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#gestire le emozioni
frammenti--di--cuore · 2 months
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Quando Dio distribuiva la capacità di regolare le proprie emozioni, io stavo avendo un attacco di panico.
aiutatemii, z
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silviaaquilini · 1 year
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omarfor-orchestra · 2 years
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Oggi ho parlato del mio ex con la psicologa e di quanto mi abbia trattata di merda e ridevo, nel momento in cui ho parlato di quanto mi manca fare teatro stavo per scoppiare a piangere mh ok
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ninfettin · 1 month
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non so gestire le emozioni o le persone o le mie aspettative. sono un vetro crepato al centro che vibra a ogni sossulto. cerco il mio bug, quale pezzo mi manca per essere normale e essere amata e amabile
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tiaspettoaltrove · 2 months
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È impressionante quanto mi manchi Alice.
Non ero innamorato di Alice. Come scrivo spesso, metto in dubbio (sempre di più) l’amore, mi chiedo sempre se quello umano esista davvero oppure no. Però bisogna arrendersi alla realtà: Alice ha lasciato un segno. Lo ha fatto perché ha saputo insinuarsi, a poco a poco, arrivando all’improvviso, e facendo un po’ quel che voleva nella mia anima. Anche silenziosamente, a volte. Alice era la miglior correlazione tra bellezza e giovinezza. Non era solo questo, ovviamente, ma non dimenticherò mai il suo dolce viso, il suo candore, e in generale la sua fisicità. Mi sento immensamente onorato, per aver potuto ammirarla. Seppur a distanza, seppur per pochi istanti, in modo fugace. Starei due giorni senza mangiare, per quel corpo. E sapete quello che penso sull’”amore a pagamento”, ma se fossi obbligato da qualcuno ad usufruirne, vorrei una sua fotocopia. Lì pagherei, lì andrebbero i miei soldi. Lo sapete, non farei mai una cosa del genere, la disprezzo. Ma apprezzate la sincerità, seguite il concetto e rendetevi pertanto conto della forza di quel che sto esprimendo. E il paradosso è che non era nemmeno l’aspetto fisico, quello che mi colpiva di più in lei. No, anzi. Era la sua gentilezza, a farmi vacillare. Il suo modo di porsi nei miei riguardi: sempre rispettoso, rimanendo un passo indietro. Mai una parola fuori posto, seppur con sparute eccezioni nella parte finale del periodo in cui abbiamo conversato. Alice era una ragazza che sapeva chiedere scusa, che sapeva pregarmi, che sapeva pentirsi. Mi vedeva per ciò che sono, ed è anche vero che mi ubriacava di parole. Però erano parole bellissime. Ricordo i nostri racconti a quattro mani, fantasticando di perderci di notte nei boschi. Ricordo quanto era assolutamente certa di essere succube di me. E credo che lo sia stata a tal punto da non esser più in grado di gestire il tutto, fuggendo via come ha fatto. Sì, quello è stato il dolore più grande. C’erano state probabilmente già delle avvisaglie, periodi fatti di lunghi silenzi da parte sua. Però poi tornava. Invece, l’ultima volta, dalla sera alla mattina cancellò il suo account Tumblr, e anche quello Telegram. E così l’ho persa, per sempre. Bello il mondo virtuale, eh? No, per niente, eppure ne siamo tutti (in qualche modo) affascinati, se non dipendenti. A differenza di quanto accaduto in passato, non credo che Alice fosse un “fake”. No, ne sono piuttosto certo. Innanzitutto perché non sono più ingenuo come un tempo, e in secondo luogo perché l’ho sentita parlare, l’ho vista in foto, e anche in video. E l’intelligenza artificiale non era ancora avanzata come lo è adesso. Di tutto, cosa rimane? Il fatto che Alice mi manca ancora. Certo, non come prima, ma quella ferita non si è rimarginata. Tremila caratteri non bastano, per provare a descrivere la potenza di certe conversazioni, la forza di certe emozioni. Lei non tornerà. Lo so e lo accetto. Ma la ringrazio lo stesso, perché mi ha dato molto più di quel che potrebbe credere. Le auguro davvero il meglio.
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susieporta · 1 day
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Sfatiamo alcuni falsi miti sulla crescita personale:
1. Andare da un professionista delle relazioni di aiuto non risolverà la tua vita e i tuoi problemi. Ti accompagnerà in un viaggio di sostegno e di chiarificazione, oltre che di trasformazione, dentro di te. Il resto lo dovrai fare tu. È un percorso che dura tutta la vita, quindi mettiti tranquillo e goditi il viaggio.
2. Quello che puoi risolvere o chiarire di te stesso con un professionista, un gruppo, un percorso, non puoi risolverlo o chiarirlo con un altro. Ogni periodo della tua vita sei diverso o hai una diversa energia, così come ogni percorso o rapporto crea una energia diversa. Quindi dovrei cambiare parecchi percorsi per far suonare il pianoforte della tua anima, e comprendere più a fondo te stesso.
3. Fare di continuo un certo tipo di lavoro su di te non ti rende speciale. È semplicemente lo scopo per cui siamo qui su questa terra: non cadere nell'ego spirituale. Certo, meglio lavorare su di sé che andare al bar a fare aperitivi senza un minimo di consapevolezza dei propri meccanismi interni. Ma se ti senti a posto con te stesso solo perché fai delle asana tre volte a settimana, stai sbagliando qualcosa.
4. Lavorare sulle proprie ombre, nodi e conflitti, non può avvenire nella mente. Deve scendere nel corpo. Ricordo una terapia che si concluse nel momento in cui cambiò il mio sguardo, il quale da spento e triste divenne pieno di energia e vitale. Letteralmente. Se non senti un cambiamento nel corpo, stai ancora sognando.
5. I cambiamenti che avvengono in un percorso non sono astrazioni: devono essere reali, tangibili e concreti. Devono avvenire nella quotidianità. Se le tue relazioni non si modificano, il tuo stile di vita non migliora, il tuo modo di gestire le emozioni non cambia o non riesci a realizzare qualche obiettivo che ti appartiene, c'è qualcosa che non sta funzionando nel tuo percorso. Stai ancora sognando.
6. Ciò che fa il cambiamento non è il terapeuta, ma la relazione tra te e lui. È l'energia che scaturisce da questo incontro a volte magico a permetterti di accedere al cambiamento. Quell'energia ti fa sprofondare dentro di te in sicurezza e con coraggio, e ti aiuta a gestire gli irrisolti della tua vita. Non pensare che il professionista sia un pezzo di ghiaccio e non cambi insieme a te, perché anche questo è un falso mito. Entrambi vi trasformate tramite il vostro incontro, che vi spingerà verso nuove strade e nuovi territori.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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Se capita una volta, è un mostro.
Se capita mille volte è un problema più grande.
È difficile scrivere qualcosa oggi. Non so neanche se sia giusto. Però il 50% della mia bolla è muto. Ed è un silenzio insopportabile.
Non credo sia una mera questione di menefreghismo. È che ignorare è più facile. È che c'è questa cosa che è li, e di cui non parliamo mai.
C'è che nella cultura dello st*pro siamo cresciuti tutti. E quando leggiamo una notizia del genere, non riusciamo a sentirci "puliti".
Certo, non avremmo mai fatto niente del genere. Però anche noi certi paradigmi abbiamo imparato a contestarli tardi, lentamente, da soli. E prima? Prima ne eravamo parte. E un po' ti rimangono addosso, nonostante tutto. Attaccate alla radice più profonda dei pensieri.
C'è che non abbiamo il vocabolario per parlare di queste cose, perché non lo abbiamo mai fatto. Eppure sarebbe così importante cominciare a farlo.
Da uomo a uomo.
Mi torna in mente un ricordo di quand'ero adolescente. Litigavo con la mia ragazza dell'epoca, in mezzo alla strada. Avevamo la voce alta, le lacrime agli occhi, eravamo visibilmente scossi.
Un signore, vedendoci, si mise in mezzo a noi. Provai a spiegargli che ci stavamo confrontando soltanto a parole, ma mi interruppe. Disse: "Qualsiasi cosa sia successa, non ne vale la pena. È un attimo che si rovinano due vite: la sua e la tua."
Quel ricordo mi provoca ancora sensazioni contrastanti.
Da un lato, chiunque sia cresciuto socializzato come uomo, sa quanto sia odioso essere visti come aggressori fino a prova contraria.
È una cosa che ti insegnano fin dalla scuola, appena la tua voce diventa più forte e più grave di quella delle ragazze. E i richiami aumentano e i voti di condotta scendono. E se la persona che ti schernisce è una ragazza, verrai richiamato comunque tu più spesso, perché le tue reazioni sono più scomposte, il tuo corpo è una presenza più ingombrante nel mondo.
Ed è una cosa che ti ricordi quando cresci. Quando camminando per strada, cambi marciapiede o acceleri il passo per superare la ragazza che sta camminando da sola, per non darle l'impressione di starla seguendo.
Dall'altro lato, provai un senso di gratitudine.
Quell'uomo aveva fatto ciò che io vorrei aver sempre avuto il coraggio di fare negli anni seguenti. Intervenire, prima che una situazione di pericolo potenziale potesse farsi pericolosa davvero.
Non conosceva né me, né lei, né il contesto. Aveva visto due ragazzini urlarsi contro e uno dei due aveva un corpo che cresceva di due centimetri al mese e presumibilmente quasi nessuna idea su come gestire quella forza, quegli ormoni, quelle emozioni.
Quante volte ho avuto modo di parlare di questa storia? Quasi nessuna.
Con le mie migliori amiche mi confido, ma ci sono certe esperienze, certe sensazioni che loro non hanno mai provato sulla pelle. Come io non ho provato le loro. Uomini e donne vivono gran parte della propria vita in mondi completamente diversi. E spesso è impossibile raccontarseli del tutto.
Neanche tra di noi. Coi miei amici maschi sappiamo di avere un bagaglio di esperienze comuni. Ma ne abbiamo iniziato a parlare poco, timidamente, recentemente.
Quando cresci maschio, ti insegnano che le emozioni ti rendono debole. Che l'unico modo accettabile di tirarle fuori è la violenza.
Lo insegnano a tutti. E ti insegnano anche che se hai paura, se ti senti rifiutato, non devi chiedere aiuto, non devi dirlo ad alta voce, non devi lamentarti. Chi si aiuta, chi si confida, lo fa in segreto.
Se dovessi descrivere in una parola l'esperienza collettiva di essere un uomo, credo che quella parola sarebbe solitudine.
Io non so cosa significhi essere donna. Non conosco la paura che si vive ogni giorno e quell'ansia terribile e collettiva che hanno vissuto in questi giorni. Per capirla, leggo quello che scrivono loro.
Però so cosa significa essere un uomo. E sono cresciuto anch'io in quella società che rende tanti uomini come me carnefici.
Abbiamo un dovere enorme. Nei confronti delle nostre sorelle. E anche nei confronti dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Di interrompere la catena della violenza, la catena dell'orrore. Di chiedere scusa, per quello che abbiamo fatto e per quello che ci hanno fatto fare. Di dare un esempio diverso.
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ricorditempestosi · 1 year
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rimango subito in silenzio quando qualcosa mi turba. è un meccanismo che ho sviluppato nel tempo. invece di esprimere la mia rabbia o frustrazione, semplicemente mi ritiro e cerco di elaborare le mie emozioni in privato. preferisco gestire i miei problemi da solo
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fee-ling · 2 months
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Ci sono persone ferite con la capacità di aiutare gli altri a guarire, ma che affrontano reali difficoltà nel gestire le proprie emozioni.
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petalidiagapanto · 1 month
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«Al mondo esiste un tipo speciale di persona che spesso viene fraintesa. Queste persone tendono a essere i solitari, gli spiriti liberi, gli amanti innocenti, i ribelli.
Vedono il mondo per quello che dovrebbe essere, anche se il mondo raramente li vede.
Sono le grandi anime, i sognatori, le persone in sintonia con la vita, così intuitive nelle emozioni da spaventare i meno consapevoli.
Spaventano per quello che sono, persone Libere, e la libertà mette paura a chi non la sa gestire.
Le grandi anime raggiungono profondità che non si possono comprendere. Hanno una connessione con Dio, con l'Universo, con la Natura, e per questo sono le persone che cambieranno il mondo.
Spesso ci si sente inferiori, come se dovessimo sforzarci di rimanere lontanamente vicini al loro livello, per essere degni del loro amore.
Ci vuole una persona sicura di sé per amare una grande anima. Ma ne vale la pena. Cambierà la vostra vita.
Sono romantici, sono leali, aiutano a crescere, non sono materialisti, capiscono le connessioni profonde della vita, sono riconoscenti, sono esempi di coraggio.
Percorrono le strade più dolorose di questa vita, eppure in qualche modo trovano il coraggio di sorridere. Di essere altruisti. Di sostenere gli altri.
Amare una grande anima ed esserne amati è un dono dell'Universo»
(Shaniko Kafexhi)
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animadiicristallo · 2 months
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non riesco più a gestire le mie emozioni.
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Io non so gestire le mie emozioni perché le ho sempre represse e nascoste
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mostro-rotto · 2 months
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Il mio "rido per non piangere" si sta piano piano trasformando in "rido perché sono arrivato al collasso emotivo e non riesco più a gestire le mie emozioni così il mio cervello ne sceglie una a caso e solitamente è la risata".
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dilebe06 · 5 months
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L'idea di affrontare nelle mie classi l'educazione all'affettività onestamente mi fa alzare gli occhi al cielo.
Io docente devo insegnargliela?!
Che tra programmi da rispettare, laboratori, progetti extrascolastici, percorsi di collaborazione, l'attenzione alla dimensione cognitiva e partecipativa, le recite, insegnargli a collaborare, le uscite ecc ecc debba anche fare lezioni su questo argomento mi lascia abbastanza perplessa.
Ma non sono i genitori a dovergliela insegnare? Il rispetto, l'educazione, la gestione delle emozioni e dei NO...almeno questo.
Che poi è inutile che fai corsi su come gestire l'affettività senza farsi prendere dalla rabbia o sentimenti simili, se poi quando vai dai genitori a dirgli che sua figlia di 8 anni picchia le sue compagne di classe perché le sono antipatiche, quelli ti rispondono:
Ah..ma la mia bambina non è violenta...ha solo un carattere forte.
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Ai genitori serve un corso... mica ai figli!
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volumesilenzioso · 5 months
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sto andando in sovraccarico, mi sento come se potessi esplodere da un momento all'altro e credo proprio che quel momento sia spaventosamente vicino. in momenti di crisi come questo non so mai come gestirmi, come gestire, interpretare, distinguere e riconoscere le mie stesse emozioni, non so cosa provo, non so cosa sento, cosa ci sia che non va, perché è come se sentissi tutte le emozioni insieme al doppio di quello che è - o che dovrebbe essere - il loro livello massimo di intensità. nei momenti normali, invece, non sento assolutamente niente, e non so quale delle due situazioni sia la peggiore, perché mi rendo conto che quelli che per me sono "momenti normali", non sono poi così normali per gli altri, quindi so che c'è un problema alla base, che non c'è niente di normale o giusto nel non provare assolutamente nulla e sentire questo senso di vuoto costante che sembra non poter essere contrastato in nessun modo. la cosa brutta del senso di vuoto è che c'è sempre, in entrambi i casi, sia nei momenti normali sia in quelli di crisi, sembra crescere sempre di più e non so come fermarlo. odio la mia vita, detesto la mia testa che non mi da mai pace, non sopporto più le crisi di pianto, il fastidio che mi provoca ogni singolo rumore, la mia irritabilità, la rabbia che ho dentro, la mia incapacità nel chiedere aiuto perché forse ho paura delle conseguenze, o forse mi sono solo arresa. non faccio altro che pensare di essere un caso perso, ormai mi sono convinta che non ci sia niente di bello per le persone come me, ho perso la voglia di fare qualsiasi cosa e insieme alla voglia ho perso anche la concentrazione, la motivazione, ho perso tutto. mi è rimasto solo il rumore che ho in testa. ho allontanato tutto e tutti per rimanere sola con me, e so quanto sia sbagliato, ma non riesco a comportarmi in modo diverso. mi sento costantemente stanca, sfinita, fisicamente e mentalmente, come se avessi scalato una montagna, quando la triste verità è che è già tanto se riesco ad alzarmi la mattina. è vero che dormo poco, ma tutta questa stanchezza è immotivata e mi fa sentire debole, non ho la forza di fare nulla, le giornate sono tutte uguali, infinite, fuse insieme, in pratica è come se stessi vivendo lo stesso giorno da anni. non riesco ad andare avanti, non ce la faccio più, mi sento davvero morire. uscire di casa sembra una sfida impossibile, stare sempre a casa è pesante, ma tanto sarebbe pesante anche uscire, respirare è pesante, vivere è pesante, esistere è una tortura. porto negatività nella vita delle persone, quindi penso anche di aver fatto un favore a tutti quelli che ho allontanato. penso che ogni membro della mia famiglia avrebbe una vita decisamente più leggera e spensierata se io non ci fossi, perché sono diventata un problema. loro credono io sia alla ricerca di attenzioni, credono che ogni segno visibile sulla mia pelle sia una richiesta d'aiuto - nonostante non facciano niente di concreto per aiutarmi, dato che non ne hanno le capacità, non hanno i mezzi per farlo -, credono io non pensi davvero di voler morire, che lo dica così, tanto per dire. mia madre è ancora convinta che io non volessi davvero morire quando ho effettivamente tentato il suicidio. secondo loro, se qualcuno vuole davvero morire, compie il gesto e basta, così, a cuor leggero, come se niente fosse, come se togliersi la vita fosse facile come fumare una sigaretta o bere un bicchiere d'acqua. non sanno quanto sia difficile, quanti pensieri ci siano dietro, e con questo non voglio dire che funziona così per tutti, sto semplicemente dicendo che non è facile come pensano loro e come io stessa pensavo. loro non sanno, o meglio, si rifiutano di credere che il mio unico desiderio ogni giorno, in particolare ogni sera, sia quello di addormentarmi per sempre. da una parte va bene così, il fatto che non prendano molto sul serio la cosa distoglie l'attenzione dal problema, però ecco, al fatto che sto male ci credono, lo vedono, MI vedono, e so che per loro non è facile, so di non essere facile, e vorrei non causare così tanti problemi. sono stanca, e basta
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comefioriappassiti · 3 months
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Io non so gestire le mie emozioni.
Questo è il problema.
Ogni volta che sto male, che qualcosa mi turba, come una semplice tristezza momentanea ad un senso di vuoto, io butto giù. Per me è diventato così automatico far finta di niente. Ma a forza di buttare giù, tutte quelle mie emozioni iniziano a pesare come macigni, iniziano ad accumularsi una sopra l’altra. E quindi la domanda è: “perché far finta di niente?”. Penso che mi faccia più paura l’idea ed il pensiero di dover prendere le mie emozioni di petto, e così anziché affrontarle, le lascio incombere.
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