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#Fondazione Musil
maddalenafragnito · 1 year
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MATRICE LAVORO Exhibition at Base Milano
Intervengono: Andrea Biffi (Coclea), Giorgio Bigatti (Fondazione ISEC), René Capovin (musil Brescia), Andrea Pedrali (Comune di Cedegolo)
Con: Massimo Banzi (Arduino), Sara Zanisi, Giulia Bertolazzi E le artiste Maddalena Fragnito e Francesca Marconi
La mostra è visitabile gratuitamente in Ground Hall a BASE dal 3 all’11 dicembre.
In occasione della presentazione del 3 dicembre “Raccontare Matrice Lavoro”, Maddalena Fragnito e Valeria Graziano condividono due “work in progress”. RADIO GABINETTO - studio #1, già presentato in occasione del Festival FAROUT 2022, un’installazione sonora che rievoca la contraffattura, la tecnica di mutare i testi delle canzoni lasciandone inalterate le melodie all’origine di numerosi canti di lotta operai. BATTERE LE CIGLIA A COMANDO, il processo di stesura di un libro a venire che indaga l’intreccio fra salute e tecnologie nei luoghi del lavoro, a partire dal materiale di archivio messo a disposizione dall’Archivio ISEC e dalle interviste fatte a un gruppo eterogeneo di gig workers nei mesi di residenza.
RADIO GABINETTO Tra il 1960 e 1970, in Italia, le lavoratrici della fabbrica tessile del marchio Lebole si incontrano nei gabinetti dello stabilimento per condividere problemi, organizzare assemblee e scioperi e contraffare melodie pop da cantare alla catena di montaggio e ai cortei. Questo spazio-tempo di cospirazione è da loro soprannominato “Radio Gabinetto”. Radio Gabinetto è una installazione sonora che intreccia le storie delle lotte delle operaie della fabbrica tessile Lebole a cavallo degli anni ‘70 con le esperienze di lavoratori e lavoratrici del contemporaneo. Grazie al recupero di materiale d’archivio della Fondazione ISEC e alle interviste fatte a un gruppo eterogeneo di gig workers, l’installazione annoda le istanze che emergono negli anni in cui si intensifica la cosiddetta “organizzazione scientifica del lavoro” con le attuali condizioni lavorative su tecnologia algoritmica. Un’indagine sulla tossicità al e del lavoro, tra logoramento fisico ed emotivo, tra corpo e tecnologie di produzione.
BATTERE LE CIGLIA A COMANDO Dalla fabbrica Lebole alla piattaforma Onlyfans Battere le ciglia a comando è il titolo di un’inchiesta del 1969 sui ritmi di lavoro massacranti che si registrano nelle fabbriche italiane a seguito dell’introduzione del metodo americano MTM (Misura dei Tempi e dei Metodi). L’inchiesta è firmata Luigi Ferraro e pubblicata nel numero 161 di Rassegna Sindacale. L’autore scrive: “Lo sfruttamento scientifico punta all’eliminazione di ogni interruzione ed esitazione dei movimenti. L’operaio viene considerato un accessorio della macchina, con una sua durata e un suo logorío da programmare nel tempo, l’unico ingranaggio che si può cambiare senza costi.” A partire dalle riflessioni emerse negli anni ’70 dalle lotte italiane che si sono organizzate dentro e oltre le fabbriche, e dalla necessità di trovare strumenti per leggere il contesto attuale, l’omonimo Battere le ciglia a comando torna a indagare l’intreccio fra salute e tecnologie nei luoghi del lavoro. Ripercorre i cambiamenti nelle tecnologie e nei metodi di accumulazione di profitto del passato recente – così come nei soggetti, nei luoghi e nei modi di fare politica – per orientarsi dentro al frammentario mondo del lavoro contemporaneo, fatto di piattaforme digitali e tecnologie algoritmiche. Cosa emerge se sovrapponiamo vecchie e nuove storie di ‘innovazione’ tecnologica dell’ambiente di lavoro e il suo impatto sulla nostra salute?
Digitalizzazione Archivio Firrao
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redazionecultura · 5 years
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Convegno: Melzi, Treccani, Wikipedia. L'enciclopedismo tra Brescia e il web
Convegno: Melzi, Treccani, Wikipedia. L’enciclopedismo tra Brescia e il web
La Fondazione Musil, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Nord 1, organizza il convegno: “Melzi, Treccani, Wikipedia. L’enciclopedismo tra Brescia e il web“, che si terrà lunedì 13 maggio, dalle 16:30 alle 19:00, presso l’Auditorium della Scuola Secondaria I°G “F.Lana”, in Via Zadei n.76, a Brescia.
PROGRAMMA
16.15 registrazioni e accoglienza 16.30 saluti di Ersilia Conte, dirigente…
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culturame · 7 years
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Passato prossimo, al Museo del Ferro in mostra i volti e le storie del quartiere di San Bartolomeo
Passato prossimo, al Museo del Ferro in mostra i volti e le storie del quartiere di San Bartolomeo
Al Museo del Ferro di San Bartolomeo gli studenti dell’IIS Tartaglia Olivieri presentano il progetto artistico ideato e realizzato con interviste e fotografie del passato. Si svolgerà sabato 29 aprile, con inizio alle 10:30, l’inaugurazione della mostra d’arte Passato Prossimo, curata dai ragazzi e dalle ragazze della III B LAF dell’IIS Tartaglia Olivieri nel corso del progetto di alternanza…
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carmenvicinanza · 2 years
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Rita Azevedo Gomes regista portoghese
https://www.unadonnalgiorno.it/rita-azevedo-gomes/
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Rita Azevedo Gomes è una regista di cinema, teatro e opera, nata in Portogallo nel 1952.
Artista versatile e indipendente il cui costante interesse è esplorare nuove vie di espressione.
Dall’inizio degli anni ’70 ha lavorato nel cinema con Manoel de Oliveira.
Per oltre 30 anni ha collaborato con João Bénard da Costa, prima nel Dipartimento di Cinema della Fondazione Gulbenkian e, dal 1993, alla Cinemateca Portuguesa. Viene anche molto apprezzata per i suoi progetti grafici di cataloghi e pubblicazioni.
Sebbene sia una regista di cinema indipendente, i suoi film sono stati proiettati e acclamati in tanti festival internazionali e distribuiti in vari paesi europei.
Il suo primo lungometraggio O Som da Terra a Tremer ha partecipato al Festival di Torino nel 1990. Dopo aver lavorato per cinema e televisione, nel 2001, il suo Frágil Como o Mundo è stato presentato a Venezia, Torino, Roma, Toronto.
Nel 2002 Altar ha vinto il premio per la Miglior regia al Festival Internazionale di Angra, nelle Azzorre.
Guardando i suoi film si ha l’impressione che il tempo si fermi: è come se esistessero al di fuori del tempo e dello spazio.
Il suo è un cinema di rara purezza e di rivoluzionari artifici, di passioni impossibili e immagini indimenticabili di desiderio e solitudine, che affonda le radici nella letteratura, nel teatro e nell’opera.
Nel 2014 Bafici-Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente, ha organizzato una retrospettiva completa del suo lavoro.
La sua ultima fatica, O trio em mi bemol è stato presentato alla Berlinale 2022 dove tre anni prima aveva presentato A Portuguesa, tratto da un racconto di Robert Musil e definito un film che si vede come un quadro e si ascolta come un libro.
Produttrice, oltre che regista, la realizzazione dell’ultimo film si basa sull’amicizia, gli attori hanno scelto di recitare gratuitamente, condividendo la loro comune idea di cinema.
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giancarlonicoli · 4 years
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15 set 2020 19:47
VALLI DI LACRIME - BERNARDO VALLI LASCIA ''REPUBBLICA'' DOPO OLTRE 40 ANNI, IN DISACCORDO CON LA LINEA DI MOLINARI SUL MEDIO ORIENTE. A MAGGIO LEONARDO COEN, TRA I FONDATORI DEL QUOTIDIANO, HA RIVELATO CHE IL DIRETTORE AVEVA CHIESTO DI MODIFICARE UN SUO PEZZO, E GIÀ IL CRONISTA NOVANTENNE AVEVA MINACCIATO LE DIMISSIONI - L'INTERVISTA A GNOLI SULLA SUA VITA AVVENTUROSA, DALLA LEGIONE STRANIERA AL CONGO, DALL'IRAN A CUBA: ''NON SONO UN LETTERATO NÉ UNO STORICO, MA SOLO UN CRONISTA. LA VERITÀ? DURA UN MOMENTO''
Da www.professionereporter.it
Bernardo Valli, definito da Repubblica cinque mesi fa, “il più grande reporter di guerra italiano della seconda metà del Novecento”, lascia Repubblica.
Il 15 aprile ha compiuto 90 anni.
Dalla sua casa parigina di rue Chaptal, nono arrondissement, ha scritto una lettera secca al direttore Maurizio Molinari. Per dire addio.
Nella lettera non lo spiega chiaramente, da gentiluomo. Ma il nuovo corso di Repubblica, con la proprietà della Gedi di John Elkann e la direzione Molinari, non lo convince. Valli è un esperto eccezionale di tutti i luoghi di crisi del mondo e qui c’è un nodo particolare, che riguarda il Medio Oriente. Molinari guarda con benevolenza al governo israeliano, Valli ne ha descritto più volte -nei decenni- errori, debolezze, cadute e anche successi. Da cronista, sempre legato strettamente ai fatti. Con la sua lingua chiara e avvolgente. Il punto di rottura anche se non dichiarato ufficialmente è questo. Molinari inoltre ha promosso collaboratrice corrispondente da Gerusalmemme Sharon Nizza, ex candidata del Pdl alla Camera dei deputati e prima collaboratrice in Parlamento di Fiamma Nirenstein, anche lei molto vicina al governo Netanyahu.
PEZZO DA MODIFICARE
A maggio, sul suo profilo social, Leonardo Coen, già firma di Repubblica, ha scritto: “Possibile che Scalfari non se ne renda conto? Gliel’avranno riferito che recentemente il direttore Molinari ha chiesto a Bernardo Valli di modificare qualcosa nel suo pezzo e che l’anziano ma ancora baldanzoso Bernardo ha minacciato di dimettersi?”.  Era un pezzo sul Medio Oriente.
Con la direzione Molinari, da Repubblica sono andati via Enrico Deaglio, Gad Lerner e Pino Corrias.
Nessuno di loro si può paragonare a Valli, presente a Repubblica dalla fondazione, un monumento del giornalismo di battaglia, colto e preciso, documentato e capace di far comprendere la complicazione dei fatti.
Valli nasce a Parma in una famiglia benestante: il padre è chirurgo, la madre crocerossina. Nel 1949, a diciannove anni, si arruola nella Legione straniera francese. Nel 1954 assiste, nella base di Sidi Bel Abbes, alla parata dei reduci dalla sconfitta diDien Bien Phu. Poco dopo, decide di lasciare la Legione.
Si trasferisce a Milano, dove fa il praticantato da giornalista al quotidiano L’Italia. Nel 1956 è al neonato Giorno, dove si occupa di cronaca nera. Dopo solo un anno passa dalla cronaca alla politica internazionale. E’ testimone della  rivoluzione algerina. Negli anni sessanta è presente a Cuba e racconta la Guerra dei Sei Giorni in Medio Oriente.
DILETTANTE E PROFESSIONISTA
Nel 1971 si trasferisce al Corriere della Sera, scrive dal Vietnam, dall’India, dalla Cina, dalla Cambogia. Nel 1975 rientra in Europa, come corrispondente da Parigi. Nel 1979 racconta la rivoluzione khomeinista in Iran.
Lascia il Corriere per Scalfari. Con base a Parigi continua a seguire tutti i più grandi eventi di politica e di cronaca nel mondo.
Nell’intervista al suo giornale per i 90 anni, ha detto: “Se dovessi fare una diagnosi sbrigativa, il mio lavoro è stato un miscuglio di dilettantismo e professionismo. I due aspetti si sono sempre incrociati. Raramente ho fatto dei servizi giornalistici senza conoscere le radici storiche profonde del Paese che raccontavo, ma allo stesso tempo mi sentivo libero dal peso della conoscenza. Così una certa disinvoltura che puoi anche chiamare sfacciataggine o leggerezza si è sempre sposata con un impegno professionale quasi arcigno”.
2. BERNARDO VALLI - “NIENTE LETTERATURA, NIENTE STORIA SONO E RESTO UN GIORNALISTA INQUIETO”
Antonio Gnoli per ''la Repubblica'' - 1 marzo 2015
Dopo una conversazione durata quasi tre ore e che ci inoltra nel pieno di una sera parigina, Bernardo Valli mi invita in un ristorante non lontano da casa. Vive nel nono arrondissement. «Un tempo fu il regno dei letterati e degli artisti. La chiamavano la Nouvelle Athènes. Ci stavano stabilmente Baudelaire e Zola; ci venivano George Sand e Turgenev. Non distante c’è il liceo Condorcet dove Proust studiava. Qui offrì a una compagna un mazzolino di fiori prima di scoprire la sua omosessualità ». Valli ha buone letture. E straordinari ricordi. Non mi sorprende. I suoi articoli (una parte è uscita qualche mese fa da Mondadori) aprono a mondi narrativi costruiti con la precisione del grande meccanico. Usciamo dal ristorante che è quasi mezzanotte. Fa freddo. Un tratto di strada a piedi. Poi improvvisamente Pigalle: uno schiaffo di luci rosse. «In quarant’anni che vivo a Parigi non sono mai stato al Moulin Rouge», confessa. Penso che l’ombelico del turismo famelico non gli interessi. Non gli susciti alcuna emozione. Che “animale” ho di fronte? Sfuggente, certo. Ma anche abile nella caccia. Mansueto e duro. Capace di coprire grandi distanze ma anche di starsene tranquillo nella tana.
Non hai mai pensato di tornare in Italia?
«A volte. Alla fine la pigrizia ha avuto la meglio».
Non sembri un uomo pigro.
«La pigrizia scherma le mie esigenze. I miei rituali. Il mio lavoro che organizzo. Le mie partenze, a volte repentine. Sono appena tornato da Vilnius. Un tempo era la Gerusalemme d’Europa. Ne hanno ammazzati tanti di ebrei, allora. Circa duecentomila. Sai chi era di Vilnius?».
Un sacco di gente è di Vilnius.
«No, no. Guarda pensavo a uno scrittore. Romain Gary. L’ho conosciuto bene. Siamo stati anche amici. Come ebreo lituano era sentimentale e dotato di grande fantasia. Pensavo a lui quando ero a Vilnius. Il fantasma che mi accompagnava».
È morto suicida.
«Si tirò un colpo di pistola alla testa. Era il 1980».
L’anno prima si era suicidata la sua ex moglie Jean Seberg.
«Ho conosciuto bene anche lei. Ma non mi va di parlarne. È raro che ci si uccida per mancanza di talento. Per eccesso, forse sì».
Come Tommaso Besozzi, l’inviato speciale e grande cronista de L’Europeo.
«Tu scavi nel passato. Morì nel 1964. Gli ero stato amico. Vedevo in lui crescere l’angoscia. Farsi smisurata. Si lasciò esplodere con una bomba».
Tu hai scritto che a un certo punto della vita non riuscì più ad adeguare le parole ai fatti.
«È così. Le esigenze dello scrittore presero il sopravvento sulla realtà. Poteva rimanere per ore davanti al foglio bianco senza scrivere una parola».
A te è mai accaduto?
«Raramente, non sono un letterato».
Lo ritieni quasi un insulto.
«È il destino, nel bene e nel male, del giornalismo italiano ».
Il bello scrivere?
«Scrittura impressionista che più che guardare all’Inghilterra, come credeva Albertini, si ispirava alla Francia. Giornalismo pamphlettario. Molta denuncia e pochi dati».
Qual è la tua idea di giornalismo?
«È prima di tutto un servizio. Una cosa pratica. Informa: dagli orari delle farmacie a quello che accade in una guerra. È un lavoro artigianale. Non letterario».
È come se tu volessi allontanare una tentazione.
«Non ho mai avuto queste tentazioni. Certo, oggi è diverso. Un tempo, quando ero in Africa o in Asia, un articolo lo dettavo al telefono, se lo trovavo; o lo trasmettevo per telex. Capitava che arrivassi in un posto alle sei del pomeriggio e alle dieci di sera dettassi il pezzo. Cosa mi spingeva a fare tutto questo? La curiosità, prima di tutto. E poi, l’incoscienza. Che è una risposta all’ignoranza ».
Sembra tutto molto eccitante.
«È un’immagine sbagliata. Ho vissuto in un’epoca in cui i tempi erano maledettamente lunghi. Estenuanti. Viaggiavo spesso in solitudine. La sola cosa che alla fine facevo era leggere».
Che tipo di lettore sei?
«Calvino diceva che ci sono letture intellettuali, colte; e letture che puntano al godimento immediato. Sono un lettore che legge per piacere. Anche se a volte non mi sono tirato indietro davanti a costruzioni impegnative. In Medioriente tentai di leggere l’ Ulisse di Joyce. In Thailandia lessi tutto L’uomo senza qualità di Musil ».
Cosa ti spingeva a leggere Musil in quel mondo così remoto?
«Pensavo che il regno di Kakania non fosse poi così diverso da quello thailandese. Leggere è un modo per staccare. Riprendere fiato. Durante l’assedio di Phnom Penh, in una biblioteca abbandonata, ho riletto buona parte di Dumas. Era un modo per liberare la testa».
Forse anche di riempirla con qualcosa che sarebbe riecheggiata nei tuoi articoli.
«Qualcosa resta. Il ritmo. Certe parole. Ma, al tempo stesso, so che non c’entro niente con Stevenson o Conrad o, magari, Graham Greene. Ho sempre letto. Fin da giovane. Sono stato un cattivo studente. Ma spesso leggevo i libri che al liceo Attilio Bertolucci consigliava a mio fratello maggiore».
Hai una classifica di buoni libri?
«Ho letto spesso in maniera disordinata. Negli anni in cui ho abitato a Singapore lessi tutto Balzac e Zola. E a proposito di francesi, a Saigon feci leggere a Terzani – che amava soprattutto i libri di storia e di viaggio – Un cuore semplice di Flaubert. Venne da me con le lacrime agli occhi. Non prenderlo come un vezzo. Le letture più belle sono state per me quelle più occasionali».
Di Terzani sei stato molto amico.
«Oggi ne hanno fatto una specie di guru. È un’immagine che mi infastidisce. Quello che ho conosciuto e del quale sono stato amico era una persona dolcissima che non aveva nulla del santone. Alla fine evitavamo di parlare di ciò che ci divideva».
Cosa esattamente?
«Io restavo un cronista. Lui inseguiva le idee. Una delle ultime volte che ci vedemmo fu a Kabul nel 2001. Ebbi netta la sensazione di un uomo incalzato dalla morte e alla ricerca della verità. Sembrava spoglio, come un albero d’inverno. Dormiva a terra. Quando partii gli lasciai il mio sacco a pelo».
Della verità che idea ti sei fatto?
«Ho dato come titolo alla raccolta dei miei articoli: La verità del momento . Per un cronista non c’è altro».
È duro da accettare.
«Sì, lo è. Ho passato buona parte della vita a correggere quello che ho scritto. Le situazioni cambiano. Il mondo cambia. Ne ho dovuto prendere atto».
La “verità del momento” è una forma di ateismo.Non trovi?
«Dio c’entra poco con le verità relative».
Che ricordo hai della Fallaci che certo non si nutriva di verità relative?
«È stata un gran personaggio. Era uno spettacolo vederla nella stanza di un albergo lottare con la macchia scrivere. Intensità. Passione. A volte passava ore davanti al foglio. Cercava i fatti. Ma poi i fatti sotto il suo sguardo diventavano un’altra cosa. Per quello che ricordo, Oriana non ha mai usato il condizionale».
E tu?
"E' una pratica salutare per un cronista"
Oltre che cronista sei un viaggiatore
«Mai per il solo gusto di viaggiare. Sono stato complessivamente sette anni in Asia; diversi altri in Africa e poi l’America, l’Europa. Che dire? Sono il risultato di una carta geografica».
Cosa ti è restato?
«Tutto. Ti confesso che ho amato particolarmente l’Asia. L’ho vista distruggersi, modificarsi, cambiare volto. Macao è sparita ed è diventata una Las Vegas. La Cina che vidi la prima volta che vi entrai nel 1970 non c’è più. Il Giappone che mi affascinava per la fierezza ha vissuto il dramma di un legame sempre più incerto con la tradizione. L’India ha cambiato radicalmente i propri connotati. E nonostante ciò l’Asia continua ad affascinarmi. È difficile da capire».
Perché? Dopotutto lì c’è un pezzo della tua vita.
«La mia vita è quella di un provinciale. Un tempo la provincia era importante. Sarà per stupido sentimentalismo, mi è restata attaccata come una seconda pelle ».
Sei nato a Parma.
«Da una famiglia borghese. Mio padre era medico. Non volevo avere niente a che fare con quelle radici borghesi ».
La chiameresti inquietudine?
«Non lo so. Andai via di casa molto giovane. Ma non perché ce l’avessi con la famiglia. Eppure sono scappato. E, forse, ancora continuo a scappare».
Si può dire che la prima fuga sia stata quella più importante?
«A cosa ti riferisci?».
Ai tuoi anni giovanili trascorsi nella Legione Straniera.
«Quella fu una fase che non ha aggiunto niente alla mia vita successiva».
Non hai mai voluto parlare di quel periodo. E non credo che tu lo faccia per qualche forma di vergogna o di pudore. Né di snobismo. Del resto molta gente importante è finita lì.
«Vuoi che non lo sappia? Anche Ernst Jünger e Curzio Malaparte. Ma cosa significa?».
Ci si andava per i più diversi motivi.
«Allora ti dico che ero un ragazzo quando scelsi la Legione. Forse perché avevo la testa piena di certe letture. Forse perché cercavo un punto estremo dove posarmi. Ci sono rimasto cinque anni. Ho disertato. Fui ripreso. Ho fatto anche una certa carriera. Ma è stata una parentesi, capisci? Non ha avuto nessun riflesso sugli eventi successivi».
Permettimi di dubitare.
«In effetti qualcosa ha lasciato. Mi ha insegnato a marciare. Ancora oggi, malgrado l’età, ho gambe forti. Mi ha dato il senso della disciplina. E un’altra cosa. L’ultima: mi ha lasciato come un senso di indignazione. Un bisogno di andare dalla parte opposta. In fondo, se sono diventato terzomondista, contrario al colonialismo, è stata una reazione a quella scelta che feci da giovane».
Quell’esperienza fu anch’essa una “verità del momento”. Ma vorrei domandarti qualcosa in merito alla caduta di Dien Bien Phu. Cioè di come i francesi persero l’Indocina. In un lungo articolo tu racconti quella battaglia e l’assedio che durò circa due mesi.I francesi avevano schierato in prima linea la Legione Straniera. Tu dove eri esattamente?
«Non c’ero».
Mi risulta il contrario.
«Perché dovrei mentirti?».
Sei come il pescatore di perle che ingoia o nasconde la perla più grossa.
«Non sono stato in quella battaglia. L’ho raccontata, è vero. Ma perché conoscevo gli ufficiali. Conoscevo quel mondo. Il luogo, la porta per il Laos. Dopo che Dien Bien Phu cadde nelle mani del comandante Giap ci fu a Sidi Bel Abbes, la cittadella dei legionari, una grande cerimonia alla quale assistetti».
Cosa vedesti?
«Vidi una grande parata in omaggio all’eroismo o meglio al coraggio con cui avevano combattuto a Dien Bien Phu. La Legione aveva resistito. Era tutta schierata davanti al Maresciallo di Francia Juin. Vidi un mondo che stava finendo, almeno per come lo avevo immaginato. Vidi i mutilati schierati in bella vista. Segno delle ferite e del sacrificio. Del prezzo che era stato pagato. Percepii il gusto per il macabro che la Legione Straniera aveva spesso esibito. E alla fine pensai che lì, in quel piccolo mondo, dove un ladro di polli poteva trasformarsi in soldato vero, si fabbricava qualche eroe e molti mitomani. Quell’anno, era il 1954, lasciai la Legione».
Sei stato definito (da Franco Contorbia che ha curato, scelto e raccolto i tuoi scritti) un “avventuriero disciplinato”. Ti riconosci?
«Come ossimoro non mi dispiace. Mi fa pensare, visto che ne abbiamo parlato, alla Legione Straniera come a un collegio di correzione. Anche se oggi è un’altra cosa».
Correzione, educazione, disciplina. Cosa ti affascina? Non sembri così succube di queste pratiche.
«Non lo sono, è vero. Mi piace pensare l’umanità divisa tra chi ha una mentalità militare e chi non ce l’ha. La prima è fatta di cose semplici: la mattina rifarsi la branda, marciare, obbedire a certe regole. Ecco, il lavoro del giornalista contempla anche questo che può sembrare il lato meno creativo».
È l’altra faccia della luna.
«I miei occhi hanno visto molto. Sono stato testimone della rivoluzione algerina nel 1958. Ho raccontato il Vietnam, Cuba, la Guerra dei sei Giorni e la rivoluzione khomeinista. Sono stato ovunque: dal Congo al Sudafrica. Ho visto facce che sembravano eroi trasformarsi in spietati dittatori. Ho vissuto pericoli e rischiato la vita, come quando nella città di Takeo fui circondato dai khmer rossi. E ogni volta era come la prima volta. Come ricominciare da capo. Perché la cronaca è un lampo. Uno squarcio che si richiude. E tu sei lì, insignificante, a chiederti se stai facendo la storia. Ma la storia è un’altra cosa».
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Buon compleanno Musil Cedegolo, due giorni di festa
Buon compleanno Musil Cedegolo, due giorni di festa
(red.) Il Museo dell’Energia Idroelettrica di Cedegolo compie i suoi primi dieci anni di attività. Il 15 settembre 2018, presso il museo camuno, ci sarà una grande festa per celebrare il decennale della sede, inaugurata nel 2008.
PROGRAMMA: VENERDÌ 14 SETTEMBRE – ore 20.30:
Preludio dei festeggiamenti sarà l’omaggio al Maestro Ermanno Olmi, che ebbe con la Fondazione musil, e in particolare…
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redazionecultura · 5 years
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L'impresa che verrà. Intelligente, collettiva, connettiva
L’impresa che verrà. Intelligente, collettiva, connettiva
Fondazione Musil ospita, mercoledì 29 maggio 2019, la presentazione del libro di Daniela Bandera “L’impresa coevolutiva“. Sarà l’occasione per riflettere su come sta cambiando il mondo dell’industria per vincere le sfide economiche, sociali, tecnologiche e ambientali del XXI secolo.
Come affrontare i continui cambiamenti che destabilizzano l’organizzazione e perseguire obiettivi sempre più…
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culturame · 7 years
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La mostra "Buongiorno Italia" dal 21 Aprile al 18 giugno 2017 al Musil di Rodengo Saiano (BS)
La mostra “Buongiorno Italia” dal 21 Aprile al 18 giugno 2017 al Musil di Rodengo Saiano (BS)
Il musil – museo dell’industria e del lavoro di Rodengo Saiano attinge al fondo della Gamma Film per riportare alla luce due importanti progetti di film d’animazione degli anni Sessanta, Buongiorno Italia e La lunga calza verde, basati sulla sceneggiatura di Cesare Zavattini e la direzione di Roberto Gavioli, per offrire al visitatore una mostra esclusiva e di grande valore storico-culturale. Una…
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culturame · 7 years
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I martedì al museo. Le ragioni della conservazione tra tecnica ed emozioni
I martedì al museo. Le ragioni della conservazione tra tecnica ed emozioni
Nell’ambito del Progetto “Un giacimento culturale a cielo aperto: il quartiere di San Bartolomeo”, finanziato da Fondazione Cariplo, Fondazione Musil organizza 4 incontri aperti al pubblico su temi connessi con la realtà del quartiere e del Museo del ferro. Ogni terzo martedì del mese, dalle 17:30 alle 19:15 si parlerà della storia delle rogge, del restauro dell’edificio che ospita il museo, di…
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maddalenafragnito · 2 years
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Più tempo per vivere
Progetto vincitore della call: I DO NOT HAVE A DREAM JOB, I DON’T DREAM OF LABOUR “Non ho un lavoro da sogno, non sogno il lavoro”. Una collaborazione tra Base, Archivio ISEC e Matrice Lavoro
Dopo un anno di cambiamenti epocali nel mercato del lavoro, stiamo mettendo in discussione le idee sul lavoro di cui siamo stati nutriti per tutta la vita, a partire dal “lavoro dei sogni”, dalla cultura del carrierismo e dall’idea del lavoro nobilitante. La quantità di tempo che passiamo a lavorare diventa una questione politica, culturale ed economica. La pandemia ha impattato sul paradigma neoliberista e postfordista aprendo nuovi fronti di critica al mondo del lavoro contemporaneo. La frase “Non ho un lavoro da sogno, non sogno il lavoro” diventa un trampolino di lancio, a partire dalle lotte operaie del novecento di cui abbiamo testimonianza all’interno dell’archivio ISEC, per immaginare un mondo senza lavoro o un lavoro a misura di mondo, in cui le crisi interconnesse del capitalismo contemporaneo – lavoro, cura e ambiente, rapporto con le tecnologie e giustizia sociale – siano fondamenta per un nuovo pensiero sul modello sociale in cui viviamo.
Questa call per artistə è parte di Playground, il programma di residenze artistiche di BASE, in collaborazione con Fondazione ISEC. La call si inserisce all’interno di Matrice Lavoro, la rete per raccontare cultura e trasformazioni del lavoro costituita da musil – Museo dell’industria e del Lavoro, Coclea, Comune di Cedegolo, BASE Milano e Fondazione ISEC. Matrice Lavoro è un progetto finanziato dai PIC-Piani Integrati della Cultura di Regione Lombardia.
Attraverso Matrice Lavoro i partner hanno voluto attivare una progettazione di rete sulla narrazione e rappresentazione del patrimonio industriale e del lavoro contemporaneo, per la creazione di una “fabbrica culturale diffusa” che avrà le proprie materie prime nella trasformazione dei luoghi e nelle evoluzioni del lavoro. In particolare, la residenza è realizzata in collaborazione con Fondazione ISEC – Istituto per la storia dell’età contemporanea, Onlus nata a Sesto San Giovanni nel 1973 con lo scopo di raccogliere, conservare e valorizzare fonti documentarie e bibliografiche per la storia dell’Italia contemporanea.
LA CALL PER ARTISTə
Tra settembre e ottobre 2021 è stata lanciata la call, invitando lə artistə a presentare un progetto artistica in qualunque forma – performance, pratiche coreografiche e relazionali, progetti workshop-based, scultura, sound and new media art – di nuova realizzazione o come sviluppo di lavori precedenti, avente ad oggetto opere e/o progetti legati all’esplorazione dei materiali d’archivio.
All’artist* viene messo a disposizione il patrimonio a partire dalle parole chiave del progetto Matrice Lavoro: diritti, sicurezza sul lavoro, precarizzazione e tutela, lavoratrici e lavoratori. I materiali disponibili includono: manifesti, fotografie, cartelli antifortunistica, giornali di fabbrica, houseorgan, interviste.
PROGETTI SELEZIONATI PER LA CALL PER ARTISTə
Tra le 130 proposte ricevute, sono stati selezionati i progetti delle artiste Maddalena Fragnito “Più tempo per vivere” e di Francesca Marconi “Manifesto al presente”, con una menzione speciale under30 ad Anouk Laure Chambaz. La giuria – composta da Leonardo Caffo, Paola Fortuna, Adama Sanneh, Linda Di Pietro e Sara Zanisi – ha decretato i risultati all’unanimità, particolarmente colpiti dalla sensibilità nell’affrontare le tematiche, dall’originalità e multidisciplinarietà, dall’attenzione alla dimensione relazionale e dall’approccio innovativo ai materiali d’archivio.
Maddalena Fragnito e Francesca Marconi hanno aperto a gennaio la fase di ricerca all’interno dell’archivio di Fondazione ISEC, un patrimonio che comprende 350 fondi archivistici, 100.000 volumi, 4.000 periodici, 170.000 fotografie, 100.000 disegni tecnici; 2.000 bozzetti pubblicitari, 1.500 manifesti politici, 450 pellicole cinematografiche e video, 800 ore di interviste registrate su supporto audio o video. La ricerca delle artiste mira a mettere in dialogo storie e rivendicazioni del secondo Dopoguerra che emergono dai materiali d’archivio, con le voci e i temi del lavoro contemporaneo di chi si muove su un terreno di incertezza e di mancanza di tutela.
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Fondazione musil ricorda il regista Ermanno Olmi Fondazione musil ricorda il regista Ermanno Olmi, a poche ore dalla sua scomparsa, attento osservatore del mondo del lavoro e della cultura contadina.
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redazionecultura · 6 years
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Summer Camp MUSIL tra Cinema, Arte e Natura
Summer Camp MUSIL tra Cinema, Arte e Natura
Si avvicina la fine dell’anno scolastico, ma l’attività didattica della Fondazione Musil prosegue anche durante il mese di giugno. Il Musil organizza due tipi di laboratori per permettere ai piccoli, di età compresa tra i 6 e gli 11 anni, di apprendere facilmente, e con creatività, nuove competenze specifiche, accrescendo il proprio bagaglio di esperienze, anche attraverso il lavoro di gruppo e la…
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