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#Yasmina Mélaouah
gregor-samsung · 2 years
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“ Siamo circondati da un gran numero di persone assolutamente rispettabili, a volte laureate, talora "eminenti" - alcune proprietarie di bellissime biblioteche - che non leggono, o leggono talmente poco che mai ci verrebbe in mente di regalare loro un libro. Non leggono. O non ne provano il bisogno, o hanno troppo da fare (ma il risultato è lo stesso: queste cose da fare li appagano o li obnubilano), oppure coltivano un'altra passione e la vivono in modo assolutamente esclusivo. In poche parole, queste persone non amano leggere. Questo non vuol dire che non siano frequentabili, o addirittura piacevolissime da frequentare. (Almeno non ci chiedono a ogni piè sospinto il nostro parere sull'ultimo libro che abbiamo letto, ci risparmiano le loro riserve ironiche sul nostro romanziere preferito e non ci considerano degli idioti se non abbiamo divorato l'ultimo Tale, appena pubblicato da Tizio e di cui il critico Caio ha detto un gran bene.) Sono "umani" almeno quanto noi, sicuramente sensibili alle disgrazie del mondo, attenti ai "diritti dell'Uomo" e impegnati a rispettarli nella loro sfera di influenza personale, il che è già tanto... Ma, ecco, non leggono. Liberissimi di non farlo. L'idea che la lettura "umanizzi l'uomo" è giusta in linea generale, ma ammette alcune tristi eccezioni. Dopo aver letto Cechov si è probabilmente un po' più "umani" intendendo con questo un po' più solidali con la specie (un po' meno "belve" ) di quanto non lo si fosse prima. Ma guardiamoci dall'associare a questo teorema il corollario secondo il quale ogni individuo che non legge dovrebbe essere considerato a priori come un potenziale bruto o un cretino assoluto. Poiché, così facendo, faremmo passare la lettura per un obbligo morale e questo sarebbe solo l'inizio di una spirale che porterebbe poi a giudicare, per esempio, la "moralità" dei libri, in funzione di criteri che non avrebbero alcun rispetto per l'altra libertà inalienabile: la libertà di creare. A quel punto il "bruto" saremmo noi, per quanto "lettori" . E Dio sa se il mondo non è pieno di bruti di questa specie. In altri termini la libertà di scrivere non può ammettere il dovere di leggere. Il dovere stesso di educare consiste in fondo, insegnando a leggere ai bambini, iniziandoli alla Letteratura, nel fornire loro gli strumenti per giudicare liberamente se provano o meno il "bisogno di libri" . Perché, se possiamo tranquillamente ammettere che un singolo individuo rifiuti la lettura, è intollerabile che egli sia - o si ritenga - rifiutato da essa. E una tristezza immensa, una solitudine nella solitudine essere escluso dai libri. Anche da quelli di cui si può fare a meno. “
Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Mélaouah, Feltrinelli (collana Idee), 1998²⁶; pp. 119-120. (Corsivi dell’autore)
[1ª edizione originale: Comme un roman, éditions Gallimard, 1992]
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blogsdaseguire · 9 months
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Capolinea Malaussène
#Recensione di Capolinea Malaussène di Daniel #Pennac. Le avventure della banda #Malaussène giungono al termine con rassegna di tutti i personaggi incontrati nei 7 #libri della serie. Un po' confusionario, non eccelso come finale, neanche conclusivo.
Capolinea Malaussène è il libro che chiude la serie di Belleville, iniziata nel 1985 con Il paradiso degli orchi e proseguita da Daniel Pennac con altri sei romanzi che hanno raccontato le avventure di Benjamin Malaussène e della sua tribù. Il libro è uscito in Italia nel marzo 2023 per Feltrinelli, nella traduzione di Yasmina Mélaouah, ed è stato accolto con entusiasmo dai fan di Pennac e dalla…
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garadinervi · 4 years
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Daniel Pennac, (1992), Come un romanzo, (IX. Il diritto di leggere a voce alta), Translation by Yasmina Mélaouah, «Universale Economica», Feltrinelli, Milano, 2007, pp.135-138
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gregor-samsung · 3 years
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“ Nella biografia da lui dedicata al poeta Georges Perros, Jean-Marie Gibal cita la frase di una studentessa di Rennes, dove Perros insegnava: «Lui (Perros) arrivava il martedì mattina, con i capelli scompigliati dal vento e dal freddo, sulla sua moto azzurra arrugginita. Curvo, con addosso un cappotto da marinaio, e la pipa in bocca o in mano. Svuotava sulla cattedra una tracolla piena di libri. Ed era la vita» . Quindici anni dopo, la stupenda stupita ne parla ancora. Riflette, con il sorriso chino sulla tazza di caffè, e richiama lentamente alla memoria i suoi ricordi: «Sì, era la vita, una mezza tonnellata di libri, pipe, tabacco, un numero di France-soir o de L'Equipe, chiavi, taccuini, fatture, una candela della moto... Da questo caos tirava fuori un libro, ci guardava, partiva con una risata che ci stuzzicava l'appetito e si metteva a leggere. Leggeva camminando, con una mano in tasca e l'altra, quella che teneva il libro, un po' tesa, come se leggendolo lo offrisse. Tutte le sue letture erano dei regali. Non ci chiedeva niente in cambio. Quando l'attenzione di qualcuno di noi diminuiva, lui smetteva per un attimo di leggere, guardava il distratto e fischiettava. Non era una rimostranza, era un gioioso richiamo alla coscienza. Non ci perdeva mai di vista, e nei momenti più intensi della lettura ci guardava al di sopra delle righe. Aveva una voce sonora e luminosa, un po' ovattata, che riempiva perfettamente lo spazio delle aule, come avrebbe potuto colmare un'aula ad anfiteatro, un teatro, il campo di Marte senza che mai una parola fosse pronunciata sopra un'altra. Indovinava d'istinto le dimensioni dello spazio e dei nostri cervelli. Era la cassa di risonanza naturale di tutti i libri, l'incarnazione del testo, il libro fatto uomo. Attraverso la sua voce noi scoprivamo d'un tratto che tutto ciò era stato scritto per noi. Quella scoperta giungeva dopo che per lunghi anni l'insegnamento delle Lettere ci aveva tenuti a rispettosa distanza dai libri. Cosa faceva dunque di più dei nostri altri professori? Niente. Per certi versi, faceva addirittura di meno. Solo che, ecco, non ci somministrava la letteratura con il contagocce analitico, ce la serviva a gran bicchieroni... E noi capivamo tutto quello che ci leggeva. Noi lo sentivamo. Non c'era spiegazione del testo più luminosa del suono della sua voce quando anticipava le intenzioni dell'autore, rivelava un sottinteso, svelava un'allusione... rendeva impossibile il fraintendimento. Dopo averlo sentito leggere La doppia incostanza, era assolutamente impensabile continuare a farneticare sul 'marivaudage' e vestire di rosa i manichini umani di quel teatro della dissezione. La precisione della sua voce ci introduceva in un laboratorio, la chiarezza della sua dizione ci invitava a una vivisezione. Ma non calcava la mano in questo senso e non faceva di Marivaux l'anticamera di Sade. Ciononostante, per tutto il tempo che durava la sua lettura avevamo la sensazione di vedere lo spaccato del cervello di Arlecchino e Silvia, come se fossimo noi stessi i laboratoristi di quell'esperimento. Con lui avevamo un'ora di lezione alla settimana e quell'ora assomigliava al suo tascapane: un trasloco. Quando a fine anno ci lasciò feci un po' di conti: Shakespeare, Proust, Kafka, Vialatte, Strindberg, Kierkegaard, Molière, Beckett, Marivaux, Valéry, Huysmans, Rilke, Bataille, Gracq, Hardellet, Cervantes, Laclos, Cioran, Cechov, Henri Thomas, Butor... li cito alla rinfusa e ne dimentico almeno altrettanti. In dieci anni, non ne avevo sentito la decima parte! Ci parlava di tutto, ci leggeva tutto, perché non dava per scontato che avessimo una biblioteca in testa. Era il grado zero della malafede. Ci prendeva per quel che eravamo, dei giovani maturandi incolti che meritavano di sapere. E niente a che vedere con l'idea di patrimonio culturale, di sacri segreti appesi alle stelle; con lui, i testi non cadevano dal cielo li raccattava da terra e ce li regalava da leggere. Tutto era lì, intorno a noi, brulicante di vita. Ricordo la nostra delusione, agli inizi, quando affrontò i colossi, quelli di cui i nostri professori ci avevano comunque parlato, i pochi che pensavamo di conoscere bene e che ritenevamo inaccessibili: La Fontaine, Molière... In un'ora perdettero il loro statuto di divinità scolastiche per diventarci intimi e misteriosi - cioè indispensabili. Perros resuscitava gli autori. Alzati e cammina: da Apollinaire a Zola, da Brecht a Wilde, ce li vedevamo arrivare tutti in classe, vivi e vegeti, come se uscissero da Michou, il caffè di fronte. Caffè dove a volte lui ci regalava un secondo tempo. Non faceva il prof-amicone, non era il suo genere, proseguiva semplicemente quella che chiamava la sua 'lezione di ignoranza'. Con lui la cultura smetteva di essere una religione di Stato e il bancone di un bar valeva quanto un palco. Noi stessi, ascoltandolo, non provavamo il desiderio di prendere i voti, di mettere l'abito talare del sapere. Avevamo voglia di leggere, punto e basta... Appena taceva, correvamo a svaligiare le librerie di Rennes e di Quimper. E più leggevamo, più in effetti ci sentivamo ignoranti, soli sulla riva della nostra ignoranza, e di fronte a noi il mare. Ma con lui non avevamo più paura di buttarci. Ci tuffavamo nei libri, senza perdere tempo in sguazzamenti freddolosi. Non so quanti di noi sono diventati professori... non molti, probabilmente, e forse in fondo è un peccato, perché senza parere lui ci ha lasciato in eredità una gran bella voglia di trasmettere. Ma di trasmettere ai quattro venti. Lui, che se ne sbatteva dell'insegnamento, sognava ridendo un'università itinerante: "Se andassimo un po' in giro... a trovare Goethe a Weimar, a insultare Dio con il padre di Kierkegaard, a spararci Le notti bianche sulla Prospettiva Nevski...- "»
Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Mélaouah, Feltrinelli (collana Idee), 1998²⁶; pp. 72-74. (Corsivi dell’autore)
[1ª edizione originale: éditions Gallimard, 1992]
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gregor-samsung · 3 years
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“ Bisogna leggere, bisogna leggere... E se invece di esigere la lettura il professore decidesse improvvisamente di condividere il suo personale piacere di leggere? Il piacere di leggere? Che roba è questa, il piacere di leggere? Domande che infatti presuppongono un gran bell'esame di coscienza! E per cominciare l'ammissione di una verità che si oppone radicalmente al dogma: la maggior parte delle letture che ci hanno modellati non le abbiamo fatte per, ma contro. Abbiamo letto (e leggiamo) per proteggerci, per rifiutare o per opporci. Se questo ci dà un'aria da fuggiaschi, se la realtà dispera di raggiungerci oltre l' "incantesimo" della nostra lettura, siamo però dei fuggiaschi impegnati a costruirci, degli evasi intenti a nascere. Ogni lettura è un atto di resistenza. Di resistenza a cosa? A tutte le contingenze. Tutte: "Sociali." "Professionali." "Psicologiche." "Affettive." "Climatiche." "Familiari." "Domestiche." "Gregarie." "Patologiche." "Pecuniarie." "Ideologiche." "Culturali." "O narcisistiche." Una lettura ben fatta salva da tutto, compreso da se stessi. E, soprattutto, leggiamo contro la morte. E Kafka che legge contro i progetti mercantili del padre, Flannery O'Connor che legge Dostoevskij contro l'ironia della madre ("L'idiota? Solo tu potevi chiedere un libro con un titolo del genere!"), Thibaudet che legge Montaigne nelle trincee di Verdun, Henri Mondor immerso nel suo Mallarmé nella Francia dell'Occupazione e del mercato nero, è il giornalista Kauffmann che rilegge all'infinito lo stesso volume di Guerra e pace nelle prigioni di Beirut, il malato, operato senza anestesia, di cui Valéry ci dice che "trovò qualche sollievo, o piuttosto qualche ripresa delle forze e della pazienza recitandosi, fra due estremi di dolore, una poesia che amava". Ed è, naturalmente, la confessione di Montesquieu, il cui sviamento pedagogico fece coprire di inchiostro pagine e pagine di temi: "Lo studio è stato per me il rimedio sovrano contro l'insofferenza e la noia non avendo io mai avuto pene che un'ora di lettura non abbia dissipato". Ma è, più quotidianamente, il rifugio del libro contro il crepitio della pioggia, il silenzioso bagliore delle pagine nel frastuono cadenzato del metro, il romanzo nascosto nel cassetto della segretaria, la breve lettura del professore quando gli allievi sono interrogati alla lavagna e l'allieva in fondo alla classe che legge di nascosto, in attesa di consegnare il compito in bianco... “
Daniel Pennac, Come un romanzo, traduzione di Yasmina Mélaouah, Feltrinelli (collana Idee), 1998²⁶; pp. 66-67. (Corsivi dell’autore)
[1ª edizione originale: éditions Gallimard, 1992]
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gregor-samsung · 4 years
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“ È sempre una questione di fiducia. Esistono due categorie di persone: quelle che diffidano sistematicamente di chiunque e quelle che danno credito a tutti. Tu appartieni alla seconda categoria. Sei dotato di notevole intuito, ma la cosa non ti è di grande aiuto. Abbassi la guardia, ti lasci andare, per pigrizia o per comodità, frequenti gente come quella, ti capita persino di confidarti con loro, che intanto prendono nota delle tue debolezze, delle falle attraverso cui avranno accesso a te, alla tua vita e alla tua intimità, dai retta alle loro fandonie, pensi che siano come te, non dubiti delle loro parole, non sospetti la loro crudeltà, è impossibile, ti dici, sono affettuosi e sorridenti, hanno due facce, due parole, anzi, non hanno una faccia, ma una maschera che cambia con l’occasione, una specie di pellicola su cui è disegnata l’espressione più adatta alla circostanza, solo gli occhi non cambiano, tu sai leggere negli occhi, e infatti loro non ti guardano mai direttamente, sempre di sottecchi, oppure tengono lo sguardo basso, sanno che con gli occhi è impossibile mentire, e allora, stanno attenti a non farsi sorprendere, e tu ti ritrovi messo all’angolo dalla perfidia e dalla slealtà. Ti ci vorrà del tempo per accorgertene e riprenderti. Il tuo intuito ti rimprovera; ti senti in colpa, passi ore a tormentarti, ma non serve a niente, il male è fatto e non ti resta che tagliare la corda, a meno di non avere la loro stessa mentalità e far loro la guerra, qualche brutto scherzo, li imiti nei loro intrallazzi, ti abbassi al loro livello, accetti di diventare un ladro e un bugiardo professionista, mai e poi mai sarò come loro, pensi, io ho la mia dignità, loro della dignità non sanno che farsene, è un pezzo che l’hanno messa a tacere “
Tahar Ben Jelloun, L'hammam (traduzione di Yasmina Mélaouah; collana L’Arcipelago n° 13) Einaudi, 2002; pp. 15-16.
[ Edizione originale: Le hammam, 2001 ]
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