Tumgik
#vedo le finestre dalla mia cucina
scheggesparse · 14 days
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Soul Kitchen - Bugs Bunny Crazy Castle 3
Sono preso male quindi scrivo. Vediamo se mi passa...
Non sono qui per parlare del gioco in se, ma piuttosto delle sensazioni di un momento, in un posto che per qualche motivo riesco ancora a ricordare abbastanza vividamente.
Mi trovo nella cucina di casa di mia nonna.
E' un martedì pomeriggio, giorno di chiusura dell'attività  dei miei nonni all'epoca (avevano un bar), e si stanno preparando per andare a fare la spesa per casa/bar.
Io sono in questa cucina che gioco a Crazy Castle 3 e di base non c'è¨ niente di strano, normale amministrazione di me che gioco allo stesso gioco da un sacco di tempo perché sono bloccato all'ultimo livello della seconda tranche cioè la Hall (le tranche sono, in ordine: Garden > Hall > Basement > Treasury).
Fuori fa freddo, è febbraio.
Il sole è già in procinto di salutarci, sono circa le 16.30.
Dalla porta semiaperta della cucina vedo la sala del bar, buia e vuota.
Ogni tanto anche ripensare al bar pieno mi fa quasi strano.
In quel periodo, ovvero inverno del 2000 ("ritmo del duemila / adrenalina puraaaaah" cit. Ritmo - Litfiba - Mondi Sommersi - 1997) come si confà a un individuo di 7 anni (manco compiuti, fai anche 6) non ho un accesso a internet e quindi ignoro bellamente cosa mi si parerà davanti dopo questa sequela di livelli della Hall di sto castello sempre più difficili e ostici.
Ad un certo punto il miracolo. Supero il (per me) famigerato livello 39, mi prodigo di trovare carta e penna per segnarmi la password per continuare poi dal livello 40, siccome in quel momento mi chiama mio nonno dicendomi esser pronti per andare.
E proprio in quell'istante qualcosa da qualche parte del mio cervello si materializza, e rimane li ancora oggi come una fotografia che riesco a rivedere se ci ripenso. Come una fotografia su pellicola di quel tempo, che a lungo andare perde in dettagli ma rimane sempre riconoscibile.
"La camera ha poca luce
E poi è molto più stretta di come da giù immaginavo"
diceva Ligabue in Bambolina e Barracuda, e devo dire che la descrizione corrisponde quasi del tutto.
Questa cucina è una stanza dalla forma rettangolare, ma non troppo lunga. Un rettangolo un po' tozzo ma comunque non Umberto.
Al centro un grande tavolo con piano in marmo grigio la fa da padrone, sopra di esso una fruttiera in vetro verde, sempre piena.
Ai lati del tavolo (punto di vista dalla porta d'entrata) rispettivamente:
A sinistra
subito dietro la porta un piccolo angolo credenza zeppo di libri di cucina (sopra), incarti di vari prodotti, sacchetti di carta per il pane (nel mezzo) e due piccole ante contenenti ogni sorta di attrezzo quali chiavi, cacciaviti o anche prodotti spray tipo insetticida e simili che ovunque stan bene tranne che in una cucina (sotto). Superato questo angolo il frigorifero, un vecchio frigorifero incassato ricoperto dall'anta in legno, seguito dal piano cottura, un doppio lavello e alla fine della parete una delle due finestre.
A destra
subito all'altezza del gomito inizia quello che è un mobile angolare in legno anch'esso con piano di marmo grigio che fa il paio con suo fratello The Table, che proseguirà sino all'altro capo della stanza.
La parte sotto è composta di semplici ante che nascondono il loro contenuto fra vecchie riviste, la stecca di MS Bionde e attrezzi da cucito in capo, il posto dove viene tenuto il pane della giornata nell'angolo e poi (perdonate la ridondanza) lungo la parte lunga tovaglie, tovagliette, tovaglioli, pentole, bicchieri (che non erano li da ieri), insalatiere, e altri suppellettili TASSATIVAMENTE DA NON USARE MAI.
Sopra questo mobile vi sono diverse situazioni, anche abbastanza diverse fra loro. Sempre in prossimità del gomito, qualora si stesse entrando, è visibile con la coda dell'occhio un posacenere blu dell'Aperol cui da che ho memoria ha sempre ospitato al suo interno un mazzo di chiavi del quale ho sempre ignorato quali porte avrebbe potuto aprire, un elastico giallo, una graffetta e una 200 lire.
A fianco immancabile è la combo Sorrisi&Canzoni + rivista di gossip a piacere. Ma più ci si addentra con lo sguardo e più la situazione si fa complessa.
L'angolo viene dominato da una tv a tubo catodico della Mivar (top orgoglio italiano non ironicamente), con lo schermo bombato che mangia buona parte delle barre dell'energia in quasi tutti i picchiaduro che era possibile giocare su ps2 da li a pochi anni.
Dietro questo Golia ai fosfori osserviamo un buco nero nel quale nemmeno la luce fa in tempo a venire assorbita, non lo raggiunge proprio.
Letteralmente la camera dei segreti, nella camera.
Si dice vi sia stato ritrovato di tutto dietro a quel monolito grigio opaco, da svariate sorprese di ovetti kinder a un centrotavola che sembrava essere andato perduto per sempre.
Li giaceva anche un misterioso contenitore grigio, in metallo, che ricordava la forma di quelli che si appendono in doccia per poggiarvi i vari shampoo, bagnoschiuma e simili. Forse il suo scopo in origine era proprio quello, ma poi qualche sconvolgimento spazio-temporale ha fatto si che venisse dimenticato in quell'anfratto nascosto.
Sempre dietro al televisore, oltre al suo cavo di alimentazione se si disponevano di arti lunghi a sufficienza ci si poteva addentrare fino a scoprire sia ben tre prese a muro più una spina volante, anche lei senza padrone.
Un cavo di alimentazione si, ma per chi?
Se ci si chiede chi controlla i controllori allora sarebbe giusto anche chiedersi cosa alimenta l'alimentazione? Who watches the Watchmen?
Superata la Notte Eterna ritorna la luce, e a fianco del televisore spunta un cesto di vimini con al suo interno vari giochi e fumetti miei fra cui macchinine, volumi di Topolino, quaderni di disegni, pennarelli e cosi via.
Accanto vi è quella che per forma e scopo risulta esser a tutti gli effetti un'anfora. Non dell'avidità ma quasi. "Quindi chi sei tu per giudicare?" direbbe qualcuno a riguardo.
La sua forma ricorda una donna di Willendorf per le sue rotondità  che suggeriscono fertilità  e abbondanza. E di abbondanza in quell'anfora ce n'era, sicché era stata riempita fino all'orlo di documenti, ricevute, scontrini, un blocchetto di assegni, collane, bracciali, orecchini, alle volte anche monete. Ovviamente era imperativo il "LASCIA STARE NON TOCCARE".
E noi senza toccare, limitandoci a guardarla in tutta la sua bianca e lucente ceramica, gettiamo l'occhio (e non il cuore) oltre l'ostacolo per incontrare un piccolo forno a microonde che termina l'allestimento del piano.
Fra il piano e il muro vi è un angusto spazietto di 1 metro circa, nel quale viene confinata una rossa sedia da giardino.
Quello che per anni ha rappresentato un angolo strategico in quanto era l'angolo del termosifone, luogo di sollievo per i lunghi inverni passati col Game Boy fra le mani, a cercare sia calore che un angolo illuminato in epoca pre GBA SP.
Ah, che male al collo.
A parete troviamo una composizione di pensili che segue il perimetro del mobile di cui sotto, anche questo pieno di situazioni abbastanza varie dietro alle sue ante marroni.
Anche qui si nascondono servizi di piatti e bicchieri che si e no si vedevano a natale, alcuni calici "griffati" di varie bevande che si servivano nel bar ma la sezione più pittoresca rimane quella perpendicolare al tv, che precedentemente abbiamo battezzato come Notte Eterna.
Anta ad angolo, che si apre piegandosi su se stessa rivelando due mensole dalla conformazione quasi simile ad una casa delle bambole. Mancava solo una piccola scala per rendere comunicanti primo piano e piano terra. Videocassette, nastri vergini, palette di trucchi, altre collane e gioiellini fra bigiotteria e non sono solo alcuni dei generi che si possono trovare all'interno. E, come sotto, un infinita oscurità.
"Putèl, andom?"
Le parole di mio nonno che mi chiama per andare con loro,
spengo il gbc dopo aver segnato la password e inizio a fantasticare su cosa troverò poi nel Basement, del quale ho visto solo la schermata di selezione del livello.[continua nei commenti]
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unsognonelsogno · 7 months
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16 ottobre 2023
il ridicolo incubo di stanotte? mi ha fatto proprio sentire presa in giro. inizia con me ed E* ad Amatrice, in una struttura non realistica, durante una bufera di neve ed inondazione. chiudiamo tutte le porte e le finestre e rimaniamo dentro, al tavolo, a completare una fotocopia. in tutto ciò c'era questa nuova insegnante alla sua prima lezione, forse era del posto. in ogni caso era terribile, non riusciva. ho passato un'intera ora, dalle 17 alle 18 solo su una fotocopia mentre lei chiacchierava. ad un tratto, poco dopo le 18, mi giro verso E* e le dico "ma non le dici niente?" ed inizio ad elencare tutta la sequela di motivi per cui sta sbagliando. lei mi dice che in effetti ho ragione ma non se ne stava accorgendo perché le stava simpatica. alla fine di questa lezione la stanza davvero si è allagata, ma arrivano degli amici di questa insegnante a salutarla. sono un gruppo di ragazzi e ragazze bellissimi e ben vestiti, dei modelli. vengo a scoprire in modi misteriosi che queste persone conoscono sia N, amica di E, ed A. inizio ad innervosirmi sapendo di avere persone che escono con lei così vicine, anche e specialmente in un contesto lavorativo. il sogno cambia. piove e c'è una bufera di neve ad Ascoli. Io mi trovo costretta a tornare a casa a piedi e su delle strade sterrate di campagna. sono vicina alla costa, sono in un posto non definitivo. cammino ed ho tutti gli stivali bagnati, ricoperta di fango, tra le auto che vanno nemmeno a passo d'uomo, sento il rumore della terra intrisa d'acqua che non riesce più ad assorbirla. ho un lungo cappotto marrone e intorno a me il cielo è surrealmente grigio ma luminoso. dovrebbe star arrivando la sera, e invece. apro il cellulare durante questo cammino che sapevo mi sarebbe costato molto tempo. vado su instagram, come nella vita mondana, ed inizio a guardare delle storie. prima vedo delle storie di E e N* in giro per Ascoli, in locali barocchi e particolari, al riparo dalla pioggia ma vestite come per l'epoca, tra perle e pizzi e gonne e acconciature, tra leoni imbalsamati e divani di velluto. vedo poi anche i miei amici, mi arriva addirittura un messaggio dicendo che F* ha detto qualcosa di dolce su di me. vedo le storie di D, S, Y, che vanno in skate in centro sotto la pioggia, riconosco il tatuaggio di un uroboro fatto da qualcuno, riconosco che si incontrano sia con le altre che con tutto il gruppo di bellissimi ragazzi di cui parlavo prima. ovviamente incluso A. ho addosso un sentimento di solitudine. in tutto ciò ho anche un flash di E* che mi dice qualcosa vestita in quegli abiti, in portoghese. la prego mille volte di ripetermelo, ma non lo fa. alla fine continui a camminare finché dietro di me sbuca A*. prima mi scrive come se fosse niente su telegram. normale conversazione da amici, o meglio, conversazione identica a quelle che avevamo una volta, solo da amici. mi inizia a parlare di tutto il suo percorso di vita, che si allena in questa palestra bellissima al mare esattamente con quel gruppo di ragazzi, che ci esce, che fanno le cose insieme, vanno alle cene di pesce ed ogni aspetto della sua vita è migliorato. poi mi chiede "perché non ti fermi a casa mia nuova, che è di strada?". lì qualcosa mi dice che non è solo amicizia. accetto. e mi ritrovo in questo posto. la casa potrei descriverla a memoria, alla perfezione. sono fuori e mi fa vedere che ha sia un gatto arancione e bianco (che volevamo) che un cane bianco e nero, in un piccolo recintino. ha anche un problema di api, mi dice. lì è tutta imbarazzata, mi dà la mano per entrare, mi racconta della sua vita, lascia che io vada in giro e mi acclimati, ed io finisco col trovare la cucina e sedermi sul divanetto mentre lei è a cercare qualcosa. fuori intanto la bufera continua a impazzare. io sono confusa ma dentro di me penso "hai visto? alla fine doveva finire che ti cercava di nuovo lei e vi rimettevate insieme". e sembrava davvero naturale e bello. lei era piacevole come quando stava bene. al risveglio è stato un inganno molto amaro.
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nadia762 · 2 years
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La mia amica scrittrice Daniela Tani intervista  Serra Yilmaz che ama il Casentino e… i tortelli!
Sono a Firenze nella dimora luminosa di Serra Yilmaz, attrice turca così conosciuta dal grande pubblico che non ha bisogno di presentazioni. Dalle finestre della sua cucina intravedo la Cupola del Brunelleschi e se abbasso lo sguardo il verde dell’Orto botanico fa presente quanto ormai la primavera avanza con i suoi profumi. Serra è sempre una ottima cuoca e una perfetta padrona di casa. Ho riassunto le nostre chiacchiere in questa bella intervista.
Istanbul, le radici. Che cosa ti manca?
Mi manca Istanbul perché, come tutti sanno è una città molto affascinante, ma anche quando sono a Istanbul mi manca Istanbul. La città non è più quella della mia infanzia, ed è normale, quando io avevo sei anni c’era un milione di abitanti, adesso ce ne sono venti. Costruita, cementata, stravolta nei suoi sapori più antichi. Sono andata a Istanbul dopo la pandemia per girare l’ultima puntata delle Fate ignoranti, sono rimasta in albergo, al Pera Palace per dieci giorni con Ferzan e il gruppo degli attori, dopo sono andata casa mia, in mezzo alle mie cose. Il giorno della partenza il cuore mi si è un po’ chiuso, ma una volta arrivata a Firenze ero molto contenta di essere qui, perché io ho scelto nella vita di essere dove sono, di non lasciarmi prendere dalla nostalgia. Se c’è una nostalgia si srotola nei sogni, il rimpianto di quello che non c’è più è una nostalgia onirica. Di Istanbul mi mancano i servizi, mi manca il pragmatismo turco. Ho  venduto una casa a Istanbul e ho fatto tutto da qui, velocemente con il catasto on line e con la banca, qui con le banche è tutto complicato. Mi mancano le cose che facilitano la vita di tutti i giorni. Io sono sempre in movimento, ho avuto casa a Parigi, adesso sono qui, domani chissà, e in ogni posto cerco il modo di organizzarmi al meglio. In Turchia quando chiamo il taxi, io che abito al secondo piano, non ho l’ascensore, devo risparmiare le mie ginocchia, posso chiedere al tassista di venire a prendere su le mie valigie, qui devo per forza avere un ascensore,  se chiedi una cosa del genere, sai dove ti mandano…
Che lavoro avresti voluto fare da grande?
Ho sempre voluto fare l’attrice. Ho pensato, ma per poco tempo, di fare il medico e probabilmente sarei stata un bravo medico, ne sono convinta. Poi è passata. Io ora mi diverto di più, vedo quanto sono stressati gli amici medici arrivati a cinquanta anni.  Il prezzo da pagare nel cinema e nel teatro è la precarietà.
Le emozioni più forti che ti dà il cinema e quelle che ti dà il teatro. Emozioni, difficoltà, preferenze.
Preferenze non ne ho perché adoro recitare. Non sono una appassionata delle prove a teatro. Non sono amata dal regista e dai compagni al momento delle prove perché ho bisogno di molto tempo per entrare nel personaggio, c’è una attività cerebrale che ha un tempo più lungo, quindi può essere scocciante per gli altri e li capisco, ma tutto si risolve al momento della prima. Il “Don Chisciotte”, con la regia di Roberto Aldorasi, Marcello Prayer, Alessio Boni, lo abbiamo portato nei più importanti teatri d’Italia, prima della pandemia e poi in questa ultima stagione e abbiamo sempre fatto il sold aut.
Al cinema, invece, si fa tutto sull’istante, esiste una bella complicità con gli attori, c’è una sorta di microcosmo, una complicità in cui ti senti partecipe di un gruppo e quando le riprese sono finite il film parte per il suo viaggio.
Anche senza conoscerti si ha l’impressione che l’amicizia percorra i tuoi rapporti di lavoro. È così?
Sì e no. Ci son o persone con cui riesci a fare amicizia con altre no, come in tutti gli ambienti. Noi due per esempio ci siamo conosciute nell’87 e ancora ci sentiamo e ci vediamo anche se con  intervalli di tempo più o meno lunghi. Sui set di Ferzan Ozpetek, perché principalmente, in Itali ho recitato nei film di cui lui è il regista, non posso dire che ci sia competizione, c’è un filo amicale che spesso rimane anche una volta che il set è concluso. Si conservano quei sentimenti, Mi piace farmi viva con auguri e complimenti quando un collega vince un premio o ha una nomination speciale, mi piace mantenere le relazioni anche se c’è una distanza di vita e di spazio. E’ un mestiere in cui le amicizie non sono spesso nello stesso luogo, cambiano i set, cambiano le complicità. Ogni set è un microcosmo a sé.
Quali attrici del passato hai amato di più e da cui hai tratto ispirazione?
Mi piaceva Jeanne Moreau, la Mangano, la Magnani, Bette Davis, trovo queste attrici molto interessanti perché sento il mio carattere vicino al loro. Ma adoro anche Audrey Hepburn, la bellezza magnifica di Ava Gardner, quella di Rita Hayworth. Fra le attrici del presente amo Isabelle Huppert che diventa bella perché è brava.
C’è qualche serie televisiva turca che ti piacerebbe venisse esportata in Italia?
Io non guardo mai le serie, né turche né altre, però ho scoperto alcune serie turche su Netflix, per esempio “Ethos” mi è piaciuta molto, avevo fatto anche un messaggio agli amici italiani, ma in genere non ho l’animo di mettermi a guardare le serie.
Dopo la tua esperienza turca come regista di “Perfetti sconosciuti” ti piacerebbe intraprendere un progetto di regia anche in Italia?
Non credo di voler fare la regia in Italia. Bisogna combattere troppo per ottenere soldi e tanto altro. Ferzan Ozpetek voleva produrre il film in Turchia e io mi sono appoggiata a lui. Dovrei avere qualcosa di molto a cuore per fare la regia di un film tutto mio. Il fim “Perfetti sconosciuti” italiano aveva una sceneggiatura perfetta, era riproponibile anche in altri paesi, partiva da una idea vincente, per questo mi sono cimentata nella regia di un remake turco, ma solo perché sapevo di avere un valido aiuto.
La tua natura eclettica ti porta anche verso il mondo gastronomico. Nei tuoi piatti, la “fusion”, la mescolanza, l’incursione nelle ricette di provenienza diversa, rappresentano la tua filosofia in cucina?
Io ho un atteggiamento molto netto. Nel programma gastronomico che ho condotto in Turchia per più di un anno avevo ospiti attori, pittori, rappresentanti del mondo culturale, era presente un assistente, cucinavamo insieme, anch’io cucinavo, poi insieme ci sedevamo a tavola. Se io faccio una ricetta tradizionale deve essere quella. In Turchia mi arrabbio quando vedo scritto sul menu di un ristorante “Sugo alla bolognese” e poi quello che si mangia è tutta un’altra cosa: carne macinata con un po’ di soffritto. Può andar bene, per esempio, se viene scritto “Bolognese” di Bursa o “Bolognese fatta alla maniera di…”.Se io cucino “Il pollo alla circassa” quello deve essere, altrimenti, se faccio delle variazioni, devo scrivere “alla maniera di Serra”.
Ti piacerebbe fare un programma televisivo di cucina con il format simile a quello che hai fatto in Turchia? E quale ospite famoso ti piacerebbe avere per poi mangiare insieme i piatti cucinati?
Mi piacerebbe moltissimo. Se ci fosse una proposta interessante. Ma se mi propongono, come hanno fatto, di essere presente per fare l’ospite che guarda e riempie la scena, quasi una comparsa, non mi interessa. Vorrei un programma dove io cucino, propongo ricette e faccio una chiacchierata con l’ospite con cui mi siedo a tavola. Ospiti da invitare ce ne sarebbero diversi.
Fra i tortelli del Mugello e i tortelli casentinesi, quali preferisci? (Attenta a rispondere bene!)
Ma i tortelli casentinesi, naturalmente! (ride). Per essere sincera conosco molto bene i tortelli del Mugello perché quella è una delle prime zone che ho conosciuto in Italia e che continuo a frequentare perché là ho amici carissimi. I tortelli casentinesi spero di mangiarli questa estate quando sicuramente andrò a fare delle escursioni per le foreste casentinesi. Conosco  bene però il tessuto casentinese, adoro quell’arancio e quel verde acceso di cui ho avuto anche un mantello. Sono andata a Stia, a Poppi di cui ho ammirato il Castello e il panorama bellissimo dei dintorni. Ci vorrei tornare al Castello, che potrebbe essere un ottimo set di teatro. Anche Angelo Savelli è di Stia, caro amico e grande regista, abbiamo riproposto “L’ultimo Harem” al Teatro di Rifredi per dodici anni, e anche  “La Bastarda di Istanbul” ha avuto svariate repliche.
Hai un luogo dell’anima in Turchia? E in Italia?
In Italia è la Toscana, non è un caso che ho deciso di vivere a Firenze. Il primo posto conosciuto è stato il Mugello, Scarperia, Borgo San Lorenzo, grazie agli amici che abitavano là. Adoro Venezia anche se non ci vivrei, mi piace perdermi fra le sue calle. La Puglia, bellissima, che ho conosciuto da poco. Per la Turchia adoravo un posto sull’Egeo, Ayvacik, la sua spiaggia magnifica, non c’era nemmeno la corrente elettrica, ora è invaso dal cemento. Questo governo turco è un disastro, non facilita certo la conservazione dell’ambiente. Amo l’Egeo, amo le località che un tempo erano incontaminate e che adesso, purtroppo, hanno subito dei grandi cambiamenti. In Italia sono innamorata di Villa Adriana, dell’energia che vi si respira. In Turchia, Aphrodisias è il posto dell’anima per me, gli scavi sono stati ampliati, il sito archeologico è inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità.
Che cosa è per te la felicità?
La felicità è come un fuoco di fiammifero, è qualcosa di molto fugace, molto breve. Siamo in un mondo che probabilmente avrà una fine apocalittica, visto come viene trattato l’ambiente e visto quello che sta succedendo, però penso che dobbiamo essere felici quando ci si sveglia la mattina e possiamo vedere il cielo sopra di noi, possiamo muoverci senza che ci faccia male qualcosa e il nostro corpo è in armonia con la giornata che abbiamo davanti. Evidentemente con l’età può essere più difficile, può cambiare la resistenza del corpo, ma dobbiamo avere sempre la coscienza che tutto può cambiare, in qualsiasi stagione della vita, per questo dobbiamo approfittare di tutto, finché possiamo.
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sciatu · 4 years
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IL MARESCIALLO MUSCARA’ e il caso RIDI PAGLIACCIO
Il Maresciallo Muscarà chiuse spingendolo lo sportello della sua panda e si specchiò nel lucido color blu della macchina.  Osservò il suo pantalone di lino color avana con ancora la riga perfetta di quando sua moglie l’aveva comprato per una crociera che non avevano mai fatto a causa della sua malattia che subentrò poco dopo. Anche la sua maglietta era nuovissima malgrado il suo collega Petyx gliela avesse regalata due anni prima per il compleanno. Si guardò schifato. Da quando sua moglie era morta aveva indossato solo la sua divisa ed ora, a vedersi “in borghese” si sentiva un cretino. “Meglio così – pensò – nessuno sospetterà” chiusa la porta si girò dirigendosi verso la locanda bianca dalle finestre azzurre che si trovava vicino alla fine della spiaggia fuori di Sciacca. Qualche anno prima vi aveva trovato l’ing. Rachele Valsecchi, scomparsa misteriosamente a Palermo qualche giorno prima. L’ingegnere era in compagnia di Mancino, una vecchia conoscenza del Maresciallo e che aveva passato buona parte dei suoi anni in carcere perché mentre era in cella per vari reati contro il patrimonio, aveva strozzato un energumeno con la sola mano sinistra. Benché originari di due culture e città diverse, vinti o forse traditi dalla solitudine in cui vivevano, Mancino e l’ingegnere si erano messi insieme e vivevano il loro amore come marinai che tornavano al porto e all’amore, poche settimane l’anno vivendolo però in modo assoluto e totale. Sebbene l’ingegnere lavorasse in una fonderia di Brembana di Sopra, provincia di Bergamo, si vedevano regolarmente appena lei aveva una settimana di ferie; allora, la prima cosa che l’ingegnere Valsecchi faceva una volta tornata in Sicilia, era invitare il Maresciallo a cena, cosa che lui accettava volentieri, perché in carcere Mancino aveva avuto modo di sviluppare il suo talento culinario. Uno scampanellio festoso lo annunciò appena varcò la locanda. Il ristorante era pienissimo ed i camerieri si muovevano velocemente dalla cucina ai tavoli. Dalle grandi vetrate che davano sulla spiaggia si vedeva la lunga distesa di sabbia bordata dalla striscia azzurra del mare. Nella spiaggia svettava, come il trono di una regina, il gazebo di canne e tronchi in cui quando arrivava, si riposava l’ing Valsecchi, sorseggiando vino bianco freddissimo e organizzando viaggi in altri continenti in cui trascinava Mancino a scoprire cibi e popoli mai conosciuti. “Mi dispiace ma non c’è posto…. Dovrebbe tornare fra un’oretta” Fece costernato un cameriere con le braccia colme di piatti sporchi. “ Dica al padrone che è arrivato….” “Marescialluuuuu” Gridò un vocione forte e baritonale. Apparve d’improvviso un omone alto quasi due metri con due braccia grandi e muscolose che allargate erano pronte, malgrado la separazione sociale dell’era Covid, ad abbracciarlo e a stringerlo contro il petto grande quanto un armadio. Era Mancino! “Ma che fai qua Maresciallo, Rachele viene tra due settimane, te lo sei dimenticato?” “No, me lo ricordo, è che ….. ti dovevo parlare” Mancino lo guardò stupito. In passato era stato lui a chiedere consiglio al Maresciallo e la cosa gli apparve strana, ma si riprese subito “S’assittasse davia al posto di Rachele, la servo subito, Cosimooo – gridò verso un cameriere - porta al tavolo della signora Rachele acqua naturale e il bianco del Baglio del Cristo” Al Maresciallo si aprì il cuore: il bianco del Baglio era il vino preferito dell’ing. Valsecchi, vino che nasceva in una terra gessosa simile a quella dello Champagne francese, Mancino ne era gelosissimo e offrirglielo dimostrava quanto fosse contento di vederlo. Si andò al sedere al tavolo riservato all’ing Rachele dove Mancino non faceva mai sedere nessuno e che era sempre apparecchiato con nel mezzo un piccolo vaso di cristallo che conteneva una rosa rossa colta al mattino. Arrivarono con calma dei gamberi crudi marinati nell’olio di Castelvetrano, poi dei tagliolini con la polpa di riccio che diedero al vino in gusto aromatico ed intenso, infine un branzino all’acqua di mare con capperi e olive verdi addolcito da delle patate al forno. Quando Cosimo levò il piatto ed ormai nel ristorante c’era solo il Maresciallo, apparve Mancino, con una bottiglia di limoncello che preparava lui personalmente e un piatto generoso di paste di mandorle. “Allora Maresciallo che è successo? Non è che ti hanno mandato in pensione perché rompi sempre i coglioni? “Chi? io? Ma se sono un pezzo di pane “ Rispose ridendo il Maresciallo alzando il bicchiere colmo di limoncello freddo a toccando quello di Mancino. Bevvero in silenzio due o tre sorsi di limoncello e quando finirono misero giù i bicchieri leccandosi le labbra di quello che sulla bottiglia, un etichetta scritta a mano, identificava come “Il bacio di Rachele” “ devo chiederti un consiglio! – esordì il Maresciallo – sia chiaro, non c’è nessuna inchiesta, sono tutte congetture mie, sono qui in visita privata solo  per sentire della prossima visita di Rachele e …..  ho lasciato il cellulare in ufficio” Mancino approvò alzando il mento e riempì ancora i bicchieri. “ Si tratta di pensieri miei, niente di ufficiale! “ “Dimmi…” Fece Mancino leccandosi ancora una volta le labbra. Il Maresciallo prese un pasticcino e lo mise davanti a Mancino “lunedì scorso ero sulla strada che sale verso la Contrada Croce, al paese dove c’è la mia caserma. La contrada è una valle  ircondata da colline ed ha la forma di un ferro di cavallo con le più alte cime nella parte curva, monti rocciosi desolati e pieni di miniere. Io ero sul lato destro del ferro di cavallo lungo una strada che dal paese sale con una forte pendenza fino alle miniere per poi ridiscendere verso la parte opposta colma di vigneti, uliveti e case coloniche. La domenica, dopo la messa, i contadini e pastori mi avevano parlato di strani movimenti dove vi erano le miniere. Ero a metà della salita dove c’era uno spiazzo da dove osservavo con il binocolo il resto della valle, quando sentii l’appuntato Cacace commentare “Vadda a chistu….” Mi giro e vedo una grossa macchina, uno di quelle Land Rover grossissime che scendeva a velocità folle. Quando ci passa davanti suona disperatamente ed io sento distintamente un grido terribile :”Aiuto”!! Io e Cacace saltiamo in macchina e seguiamo ad alta velocità il macchinone. Lui però è troppo veloce e ci distanzia facilmente. Alla fine arriva dove la strada fa una curva a gomito urta il muretto sul bordo della strada e lo sfonda facendo un salto di cinquanta metri e schiantandosi nella fiumara esplodendo. Quando io e Cacace raggiungiamo il mezzo in fiamme, dell’uomo restano poche cose ma appare chiaro che l’uomo era ammanettato al volante che, a seguito degli accertamenti tecnici successivi, era apparso manomesso, come freni e motore.” “non deve essere stata una bella morte; ha avuto tutto il tempo di vederla arrivare. E chi era al volante?” “Sabino Calabrò, nipote preferito di don Nino Calabrò, il capo della cosca locale” “Però  - fece mancino con una smorfia – era uno rampante. Avrebbe preso il posto di suo nonno di sicuro. E’ la nuova generazione, quella che non ha mai toccato una lupara ma che muove soldi da destra a sinistra per pulirli e farli crescere. Generalmente gente così non fa la fine che ha fatto lui a meno che non abbia fatto qualche sgarro particolare. Dubito però. La sua parentela è importante e il suo rango era alto, non avrebbero fatto tutto questo casino per farlo fuori a meno che non volessero mandare un messaggio a tutta la cosca.” Il Maresciallo annui e prese un altro pasticcino mettendolo accanto al primo “La sera di Mercoledì scorso, Tommaso Rizzo, capobastone di uno delle cosche più importanti di Palagonia e mano destra del capo indiscusso Vito Solucci, entra nell’ascensore di un grande albergo di Zurigo. Sono lui con due guardaspalle armati fino ai denti. Quando arriva al tredicesimo piano la porta si apre e qualcuno dal corridoio con un lanciafiamme, inonda l’ascensore di fuoco. I tre non hanno modo di reagire e bruciano in pochi minuti” “A lui lo conoscevo personalmente – fece serio Mancino - un grande figlio di buttana, un boia, godeva a uccidere e torturare: ha fatto la fine che meritava!!” Ancora una volta il Maresciallo prese un pasticcino mettendolo accanto agli altri due. “Giovedì la serva del dottor Bastiano Cannata è entrata a casa del dottore per le solite pulizie. Arrivata nel corridoio sente qualcosa di umidiccio sotto i piedi. Accende la luce e vede che è sangue. Urlando esce di casa e un vicino, richiamato dalle urla, chiama i carabinieri. Quando arrivano i carabinieri trovano il suddetto dottor Cannata nel salotto di casa, tutto nudo e appeso dai piedi al lampadario. Il dottore era stato squartato e aveva tutte le interiore che pendevano gocciolando sul pavimento. Il dottore era il ragioniere di un’altra cosca di Castellamare, dicevano che muoveva più soldi lui che il Banco di Sicilia. Era esperto nel dare i soldi ad usura e nello spingere al suicidio, dopo avergli preso tutti i beni, chi non poteva pagare. In molti hanno detto che la fine del porco ammazzato era quella che si meritava” Mancino si fece serio. Aprì la bottiglia e si versò una dose abbondante di limoncello bevendolo tutto di un fiato restando muto come se non volesse commentare. Il Maresciallo capì che il modo come il dottore era stato ucciso aveva colpito Mancino non impressionandolo per la crudeltà della scena, ma per qualche altro motivo. Continuò prendendo due paste e mettendole un po' da parte vicino alle altre. “Giovedì mattino, qualcuno entra nel negozio di Antonino Russo, un vecchio settantenne che ancora faceva il barbiere alla Kalsa a Palermo. Sono in tre come diranno i testimoni e sparano al Russo almeno dieci colpi ciascuno.” Mancino scosse la testa. “Povero Nino – fece sconcertato Mancino - Lui era una persona perbene. Sono stati pazzi a ucciderlo così” “Lo stesso giorno, nel pomeriggio, sempre alla Kalsa, vicino al negozio di barbiere di Russo, esplode una casa. Era una casa ristrutturata e agibile, quindi appare strana una fuga di gas. L’inquilino, un uomo di colore che vi viveva gratuitamente con la famiglia, muore insieme alla moglie e a una figlia. Nessuno sa perché hanno fatto esplodere quella casa per uccidere l’uomo che lavorava in un negozio vicino. A dire di tutti era una persona gentilissima.” Questa volta Mancino alzò il bicchiere per bere l’ultima goccia di limoncello ed evitare lo sguardo del Maresciallo. Un altro pasticcino fu preso e messo vicino ai primi tre. “Venerdì, in piena mattinata va a fuoco un negozio di computer sempre alla Kalsa. I pompieri faticano a domare l’incendio e quando entrano vedono che lo scantinato era pieno di computer rovinati con nel mezzo, legato ad una sedia con fili di computer il padrone del negozio, il quasi trentenne Giuseppe Sutera. E’ stato ucciso con un colpo in fronte e qualcuno gli ha messo in bocca un mouse di computer prima di dargli fuoco: un altro messaggio per chi doveva capire. A tutti i computer  del negozio, era stato levato il disco fisso” Mancino fece una faccia come a dire che la cosa non gli diceva niente. Il Maresciallo verso nel suo bicchiere e in quello di Mancino una dose abbondante di limoncello finendo la bottiglia. Bevve un sorso e continuò. “Ora, se io non fossi stato coinvolto nel primo omicidio, tutti questi avvenimenti, sarebbero stati per me una normale serie di omicidi siciliani, di quelli che avvengono normalmente nella nostra isola dove violenza e follia vanno di pari passo. Ma essendo stato coinvolto nel primo omicidio ho pensato che fosse stato mio dovere cercare di risolverlo, ma il Procuratore, che ha avocato a sé e agli uomini dell’antimafia il diritto di investigare sul caso, mi ha detto di mettermi da parte pensando ai furti di capre del mio paese…” “Il solito cornuto e coglione che è dove è perché ha dato il culo a qualcuno” “Non lo so, ma non mi è piaciuto come me l’ha detto, per cui mi sono messo a pensare, a ragionare a fare qualche verifica e sono arrivato ad una conclusione per cui ho bisogno del tuo aiuto.” “Del mio aiuto Maresciallo, io come posso sapere qualcosa di tutti questi morti se non mi sono mai mosso da qui a duecento chilometri di distanza?” fece scandalizzato Mancino” “Io non lo so se sai qualcosa, ma mi puoi aiutare a capire” “In che senso?” “Tu sei della Kalsa, conoscevi il Russo, forse sai a chi apparteneva la casa che è esplosa e chi vi ha abitato prima di chi vi è morto o chi vi è nato. Ho bisogno da te di una conferma” “Da me? ma Maresciallo, tutti alla Kalsa conoscevano Nino, ma del resto che le devo dire?” “Ecco Mancino, ti spiego – il Maresciallo spinse verso Mancino i primi tre pasticcini -  che cosa hanno in comune i primi tre morti?” Mancino allargò gli occhi come a confermare che non ne aveva idea “Il Calabrò aveva nella macchina, lo vidi bene mentre lo inseguivamo, uno di quegli adesivi con le sigle degli stati. Riportava UEA. Il Rizzo ha postato su facebook delle belle foto di un ricchissimo resort dove era stato con delle belle signorine, un albergo meraviglioso a Dubai. Il dottor Cannata era appena rientrato da un viaggio in Thailandia e per volare aveva fatto scalo anche lui a Dubai. Tutti e tre insomma erano stati negli Emirati, dove puoi aprire conti correnti anonimi confidando nella confidenzialità assoluta delle locali banche. Da li puoi muovere capitali immensi via internet usando i codici che danno all’apertura del conto. Le tre cosche a cui i tre appartenevano avranno portato laggiù immensi capitali pronti a fare affari con qualche oligarca russo o mafioso cinese. Nessuno dei tre ha lasciato dietro di se telefoni o computer per poter sapere i codici dei conti. Chi li ha uccisi ha provveduto a recuperare il cellulare del Calabrò, il computer del Rizzo e del dottor Cannata: le cosche sanno che qualcuno gli ha rubato un immenso tesoro” “E la morte di Nino? e la casa fatta saltare?” “E’ qui che ho avuto l’intuizione finale. Perché ucciderli? La risposta è duplice. La prima è che le cosche hanno voluto vendicarsi uccidendo qualcuno di importante per il loro avversario e probabilmente la casa era il rifugio segreto di questo qualcuno o era della sua famiglia. La seconda risposta è che Le cosche confidavano che il Sutera, esperto in computer e che probabilmente gestiva i loro server, fosse in grado di risalire ai codici e hanno deciso di sfidare chi ha ucciso i loro tesorieri. Ma questo qualcuno che ha i loro soldi, ha levato loro ogni speranza, come a dire: se volete i soldi dovete parlare con me” il Maresciallo bevve un sorso di limoncello “E’ questo quello che voglio sapere da te, se c’è effettivamente qualcuno che può combattere contro tre potenti cosche? Che ne può uccidere i capi in modo scenografico restandone impunito. Ti ripeto, non voglio arrestarlo, ma voglio parlargli!” “Maresciallo che dice: parlargli? ma si rende conto che se questa persona esiste la può uccidere con un semplice schiocco di dita? si figuri poi se vorrà parlargli con tre cosche che lo stanno cercando per mare e per terra: Maresciallo divintasti pacciu!!!” “Devi capire: perché questo qualcuno ha fatto fuori il Sutera? Perché i soldi non li ha neanche toccati né li ha trasferiti come avrebbe potuto fare un istante dopo aver ucciso i tre delle cosche. Perché non vuole che le cosche li recuperino se lui non li tocca? La risposta è una sola: gli sta proponendo uno scambio perché ha qualcosa che loro vogliono e loro, a loro volta, hanno qualcosa che lui vuole!” “e che cosa hanno da dargli?” “Sicuramente non soldi. Lui ne ha moltissimi in questo momento, quelli chiusi nelle banche degli emirati. Loro però hanno qualcosa che non vogliono o non possono dare e che per questo qualcuno è più importante del tesoro che ha.” “Maresciallo, a maggior ragione: lassa stare questa cosa, non sai quanto è pericolosa!! Le cosche uccideranno tutti quelli che penseranno vicino a questo qualcuno che gli ha rubato i soldi!!” Il Maresciallo sorrise. “Tu sai chi è, non è vero? Se è così devi dirgli che io ho capito, so cosa cerca e soprattutto, so dov’è” La faccia di Mancino mostrò una sorpresa mista a diffidenza come se il Maresciallo stesse dicendo qualcosa di assurdo. Per qualche secondo cercò di rispondere ma alla fine si alzò e prese la bottiglia vuota i bicchieri e si diresse verso la cucina. Si girò a metà strada. “Lascia stare, vattene e dimentica tutto, Ci penseranno quelli dell’antimafia….. fai fare a loro gli eroi. Tu sei troppo piccolo per questa storia” Entrato in cucina, il Maresciallo lo sentì borbottare ad alta voce “E’ pacciu, pacciu…” Con calma il Maresciallo, sorridendo, addentò una pasta di mandorla.
Disceso dalla Panda il Maresciallo si toccò la pancia. Da Mancino aveva mangiato ma soprattutto bevuto troppo. Si sarebbe fatto dell’acqua e limone per permettere al suo stomaco di sopravvivere. Si incamminò verso il cancello del giardino di casa sua ed arrivato lo aprì e si diresse verso la porta d’ingresso. Fece pochi passi ma si fermò. Anche se stordito dalle bevute e stanco per le quasi due ore di macchina, il suo istinto da sbirro aveva mandato un segnale d’allarme. Torno indietro e aprì di nuovo il cancello e poi lo spinse con un dito per chiuderlo. Il cancello si chiuse silenziosamente senza quell’odioso stridio che aveva sempre fatto da quando abitava in quella casa. Qualcuno lo aveva zittito. Guardò in giardino alla ricerca del suo cane Carlo Alberto che svolgeva con coraggio e determinazione, le funzioni di guardiano della casa. Guardò tra i cespugli di fiori e lo vide sdraiato pancia all’aria sotto il grande cespuglio di gardenia dove controllava il suo territorio. Dormiva profondamente, tanto da non sentirlo, proprio lui che quando la  macchina del Maresciallo imboccava l’ultima curva ad un chilometro di distanza da casa correva ad aspettarlo seduto di fronte al cancello con il suo cipiglio burbero di ex cane della finanza. Vide accanto al cespuglio una ciotola vuota. Qualcuno aveva sedato Carlo Alberto. Il Maresciallo si diresse verso casa deciso e pronto a tutto. Arrivato alla porta cercò la chiave ma la porta corazzata era già aperta; lui la spinse leggermente e lei si aprì.
Sentì una voce
Eppur, e d'uopo sforzati! Bah sei tu forse un uom? Ah! ah! ah! Tu se' Pagliaccio! Vesti la giubba e la faccia infarina.
Riconobbe immediatamente il disco. Era il vinile dei Pagliacci, che sua moglie sentiva ogni sera durante la malattia. Quando lei se ne era andata lui l’aveva lasciato sul giradischi come se da un momento all’altro lei dovesse tornare a sentirlo ancora. Il fatto che qualcuno lo stesse ascoltando gli fece stringere i pugni dalla rabbia. Il corridoio era buio e solo in fondo, dove c’era il piccolo studio con il pianoforte che sua moglie usava per le lezioni di musica, c’era una debole luce. Si avvicinò lentamente e quando fu alla porta dello studio che era semichiusa la spinse lentamente. Sulla poltrona su cui sua moglie sentiva la musica c’era seduto un uomo. Era alto e vestito con un paio di jeans aderente e un giubbotto nero. Aveva gli occhi chiusi, una mascherina da chirurgo sulla bocca e dei guanti azzurri che coprivano le mani con dita grosse come quelle di chi praticava arti marziali. Accanto a lui, sul bracciolo della poltrona, vi era uno smartphone che sembrava spento. Il Maresciallo stava per dire qualcosa ma l’uomo, sempre ad occhi chiusi, portò un dito alla bocca invitandolo al silenzio
La gente paga e rider vuole qua. E se Arlecchin t'invola Colombina, ridi, Pagliaccio e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor. Ah! Ridi Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t'avvelena il cor
Appena il tenore finì di cantare l’uomo aprì gli occhi e spense il vecchio giradischi. “Mi scusi Maresciallo se ne ho approfittato. Sua moglie aveva un buon gusto in fatto di musica” Il Maresciallo capì che lo sconosciuto sapeva di lui molte cose e non si sorprese. “Era una brava pianista ma si ammalò molto presto e non poté sviluppare il suo talento: questo la faceva soffrire più della sua malattia” “Succede a molti di vedere la vita cancellare ad uno ad uno tutti i propri sogni. È in quel momento che capiamo chi siamo e per che cosa vale la pena vivere o morire “ Vi fu qualche secondo di silenzio come se quanto detto avesse per chi aveva parlato un valore troppo importante e attuale per lasciarlo cadere velocemente nel nulla. Il Maresciallo ne approfittò “Lei è….” “Quello che le ha detto Mancino” “Se lei conosce Mancino sa bene che lui non direbbe a uno sbirro neanche che ora è” Senti sorridere l’uomo dietro la maschera “In effetti è così.” Il Maresciallo si sistemò nella sedia accanto al pianoforte come faceva quando sua moglie era seduta in poltrona. “Ho intuito che mancino la conosceva bene, e questo devo ammettere che era più di quanto sperassi. Ma ritengo che vi unisca un’amicizia tale, che pur essendo mio amico dichiarato e pronto ad aiutarmi, Mancino non ha detto nulla di importante. Quello che so l’ho capito perché sono uno sbirro e da chi mi stà davanti riesco a capire molto ma non tutto” “e di me cosa sta capendo?” “Che qui si sente al sicuro, che è certo che i suoi nemici non verranno e ha capito che io non sono a mia volta un suo nemico” “È così, Mancino mi ha parlato molto bene di lei e mi ha convinto ad ascoltarla perché pensa che sa dove è quello che cerco” “Per quanto ho capito e per quello che ho assunto penso di si e non ho problemi a dirglielo” L’uomo restò in silenzio e non si capiva se rideva o pensava “.. e cosa vuole in cambio per dirmelo” Il Maresciallo sorrise “che non vi siano più morti; poi mi basta il piacere, solo narcisistico, di aver compreso tutta la storia” L’uomo restò qualche secondo in silenzio poi esordi “Le prometto che se le sue informazioni sono corrette, una volta trovato quanto cerco, non vi saranno più morti per mia mano. Ma mi tolga una curiosità: e i suoi superiori? Non ne tiene conto?” “ho chiesto al Procuratore degli appuntamenti per dirgli la mia tesi e non mi ha mai risposto. Nel frattempo sono morte altre tre persone che probabilmente non c’entravano nulla. La giustizia è raffigurata con una spada e una bilancia, ma dovrebbe avere anche un orologio: fare giustizia venti anni dopo vuol dire far subire venti volte la stessa ingiustizia. Per questo le volevo parlare, per fermare la carneficina che lei e i suoi nemici state preparando” “ non sono miei nemici, ma clienti; ho lavorato per loro e contro di loro anche in passato. Ora però il gioco è molto diverso da quello che fino ad ora eravamo soliti giocare” “per i soldi negli emirati?” “Anche per quelli. Sabino e Cannata avevano pensato un business multimilionario. Avrebbero messo le mani su una miniera di diamanti in Russia utilissimi per i loro affari in sud America e in medio oriente. Avrebbero avuto i diamanti a 80 e con essi avrebbero comprato droga vendendoli a 200 perché i diamanti  sono il bene rifugio più prezioso per chi ha problemi con la giustizia o per chi deve essere corrotto. Mi avevano assunto per questo, per evitare che qualche mafioso russo si mettesse di mezzo. Lo sa come mi chiamano quelli per cui lavoro? Settoru, il sette di denari perché, come quando si gioca a scopa, chi mi ha tra le sue file ha già un punto in mano: dovevo semplificare i rapporti con chi non voleva finalizzare il business o creava problemi…” “e quelli che non sono suoi amici? Come la chiamano” Gli occhi si strinsero in un sorriso “Quelli mi chiamano u Ghiancheri…” “Il macellaio…?” “Si e non solo per il mio lavoro. Mio padre aveva una Ghianca, una macelleria alla Kalsa dove faceva la salsiccia più buona di Palermo!  Chieda a Mancino. Un giorno un uomo di niente gli disse che doveva comprare carne delle macellerie clandestine, animali uccisi perché rubati o ammalati. Mio padre rispose di no. Quello lo insultò pensandosi un mamma santissima. Lui lo caccio a calci fuori del negozio. Tre giorni dopo, uscendo dal retro del negozio venne assalito da tre energumeni con bastoni in mano. Lui si difese ma gli venne un infarto e mori. Io, che andavo a prenderlo e lo aiutavo in negozio perché era ammalato, vidi i tre uomini scappare. Andai dalla polizia a denunciarli. Ma dopo un mese nessuno era stato arrestato. Mia madre morì di crepacuore: uccisa dal troppo amore che la legava a mio padre. Al funerale di mia madre vidi uno dei tre e corsi dalla polizia dicendogli di andare ad arrestarlo. Mi dissero che non ne valeva la pena: era forse già fuggito ed in ogni caso il suo avvocato lo avrebbe fatto uscire dopo due giorni. Allora capii che questa che chiamano “la legge” non esiste. I furbi, i maligni, i ladri, gli arrivisti, gli infami: sono i topi di un enorme immondezzaio che chiamano società: sono loro che fanno le leggi, quelle di ogni giorno, non quelle dei libri. Come i topi si nutrono rubandolo tutto quello che gli piace seguendo i loro bisogni. Gli altri credono in una legge che è solo l’apparenza che copre l’immondezzaio come i cartelloni pubblicitari raffiguranti l’ordine e la bellezza di quanto chiamano società che coprono le discariche per nasconderle.  Ma non è così. Chi comanda in questo immondezzaio è chi non ha paura ad uccidere o rubare, chi non ha paura a fare del male gratuitamente, a ridurre gli altri a cose, ad animali con la droga e la violenza.  Ed è a questi che tutti obbediscono o a cui tutti si appellano per risolvere i loro affari, come facevano anche i principi di una volta con la mafia, perché è nel DNA della nostra storia questo ubbidire solo ai violenti senza mai ribellarci pensando che non ci riguardi chi sono o cosa fanno; perciò, mi sono detto che se esisteva  solo la legge di chi poteva sovrastare con la forza gli altri, io avrei fatto la mia giustizia con la stessa legge. I tre vigliacchi che uccisero mio padre scomparvero nel nulla; i loro corpi li buttai in una porcilaia a ingrassare i loro simili. Chi aveva ordinato a mio padre di ubbidirgli, lo trovarono appeso per i piedi e squartato come un maiale, così come hanno trovato Cannata. Io non uccido, li faccio impazzire dal dolore e dalla paura, lentamente, finchè loro stessi non invochino la morte come un sollievo. È questo che mi ha reso U Ghiancheri, qualcuno che anche gli assassini temono e che nessuno vorrebbe mai incontrare.  Il capocosca, di quei quattro maiali che avevano ucciso mio padre, invece di arrabbiarsi mi propose un lavoro. Gli avevo levato davanti quattro coglioni in un modo pulito e silenzioso, mi chiese se ero interessato ad avere un lavoro ben pagato visto che alcuni membri di una cosca avversaria alzavano troppo la cresta. Poiché ormai vivevo in una condizione in cui per sopravvivere occorrevano molti soldi, mi creai la regola che non avrei mai ucciso altri che uomini d’onore, sarei stato il loro giudice e boia restando sempre al di sopra di loro: io non uccido persone indifese ma chi della violenza e della morte ha fatto la sua vita perciò affronto i miei “clienti” alla pari.” Il Maresciallo lo guardò in silenzio “Perché mi sta dicendo tutte queste cose?” “Perché tutte e due crediamo nella giustizia e l’applichiamo, anche se da lati opposti, non per fini diversi: la giustizia, l’equità, quella vera ed assoluta” “E non ha paura che io usi le sue informazioni contro di lei?” “No, Mancino si fida di lei. Il suo telefono poi è sotto controllo: di ogni numero che chiama o da cui è chiamato, viene informato il procuratore. Lui pensa che lei si prenda troppa iniziativa, troppo libertà nel risolvere i casi. Dice che usa troppo la fantasia senza attenersi ai fatti. Ha un fascicolo su di lei pieno di considerazioni e dicerie: gli mancano però i fatti per incriminarla. Un segno che l’immondezzaio ha paura di lei, della sua intelligenza che è un’arma da cui nessuno può proteggersi. Lei è più simile a Mancino che al suo capo: crede nell’amicizia più di quanto i suoi colleghi credano in lei, è uno di quelli per cui esiste una società e dei doveri nei confronti degli altri, quegli altri che pensano solo ai loro diritti, alla loro voracità, come fanno i topi nell’immondezzaio.” Il Maresciallo restò ancora in silenzio. “un’ultima cosa, prima di arrivare al punto: perché lei si fida di Mancino? E perché Mancino ha tanto rispetto per lei da non dirmi niente?” “Una volta qualcuno gli disse che lo stavo cercando per ucciderlo. Lui non capiva perché, quindi andò da Nino, l’uomo che hanno ucciso e che era il mio contatto verso il mondo esterno e gli chiese di incontrarmi. Quando mi vide mi chiese perché volevo ucciderlo visto che lui non aveva mai fatto del male a nessuno; mi disse che a cinque anni aveva perso il padre, a sette scaricava cassette di frutta per aiutare la madre, a nove aveva rubato un pane per fame e da li aveva continuato: non era un santo ma non era un assassino, un ruffiano o un paraculo: poteva guardare chiunque dritto negli occhi senza vergognarsi. Gli risposi che qualcuno mi aveva detto che lui era stato pagato per uccidermi. Anche a lui la stessa persona aveva detto la stessa cosa. Ovviamente chi ci aveva detto così sperava che ci uccidessimo a vicenda. Gli dissi di non preoccuparsi e di sparire per un paio di settimane che mi sarei preso cura di quella persona. Lui però fu arrestato ed in carcere qualcuno lo prese di mira. Fu così che diventò Mancino e si fece vent’anni perché nel difendersi aveva ucciso un altro topo che voleva rodergli l’anima. Io avevo lasciato Palermo. Mi diedero dei lavori in America e poi in sud America per convincere qualche capo in testa locale a vendere coca al prezzo che le cosche dicevano. Quando lui uscì dal carcere era solo ed io lo andai a trovare. Gli chiesi cosa volesse fare e lui rispose che dopo tanti anni al chiuso voleva vivere in una spiaggia all’aperto. Lo portai dove ora ha la locanda e gli diedi i soldi per comprarla: gli ho regalato un sogno, per questo farebbe di tutto per proteggermi. È un amico, uno dei pochi che ho.” “Strano a dirsi anche per me è ormai un amico. Comunque veniamo al sodo” “Lei sa cosa cerco?” “Certo, quello che cercano tutti: la persona che ama” Gli occhi del Ghiancheri si strinsero come se stessero sorridendo “E sa anche dove è?” “Certo, dove la stava cercando: nella contrada della Croce, solo che lei la stava cercando nel posto sbagliato” U Ghiancheri lo fissava con attenzione senza perdere il minimo gesto. “vede, mentre scrivevo verbali e relazioni su come era morto Calabrò, ebbi la sensazione che quella sua macchina io l’avessi già vista più volte. Pensai per qualche giorno poi capii. Nel paese c’è una sola strada che sale dalla provinciale, fino al paese e poi alla Contrada della Croce. La nostra caserma è a lato di questa strada e le telecamere di sicurezza della caserma inquadrano sempre la strada. Andai a vedermi i vecchi filmati e scoprii che il Calabro era salito diverse volte e sempre da solo. Una volta però era salito preceduto da una di quelle grosse moto che usano i killer per sparare per strada. La sua macchina era seguita da un'altra con quattro ceffi stipati dentro.” “Una scorta…” “Esatto. Ingrandii più che potevo le immagini della macchina di Calabrò, scoprendo che di dietro, seduta tra due uomini c’era una donna. Guardai il filmato di quando le macchine e la moto discesero dalla valle ma la donna non c’era” L’uomo restò zitto come aspettando qualche altra informazione “Chiesi ai miei informatori (se il barbiere del paese si può definire tale) se c’era qualcosa di strano nella famiglia Calabrò. Sono venuto a sapere che una diecina di giorni prima, alla cresima della figlia di Sabino Calabrò mancava sua cognata Gaetana Ruffo-Ruffo, moglie del cugino Miuccio, quest’ultimo presente alla festa ed esageratamente euforico, tanto che a pranzo, Sabino riprese suo cugino per quanto beveva. Il cugino mi è stato descritto come persona, irascibile e arrogante, dall’ira e la pistola facile, ben diverso dalla moglie Ruffo-Ruffo che tra i suoi avi annovera un siniscalco di Federico II” “È cosi – aggiunse improvvisamente l’uomo – Gaetana è una donna sensibile e di una personalità superiore a questi Calabrò che sono ricchi solo dei soldi che fanno con il dolore degli altri. Suo marito se l’è comprata pagando i debiti di suo padre. Quando mi arruolarono per aiutarli nell’impresa, Sabino chiese a Gaetana di fare gli onori di casa. Ero un personaggio importante e la Famiglia voleva ospitarmi nel modo migliore. Gaetana era l’unica incensurata che potesse ospitarmi e occuparsi degnamente di me. All’inizio ci evitavamo, poi per caso incominciammo a parlare e qualcosa di inatteso e non voluto accadde tra noi” L’uomo abbassò gli occhi quasi a ragionare per se stesso “Io non ho mai pensato alla mia vita come una vita normale ma come qualcosa che da un momento all’altro doveva finire bruscamente ed il cui unico fine era uccidere quanto più possibile chi era uguale a chi aveva ucciso mio padre. Lei invece rese reale e possibile una vita normale, quella di cui mio padre e mia madre avevano vissuto semplicemente ma intensamente. Questa romanza – l’uomo indicò con il mento il disco – Gaetana la suonava sempre. Anche lei si sentiva qualcuno che doveva indossare con la morte nel cuore, il suo vestito da Pagliaccio per dare spettacolo e per essere mostrata come simbolo del successo del marito, dopo la Ferrari e prima dei purosangue arabi. Poi suo marito quando ha capito che ci amavamo ha trattato Gaetana in un modo indefinibile. Un mafioso non è più considerato tale se anche la moglie lo tradisce. In più avrebbero dovuto uccidermi per aver violato la loro casa. Ma cosa avrebbero dovuto dire alle altre cosche? Io ero un elemento importante dell’investimento che stavano facendo perché i russi obbediscono solo a chi li uccide. Gli altri si sarebbero tirati indietro, per questo, per punirla e per ricattarmi l’hanno nascosta così che continuassi a servirli: con lei prigioniera potevano farci fuori quando l’affare era finito. Gaetana è una donna che prima di incontrarmi non aveva mai sorriso, era un cigno in uno stormo di corvi. Come me ha dovuto adattarsi ad una realtà disgustosa perché non poteva averne altre. È difficile credere che due infelicità assolute possano far nascere una felicità totale: ma a noi è successo. Lei mi ha donato il lato migliore della vita che non conoscevo: avere chi ti capisce, chi ti ascolta, chi cancella le nubi nei tuoi pensieri e ti spinge a credere in una realtà diversa. Migliore. Ha aperto la prigione in cui ero, ha stracciato le vesti da pagliaccio che ogni giorno indossavo per essere quello che quelli come suo marito mi avevano fatto diventare. Ha ragione a dire che se non la trovassi, i morti aumenterebbero: sono figlio di mio padre e nessuno può ricattarmi e ridurmi ad essere un servo, nessuno può maltrattare chi, dopo una vita di sangue, mi ha fatto trovare il senso della parola amare. Quell’amare che univa così indissolubilmente i miei genitori. Sterminerò tutta la Famiglia e i suoi affiliati se non me la ridaranno intatta! Lei, dopo tanti morti, mi ha riportato alla vita e a questa vita non ci rinuncerò” Fu il turno del commissario di restare qualche secondo in silenzio “È quello che ho pensato considerando l’odio che ha usato nell’uccidere. Ma torniamo al punto iniziale dov’è Donna Gaetana? Quando ho tirato le somme di tutto mi ricordai di quando dallo spiazzo di fronte al vallone della Croce guardavo i monti prima che improvvisamente arrivasse la macchina di Calabrò. Nella parte dei monti, dove c’erano le miniere, vedevo di tratto in tratto diverse macchine: troppe. Se tu nascondi qualcuno non metti mille guardiani a dire dov’è.  Lì la montagna è un formicaio di tunnel e grotte, non hai bisogno di mettere mille guardiani.” “Infatti! ho girato quelle miniere per diversi giorni ma non era un posto dove tenere Gaetana. È meta di gite scolastiche e speleologiche. Per questo rapii Sabino, per farmi dire dov’era, ma lui si rifiutò di dirmi cosa” “Allora, vedendo quelle macchine fuoristrada sparse qua e là, mi sembrava quasi che aspettassero qualcuno. Ora capisco che era una trappola per lei, per attirarlo fin lassù e farle fare quello che volevano. Poi ho incominciato ad osservare il resto del vallone e le colline dove, finite le miniere incominciano le distese di olivi e viti. Guardai negli uliveti ed in un Baglio nel mezzo delle colline vi notai qualcosa che mi colpì: ad una finestra della vecchia casa colonica in cui le olive sono raccolte, c’era un filo sottile e ad esso vi erano attaccati dei vestiti da donna. Cose intime e piccole, come mutandine e reggiseni. Erano solo un paio, nascoste dai rami di ulivo, ma erano troppo piccole per appartenere alla moglie del proprietario del fondo e troppo eleganti per appartenere a qualche ragazza del paese. Mi chiesi allora chi poteva lasciare in quel luogo disabitato quelle cose così intime. La finestra in cui erano, dava su un dirupo, nessuno degli altri abitanti della casa avrebbe potuto vederle. Forse era un segnale, forse solo della biancheria stesa ad asciugare.” L’uomo penso qualche secondo. “Era un segnale: Gaetana mi voleva dire dove era. Io cercavo in alto, tra le miniere, perché li era facile nasconderla. Troppo facile. Sabino aveva architettato una trappola per fermarmi circondando la zona con i suoi uomini e saliva e scendeva da lassù per richiamare la mia attenzione e attirarmi tra i suoi uomini. Io conoscevo quella zona da tempo perché li ho concluso molti dei miei lavori, ed ho evitato facilmente le sue trappole.” Il cellulare che l’uomo teneva sul bracciolo della poltrona si illumino. Apparve come una mappa con delle linee e un puntino rosso in movimento. “Qualcuno sta venendo a trovarla. Tenga – gli disse allungando la Beretta di ordinanza del Maresciallo – è meglio che vada vedere chi è”. Il Maresciallo prese la pistola e si chiese come U Ghiancheri avesse fatto a trovarla nella cassaforte nascosta nell’armadio della stanza da letto. Mise l’automatica tra la cintura dei pantaloni e la schiena coprendola con la maglietta. Tornò indietro nel corridoio fino alla porta di ingresso e dalla telecamera del citofono osservò la strada.
Una macchina spuntò dalla destra e lentamente si fermò all’altezza del cancello. Ne scese l’agente Caccamo che avvicinandosi al citofono suonò. Il Maresciallo aspettò qualche secondo e poi rispose “Chi è?” “Maresciallo sono Caccamo, tutto bene?” “Caccamo, si tutto bene perché è successo qualcosa” “No Maresciallo, Petyx mi ha detto che lo aveva chiamato più volte al cellulare perché voleva venire a trovarlo con la moglie e il bambino, e non gli rispondeva e si era preoccupato, così mi ha chiesto di passare a vedere” “Sono andato a Sciacca dai miei amici e ho lasciato il cellulare nella scrivania in ufficio, sono appena tornato” Poi aprì la porta e andò a salutare Caccamo di persona. “Caccamo tutto bene ora chiamo Petyx e glielo dico” “Va bene Maresciallo, meglio così, ci eravamo preoccupati” “Non ti preoccupare ci vediamo domani, ora torna in caserma” Caccamo lo salutò e tornò in macchina; il Maresciallo aspettò che si allontanasse e tornò di corsa in casa e percorrendo velocemente il corridoio arrivò allo studio. “Tutto a posto, era…..” La poltrona era vuota.
Il Maresciallo guardò il rapporto che aveva scritto ancora indeciso se spedirlo o meno. Fece mente locale ed incominciò a rivedere gli avvenimenti accaduti tre giorni prima, il giorno dopo il suo incontro con U Ghiancheri. “ Alle ore 05:15 del mattino è suonato il telefono d’ordinanza e l’appuntato Cacace mi ha informato che stava venendo a prendermi con il fuoristrada perché in contrada Croce era scoppiato un incendio in una casa abbandonata dentro un uliveto. Poiché c’era una macchina vicino nell’Uliveto i forestali pensavano che qualcuno fosse dentro la casa. Dell’orario sono certo perché ho visto l’ora sul telefonino! Alle 05:45 è arrivato Cacace e siamo andati verso Contrada Croce passando dalla mulattiera che attraversava il torrente e saliva verso la parte coltivata della valle. La strada era più veloce anche se si poteva fare solo con un fuoristrada o un mulo.” Il Maresciallo controllò l’orario riportato nel documento, quindi continuò il suo riepilogo interno “ Appena attraversato il fiume ed iniziata la ripida salita verso i boschi di ulivi e le vigne abbiamo sentito una forte esplosione in direzione del baglio verso cui stavamo andando.” Il Maresciallo pensò un minuto poi prese il documento e aggiunse “L’esplosione era molto forte tanto che ci caddero addosso dei detriti di mattoni e di legno. Notammo lo sviluppo di una colonna di fumo nero” Il Maresciallo pensò alla faccia bianca e sorpresa di Cacace che lo osservava spaventato. “Dopo forse mezzo minuto, mentre proseguivamo la nostra marcia, il Maresciallo Biondo mi ha chiamato per informarmi che mentre con i suoi forestali stavano arrivando in zona, all’interno del baglio c’era stata una forte esplosione che dalla distanza da cui lui osservava, sembrava avesse distrutto buona parte dell’edificio. Gli chiesi di delimitare la zona e di evitare che il fuoco si propagasse nell’uliveto ma di mantenere i suoi uomini a distanza di sicurezza dal Baglio senza avvicinarsi. Arrivato constatavo che del Baglio erano rimaste in piedi sono le pareti frontali dell’edificio, mentre la parte posteriore, situata su un dirupo era precipitata nel dirupo stesso, facendo sfogare l’esplosione principalmente in quella direzione.” Si fermo ad osservare lo scritto. “Richiesto l’intervento degli artificieri dell’esercito, nei ruderi del Baglio sono state trovate quanto restava di alcune casse di legno con scritte cirilliche dentro cui vi erano gli avanzi risparmiati dal fuoco di fucili d’assalto AK-47 e altre attrezzature militari. Da alcuni pezzi di legno recuperati, sembra che l’esplosione sia stata dovuta ad una cassa di tritolo per costruzione che è stata innescata probabilmente per l’incendio di una stufetta elettrica dimenticata accesa. Stufe simili sono state trovate in diversi punti del Baglio. La macchina risultava rubata un mese prima a Cefalù” Il Maresciallo si grattò la testa e continuò a leggere “Si suppone al momento che il Baglio sia stato un deposito della cosca Calabrò, vera proprietaria dell’uliveto, dove veniva occultato materiale che probabilmente doveva servire per qualche rapina di furgoni postali o banche. Al momento non si ha un collegamento tra il deposito e la morte di Calabrò Sabino avvenuta circa una settimana prima, ma i suoi continui viaggi nella contrada portano a pensare che sicuramente il Calabrò ne fosse a conoscenza” Il Maresciallo guardò scettico il documento “U Ghiancheri deve aver fatto fuori i secondini di donna Gaetana e li ha portati via, poi ha fatto saltare il baglio per cancellare le prove della presenza della donna. Tutta la storia si riassumeva in una base della cosca abbandonata dopo la morte di Sabino, e in un incidente casuale.” Per l’ennesima volta il Maresciallo appoggiò il documento sulla scrivania incerto se potesse considerarlo realistico e quindi finito. “Al procuratore il report piacerà, vi sono i fatti e non c’è nulla della mia fantasia” E si mise a ridere. “Maresciallo mi scusi – fece Caccamo apparendo sulla porta del suo ufficio – c’è un signore che vorrebbe salutarla….” “Eh chi è ?” fece sorpreso “Marescialluuuuu” fece improvvisa la figura di Mancino la cui sagoma occupò tutta la porta tanto che Caccamo scomparve dietro di lui “ come stai Maresciallo? sto andando a prendere Rachele a Palermo e sono passato a portare due gamberi freschi freschi, un totano che è uno zucchero e una spigola che se quando la mangerà la farà andare in paradiso” l’omone riuscì a superare la piccola porta e tra le mani gli apparvero una enorme borsa frigo che doveva contenere il tesoro che aveva descritto e un'altra borsa piena di bottiglie di vino “Il totano è da fare subito, lo pulisci e lo metti in padella con l’accia, due olive verdi, i capperi e lo fa rosolare poi con il pomodoro…” “Mancino grazie …. - rispose il Maresciallo ancora sorpreso e travolto dalla loquacità dell’amico. - … Caccamo per favore prendi e metti tutto in frigo che a mezzogiorno cuciniamo tutto” Mancino diede con delicatezza la borsa all’appuntato “Mi raccomando i gamberi ….. – fece severo verso Caccamo - .. crudi! con un filino d’olio e poco limone: sono una delizia…” “Questa è una bella sorpresa – fece il Maresciallo – non ti aspettavo…” “E’ che Rachele, la conosci, ha insistito che passassi a ricordarti che sabato sei a pranzo da noi… Per favore non dirmi di no che se noi lei è capace che ti viene a prendere: lo sai è bergamasca, ha la testa più dura di una palermitana” “Questo è tutto da dimostrare ma ti credo! ti posso offrire almeno un caffè ?” “Ma quale caffè sarebbe il quinto questa mattina, sono andato alle cinque al mercato del pesce a prendere il meglio per Rachele…. ora però devo andare che devo attraversare Palermo con il traffico” “Aspetta che ti accompagno alla macchina” Il Maresciallo prese il cappello ma, come ultimamente gli capitava, si dimentico il cellulare sulla scrivania. “Allora tutto bene?” chiese Mancino appena usciti dalla caserma “Tutto bene… penso che ogni cosa sia andata a posto” “Si, è tutto a posto. Ho saputo che c’è stato un po' di fuoco…” “Un deposito di armi dei Calabrò…” “A niente di particolare. Ah proposito lo sai che Miuccio Calabrò è morto” Il Maresciallo si fermò sorpreso “Morto? e come fu” “Il giornale dice che lo hanno trovato a casa sua in vestaglia strangolato sulla sua poltrona” “Strangolato? e cosa vuol dire?” “Che non volevano versare il suo sangue.  Un morto strangolato non chiama vendetta” “Ho capito, ma che senso aveva farlo fuori adesso?” “Non lo so, forse è una morte di scambio” “Eh cioè?” “Tu hai qualcosa che interessa a me, io ho qualcosa che interessa a te. Ora io riesco a rubarti quello che mi interessa e tu ti incazzi ancora di più. Allora io ti dico: ti posso rendere quello che vuoi. Magari me ne tengo poco poco e il resto te lo restituisco se tu uccidi una certa persona” Il Maresciallo si fermò interdetto “Lo hanno ucciso i suoi?” “Lui doveva uccidere sia la moglie che U Ghiancheri quando li aveva scoperti. Invece è andato a piangere da suo cugino Sabino scatenando il casino che ne è venuto fuori. Orami era cornuto e coglione. Se non l’avessero ucciso loro lo avrebbero fatto le altre cosche e non si sarebbero limitate a far fuori solo Miuccio” “Pensavo che non ci sarebbero stati altri morti” “Non per mano sua! e questo lo ha mantenuto….” Fece serio Mancino di fronte alla macchina. Si girò ed entrò in machina sedendosi, poi, con una certa difficoltà, tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta “Questo è per tè - Il Maresciallo lo guardò severamente - Lo so che tu sei uno sbirro che non accetta soldi, ma la compagna del mio amico vuole dirti personalmente grazie e nel foglio c’è il posto e l’ora dove ti aspettano per dirtelo. Pensa che sia un suo dovere e una forma di rispetto ringraziarti personalmente.” Il Maresciallo prese il foglio di carta e salutò mancino “Salutami l’ing. Rachele..” fece mentre Mancino partiva sgommando “Ricordati sabato…” fece Mancino agitando la mano dal finestrino Il Maresciallo l’osservò scomparire e poi si voltò per tornare in caserma. Mentre andava apri il foglietto ed osservandolo si fermò per la sorpresa. Era un biglietto per assistere ad un’opera presso il teatro Greco di Taormina: “I Pagliacci”
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zoeneedsnutella · 4 years
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𝑁𝑖𝑔ℎ𝑡 𝐶ℎ𝑎𝑛𝑔𝑒𝑠
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Lo so, so che lui mi ama, me lo ha detto e l'ho letto nei suoi occhi, so che diceva la verità e non so cosa mi faccia stare così in ansia, in realtà non c'è un motivo valido, sto per fare l'amore con la persona a cui tengo di più al mondo eppure mi sento come bloccata.
Prendo il vestito che ho scelto e lo poggio sul letto, è rosso e mi arriva fino a metà coscia, non ha le maniche ed è stretto sul petto andando poi morbido sui fianchi.
Faccio una doccia calda per tranquillizzarmi e una volta uscita indosso quel vestito, mi guardo allo specchio, è molto bello e mi sta anche bene, risalta le mie gambe lunghe. Metto i sandali con il tacco dorati e aggiungo qualche accessorio come l'anello che mi ha regalato Zayn anch'esso dorato, torno in bagno per asciugarmi i capelli e per fare delle onde il più naturali possibile.
Quando finisco il risultato non è affatto male ed esco dalla mia camera diretta in salotto dove mia madre è seduta.
"Wow Cara sei bellissima" dice alzandosi e venendomi in contro, non posso fare a meno di sorridere e ringrazio "Però così non ci esci con Zayn" dice indicando il mio vestito.
"Perché?" chiedo non capendo il controsenso.
"Perche no" dice guardandomi seria "È troppo... sensuale" dice a mo di rimprovero.
"Ma mamma non è aderente, è un po' corto ma è proprio quello il bello del vestito" dico leggermente infastidita, insomma mi ci è voluta più di un'ora per trovare quello giusto e finalmente che l'ho trovato a lei non piace, vedo che cerca un'altra scusa ma non fa in tempo che il campanello suona e io corro per quello che me lo permettono i tacchi fino alla porta.
"Buonasera" mi saluta Zayn con un sorriso enorme e un mazzo di garofani in mano, sa che non sopporto le rose, le trovo troppo banali, sorrido e gli faccio cenno di entrare mentre vado su in camera mia per prendere la borsetta con il telefono e le chiavi di casa.
Quando scendo trovo mia mamma e Zayn all'entrata in un silenzio imbarazzante quindi saluto velocemente mia mamma ed esco con Zayn il quale prima di aprirmi la portiera come un galantuomo mi da un leggero bacio a stampo.
Il viaggio in macchina è tranquillo anche se io sono sempre in ansia per stanotte.
"Dove mi porti?" chiedo girandomi a guardarlo, mi sorride ricambiando lo sguardo "Sorpresa" dice solamente tornando a guardare la strada.
Mi piace questo lato di Zayn, è misterioso, lo è sempre stato e mi ci è voluto un sacco di tempo per farlo sciogliere con me, rimaneva sempre sugli attenti e quando era arrabbiato o triste non lo dava a vedere, ma quando lo guardavo lo capivo, capivo se era arrabbiato, triste, felice, deluso, finalmente ora non c'è bisogno, è lui a dirmi tutto e sono felice perché ogni cosa riguardi lui, che sia brutta o bella voglio che riguardi anche me.
"Arrivati" dice spegnendo la macchina, esco e mi giro intorno, è un ristorante bellissimo, deve essergli costato tantissimo e un po' mi dispiace fargli spendere così tanto per una cena ma non posso essere che felice che lo faccia per me.
Ci avviciniamo all'entrata ma prima che possa aprire la porta Zayn mi tira con delicatezza indietro "Sai, non te lo avevo detto perché c'era tua mamma e come hai visto non era molto felice di vedermi però sei stupenda stasera" dice guardandomi negli occhi, arrossisco leggermente perdendomi nei suoi occhi castani.
Mi porta sul retro, facendomi entrare dalla cucina, rimango abbastanza sorpresa, inizia a presentarmi a tutti i cuochi e gli aiuto cuochi spiegandomi che è il ristorante di suo padre, in effetti sapevo che avesse un ristorante ma Zayn non mi ci aveva mai portato e non sapevo fosse di lusso.
Usciamo dalle cucine "Vieni, ho prenotato il tavolo più bello" Zayn mi prende la mano che prima aveva lasciato ed entriamo nella sala da pranzo, è enorme, ha le pareti color crema, con tutte le tende rosse a far da cornice alle finestre.
Un cameriere si avvicina sorridendo a Zayn e poi mi guarda "Tu devi essere Cara" dice sorridendomi "Zayn aveva detto che eri bella ma non pensavo così tanto" dice facendomi arrossire, se ne va scusandosi e Zayn mi spiega che è un grande amico di famiglia oltre che un cameriere.
Ci sediamo e dopo poco che abbiamo ordinato arrivano i piatti, mangiamo tranquillamente fino a quando non vedo mio fratello entrare arrabbiato nel ristorante, diretto verso il nostro tavolo, lo guardò increspando le sopracciglia e non mi lascia il tempo di fare domande che tira Zayn su dalla sedia per la giacca, mi alzo immediatamente "JAKE!" esclamo infuriata "COSA STAI FACENDO?" tutto il ristorante ci sta fissando, lo capisco perché mi sento osservata e c'è un silenzio tombale.
"COSA VUOI FARE A MIA SORELLA È?" dice ad un centimetro dalla faccia di Zayn il quale non si è scomposto per niente.
"Portarla cena" dice infatti tranquillo.
"E DOVREI CREDERTI?" chiede mio fratello sbuffando, mi avvicino ancora di più "JAKE LASCIA ZAYN, ORA" dico fissandolo negli occhi, gira il viso verso di me "E non volevi farci niente è? Guarda come è vestita" dice stringendo la sua giacca ancora di più, mi sento umiliata, mi guardo intorno, gli occhi pizzicano e le lacrime minacciano di uscire.
"LASCIA ZAYN, JAKE NON STO SCHERZANDO, LASCIA IL MIO RAGAZZO" dico ancora una volta ma Jake non sembra capire, continua a fissarlo negli occhi come se si stesse chiedendo come fargli più male, arrivano le guardie del ristorante "Lasci il signor Malik ed esca immediatamente dal ristorante" dice un'uomo grosso e pelato in smoking, non ottiene risposta quindi si avvicina di più "Glielo ripeto un'altra volta, poi parte la denuncia, esca dal ristorante" Jake lascia Zayn sbuffando e guardandomi male, "Cara, vieni con me".
"NO" esclamo arrabbiata, mi avvicino a Zayn il quale mi abbraccia mentre mio fratello viene scortato fuori, mi giro a guardarlo e un cameriere ci chiede se è tutto a posto e se vogliamo continuare la serata, Zayn mi guarda e io scuoto la testa senza parlare, perché so che se aprissi bocca inizierei a piangere, annuisce ed usciamo dal ristorante, una volta saliti in macchina mi giro a guardarlo ed inizio a scusarmi, ma lui mi interrompe "Ehi, tranquilla non è colpa tua" dice accarezzandomi la guancia "Ora ti riporto a casa okay?" dice mettendo in moto la macchina, ma questa volta lo fermo io.
"No" dico mettendo una mano sulla sua per bloccarlo dal muovere la chiave "Non voglio tornare a casa" dico guardandolo con ancora gli occhi lucidi.
"E dove ti porto" chiede confuso.
"Dove saremmo dovuti andare dopo la cena, a casa tua" dico sorridendo leggermente.
"Cara io non so se dopo quello che è successo..." dice guardandomi serio.
"Ehi, questa è la nostra serata e io voglio passarla con te" dico anche io seria, mi guarda diritto negli occhi, come a voler cercare un segno che gli dica di non accettare ma io sono certa di quello che voglio fare, anche se un po' in ansia.
Annuisce ed esce dal parcheggio del ristorante diritto a casa sua come avevamo detto, visto che i suoi genitori con le sorelle sono fuori città, di tanto in tanto lo guardo, pensando a quanto è stato tranquillo rispetto al solito stasera, se fosse successo in un'altro momento si sarebbe rigirato e gliele avrebbe date, però stasera si è trattenuto, l'ho visto nei suoi occhi, ho visto che avrebbe voluto però non lo ha fatto, forse perché era nel ristorante del padre o forse perché non vuole avere ancora più problemi con mio fratello, non si sono mai piaciuti però nessuno dei due ci può fare niente, Jake è comunque mio fratello, mentre Zayn è il mio ragazzo e nonostante Jake non voglia accettarlo sa che lo amo con tutta me stessa.
Scendiamo dalla macchina e Zayn apre la porta di casa sua facendomi passare prima così da chiudersi la porta dietro, accende la luci e mi fa cenno di seguirlo in cucina "Non siamo arrivati al dolce, quindi se vuoi ho del gelato" dice sorridendo mentre poggia la vaschetta e i cucchiai sul bancone, rido e con il cucchiaio inizio a magiare il gelato dalla vaschetta.
"Ho paura" dico ad un certo punto, così dal nulla.
"Di cosa?" chiede giustamente Zayn non capendo.
"Di farlo" dico con chissà quale coraggio.
"Farlo farlo?" chiede cercando di capire se aveva capito bene, annuisco "Cara, lo sai che non dobbiamo farlo per forza stasera giusto?" Zayn mi guarda serio.
"Io voglio farlo" dico e lui mi guarda confuso "Solo che ho paura di quello che succederà dopo" dico sentendo un groppo in gola.
"E cosa vuoi che succeda?" chiede continuando a non capire.
"Io...io ho paura che poi tu mi lasci, ho paura che poi starò male come sono già stata," dico guardando in alto e cercando di non piangere, si alza e si avvicina a me.
"Non lo farei mai" dice quando è davanti a me.
"Ha detto lo stesso mio padre e ora dove è? Non lo sa nessuno" dico faticando a tenere le lacrime al loro posto.
"Ma io non sono tuo padre" dice asciugandomi qualche lacrima che non ero riuscita a trattenere "Lo so okay? Me ne sono accorto anche io, il tempo va velocissimo e mi sembra ieri che ci siamo conosciuti, mi sembra ieri il primo bacio e mi sembra ieri il primo 'Ti amo' quando in realtà è passato quanto? Un anno? Si, però mi sono anche accorto che noi due siamo gli stessi, siamo quelli di quando ci siamo conosciuti, siamo quelli del primo bacio e siamo quelli del primo 'Ti amo' non siamo cambiati se non in meglio, io riesco a trattenermi e non bevo più, grazie a te, grazie all'amore che mi dai ogni singolo giorno e non mi importa se non vuoi fare l'amore con me stanotte, perché finché sto con te posso aspettare" conclude dandomi un bacio a stampo, si stacca leggermente dal mio viso e io elimino le lacrime che ho versato per le sue parole.
"Ti amo" dico riconnettendo le nostre labbra ma in modo più passionale, per fargli capire che lo voglio davvero.
"Sicura?" chiede tra un bacio e l'altro, annuisco impercettibilmente e in un secondo ci ritroviamo nella sua camera da letto, tolgo i sandali lanciandoli in un angolo buio della stanza mentre lui tira giù la cerniera del mio vestito rosso lasciandolo cadere a terra, gli tolgo la giacca e la camicia.
Mi sdraio sul letto seguita poi da lui che nel mentre si era tolto le scarpe, lo aiuto a togliere i pantaloni che volano anch'essi in qualche angolo buio, la biancheria non ci mette niente a sparire ma non sono a disagio come pensavo, mi sento al posto giusto, nel momento giusto e con la persona giusta.
𝒔𝒄𝒓𝒊𝒗𝒆𝒕𝒆𝒎𝒊 𝒂𝒍𝒕𝒓𝒆 𝒄𝒂𝒏𝒛𝒐𝒏𝒊 𝒔𝒖 𝒄𝒖𝒊 𝒔𝒄𝒓𝒊𝒗𝒆𝒓𝒆 𝒖𝒏 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐, 𝒑𝒓𝒆𝒇𝒆𝒓𝒊𝒓𝒆𝒊 𝒄𝒂𝒏𝒛𝒐𝒏𝒊 𝒅𝒆𝒈𝒍𝒊 𝒐𝒏𝒆 𝒅𝒊𝒓𝒆𝒄𝒕𝒊𝒐𝒏 𝒐 𝒅𝒊 𝒍𝒐𝒓𝒐 𝒅𝒂 𝒔𝒐𝒍𝒊𝒔𝒕𝒊 𝒑𝒆𝒓𝒐 𝒔𝒆 𝒑𝒓𝒐𝒑𝒓𝒊𝒐 𝒗𝒐𝒍𝒆𝒕𝒆 𝒑𝒐𝒔𝒔𝒐 𝒇𝒂𝒓𝒆 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒄𝒉𝒆 𝒆𝒄𝒄𝒆𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆, 𝒐𝒈𝒏𝒊 𝒕𝒐𝒕 𝒇𝒂𝒓𝒐 𝒅𝒆𝒊 𝒃𝒐𝒏𝒖𝒔 𝑳𝒂𝒓𝒓𝒚 𝒆 𝒑𝒐𝒊 𝒓𝒊𝒄𝒐𝒓𝒅𝒂𝒕𝒆𝒗𝒊 𝒅𝒊 𝒅𝒊𝒓𝒎𝒊 𝒊𝒍 𝒔𝒊𝒈𝒏𝒊𝒇𝒊𝒄𝒂𝒕𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒄𝒂𝒏𝒛𝒐𝒏𝒆 𝒄𝒉𝒆 𝒗𝒐𝒍𝒆𝒕𝒆.
𝒗𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒁𝒐𝒆<3
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stilledisangue · 5 years
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EXIT
...CONTINUA
Oggi mentre mi sto asciugando approssimativamente uscita dalla doccia bollente so che nonostante abbia dormito come un sasso sono distrutta. L’insofferenza mi sguscia tra le mani peggio di un’anguilla. Un calcio alla pila di roba da lavare, mi infilo la prima cosa che trovo e che ovvio, mi fa sentire più brutta che mai. A piedi nudi entro in scarpe con tacchi. Il gatto attraversa veloce il corridoio per fiondarsi in zona crocchette. Copiamolo. Ci vado anch’io in cucina con la solita testa arruffata delle giornate strambe. Altro che colazione, salto al pranzo direttamente. Apertura frigo. V.u.o.t.o. Nemmeno-una-cotoletta-impanata? Guardò disgustata la fila di yogurt salutisti di mio marito. NULLA. Malfred non si occupa di queste cose. Non lo riguardano. È un topo d’archivio. Adora scrivere e spulciare vecchi libri. A volte lo vedo spostarsi sù e giù per la libreria, mosso da rigida certezza. Consulta, osserva, rilegge. Occhiali seri, viso imperturbabile.
Tranne quando mi vede, in quell’attimo cerca la mia approvazione. Cerca me. Ultimamente, non mi trova. Malfred è un dotto. Con punte accelerate di misantropia.
TUTTI A PARLAR MALE DI POLITICA SENZA CAPIRE NIENTE
CANTANTI DA STRAPAZZO SOTTO LE FINESTRE OGNI FINE SETTIMANA
LO AVEVO DETTO CHE NON DOVEVAMO VIVERE IN CENTRO
METTONO LA CIOTOLA PER FAR BERE I CANI CHE POI CAGANO DAVANTI AL PORTONE
NESSUNO CHE ABBIA SENSO CIVICO
Mi dà vagamente fastidio, da un po’ di tempo a questa parte.
L’importante è sapere chi si è, dove si va. Punti fermi come chiodi in testa.
Rufus attende beato, come tutti i maschi con cui ho a che fare, che io dispensi roba da mangiare, attenzioni, carezze e altre amenità.
Animale Femmina della casa = probabilità grattini 90% = probabilità crocchette ripiene 75,46% = possibilità grande ronfo 87,32%!
Miewrrr..
- Rufusiii, vieni qui.
Il gatto pesa quanto mangia, mi si schianta in braccio, si lecca le vibrisse e sgranocchia la crocchetta ripiena. Lo accarezzo chiudendo gli occhi. Un attimo di pace. Manca solo un calice di vinello e musica in sottofondo. Che meraviglia.
...CONTINUA...
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millepiccolinsetti · 6 years
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sul treno guardo le colline scorrere davanti al mio sguardo. relitti. appartamenti. gigantesche antenne paraboliche arrugginite. il tintinnio della pioggia sul vetro. le centrali elettriche. le insegne delle città che non avrò mai modo di visitare. a cinquecento metri dalla destinazione decido di passare un attimo dal bagno. faccio scorrere per mezzo metro la porta ed ecco, giuro su dio, che appare il contorno di una figura umana stesa sul pavimento. faccio un balzo sul posto. almeno, così mi pare di ricordare. uno shock improvviso. vedo le scarpe: vecchie, sgualcite, bucate su più lati. i pantaloni sporchi e logori. resisto alla paura e apro la porta fino in fondo. c’è una puzza di vino insostenibile. è un barbone. boccheggia, sembra stia lottando tra la vita e la morte. il treno si ferma a milano. scendo con la mia valigia, corro facendola sbattere tra i passeggeri, cerco qualcuno dello staff che possa aiutarmi. non c’è nessuno. proprio in quel momento hanno deciso di dileguarsi tutti. che presa in giro è mai questa? sembrava un brutto incubo. ero disperato. non mi capitava da molto tempo di tenerci così, per la vita di un uomo. di vederla sopravvivere a ogni costo. ho cercato ovunque, tra i binari. poi mi sono fermato, avevo le gambe stanche. ho appoggiato una mano sulla maniglia della valigia, ho guardato l’orizzonte al di là del tunnel della stazione, il cielo solcato dallo zig zag dei cavi elettrici, le vetture che divorano lentamente la terra sulle loro rotaie. mi sono passato una mano sui capelli. poi sul volto. ho sospirato.                                                              ***
la casa è vuota. era vuota già da molto prima che io ci mettessi i piedi, e la sensazione è che nessuno facesse visita in quel posto da almeno una decina d’anni. eppure a pensarci ora mi sembra ci sia stato un tempo in cui il mio passo ha solcato quel pavimento lucido, a macchia di leopardo. mi siedo su uno dei pochi avanzi del passato rimasti: una poltrona azzurra. un reperto archeologico. ci sono ancora i graffi di mela, il gattino dei vicini che tenevamo qualche weekend al mese quando ai vecchi andava di andare giù al mare. due fendenti che una volta ha inferto con le sue unghie aguzze. era un gatto parecchio aggressivo, non c’è nulla da dire. oppure, semplicemente, non gli andavamo granché a genio. poggio la testa sul cuscino. i vetri della cucina sono davvero sporchi. sono un po’ troppo sporchi. andrebbero lavati. a volte fare la pulizia della propria casa è un po’ come sciacquarsi il cervello. serve a scacciare i brutti pensieri. e così prendo una spugnetta e uno straccio e lo spray e comincio a darci di gomito per un’ora, un’ora e mezza. nel frattempo guardo le finestre dell’appartamento di fronte. vicinissime, a tre, quattro metri dal mio nuovo, vecchio terrazzo. con emily capitava stessimo lì sul terrazzo a pensare su come avremmo potuto raggiungere le finestre altrui. se con una scala, o con degli stracci ben stretti fra loro, come i carcerati che vogliono ritornare alla libertà, o semplicemente con un balzo lunghissimo, come degli acrobati o dei parkourer. ridevamo molto, non c’è dubbio. ridevamo quasi solo la sera, a notte fonda. di giorno, se capitava di vederci, ci urlavamo contro di tutto. volevamo entrare nelle case degli altri. volevamo trovare un sistema per intrufolarci nelle vite altrui, per spiare le persone mentre vivono e si fanno gli affari propri, poi ce ne siamo usciti con quest’idea divertente che avremmo potuto mettere in disordine l’arredamento degli altri, così, per ridere. spostare un quadro da lì a là, mettere al contrario i comodini. qualche idea buona ogni tanto l’avevamo, io e emily. qualche buona idea per ridere un po’, per spassarcela. poi di giorno quasi solo urla, insulti. credo che queste pareti non abbiano mai sentito una risata, di giorno. e poi chissà perché di giorno prendevamo tutto così sul serio. la notte forse è come il viaggio: libera le persone delle proprie responsabilità. nessuno ha davvero qualcosa di fare, in viaggio. e nessuno ha davvero qualcosa da fare dopo mezzanotte. quindi non ci rimaneva altro da fare che ridere. e in realtà non è che ridessimo degli altri, o delle situazioni assurde in cui immaginavamo di cacciarci: credo fosse tutto un sistema complicato per ridere della nostra, di vita. a un certo punto il vetro s’è fatto lucido. ho visto nitidamente i vicini. sono gli stessi di sempre. il marito indossa dei pantaloni marroni, la moglie sorride e indica qualcosa sulla sua faccia. lui fa come per pulirsi, ridono assieme. poi vanno in cucina. si giostrano sui fornelli, mettono tavola. parlano fra loro, mentre la tv emette dei flash sui loro volti. osservo la luce fredda della lampadina della loro cucina. la osservo così tanto che mi acceca. è il caso di andare a dormire.                                                             *** raggiungo la stazione degli autobus con mezz’ora di anticipo. un uccellino si è posato su un orologio fermo sulle sedici e quaranta. è tutto sbagliato, è tutto sbagliato. la corriera è già sul posto. il conducente  sta fumando una sigaretta, poggiato sul paraurti. siamo almeno una decina; dovremmo essere in trenta, in tutto. la mattina non può davvero salvare nessuno. tra poco mi tocca scannerizzare centinaia di articoli. anche oggi mi tocca sopravvivere. uno dei ragazzi vicino a me vuole fare due chiacchiere. non lo conosco. mi saluta, e mi chiede: anche tu per lavoro? cosa ci fai, qui? guardo il sole. è coperto dalle nuvole. il sole oggi è solo un disco di giallo pastello. che sole strano, oggi. uno di quei soli che sembra non abbia nemmeno la forza di irradiare un po’ del suo calore. sembra che il sole abbia dimenticato di svegliarsi. oggi il sole non ha nemmeno voglia di darsi da fare. mi giro verso il ragazzo che vuole fare due chiacchiere. è rasato, ha addosso una giacca nera con una toppa con su scritto “natural born killer” che mi ricorda un mio amico delle medie, giovanni. una volta giovanni ha spaccato un vaso tirandolo giù dal quarto piano delle nostre scuole. s’è beccato un mese di sospensione. sto guardando il ragazzo negli occhi. gli dico: a dirla tutta non so cosa ci faccio, qui, non lo so proprio, ecco tutto. forse ho solo voglia di perdere altro tempo. ci ammutoliamo.
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mazzengaluca · 5 years
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Joshua Tree giorno 1
Sono appena arrivato nella mia prima casa nel deserto. Mi trovo vicino Pasadena e in questo preciso istante sono seduto all’esterno, sul retro dell’abitazione. Un tetto di cemento copre la mia testa e subito dopo il confine creato da questo, il mio occhio scorge un cielo pieno di stelle luminose. Ho percorso 150 miglia da Los Angeles con una jeep che ho preso a noleggio in aeroporto: a perdita d’occhio, davanti a me, una distesa di sabbia. Alla fine vedo una piccola cittadina che scintilla di luci durante la notte, tutto intorno il buio. C’è un silenzio diverso da quello che sono abituato a sentire, qui non c’è mai un vero vuoto sonoro, è come se il deserto non smettesse mai di parlare.  In mezzo alla sabbia, poco distante dalla terrazza, c’è un circolo creato dalle balle di fieno usate a mo’ di panchine con al centro un fuoco spento e sulla mia destra, appoggiato a una delle colonne che sorregge la terrazza, un porta mazze da golf con delle mazze dentro e ai suoi piedi un secchio della vernice pieno di palline. Alle mie spalle delle finestre lasciano scorgere l’interno del salone, la prima stanza che ci si trova davanti entrando dall’ingresso principale. Parecchio spazio è occupato da un tavolo da biliardo con sopra un lampadario-ventilatore e accanto un ombrellone di paglia. Nonostante ciò, rimane tanto altro spazio nella stanza occupata per l’altra metà da uno studio di registrazione domestico, con tastiere, bassi e chitarre tutt’intorno. C’è un pianoforte verticale attaccato al muro, decorato con maschere messicane e un divano dietro la grossa navicella spaziale che è una regia audio. L’ultimo quarto di stanza è riservato alla cucina, con un’isola sul tavolo da biliardo e aperta su tutti i lati. Non ho mai visto tante stelle o forse lo dico solo perché si deve sempre rendere spettacolare la cosa agli occhi degli altri, fatto sta che sono a Joshua Tree, in mezzo al deserto, in camera mia ci sono annunci riguardanti i pericolosi coyote che si aggirano nella zona e non ho ancora conosciuto i proprietari di questa splendida casa. Andrò a dormire e domani deciderò cosa fare del mio viaggio e come continuarlo, non prima di aver visitato il Joshua Tree, parco nazionale e aver scattato una foto al Rancho de la luna, studio di registrazione nelle campagne del deserto. Questo posto era effettivamente un museo, un tempio dove andare a pregare per gli amanti del genere che nacque proprio tra queste sabbie, lo stoner. Il Rancho de la luna era un vecchio casale stile deserto in mezzo al parco Joshua Tree e fu trasformato in studio di registrazione da Fred Drake and David Catching. Fred Drake morì di cancro nel 2002 e il suo collega continuò il lavoro. Come spina dorsale di quel progetto, nacquero delle serate collaterali organizzate, appunto, in pieno deserto dove i musicisti, attrezzati di gruppi elettrogeni, andavano a suonare a volumi mortali questa musica in mezzo al nulla, circondati solo di sabbia e vento. Le desert sessions divennero poi album musicali e da qui nacquero numerose leggende della musica come i Queens of the Stone Age. C’è qualcosa dunque tra queste radure, in mezzo a questa sabbia trasportata in lungo e in largo, in questo continuo borbottare notturno. C’è qualcosa di nascosto nella notte che mi parla come se volesse presentarsi, c’è un potenziale che si percepisce come il respingersi degli stessi poli di due calamite. Sto provando a scattare qualche foto al cielo, ne allegherò qualcuna, domani è un altro giorno. È come se mi sentissi in dovere di pregare, entrare nel deserto è come entrare in chiesa, dove ci si sente come se si stesse entrando in casa di altri e ci si deve fare il segno della croce. Mi rendo conto all’improvviso di essere effettivamente in ginocchio, con il computer poggiato sul letto a scrivere di getto tutte queste parole. Non ho mai assunto questa posizione di preghiera in tutta la mia vita per fare qualcosa appoggiandomi al letto e adesso l’ho fatto in maniera inconscia e sto scrivendo rivolto verso il deserto.
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larrystylynson28 · 4 years
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Adore you (capitolo 5)
Un forte mal di testa e una nausea improvvisa mi fa aprire gli occhi. La mia camera è avvolta nell'oscurità e le finestre sono chiuse. Mi alzo a sedere e tutti i muscoli reclamano vendetta. Non ricordo nulla della festa, solo che ho bevuto qualche bicchiere di vodka e che Kendall era particolarmente audace, ma niente di più. Non ricordo come sia riuscito a tornare a casa, però l'importante è che ci sia. A fatica mi alzo dal letto e vado ad aprire le finestre. Non ho la più pallida idea di che ore siano, ma a giudicare dall'aria calda che entra dalla finestra, suppongo sia mattina. Decido di non aprire le tende ed esco dalla mia camera, che stranamene ha la porta chiusa. Raggiungo la cucina e resto bloccato sulla soglia: Louis è davanti a me intento a cucinare. Non riuscendo a parlare apro la bocca per lo stupore e lo fisso in un modo quasi inquietate. Ho la gola serrata e la stretta allo stomaco è più forte del solito. Quando finalmente mi nota mi rivolge un sorriso.
<Come stai?> chiede gentilmente.
Continuo a guardarlo inebetito e gli rispondo con un'altra domanda <cosa ci fai qui?>
<Non ricordi niente di ieri sera?>
Scuoto la testa e lui scoppia a ridere. Cosa c'è da ridere? Forse avrò una faccia parecchio buffa, dato che non la smette più.
<Quindi? Perché sei in casa mia?>
<Non sapevo vivessi da solo>
<Non sai molte cose. Ora rispondimi>
Mi sta irritando e mi innervosisce. Non so perché mi stia innervosendo, dato che è gentile, ma forse basta solamente la sua presenza per riuscirci.
<Beh....> esita e continua <ieri mi hai baciato davanti a tutti, hai detto di avere una cotta per me dal primo anno e poi mi hai supplicato di riaccompagnarti a casa. Cosa potevo fare se non accontentarti?>
Sgrano gli occhi e sento le guance andarmi a fuoco. Cos'ho fatto? Per quale motivo l'ho fatto? Per quale motivo ho bevuto così tanto? Cosa diranno a scuola dopo che l'ho baciato davanti a tutti? Niall vorrà ancora essere mio amico? E Kendall? A lei cosa dovrei dire? Sento gli occhi pizzicare e provo a farfugliare qualche parola di scuse, ma quando scoppia a ridere lo guardo confuso.
<Scherzavo Styles! Dovevi vedere la tua faccia> dice, continuando a ridere.
La sua risata è il suono più bello che io abbia mai sentito. Resterei ore ad ascoltarla. Quando ride gli si illuminano gli occhi, donandogli, se possibile, ancora più bellezza. Dovrei essere arrabbiato o quantomeno irritato per quel che ha detto, però non riesco a far mano di sorridere. Qualche minuto dopo torna serio e mi porge una tazza di caffè. La guardo esitante e la prendo, andandomi a sedere davanti a lui. Bevo un sorso di caffè e lo guardo negli occhi.
<Non hai ancora risposto alla mia domanda. Perché sei qui?>
<Non ti ho raccontato una totale bugia. Ieri sera hai alzato un pò il gomito ed hai insultato me e i miei amici, dicendo che siamo degli stronzi e altre cose di questo genere. Mi hai iniziato a spingere, e penso che tu volessi tirarmi un pugno in faccia, ma sei inciampato e ti ho preso prima che cadessi. Hai farfugliato qualcosa senza senso e sei collassato tra le mie braccia. Cosa avrei dovuto fare? Lascarti lì? Ho chiamato il tuo amico...com'è che si chiama? Lucas....Linford>
<Liam> dico correggendolo e lui sorride.
<Già Liam. Mi ha detto dove abitavi e ti ho riportato a casa sano e salvo. Ho pensato che forse era meglio se rimanessi con te, perciò eccomi qui> conclude indicandosi.
Non riesco a credere che si sia preoccupato di riaccompagnarmi a casa. Mi mordo il labbro inferiore e finisco il caffè in silenzio. Sento i suoi occhi su di me, ma non alzo lo sguardo. Non ne ho il coraggio. Sono troppo imbarazzato per guardarlo e poi la tazza è interessante. Non mi ero mai accorto che avesse l'iniziale di un nome scritto in corsivo. Louis si siede accanto a me e spezza il silenzio.
<Comunque ho visto il tuo libro di matematica con migliaia di esercizi che non ti sono riusciti. Se vuoi posso darti una mano. Sono all'ultimo anno e me la cavo piuttosto bene in matematica>
Louis Tomlinson bravo in matematica? Questa volta è il mio turno di scoppiare a ridere. Mi guarda serio e mi blocco subito. Sta dicendo sul serio?
<Tutta la scuola sa che hai dei pessimi voti in tutte le materie>
<Tutta la scuola non sa che in realtà in matematica me la cavo benissimo. Non me ne frega nulla di prendere A+ ad un compito, mi accontento di una sufficienza, però tu non arrivi nemmeno a quella. Dovresti accettare il mio aiuto. Il programma del terzo anno è il più facile>
<E tu cosa ne sai?> subito capisco la domanda stupida che ho fatto. È ovvio che lo sappia, è dell'ultimo anno.
<Domanda stupida> dico dando voce ai miei pensieri <ma comunque non ci credo>
Si alza dal tavolo e sparisce in salone. Pochi secondi dopo torna con il libro, un foglio e una penna. Trascrive un'espressione lunghissima e in pochi minuti me la mette davanti completata. Lo guardo sbigottito e lui alza le spalle. L'ultima cosa che avrei mai immaginato è che Louis Tomlinson fosse bravo in matematica.
<La vuoi una mano o no?> chiede sorridendo vittorioso.
Certo che la voglio, però non posso dimenticarmi degli anni infernali che mi ha fatto passare, solamente perché questa settimana è stato più o meno gentile. Voglio essere sincero con lui, tanto non ho niente da perdere. Se si incazzasse saprei che è il solito Louis e se invece mi rispondesse in modo civile, forse, potremo trovare un punto d'incontro.
<Perché dovresti? Sono tre anni che tu e i tuoi amici mi perseguitate. Quindi per quale motivo ora sei gentile?> chiedo, trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi.
Il sorriso sulle sue labbra rosse e sottili sparisce, lasciando spazio ad un'espressione....frustata? "Non farti strane idee Harry" penso tra me e me in attesa di una sua risposta. Inaspettatamente è lui a distogliere lo sguardo. Fissa il pavimento e sospira.
<Ho pensato molto quest'estate e ho capito di essere stato un totale stronzo con te>
Cosa? Ha pensato a me quest'estate? Beh, l'ho fatto anche io, però i miei erano pensieri disprezzanti. Senza un motivo ben preciso arrossisco e mi mordo il labbro.
<Mi dispiace per tutto quanto. Per le prese in giro, le spinte e i pugni. Non te li meritavi. Io le meritavo> sento la sua voce incrinarsi e mi si stringe il cuore <ho chiesto ai miei amici di lasciarti stare e mi dispiace che non lo facciano. Mi dispiace che qualche giorno fa ti ho preso in giro e ti ho dato un pugno alla fermata. Avevo visto te e> si interrompe e sento un leggera delusione crescere in me.
<Hai visto me e...?> chiedo, incalzandolo a continuare.
<Dimentica quella frase. Il punto è che ti sto chiedendo scusa. Mi dispiace per tutto. Te lo volevo dire da giorni ma non ho mai trovato il coraggio. Non dico che devi essere il mio migliore amico, però potremmo essere persone che si parlano tranquillamente. Ci stai?>
Vorrei dirgli che è sempre stato lui ad attaccarmi, ma dato che mi ha chiesto scusa e sembrava seriamente pentito, mi limito ad annuire con un sorriso. Lui alza lo sguardo dal pavimento e ricambia il sorriso.
<E per matematica ci stai?>
Sposto lo sguardo tra lui, il libro e l'espressione. È veramente bravo e sarebbe stupido rifiutare la sua offerta. Nessuno dei miei amici è bravo in matematica e non ho voglia di prendere un tutor. Ricordo che l'ultima volta che mamma aveva deciso di mandarmi da un tutor mi capitò un signore anziano, sempre sudaticcio e che puzzava. Già era difficile capirci qualcosa, figuriamoci se riuscissi a capire qualcosa con un tutor così. Con Louis questo problema non dovrebbe esserci. Ha dei capelli bellissimi che sembrano essere morbidissimi, delle labbra perfette, degli occhi ipnotizzanti, un sorriso delicato e un profumo buonissimo. Vedo che mi guarda in attesa di una risposta. Sono ancora incerto ma ho veramente bisogno di una mano o rischierò di ripetere il corso il prossimo anno.
<Va bene>
<Perfetto. Quando hai il test?>
<E tu che ne sai che avrò un test?>
<Il tuo libro di matematica era sul tavolo, con degli esercizi scarabocchiati. Sono andato ad intuizione>
<Domani ho il primo test dall'anno e devo prende almeno una sufficienza. L'anno scorso ho praticamente supplicato la professoressa per non mettermi una F, e adesso lei pretende che io vada bene, ma non so niente>
<Sarai pronto per domani, te l'assicuro> dice sicuro di se.
Non so per quale motivo sia così sicuro di riuscire a farmi capire qualcosa, ma non lo contraddico.
<Styles ho bisogno dei tuoi appunti. Il libro è troppo complicato per farti capire in poco tempo>
Resto seduto sulla sedia imbarazzato e lui mi fissa.
<Perché non li prendi?> chiede, ma capisce che non li ho, non appena vede la mia faccia colpevole.
<Non hai nemmeno un'appunto?>
Scuoto la testa imbarazzato e lui alza gli occhi al cielo.
<Sarà molto più complicato e più lungo, perciò è meglio che incominciamo>
Apre il libro e inizia a spiegare. Il tono della sua voce è bellissimo: calmo, profondo e paziente. Riesce a rendere piacevole anche la matematica. È così serio quando è concentrato nel fare qualcosa. Credo di non averlo mai visto così. A scuola ride o ha la faccia incazzata. Stranamente capisco qualcosa e quando mi chiede di fare un'esercizio, per capire se avessi realmente compreso quel che aveva detto, lo concludo in pochi minuti. Sono rimasto sorpreso da me stesso, al contrario di Louis che aveva un sorriso compiaciuto.
<Styles puoi anche avvicinarti, non mordo mica>
Sorrido e faccio come dice. Questa vicinanza mi rende nervoso e mi provoca strane sensazioni, che tento di inutilmente di comprendere. Arrossisco e lui se ne accorge, ma evita di fare commenti o battute.
Con più fatica, a causa della sua vicinanza, mi concentro sui numeri, mettendo da parte tutto il resto.
La giornata vola e quando finalmente abbiamo concluso anche l'ultimo argomento, chiudiamo il libro soddisfatti. Grazie a lui ho capito tutto quanto. È veramente molto bravo e ho scoperto che è insopportabilmente paziente. Mi ha spiegato lo stesso argomento per quattro volte e non si è mostrato minimamente irritato nel farlo. Ho fatto tutti gli esercizi che non ero riuscito a fare il giorno prima e Louis era sempre più compiaciuto.
<Te l'avevo detto che ti avrei fatto capire tutto. Se avessi preso qualche appunto avremo finito due ore fa> dice in tono accusatorio.
<Hai ragione, ma l'importante è che abbiamo finito no?>
Lui scuote la testa divertito e alzandosi dice <ho fame. Non abbiamo fatto nemmeno una pausa e ho bisogno di cibo>
<Non c'è molto nel frigo. Oggi sarei dovuto andare a fare la spesa, però abbiamo studiato matematica e ora sono senza cibo> dico alzando le spalle.
<Ordiniamo le pizza?>
<Si> rispondo secco.
Lui sparisce in salone ad ordinare la pizza. Ancora non mi capacito di tutto quel che è successo questa settimana. È stato gentile, dolce, mi ha accompagnato a casa, si è scusato per i tre anni infernali che mi ha fatto passare, mi ha aiutato con la matematica e adesso ordina la cena per entrambi. Tutte queste cose suscitano domande e sensazioni che non voglio assolutamente affrontare. Quantomeno non stasera. Non con lui qui. Non con i suoi penetranti occhi che mi guardano. Chiudo il libro e lo ripongo nello zaino in camera da letto. Una volta ordinata la pizza Louis mi raggiunge sul divano e si siede poco distante da me. Restiamo in un silenzio imbarazzante mentre cerco qualcosa di interessante in tv.
<Lascia questo> dice di un programma stupidissimo.
<È orribile questo programma!>
<No, non lo è>
Sbuffo e poggio il telecomando tra noi due.
Devo ammettere che non è pessimo come credevo. È anche abbastanza divertente. Ci sono alcuni ragazzi in sovrappasso dentro una piscina, e dei concorrenti, molto più magri, devono tirarli su con una corda, stando attenti a non cadere in acqua. La maggior parte delle volte non ci riescono, ma quando lo fanno vincono un premio in moneta, mi ha informato Louis. Continuiamo a guardare questo programma fino all'arrivo delle nostre pizze. Louis ha insistito per pagare, nonostante le mie proteste molto rumorose.
<Sto morendo di fame!> dice addentando un pezzo della sua pizza.
Chiacchieriamo tranquillamente, fino all'arrivo di un messaggio da parte di mia madre.
Figliolo gliene hai parlato alla tua ragazza di domenica? Dovrei organizzarmi.
Sospiro e le rispondo che lo farò domani. Lei mi risponde con i cuori ed emoticon che mandano baci.
<Chi era?> chiede Louis curioso.
<Mia madre>
<Ci vai d'accordo?>
<Si>
<Non sembra>
<È solo che vuole conoscere Kendall e io ancora non mi sento pronto> ammetto senza pesarci troppo.
Merda! Lo conosco appena e gli ho confidato di non essere sicuro dei sentimenti per la ragazza con cui sto.
<Perché non sei pronto?>
<Usciamo da una settimana. È presto. Non credi?> mento, sperando che non lo capisca.
Lui scrolla le spalle e continua a mangiare in silenzio.
<Tu vai d'accordo con tua mamma?>
<Passo>
<Che vuol dire "passo"?> chiedo mimando le virgolette.
<Non credo che sapendo qualcosa su mia madre o la mia famiglia intensificheremo il nostro rapporto, perciò passo> dice bruscamente e diventato improvvisamente freddo.
Restiamo in silenzio per il resto del tempo e una volta finita la pizza mi saluta e se na va. Probabilmente non avrei dovuto chiedergli dalla sua famiglia, però mi sembra una reazione esagerata per una domanda così banale. Pensieroso e con mille domande butto i cartoni della pizza e vado a letto.
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theoldbookwormsnest · 6 years
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La giornata delle pulizie (ovvero, voglio parlare dei miei libri)
Post di Giovedì 05/02/2015, 11:07
Bene, dato che sto aspettando che la lavatrice finisca la centrifuga, sono spalle contro la mia cassettiera, sedere sulla coperta e laptop sul lap. Di fronte a me, quello che chiamo Barriera culturale.
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La situazione al momento (i miei piedi ft. le ciabatte di Miley Cyrus)
A casa mia, il giovedì è conosciuto come Giornata delle pulizie. Dato che mia madre lavora e io studio, entrambe spolveriamo ogni singolo giorno, passiamo l'aspirapolvere e laviamo i pavimenti di alcune stanze (cucina, corridoio, bagno ed ingresso) e - ovviamente - laviamo da cima a fondo determinate stanze (non c'è bisogno che dica quali, perchè è ovvio). Ma è il giovedì il giorno in cui rivoltiamo la casa come un calzino. Nel mio caso, io sono in charge della mia camera. Ogni giovedì, armata di sgrassatore, alcool, stracci e detersivi vari, pulisco a fondo tutto, fin dietro gli armadi, fin sopra gli scaffali. Col passare degli anni, il giovedì ha inglobato anche il mercoledì pomeriggio (conosciuto come Giorno dei vetri in cui puliamo tutti i vetri di tutte le finestre) e il venerdì (ovvero, il giorno in cui laviamo - di nuovo - tutti i pavimenti).
La parte migliore/peggiore del mio lavoro sono proprio i miei libri. A giovedì alterni li prendo e li spolvero ad uno ad uno, e dato che nel frattempo devo fare altro (si, perchè finire in fretta quando puoi ascoltare tutta la compilation di Burt Bacharach?) ci metto ore. Ma mi piace un sacco! Nel corso degli ultimi due-tre anni ho accumulato un sacco di libri (fin troppi per mia madre).
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Per mia madre, questi erano tanti libri.
Guardandoli, vedo bellezza estrema, ma anche ottimi affari. Molti di loro li ho acquistati a metà prezzo, oppure sono frutti di buoni, acquisti da bancarelle, residui di case che mio nonno sgombrava e destinati alla spazzatura, scambi e perfino acquisti in gruppi di Facebook che vendono libri usati.
Jane Austen chiamava Orgoglio e Pregiudizio "Il mio bambino". Io non arrivo a tanto, ma alla fine ho sviluppato un occhio talmente attento per loro che mi accorgo dopo 0.4 secondi se qualcuno (= mia madre) ha messo mani alla libreria. Per questo motivo sono l'unica che può toccarli. Di solito, quando sono sotto esame e non posso curarmi di loro, mia madre aspetta che io esca di casa per andare a farmi torturare dai prof per pulirli. Nonostante sostenesse fermamente che Li alzo per passare lo straccio sulle mensole, non li ho nemmeno puliti perchè quello devi farlo tu non riuscivo mai a capire come un libro di Jane Austen uscisse magicamente fuori dalla sezione "Letteratura femminile inglese" (primo ripiano, seconda fila, sezione centro-destra) per finire accanto ad un libro di Chris Colfer della sezione "Young Adult - US" (secondo ripiano, prima fila, sezione centro). Per citare il più scemo.
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Esempio di mia madre che "mette mani".
Esempi di GRANDI AFFARI - Ragione e Sentimento = pagato 1€, scopertosi Edizione Fabbri gran lusso molto ricercata fra i Janeites (i fan di Jane Austen) - Libri di John Green nuovi pagati a metà prezzo - Vecchi libri come La lettera scarlatta, Casa di Bambola, Dracula, Il Dottor Zhivago e Lolita pagati 1-2€
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Gli acquisti migliori li ho fatti su www.libraccio.it, il cui usato è praticamente NUOVO e lo paghi una schifezza. Credo che nei loro uffici abbiano una foto con il numero del mio conto sopra con scritto "Non accettare più ordini da lei", visto che ogni volta compro 6-7 libri e li cambio in continuazione ^^" inoltre i miei compravano spesso i libri scolastici di mio fratello, e di conseguenza avevo in cambio dei buoni (essendo l'unica lettrice di famiglia, ero l'unica ad apprezzare il regalo), comprando una decina di libri e pagando solo 2-3€.
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Altri acquisti fantastici... beh, ho la mia arma segreta. Vende libri nuovi a metà prezzo, io non faccio domande, lei non ne fa a me. La mia amica ha comprato una trilogia di romanzi pagandola solo 24€ contro i 50€ che doveva spendere. Da allora è la PUSHER.
Quelli nella foto in alto sono solo i libri che ho in camera. Ne ho altri in camera di mio fratello, ma quelli sono i cosiddetti "Libri rinnegati", ovvero libri che leggevo a 14 anni, tipo "Le Ragazzine" o i libri di Amici (20 fustigazioni al giorno per quelli). Ho libri rinnegati anche qui in camera, e dalle foto potete ben capire quali sono xD ma dato che "di là" non c'è spazio, sono costretta a tenerli qui.
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In alto, la mia libreria l'anno scorso. In basso, una panoramica dei rinnegati in camera di mio fratello. N.b erano stati sistemati da mia madre, quindi in disordine
Sono una di quelle che preferisce il cartaceo, però leggo anche gli ebook (così tanto da rovinarmi la vista). Leggo in digitale quei libri che costano troppo, oppure quelli che non costano nulla ma non mi va di spenderci soldi sopra (vedi, libri per esami), oppure libri introvabili in Italia o che mal figurerebbero nella mia libreria. Anche se alcuni, vedi quelli su Jane Austen, vorrei comprarli anche in formato cartaceo.
Ecco i miei "bambini" (lol) in dettaglio, dato che li dovevo rimettere in libreria era troppo sbattimento girarli quaranta volte, quindi o girate lo schermo del pc o vi girate voi (y)
Primo piano della libreria:
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I LIVE e i LIVE DELUXE della Newton
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Libri che non hanno una sezione vera e proprio, è letteratura francese (3 libri) più libricini vari.
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Bonus: quando mi infiltrai ad una conferenza per scuole elementari per sentir parlare francese a Daniel Pennac.
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Libri rinnegati + letteratura inglese e americana Qui c'è da spiegare la presenza di Moccia e Volo, autori che odio: - Amore 14, comprato con sconto perchè c'era il firmacopie, ed io ero una sedicenne (credo) idiota (sicuro). Dentro campeggia un "A M. per il tuo sorriso, il più bello!" roba che avrà scritto alle altre centinaia di ragazzini urlanti. Alla mia partner in crime letteraria ha scritto "A A. per i tuoi sogni, i più belli!" e sono anni che ci chiediamo che cazzo si sia fumato prima di sparare una dedica del genere. - Fabio Volo, regalo. Ovvio. Del mio ex (no, non è stato lasciato per il libro, ma è una delle tante goccie che non hanno fatto traboccare il vaso, ma l'hanno sommerso e poi distrutto). Il suo primo regalo, sigh. Altrimenti conosciuto come Libro delle puttane, tenera e delicata nomea che si dava, nella mia classe del liceo, alle cose che utilizzavano tutti (penne, bottiglie d'acqua, questo libro). Chiamato così perchè l'ho prestato praticamente a tutti, cosa che non faccio mai con i miei libri. Fun fact: prestato in quarto liceo, è ritornato a casa solo a primavera scorsa (secondo anno di università). Conservo ancora il bigliettino, che romanticona. Lui non l'ho più visto/sentito. C'è da spiegare anche la presenza di un libro di diritto civile vecchio di 40 anni e del libro "Salò", ma vi ho detto che mio nonno sgombra appartamenti...
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La mia sezione preferita: letteratura femminile inglese (c'è anche Jean Rhys che è caraibica, ma chiudiamo un occhio). Non si vede, ma in fondo c'è Marquez per far compagnia alla Rhys. La mia collezione da Janeite <3 deve ancora aumentare. Avevo comprato il volume dei Juvenilia di JA, ma non è mai arrivato *sigh*
Secondo piano della libreria:
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Sezione YA e biografie (nella foto manca la biografia di Sissi). Oh, non dite niente. A me Miley Cyrus e la Ferlito piacciono. E si, di Miley ce ne sono due perchè sono due edizioni con capitoli extra. Avevo 17 anni ed ero scema (lo sono ancora). Ma almeno sono sempre affari a metà del metà prezzo!
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Per Guglielmo Scilla vale lo stesso discorso di Moccia, ma almeno lui ha solo scritto "Guglielmo" (e menomale).
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Sezione Letteratura Inglese (pt. II) e russa. La maggior parte sono stati acquistati per gli esami di letteratura (Romeo e Giulietta, Macbeth, La ballata del vecchio marinaio, L'ispettore generale, Il diavolo Meschino, Una giornata di Ivan, Il Maestro e Margherita, La Coda, Poesie. Pasternak già l'avevo, ma è servito anche lui per l'esame di Lett. Russa III).
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Sezione fantasy-idiota ben nascosta da occhi altrui. Le uniche saghe che abbia mai letto: - Twilight. Si, ero una scema. Lo comprai la stessa sera di Federico Moccia, sotto consiglio della mia partner in crime letteraria. Era Settembre, ad Ottobre usciva il primo film (se usciva a Novembre, l'ho preso ad Ottobre). Insomma, prima dell'uscita del film Twilight li avevo letti tutti e 4. Due volte. Per fortuna avevano già schifato dopo il film Eclipse, ma intanto avevo tappezzato la mia camera di foto col bel faccino di Robert Pattinson e di comprare L'ospite della Meyer (tranquilli, sono guarita, e L'Ospite mi fa sempre addormentare dopo 2 capitoli). - House of Night. Sempre vampiri, sempre colpa della mia partner in crime letteraria. Qui ce ne sono solo 6, ma ho letto proprio a Settembre-Ottobre scorso l'undicesimo volume. Ho cominciato a comprare il cartonato e vorrei finire così, ma costa la bellezza di 16.50€. Devo aspettare di mettere da parte un po' di €€€ per fare scorta da Il Libraccio. Ho cominciato a prendere sul culo la protagonista verso il 5 libro, ora è ODIO TOTALE. Ma devo sapere come va a finire.
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Il mio preferito? E' un manuale di inglese per insegnanti, del 1970, ed era destino che ci trovassimo *-* (sempre grazie al nonno!)
Bonus
- Come leggere trattandosi BENE (Versione invernale ed estiva)
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- Cosa ho trovato in un libro arrivato da Il Libraccio
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- Il mio vano tentativo di creare un albero di Natale letterario
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estaplazaesunaplaza · 5 years
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#dia1
Mi chiamo Caterina, faccio parte del Nada Colectivo di Madrid in quanto stagista antropologa e oggi abbiamo deciso di aprire un blog su un progetto che stiamo sviluppando nel mercato di San Feranando. Il mercato è un posto affascinante, mi piace tantissimo fare ciò che ho fatto negli ultimi 15 giorni ossia venire quì, accendere il mio computer e guardare oltre lo schermo ciò che capita, le persone che vengono a comprare la frutta e la verdura e vedere cosa si dicono coi commercianti e come interagiscono. Il posto in cui mi trovo infatti, Pec, o meglio Puesto en costruccion, è un ex pescheria e ha delle larghe finestre che danno sulla passerella interna del mercato. Di fronte alla mia postazione ho il fruttivendolo e lo speziale, vedo frutta e spezie tutti i giorni e, gongolandomi, direi che, in fatto di panorami, sono molto più fortunata di chi fa un lavoro impiegatizio e lavora di fronte ha un muro bianco.
Nonostante la bellezza che mi circonda i problemi non mancano, perchè oggi avremmo dovuto iniziare il progetto proponendo agli anziani del quartiere di fare una spesa con noi. Noi li accompagnamo a fare la spesa, gli compriamo prodotti e in cambio ci facciamo raccontare la loro opinione sul mercato, sulla cucina tradizionale, su come vorrebbero che il mercato si sviluppasse. SEMPLICE, in fondo è solo una richiesta di dialogo, una forma di reciprocità, ma invece no. No perchè come racconto ad Ana, la comunicazione di questo progetto è stata piuttosto difficile. Molti anziani appena si accorgono che vuoi proporgli qualcosa, si allontanano pensando ad un inganno o una truffa. Altri hanno fatto facce sconcertate sentendo una cosa così strana. E quelli che invece si sono interessati al progetto dicendomi che erano interessati comunque non son venuti. Stiamo, dunque, elaborando un’altra strategia, in virtù del fatto che, come Ana mi dice, bisogna rispettare questa difficoltà di natura sociale e trovare un’altra soluzione.
In questo momento sto scrivendo dalla mia postazione e sto ossevando il mercato in un orario differente (le 3 del pomeriggio di venerdì) da quello della mattinata. Il mercato è pieno di gente e di giovani che sorseggiano vino e consumano pasti! E’ molto bello da osservare ma credo che un mercato non possa sopravvivere solo di turismo e birrerie aperte nel weekend. Ha bisogno anche di altri protagonisti sulla scena, che sono i protagonisti che hanno fatto la “gloria” del mercato. Uso questa parola perchè mi è stata riportata da un anziano che ho incontrato durante il volantinaggio. Si chiama Fernando e mi racconta di come il mercato sia stato una gloria. Mi dice anche che alla nostra iniziativa non verrà perchè non vuole più entrare nel mercato “me da pena” e per lui è un posto ormai triste e finito.
Sta mattina, mentre aspettavo fuori dalle scale del mercato che qualcuno mi riconoscesse e gridasse “Io, IO voglio fare la spesa con te e raccontarti tutto”, l’ho visto passare e l’ho chiamato! Non so se mi abbia efettivamente riconosciuto ma si è fermato sorridente a scambiare qualche parola dicendo che andava a comprare il giornale e mi ha ribadito, come la volta scorsa, che lui si chiama Fernando come il mercato. Al mio rinnovato invito mi ha fatto capire che doveva andare! Non è una dinamica assistenzialista quella che vogliamo promuovere - l’assistenzialismo  non mi convice granchè - ma è una questione di capire come far rividere il mercato senza gentrificare, ossia senza buttare fuori qualcun altro, sostanzialmente.
Guardando il cambio del mercato tra la mattina e il pomeriggio mi sono venuti in mente dei versi che Fabrizio De Andrè, poeta e cantautore italiano, ha scritto dopo aver visto davanti alla sua casa di Genova una nave affondare:
“E la radio di bordo è una sfera di cristallo,
dice che il vento si farà lupo e il mare si farà sciacallo
e le ancore hanno perso la scommessa e gli artigli”
Le onde entrano con la loro spuma tra le postazioni dei commercianti che come se fosse niente continuano a sistemare le loro bancarella impassibili, scambiando sorrisi a destra e a manca ai clienti inzuppati fino al bacino. Una vecchietta sfreccia in bikini su una tavola da surf su cui appoggia l’insalata appena comprata, e una tartaruga di mare ospita sul suo carapace fantasmi di hipster ubriachi. E così se nella mia immaginazione il mercato diventa una potenziale nave fantasma, oltre a pensare a JD, celebre medico sognatore della serie tv Scrubs, rafforzo l’ideale per cui bisogna spremersi le meningi afinchè il nostro progetto non resti una sfera di cristallo senza possibilità di cambiare la rotta.
A prescindere dal catastrofico paragone, questa giornata mi ha riempito di spunti e di progetti e sono contenta perchè è servita proprio come “prova”, test, per capire come muoversi!
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essereprimavera · 7 years
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Futuro
Vedo il nostro futuro.
Chiudo gli occhi e vedo il nostro futuro.
Vedo una casa piccola e raccolta, con la moquette e le pareti piene di quadri e luminose. Vedo finestre grandi, tende con colori luminosi e candidi. Vedo i nostri caratteri diversi tra i mobili della casa, a volte un po’ moderni, a volte un po’ antiquati.
Vedo una camera da letto un po’ ordinata e un po’ disordinata per i tuoi vestiti gettati in un angolo senza essere stati piegati per la fretta di una vita piena di impegni e per il tempo libero da impiegare con me.
Vedo una scrivania piena di fogli, di appunti, un computer aperto un po’ rotto ma mai abbastanza per comprarne un altro, penne che funzioneranno a metà ed evidenziatori che non funzioneranno proprio ma buttarli sarà sempre un rischio, non si sa mai, potrebbero servire. Vedo un termosifone che ti piacerà tanto perché sarà proprio lì che poggerò il tuo pigiama mentre sarai in doccia dopo il lavoro così lo troverai caldo, mentre fuori magari pioverà, magari nevicherà. Vedo un divano colorato con un tavolinetto di vetro che compreremo perché mi piacerà tanto tanto, ed una TV sempre accesa su canali improbabili che serviranno solo da compagnia e sottofondo.
Vedo una cucina di legno bianco, un tavolo grande che utilizzeremo poco e niente perché cenare sul divano sarà sempre meglio, un frigorifero pieno di cibo salutare che probabilmente mi servirà solo quando avrò i sensi di colpa per le troppe schifezze che mangeremo. Vedo una stanza in fondo, dietro la televisione, dove tu avrai finalmente esaudito il desiderio di fare una piccola palestra in casa, con tutte le attrezzature che negli anni avrai comprato. La stanza inaccessibile ed intoccabile, si chiamerà.
Vedo la cuccia di un cane, accanto al divano, ed un cagnolino che mi terrà compagnia durante le mie lunghe giornate di studio e lavoro e che ti aspetterà davanti la porta prima che tornerai da lavoro.
Vedo il mio cellulare accanto a me, che guarderò aspettando una tua chiamata o un tuo messaggio, e saprò che là fuori ci sarai tu che magari nello stesso momento starai facendo la stessa cosa.
Camminerò verso il salone e guarderò le cornici sopra i mobili e sui muri. La mia laurea, il tuo giuramento alle forze dell'ordine, i nostri viaggi a Firenze, Roma, Venezia, Milano, New York, Londra, Parigi, i tuoi attestati di merito, le foto dei compleanni, le foto da bambini. Vedo un letto, un letto caldo e una coperta calda. Vedo una finestra sopra il nostro letto, la pioggia che batterà e io che ti aspetterò dopo aver messo il tuo pigiama sul termosifone.
Vedo te, con i capelli bagnati e l'accappatoio allacciata un po’ male, le gocce d'acqua che probabilmente sporcheranno il pavimento e vedo me con il musone perché tu non imparerai mai a rispettare la pulizia di casa.
Vedo te che cercherai il telecomando e ti lascerai andare sul letto, mentre cercherai con i piedi le ciabatte che sicuramente la mattina saranno finite sotto il letto.
Vedo me che mi avvicinerò a te e sorrido perché finalmente come ogni sera saremo vicini, innamorati, abbracciati ed innamorati. Ti chiederò come sarà andata a lavoro con il mio tono un po' invadente perché non si sa mai, magari un'altra donna ci avrà provato o ti avrà adocchiato da lontano. E tu mi chiederai la stessa cosa, chissà se la nostra gelosia sarà peggiorata. Litigheremo per il canale sulla televisione ma in realtà non la staremo guardando perché sarà già passata mezz'ora da quando saremo a letto e non avremo fatto altro che parlare, parlare, raccontare e raccontarci, ricordare e ricordarci.
Vedo il muso del nostro cagnolino che si affaccerà dai bordi del letto in cerca di coccole, e dopo averle ricevute adagio si addormenterà sotto la tua mano.
Vedo la tua mano sulla mia guancia che mi accarezzerà il viso stanco dalla giornata e vedo che stanco ci sarai anche tu, e che piano ti starai addormentando anche tu.
E allora ti bacerò, ti dirò buonanotte bimbo mio, ti amo tanto, come anni fa mentre immaginavo tutto questo, mentre ero nella mia cameretta a scrivere tutto questo, più di quel momento.
Buonanotte amore. A domani, amore mio.
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unsognonelsogno · 2 years
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24 novembre 2020
Ero incinta. Di Armando. Il figlio era mio e di Armando. In grembo. Cresce. E siamo tutti emozionati. Poi arriva il giorno della nascita. Il 10 novembre. Leggo proprio il numero 10. Il bambino doveva nascere alle 11 di mattina ma erano le 11 e ancora nessun dolore. Vado in cucina e parlo con la gente che c'era li ad aspettare. Mamma papà Anna Fede... e qualcun altro che ora non ricordo. Dico che c'è qualcosa di strano... allora iniziano a dirmi... ah il bambino non si muove più, non è che è successo qualcosa? Allora io vado nel panico corro in camera e mi tocco la pancia. Come la tocco inizio a vedere proprio i contorni del bimbo attraverso la pelle. Poi ad un tratto... un lembo di pelle sotto al seno si apre. Come se potessi dare un'occhiata senza disturbare a fare niente. Allora prendo quella taschina che si è creata, la apro e... vedo questo bimbo bellissimo. Bello. Proprio. Occhi blu, stupendo. E tutta emozionata corro in cucina a farlo vedere agli altri. Tutti impazziscono. Dicono che i nostri geni insieme non potevano che far nascere un bimbo stupendo. Poi una persona (forse mamma?) mi dice... ah sulla mano a destra (la sua sinistra) c'è qualcosa che non va... io congelo. Mi fa "Ha le vene sulla mano. Le vene delle persone... che combattono (tipo, o che hanno un ruolo nella guerra, nel combattimento, non ricordo bene)." Io apro per guardare e dico ah ma non è nulla. Solo qualche capillare più rosso. Alzo la mia mano destra per fargliela vedere e dico guarda anche io sono così. Una voce di un uomo saggio e vecchio risuona dall'altro lato della stanza. Dice "Partoriscilo. Ci servirà."
Ad un tratto decidiamo che... era strano non sentissi nulla. Non dovevo andare nemmeno in ospedale. Tutti mi dicevano no no non andare tanto non è ora. Non ti accompagnamo. E io gli do ragione. Finché ad un tratto dal nulla sento le acque rompersi, mi appoggio alla sedia e dico... sto partorendo.
Il parto è irrealistico indolore e velocissimo. Praticamente prendo il bimbo dalla mia pancia e lo tengo in braccio. Bellissimo. Una sensazione di... serotonina ed ossitocina in vena proprio. Lo tengo in braccio e lo faccio vedere a tutti, lo faccio vedere ad Armando, piangiamo di felicità.
Poi ad un tratto il sogno inizia a diventare strano. Non ho più partorito un bambino ma... un cane. Prima un cane bianco. Poi nero. Mi ritrovo con questo cane nero a pelo lungo liscio in braccio. Ero distrutta ma gli altri mi dicevano... dai è okay è normale. E continuavano a fare come se nulla fosse. Allora dico... okay. Lo accetto.
Fino a che... la sera. La notte. Smette di respirare. Torna di nuovo bambino. Muore. Non respira più. Qui il sogno diventa più confuso e frenetico come se davvero stessi impazzendo. Io e Anna corriamo. Eravamo a Roma. Da una delle finestre in alto vicino all'ospedale scorgo Valentina. Mi vede. Ma io continuo a correre. Mi porta correndo verso un ospedale... davvero spaventoso. Anni 50. Con delle infermiere e delle pratiche antiquate e orrende.
Mi fanno sentire una cattiva madre. Io piango disperata, talmente disperata che mi sveglio piangendo dal sogno. Era un dolore atroce questa perdita. Avevo questo corpicino morto tra le mani e... non sapevo nemmeno più come mi chiamavo. Anna cercava di consolarmi ma nulla. Urlavo al cielo “perché perché non mi avete fatto partorire in ospedale”.
Da lì inizia come un altro sogno. Vengo rinchiusa in questo istituto manicomio per madri a cui sono morti figli e che vogliono rifarli. È tutto incentrato sul rimanere di nuovo incinta. E ci insegnano come andare a letto con un uomo, come essere abbastanza piegate al loro volere, ci fanno piangere dicendo che siamo state delle assassine ma che ora faremo meglio. Ci drogano e sembriamo dei fantasmi di noi stesse. Sono mesi che non vedo nessuno della mia famiglia. Non ho ancora smesso di pensare al mio piccolo bambino e a come era bello, anche se mi dicono che me lo devo scordare, fingere non sia mai esistito. Piango ancora ogni giorno di nascosto.
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bookishcone500-blog · 7 years
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NINA the Killer
Preso da un giornale locale: Strani e inspiegabili omicidi e indizi misteriosi si sono moltiplicati nel giro di diversi mesi, c’erano dei sospetti su chi potesse essere il colpevole, ma abbiamo trovato un testimone che ha rivelato che non era un solo assassino ad agire, ma 2! Il terrore dilaga in molte città, non si sa neanche se lavorino insieme o meno, ma fortunatamente siamo riusciti a trovare questo testimone, un ragazzo ricoverato in ospedale e, con difficoltà, ci ha raccontato quello che è successo. Questo è ciò che ha raccontato il ragazzo: "Tutto è accaduto una notte, tornavo a casa dopo il lavoro, decisi di fare una nuova strada per cambiare la solita routine... grosso errore. Già a metà strada cominciai a sentirmi osservato, sentivo dei passi, mi voltavo spesso per vedere se fosse un ladro, ma non c’era nessuno, quindi pensai che fosse tutto frutto della mia immaginazione. Continuai a camminare ma la sensazione di essere osservato diventò sempre più forte, i passi sembravano sempre più vicini. Rigirandomi notai qualcosa, all'improvviso, vidi una ragazza con i capelli di un colore nero carbone e una fascia fucsia, poteva avere 16 o 17 anni circa, ma il suo viso non sembrava affatto umano. La sua pelle era bianchissima, i suoi occhi ardenti fissi su di me avevano qualche cosa di molto strano, osservando meglio vidi che non aveva affatto le palpebre, inoltre aveva due tagli laterali che le solcavano il viso, rendendo il suo sorriso grande e minaccioso Rimasi immobile per un minuto, sentendo l'adrenalina che attraversava il mio corpo teso. Senza dire niente, stava ferma li per quella che mi sembrò un'eternità, e, infine, inclinando la testa all’indietro, disse, con una voce che mi perseguiterà per sempre nei miei incubi, una cosa che mi gelò anche l’ultima goccia di sangue: "Vai a dormire mio principe." Subito mi riscossi e cominciai a correre come non avevo mai fatto prima, sentii i passi della ragazza seguirmi, all’improvviso mi fu addosso e sentii un forte dolore al braccio. Caddi a terra con un gemito, la ragazza mi tenne giù e ridendo in maniera isterica estrasse un coltello dalla mia spalla. Fortunatamente sentii arrivare un poliziotto che sparò diversi colpi verso la ragazza, lei li schivò tutti con estrema agilità, all’improvviso fece un enorme balzo arrivando sul tetto della casa vicina e fuggì nel buio della notte mentre dalla sua gola continuava ad uscire quella risata agghiacciante. Non dimenticherò mai quello sguardo e quella risata... “. Dopo quest’intervista il giovane ragazzo fu trovato nella sua casa, morto, c’era sangue dappertutto e nel muro fu trovato scritto con il sangue: "Non sei andato a dormire principe." Se si trova la ragazza della descrizione, o l'assassino dell'ultima volta, si prega di mettersi in contatto con la polizia. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Nina the killer – Le origini: Nina Hopkins, all’età di 11 anni, si trasferì in una nuova scuola più vicino a casa. La domenica mattina, prima del suo primo giorno nella sua nuova scuola, si svegliò, andò in bagno a lavarsi i denti, tornò nel suo letto e prese il suo computer portatile per connettersi. Nina non era una di quelle ragazze che si alzano piene di energia che aprono subito le finestre per far entrare la luce del giorno e poi fare qualcosa di produttivo nel corso della giornata. No, preferiva sedersi comoda a guardare i cartoni animati giapponesi, o ascoltare musica come rock, J-pop, o pop, giocare con video-giochi, o semplicemente suonare la chitarra. Ma questa volta non voleva fare nessuna delle cose che normalmente faceva, questa volta preferì leggere per la millesima volta, "Le origini di Jeff The Killer". Lei adorava le creepypasta, e quella era la sua preferita, provava poi una strana attrazione verso il protagonista , l'ammirava più di ogni altra cosa. Ogni volta che la leggeva sentiva invaderla uno strano impulso che le piaceva molto. Mentre stava leggendo notò, dal buco della serratura, i bellissimi occhi verdi del suo fratellino Chris che la stavano osservando. Nina lo adorava, Chris era il suo principe, lo chiamava così e ogni sera gli raccontava delle fiabe prima di addormentarsi. Chris aveva i capelli neri, carnagione chiara e gli occhi verde chiaro, come il suo defunto padre, mentre Nina aveva i capelli di un castano chiaro, carnagione chiara e occhi azzurri ed era molto simile a sua madre. "Sorellina, a mangiare!" disse il bambino con il suo dolce sorriso. "Sto arrivando mio principe" disse Nina pizzicandogli la guancia. Lasciò il computer da una parte e andò di sotto a mangiare. La mattina dopo, Nina e Chris andarono a scuola, Nina si alzò e si vestì con una delle sue camicie preferite, come prese la sua borsa, sentì qualcosa di strano... una sensazione che la fece bloccare, con uno strano e piccolo sorriso fisso in bocca. Improvvisamente la voce di sua madre la riportò alla realtà e subito prese la borsa ignorando completamente quello che era successo, aspettò Chris alla porta d’ingresso. Poco dopo il bambino scese pronto per partire. "Pronti?" Chiese la madre. "Sì!" Risposero entrambi. "Buona fortuna a scuola" annuncio la madre dalla cucina. "Ciao mamma!" Risposero entrambi i ragazzi uscendo di casa. Persero l’autobus e dovettero farsi tutta la strada a piedi con grande fastidio da parte di Nina. Arrivati a scuola, Nina ed il fratello si divisero dato che lei faceva le medie e lui le elementari. Nina sentì provenire dalla classe un gran baccano... durante la pausa pranzo Nina uscì e andò in cerca di Chris nella sua aula, decisero di trovare un posto tranquillo dove mangiare senza dover sopportare tutto il rumore fatto dagli studenti che giocavano lì intorno. Trovarono un giardino dietro la scuola dove non c’era nessuno, né un insegnante né uno studente, così che potessero mangiare in tranquillità, pensavano che avrebbero avuto una piacevole colazione. Ad un certo punto Nina alzò lo sguardo e incontrò quello di una ragazza molto più grande di lei, con i capelli neri. "Bene bene, chi abbiamo qui? I nuovi studenti vedo" disse la ragazza. "Io sono Claudia e ho il controllo di questa scuola, e se non fate quello vi dico... la pagherete cara" disse minacciosamente tirando fuori un coltello dai suoi jeans. Improvvisamente altri due ragazzi sbucarono fuori da un albero li vicino. "Siamo Mailcom e Yoni " dissero, Nina, rapidamente, si mise di fronte a Chris per proteggerlo. "Ehi, non vogliamo problemi, vogliamo solo fare una piacevole colazione" chiarì Nina. "Oh, vedo! Ma non dovresti essere qui, questa zona è la nostra" disse Claudia avvicinandosi a loro. "Questo è stupido! Non avete il diritto di mandare via chiunque!" Esclamò Chris mettendosi di fronte Nina. Yoni lo colpì allo stomaco e Chris cadde tra le braccia di Nina. "CHRIS!" Gridò Nina tenendolo in braccio. "Beh, se non vuoi essere la prossima, vi consiglio di obbedire e andarvene da qui" disse Claudia accarezzando il viso di Nina con il coltello. Nina colpì Claudia sul viso facendola cadere a terra, lasciato rapidamente Chris, Nina si lanciò su Claudia prendendogli il coltello e infilandoglielo nella spalla. Mailcom provò a trattenere Nina. Lei gli diede un forte calcio tra le gambe facendolo cadere a terra, si girò rapidamente e continuò a tempestare di calci il ragazzo colpendolo anche in bocca. Yoni, vista la reazione della ragazza, si mise a correre lontano da lei, ma Nina lo rincorse e, preso il coltello dalla spalla di Claudia, lo lanciò colpendo il ragazzo. "NINA, BASTA!" urlò suo fratello. Nina si voltò immediatamente verso di lui e lo guardò, aveva un sguardo sorpreso. Nina lasciò andare Yoni e fece un passo indietro guardandosi le proprie mani macchiate di sangue. Si sentiva come un mostro... ma doveva ammetterlo... una parte di lei si sentiva molto bene, corse verso il fratello e lo prese per un braccio dicendogli: "Dai, non possiamo stare qui " lasciando così il patio. Dopo essersi lavata le mani prese Chris da parte per parlargli dell’accaduto e gli disse che a tutti i costi doveva evitare di raccontare quello che era successo. Chris pensò che ciò che era accaduto era stato solo un modo di difendersi... ma lei sapeva cosa gli stava succedendo, sapeva che c’era qualcosa di più forte e terribile, quella sensazione di potenza e forza... la necessità e il desiderio di far del male a qualcuno. La giornata passò in fretta e i fratelli tornarono a casa per pranzo. “Come è andata la scuola?" Chiese la madre con un sorriso dolce. Chris esitò cercando di rispondere a questa domanda. "Eccellente", commentò Nina con un sorriso molto teso. Nina dopo aver mangiato andò al piano di sopra e aprì il suo armadio ammirando la sua collezione di Jeff The Killer, manifesti, vari oggetti, alcuni vecchi quaderni che aveva allineato con alcune bambole e animali di peluche. Stette un po’ di tempo a osservare... con un sorriso sinistro, il suo sguardo rimase fisso per un po': "Jeff... sei tu che mi fai questo...?". Dopo l'incidente cercarono a lungo i responsabili, ma senza successo, chi poteva pensare che era stata una ragazza come Nina? Perciò usò questa cosa a suo vantaggio cercando di non attirare attenzione su di se. Ma un giorno, aprendo il suo armadietto, Nina vide un foglio con su scritto: "So cosa hai fatto... ma non preoccuparti... non lo dirò a nessuno, sei abile... ma pericolosa" Nina non trovò nessun indizio o qualcosa di simile per capire chi fosse stato, non aveva la più pallida idea di chi l’avesse lasciato li... decise però di ignorarlo. Nel frattempo, la sanità mentale di Nina peggiorò, incominciò a tenere un coltello e passare la maggior parte della notte seduta accanto a suo fratello o sua madre. Un giorno, Chris stava giocando con i suoi nuovi amici del quartiere, e si stava facendo buio, così sua madre, Monica, gli disse di rientrare. Nina uscì e vide in lontananza i bambini che stavano giocando, quando si avvicinò non riuscì a vedere Chris, cominciò a preoccuparsi, si avvicinò ai ragazzi e gli chiese che fine avesse fatto suo fratello, loro gli risposero che era andato via con una ragazza più grande di lei. Nina si preoccupò e si precipitò in casa a prendere il coltello che aveva nascosto nella sua stanza, senza che la madre la se ne accorgesse. Andò alla ricerca di Chris pregando che non gli fosse successo nulla, allontanandosi sempre di più da casa. Passò molto tempo e Nina non riuscì a trovare il suo fratellino, iniziò così a piangere e a disperarsi. Ma, tutto di un tratto, ecco che sentì una macchina avvicinarsi, la portiera si aprì e ne uscì Chris seguito da strane risate. Nina rapidamente lo prese tra le braccia e vide che il povero ragazzo era stato colpito ripetutamente. "Chris! Santo Dio! Che cosa è successo? "Esclamò Nina sostenendo il piccolo corpo di suo fratello. "Nina…l..loro mi…mi…ha..hanno fatto m..male" disse Chris con molta difficoltà piangendo sul petto della sorella maggiore, Nina cercò di vedere chi stava ridendo e gridando dentro l’auto ma con sforzo invano dato che, una volta spinto fuori dall'auto il bambino, la macchina partì a gran velocità. La rabbia stava per esplodere. Prese tra le sue braccia il fratello e lo portò rapidamente in un ospedale. Nina chiamò sua madre che arrivò più veloce che poté all'ospedale. Chris aveva emorragie interne e chiari segni di violenze, la madre di Nina cominciò a piangere mentre Nina stava ferma ed in silenzio, tentando di reprimere il bisogno di far del male a qualcuno. Quando Chris fu dimesso gli venne detto di stare a riposo per 3 settimane, così per non farlo annoiare Nina gli raccontò molte storie. Una volta tornata a scuola, Nina, trovò un’altra lettera con su scritto: "Mi dispiace per tuo fratello... spero che recuperi in fretta, non pensare che tu sia sola... io sono qui, e sarò il tuo amico... ma purtroppo dovrò tenermi a distanza..." Nina controllò di nuovo la lettera per vedere se c’era una firma ma non ne trovò nessuna. Passarono delle settimane e Chris dovette tornare a scuola a malincuore, in più quel giorno ci sarebbe stata la foto di classe, così Nina decise di indossare delle calze a strisce nere e bordeaux, una gonna nera, con delle Converse, una canottiera a strisce nere e blu, guanti senza dita ed infine un fiocco rosso sangue nei suoi capelli raccolti. Eppure sentiva che mancava qualcosa, così guardò meglio nell’ armadio e vide il suo maglione viola preferito, perché gli ricordava il maglione Jeff The Killer. Scese le scale, vicino alla porta c’era suo fratello che l’aspettava; salutarono la madre e partirono. Questa volta, per andare a scuola, presero l’autobus per evitare di incontrare le persone che avevano picchiato Chris. Arrivarono a scuola dove li aspettava una sorpresa poco piacevole. Claudia, Mailcom e Yoni camminavano lungo il corridoio con un’ aria ostile. Nina conosceva il motivo per cui avevano quelle espressioni, stavano cercando lei e Chris. Nina reagì prendendo per un braccio il suo fratellino trascinandolo in un luogo più affollato, in modo tale da non essere visti. La giornata stava passando in fretta e né Nina né Chris vennero notati dai tre ragazzi, o almeno così sembrava. Ad un certo punto Nina capì che li stavano seguendo, infatti, appena si girò per controllare, qualcosa la colpì in faccia facendola cadere a terra. Subito vide Mailcom che immobilizzava Chris stringendolo tra le sue braccia, Nina cercò di rialzarsi, ma un altro colpo sulla pancia la fece cadere di nuovo a terra. Guardò in su, e vide Claudia che le disse: "Finalmente ti ho trovata mocciosa, ora pagherai per ciò che hai fatto” così dicendo tirò fuori una pistola. "Non me ne frega un cazzo di combattere con te, anche se ti ho già battuto una volta e potrei rifarlo... sei una merda" ringhiò Nina cercando di alzarsi, rapidamente Claudia diede un calcio in testa a Nina, ma lei reagì e rapidamente e colpì la pistola più forte che poteva per cercare di spazzarla via. Nina finalmente riuscì ad alzarsi e corse molto velocemente fuori da li, fino ad arrivare in una casa abbandonata nelle vicinanze dove si chiuse dentro. I tre l’inseguirono, sentì che le sparavano addosso ma fortunatamente non venne colpita, si chiuse in un bagno, cercando disperatamente qualcosa per difendersi. "Ehi Nina! Rimani li pur sapendo quello che abbiamo fatto quella notte a tuo fratello??! Sei una codarda!!" Gridò Claudia dall'esterno. Nina si sentì montare dentro di sé una grande rabbia, un odio come non ne aveva mai provato prima e ancora una volta... il bisogno di uccidere. Guardando intorno alla stanza dove si era chiusa trovò una pezzo di ferro appuntito, lo fissò per un breve tempo con un inquietante sorriso sul suo volto, lo raccolse, uscì dalla stanza e si avventò sui tre che cominciarono a sparare ma Nina era imprendibile come le foglie che cadono da un albero. Con il pezzo di ferro colpì Yoni in testa, il suo sangue le schizzò in faccia, qualcosa cambiò in lei, si era rotto qualcosa... un filo sottile si era strappato... quel filo che divide la sanità mentale dalla follia, qualcosa che non si sarebbe più riaggiustato. Mailcom e Claudia indietreggiarono, Nina si voltò verso di loro con il suo sorriso psicotico ed uno sguardo penetrante ed orrendo, facendo indietreggiare persino Chris. Claudia provò a scappare, Nina la inseguì impedendogli di passare, la colpì e cadde al suolo semi-incosciente, vedendo ciò, Mailcom. Liberò Chris, il quale rimase li, in silenzio, a fissare sua sorella con orrore. Nina allora si avventò su Mailcom, lo colpì ripetute volte, aprendogli testa come un cocomero, il suo sangue schizzava dappertutto. Claudia cercò di riprendere la pistola, ma Nina gli pestò la mano, allora, impaurita, oltre ogni limite, alzò il suo sguardo incrociando quello di Nina che nel frattempo scuoteva la testa come per dirgli “no” e Nina veloce come un lampo le trafisse il cuore. "Ni-Nina... t-ti s-senti bene?" domandò Chris sconvolto da tanto orrore, Nina si voltò verso di lui con un volto più rilassato, ma sempre con il suo sorriso agghiacciante impresso sul viso. "Se mi sento bene...? MI SENTO BENISSIMO!!! Andiamo mio principe! Dobbiamo tornare a casa…! " Esclamò Nina prendendo con se suo fratello. Tornati a casa, Nina,essendo piena di sangue, non poteva farsi vedere da sua madre, così andò subito nella sua stanza , lì si inginocchiò sul bordo del suo letto mettendo la testa tra le braccia. Strinse i denti come per impedire a qualcosa di uscire, poi, con la poca consapevolezza che gli restava, prese il suo portatile e scrisse una nota ... una nota che forse nessuno avrebbe mai letto. La notte arrivò. La madre di Nina e suo fratello dormivano tranquillamente, mentre Nina non riusciva a chiudere occhio, così si alzò, aveva ancora addosso i vestiti dello stesso giorno, guardandosi allo specchio, vide un volto comune... come quello di molti altri. Fu così che prese una decisione e andò al piano di sotto per fare la cosa più folle della sua vita. Scese in cucina iniziò a bere della vodka, poi iniziò a cercare una bottiglia di candeggina, ma non trovandola iniziò ad agitarsi. ”Dove diavolo sei candeggina..?” ringhiò. "Stavi cercando questa...?" Disse una voce alle sue spalle, si girò sorpresa e vide un ragazzo all'entrata della cucina con la candeggina in mano, aveva una pelle molto bianca, i suoi capelli erano di un nero carbone e aveva un sorriso grande e orribile. "Ah... che bellissima sorpresa... Jeff The Killer!" disse Nina con uno sguardo di sfida. "Ti ho osservato per un po'... mi è sembrato che la tua sanità mentale sia andata a farsi fottere... Hahahahahaha!!!" disse Jeff con grazia. "Hai ragione! Quindi ho bisogno di quella candeggina ..."disse Nina tendendo la mano. "Awh ... lascia che ti aiuti!” Esclamò Jeff che, una volta aperta la candeggina, gliela tirò in viso, lei emise un gemito di dolore quando la candeggina gli entrò negli occhi e si accasciò sul pavimento. Nina sentì un altro liquido scendergli giù per la testa, guardò in alto e vide Jeff che aveva un fiammifero in mano. Nina sorrise e lo guardò ancora con aria di sfida. "Che stai aspettando...? ...Fallo!" disse la ragazza con una voce provocatoria. Jeff sorrise e lo accese. "Vai a dormire..." aggiunse facendo cadere il fiammifero. Appena le fiamme toccarono la pelle di Nina, emise un fortissimo grido, si sentiva di avere l’ inferno stesso che le bruciava addosso, guardò intorno a se per cercare Jeff ma quest’ultimo era scomparso. Nina si contorceva sul pavimento quando arrivarono la madre e suo fratello che corsero subito verso di lei per cercare di spegnere il fuoco. Era semi-cosciente quando spensero le fiamme. La madre chiamò subito un’ambulanza. A causa delle grida, molti vicini si radunarono davanti casa per vedere cosa stava accadendo. Nina era incosciente così fu messa in una barella per portarla via. Tra i vicini di casa, un ragazzo con i capelli neri, carnagione chiara e occhi verdi, leggermente più grande di Nina la guardò con una certa preoccupazione, provò ad avvicinarsi ma la madre lo fermò afferrandogli la spalla. "No Esclin non è sicuro" disse la madre trattenendolo così si fermò a guardare mentre caricavano Nina in ambulanza. Nina si risvegliò in ospedale, provò a muovere le bracciai ma non ci riuscì dato che era legata con una benda, cercò di alzarsi, ma subito un’ infermiera entrò seguita dalla madre e il fratello. "E’ meglio se rimani ferma, non sei ancora in grado di poterti muovere" disse l'infermiera visitandola nuovamente. Sua madre e suo fratello gli si avvicinarono e cercarono di incoraggiarla un po’. Nina si sentiva cambiata, vedeva sua madre come fosse un’estranea, mentre, suo fratello... doveva ammetterlo, era ancora il suo unico tesoro. Passò un mese in ospedale per la riabilitazione,ricevette molto sostegno sia dalla madre che dal fratello. Venne poi il giorno di togliere le bende, tutti e tre erano desiderosi di vedere il suo volto. "Nina” disse il medico mentre toglieva le bende: ”Le ustioni sono alquanto gravi, ma poteva andare peggio,se fosse durato più a lungo avrebbe perso parti del suo viso, naso compreso" Tolta l’ultima benda la madre la guardò con orrore e suo fratello si nascose dietro sua madre. “Che…? Che cosa succede? " Chiese Nina che si alzò per correre verso il bagno, si guardò allo specchio. Il suo viso... La sua pelle era diventata completamente bianca, i suoi capelli, che prima erano lunghi quasi fino alle ginocchia, ora raggiungevano appena metà schiena, la sua pelle era dura come il cuoio. Guardo il suo nuovo volto perplessa. "So-sorella ..." disse Chris abbracciandola "S-sei ancora bella come prima" Ma il bambino non vide lo sguardo inquietante, con il quale la ragazza guardò suo fratello minore. "Oh Chris... sei sempre così adorabile..." disse Nina. "Ma non è così... io mi vedo più bella che mai!!!" Esclamò la ragazza aprendo le braccia e lasciando il fratello. La madre, i medici e gli infermieri tutti a bocca aperta. "Questo volto è perfetto... oh mio caro Jeff! Tu mi hai dato questa faccia!" continuò a gridare la ragazza. "Do-dottore... quello che è successo a mia figlia…può averla sconvolta al punto di…insomma…impazzire?" chiese disperata la madre. "Beh, Nina ha subito un forte trauma e lo stress che ne è seguito può aver lasciato dei segni, ma se non migliora nel tempo,il vostro conforto potrebbe non essere sufficiente e dovrete avvalervi di un aiuto medico” confermò il dottore. "Sì..." disse con voce debole la madre avvicinandosi a Nina "Forza cara... dobbiamo andare”. "Hahahaha!!! Certo...!" esclamò Nina mentre continuava ad ammirare il suo aspetto allo specchio. L'infermiera gli consegnò i suoi vestiti, che erano una giacca viola, minigonna nera e calze con strisce nere e rosso bordeaux. Nina si vestì e lasciarono l'ospedale per tornare a casa. Non potevano sapere che Nina era ormai diventata un mostro che pensava solo ad uccidere. Arrivarono a casa, Nina continuava ad avere fisso in viso quel suo sorriso sinistro. Guardò la casa di fronte alla sua e notò che, alla finestra, c’era un ragazzo con i capelli neri e gli occhi verdi che sbirciava, il ragazzo osservava attonito il volto ormai sfigurato di Nina, lei lo guardò, poi portò il suo dito indice sulla bocca in segno di silenzio, Il ragazzo subito corse via. Quella notte la madre di Nina si svegliò sentendo dei singhiozzii provenire dal corridoio, si alzò, guardò fuori e vide la luce accesa in camera di Nina, arrivata alla porta, la aprì, e fu così che si trovò di fronte ad un’orribile spettacolo: sua figlia ricoperta di sangue con accanto il corpo di una ragazza molto carina, alla quale erano state strappate le interiora e sparse per tutta la camera. Nina era in piedi sopra di lei con un coltello da cucina in mano, mentre fissava il soffitto. "Continuava a tormentarmi a scuola..." mormorò Nina continuando a fissare il soffitto. "Mamma... ora sono più bella che mai!" Esclamò Nina rivolgendo ora lo sguardo verso la madre. Il suo volto era peggiorato, si era tagliata la faccia in un sorriso che andava da una guancia all'altra, le sue palpebre erano bruciate. "Mi sono stancata delle farse, mi sono stancata di piangere e soffrire... Ora sorriderò sempre e per sempre potrò vedere la mia bellissima faccia... la faccia che mi ha dato Jeff... Non sono bella mamma?" chiese la ragazza. La madre di Nina non riuscì a non indietreggiare mentre scuoteva la testa dicendogli no. "No... Nina tu... tu sei diventata un mostro... tutto questo è nato per la tua ossessione per quell'assassino... io ..." disse interrompendosi la madre cominciando poi a correre per il corridoio. Nina inseguì la madre rapidamente "è più divertente uccidere quando corrono!!!" esclamò mentre l’ inseguiva diretta verso la camera di Chris per svegliarlo. Ma neanche il tempo di arrivare alla maniglia della porta, che Nina colpì alla testa sua madre con il coltello, uccidendola all'istante. "E 'un peccato che tu, mamma, non pensi che io sia bella... che cosa triste" disse Nina estraendo il coltello dalla testa della madre. Chris nella sua camera, era inquieto, si sentiva come in pericolo, si muoveva e si muoveva cercando di trovare un posizione comoda nel letto, ma senza riuscirci. Nina aprì la porta, Chris si girò per vedere cosa stava accadendo e vide Nina stagliata contro la luce che entrava dalla porta, non riusciva a vedere la sua faccia, però poteva vedere chiaramente il coltello. Si allarmò e si rannicchiò sopra il suo cuscino. “Chris..." disse Nina avvicinandosi a Chris, che si lasciò sfuggire un piccolo gemito di orrore vedendo il suo volto. “È vero che sono bella, Chris? " disse inclinando la testa di lato. Chris annuì coprendosi con le lenzuola per la paura. “Oh, andiamo Chris... non ti farò nulla" disse Nina nascondendo dietro di se la mano mentre incrociava le dita. "Sai... mi sento più bella che mai e pronta a incominciare una nuova vita... vuoi venire con me?" domandò mentre continuava ad avvicinarsi. Chris annuì di nuovo. "Oh... bravo ragazzo... ora, se vuoi unirti a me... non resta che andare a dormire, mio principe." Nina apri con un calcio la porta d'ingresso della casa trasportando suo fratello sulla schiena. Chris era morto, completamente coperto di sangue, gli aveva procurato un sorriso raccapricciante da pagliaccio e gli occhi contornati di nero avevano le palpebre bruciate. Nina, allontanandosi dall'ingresso con questo macabro fardello, notò il ragazzo che aveva visto nel pomeriggio, questa volta indossava una camicia bianca e jeans bianchi, leggeva un libro, ma per pura curiosità aveva alzato il suo sguardo notando l’orribile scena. "Wow Chris... sembra che qualcuno ora ne sappia più del necessario... mettiamolo a dormire" disse Nina camminando verso la casa del ragazzo. VAI A DORMIRE MIO PRINCIPE.
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calabriawebtvcom · 4 years
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OSPEDALE COVID: BRUNO AMANTEA, RESTITUIRE SERVIZI DIAGNOSI E CURA.
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO:L'istituzione di un Ospedale Covid consente di raccogliere e curare i pazienti sintomatici ricoverati nei vari ospedali della REGIONE! Lo scopo è liberare e restituire gli altri servizi di diagnosi e cura ai Cittadini, che oggi sono terrorizzati ed hanno paura a recarsi negli ospedali! I Pazienti vengono trasferiti dagli altri ospedali dove vengono accolti, diagnosticati, in appositi settori(le famose tende di triage, e dove, dopo essere stato diagnosticati, vengono inviati all'ospedale covid per essere curati! L'ospedale covid deve avere la possibilità di effettuare il monitoraggio del paziente, in particolare il monitoraggio della funzione respiratoria mediante un semplice pulsossimetro, mediante ecografia polmonare ed eventuale TAC per gli stadi evolutivi della eventuale presenza dell'interessamento polmonare da polmonite virale interstiziale (una felle due principali cause di morte) deve inoltre provvedere a monitorare la funzione emocoagulativa che precocemente deve essere trattata mediante prevenzione antitromboembolica con eparine(frazionata o sodica a secondo degli stadi della malaria) Ricordiamo che la trombo embolia polmonare è la prima causa di morte da covid 19, intorno al 70% della mortalità! Il restante 30%di mortalità è dovuta alla evoluzione della polmonite interstiziale virale, per questo è importante il riconoscimento precoce della alterazione della funzione respiratoria mediante il semplice monitoraggio attraverso pulsiossimetria, per riconoscere precocemente il deficit dello scambio dell’ossigeno! Quando il paziente manifesta segni clinici di insufficienza respiratoria(dispnea, affanno), lo scambio risulta già notevolmente compromesso! Perciò il riconoscimento precoce attraverso monitoraggio della funzione emocoagulativa (e trattamento precoce profilattico con eparina), insieme alla saturimetria e la precoce somministrazione di ossigeno mediante mascherina facciale dotata di sistema Venturi, ed in caso di non soddisfacente correzione del deficit di ossigeno, si passa all'ossigenatore ad alti flussi! Importantissimo è l'approccio precoce al paziente; prima si interviene prima si inizia a prevenire l'evoluzione delle complicanze! Più tardivo è l'approccio qualificato dei sanitari più importante e lo stadio evolutivo delle due complicazioni, e peggiore è la prognosi! A proposito della diagnostica per immagine di precoce impiego sono rx del torace, la ecografia polmonare e la ecocardiografia fatta a letto del paziente, la TAC o l'angiotac, indagine di secondo piano impiego e necessario poterla effettuare nella stessa struttura della dell'ospedale covid ; così come sarebbe utile disporre nello stesso ospedale covid di una serie di indagini diagnostiche di urgenza nello stesso nosocomio, per ciò che concerne tutto il resto, altre indagini di laboratorio, consulenze plurispecialistice ci si può servire di esterni alla struttura! Altra dotazione importante è un settore di cura sub Intensiva dove per esempio realizzare la ventilazione non invasiva mediante casco da CPAC! Visto l'approccio necessario è fondamentale che questi pazienti vengano seguiti già precocemente da intensivisti esperti sia nel monitoraggio che nella diagnosi precoce del deficit respiratorio, sia nel monitoraggio e della profilassi della tromboembolia polmonare! In modelli organizzativi tedeschi dedicati covid, è proprio l'intensivista a seguire precocemente il decorso dei pazienti dalla assistenza domiciliare fino al trattamento in terapia intensiva! L'infettivologo è figura fondamentale per diagnosi di contagio per stadiazione per approccio terapeutico specifica etc condivisa con intensivista pneumologo e cardiologo interventista! Fondamentale la presenza del radiologo sia per Tac sia, sopratutto per eseguire, insieme al cardiologo interventista, indagini di ecografia polmonare e di ecocardiografia! Ribadisco che la precocità del riconoscimento del livello di compromissione è di intervento terapeutico è fondamentale e determinante per l'esito finale. Tecnologia per il trattamento dell'aria nei reparti di degenza: Indipendentemente da quanto vanno dicendo i vari Soloni che strombazzano sentenza più teoriche che pratiche, senza considerare contesti specifici(la nostra regione, ed in particolare la struttura che io ritengo ideale allo scopo: l'ex Villa Bianca), per le stanze di degenza è importante la buona esposizione e L'APERTURA DELLE FINESTRE PER IL RICAMBIO DI ARIA! Molti rimarranno delusi e meravigliati di questa mia affermazione, ma ho fondati motivi per farla. (sono disponibile a discuterla in dettaglio in altro momento se qualcuno è interessato) Diverso è il problema riguardante il microclima nelle terapie intensive e sub intensive covid dedicate Ma poiché la risposta è variegata e gli aspetti sono diversi vi basti sapere che per ora non rappresenta una priorità ; qualsiasi microclima presenta va benissimo! Quanti i posti letto da prevedere? Oggi sono necessari circa 120 posti letto! Ma se pensiamo al numero di posti letto occupati in corrispondenza del massimo contagio, 220, ritengo che 140- 150 posti letto sarebbero più che sufficienti nel soddisfare le esigenze derivanti da un eventuale ritorno del contagio, che io prevedo possa avvenire, ma non è detto, intorno al 27-30 maggio! Rientro a casa: bella domanda: Dopo i due tamponi negativi i "guariti" non possono ritornare direttamente a casa, ma devono fare un periodo di quarantena di almeno altre 2-4 settimane Ancora non abbiamo certezze relative alla possibile contagiosità dei guariti; siamo in attesa di ulteriori informazioni su questo aspetto! Le indagini sierologiche che tra qualche giorno si faranno in Italia forse ci potranno aiutare a dare risposte!  La catena di comando: bella domanda anche questa, io sono un medico, ma ho fatto esperienza di direzione generale aziendale, quindi provo ad esporre un mio personale punto di vista: Stiamo affrontando una guerra ; Il nemico è diverso da tutti quelli che finora abbiamo affrontato; Prima dei riscontri autoptici fatti fare dal prof Luciano Gattinoni, e dai successivi riscontri autoptici commissionati dall 'ISS, che hanno confermato le osservazioni fatte da Gattinoni, non sapevamo di cosa morivano i pazienti covid! Dai loro studi abbiamo appreso che il 70% moriva di TEP, quindi i due aspetti ed i due approcci profilattici e terapeutici! La peculiarità della problematica covid mi fa dire che sia importante avere un unica persona al comando per governare la specifica emergenza covid; naturalmente supportato da Esperti di vario settore senza dimenticare i PRESIDENTI DEGLI ORDINI DEI MEDICI, che hanno il polso della situazione sulla catena assistenziale e, particolare non trascurabile, sulla assistenza nel territorio e sulla assistenza ospedaliera; ma solo una persona dirige il timone e da informazioni. Questo per quanto riguarda il livello regionale Per ciò che riguarda la struttura covid dedicata e solo per la specifica emergenza io vedo la necessità di avere due figure al comando : L'infettivologo indispensabile per tutto ciò che attiene il contagio, l'epidemia, il monitoraggio, l'orientamento ed il coordinamento etc di ciò riguarda il virus, ed un intensivista per ciò che concerne il monitoraggio ed i provvedimenti terapeutici all'interno della struttura covid dedicata! Ultima domanda: opportuna ed interessante riguardante gli approvvigionamenti! Anche per questo e necessaria una figura che in stretto sintonia con L'infettivologo, che dirige la struttura covid, con il direttore generale della regione organizzi gli approvvigionamenti più idonei e necessari per la contingenza reale; faccio un esempio : sarebbe assurdi, e nel contempo comprare ventilatore, quando invece servono sistemi di ossigenatori ad alti flussi e presidi di protezione assolutamente carenti già in questa fase e che saranno ancora più necessari nella fase 2!  Voglio spendere qualche parola sui motivi che mi hanno indotto a scegliere la ex Villa Bianca come unica possibilità di scelta che abbiamo in Calabria: È l'unica struttura prontamente disponibile: ritengo che possa essere già utilizzata in poche settimane; necessità solo di collaudo degli impianti gas medicali, elettrici idraulici etc. Non ha bisogno di opere murarie di trasformazione Ha ambienti idonei in termini di spazi e dotazioni necessari alla cura di questi pazienti(dotazione di prese di O2 ai testaletto) È dotata di 7 posti di terapia intensiva È dotata di Radiologia È dotata di una cucina dedicata È dotata di una eli superfice È dotata di percorsi dedicati È dotata di parcheggio È BARICENTRICS Ma la cosa che rende esclusiva la ex Villa Bianca è la sua posizione sollevata in una area ben esposta e ventilata Nessun'altra struttura calabrese, a mia conoscenza ho queste caratteristiche! Non più tardi di ieri è uscita una proposta demenziale della cadente struttura di Girifalco! Ma si rendono conto i proponenti che la struttura unica serve per questa emergenza e non per una eventuale emergenza che si potrà verificare tra 10- 20 anni? Gli ospedali devono essere liberati massimo in un mese! I cittadini hanno paura di andare in ospedale e chissà quanti ne sono morti perché per paura di essere contagiati non si sono recati in ospedale? l'urgenza non riguarda solo i cittadini, ma gli studenti dei vari corsi di laurea e degli Specializzandi presso il policlinico di Catanzaro, che in tal modo potranno tornare a frequentare regolarmente i corsi e tutto ciò che è necessario per la loro formazione. Prof. Bruno AMANTEA Read the full article
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pangeanews · 5 years
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“Che cos’è l’amore se non il crinale della crudeltà?”: l’epistolario tra Nathan e Vera, il folle feuilleton di Davide Brullo & Veronica Tomassini
Vera e Nathan sono soli al mondo, spogli, divisi, in un 1950 livido di tragedia. Lei è rifugiata a Tel Aviv, lui vaga per l’Europa, limpidamente ossessionato, vendendo carte stellari di pregio. “Senza gestire l’ignoto” è un progetto letterario di Davide Brullo e di Veronica Tomassini. Sul blog della Tomassini, qui, potete leggere la lettera di Vera; qui la risposta di Nathan. Continueremo a fecondare l’ambiguo e l’astrale.
***
Kaliningrad, 23 febbraio 1950
Vera.
Bisogna dissipare il corpo e vomitare l’anima, dalle narici, sottile come un filo d’argento. Bisogna sarchiare il corpo per verificare se l’anima ha un’algebra, se esiste, che colore ha. Si è al mondo per squalificare la propria anima – per evitarsi ogni altra passeggiata ultraterrena – si vive per morire definitivamente.
Tu sei Vera perché la verità del tuo corpo è stata svelata a tutti – senza resa, io sarò l’ultimo – verrò a raccoglierti – non per amarti – per legarti al collo. Per legarti ai polsi. L’amore non esiste, è il modo con cui l’uomo si concilia con il sopruso – esiste il compito, e tu non hai ancora capito che ti amo proprio perché sei vuota, esiti, non esisti – mi basta scoppiare un fischio, qui, da questo gorgo d’Occidente, e tu sparirai, per sempre.
Gli uomini del deserto, in Africa, chiamano la costellazione di Cassiopea “l’Avida”. Dicono che un uomo di Dio, di nome Selim, un uomo spietato con i nemici perché esperto nell’arte della colpa, fosse stato sedotto da una donna di Saba. “Aveva ridotto la sua anima a un dado, e il deserto, che prima gli sembrava logico come un ordine, ora gli appariva la prova del caos”, scrive Tabari nella Storia dei profeti e dei re. Disorientato dalla donna, Selim la rinchiude in una prigione di vetro, perché tutti vedano il viso di chi sa eludere l’esegesi di Dio. Eppure, la notte, “quando il vigore dell’angelo si assottiglia”, Selim desidera essere la prigione, desidera essere la colpa e il torto. “Che cos’è l’amore se non il crine e il crinale della crudeltà?”, dice l’uomo che non sa più scoprire la sentenza di Dio nella corsa obliqua degli scorpioni. Scrive Tabari che “quando Selim si uccise, la donna, che fino ad allora non aveva mostrato interesse verso il suo carceriere, gridò fino a distruggere il suo corpo e a tramutarsi nella costellazione che è detta ‘l’Avida’, perché ribolle l’urlo nell’uomo che non si contiene”.
Le stelle sono i puntelli che minano la paura – che l’uomo pattugli di storie l’oscurità è un ambito della sua debolezza – senza ambasciatori vogliamo essere aggiogati alla gioia.
Cercherò tua sorella – sono pronto a disseppellirla – a fecondare un cadavere – purché riconosca tracce di te. Saprei uccidere tuo padre – per esserti padre, sorella, creatore. Piuttosto, andrò alla ricerca dei tuoi carcerieri, per avere istruzioni su come farti godere allietando il dolore.
*
Di pomeriggio
Vedo le anime di chi mi è intorno: torme di anime, sulla strada, come pesci, saltano ovunque, con bocche allucinate, che abbagliano richieste archiviate millenni fa – da che mondo veniamo e perché abbiamo questo bisogno indifendibile di una casa?
Voglio vedere il Baltico. Ho ricevuto una richiesta da Kaliningrad: un collezionista ha comprato una mappa celeste del Seicento, di fattura olandese, con raffigurazioni pregiate. Sopra il muso del Drago una ragazza, che nella cartografia è detta Virile, allieva della Vergine, offre al mostro il braccio, in pasto. “Secondo lei la ragazza intende trasformare il Drago in uno sposo innocuo o è lei, piuttosto, la causa della sua mostruosità?”, mi ha chiesto il collezionista, dice di chiamarsi Anton, è di una eleganza pudica, eccessivamente magro, con il viso simile a un’arma, aggressivo. Ha aperto la carta sul tavolo della sala, troppo ampia, guarnita di finestre che sbocciano sulla piazza centrale di Kaliningrad – ci si potrebbe costruire una piscina, penso – lui dice, “potrei vinificare il Baltico, raccoglierlo in bottiglie, venderlo” – ride ammettendo che la malizia è l’occasione che stabilizza il mondo. Mi informo sempre riguardo ai miei clienti. Anton – che a volte si fa chiamare Gustav, altre Friedrich – ha trattato con russi e tedeschi, perché tutti apprezzano chi è rapace e sa tradire con glaciale onestà – costruisce navi. Ha dieci figlie, avute da donne disparate e disperse – abitano con lui – dicono che siano le sue concubine. Amo gli uomini oscuri per credermi una fiamma. Gli ho risposto che non credo nei mostri come non credo negli innocenti. Soddisfatto, ha raddoppiato la cifra che gli ho chiesto.
Fatti scopare da Max Brod, magari scoprirai qualche segreto su Kafka – io voglio essere l’unico uomo che non ti tocca – io ti rammendo a me, io ti prendo da terra, ti cucirò l’anima alla lingua – ma Israele, davanti a me, ha il muso di un cane, ringhia.
*
Di notte
Anton mi ha consigliato Else – una prostituta per ricchi. Ho preteso che mi ferisca. Mi tolgo la maglia. Schiena continentale, dice. Io sono niente. Io costruirò una nuova mappa del cielo, con costellazioni diverse, mai viste, perché così, forse, questo mondo muterà in timore del cosmo, sarà come girare una manopola, azionare un meccanismo a contrario. Le ho chiesto, prendi il coltello, incidi una linea parallela alla mia spina dorsale, ti pago. Anton aveva ragione – Else ha l’indifferenza dei santi, dei salvi. Mi segna, sanguino – la tua spina dorsale è un’anguilla, le vertebre barcollano, forse hai inghiottito un’anguilla, fa lei, e ride, e i muri comprimono la sua risata in un cubo. Così misuro la distanza genetica che c’è tra Baltico e Israele, tra me e la mia donna, il mio compito, le ho detto – poi ho preteso di dormire in cucina, mentre lei esercitava l’arte – altri due clienti, un bancario e il prefetto della città – perché sentire altri che si amano fino al gemito mi rassicura.
Ho segnato tutte le mie donne. Con un ago. Ho inciso su ciascuna il profilo di una costellazione – perché il legame sia assolutamente astrale, assurdo fino all’assoluto – so come chiamarle a me, non sanno che obbedire.
Anton mi ha detto che all’epoca dell’imperatore Traiano, in questi luoghi viveva un grosso mercante di bestie e di schiavi. La sua specialità erano gli animali esotici: di solito, trafficava in orsi bianchi. Una volta – ne parla perfino Tacito, giura Anton – ha deciso di allevare ghepardi, da destinare agli anfiteatri della Gallia. I ghepardi sul Baltico – li immagino trottare, come fasci di luce in mezzo al gelo – che immagine meravigliosa.
Nathan
L'articolo “Che cos’è l’amore se non il crinale della crudeltà?”: l’epistolario tra Nathan e Vera, il folle feuilleton di Davide Brullo & Veronica Tomassini proviene da Pangea.
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