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#SONO IN RIUNIONE E NESSUNO MI AVVERTE?
jaja-dingdong · 11 months
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IN CHE SENSO ABBIAMO PERSO CON L'U21
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weirdesplinder · 3 years
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Romance controversi
Mi è stato chiesto se ho mai letto dei romance controversi e la risposta è sì. Naturalmente, se ci pensate, tutto può essere controverso agli occhi di qualcuno, perciò concordare su cosa si intenda per controverso, sarebbe già complicato, mi limiterò a parlarvi di tre romanzi che hanno fatto discutere alla loro uscita e anche dopo. Se ne è parlato insomma, sia nel bene che nel male.
Iniziamo con:
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- Simple Jess, di Pamela Morsi
Inedito in italiano
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Trama: America fine 1800. La protagonista è una giovane vedova che vive in un piccolo paesino di frontiera. Vista la scarsità di donne i compaesani praticamente le danno un ultimatum o si sceglie al più presto un nuovo marito oppure è glielo sceglieranno loro. Anche perchè da sola non è in gado di badare al suo potere e rischia quasi di morire di fame.  I candidati ufficaili che iniziano a corteggiarla sono due, ma in realtà un terzo pretendente che nessuno considera entra in gara….
Perchè è controverso?  Perchè il protagonista maschile Jess ha un handicap mentale. Quando Jess è nato il parto non è andato come doveva e una lesione dovuta probabilmente al forcipe o una prolungata mancanza d’ossigeno hanno leso il suo cervello. Ora benchè sia un uomo sano fisicamente e adulto, la sua mente è ancora quella di un ragazzo molto più giovane. Non mi dilungo ma nel libro è evidente che ha difficolta nel capire molte cose…insomma stiamo parlando di un deficit mentale molto grave, ed è difficile considerare veramente adulto Jess poichè la sua mente non lo è. Peciò il vederlo interagire con la protagonista che invece è adulta e normale può far sembrare che lei in un certo senso si approfitti di lui. Anche in senso sessuale. Almeno io ho provato questo nel leggerlo e questo mi ha dato profondamente fastidio, nonostante il tono del libro sia leggero e non si concentri in modo drammatico sul tema disabilità, anzi l’autrice ci mostra tutto ciò che Jess è in grado di fare, che è più di quello di cui gli altri lo ritengono in grado. E nella realtà sappiamo benissimo che anche le persone con handicap cognitivi hanno diritto all’amore e ha una vita sessuale, ma diciamocelo, non lo si legge di solito in un romance e questo creò scalpore all’epoca della pubblicazione del libro cioè nel 1996. E ancora oggi è un romanzo che o si odia o si ama senza mezze misure.
- Gli amanti dello scandalo (Scandalous lovers), di Robin Schone
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Trama: Londra. Primi del 1900. James ha quarantasette anni, è un avvocato difensore, e la morte di sua moglie gli ha fatto capire non averla mai conosciuta, di non avere mai cercato di conoscerla. Lui fa parte con altri uomini e donne di un club, Il  Club degli uomini e delle donne che era nato per discutere delle differenze fra i sessi, ma che in realtà non ha mai affronìtato argomenti reali. Gli stessi membri si conoscono appena fra di loro. Ma l'entrata di una sconosciuta durante una riunione del Club, cambierà tutto La sconosciuta è Frances, ha quarantanove anni, è vedova ed è nonna di ben dodici nipoti. Dalla campagna è venuta in città per una breve vacanza. Non sa che la sua sincerità nel rispondere alle domande di James cambierà le dodici vite dei membri del club e soprattutto cambierà per sempre la sua vita. Perchè è controverso?   Prima di tutto trascende dalle solite trame e dai soliti protagonisti dei romance, non abbiamo il solito libertino, o il solito eroe ferito e cupo, o la vergine inesperta o la donna in cerca di marito da povera in canna, abbiamo due esseri umani, ormai al di là della giovinezza da un bel pò. con già una vita alle spalle, ma ancora anni da vivere davanti a loro. Chi ha detto che la vita finisce con la gioventù, o che una donna ormai nonna non ha il diritto di provare la passione? Perchè gli esseri umani si lasciano soffocare da regole e dettami di una società egoista e perbenista invece di cercare la felicità con ogni mezzo? Questo libro è una storia d'amore, ma è soprattutto un'indagine dei bisogni umani E qual è il più grande bisogno umano se non la libertà? E’ un libro a tratti commovente, a tratti scandaloso; pieno di fragilità, ma anche di forza e coraggio. Indimenticabile. Le scene di sesso sono esplicite, grafiche forti, e a tratti la passione scavalca del tutto il sentimento, ma a mio avviso mai volgari, e servono all'interno della trama per la crescita psicologica dei personaggi, per liberarli, per incoraggiarli ad affrontare ciò che gli impedisce di vivere pienamente. La sensualità è molto alta siete avvertiti, le scene sono molto crude, ma al tempo stesso il libro riesce a stupire per l'approfondimento psicologico dei protagonisti, non giovani, non bellissimi, ma talmente umani da sembrare reali. E’ una storia che, benchè ambientata in epoca vittoriana, epoca famosa per le sue restrizioni, potrebbe essere validissima ancora oggi, poichè i tabù esistono tutt'ora. E se vostra nonna si innamorasse e vivesse nel peccato con un uomo? E se vostro padre, vedovo da poco avesse una storia con una donna, nonna di dodici nipoti? Nel libro uno dei figli di Fran arriva a farle causa pur di frenarla, nella sua scoperta di libertà. E ciò potrebbe benissimo succedere ancora oggi. Io l'ho trovato un libro veramente significativo e vi consiglio di leggerlo. Per chi crede che gli harmony e i romanzi che si comprano in edicola non siano letteratura degna o di primo grado, ma solo letteratura straccia, vi sfido a leggere questo libro, vi farà cambiare idea come niente altro potrebbe fare.
- Profumo di mimosa (A scent of mimosa) di Jade Shannon (alias Jane Tanner)
Trama: Dopo l'assassinio del suo adorato padre, la bella Erin dai capelli corvini si trova sola a difendere se stessa e i suoi giovani fratelli nella pericolosa terra d'Australia. Per poter sopravvivere la ragazza è costretta a sacrificare la propria virtù. Ma giura che il suo spirito non apparterrà mai a nessuno… tanto meno a Brett Wilde, il famoso avventuriero la cui natura appassionata ha trovato in lei un'allarmante corresponsione
Perchè è controverso?  Qui più questo libro in particolare, la controversia riguarda un certo tipo di romance, editi soprattutto negli anni ottanta, ma ancora oggi ogni tanto ne esce qulacuno, che mostrano più o meno esplicitamente uno stupro fra le loro pagine. Spesso nei romance una violenza viene cita nel passato della protagonista o del protagonista, ma raramente oggi viene mostrata, una volta accadeva più spesso. Profumo di mimosa è un esempio di questo tipo di romanzo, infatti la scena coercitiva avviene proprio all’inizio del libro e viene mostrata. E’ sbagliato questo? Secondo alcuni sì, secondo altri no, è questione di gusti e opinioni. Secondo me è giusto capire il contesto. Stiamo parlando di romanzi romance, ma pur sempre di romanzi  storici. E se racconto un’epoca devo raccontarne sia il bello che il brutto se voglio essere realistica. Perchè una tale scena all’interno dei Pilastri della terra  di Ken Follet o in libro di Wilbur Smith è accettabile, ma in un romance no? Questo non lo accetto siceramente. I libri dovrebbero essere tutti messi sullo stesso piano e giudicati allo stesso modo. Poi è naturale che ognuno abbia i suoi gusti e se non apprezza queste scene eviterà certi romance, certi libri di Wilbur Smith e certi libri di Ken Follett. Ma non si deve ritenere in diritto di condannare un intyero genere per questo.
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aniadarkred86 · 5 years
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Tornare a casa
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Fa freddo. Di quello che ti entra nelle ossa. Continua a camminare, gli piace, nonostante il clima e i brividi che lo scuotono fino alla punta dei piedi. Si stringe nel cappotto, tirando su il bavero almeno per provare a fermare quel vento gelido dietro la nuca. Manca ancora poco e poi sarà a casa, ad attenderlo un piacevole tepore e il sorriso di chi ha smesso finalmente di nascondersi. Labbra tutte per sé e per nessun altro. Labbra che ha salvato quando la neve era solo un ricordo, strappandolo da dita viola che si facevano via via più nere. Pochi passi ancora e dietro la curva lo attende casa, lo attende lui. È ancora presto per tornare fuori, lo sa, anche se ha provato a piccoli tratti, ogni giorno uno di più, ma il corpo è ancora debole e l’anima ancora a brandelli, come quei puzzle che tieni da così tanto tempo da esserti perso più di un pezzo, e puoi metterci tutta la volontà di cui disponi, ma rimarranno per sempre dei buchi, macchie nere sul tavolo che nessuno mai sarà in grado di chiudere. Lui è un po’ così, il suo grosso puzzle che con pazienza ha cercato di ricostruire, nel fisico e poi più dentro, ed ora lo aspetta a casa. È sicuro di trovarlo davanti al camino a leggere l’ennesimo libro – gli ha promesso di portargli alcuni volumi nascosti nella parte più profonda e vecchia del Ministero, alcuni tomi pesanti più del suo stesso corpo che, a detta sua, gli sono utili per una ricerca che gli frulla per la testa da parecchio come il più agitato dei Boccini –, probabilmente con una tazza di caffè in mano, nero e amaro come solo lui sa essere. La porta è a pochi passi, oltrepassa il piccolo cancello e si ferma per un attimo a guardarsi intorno, il giardino curato – dalle sue mani, ovvio, lui non sarebbe in grado neppure di badare alla più semplice delle piante – e il patio in ordine. La luce filtra dalle finestre e più in alto vede il comignolo fumare come il più incallito dei tabagisti. Sorride, per un attimo pensa al mago che è un po’ il suo segretario, quello che appena può corre da qualche parte ad accendersi una sigaretta, Nathan qualcosa, si dimentica sempre il suo cognome, forse perché all’uomo con cui divide la casa e la vita non è mai piaciuto. Non lo sa il motivo, si sono incontrati appena un paio di volte quando è venuto a portargli a casa alcuni documenti che doveva visionare con urgenza. Uno Stupido Vizio Babbano, lo chiama sempre, anche quando alla televisione vedono qualche programma, lui grugnisce e sputa quell’insulto, e il suo orgoglio tutto Grifondoro lo porta a voltarsi verso di lui, e a ricordargli tutto ciò che i maghi hanno compiuto di malvagio pur potendo far del bene con un solo colpo di bacchetta. Lui risponde sempre con un’alzata di spalle e torna poi al televisore. È sempre così tra di loro, quello strano rapporto costruito sui silenzi e piccoli gesti, emozioni da scoprire dietro agli sguardi, in quegli occhi che per anni si sono soltanto odiati, respinti e nulla più; e continuano ad essere silenzio e piccoli movimenti, strane crepe che non riescono a colmarsi. La maniglia è fredda, la temperatura è scesa così tanto in quelle ore che gli sembra di toccare un pezzo di ghiaccio, un piccolo iceberg tra le dita che gli squassa la pelle e la carne fin dentro all’animo stesso. Si è di nuovo dimenticato i guanti a casa, lo sa e sa che lo sgriderà di nuovo per la sua sbadataggine e per quanto poco si curi di se stesso, ma non lo fa apposta, anche se, inconsciamente, adora quella sua preoccupazione negli occhi, in quei frutti neri che scintillano quando corre arrabbiato verso di lui e gli afferra le mani per scaldargliele. Un gesto che ama, che sa di vita e di tenerezza. Basterebbe un incantesimo, ma non avrebbe lo stesso calore, la stessa dolcezza di dita che s’incastrano in altre dita. Stringe entrambe le mani alla maniglia gelida per renderle ancora più fredde e sorride sfacciatamente per quello stratagemma: quella sera lo cingerà ancora più a lungo e non potrà che esserne felice, tanto da fargli accelerare il cuore. «Sono tornato!» La porta si apre e il caldo lo colpisce in faccia come uno schiaffo, un colpo piacevole. Lo sente lamentarsi, ma sa che in fondo è contento di averlo tra i piedi, come dice lui, anche se è un po’ il contrario visto che la casa è la sua, ma quella correzione se la tiene per sé perché ama averlo tra i piedi. Tra le mani e tra il gelo dei suoi dolori. Avverte i suoi passi farsi più vicini, conta i secondi che lo separano da lui, come sempre quando entra a casa, il tempo che impiega a percorrere quel misero spazio che li divide, quel vuoto tra i loro corpi che vorrebbe non ci fosse mai. «Ti sei di nuovo dimenticato i guanti» alza un sopracciglio mentre lo fissa, spazientito e irritato, nemmeno fosse ancora un ragazzino nella sua aula, ma la risposta che da è solo un’alzata di spalle, come quella che spesso fa l’uomo che gli è davanti con quell’espressione che ama e che vorrebbe vedere ogni giorno, uno dopo l’altro fino alla fine della propria esistenza. «Non cambierai mai, vero?» «Perché dovrei cambiare?» «Perché io ad un certo punto non ci sarò più.» Sempre la stessa storia, le stesse parole che a lui non va di sentire, che non vuole ascoltare neppure per un tempo infinitesimale. Stanno bene insieme, lì, nella loro casa, perché devono lasciarsi? Perché buttare tutto all’aria per delle parole? Parole, vocaboli, sillabe, era tutto lì, il problema stava sempre nelle consonanti, i guai nelle vocali, erano loro a creare nient’altro che casini, perché dargli tutto quel potere? Silenzio e mani gelide da riscaldare, non poteva bastare quello? Non poteva essere sufficiente loro due e nessun altro? «So che non vuoi sentirle queste parole, non sei mai stato uno che ascolta, ma prima o poi dovrai conviverci con queste frasi, e sarà meglio per te che lo faccia prima di essere troppo tardi.» «Perché vuoi lasciarmi? Non stai bene con me?» «Lo sai che non è per questo.» «E allora cosa?» «Perché devo.» Se ne torna in cucina, lasciandolo solo, e per un attimo tutto il gelo che ha lasciato fuori dalla porta, lo colpisce in pieno, avvolgendolo come un abbraccio, come un amante frettoloso che pensa a null’altro che al proprio piacere. E quel gelo, nemmeno le fiamme calde e alte del camino potrebbero sconfiggerlo. La riunione col Primo Ministro Babbano lo aveva stancato più di quanto si sarebbe immaginato. Era un ometto fastidioso e arrogante con due occhietti che si vedevano a malapena, guizzanti in modo febbrile da una parte all’altra come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro, cosa, Harry non lo aveva mai compreso. Essere il Ministro della Magia si era rivelata un’immane seccatura, pile di scartoffie e nulla più, mentre lui voleva andare da una parte all’altra del mondo con la bacchetta in mano, sentire l’azione scorrergli nelle vene e quel senso di appagamento che si ha soltanto quando si compie qualcosa di buono. E voleva andarci con Severus. Sbuffò piuttosto sonoramente, senza provare a nascondere tutto il disagio che stava provando in quel momento. «Ti sto annoiando?» «No, scusa, sono solo stanco, è da questa mattina presto che tengo un incontro dopo l’altro,» mentì, si stava annoiando sul serio, ma non poteva confessarlo alla sua amica perché di sicuro lo avrebbe affatturato nonostante la carica che aveva, anzi, a maggior ragione, rifletté, soprattutto considerando da quanti anni la salvaguardia degli elfi domestici le stava a cuore. Hermione poggiò le pergamene sulla poltrona vuota accanto a lei, avvicinò un po’ la sua per guardarlo e parlargli meglio: «Quant’è che non dormi?» la sua voce tradiva un filo di preoccupazione. Aveva messo da parte per un attimo l’avvocato per essere di nuovo la sua amica di sempre, la compagna di tante avventure. La persona che più di tutti conosceva i suoi dolori e le sue paure. «Un po’, ma sono sempre così sommerso dal lavoro, non c’è un minuto che passa in cui non ricevo gufi, lettere, promemoria, reclami, denunce, avvistamenti, e Godric solo sa quanto vorrei stare in mezzo a qualche foresta a dare la caccia a qualche mago oscuro scampato alla guerra, ai criminali. E invece sono chiuso qui ad ammuffire, sento persino le ossa coprirsi di muffa giorno dopo giorno.» «Prenditi una pausa o esploderai.» Ma lui stava già esplodendo, e voleva soltanto andarsene a casa e stare tutto il giorno e tutta la notte con Severus a tenergli le mani, stringerle nelle sue, a scaldarlo e basta,fare l’amore senza mai stancarsi – come poteva dimenticare l’odore del suo corpo, di quella lieve traccia di sudore che lo copriva dopo l'amplesso, era un promemoria che si portava dietro per riscaldarsi, quando l’umore precipitava a livelli critici –, mentre altrove non faceva altro che sentirsi tutto l’inverno addosso, persino quand’era estate. «E poi perché in questo dannato ufficio si gela?» aggiunse veloce, guardandosi intorno, come se si fosse accorta soltanto in quel momento che non c’era nulla a riscaldare l’ambiente, il camino tristemente – per lei, per l’espressione che aveva in volto – spento mentre fuori la neve continuava a cadere e a formare mulinelli. Estrasse la bacchetta dal mantello che non si era neppure tolta e la puntò verso la pietra vuota che tempo prima aveva accolto legna e cenere, calore e pace, ma era stato tutto spazzato via, pulito come si pulisce un pavimento sporco, e il grido che gli proruppe dalla gola le gelò ulteriormente il sangue. Un no che veniva dallo stomaco e dal cuore. «Prenderai un malanno se non riscaldi un po’ qui dentro.» Voglio tornare a casa gelido, farmi avvolgere da nient’altro che il freddo, perché lui mi aspetta, il suo mantello pronto per le mie spalle, e il suo profumo a cullarmi i sogni. Questo, però, Harry non glielo disse, non poteva, non poteva svelare a nessuno il loro segreto. A nessuno. «Mi aiuta a concentrarmi,» mentì di nuovo. «Col caldo mi viene sonno e non posso permettermi di cedere alla stanchezza.» Era diventato terribilmente bravo a fingere, sarebbe stato fiero di lui se lo avesse visto. Quel pensiero lo fece sorridere, e il desiderio di tornare a casa crebbe ancora. «Torniamo alla tua proposta,» la esortò alla fine, cercando di riportare la conversazione su binari più accettabili, soprattutto dalla propria anima e dal proprio cuore. Hermione finì di spiegargli tutto, anzi, ricominciò da capo perché aveva capito perfettamente che lui non aveva ascoltato neppure una parola, ma non si era fatta scoraggiare, aveva ripreso con ancora con più foga e per un po’ contagiò persino lui. Prese le pergamene e le promise che avrebbe istituito una commissione specifica il cui unico scopo era controllare lo stato di salute di quelle piccole creaturine e il trattamento loro riservato. A quelle parole entrambi si rilassarono un po’. «Come sta Ron? Non ci vediamo da un sacco.» Ron era un Auror, uno di quelli che spesso erano fuori dal Regno Unito, e lui lo invidiava da morire. Si morse un labbro per non lasciar trasparire quel turbamento che improvvisamente lo aveva colto. «Sta bene, mi ha scritto proprio ieri che la missione in Portogallo si è conclusa nel migliore dei modi e presto sarà a casa.» «Bene, mi fa piacere.» «Che ne dici se quando torna, vieni a cena da noi? Tutti e tre, come ai vecchi tempi.» Già, i vecchi tempi… che ne era rimasto? Si era tutto sgretolato come un castello di sabbia costruito male, quelli che lui non aveva mai fatto – se mai avesse avuto un figlio, si ripromise di passare le estati a modellarne uno dopo l’altro, gli sarebbe piaciuto andarci con Severus, costruire una famiglia con lui, ma l’estate era ancora lontana e lo sarebbe stata a lungo. «Certo,» mentì ancora una volta: non aveva alcuna intenzione di andarci, per lui i vecchi tempi non c’erano più, c’era solamente casa, il tepore della sala in cui si accoccolavano a guardare la televisione mentre Severus si lamentava quando gli poggiava la testa sulla spalla come due vecchi sposi, il caldo della camera da letto con le lenzuola che per lui sarebbero potute rimanere perennemente sfatte. Hermione è andata via, sono andati via tutti e lui vuole solo andarsene, sparire da lì prima che si presenti qualcos’altro, un problema dell’ultimo minuto che non ha alcuna intenzione di sbrigare né di dargli la minima attenzione. Stavolta si mette a correre, un piede dopo l’altro anche se il corpo non è più abituato e lo avverte con il fiato corto e il sudore che gli fa appiccicare i capelli alla fronte e alla nuca, e il freddo fa il resto, trasformando quelle piccole gocce calde in cristalli che gli agitano la pelle e la carne più sotto, un brivido a seguirne un altro. Rallenta, casa è ancora lontana, ma gli piace camminare tra le strade affollate che cominciano a riempirsi dei colori e degli odori del Natale. Lui lo aspetta e questo gli basta a cancellare tutto il resto. Non è ancora riuscito a prendergli quei volumi che attende da giorni, se ne duole, ma vuole farlo di persona senza delegare qualcun altro, vuole toccarli e lasciare poi una parte di sé per farla afferrare solo e soltanto da Severus. Guarda la vetrina di un negozio e sorride, è un piccolo gesto, vuole fargli un regalo per ringraziarlo e per farsi perdonare di quella mancanza, soprattutto per quello, lo sa, e lo capirà anche il mago, lo ha sempre capito, gli ha sempre letto dentro, mentre lui per anni non ha voluto conoscere niente dietro quegli occhi neri, quello sguardo scolpito soltanto dal dolore. Gli piacerà, si dice, o almeno lo spera, è sempre imprevedibile e non è uno che ama i regali, questo lo ha capito tempo fa, suo malgrado; non li ama perché non pensa di meritarli, di non meritare niente in questa vita. Domani, costi quel che costi, andrò a prendere quei libri, lo giura a se stesso e poi apre la porta. Quando esce, è soddisfatto, del contenuto, del pacchetto e persino di ciò che ha scritto nel biglietto che gentilmente si è fatto dare. Casa, ora, è più vicina, la vede come sempre spuntare dietro la curva, il comignolo avvolto da nebbia bianca e grigia che a tratti si fa più scura, il prato curato e i fiori che cercano con forza di resistere al gelo che cala ogni notte come la scure di un boia, affilata e lucente. Mani di nuovo gelide abbassano la maniglia prima di entrare e venire ancora una volta colpiti dal calore dell’interno, quel leggero odore di fumo che se ne scappa verso il cielo. «Sono tornato!» Il suo è un po’ un mantra, gli piace pronunciare quelle due parole, non lo sa perché, non se l’è mai chiesto, aspetta soltanto i passi che vengono dopo. È una costante, quella, potrebbe regolarci un orologio, uno due tre, un secondo due e poi tre, e alla fine spunta dal corridoio e lo fissa mentre si toglie il cappotto e lo getta distratto su di una poltrona senza centrarla, facendolo puntualmente finire a terra. Severus lo guarda irritato e si avvicina per raccoglierlo: «Non sono la tua domestica. Impara un po’ di ordine, Harry Potter, perché io, ad un certo punto, non ci sarò più.» Ancora quelle parole a martellargli la testa, a pugnalarlo a ripetizione, una sillaba e la lama s’infila nella spalla, una consonante e giù nel braccio, una pausa e la gamba si squarcia, sfiorando appena l’arteria femorale. Il sangue, però, non fuoriesce, se ne va soltanto la vita. Ah, voler la morte, abbraccio di puttana, a farti soffocare da un corpo un piacere che non c’è, esce e basta, ma sei soltanto un cadavere che aspetta, involucro vuoto fino alla decomposizione. «Perché allora non te ne vai e basta?» sbotta all’improvviso, gettandosi a terra, appesantito da tutto quel dolore, da quella consapevolezza che non fa altro che procurargli sofferenza. «Perché sei tu a non lasciarmi andare.» Sparisce e basta, lasciando tutto in silenzio, anche il fuoco sembra muto e persino i suoi singhiozzi non hanno voce, lacrime e basta che gli confondono pure il legno a terra. Un ghirigoro, una macchia, c’è sempre stato?, si chiede. Anche quello? Lo sguardo convulso su ogni angolo della stanza, a terra, il soffitto, ogni lato, ogni fotografia appesa al muro, a quei quadri che nemmeno gli piacciono, ma glieli hanno regalati e non vuole far rimanere male nessuno. Si alza da terra, cercando di recuperare almeno un po’ della dignità caduta tra le assi, e se ne va per un attimo al bagno, non per reale bisogno, vuole solo guardarsi allo specchio, quel volto che non sa più a chi appartiene, se è il suo o quello di un altro a cui ha rubato il corpo. L’acqua scorre, gli piace il suono quando tocca la ceramica, è gelida, ma in quel momento niente è più freddo del proprio cuore, di quell’anima strappata a morsi che continua a portarsi dietro come un cancro ingombrante e velenoso. La tocca per un attimo e una scarica gli attraversa il corpo, la sfiora anche con l’altra mano mentre il volto è fisso allo specchio, alle occhiaie che lo fanno sembrare quell’animale di cui non ricorda il nome. Si chiama panda, ignorante, sei diventato Ministro per sbaglio? Se lo immagina dietro di sé a dirgli quelle parole, a sorridere, ma lui, quell’incarico, si sente davvero di averlo ottenuto per sbaglio, o meglio, solo per nome, pur non avendone alcuna capacità. «Panda, giusto…» Torna in salone, il fuoco ancora crepita, anzi, è più forte, segno che ha aggiunto legna di recente. Lo trova sul divano, ad aspettarlo, Severus lo guarda piegando appena la testa, con una strana espressione, forse anche lui si è accorto del panda. Sorride e si siede accanto a lui. «Hermione mi ha invitato a cena quando torna Ron. Verresti anche tu?» «Lo sai che non posso venire.» «Perché?» «Non chiederlo.» «Ma…» si alza dal divano e si allontana ancora una volta, forse va in cucina a prendersi dell’altro caffè, magari bollente, vorrebbe chiedergliene un po’ per togliersi quel nuovo gelo sceso sul proprio corpo, ma non ne ha il coraggio, aspetta solo che ritorni di fianco a lui ad occupare quel posto in cui il calore sta svanendo. E lui non vuole che nulla svanisca. È di nuovo lì, due tazze tra le dita, bollenti, un piccolo rivolo di fumo che si muove da una parte all’altra e che gli ricorda sempre l’intro di Aladdin, l’unica parte del cartone che ricorda, l’unica che ha visto prima di essere sbattuto nuovamente nel ripostiglio per aver riprodotto senza volerlo quelle volute. Un arabesco che gli carezzava il palmo della mano. «Vediamo un film?» parla prima che possa dire altro, che possa pronunciare quelle parole che odia con tutto se stesso. Non le vuole sentire e basta, ma sa che alla fine dovrà farci i conti, solo che non è ancora il momento perché lui non è pronto, non è pronto a non vederlo più per casa, il suo ordine maniacale e il profumo che ha ormai invaso le pareti. Severus annuisce e si siede nuovamente accanto a lui e quel vuoto comincia di nuovo a riempirsi e scaldarsi, sorride perché è la sensazione più bella del mondo. Gli passa la tazza di caffè e Appella la cena che aveva preparato. «Cosa vuoi vedere?» Non sa come chiedergli di guardare un cartone Disney, si sente tremendamente in imbarazzo, così lascia che gli entri nella mente come già gli era entrato nel cuore anni prima. Alza perplesso entrambe le sopracciglia, anzi, giurerebbe di vedere sconcerto sul suo volto e a fatica trattiene una risata, freddata sul nascere da quello sguardo sempre più cupo, poi, però, scorge i suoi muscoli rilassarsi e i nervi sciogliersi e, stranamente, annuire a quella richiesta, piuttosto bizzarra a proprio dire. Armeggia qualche minuto con la tv mentre Severus rimane fermo a sorseggiare il caffè, sempre piuttosto disinteressato verso tutta quella tecnologia moderna Babbana. Prima di far partire il film, si blocca, come colpito da qualcosa, poi si volta a fissarlo: «Mi dimenticavo di darti una cosa!» e si alza, eccitato come un bambino davanti ad un negozio di giocattoli, e recupera il cappotto, fruga in una tasca ed estrae un piccolo pacco, di quelli che stanno facilmente in una mano. «Prometto che domani, cascasse il mondo, vado a prendere quei libri, ma intanto, per farmi perdonare, ti ho preso questo» e gli porge il regalo. Severus sembra perplesso e piuttosto a disagio come spesso gli capita quando riceve qualcosa, ma lo prende e lo osserva con gli occhi attenti di Pozionista, caratteristica che non ha mai abbandonato e che continua a piacergli tremendamente. «Cos’è?» «Aprilo!» «D’accordo, ma non agitarti o rischi di cadere per terra.» Scioglie il fiocco argentato con estrema lentezza e cura, poi strappa la carta, con più impeto, perché così si usa, no? Sembra chiedergli e lui muove la testa, in attesa. Apre la confezione. «Non sono tipo da collane.» «Lo so, ma volevo che avessi qualcosa che ti ricordasse per sempre me.» «Harry, io mi ricorderò per sempre di te-» Ma non lo fa continuare: «Come me che ti ho sempre accanto.» «Harry…» Una lacrima fugge al suo controllo e scappa sulla pelle, scappa alla gravità che la trascina comunque in basso e a quel freddo che gliela appiccica in faccia come un fiocco di neve, uno di quelli che fa male e taglia. E poi un’altra e una ancora. «Harry…» ripete. «Prima o poi dovrai lasciarmi andare.» La Sezione Proibita della Biblioteca di Hogwarts in confronto a quella era un bicchiere d’acqua che galleggiava in mezzo all’oceano, non faceva altro che guardare a destra e sinistra e ad aprire e chiudere la bocca meravigliato. «Ministro!» un mago sottile come una bacchetta gli si avvicinò a passo svelto, allegro, gentile, con un sorriso sempre aperto sulla bocca e occhi grandi e azzurri che per un attimo gli fecero tornare alla mente il vecchio Dumbledore. «Cosa posso fare per lei?» Non avrebbe voluto chiedere, ma trovare quei libri lì dentro era come cercare un ago in un pagliaio e la pazienza non era mai stata il suo forte, soprattutto con gli anni che passavano e le incombenze che aumentavano. «Sto cercando questi volumi, può aiutarmi, signor?» non conosceva il suo nome, ma non poteva di certo conoscere ogni impiegato di ogni anfratto del Ministero. «James. James Anderson, molto piacere!» e gli strinse la mano con vigore, troppo a suo modesto parere, ma non protestò, per un po’ si lasciò contagiare da tutto quell’entusiasmo. E pensò a suo padre di cui non ricordava nulla. Gli passò un foglio che lesse avidamente. «Bene, molto bene, se vuole aspettare qui, glieli porto subito.» «No!» si accorse di aver gridato disperato solo dopo e cercò di correggere il tiro. «No, cioè… le basta solo indicarmi dove sono, e vorrei prenderli da me.» Il mago sembrava un po’ dispiaciuto, ma era pur sempre una richiesta del Ministro della Magia, così acconsentì e prese la bacchetta: «Questo piccoletto l’accompagnerà, sarà come se fossi io, Ministro.» Dal legno era scaturita una luce viola che si era prima ammassata in una forma indefinita e poi, pian piano, aveva iniziato ad assumere contorni sempre più nitidi finché non divenne un piccolo falco che si posizionò sul braccio del suo padrone. «Lo segua» lo esortò dopo che il piccolo animale aveva spiccato il volo verso un corridoio davanti a sé. «Spero ti siano utili per la tua ricerca» aveva parlato a voce alta senza essersene neppure reso conto, il falco si fermò davanti ad un lungo e alto scaffale in legno scuro, ed emise un suono strano che non gli sembrava per niente il verso dell’animale. «Scusa, parlavo da solo.» Sbatté un paio di volte le ali e poi iniziò a picchiettare un volume. «È questo?» Lo prese e poi gli altri due, lo seguivano levitando alle sue spalle, protetti da un incantesimo: non voleva che nessuno li sfiorasse, neppure per sbaglio, quel tocco sarebbe stato loro e loro soltanto. Quando tornò in ufficio, le pergamene erano aumentate e un paio di gufi aspettavano sui loro trespoli, ed Hermione era di nuovo lì. «Avevamo un appuntamento?» domandò, andando a sedersi alla sua poltrona mentre i libri erano ancora a mezz’aria vicino a lui. «No, passavo di qui» guardò stranita e curiosa i volumi; stavolta era lei a mentire, Hermione Granger non passava mai per caso, e quello sguardo significava solo che aveva un motivo ben preciso. «Il camino è ancora spento,» ma si limitò ad alzare le spalle in risposta. «Faccio portare qualcosa di caldo?» «No, grazie.» «D’accordo, allora dimmi il vero motivo per cui sei qui.» «Harry, sei sempre più pallido, hai sempre più occhiaie.» Harry non voleva dormire, se lo avesse fatto, Severus avrebbe potuto lasciarlo lì e gli sarebbero rimaste soltanto orme nella neve mentre non desiderava altro che gli fosse accanto per sempre, una presenza fissa nella sua esistenza, uno squarcio di sole nero nella sua routine grigia. Non voleva accontentarsi di sogni lontani, fasulli, voleva guardarlo e basta, sentirlo mentre gli stringeva le mani per scaldargliele. «E non dirmi che sei solo stanco, lo so benissimo che hai.» No, non lo sa nessuno, avrebbe voluto strillare, ma rimase in silenzio a scrutare gli occhi nocciola della sua amica, dell’unica che sapeva, che aveva sempre saputo. «Non puoi continuare a torturarti così, sai?» Sapeva tutto, tranne quella piccola parte che teneva solo per sé, per loro due e nessun altro perché quelli erano soltanto i loro momenti e nessuno glieli avrebbe portati via. «Sono due anni che è morto. Lascialo andare.» Come si fa a lasciar andare la persona che più si ama a questo mondo? Casa è dietro la curva, curata e pulita, la neve a coprire il prato e i fiori, persino il tetto, e il comignolo sbuffa più forte che mai. Casa è lì e lo attende. Ha i libri con sé. Apre la porta, la maniglia è sempre gelida, a terra c’è il biglietto che aveva scritto, deve essergli caduto dalla tasca quando ha preso il pacchetto, strano che Severus non lo abbia visto, si dice. «Sono tornato!» Un passo, due, tre.
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Berserk Capitolo 357 - Analisi Post parte 2 del precedente che hanno diviso. L'operazione di eliminare demoni e creature dal piano reale pericolosi o contro Griffith continua con quest'ultimo a capo della nuova squadra dei falchi, che si fanno largo tra le schiere nemiche mentre Griffith punta al boss vero e proprio. Il re dei Giganti compare al di là delle fila principali mentre le immonde creature cercano di fermare apostoli e umani al servizio del Falco. il Re ordina nella sua lingua qualcosa e compaiono troll e giganti che tirano sul campo di battaglia un mostro tipo idra. Zodd si lancia a protezione di Grif mentre avanza, frapponendosi nello scontro per affrontare quella sorta di idra al posto del Falco. L'apostolo riesce a danneggiare pesantemente l'essere mentre le teste si agitano o tentano di ferirlo. Irvine da manforte dall'alto all'armata. Mentre sembra che Zodd così abbia la meglio, appare un essere alle sue spalle che tenta di distruggere l'apostolo con un'ondata di fuoco. Zodd si allontana ma l'idra viene preso in pieno. Si tratta del Re dei troll, tuttavia si ridesta dal lanciare l'attacco in quella forma quando, sotto gli occhi di Mule e gli altri dell'armata, non vede Griffith in sella al cavallo giungere verso di lui veloce come la luce. Con un balzo si avventa contro il Re sulla sua poltrona di ossa e, troppo veloce per chi gli è intorno, ferisce all'occhio il sovrano. L'ultima tavola avverte: Non importa quanto siano enormi, nessuno può oscurirare la luce del Falco! Analisi.... A un primo occhio sembra che questa battaglia sia molto veloce, è stata condensata e sintetizzata al massimo in diciamo due capitoli, anche se in realtà era unico, per giungere al nocciolo della cosa. Insomma, questa lotta non è come come per i Kushan, ma è un sunto delle gesta di Griffith come Falco bianco per dire una cosa. Questa scena è una ricapitolazione dei piani di Grif quindi, una sorta di riproposizione di quanto visto con Kushan e via dicendo per farci capire che il Falco continua con le sue idee. Approfondimenti e studi maggiori sarebbero stati meglio accettati invece di usare due capitoli, come hanno pensato molti, per riportare la stessa cosa fatta da lui tempo prima con altri nemici. Insomma, la trama non va avanti, ribadisce gli intenti di Grif, ma non sappiamo se davvero per la razza umana o solo per scopi suoi al solito.... Per molti fan è ​​davvero breve, anche se diviso in due perchè volevano più trama, suppongono quindi che non sia facile riprendere i pennelli quando ci si abitua al tablet. Altri che Miura ha diviso in 2 di proposito questo capitolo perchè altrimenti era troppo lungo da solo o ha altre idee. Abbastanza delusi tutti quindi. E ' ancora più corto del precedente e improvvisamente non avanza troppo ... Non vediamo abbastanza Griffith se non le scene fighe alla fine e parecchi trovano che le sue posizioni di combattimento siano abbastanza statiche, di solito Miura può renderlo più dinamico quando confrontiamo gli effetti del movimento che ha disegnato durante l'età dell'oro, ad esempio. E qui si riporta al fatto che lui è in realtà cambiato, che non si mostra o si comporta come il Grif che tutti amavano in quell'arco. Anche giusto, diremmo noi, se è diventato Phemt reincarnato. Ma per il resto niente da dire che i disegni sono sublimi, Zodd è bellissimo così come il Falco che avanza in testa e poi, alla fine agisce in quel modo grandioso! Questo capitolo non sarà classificato negli annali di momenti indimenticabili di Berserk. È piuttosto breve e tutti aspettavano ... Ma dannazione, sono felice di vedere Zodd e Irvine in questo modo! Inoltre, niente stile moe in vista o pausa per il prossimo mese (speriamo). Su questi punti, nel complesso è abbastanza soddisfacente. D'altra parte, ammettono in molti di essere rimasti ammaliati dalla scena finale di Griffith ... Il ragazzo arriva alla fine del combattimento, quando c tutti gli altri si sono buttati nella mischia, e VIA ci lascia con quei gesti fighi con una pausa degna della scena finale di un telefilm fanstastico che ti lascia in trepida attesa. Questa è solo un'ipotesi, ma la differenza della qualità grafica (intesa come stile) tra il 355 e il 356-357, anche se poche le pagine, se la nostra ipotesi che lo stile fosse SOLO per l'arco degli elfi, che forse ha lasciato cadere il suo tablet preferendo il SUO stile. Altri ipotizzano che abbia uno o due collaboratori capaci con quello stile che ha sfruttato per quell'arco mentre studiava la storia da portare nei prossimi capitoli. Molti dicono che lui NON ha mai avuto collaboratori e disegna lui stesso ect. ect... tuttavia è dagli anni '90, se non mentiva come pare sia accaduto su Casca e altre cose, che afferma che ha collaboratori che gli terminano le tavole e sistemano il lavoro e che lui, rispetto a queste persone, non ha mai lavorato in tal senso ma grazie al prototype di Berserk è diventato mangaka ect... il resto lo sapete. Ma lui viene aiutato, inoltre ha più di 50 anni e non come gli artisti giovani, con possibilità di lavorare interamente da solo grazie alla giovane età. Se non avete mai letto le interviste in francese, inglese ect... andate a dare un'occhiata. Quindi abbiamo notato questa solita tattica di Griffith, uccidere il leader nemico con un colpo negli occhi in modo straordinario, vediamo tuttavia anche la potenza e caratteristiche di questi personaggi e qui parte il dubbio. Oltre al marchio che ucciderebbe il nostro antieroe per la vicinanza, la differenza di potere è schiacciante, Griffith 2.0 è un leader gigantesco senza nemmeno trasformarsi in Femto. L'idra contro Zodd sarebbe a che livello rispetto a Guts?. Questo è quello che dice questo capitolo studiando la cosa come confronto dei personaggi. A che punto sono rispetto a Guts che, a parte Ganishka e il Dio del mare come esempi grossi, non sembra aver alzato il suo livello? E ancora vorrebbe stemrinare la Mano... Ad ogni modo, Griffith 2.0 non può essere attaccato, penso, fisicamente (anche se Rickert...). Il suo esercito potrebbe intraprendere una complicata battaglia contro la 'tecnologia' dei Bakiraka unita a quella di Rickert se coopereranno (che tra l'altro non compaiono da molto e ci sarà questa parte, quindi capitoli su capitoli...). E inoltre, è come dicono tutti Rickert colui che porterà Griffith aun declino con le sue accuse? la sua reputazione di salvatore potrebbe essere seriamente compromessa e il suo matrimonio con Charlotte sarebbe cancellato. Sempre tanti "SE".... Continuo a pensare che il vero pericolo per Grif possa venire solo dall'umanità che pensa di aver perso trascendendo se stesso, che sia un residuo della sua antica personalità o quella del demone figlio. Possibile? Casca sarebbe il nocciolo chiave per questo? NOn intendiamo col fatto che la amasse, quello non l'avrebbe mai amata neanche se davvero avesse perso anni e felicità dietro di lui ad accadirlo e sacrificare l'amore per Guts ect... se avesse attivato dopo il behelit. No, pensiamo che il fetus sia parte dell'equazione. Dopo questo capitolo, personalmente mi chiedo dove Miura voglia portarci questa nuova vittoria. Qual è il punto? occhio su un Griff che continua a sterminare nemici con la spada, per la sua strada conquistando nuovi territori? Perché interrompere Guts e Casca terminando la sessione di riunione per sfoggiare gli affari di Grif? Non che mi lamenti a riguardo, tutt'altro. Ma questa semplice menzione della sua vittoria contro i giganti quando altri volevano i preparativi per il matrimonio tra Griff e Charlotte e sopratutto due capitoli parecchio ripetitivi... Perché spingere una porta aperta con un Griff prepotente e vittorioso riproponendo una battaglia uguale ad una già vista? E' come per i ricordi di Casca. Sono sempre stati rimessi là a testimonianza che ci sono e sono importanti per lei ma sempre le stesse scene e parti identici per i capitoli, che a molti non sono piaciuti. Insomma uno studio sulla memoria di Casca che poteva chiarire o far vedere nuovi spaccati dell'arco migliore e poi... L'unica risposta logica che trovo su Grif è che l'esito di questa lotta nasconderà qualcosa di più serio e più sorprendente di quanto sembri. E' Miura, infondo... Personalmente, penso ancora che tornerà a Griffith solo per fare una bella storia a effetto di quelle che poi non ti dimentichi, come per il passaggio su Casca che si conclude con il corpo di Griffith torturato, andare da Griffith e poi termina questo passaggio con una cosa epica e vittoriosa di Griffithe poi con un piano di Guts e Casca in "modalità Elfheim" in quel momento...si tutto un discorso lo do XD dove vediamo che entrambi soffrono psicologicamente a causa sua. Magari mettendoli faccia a faccia con Grif se giunge o che lui può modficare qualcosa sui piani sull'isola, oppure mostrerà incidentalmente che anche lontano da loro... è come se fosse lì perché è grazie a lui che loro soffrono e quindi questo stacco sulla battaglia ha un suo perchè... oppure perchè lui sta andando sull'isola e i Giganti sono sulla strada? Tante domande al solito. Tornando al capitolo.... Nuova dimostrazione del potere multiforme di Griffith nel caso in cui l'avessimo dimenticato ultimamente. Il leader elimina il boss e tutti possono andare a casa meno i perdenti. I dubbi sul perchè realmente faccia questo dopo averli portati lì ci sono sempre, realmente la trama a aprte il ritorno, si spera, di Casca non cè da tempo e quindi che tipo di capitolo ci sarà? Cosa dovremmo aspettarci? Altri capitoli divisi su grif che riporta una sorta di simil Ganishka oppure si torna dagli elfi per porre fine all'arco? Addio all'ipotesi di molti in cui Griffith ha inviato un apostolo (Irvine o Zodd) a ElfHeim... sarebbe stato interessante per tornare al tema di berserk come un 'mai nà gioia' ect... . Possiamo quindi concludere che: -Non c'è guerra sull'Isola degli Elfi all'orizzonte, solo Casca e Guts -Il leader dei Troll è piuttosto duro o è come appare?
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pangeanews · 4 years
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“Tutti gli uomini del presidente” è un film meraviglioso e Ben Bradlee è il giornalista più figo della storia, la carogna che ha sfidato il potere
“Sto coi miei ragazzi”: lo scrive a penna su un foglietto e questa è la sua risposta, inappellabile, e io, al di là dello schermo, ogni volta che lo guardo mi commuovo, di più, piango come una fontana, cerco i fazzoletti, e se lo vedo insieme a qualcuno cerco di frenarmi, mi trattengo ma a stento, per non essere derisa, perché lo so, e mi vergogno: lo so, che a questo punto de Tutti gli uomini del presidente c’è un caz*o da commuoversi, siamo alla scena la più combattiva, quella a fine riunione, e cosa mandare in pagina è deciso, e però Benjamin C. Bradlee, direttore del Washington Post, deve rispondere alla stampa rivale, feroce che i suoi Woodward e Bernstein hanno sbagliato, e l’hanno sparata grossa, troppo grossa. Ma Ben Bradlee, che è fuori di sé, per lo smacco, la disattenzione, l’errore innegabile, non si smuove, non arretra. Sta coi suoi. E qui siamo nemmeno alla punta dell’iceberg di quello che è lo scandalo Watergate, la fine ignominiosa di Richard Nixon, il trionfo della stampa ma quando è fatta bene, e quando chi la guida ha il coraggio, sommato all’incoscienza, di mettersi contro. Contro la Casa Bianca e quindi contro il potere, compreso quel potere di cui tu da direttore di giornale godi e l’agio che te ne deriva: Ben Bradlee, quante volte l’ha fatto, quante volte ha avuto la sfrontatezza di mettersi contro. Smazzando, vincendo, perdendo, e pagando carissime le sconfitte, risalendo, arrendendosi mai. Se vuoi continuare a leggermi, ti avverto, io sono di parte, innamorata persa, di Bradlee, e incurante dei suoi abbagli, vanaglorie, gratuite teatralità.
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Uscì negli USA il 4 aprile di 44 anni fa Tutti gli uomini del presidente, film avvincente, film che non trovo invecchiato di un giorno, nonostante l’assenza di web, smartphone, e di tutto ciò che fa il giornalismo odierno. Film che racconta l’impresa di Bob Woodward e Carl Bernstein, i due giornalisti che scoprirono e denunciarono la piramide di intrallazzi i più illeciti voluti da Nixon in persona per far politicamente fuori chiunque gli desse il minimo fastidio. E film che narra anche l’uomo il più affascinante che il giornalismo abbia conosciuto, come pure il più str*nzo, e carogna: Ben Bradlee. Un uomo di cui ti puoi solo innamorare, e non solo perché – almeno ai miei occhi – era un gran figo, ma per il carattere, la fermezza, la voglia di capire. Disposto a sacrificare tutto sull’altare delle notizie, non ci sarebbe stato nessun Watergate senza l’irremovibilità di Bradlee: una aggressività, una tenacia, e un caratteraccio che trovi intatti in Jason Robards che nel film di Alan J. Pakula lo recita, e non certo in Tom Hanks che è Bradlee ne Il Post di Steven Spielberg del 2017. E pensare che Pakula, all’inizio, non voleva Robards, e gli sembrava fiacco per incarnare un temperamento simile. Mai scelta fu invece più felice, Dio se Robards qui non è Bradlee e in ogni cosa, fin come cammina, stende le gambe sul tavolo, come parla, afferra i fogli. In ogni gesto, sguardo che fa. E tutto questo perché Robert Redford si era a tal punto incaponito contro Nixon e le sue sozzure che tanto insiste e tanto preme sui veri Woodward e Bernstein perché racchiudessero la loro inchiesta ancora calda in un libro che, appena è pubblicato, Redford ne compra i diritti, si prende per sé il personaggio di Woodward, mette Pakula alla regia, William Goldman alla sceneggiatura, e si danna per trovare a chi dare il ruolo di Bernstein. Si danna fino allo stremo, ché Pakula lo avverte che chiunque sarà dovrà recitarci in ogni scena, dovranno stare sempre attaccati, uno di fianco all’altro, come poi si vede nel film. Sempre insieme, per semplificata ma fattiva scelta narrativa, affinché il pubblico si fissi subito in mente, e lì gli rimanga, l’affiatamento umano e professionale (e la paura) del duo Woodward-Bernstein. Una domenica Redford è allo stadio e vede sugli spalti Dustin Hoffman. È la svolta. Ché Hoffman, lo scattoso Hoffman, è un Bernstein perfetto. Redford all’intervallo lo avvicina, glielo sussurra, e Hoffman risponde sì, all’istante, come fosse ovvio, lui sarà Bernstein ma a una condizione: che lo lasci terminare di vedere la partita in pace.
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Redford, Hoffman, Robards si mettono alle calcagna dei tre giornalisti che devono interpretare, ma alle calcagna sul serio: per settimane li seguono, sul lavoro, e gli ‘prendono’ tutto: se la loro interpretazione sullo schermo risulta così convincente è perché di Woodward, Bernstein, Bradlee, i tre imparano i gesti i più naturali, come fumano, bevono il caffè, e ne rubano i tic, le espressioni, il modo di sedersi, guidare, di ridere. Ogni loro mossa viene riprodotta su pellicola. A film finito, sullo schermo, è tutto talmente veritiero e ben riuscito che la produzione dimentica i dissapori, se non le vere litigate, che vi furono col Washington Post all’assoluto suo diniego di cedere, di notte, l’uso della vera redazione a mo’ di set. La sede del Post è riprodotta negli studios nei più piccoli particolari (tranne gli articoli di cancelleria, ‘generosamente’ offerti dal quotidiano). Ma l’uscita de Tutti gli uomini del presidente segna la fine del sodalizio Woodward-Bernstein, e dell’armonia nella redazione del Post. Proprio il successo del film causa e fomenta gelosie, odi, ripicche, tra chi nel film ha avuto più spazio, chi meno, chi nullo. Woodward farà carriera dentro il Post, Bernstein se ne andrà perso tra alcolismo e un matrimonio turbolento, la stella di Bradlee brillerà fino ad appannarsi, nel 1981, per quel reportage sull’eroina, inventato, e quel Pulitzer dato alla giornalista mitomane che l’ha firmato, prontamente restituito da un Bradlee che dal suo ufficio di vetro, per ira, vergogna, di sé, e del falso pubblicato, si dimette dal Washington Post. Dimissioni respinte, ma per lui onta impossibile da sbollire, e al diavolo gli altri 23, intoccabili Pulitzer vinti sotto la sua guida, ambizione, furia.
*
Insegna Ben Bradlee: “Nessun articolo contiene la Verità. La verità è un processo. Giornalisti, siate ambiziosi, scrupolosi, e non prendetevi troppo sul serio. Divertite il lettore. Io, da buon direttore, mi devo scegliere l’editore giusto. Se l’editore è un fesso, nessuno ce la fa”.
Barbara Costa
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italianaradio · 5 years
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Crisi di governo sempre più vicina: per scongiurarla Conte è pronto alle dimissioni
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Crisi di governo sempre più vicina: per scongiurarla Conte è pronto alle dimissioni
Crisi di governo sempre più vicina: per scongiurarla Conte è pronto alle dimissioni
Crisi di governo sempre più vicina e per scongiurarla è sceso in campo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che chiede ad entrambe le forze politiche di governo e di in particolare ai loro leader, di operare una scelta chiara e di dire se hanno intenzione di proseguire l’azione di governo nello spirito del contratto e con una ‘collaborazione leale’. Senza risposte il premier è “pronto a rimettere il suo mandato”.
“Un anno fa giurai che avrei agito nell’interesse esclusivo della Nazione. Questo giuramento rimarrà sempre la mia stella polare”. Con queste parole Conte ha cominciato la sua conferenza stampa nella sala dei Galeoni di Palazzo Chigi. “Mi sono determinato ad accettare l’incarico come premier di un governo composto da due forze politiche così distanti – ha sottolineato – perché sicuro di poter attingere alla Costituzione e alle prerogative indicate per la mia figura”.
Quanto al suo rapporto con il M5s, Conte ha chiarito: “Non ho mai giurato fedeltà né mi è stata chiesta alcuna attestazione di fedeltà. Ho interpretato il M5s come un movimento sano, ma non mi sono mai iscritto, sono un indipendente. Anzi, come premier, ci sono stati momenti in cui esponenti M5s sono rimasti dispiaciuti per tante decisioni che ho preso”.
Il primo a rispondere al premier Conte, è stato Matteo Salvini: “Il governo va avanti se tutti mantengono la parola data. Tempo da perdere non ne abbiamo. Io non ho litigato con nessuno. Noi vogliamo andare avanti, la Lega c’è”, dice mentre il presidente del Consiglio sta ancora parlando ai giornalisti. Anche se avverte: “Il voto europeo è stato molto significativo, anche sui vincoli europei. I paramentri Ue non sono la Bibbia”.
Dai 5Stelle interviene inizialmente uno dei ministri più bersagliati dai leghisti, Danilo Toninelli: “Leale collaborazione? Da parte nostra certamente sì. Io sono fiducioso”. Poi però – tanto per dare un’idea del clima – attacca Salvini sull’incidente di Venezia: “Siamo stufi delle sue sciocchezze”.
Un’ora dopo Salvini arrivano su Facebook le parole di Luigi Di Maio, che chiede subito un vertice, proprio quel vertice che finora Salvini ha sempre rifiutato e che potrebbe arrivare non prima di venerdì. “Il Movimento 5 Stelle è la prima forza politica di maggioranza – ha sottolineato Di Maio, quasi a cancellare il responso delle Europee – e ha sempre sostenuto questo governo. Lo abbiamo sempre fatto lealmente e crediamo che ci sia ancora tanto da fare e soprattutto un contratto da rispettare. Noi siamo leali, vogliamo metterci subito al lavoro. Questa è l’unica maggioranza possibile”.
Poco prima di rispondere a Conte, Salvini su Facebook aveva scritto: “Noi non abbiamo mai smesso di lavorare, evitando di rispondere a polemiche e anche insulti, e gli Italiani ce lo hanno riconosciuto con 9 milioni di voti domenica. Proprio oggi ad esempio ho inaugurato col governatore Zaia il primo tratto della Pedemontana Veneta, opera fondamentale attesa da quasi trent’anni. L’Italia dei Sì è la strada giusta”.
E ancora: “Flat Tax e taglio delle tasse, riforma della giustizia, Decreto Sicurezza Bis, autonomia regionale, rilancio degli investimenti, revisione dei vincoli europei e superamento dell’austerità e della precarietà, apertura di tutti i cantieri fermi: noi siamo pronti, vogliamo andare avanti e non abbiamo tempo da perdere, la Lega c’è”.
La replica del Pd arriva dal segretario Nicola Zingaretti: “Conte ha ammesso la paralisi, il disastro e il fallimento del suo governo che noi denunciamo da settimane”. Il presidente dei deputati dem, Graziano Delrio poi rincara la dose: “Le parole di Conte hanno aperto ufficialmente la crisi di Governo. È lui stesso a averlo detto oggi con molta chiarezza rivolgendosi a Salvini e Di Maio e mettendo sul tavolo le sue dimissioni: il fallimento è certificato da coloro che lo hanno provocato”.
E intanto in barba all’appello di Conte sullo sblocca cantieri è già scontro tra M5S e Lega. Nessuna intesa sull’emendamento della Lega per fermare per due anni l’applicazione del codice per gli appalti. La riunione convocata a Palazzo Chigi dal premier Giuseppe Conte per trovare una mediazione si è interrotta a meno di un’ora dall’inizio per le divergenze sulla norma che modificherebbe l’articolo 1 del decreto sblocca cantieri.
Crisi di governo sempre più vicina e per scongiurarla è sceso in campo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che chiede ad entrambe le forze politiche di governo e di in particolare ai loro leader, di operare una scelta chiara e di dire se hanno intenzione di proseguire l’azione di govern…
Nadia Sessa
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jamariyanews · 6 years
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Libia, il governo italiano abbia il coraggio di cambiare rotta (e cavallo)
di Antonio Pannullo lunedì 22 ottobre 2018 - 15:07
Ammettiamolo: in Libia l’Europa ha sbagliato tutto. Su impulso della Francia, che persegue sempre e solo i suoi interessi particolari, la Libia è stata trasformata in un inferno. L’Unione europea ha scelto Fayez al Serraj, di concerto con la Casa Bianca, e l’Italia di Gentiloni e del Pd si è supinamente adeguata a questa scelta, da suddita di Bruxelles quale è sempre stata. La fazione attualmente vincente, quella del generale Khalifa Haftar, ha scelto invece l’alleanza con la Russia di Vladimir Putin, scelta che si sta rivelando vincente. Ora il governo italiano ha indetto la Conferenza di Palermo sulla Libia,per cercare di rappezzare i cocci di quel Paese. Alla conferenza nessuno crede, e la Libia, dove l’Italia ha fortissimi interessi economici, continerò a viaggiare nel caos favorendo interessi non certo italiani. Sorprende, a questo punto, che il nuovo governo italiano, che si definisce del cambiamento, non abbia il coraggio e la forza di cambiare completamente il proprio atteggiamento in Libia, dcidendo una volta tanto di far svolgere al nostro Paese un ruolo da protagonista nella nazione proprio di fronte. Anche in politica estera è ora di cambiare e di rompere con il passato, soprattutto se le scelte sin qui fatte si sono dimostrate fallimentari.
Il premier Conte esprime peprlessità sul voto in Libia
Proprio oggi sembra che ci sia stato un timido segnale di perplessità sulla gestione della crisi libica: “Pensare che in Libia si possano svolgere in dicembre le elezioni mi sembra una speranza un po’ improvvida, ma questo non lo deciderà l’Italia. A Bruxelles ho condiviso questa valutazione anche con il presidente Macron”. Lo ha  puntualizzato il premier Giuseppe Conte parlando alla Stampa Estera a Roma. “La conferenza per la Libia l’ho convocata a Palermo per il 12-13 novembre – rimarca – ma non c’è l’ingenuità o la velleità di risolvere così il problema della Libia. Se il giorno dopo non avremo la stabilizzazione o un documento sottoscritto da tutti i player non diremo che è stato un fallimento”. “Saremo molto inclusivi, abbiamo invitato tutti i principali attori dello scenario libico – rimarca – l’Italia insieme agli altri offre un tavolo, un’occasione di confronto. Se riusciremo a fare passi avanti avremo offerto un grande contributo ai libici e alla comunità internazionale”. A credere nell’utilità della conferenza rimane solo la Farnesina: “Confidiamo molto nella conferenza di Palermo per la Libia e in una partecipazione qualificata di Russia e Stati Uniti”. Sono le parole del ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che intervenendo al Transatlantic Forum on Russia si esprime così in relazione alla conferenza per la Libia in programma il 12 e 13 novembre a Palermo. Ma gli stessi attorim i libici, partono già sfiduciati: la conferenza sulla Libia in programma a Palermo non rappresenterà una “svolta” per il Paese nordafricano. Lo ha detto il ministro degli Esteri del governo di concordia nazionale libico, Mohamed Siyala, in un’intervista rilasciata al quotidiano austriaco Die Presse. Il ministro, riporta il giornale sul proprio sito, ha sottolineato di “non pensare” che la riunione in Sicilia sulla stabilizzazione della Libia possa rappresentare “una svolta”.
La Libia continua a precipitare nel caos
Intanto la nostra ex colonia precipita sempre più nel caos: La Missione di supporto delle Nazioni Unite (Unsmil) in Libi – anche l’Onu ha prenuto per al Serraj –  ha criticato il peggioramento della situazione della sicurezza nel sud del Paese e ha chiesto alle autorità libiche di agire in modo pronto ed efficace contro l’illegalità nella regione. In una nota, l’Unsmil condanna le violazioni commesse da gruppi armati stranieri in territorio libico e invita gli attori regionali a sostenere le “autorità nazionali” nell’affrontare la situazione in modo rispettose rispetto alla sovranità e alla integrità territoriale della Libia. Inoltre, l’Onu si dice profondamente preoccupata circa l’aumento della criminalità, in particolare per la recente ondata di rapimenti e di atti di vandalismo contro le infrastrutture del sistema di irrigazione Great Man-Made River.
Haftar e Serraj non sono d’accordo sul futuro della Libia
Infine, si apprende che il Consiglio presidenziale libico del premier Fayez Serraj ha smentito le notizie diffuse dal portavoce del generale Khalifa Haftar, secondo cui sarebbe stato raggiunto un accordo sull’unificazione delle Forze armate. “L’establishment militare libico del governo di accordo nazionale ha sostenuto e continua a sostenere questo processo nell’ottica dell’importanza di mettere fine all’attuale divisione”, si legge in una nota del Consiglio presidenziale. Che avverte sulle conseguenze di tali “dichiarazioni irresponsabili”, che potrebbero avere l’effetto contrario rispetto all’esito di incontri cruciali che vanno avanti da un anno a questa parte. Nel comunicato, si ricorda che “il governo di concordia nazionale ha chiarito che non devierà dai suoi principi”, che sono quelli del mantenimento della separazione dei poteri e che l’istituzione militare dovrà rispondere ad un’autorità civile esecutiva. Ieri, il portavoce di Haftar, Ahmed al-Mismari, aveva annunciato un accordo formale sull’unificazione delle Forze armate a margine di acluni incontri al Cairo, sostenendo che l’intesa prevedeva la nascita di un consiglio per la sicurezza nazionale, di un alto consiglio di difesa e di un consiglio per il comando generale. Insomma, non si vede la fine di questa crisi. Preso da:  http://www.secoloditalia.it/2018/10/libia-il-governo-italiano-abbia-il-coraggio-di-cambiare-rotta-e-cavallo/
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