mangiamo paella e pasta e, presto, la sera presto andiamo tutti a dormire. La mattina della gara facciamo colazione e con sommo piacere ci diciamo tutti: non male poter stare in camera fino alle 8:00 e poi uscire dall’albergo per entrare nel blocco di partenza percorrendo soli 20 metri, proprio come a NY 2 anni prima, quando abbiamo fatto la maratona ancor prima di iniziare a correrla!
Saluto gli amici, un bacio a Stefania con l’augurio reciproco di divertirci e via per un breve riscaldamento in griglia, poco ma sufficiente per avere caldo e indurmi a togliere il pile che avevo indossato; lo lascio a terra a beneficio di qualcuno che ne avrà più bisogno di me con l’arrivo della stagione fredda. Pochi minuti di attesa e ci siamo: partenza. Il clima è buono in termini di temperatura (circa 10°) e umidità, c’è però anche il sole, che io temo particolarmente.  Dallo sparo alla mia partenza vera e propria mi sembra passi qualcosa più di un minuto. Dopo poche decine di metri siamo sul ponte d’avvio gara e componiamo un bel serpentone. Trovo abbastanza spazio mantenendomi sulla sinistra, scelgo anche di fare qualche metro in più pur di mettermi comodo. Il primo km va via in 4’13”, sono contento perché mi sento sciolto e l’andamento della frequenza cardiaca non fa scherzi. Mi sono dato, come spesso accade, qualche blocco di frazionamento della gara, pensando solo a quello e non ai 42 km complessivi: frazioni di 5 km da correre in 21’15” e frazioni di 14 km da chiudere in un po’ meno di 1 ora. All’inizio del secondo km c’è una curva che gira dalla parte in cui mi trovo io, a sx e inizio a sentirmi “stretto”… dopo un po’ la situazione migliora, ma verso il 5° km la situazione si ripete a una rotonda che nuovamente va a sx, sulla dx c’è il mare, ma io non me ne accorgo perché sto attento a trovare il mio spazio per correre. Sento che sto bene e mi sento comodo con il ritmo impostato: i primi 5 km si chiudono in 21’12” (official time) e la FC è sotto controllo a 155. Io mi sono dato l’obiettivo di stare qualche punto sotto i 160, possibilmente fino a un po’ dopo la mezza; essere così sotto pur mantenendo il ritmo medio di 4’15”, mi fa stare tranquillo. In questa prima frazione la strada sale un po’ ma non me ne accorgo. Il pubblico è presente ai lati ma io non ci faccio troppo caso anche perché, pur numeroso, non è né come a Londra, né come a New York o a Berlino. Non ho l’aspettativa di trovare un clima particolarmente caloroso. Percorro un viale alla fine del quale c’è un tornante, il percorso va a ritroso, siamo in Avinguda dels Tarongers. Prima di fare l’inversione sull’altra corsia, vedo David, non riesco a capire bene quanto più avanti di me si trovi, ma non mi sfiora minimamente l’idea di fare riferimento a lui, sono solo ammirato del fatto che stia andando a un ottimo ritmo. Verso la fine del viale, quando ancora vedo le persone nel flusso opposto, cerco di vedere Stefania e Irene, ma so che è abbastanza improbabile che ciò accada perché sono partite un bel po’ dopo di me. Al nono km circa, altre 2 curve a 90° a sinistra, la strada qui si mantiene un po’ più larga e non ho particolari difficoltà a mantenere il passo. Prendo il primo gel, bevo un po’ d’acqua, così come avevo fatto al ristoro del 5° km e vedo Titti con Alex il suo bimbo di pochi anni. È un’immagine di pochi istanti ma per me preziosa, gioiosa e solare, mi fa sentire bene. Riusciamo a salutarci e via… ancora un colpo d’occhio alla frequenza cardiaca e ancora 155: bene, sono contento, si chiudono i secondi 5 km, 42’12”, ottimo, sono un po’ in vantaggio rispetto alle 3 ore! Avanti ancora verso nord fino al 13° km e ritorno verso sud girando all’interno di una rotonda. Siamo prossimi a verificare di essere sotto l’ora del 14° km: 58 e 50 secondi circa. Il Garmin segna una settantina di metri in più rispetto alla distanza indicata dai cartelli, ragion per cui guardo il cronometro in prossimità di questi ultimi e non il dato dell’autolap. Intorno a me in questa zona c’è un bel po’ di gente, mi da l’idea che ci sia vero interesse per ciò che sta succedendo a questi 19.000 intenti a correre per 42 km di fila, sensazione simile a quella che ho provato lungo la riviera del Brenta in occasione della Maratona di Venezia di un mese prima. Sono contento! 1 ora 3’10” al 15° e ancora grande facilità di corsa. Il sole da me temuto è attenuato abbondantemente dai palazzi e dagli alberi e mitigato da un po’ di vento che aiuta a mantenermi fresco. Poco più avanti incontro nuovamente Titti che saluto a pollice alzato e braccio della mano opposta rivolto verso l’alto come per dire che va bene e sono lucidamente presente! Non me ne accorgo ma in questo momento lei mi scatta una foto che esprime veramente questo mio “steady state”(http://bit.ly/2iQ7VQC) …penso che tutto sta andando bene e che oggi “deve” andare bene fino alla fine, ho corso almeno 7.500 km nel tentativo di andare sotto le 3 ore, obiettivo che sento mio senza un perché specifico, senza la possibilità di vincere qualcosa, senza essere il primo in una qualche classifica. Ma lo voglio. Per me è una sfida interiore che esprime un senso di scopo, un po’ come nelle culture antiche il sacrificio per gli Dei: la mia fatica e l’impegno per raggiungere questo traguardo è un modo per mettermi in pacing con le ormai tante persone a me care che non ci sono più e che mi mancano. Spesso mentre corro le maratone mi trovo a dialogare con loro, in particolare con mio padre e con Corrado, collega e amico che ha lasciato un anno e mezzo fa una moglie e due bambini dell’età dei miei. Con la piccola Hyba. Con Massimo. Con Tatiana. Con tanti, purtroppo, altri. In questi chilometri, dopo che ho visto per la seconda volta Titti, anche lei toccata fortemente quest’anno, sono affiorati puntuali, forti, vivi, questi pensieri. Oggi però è diverso dalle altre volte, oggi sento che andrà bene e potrò condividere anche con loro l’impresa!
Al 18° km, torno in contatto con la realtà che mi circonda e, con sorpresa prima vedo e poi raggiungo i pacer delle 3 ore, sono in 2. Ho un momento di sbandamento: io sono in vantaggio sulle 3 ore, perché ora raggiungo ora i pacer? Stanno andando troppo forte? Pochi istanti e realizzo che sono partiti davanti, allo sparo, io un po’ più indietro e il mio recupero equivale alla differenza tra gun time e real time. Il pensiero immediatamente successivo è stato prudenziale: se sto con loro certamente faccio il mio tanto atteso sub 3 ore. Decido quindi di rallentare il mio passo di quei 3 o 4 secondi al km per rimanere con loro e con il gruppo nutritissimo di runner che vanno allo stesso ritmo. Nei 2 km successivi ci sono diversi cambi di direzione, curve a novanta gradi con strade non particolarmente larghe. L’affollamento intorno a me m’infastidisce ma rimango concentrato sulle sensazioni che mi rimanda il corpo. Sono ancora molto buone, FC 157, caldo poco, cadenza di passo prossima a 190: tutto molto bene! Ormai siamo alla mezza, altro check importante: 1:28:50, oh yeah, c’è margine. L’entusiasmo per il cronometro è un po’ smorzato dal fatto che il traguardo è indicato solo dalle strisce a terra della misurazione cronometrica e da nessuno striscione o gonfiabile, peccato, mi sarebbe piaciuta maggiore evidenza, è pur sempre il giro di boa, il secondo inizio. Io comunque mi sento pronto a correre un’altra mezza maratona a un ritmo che mi risulta facile, mio, quello che sto tenendo in questa fase.  Al 22° lambiamo la marina di Valencia, sede di qualche America’s cup, uno degli eventi che hanno ridato vita alla città, neanche il tempo di accorgersene e siamo nuovamente in zona Ciutat de les Arts, il pubblico è ancor più numeroso rispetto alla partenza, sono circa le 10:10, il sole è alto e proprio alle nostre spalle. In questa fase si va verso nord ovest, in un leggerissimo dislivello positivo (questo lo vedo solo a posteriori dalla traccia GPS, non lo percepisco), con poca ombra e le strade non molto larghe. Mi trovo, quindi, tra il 24° e il 27° km a fronteggiare le prime preoccupazioni. Io soffro il sole, già due volte in pochi chilometri nelle maratone di Milano 2016 e Venezia 2017, mi ha messo in crisi. Sto, quindi, particolarmente attento a cercare la poca ombra ai lati della strada e a non alzare troppo la FC: 158 – 159, gestisco e mi curo di non rallentare troppo. Ci riesco perché rimango con i pacer senza difficoltà. Entriamo in centro storico e percorro i miei 2 km più lenti a 4’21” e 4’25”, qui non sono certo che il GPS “veda bene” e non mi preoccupo, le strade sono strette e io non ho lo spazio che vorrei per correre, mi trovo spesso a dover accorciare il passo per non far cadere altri runner e sto attento di non cadere pure io. Al 28° sono sull’ora e 58, penso che potrò amministrare con un buon margine, ora la fatica è un po’ più intensa ma ampiamente sopportabile. Al trentesimo 2 ore 07 scarsi. Prendo il terzo gel e viste le condizioni buone ipotizzo di non prenderlo al 40°. Al 33° cambiamo direzione puntando verso l’arrivo, proprio mentre giriamo a sinistra, uno dei due pacer si porta a bordo strada, è a un metro da me, lo riconosco bene, è quello che ho fotografato il giorno prima e al quale avevo fatto riferimento: io devo arrivare prima di te domani! Non avevo però ipotizzato che potesse ritirarsi così come stava facendo a due passi da me. Il suo compagno 50 metri dopo si gira per cercarlo, non lo vede, rallenta, gli dico che si è fermato, non mi capisce, lo aspetta ancora un po’ perdendo 20 metri rispetto a me, poi riprende il ritmo, mi raggiunge e mi sopravanza di una ventina di metri: ho “rotto il ritmo” e sta strappando. Io rimango tranquillo, so correre tenendo il mio ritmo. Ora non pongo più attenzione forte all’andamento della FC, so che quanto mi manca all’arrivo in termini di tempo è per me gestibile anche sopra la fatidica soglia: ora la mia prossima meta sono i 39 km e Plaza de Toros, so che da lì sarò anche aiutato da una leggera discesa. Passano i 35 km, sempre in gruppo e con il pacer, gestisco bene i chilometri successivi, arriva l’arena dei toreri: ora non ci sono più dubbi, il sub 3 ore sarà mio! Il pubblico aumenta, gli incitamenti pure, energici, vivi, rumorosissimi, allegri: animo, animo… campeoooness, campeeoooness…. Vamos, vamos…. Bambini, adulti, anziani, famiglie, c’è tanta Valencia sulle strade, tanta Spagna. Io sono contento, non sento la fatica, già assaporo l’arrivo. Ma il godimento è lungo tutti gli ultimi chilometri che ancora mi separano dal traguardo. Le persone per incitare invadono le strade, ma contrariamente a prima, il fatto che si assottiglino non è un problema, ora lo spazio per correre rimane abbondante perché molte persone hanno perso il contatto con il pacer e perché, comunque, prevale la forza del calore che le persone mi stanno generosamente e genuinamente offrendo. Sono contento, molto contento. Voglio chiudere in up, prendo anche il 4° gel al 40°, lambiamo il parco, ex letto del fiume, ora paradiso per i runner locali dove possono correre in totale sicurezza ad ogni ora del giorno e della notte. La strada scende ancora un po’, la abbandoniamo, entriamo nel parco che si fa stadio, tanta è la gente che assiste al passaggio dei maratoneti, il palazzo delle arti Reina Sofia, mastodontico, si apre come una conchiglia davanti a me, ne rimango affascinato come era già successo i giorni prima, ma questa volta la prospettiva è diversa e mi sembra ancor più bello e imponente. Siamo alla fine. L’ultimo chilometro è segnato ogni 100 metri, mi ricorda i cartelli delle yards del Birdcage Walk e del Mall di Londra, prima di quel memorabile traguardo. Quando mancano 400 metri, mollo i freni e vado, sento che sono abbondantemente sotto i 3’50” al km ma non guardo l’orologio, lo spettacolo è fuori, le sensazioni non sono hi tech da GPS, sono tutte mie, dentro, hi touch, umane, è così che voglio chiudere questa maratona. Ecco il tappeto blue, ecco che vedo le tribune, sento la musica, vedo il real time nello schermo davanti a me: anche quello segna il 2 come prima cifra. Anche il pacer sopravvissuto è dietro di me! Real Time 2:58:48, ho ottenuto l’obiettivo che mi sono posto nel 2015, due anni abbondanti fa. Ho perseverato, ho faticato, ho sbagliato, ho perso anche la fiducia, ma oggi l’ho fatto. Anche questo, per dimostrare che volere è potere, che gli ostacoli vanno superati, che senza sofferenza non si ottiene ciò che si desidera, che ci si deve porre i giusti ambiziosi ma non impossibili traguardi, che impossibile però non deve essere una scusa, anche per questo corro la maratona. Per questo volevo il sub 3 ore. Per questo e per altre cose, come uno sguardo verso l’alto dopo il traguardo, dopo aver ottenuto il mio obiettivo, che corro la maratona. Verso l’alto, verso persone care, verso il futuro che voglio vivere con la mia famiglia, i miei cari, gli amici, le persone che continuano a riempire la mia vita anche se non ci sono più, che danno senso di scopo al fluire dei giorni. Alla vita.
…mi rifocillo velocemente dopo il traguardo, incrocio David che ha fatto un eccellente 2:52, vado a farmi la doccia e torno in prossimità del traguardo per aspettare Stefania. Quando la vedo, la chiamo, si accorge con un po’ di ritardo di me, decide di tornare indietro per salutarmi con un sorriso di sollievo che spazza via una tensione sul viso che mi lascia intendere che ha molto faticato. Sono contento di vederla tagliare il traguardo della sua quarta maratona, anche per lei il miglior tempo di sempre anche per lei un’impresa che ha un significato più profondo rispetto al solo gesto sportivo. Viva la corsa, viva la maratona, viva la vita! (http://bit.ly/2jopEOu) 
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Sta andando tutto a puttane...
La mia salute, il mio futuro...la mia felicità...
Sto dimagrendo tanto...e grazie a questo il mio organismo si è "mal ridotto" e il ciclo mi è arrivato con 2 settimane in anticipo...
...non mi vedo in un futuro, io me ne andrò prima...perche lo so...so che tanto a nessuno importerebbe se me ne andassi...
Anzi sarebbero tutti al settimo cielo, specialmente il mio "ragazzo"...che in questo periodo stiamo avendo tipo una "pausa"...
E Cristo se odio sta cosa...tutte ci provano, gli parlano e gli stanno attaccate...e io? Haha, io soffro, piango come un'isterica...e mi faccio del male...si bhe, non proprio autolesionista che mi taglio...ma mi faccio del male in altri modi...tipo tirando pugni al muro, guardando i nostri video insieme...e a ricordare tutto quello successo con lui in questo anno...perche da una parte mi fanno stare bene...perche me lo ricordano...mi ricorda che siamo stati un noi...e che lo saremo ancora. Sarebbe felice...perché almeno avrebbe dei problemi in meno, potrebbe trovarsi subito un'altra senza che si "preoccupi" del fatto di farmi stare male lasciandomi...e poi sarebbe felice anche perché almeno non mi avrebbe tra i piedi con la sua nuova fidanzata... all'intervallo quando lo vedo con altre...piango, piango tantissimo e non m interessa essere davanti a tutti, essere presa in giro perché sono una lagna o cosa...come mi ha detto la mia prof "tu stai così tanto male, che non riesci neanche a fingere." Ed è vero...molte volte l'hanno scorso riuscivo a tenermi tutto dentro...ma adesso tutte le mie emozioni escono e anche se non vorrei...loro lo fanno...cerco di trattenermi ma non ci riesco, il dolore che provo è atroce...la persona che ti amava, che stava sempre con te...che era parte di te...si diverte mentre tu sei ridotta in questo modo...non è bello...no.
Questo ragazzo, questo dannato ragazzo...mi ha scombussolato la vita...e me la aggiustata cazzo...ha aggiustato me stessa, e cazzo se gliene sono debitrice...dovevo farlo felice, dovevo farlo diventare la persona più felice al mondo...per tutto quello che lui ha fatto per me...ma invece non l'ho fatto...io non l'ho fatto, lo facevo andare solo nei casini...e in questo periodo, l'ho capito...ho capito che sbagliavo...ho sbagliato completamente tutto con lui...e vorrei riniziare...vorrei viziarlo con tutto...anche con cose che non ho potuto dargli prima...
Lui...mi ha saputo saziare in tutto...mi saziava di baci...anche se sinceramente, non ne avevo mai abbastanza. MAI. Quando mi faceva arrabbiare...in quel momento lo odiavo hah, però lo amavo così tanto...cosi taanto. Merda raga io seriamente lo amo...mi ha completamente cambiata. Prima di lui, stavo con un ragazzo...ero in 2° media e lui in 1°...siamo stati insieme una settimana haha, stupido lo so...pero pensavo di amarlo per quanto stavo male...pero non era cosi...non l'ho mai amato. Ho capito di essere innamorata per davvero...quando ho conosciuto lui...il ragazzo di cui vi sto parlando tanto...lui che ce sempre stato...lui che mi amava davvero...perché essere innamorati significa...proprio questo...amare la persona giusta. Sapete cosa significa il sentimento AMORE?...bhe io si, e proverete quello vero...con quello giusto...e io l'ho provato e sapete una cosa? È splendido..ce quando parlo di lui, non capisco più nulla hah, divento rossa dal sorridere troppo, mi fanno male gli zigomi delle volte hah, mi piace cosi tanto parlare di lui...hah, non mi stanco mai seriamente. Anche quando sono arrabbiata con lui...ce sempre nei miei discorsi...sia brutti che belli hah. Se chiedete alle mie amiche...ho sempre il sorriso spiaccicato in faccia quando lo vedo hah. Tipo oggi, eravamo al campo da calcio...e io ero su con due mie amiche, e lui giù a giocare..su da noi, c'erano due bambini hah, sarà di 6 anni e Lele di 4 haha, ma apparte questo, ho chiamato la bambina e gli ho chiesto "vedi quel ragazzo con la maglia nero e rossa?"...mi ha risposto di sì, e gli faccio "vero che è bellissimo?"...e lei mi fa che da lontano non lo vedeva bene, però gli sembrava carino, e poi gli ho detto "si è bellissimo, te lo dico io...quando sarai grande dovrai trovarne uno come lui ok?"...e lei mi ha risposto di sì haha...io sono completamente pazza di lui...non sono ossessionata...pero ci sono quasi hahah...in questo periodo ho capito che non ce bisogno di vedersi tutti i giorni...di litigare tutti i giorni per cose banali...ho capito che anche se non lo vedi sempre...lui ce. Ce nonostante tutto...se dovessimo...ritornare come prima, non avrò bisogno di litigare tutti i giorni...di prendermela anche per le minime cose...se dovessimo ritornare, non m'importera che non potrà venire a casa mia...perche lo vedrò a scuola e questo mi basterà...mi basteranno anche le cose più piccole che come detto anche solo un abbraccio diventa felicita...amarlo davvero significa lasciargli anche i suoi spazi...e ho capito tutto questo molto tardi...
Vedere le coppiette che si baciano...che sono felici...mi ricordano molto noi...cazzo noi eravamo la coppia più bella...ci invidiavano tutti, perché ci amavamo davvero...e io ancora, dovrei fare invidia per questo...ma come detto in precedenza non importa a nessuno di me...perche lui era l'unico a cui importava davvero qualcosa della mia vita...l'unico con cui potevo essere me stessa...tutti dicono che magari, se ti innamori una seconda volta ti fa capire che puoi innamorarti ancora...ma conoscendomi e sapendo gia...morirei. Morirei...se dovesse finire tutto...e vi giuro su tutto...che me ne andrei...sarei come morta per le persone che ho attorno...ci sono ma non ci sono...non so se capite. Io non voglio perderlo cazzo...darei la mia vita...pur di riaverlo come prima...lui è sempre stato l'unico, raga...credetemi...piango dicendo tutto questo...perche sono tutte cose che provo davvero...e si forse è la prima volta che magari provo tutto questo...e non voglio provarne di seconde con altre persone perché io voglio lui...perché voi non potete capire quante cose sono successe in questo anno...non potete capire cosa abbiamo passato...una persona normale se ne sarebbe già andata...mi avrebbe lasciato già dal primo mese...pero lui non è normale, lui è pazzo...lo è sempre stato visto che è rimasto hah...e questo faceva crescere in me..qualcosa di inspiegabile...perche sapevo di piacere davvero a qualcuno...sapevo che non ero un'altra marionetta da prendere in giro...sapevo che mi amava davvero...per essere rimasto per così tanto tempo...mi ero già immaginata e ci eravamo promessi che quando ci saremmo sposati...avremmo fatto sosta alle panchine...perche è da lì che tutto è incominciato...ci siamo promessi di farci qualche foto li, da mettere nel nostro album...hah. Era così felice quando mi diceva che voleva sposarmi...stavamo litigando anche per questo, perché io volevo andarmene in Lamborghini e lui con la Benz hahaha...alla fine abbiamo optato per la Gucci Benz hah...lui rimane perfetto...lui rimane il mio tutto...e spero che sia felice...con la prossima...perche se è felice lui...si ok non lo sarò io...pero almeno non stara come me...e il dolore che provo e che proverò vedendolo con un'altra...non augurerei neanche a tutte le teorie che ci provano con lui...mai.
Io penso che...ce, innamorarsi di una persona sia la cosa più bella ma anche la tortura più brutale del mondo...perche ci saranno giorni, che sembri nelle favole...tutto va bene, tutto quello che ti sei immaginata si fa reale...poi arrivano i momenti di disperazione...tipo questo...dove sto per perderlo...e ovvio che...non penso ad un mio futuro...pero non è solo questo che me lo fa pensare...lo è anche il fatto dell'amicizia...perche tutti dicono "eh vabhe se finisci con il tuo ragazzo, avrai sempre gli amici"...bhe si se gli amici sono solo dei falsi ovvio che allora sarò felice.
Se l'amicizia significa una che non si degna neanche di farti star bene...una che ce solo quando gli pare...una che dopo un po che gli parli dei tuoi problemi si stanca...vuol dire migliore amica? Io non la penso cosi.
Io ce, non voglio essere modesta...per l'amor del cielo hah, però posso reputarmi una migliore amica perfetta...che quando stai male, venga anche alle 3 di notte passando dal Carrefour a prenderti il tuo dolce preferito e bibite gassate a go go...che quando hai bisogno di un abbraccio...c'è sempre...e non devi aspettare che finisca di scrivere o cos'altro...che quando vuoi dei piccoli bacini... (non in bocca haha)...non si sposta...
Secondo me essere migliori amiche significa dare anche quando non hai...
Aiutare il doppio quando stai male il triplo...
Tipo facendo un esempio...in sto periodo di merda...io ce ho sempre aiutato gli altri, non perche mi facessero pena o cos'altro...ma perché mi piace aiutare la gente e non m importa se non sto bene o sono depressa...questo di certo non mi fermerà a far felici gli altri...
Una mia amica, aveva litigato con il tipo...e non stava tanto bene...allora gli avevo proposto di uscire hah, e per farla felice gli ho comprato il suo dolce preferito, il donuts al cioccolato, e ci siamo divertite...ce almeno lei, sono riuscita a farla felice e a non fargli pensare a tutte le cose successe, almeno per quelle orette li...
Però a me...hanno mai chiesto di uscire, per svagarmi? Haha...no. Se non ci credete metto screen haha, sono sempre stata io a dire alle persone che avevo bisogno di uscire...perché loro non riuscivano a capire quando ne avevo abbastanza...di tutto.
Ce solo una mia amica, Vero...che diciamo fa di tutto anche quando non ha nulla...tipo quando siamo a scuola e dico "voglio il the com i wafer"...lei magari mi da i suoi ultimi soldi, per vedermi almeno un po felice...in quei pochi minuti di "colazione"...lei è sempre stata l'unica che c'era, quell'amica che t'invita a casa, come laltra volta che abbiamo preparato una torta...oppure per un pomeriggio intero fatto sul divano con netfilx hahaha.
La "migliore amica" che ho adesso...non l'ha mai fatto...si m'invita a casa sua...pero non mi diverto come con Vero..lei invece come l'altra volta, aveva 10€...e io continuavo a ripetere che volevo sempre quello, il the coi wafer...e non si è neanche offerta di prendermeli...oppure quando eravamo al mc, che avevo dimenticato per la prima volta i soldi a casa...non mi ha offerto nulla, neanche un panino piccolo o robe cosi, quando aveva già pagato mi fa "ah ma tu vuoi qualcosa?"...ce bho hah...vabhe
A casa, sono sempre da sola...ce ci sono tutti, ma sono da sola, idem a scuola...ci sono tantissime persone ma mi sento così sola...mi metto sempre nell'angolino quando ce l'intervallo, con le cuffie e la mia musica...
Vorrei anche una famiglia, che...quando sto male faccia di tutto...ce nel senso, una madre che sappia cucinare, una che quando ti vede giù di morale faccia come nei film, ti prepara una buona tazza di tè oppure una cioccolata calda con i marshmellow, in inverno, se estate...che ti prepara la tua torta preferita...o i biscotti, che ti prenoti un film e lo guardi insieme a te...sotto le coperte. Un papà che ti porti alle partite di calcio tanto per avere una bella giornata con lui...
Io sarò così quando sarò mamma...e avrei visto anche lui come papà dei miei figli, un papà stupido ahahha, però che sia dolce e carino, uno che avrebbe portato i figli allo stadio, per tifare tutti insieme il Milan, visto che e milanista hahah...uno che porta i propri figli al parco giochi...un papà che sicuramente non si sarebbe mai alzato di notte per cambiare il bambino o per dargli del latte no eh ahahua. Mi sarei dovuta alzare tutto il tempo io hahaa. Sicuramente avrà avuto dei problemi anche con il pannolino e altre robe ahahahahhahaha. Però l'avrei amato comunque...perche oltre a questi stupidi difetti, rimane perfetto...e si la perfezione esiste provate a conoscerlo...anzi no, è solo MIO, hahah.
Io penso che lui almeno un po...mi ami ancora hah...perché si preoccupa...
Lui sa quanto mi piacciano i suoi abbracci, e infatti...per farmi mangiare mi ricatta con quelli, mi dice "Se mangi quelli ti abbraccio"...so che magari può sembrare brutto pero sono felice di questo...perché sa che mangio per avere un suo abbraccio e mi aiuta...hah...lo amo...lo amo così tanto ragaa...
Eh vabhe...scusate per sto post...ma volevo sfogarmi un po...hah.
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Cronache di un caleidoscopio emotivo
Giorno 1: Quattro ore di storia non sono il massimo, ma alla fine digerisco anche quelle. E poi c'é Gesù vuole tornare al cristianesimo originario.
Giorno 2: Quella lezione é stata una delle piú belle che hai fatto da quando ti conosco, ne ricordo con la stessa meraviglia solo un'altra su Nietzsche. Non te lo nascondo e te lo dico: bellissima, davvero, quella lezione su Narciso. Davvero? Sai, anch'io penso sia bellissimo. E poi mi racconti di quei seminari su Kant che hai tenuto assieme all'altro genio, non posso non pensare che devono esser stati qualcosa di sublime.
Giorno 3: Primum vivere deinde philosophari, dici. Non lo so, punti di vista, so solo che da quella classe non ci vorrei uscire più.
Giorno 4: Leggo una tesina assurda, a cui seguono le chiacchiere su Narciso e su Marcuse, su Hegel e su Lacan, perché davvero lí dentro c'é di tutto.
Giorno 5: Sotto la pioggia mi racconti di lei. Penso che lo so già, ma sto zitta: viviamo nell'assurdo, non si può morire a diciannove anni. E poi - ti dico - continuo a pensare che quelle lezioni siano bellissime.
Giorno 6: Nel vano tentativo di studiare Schelling scopro che non fu poi tutto sbagliato e che qualcuno alla fine apprezzò. Se di quel libro me ne avessi parlato due anni fa forse sarebbe stato meglio, ma apprezzo lo stesso dai.
Giorno 7: Riesci a incuriosirmi parlando di polemos e di politica, di guerra giusta e di Agostino. Tra un'ora e l'altra penso che se ti avessi avuto anche in storia forse a quest'ora avrei un minimale kit di attrezzi per leggere un mondo che sta saltando in aria, o che quantomeno forse avrei un'opinione
Giorno 8: Non é un granché parlare di rapporto peso/potenza e cavalli motore, ma va bene lo stesso. “Vuoi storia o filosofia?” “no no, filosofia per piacere”, é intrigante provare a correggere sapendo poi di dover esser a propria volta corretta. E faccio conoscenza con la minus habens, anche se in realtà non mi sembra così male.
Giorno 9: Lezioni di lessico nautico e discussione sul perché si possa e sul perché non si possa parlare di “essenza” in Heidegger, non posso fare a meno di pensare che quel soprannome a volte sia davvero azzeccato: Socrate, o - simpaticamente - tafano.
Giorno 10: Penso a quanto sia squallida quella situazione. É proprio vero che homo homini lupus, però non pensavo che in una classe di liceo si arrivasse a tanto, povero mondo.
Giorno 11: Severino, Heidegger, Leopardi, la bellezza.
Giorno 12: A proposito della tragedia parli di quel culmine “che voi probabilmente pensate debba ancora avere luogo nella vostra vita, ma che forse magari é gia passato, anche se lo scoprirete solo alla fine.” Forse ė proprio così, magari il meglio é già passato, ma non lo sapremo se non alla fine.
Giorno 13: Spiegare non é facile, ma pensavo peggio. Alla fine peró resta una questione: il Tractatus é sensato o insensato?
Giorno 14: “Provate a pensarci, quando guardate negli occhi colui o colei che amate vedete nelle sue pupille il vostro riflesso. Narciso vi dice questo, che ogni amore non narcisistico é tragedia. E allo stesso tempo vi dice anche del limite che deve trovare il narcisismo affinché sia amore.”
Giorno 15: Scoprire che quel fenomeno ti ha fatto tre settimane di supplenza al liceo e ora é tuo collega, mi fa sorridere, ma c'é in questo un velo di bellezza. E poi tu, dopo tre anni di filosofia dici a quei ragazzi che la filosofia non può dir loro nulla e che la risoluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso. A tratti é poesia, anche se sul fondo percepisco un che di tragico.
Giorno 16: Ti dico che mi sono riletta la tesina e mi chiedi se stava in piedi. Rovescio la domanda, lo chiedo a te, e mi dici che si, a parte una cosa, il resto stava in piedi e che aveva fatto anche una bella impressione. La sera di questo sedicesimo giorno é davvero una sera: é l'imminente sentore della fine che mi penetra nelle ossa, é il sentire che qualcosa tornerà a mancare, é il vedere con gli occhi lucidi che qualcosa é cambiato dall'ultima volta in cui ero stata tra quelle aule, é aver capito che mi piacerebbe un giorno essere al tuo posto, a condizione di esserne all'altezza.
Giorno 17: Alla fine, tra una boccata di fumo e l’altra, riesco a farti sputare qualcosa sulla Medea. Oggi é davvero scuola nel senso di scholé, tempo libero: spiegare un nuovo argomento in una 5ª senza metterlo in programma, ma farlo “per la vita”, questa é l'unica buona scuola. Comunque ogni volta che torni su quel punto mi destabilizzi: penso che tu abbia ragione e forse davvero - come dici - un giorno me ne pentirò, ma la vedo davvero come una cosa impensabile per me, anche se forse ci dovrei pensare. E ripensando a un'altra cosa mi viene in mente che probabilmente dopo oggi non ti vedrò più, goditi la vita capitano.
Sono fermamente convinta che si scriva innanzitutto per non lasciare al tempo l'ultima parola, per salvare l'istante dalla sua intrinseca caducità. E sono sicura che é per questo che in questo mesetto, spinta da una necessità forse esistenziale, ho trovato il tempo di scrivere queste righe: ho scritto perché un giorno vorrò tornare a questi giorni pur nella consapevolezza dell'impossibilità di un loro ritorno. Ho scritto perché la scrittura, come ogni arte, salva dall'oblio: scrivere é esortare un momento a rivivere, scrivere é fare di un attimo un nietzscheiano “attimo immenso”. Ho scritto perché ciò é stato perduri, perché - per dirla con Bergson - siamo sí materia, ma anche memoria.
E, alla fine di tutto, insegnare é davvero un in-segnare, segnare dentro. E il segno che io porto inciso é il tuo: é il segno di quelle parole con cui mi hai marchiato l'anima una mattina d'aprile di qualche anno fa.
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