Tumgik
#niente e nessuno può decidere della vita altrui.
noth94 · 2 years
Text
Diritti? Non è la marca dei cioccolatini?
Diritti? Non è la marca dei cioccolatini?
Ahhh… che bello vivere in questo millennio, sono passati solo 22 anni dall’inizio è già si sente in lontananza l’eco del 1400, dove guerre, pestilenze, miseria, negazione dei diritti fondamentali dell’uomo e tanto altro, vengono meno per dare spazio al credo degli stessi che davano la caccia alle streghe… quale miglior tempo in cui vivere? Ancora nel 2022 dobbiamo constatare che nessun diritto è…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Text
DOP – DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è una patologia neuropsichiatrica dell’età evolutiva, caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né diritti altrui.
E’ inserita nella categoria dei Disturbi da Comportamento Dirompente, e viene distinta dal Disturbo della Condotta (DC) e dal Disturbo d’Attenzione Iperattività (DDAI), per i quali bisogna eseguire una diagnosi differenziale. Spesso tra normalità e patologia c’è un confine molto sottile, che diventa quasi invisibile quando si analizzano dei bambini.
La psicopatologia può essere definita come una perdita, o un mancato sviluppo, di quelle competenze e abilità che normalmente sono presenti in una certa fase dello sviluppo.
La diagnosi nell’età evolutiva è resa difficile dal fatto che il soggetto, attraversa un periodo d’instabilità, in cui affronta cambiamenti repentini che lo fanno crescere mentalmente e fisicamente. Cambiano i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti, il suo modo di entrare in relazione con l’ambiente esterno e ciò che è normale in una fase può diventare patologico se persiste nella fase successiva.
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio è infatti caratterizzato da modalità comportamentali ostili, negativistiche, provocatorie che nei primi anni di vita sono del tutto normali. In età prescolare, infatti, l’aggressività e l’ostilità sono i mezzi attraverso i quali si esprime l’egoismo infantile e servono al bambino per imparare a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali ed a sperimentare le prime forme d’adattamento.
Ma è proprio prima dell’ingresso a scuola che cominciano a comparire i sintomi del disturbo ed è per questo che, in genere, risulta molto difficile identificarli, tanto che possono anche trascorrere degli anni prima che il problema venga identificato. Tutti i bambini possono essere scontrosi e capricciosi, però nei soggetti con il DOP queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere, in maniera significativa, il loro inserimento sociale.
La loro è un’ostilità continua e persistente, non rispettano le regole, hanno eccessi d’ira di fronte ad obblighi e divieti, ed appaiono infastiditi da chi li circonda. Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.
Come aiutarli ad uscire da questo stato di disagio?
La parola d’ordine, di un buon intervento educativo e psicologico, dovrà essere “comprensione”.
Sono bambini che non vanno curati, né cambiati, ma prima di tutto capiti.
Con i loro comportamenti sembrano volerci allontanare, ma se ce ne andiamo soffrono di solitudine. Bisogna cercare, allora, di superare le barriere che ci separano dal loro mondo, capire la causa del loro male interiore.
Forse sono ostili perché cercano di difendersi, a causa di traumi che li hanno portati a diffidare degli altri, oppure vogliono attirare l’attenzione, perché hanno bisogno di comunicare i loro problemi e non conoscono altro canale che l’aggressività
Cosa pensano i bambini DOP?
Come valutano se stessi e le loro azioni?
Sono contenti del loro modo di essere o vorrebbero cambiare?
Chi è estraneo al mondo della neuropsichiatria infantile, di fronte alle condotte prepotenti e aggressive dei soggetti oppositivi e provocatori, è portato a dare giudizi che però spesso sono lontani dalla verità.
Certo non è difficile cadere in errore perché, osservando il modo in cui questi ragazzini si relazionano con gli altri, si può facilmente credere che essi provino piacere nel suscitare il pianto dei compagni, nel portare gli insegnanti all’orlo della disperazione, nel creare scompiglio e nel rompere tutto ciò che capita loro a tiro.
Si pensa che essi siano fieri di se stessi, che godano nell’essere temuti dagli altri, ma sta proprio qui la nostra cecità, nell’essere incapaci di andare con lo sguardo oltre le immagini apparenti, per cogliere il nocciolo della loro sofferenza.
Il soggetto affetto dal DOP non vive una vita felice e serena, non è contento del suo modo di essere e si duole per le opinioni che le altre persone hanno di lui.
L’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico. Si sente rifiutato, ma sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento e così sviluppa livelli molto bassi d’autostima e spesso anche dei Disturbi dell’Umore.
Come sostiene Patterson, spesso, questa bassa considerazione che il bambino oppositivo provocatorio ha di se stesso, nasce proprio nell’ambiente domestico.
Il rapporto che questi soggetti hanno con i loro parenti è molto complesso, si tratta di una sorta di coercizione reciproca che, alla lunga, tende a sgretolare l’unità familiare.
Sono gli stessi genitori ad attribuire ai loro figli delle etichette, a definirli “insopportabili”, “aggressivi”, “terribili”. Queste espressioni che possono essere dettate da un momento di collera, se ripetute più e più volte, vengono interiorizzate dal bambino, diventando delle auto-asserzioni negative che egli ripeterà a sé stesso ogni qual volta si sentirà abbandonato da qualcuno.
Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore.
È come se gli chiedesse “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te?
Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”.
Il soggetto DOP, quindi, è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi a lui in veste d’amico, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare, alla fine, imparando a conoscerlo cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo, quindi è bene mettere subito alla prova queste persone, verificare il loro grado di sopportabilità, perché tanto anche loro impareranno ad odiarlo ed è meglio che questo accada prima che egli si illuda di poter ancora ricevere affetto.
MODIFICARE IL COMPORTAMENTO INTERVENENDO SULLE CONSEGUENZE: PUNIZIONI E RINFORZI.
Per far sì che le provocazioni, l’ostilità e gli atteggiamenti aggressivi del DOP vadano estinguendosi, è necessario fare in modo che il bambino incomba in delle conseguenze negative ogni qual volta faccia ricorso a tali comportamenti.
Esistono dei metodi, utilizzabili sia in un contesto scolastico che familiare, che permettono di “punire” il bambino in maniera intelligente, evitando cioè di fare ricorso a castighi rigidi e rimproveri umilianti, che potrebbero produrre effetti indesiderati.
Alcune di queste strategie consistono nel:
– Premiare i comportamenti positivi, anche piccoli ma che conducono alla condotta desiderata e allontanano da quella indesiderata
– Preferire i premi per i comportamenti positivi (anche piccoli) alle punizioni
– Evitare le prediche- Preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole)
– Scegliere le punizioni solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri) e solo se si è provato tutto il resto.
– Decidere tre regole che tutti dovranno tenere in casa o a scuola (scegliere: “parlare a voce bassa” piuttosto che “non si grida”)
– Se si decide di rimproverare farlo con poche e specifiche parole es. “avevamo stabilito questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito ti tocca rinunciare a questo”.
– Se si decide di punire NON usare mai la violenza fisica (sempre bene ribadirlo) perché non facciamo che peggiorare la situazione oltre che fare un grave danno al bambino.
– Se si sceglie di premiare o in alternativa, togliere un privilegio, questo deve essere fatto subito. Se si lascia passare troppo tempo l’effetto sul comportamento svanisce.
– Essere sempre chiari e leali
– Ricordarsi di dare il “buon esempio”. Siamo il suo principale modello. Una risposta stizzita o aggressiva non fa che rinforzare il comportamento oppositivo del bambino.
– Attenuare l’esposizione agli antecedenti che normalmente conducono a comportamenti oppositivi. Ricercare le condizioni che attenuano i comportamenti indesiderati.
– Rimproverare in privato o comunque in modo tale che non possano udire terze persone. La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva.
Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.- Ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”.
– Punire attraverso il Timeout ossia attraverso il trasferimento del bambino in un luogo in cui siano inaccessibili i rinforzamenti positivi, come l’attenzione, l’approvazione dei pari, i giocattoli ed altri oggetti interessanti.
Questo luogo potrà essere il corridoio di casa, un angolo della stanza, o semplicemente una sedia, l’importante è non scegliere mai spazi che potrebbero infastidire il bimbo più del dovuto, come zone buie o confinate.
È bene ricordare, inoltre, che è sufficiente un tempo di appena tre, quattro minuti, e che aumentare tale periodo con lo scopo di rafforzare il valore della punizione è solo controproducente.- Sorprendere il bambino con reazioni impreviste. Questa strategia, proposta da Fiorenza e Nardone serve, in particolare, per fronteggiare gli atteggiamenti provocatori attraverso comportamenti stravaganti, che disorientano il soggetto e lo inducono a riflettere sulle proprie condotte.
La tecnica consiste nel rispondere alle provocazioni, non con rimproveri o punizioni, ma con azioni che possono apparire incomprensibili, come accostarsi al soggetto e dargli un bacio sul naso, senza dare alcuna spiegazione e limitandosi ad asserire che si aveva voglia di farlo.
Questa risposta originale vuole di fatto comunicare al bambino due messaggi:
1) non casco nelle tue provocazioni;
2) sono capace anch’io di provocarti.
– Premiare e Punire attraverso guadagno o perdita di punti
– Piuttosto di dare indicazioni vaghe es. “Comportati bene” o “bravo, oggi ti sei comportanto bene” preferire espressioni come ad esempio “Bravo. Hai apparecchiato la tavola senza fartelo ripetere due volte, ti meriti un premio”
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders Ed. IV, Washington 1994
Crepet Paolo Non siamo capaci di ascoltarli -Riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Einaudi 2001
Colvin G., Ainge D., Nelson R. Provocazioni ed aggressioni verso gli insegnanti: alcune strategie educative, in Difficoltà di apprendimento vol.3 n.3 Febbraio 1998
Despinoy Maurice Psicopatologia del bambino e dell’adolescente, Einaudi 2001.
Cell.3311842704
www.centropsicologicomilano.it
1 note · View note
Text
L’ultimo ballo - Capitolo 1
Sai, tutto sommato la mia vita non è stata niente male… Non è stata sempre perfetta, ma ne ho fatto quello che volevo. Ho una moglie bellissima, che amo, ho amato ed amerò con tutto me stesso, ed un figlio frutto della nostra alchimia così perfetta: la mia gioia più grande, il motivo principale per il quale mi sveglio con il sorriso ogni mattina. Un’altra cosa che mi ha sempre reso felice è il mio lavoro. Ho studiato medicina ed ero medico in uno dei più importanti ospedali del paese. La mia carriera è stata molto dura, per anni ho lottato contro la morte, o almeno ci ho provato. Ho provato a salvare tante, tantissime vite, ho tentato di aiutare persone in fin di vita anche se consapevole del probabile, o quasi certo, risultato. Fino alla fine posso dire di averci almeno provato con tutto me stesso. Finché non mi capitò un anziano signore molto malato. Io cercavo ogni giorno di fare del mio meglio per garantirgli qualche momento in più a questo mondo. Si chiamava Sam. Era un brav’uomo, rimasto solo, non chiesi mai troppo sulla sua storia, per lo più gli tenevo compagnia quando potevo, giocando a carte e leggendo le notizie sui giornali. Peggiorava col passare dei giorni. Lo sapeva e sembrava non curarsene troppo, apprezzavo la sua serenità. Nonostante tutto restava tranquillo. Avevamo un bel rapporto, eravamo sempre felici di passare del tempo insieme. “Sei probabilmente l’ultima persona che vedrò, e ne sono felice,” mi diceva. Ma i peggioramenti erano evidenti.
Un giorno, mentre gli riesaminavo tutti i valori, con poca voce mi chiese di avvicinarmi e disse: “Ho passato la vita a combattere, per raggiungere quello che volevo. Non ho grossi rimpianti ed anche se ne avessi, adesso sarebbe troppo tardi. Chi siamo noi per decidere di combattere la morte che ha ormai preso la sua decisione? Perché rallentarle il lavoro? Io non voglio più combatterla, sono stanco, voglio che mi accompagni là dove è deciso che io adesso vada. Nessuno di noi due ha il diritto di decidere cosa sia giusto per me, la mia vita è ora nella sua gelida mano ed io voglio affidarmici, è più amichevole di quello che si pensi, credimi. Per favore non combatterla più.” Non ebbi la forza di rispondere, rimasi di sasso. Era forse uscito di testa? Mi strinse la mano ed annuì con un mezzo sorriso. Lasciai quella stanza, quella notte stessa Sam morì. Quell'episodio ebbe un forte impatto sulla mia vita, tutto il duro lavoro di una vita mi si sgretolò davanti. Quanto aveva realmente funzionato? Quante delle vite che sapevo di non poter salvare, ma solo di allungarle di qualche giorno avevo poi invece salvato? Mi resi conto che l’inevitabilità della morte è qualcosa che va ben oltre le nostre decisioni. La medicina può oggi stabilire i casi dove non c’è più nulla da fare, e non fa altro che rallentare il tutto, sapendo già di dover perdere quella battaglia. Rivalutai la mia carriera: se salvare le vite era il mio lavoro, ora mi si presentava davanti un grande punto interrogativo. Chiesi dei giorni liberi nel corso dei quali presi la decisione di donare me stesso al migliorare le vite degli altri con le mie competenze. Decisi così di passare alla pediatria.
Aiutare, curare, o solo vaccinare qualcuno di tenera età mi diede uno stimolo nuovo. Tutto ciò mi servì a trovare la mia vera vocazione; se prima il mio lavoro mi rendeva fiero e felice, adesso lo faceva anche di più. Chiesi comunque di rimanere come volontario nel reparto terminali per dedicarmi al supporto di coloro che invece hanno la strada dritta verso un altro destino. Da una parte avevo la vita nel pieno della sua forza, dall’altra la vedevo appassire verso la fine del suo percorso. Feci da volontario a tanti pazienti, ed ero convinto di aver la fortuna di conoscere le persone più sagge al mondo. “Credo che nel momento in cui siamo consapevoli del nostro inevitabile destino, la morte ci doni il massimo della sua saggezza, ci lasci qualcosa da dire a chi sta li pronto ad ascoltarci. Si impara molto ad ascoltare qualcuno che sta prendendo la morte per mano e si sta lasciando trasportare altrove.”   Questo è quello che rispondevo quando mi veniva chiesto il perché della mia scelta da volontario.   Non avendo in cura nessuno di loro, potevo semplicemente sedermi a parlare con i pazienti. Cominciai a vedere la morte non più solo come una cattiveria, un’ingiustizia, ma bensì come un’altera figura con il compito di porre fine alle vite altrui. La vedevo più come il boia del destino, senza scelta e con il più duro dei lavori. Chi di noi sarebbe capace di eseguire un ordine come quello di portare via la vita a qualcuno? Vecchio o giovane che esso sia. Rispetto, ecco quello che provavo. Rispettavo il ruolo di chi si prendeva tutte le colpe quando qualcuno lasciava questo mondo. Passarono mesi, ed avevo fatto del mio volontariato uno studio approfondito sul momento del trapasso. Trovai pazienti ben disposti a parlarne. In molti, quasi tutti direi, mi spiegavano di come si iniziava ad accettare l’inevitabile. Alla fine tutti prendiamo coscienza della nostra impotenza e ci lasciamo andare. C’è chi lo accetta subito, o chi lotta fino all’ultimo. Ma in entrambi i casi alla fine siamo noi a scegliere di lasciarci portar via. Sembra ci venga lasciato il tempo per prepararci. Trovavo tutto molto stimolante, presi appunti su quello che mi veniva detto. Le reazioni erano tutte molto simili, diventavano tutti allegri, rilassati, rassegnati. O almeno quelli che potevano parlare. La vita non dava a tutti la grazia della lucidità fino all’ultimo respiro. Iniziai a capire con il tempo quando qualcuno aveva scelto di andare, e di lì alle ventiquattrore successive ci lasciava. Diedi un titolo ad i miei appunti: “Il duro lavoro della Morte”, dove la descrivevo come una vecchia amica che ci viene a prendere quando il nostro tempo sulla Terra è al termine. I modi in cui ce ne andiamo, sia per cause naturali, malattie o incidenti, non credevo dipendessero da chi aveva il solo compito di portarci altrove, ero sicuro non avesse potere sul libero arbitrio o sul destino di noi tutti.
Freddo, solo il gelo su di me ricordo di quel tardo pomeriggio. Ero di ritorno dall’ospedale, sulla mia bici con la mia tracolla di pelle. Si era fatto già buio. Poi una luce, sempre più vicina e sempre più intensa. Poi nulla… il gelo… Questi sono gli unici ricordi che ho del mio incidente. D’improvviso sentii come una lama gelida accarezzarmi la schiena. Strizzai gli occhi per la troppa luce. Mi alzai ed ero ben vestito con tanto di giacca e papillon. Cercai di guardarmi intorno ma era tutto troppo luminoso e silenzioso. Dove mi trovavo? Pensai di essere nel nulla assoluto.  D’un tratto una musica. Sentii una melodia venire da non so dove. Una musica quasi medievale, flauti, chitarre e battiti di mani a tempo. Continuai a camminare nel bianco di questa luce immensa quando vidi la sagoma di una donna camminare verso di me.
1 note · View note
giangig-blog · 7 years
Text
Tutte le donne sono pazze (Capitolo 6 Debs)
Partendo dal presupposto che non giudico mai i problemi socio mentali che ogni singolo individuo può avere, anche perché io stesso sono stato clinicamente definito sociopatico da una strizzacervelli a cui ho dato parecchi bigliettoni, solo per farmi dire cose banali che avevo già letto in un libro, voglio raccontarvi di quando incontrai Debs.
Di solito il martedì sera con la mia simpatica combricola di amici con problemi di abuso di alcol andavamo in un pub per far partire il preserata a base di birra fredda e cazzate che uscivano a routa libera dalle nostre bocche.
Pinte di bionda arrivavano al nostro tavolino come se piovesse, numerose offese gratuite alla mamma altrui, qualche spinello, un paio di commenti sconci sul culo della cameriera con i jeans grigi attillati, innumerevoli rutti da guinnes dei primati e perdite consenzienti di neuroni celebrali a poco prezzo.
In quel periodo ero al culmine della mia depressione repressa. Avrò pensato al suicidio milioni di volte e in un paio di occasioni sono anche andato vicino a farlo.
Stavo studiando i comportamenti del cervello umano in relazione alle diverse emozioni provate ed ero allo stesso tempo affascinato e spaventato dalle malattie mentali.
Semplicemente cercavo di capire che problemi avessi io.
Sarei diventato un ottimo psicologo se avessi approfondito la questione, ma mi è sempre sembrato stupido farsi interrogare da professori che si credono onnipotenti solo perchè possono decidere sulle sorti di poveri coglioni che pagano per avere un pezzo di carta, che dimostrerà loro solo con quale parte della mano si possono pulire meglio il culo. Ma ho sempre stimato gli universitari, hanno un'idea ben precisa su cosa fare nella vita. Io no. Potevo diventare tantissime cose nella vita, sarei stato anche un ottimo vigile urbano, ma ho deciso di essere un coglione.
Tornando alla mia depressione, passavo da attimi di gioia a momenti rabbia in meno di 27 secondi. Io stesso ero riuscito a capire quando avessi fasi di down totale.
Una volta sono rimasto rannicchiato sul pavimento in un angolo della mia camera, senza fare niente per quasi un'ora. Poi mi sono alzato, sono andato in cucina e ho preso un grosso coltello affilato che mio padre usava per tagliare l'arrosto.
L'ho avvicinato alla gola. Sentivo la lama fredda sfiorare dolcemente la mia pelle. La passavo da parte a parte del collo, accarezzando delicatamente i peli della barba che si radicavano in quel punto.
E' stata una macabra coccola.
Ho posato il coltello, ho messo il giubbotto e sono uscito.
Ma con gli altri, nel mondo normale, cercavo di non dare a vedere il mio disagio. Scherzavo sempre sul fatto che la vita sarebbe durata poco per me e che prima dei trentaquattro anni l'avrei fatta finita.
Ma non ho mai detto a nessuno che quei pensieri erano realmente annidati nella parte più oscura della mia testa. Tranne che a mia madre.
Lei è riuscita ad aiutarmi notevolmente con la mia depressione nel tempo. Le madri sono l'invenzione più bella che qualcuno potesse pensare.
Sono visto come un artista ed agli artisti è concesso dire cose folli o stravaganti.
Ma l'arte è solo una misera coperta che ti copre a malapena dal freddo pungente del dolore. E' pure vero che il dolore è immaginazione pura.
E' come la cocaina. Porta un piacere istantaneo che dura pochissimo per poi farti sentire una merda.
Più o meno funziona così con l'immaginazione. Scrivi, crei qualcosa che pensi sia un capolavoro, finisci e ricominci a sentirti uno schifo come al solito. Io non ho mai sniffato in vita mia, ma forse fa meno male che scrivere.
Dicevo che eravamo al pub io e i miei amici. Ero parzialmente ubriaco.
Non mi piace essere del tutto ubriaco perché comincio a diventare un pagliaccio da circo che viene giudicato male dai sobri e le gambe di solito mi cedono sempre. Da parzialmente ubriaco ho una visione più leggera della vita e delle persone e riesco forse ad essere me stesso.
Uno dei miei amici propose di andare a ballare e così andammo.
Adoro la musica. Ho la sfortuna di conoscerla perfettamente e di capirla come se fosse una parte sincera della mia anima. Un tempo suonavo in continuazione e la musica mi stava anche salvando dalla mia pazzia, ma poi ho conosciuto uno stronzo che mi ha preso completamente per il culo e ho smesso di suonare o comporre. Ma questa storia la sto preservando per un libro che penso diventerà un capolavoro a livello mondiale. Ve la racconto la prossima volta.
Andavamo sempre in una sorta di garage dove pagavi 7 euro per l'ingresso e bevuta compresa.
Suonavano l'hip hop il martedì. Il posto era oggettivamente brutto, ma mi è sempre piaciuto. Le cose belle non fanno per me.
Pagai l'ingresso, mi feci fare il timbro sul braccio per poter uscire, dalla giovane cassiera carina con gli occhiali di cui non ho mai capito il nome, forse Sara o forse Greta, e sono andato a prendere un'altra birra. Non mi piacciono i drink combinati tra un super alcolico e una bevanda gassata. Preferisco una birra sincera che non ha bisogno di essere qualcunaltro per esprimere il suo potere stordente. Il rum mi fa schifo, ma lo bevo ugualmente.
Sorseggiai la birra e guardai tra la folla di venti/trenta persone che era presente dentro il locale.
Erano sempre i soliti. Eravamo sempre i soliti venti/trenta coglioni che si ubriacano di martedì sera.
Sotto la console del dj, un tizio sui cinquanta che aveva perso tutta la sua dignità organizzando queste feste, c'era una ragazza che mi sembrava di non aver mai visto.
Focalizzai meglio e in realtà era una abitue di queste serate, ma non mi era mai interessata più di tanto. Quella sera la notai.
Aveva un top nero che le scopriva la pancia, pantaloni larghi da ballerina che le risaltavano il culo e un cappellino di lana nero con una scritta sul davanti. Fisico perfetto. Aveva i capelli neri, anche se avrei giurato di averla vista bionda in qualche occasione, e dei bei occhi chiari.
Ballava bene. Mi è sempre piaciuto chi sa ballare bene.
Guardò verso di me e sorrise. Ma non ero convinto che stesse sorridendo a me o a qualche altro coglione, allora decisi di ignorarla e andare fuori a fumare una canna.
Non sono in grado di rollarle, me le faccio preparare prima da qualcuno che sa farle e poi le fumo. Non sono neanche in grado di accenderle correttamente. Mi sono sempre stati sul cazzo gli accendini, anche se ne porto sempre uno in tasca.
Al quarto tentativo un po' di fumo riusci ad uscire da quella mista dentro la cartina lunga e alzando lo sguardo notai che la ragazza con il cappellino di lana era appena uscita fuori e si stava mettendo una sigaretta in bocca.
Le allungai l'accendino e ringraziò.
Resistuendomelo disse: "Ci conosciamo?"
"No" risposi "ma penso che tu sia molto carina. Ti ho visto ballare prima, ti muovi bene. Da quanto lo fai?"
Lei arrossì mentre aspirava dalla sigaretta: "Grazie! In realtà non ho mai studiato danza"
"Allora sei doppiamente brava" mi complimentai di nuovo "Non ti ho mai vista da queste parti, non sei di qua?"
"Abito a Firenze con mia nonna, ma spesso vengo in città perchè ho degli amici che vivono da queste parti".
"Cosa fai studi?"
"No, sono volontaria in un canile. Ti piaccioni i cani?"
"Si, ma io non piaccio a loro. Un bassotto una volta ha tentato di mordermi. I gatti invece non piacciono a me"
Mi guardò perplessa e continuò a fumare.
Aveva davvero un bel fisico. Le tette mi sembravano esageratamente gonfie, probabilmente aveva qualche reggiseno imbottito.
Una volta sono stato con una che era veramente un cesso, ma aveva delle belle tette all'apparenza. Quando si è spogliata mi sono reso conto che in realtà aveva delle susine sul petto. Mi chiesi che fine avessero fatto quelle tette e guardando il reggiseno, capii che era un'illusione della tecnologia moderna dell'intimo femminile. Già che c'ero me la scopai, ma il sesso fu terribile. Da allora ci sto attento.
La ragazza che stava fumando era parzialmente carina. Aveva gli occhi azzurri, ma il naso aquilino e io sono pignolo sui nasi. Nel complesso non era male, anche se non dava l'idea di essere un genio. Aveva molti tatuaggi sparsi per il corpo e questa cosa mi fece arrapare.
Ci furono diversi minuti di silenzio nel quale lei finì la sigaretta.
"Torno a ballare, ci vediamo dentro. Comunque piacere Debs".
Le strisi la mano e finii la mia canna pensando a cosa avrei dovuto fare una volta rientrato.
Sostanzialmente sono timido fino ad un certo punto. Ma ho sempre pensato che è più facile provarci con una che ti piace poco, rispetto ad una che ti piace veramente. Se ti vale male, in quel caso, sopravvivi lo stesso.
Tornai dentro e mi accorsi che ero rimasto da solo, anche se i miei amici dovevano essere tra quelle venti/trenta persone che erano nel locale.
Vidi Debs e mi sorrise. Questa volta capii che si stava rivolgendo a me.
Già che c'ero mi dissi "Ma si! Buttati!"
Le andai in contro e ballammo un po' insieme.
Per dire la verità lei ballava e anche bene, io muovevo le gambe a tempo, ma non era una vera e propria danza la mia.
La presi per una mano, le feci fare un giro e poi la strinsi a me.
Lei rise divertita e cominciò a strusciarsi.
Nel momento in cui una si struscia non ci vuole tanto per capire quale sia il suo obbiettivo. Anche se dovete stare attenti alle rizzacazzi, quelle non si sa perchè lo faccino. Ma Debs non aveva l'aria di essere una rizzacazzi.
La presi per i fianchi e ci muovemmo assieme seguendo la musica.
Mi disse: "Non ti muovi male!"
"Seguo i tuoi movimenti piccola"
Sorrise e le feci fare un altro giro.
"Vuoi qualcosa da bere?" le chiesi mentre le cingevo la vita.
"No grazie. Ma sono stanca di ballare. Che ne dici se andiamo a farci un giro?"
Acconsentii e uscimmo dal locale mano nella mano.
Ho sempre questa strana sensazione di innamorarmi delle ragazza al terzo sguardo dolce che mi fanno. In realtà è più un senso di protezione nei loro confronti che vero e proprio amore. Per colpa della mia maledettissima testa, immagino subito un futuro felice con la sfortunata di turno, che non si realizzarà mai. E anche in quel caso fu così.
"Sei in macchina?" mi chiese
"In realtà non ricordo come ci sono arrivato quì"
Debs sorrise premurosa e disse: "Andiamo a casa dei miei amici, non è lontano da qui. Loro sono ancora alla festa, ma possiamo entrare"
"Okey"
Arrivammo al portone di casa dei suoi amici e la ragazza provò ad aprire la porta, ma era chiusa.
"Hai le chiavi?"
"No" disse mentre provava a sforzare la maniglia "ma so come entrare"
Girò l'angolo e si avvicinò ad una finestra abbastanza bassa. Prese un sasso e lo scagliò contro il vetro che si ruppe in mille pezzi.
"Ma cosa fai?!?" le chiesi perplesso.
"Non ti preoccupare, mi hanno detto di fare così quando la porta non è aperta"
"Ti hanno detto di rompergli un vetro per entrare?!?"
"Si più o meno era quello il senso"
La guardai infilarsi agilmente dentro casa passando dalla finestra rotta. Io rimasi come un ebete davanti al portone. Dopo pochi secondi Debs aprì la porta d'ingresso e disse: "Che fai non entri?"
Entrai.
"Siediti sul divano. Ti prendo qualcosa da bere. Una birra va bene?"
Annuii.
In realtà sembrava che la ragazza sapesse realmente muoversi all'interno di quella casa.
Forse veramente quei tizi rompevano finestre quando non avevano le chiavi. Forse uno di loro faceva il vetraio.
Come detto in precenda, non giudico la pazzia delle altre persone.
Tornò con due birre e le stappò con i denti. Me ne passò una e si sedette sul divano vicino a me.
"Conosciamoci un pò meglio" disse mentre tirava una sorsata.
"Okey" risposi
"Facciamo un gioco, si chiama 'due verità e una bugia'. Devi dire due cose vere di te e una falsa e io devo capire qual è quella falsa"
"Okey, inizia tu"
"Allora...una volta ho fatto una cosa a tre con due uomini e mi è piaciuto tantissimo...poi sono del segno della bilancia e...una volta sono stata arrestata per aver rubato in un negozio di intimo"
"Devo dire qual è quella falsa?" domandai.
"Si esattamente!" replicò lei entusiasta, con un misto di pazzia e felicità negli occhi.
Feci finta di riflettere per un paio di secondi e dissi:"Beh...non sei della bilancia"
"Sbagliato! Sono della bilancia, sono nata a Settembre".
"Qual è quella falsa allora?"
"Che ho fatto una cosa a tre con due uomini stupidino...in realtà eravamo due donne e tre uomini"
Feci un cenno del viso compiaciuto.
"Ora sta a te!" disse mentre mi indicò con la bottiglia di birra.
Reflettei su tutte le cazzate che avessi fatto in vita mia. Mi accorsi che erano quasi troppe.
"Beh...una volta mi sono svegliato nudo sul pavimento del cesso di casa mia senza sapere cosa fosse successo...una volta una tizia mi ha tirato un pugno nello stomaco così forte che mi ha fatto cadere per terra piegato in due dal dolore e...in questo momento ho una gran voglia di baciarti..."
La guardai con aria affabile.
Vidi ritornare quella scintilla di follia negli occhi azzurri di Debs.
Scaraventò la birra per terra. La bottiglia non si ruppe, ma il liquido si spare su tutto il tappeto.
La ragazza si lanciò addosso a me e cominciammo a baciarci passionalmente.
Era una furia. Mi dominava completamente.
Mi mordicchiava le labbra ed era piacevolmente doloroso.
Le tirai i capelli portandogli indietro la testa e le baciai il collo. Gemette.
La prima cosa che controllai furono le tette. Le infilai le mani sotto la maglietta e con mio grande stupore era tutto reale. Le strizzai un capezzolo e le mi morse un orecchio.
Sembrava di pomiciare con un animale, ma non mi dispiaceva.
All'improvviso Debs si fermò e mi chiese: "Ti sei realmente svegliato nudo sul pavimento del cesso?"
"Si ero ubriaco marcio" risposi.
"Allora qual è quella falsa?" domandò incuriosita. Intanto giocava con il ciuffo dei miei capelli.
"Non mi hanno tirato un pugno sullo stomaco, me l'hanno tirato sulle palle"
"Dove quì?" disse mentre con la mano afferrò i miei genitali.
"Si brava proprio lì"
Continuammo a baciarci e lei prese il mio uccello in mano.
Le tolsi quei pantaloni larghi da ballerina e le solleticai la fica. Era bagnata.
Delicatamente come un ippopotamo nella stagione degli amori, glielo misi dentro e cominciai a scoparla.
Era molto eccitante. Era folle e tenero.
Debs mi graffiava la schiena e mi mordicchiava ovunque, mentre il mio attrezzo entrava e usciva dalla sua vagina.
Le morsi una tetta. Urlò dal dolore e mi diede uno schiaffo forte sulla testa. Mi fece un male cane.
Poi mi ribaciò passionalmente.
Eravamo due persone completamente fuori di testa che stavano facendo sesso selvaggio in modo dolce, in una casa in cui erano entrati rompendo il vetro di una finestra.
Sentivo la sua pazzia e potevo mischiarla alla mia. Capivo che mi capiva.
L'odore del sesso si confondeva con quello della birra che era caduta sul tappeto.
Continuai a scoparla e venni prepotentemente dentro di lei.
Mi abbracciò completamente nuda come era. Gemeva e sospirava.
Mi diede un tenero bacio sulle labbra. La strinsi.
In quel dolce momento proibito, la porta di casa si aprì e qualcuno urlo: "CHI CAZZO SIETE VOI?"
Due vecchiette con i capelli grigi ordinati, vestite con grossi impermeabili e con delle buste della spesa erano sull'ingresso. Ci guardarono terrorizzate e stranite "CARLA CHIAMA LA POLIZIA!" sbraitò una delle due.
Mi voltai perplesso verso la ragazza che mi stava abbracciando: "Debs?"
Lei fissando le vecchie urlò: "SCAPPA!!"
Si alzò da sopra di me, prese i suoi vestiti e corse in direzione della finestra rotta. Scavalcò e scappò via.
Io dovetti prendermi 25 millesimi di secondi per capire cosa cazzo stesse succedendo. Poi presi i miei vestiti e scappai anche io dalla finestra mentre le due vecchiette urlavano paonazze.
Raggiunsi Debs che mi prese per mano. Corremmo via insieme nudi come in una romantica fuga d'amore tra due pazienti evasi da un manicomio, con la luna che stava sorridendo  mente ci guardava.
Correndo pensai anche a cosa cazzo facessero a quell'ora della notte due vecchiette con impermeabili e buste della spesa. Ognuno ha le proprie pazzie.
Ci nascosimo sotto un ponte ad un isolato di distanza dalla casa e ci rivestimmo.
Mentre mi rimettevo i pantaloni le chiesi incazzato: "Non doveva essere casa dei tuoi amici?"
"Mi devo essere sbagliata..." rispose con normale indifferenza mentre rindossava il top "...è stato veramente eccitante non trovi?" Si avvicino a me con quei bellissimi occhi azzurri folli e mi baciò.
Il mio cervello era andato temporaneamente in pausa.
"Si non è stato male" le sorrisi ricambiando il suo bacio.
Dopo quella sera io e Debs stettimo insieme per diverso periodo.
Facevamo un sacco di cose completamente stupide e fuori di testa.
Una volta volevo fare il galante e la portai a mangiare in un ristorante di classe.
Mi ero anche vestito bene. Indossavo la camicia che avevo comprato per un battesimo e le scarpe eleganti di pelle nera. Lei era molto bella. Aveva un vestito grigio morbido che le fasciava quel fisico eccitante.
Durante la cena Debs fece cadere di proposito il tovagliolo sotto il tavolo. Si avvicinò a me gattoni. Sganciò la patta dei miei pantaloni e mi fece un pompino mentre camerieri e commensali passavano la serata. Le venni in bocca. Lei si rimise a sedere e finimmo di cenare. Quando arrivò il momento di pagare, mi volevo occupare io del conto, ma Debs mi rimproverò. Disse: "Io vado fuori a fumare, dopo 3 minuti vieni anche tu. Scappiamo e non paghiamo un cazzo a questi ricconi di merda".
Si alzò, andò a fumare. Dopo 3 minuti esatti la raggiunsi e corremmo insieme non pagando il conto.
Adoravo Debs. Probabilmente non l'amavo, ma mi faceva sentire vivo.
Non avevo grossi scopi per vivere e devo ammettere che quella folle ragazza con gli occhi azzurri selvaggi e il fisico perfetto, mi ha dato diversi stimoli sinceri per uscire parzialmente dalla mia depressione.
L'amore quasi sempre risolve i problemi.
Il nostro non era amore, ma era un qualcosa che ci si avvicinava molto.
Mi lasciò dopo un paio di mesi per scappare insieme ad un rasta di colore che indossava sempre infradito, per aprire un rifugio per gatti non so dove fuori dall'Italia.
Se ne andò senza avvertirmi. Non un messaggio, non un bigliettino.
Si smaterializzo improvvisamente dalla mia vita. Quasi non me ne resi conto.
Non mi disse neanche addio.
Non ci rimasi male, ma mi mancò per parecchio tempo.
Ricaddi nella mia depressione repressa.
3 notes · View notes
welcometomylife42 · 6 years
Text
Onestamente, è meglio per te, che questo deserto di ghiaccio resti.
Ho fatto un periodo a stare abbastanza "bene", prima di Natale, poi è arrivato Natale e dintorni. Poi sono stata di nuovo "bene", poi di nuovo male, finché ora è un malissimo. Eppure ogni "bene" è meno "bene" del precedente e ogni "male" è peggio di quello prima. Ci sono delle settimane che passano bene, ci sono altre che passano male, tutto l'esterno alla fine è uguale, il problema sono io. Alterno momenti di insonnia, incubi, ansia, rabbia, depressione e crisi a momenti di relativa tranquillità e ora è uno dei primi.
Dovrei staccare da questa mia casa, ma non ho nessuno che potrebbe aiutarmi. Anche il mio corpo ha deciso di gettare la spugna, non so che mi stia succedendo ma ogni equilibrio, chimico-biologico-non so cosa, mi sta abbandonando. C'è qualcosa che non va ma preferisco attendere a scoprirlo.
Sia mia madre sia mio padre stanno male, fisicamente e mentalmente. Non si può andare avanti così. Sono pressata da giudizi altrui sul fatto che a parere degli altri non mi so decidere, non ho voglia di far niente e non sono interessata al mio futuro. Se solo la gente capisse che, quando devi fare progetti per il tuo futuro, non vedi altro che nera tristezza e disperazione. Se smettessero di pressarmi con considerazioni semplicistiche e superficiali, sarebbe già meglio. Vorrei andare avanti a studiare ma, con la famiglia che ho, sarebbe meglio che mi mettessi a lavorare e guadagnar soldi. I miei genitori passano le giornate quasi del tutto a letto, la casa, la loro cura, gli animali... sono tutti sotto la mia responsabilità ma non ce la faccio, non ho così tanto tempo ed energie, non ho fratelli, non ho parenti che vogliono aiutare, al massimo rubare e ingannare e nessuna provvidenza divina si getterà in questa casa di pazzi.
Ci sono dissennatori in ogni dove, prima o poi non riusciremo più a riconoscerci. Non ci sono porte per uscire da questo treno, non c'è nessun altro, solo cadaveri, scheletri e sangue sui sedili, non ci si può nemmeno buttare fuori e morire.
Bel sogno, proprio rasserenante.
Anche io ne ho fatto uno, c'erano pure dei cani, questo è vagamente inquietante, però non sta notte, qualche notte fa.
Ero a Rivasco da sola, non c'era più nessuno nella mia vita, allora mi sono completamente lasciata andare e non parlavo più con nessuno, non mi occupavo più della casa che in poco tempo è diventata un disastro dove quasi non si poteva camminare, ho riiniziato con tante mie vecchie abitudini, ho cominciato a vestirmi solo in stile emo ma molto marcato e fatto con vestiti stracciati.
Rivasco pian piano si è riempito di gente nuova e bruciata e io ero quella specie di ombra che di tanto in tanto si scorgeva ma che non stava mai con altre persone. Non so di cosa vivessi visto che non uscivo mai dal recidence.
Intanto ero sempre più debole e malata e continuavo a nascondere tutto questo sotto chili di vestiti, borchie (?) e trucco neri, avevo anche, non so per quale motivo, migliaia di catenine di metallo attaccate che pesavano sempre più e mi facevano sempre notare per il rumore, ma non riuscivo a toglierle.
Un giorno stavo faticosamente salendo le scale per rifugiarmi nella mia casa quando ho incontrato Serena. Era con delle sue amiche, una bionda e una mora, magre e perfette e del tutto insopportabili. Voleva chiedermi cosa mi fosse successo, oppure era una scommessa, oppure curiosità...non lo so, ma mi ha chiesto di stare seduta sulla ringhiera delle scale con loro a parlare. Ero troppo debole per tenermi in equilibrio e le mani mi scivolavano. Così me ne sono andata. Al piano superiore ho trovato il pavimento bagnato e moltissime utensili per i lavori domestici (scope, aspirapolveri, palette...) che ostruivano il passaggio, ma io volevo tornare a casa e le ho superate. Aperta la porta mi sono trovata la stessa barriera e anche lì sono andata oltre.
Poco dopo hanno suonato il campanello ed era ancora Serena con le sue amiche, mi hanno chiesto di andare con loro a fare una passeggiata in montagna. Ho passivamente accettato.
All'inizio del sentiero sono arrivate altre persone, altri amici di Serena, e abbiamo iniziato a camminare. Serena e una sua amica invece hanno iniziato a correre, l'ho fatto anche io e, nonostante fossi partita per ultima e fossi debole, ho superato l'amica di Serena e ci siamo ritrovate io e lei in questa piazzetta con una fontana e una chiesa. Con Serena c'era anche il suo cane, un Border Collie allegro e vivace che l'ha seguita mentre entrava nella chiesa che era piena di persone. Io sono rimasta seduta sul bordo della fontana e alle mie spalle c'era un muretto. Il cane ha voluto seguire Serena, che non si è curata dei due grossi cani che erano all ingresso della chiesa con delle persone. Erano due cani di dogo argentino, senza collare, che stavano vicini al padrone. Quando il border collie si è avvicinato, ho capito subito che uno dei due era molto aggressivo, ho richiamato il cane di Serena ma non c'è stato molto da fare, l'altro cane lo ha seguito e io mi sono messa in mezzo tra i due, mettendo il border collie alle mie spalle chiuso tra la fontana e il muretto. Il dogo argentino ha iniziato a ringhiare e mordere tentando di ferire l'altro cane e io cercavo di fermarlo. Nessuno fece niente, nessuno mi aiutò, Serena era nella chiesa, il padrone del cane faceva come se niente fosse, tutti stavano a guardare la scena. Ho cercato di chiedere aiuto ulteriore ma non avevo più forze e non avevo molta voce, dopo un po' di tempo non ce l'ho più fatta e il dogo argentino ha ucciso il border collie. Era inerte a terra e io piangerevo mentre tentavo senza risultati di portarlo in vita. Il padrone del dogo lo ha richiamato e se n'è andato con anche l'altro cane e il suo gruppo di persone, guardandomi con disprezzo: il cane era morto e insanguinato, continuavo a muoverlo, a chiamarlo, a tentare di far qualcosa per lui, ma poco dopo ero talmente debole, coperta dal suo sangue e dalla terra, che ero pure io a terra e priva di forze.
Serena ovviamente si è arrabbiata, come tutti (anche quelli che avevano assistito alla scena). Mi hanno accusata di non aver cercato aiuto, di non aver tentato di salvare il cane, di essere insomma una persona terribile poiché non mi ero impegnata. Mi passavano accanto mentre io, nonostante gli iniziali sforzi, non riuscissi ad alzarmi. Mi guardavano con un tale disprezzo e un tale schifo che alla fine ho smesso anche di tentare di alzarmi.
0 notes
noth94 · 2 years
Text
La storia è destinata a ripetersi
La storia è destinata a ripetersi
Aaaaaaaaaaah! Erano belli i tempi in cui la nostra unica preoccupazione era solo una: la pandemia da Coronavirus, avvenuta tra l’autunno del 2019 e presente ancora oggi nel 2022, anche se meno preoccupante di come l’avevamo vista all’inizio. Va bene che in superfice non si vede bene, diciamo per niente, quello che accade al di sotto di questa. Non è perché da noi non ci sono battaglie, guerre…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Text
DISTURBO OPPOSITIVO
DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO  (DOP)
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è una patologia neuropsichiatrica dell’età evolutiva, caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né diritti altrui.
E’ inserita nella categoria dei Disturbi da Comportamento Dirompente, e viene distinta dal Disturbo della Condotta (DC) e dal Disturbo d’Attenzione Iperattività (DDAI), per i quali bisogna eseguire una diagnosi differenziale. Spesso tra normalità e patologia c’è un confine molto sottile, che diventa quasi invisibile quando si analizzano dei bambini.
La psicopatologia può essere definita come una perdita, o un mancato sviluppo, di quelle competenze e abilità che normalmente sono presenti in una certa fase dello sviluppo.
La diagnosi nell’età evolutiva è resa difficile dal fatto che il soggetto, attraversa un periodo d’instabilità, in cui affronta cambiamenti repentini che lo fanno crescere mentalmente e fisicamente. Cambiano i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti, il suo modo di entrare in relazione con l’ambiente esterno e ciò che è normale in una fase può diventare patologico se persiste nella fase successiva.
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio è infatti caratterizzato da modalità comportamentali ostili, negativistiche, provocatorie che nei primi anni di vita sono del tutto normali. In età prescolare, infatti, l’aggressività e l’ostilità sono i mezzi attraverso i quali si esprime l’egoismo infantile e servono al bambino per imparare a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali ed a sperimentare le prime forme d’adattamento.
Ma è proprio prima dell’ingresso a scuola che cominciano a comparire i sintomi del disturbo ed è per questo che, in genere, risulta molto difficile identificarli, tanto che possono anche trascorrere degli anni prima che il problema venga identificato. Tutti i bambini possono essere scontrosi e capricciosi, però nei soggetti con il DOP queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere, in maniera significativa, il loro inserimento sociale.
La loro è un’ostilità continua e persistente, non rispettano le regole, hanno eccessi d’ira di fronte ad obblighi e divieti, ed appaiono infastiditi da chi li circonda. Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.
Come aiutarli ad uscire da questo stato di disagio?
La parola d’ordine, di un buon intervento educativo e psicologico, dovrà essere “comprensione”. Sono bambini che non vanno curati, né cambiati, ma prima di tutto capiti.
Con i loro comportamenti sembrano volerci allontanare, ma se ce ne andiamo soffrono di solitudine. Bisogna cercare, allora, di superare le barriere che ci separano dal loro mondo, capire la causa del loro male interiore.
Forse sono ostili perché cercano di difendersi, a causa di traumi che li hanno portati a diffidare degli altri, oppure vogliono attirare l’attenzione, perché hanno bisogno di comunicare i loro problemi e non conoscono altro canale che l’aggressività.
Cosa pensano i bambini DOP? 
Come valutano se stessi e le loro azioni? 
Sono contenti del loro modo di essere o vorrebbero cambiare? 
Chi è estraneo al mondo della neuropsichiatria infantile, di fronte alle condotte prepotenti e aggressive dei soggetti oppositivi e provocatori, è portato a dare giudizi che però spesso sono lontani dalla verità.
Certo non è difficile cadere in errore perché, osservando il modo in cui questi ragazzini si relazionano con gli altri, si può facilmente credere che essi provino piacere nel suscitare il pianto dei compagni, nel portare gli insegnanti all’orlo della disperazione, nel creare scompiglio e nel rompere tutto ciò che capita loro a tiro.
Si pensa che essi siano fieri di se stessi, che godano nell’essere temuti dagli altri, ma sta proprio qui la nostra cecità, nell’essere incapaci di andare con lo sguardo oltre le immagini apparenti, per cogliere il nocciolo della loro sofferenza.
Il soggetto affetto dal DOP non vive una vita felice e serena, non è contento del suo modo di essere e si duole per le opinioni che le altre persone hanno di lui.
L’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico. Si sente rifiutato, ma sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento e così sviluppa livelli molto bassi d’autostima e spesso anche dei Disturbi dell’Umore.
Come sostiene Patterson, spesso, questa bassa considerazione che il bambino oppositivo provocatorio ha di se stesso, nasce proprio nell’ambiente domestico.
Il rapporto che questi soggetti hanno con i loro parenti è molto complesso, si tratta di una sorta di coercizione reciproca che, alla lunga, tende a sgretolare l’unità familiare.
Sono gli stessi genitori ad attribuire ai loro figli delle etichette, a definirli “insopportabili”, “aggressivi”, “terribili”. Queste espressioni che possono essere dettate da un momento di collera, se ripetute più e più volte, vengono interiorizzate dal bambino, diventando delle auto-asserzioni negative che egli ripeterà a sé stesso ogni qual volta si sentirà abbandonato da qualcuno.
Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore.
È come se gli chiedesse “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te? 
Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”.
Il soggetto DOP, quindi, è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi a lui in veste d’amico, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare, alla fine, imparando a conoscerlo cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo, quindi è bene mettere subito alla prova queste persone, verificare il loro grado di sopportabilità, perché tanto anche loro impareranno ad odiarlo ed è meglio che questo accada prima che egli si illuda di poter ancora ricevere affetto.
 MODIFICARE IL COMPORTAMENTO INTERVENENDO SULLE CONSEGUENZE: PUNIZIONI E RINFORZI.
Per far sì che le provocazioni, l’ostilità e gli atteggiamenti aggressivi del DOP vadano estinguendosi, è necessario fare in modo che il bambino incomba in delle conseguenze negative ogni qual volta faccia ricorso a tali comportamenti.
Esistono dei metodi, utilizzabili sia in un contesto scolastico che familiare, che permettono di “punire” il bambino in maniera intelligente, evitando cioè di fare ricorso a castighi rigidi e rimproveri umilianti, che potrebbero produrre effetti indesiderati.
Alcune di queste strategie consistono nel:
- Premiare i comportamenti positivi, anche piccoli ma che conducono alla condotta desiderata e allontanano da quella indesiderata- Preferire i premi per i comportamenti positivi (anche piccoli) alle punizioni- Evitare le prediche- Preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole)- Scegliere le punizioni solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri) e solo se si è provato tutto il resto.- Decidere tre regole che tutti dovranno tenere in casa o a scuola (scegliere: “parlare a voce bassa” piuttosto che “non si grida”)- Se si decide di rimproverare farlo con poche e specifiche parole es. “avevamo stabilito questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito ti tocca rinunciare a questo”.
- Se si decide di punire NON usare mai la violenza fisica (sempre bene ribadirlo) perché non facciamo che peggiorare la situazione oltre che fare un grave danno al bambino.- Se si sceglie di premiare o in alternativa, togliere un privilegio, questo deve essere fatto subito. Se si lascia passare troppo tempo l’effetto sul comportamento svanisce.
- Essere sempre chiari e leali
- Ricordarsi di dare il “buon esempio”. Siamo il suo principale modello. Una risposta stizzita o aggressiva non fa che rinforzare il comportamento oppositivo del bambino.
- Attenuare l’esposizione agli antecedenti che normalmente conducono a comportamenti oppositivi. Ricercare le condizioni che attenuano i comportamenti indesiderati.
- Rimproverare in privato o comunque in modo tale che non possano udire terze persone. La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva.
Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.- Ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”.
- Punire attraverso il Timeout ossia attraverso il trasferimento del bambino in un luogo in cui siano inaccessibili i rinforzamenti positivi, come l’attenzione, l’approvazione dei pari, i giocattoli ed altri oggetti interessanti.
Tumblr media
0 notes
Text
Tumblr media
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) è un disturbo comportamentale dell’età evolutiva, caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida. Principalmente si manifesta in bambini di età compresa tra 7 e 11 anni.
Spesso tra normalità e patologia c’è un confine molto sottile, quasi invisibile.
La psicopatologia può essere definita come una perdita, o un mancato sviluppo, di quelle competenze e abilità che normalmente sono presenti in una certa fase dello sviluppo.
La diagnosi nell’età evolutiva è resa difficile dal fatto che il soggetto attraversa un periodo d’instabilità in cui affronta cambiamenti repentini che lo fanno crescere mentalmente e fisicamente. Cambiano i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti, il suo modo di entrare in relazione con l’ambiente esterno e ciò che è normale in una fase può diventare patologico se persiste nella fase successiva. Per questo motivo è importante rivolgersi a professionisti specializzati, in grado di identificare correttamente il disturbo e programmare un percorso di sostegno che coinvolga, oltre il bambino, anche genitori e scuola.
CARATTERISTICHE
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio è caratterizzato da modalità comportamentali ostili, negativistiche, provocatorie che nei primi anni di vita sono del tutto normali. In età prescolare, infatti, l’aggressività e l’ostilità sono i mezzi attraverso i quali si esprime l’egoismo infantile e servono al bambino per imparare a distinguere il sé dagli altri, a capire le regole sociali ed a sperimentare le prime forme d’adattamento.
Ma è proprio prima dell’ingresso a scuola che cominciano a comparire i sintomi del disturbo ed è per questo che, in genere, risulta molto difficile identificarli, tanto che possono anche trascorrere degli anni prima che il problema venga identificato. Tutti i bambini possono essere scontrosi e capricciosi, però nei soggetti con il DOP queste caratteristiche si presentano amplificate tanto da arrivare a compromettere, in maniera significativa, il loro inserimento sociale.
La loro è un’ostilità continua e persistente, non rispettano le regole, hanno eccessi d’ira di fronte ad obblighi e divieti, ed appaiono infastiditi da chi li circonda. Prendersene cura è molto difficile, sono causa di stanchezza, di scoraggiamento e di frustrazione per chiunque cerchi di instaurare con loro un rapporto.
Come aiutarli ad uscire da questo stato di disagio?
La parola d’ordine, di un buon intervento educativo e psicologico, dovrà essere “comprensione”. Sono bambini che non vanno curati, né cambiati, ma prima di tutto capiti. Con i loro comportamenti sembrano volerci allontanare, ma se ce ne andiamo soffrono di solitudine. Bisogna cercare, allora, di superare le barriere che ci separano dal loro mondo, capire la causa del loro male interiore.
Forse sono ostili perché cercano di difendersi a causa di traumi che li hanno portati a diffidare degli altri, oppure vogliono attirare l’attenzione, perché hanno bisogno di comunicare i loro problemi e non conoscono altro canale che l’aggressività.
Cosa pensano i bambini DOP? Come valutano se stessi e le loro azioni? Sono contenti del loro modo di essere o vorrebbero cambiare?
Chi è estraneo al mondo della neuropsichiatria infantile, di fronte alle condotte prepotenti e aggressive dei soggetti oppositivi e provocatori, è portato a dare giudizi che però spesso sono lontani dalla verità.
Certo non è difficile cadere in errore perché, osservando il modo in cui questi ragazzini si relazionano con gli altri, si può facilmente credere che essi provino piacere nel suscitare il pianto dei compagni, nel portare gli insegnanti all’orlo della disperazione, nel creare scompiglio e nel rompere tutto ciò che capita loro a tiro. Si pensa che essi siano fieri di se stessi, che godano nell’essere temuti dagli altri, ma sta proprio qui la nostra cecità, nell’essere incapaci di andare con lo sguardo oltre le immagini apparenti, per cogliere il nocciolo della loro sofferenza.
Il soggetto con DOP non vive una vita felice e serena, non è contento del suo modo di essere e si duole per le opinioni che le altre persone hanno di lui. L’immagine che ha di sé è molto svalutante, si considera un incapace, indegno dell’amore altrui e crede che nessuno mai gli potrà essere amico. Si sente rifiutato, ma sa di essere lui stesso la causa del suo isolamento e così sviluppa livelli molto bassi d’autostima e spesso anche dei Disturbi dell’Umore.
Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con il suo repertorio di comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore.
È come se gli chiedesse “Mi vuoi bene anche se ti dimostro che non valgo niente, anche se ti faccio vedere che mi sono preso gioco di te? Mi vuoi bene anche se io stesso sono sicuro di essere un buono a nulla, e sono certo che nessuno mi potrà mai amare?”.
Il soggetto DOP, quindi, è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi a lui in veste d’amico, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare, alla fine, imparando a conoscerlo cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo, quindi è bene mettere subito alla prova queste persone, verificare il loro grado di sopportabilità, perché tanto anche loro impareranno ad odiarlo ed è meglio che questo accada prima che egli si illuda di poter ancora ricevere affetto.
Modificare il comportamento intervenendo sulle conseguenze: rinforzi positivi e rinforzi negativi
Per far sì che le provocazioni, l’ostilità e gli atteggiamenti aggressivi del DOP vadano estinguendosi, è necessario fare in modo che il bambino venga ricompensato per ogni comportamento positivo e che questo sia sottolineato e fatto notare. E' necessario altresì che incomba in
delle conseguenze negative ogni qual volta faccia ricorso a gravi comportamenti disadattivi, quali offendere e arrecare danno.
Esistono dei metodi, utilizzabili sia in un contesto scolastico che familiare, che permettono di “punire” il bambino in maniera intelligente, evitando cioè di fare ricorso a castighi rigidi e rimproveri umilianti, che potrebbero produrre effetti indesiderati.
Di seguito elencherò una serie di strategie che insegnanti e genitori possono utilizzare, non senza prima aver consultato lo specialista. Nel caso riteniate opportuno condurre degli approfondimenti psicodiagnostici è necessario consultare uno psicologo specializzato che possa poi impostare un percorso di riabilitazione cognitivo-comportamentale.
Alcune di queste strategie consistono nel:
-    Premiare i comportamenti positivi, anche piccoli ma che conducono alla condotta desiderata e allontanano da quella indesiderata
-    Preferire i premi per i comportamenti positivi (anche piccoli) alle punizioni
-    Evitare le prediche
-    Preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o guardare la tv) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole)
-    Scegliere le punizioni solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri) e solo se si è provato tutto il resto.
-    Decidere tre regole che tutti dovranno tenere in casa o a scuola (scegliere: “parlare a voce bassa” piuttosto che “non si grida”)
-    Se si decide di rimproverare farlo con poche e specifiche parole es. “avevamo stabilito questa regola, tu l’hai infranta, quindi, come avevamo stabilito ti tocca rinunciare a questo”.
-    Se si decide di punire NON usare mai la violenza fisica (sempre bene ribadirlo) perché non facciamo che peggiorare la situazione oltre che fare un grave danno al bambino.
-    Se si sceglie di premiare o in alternativa, togliere un privilegio, questo deve essere fatto subito. Se si lascia passare troppo tempo l’effetto sul comportamento svanisce.
-    Essere sempre chiari e leali
-    Ricordarsi di dare il “buon esempio”. Siamo il suo principale modello. Una risposta stizzita o aggressiva non fa che rinforzare il comportamento oppositivo del bambino.
-    Attenuare l’esposizione agli antecedenti che normalmente conducono a comportamenti oppositivi. Ricercare le condizioni che attenuano i comportamenti indesiderati.
- Rimproverare in privato o comunque in modo tale che non possano udire terze persone. La punizione non dovrà servire a formulare giudizi, ma dovrà
limitarsi a descrivere il comportamento indesiderato in maniera obiettiva.
Al bambino verranno spiegate le motivazioni che rendono sbagliata tale condotta, verranno suggerite modalità comportamentali alternative e
verranno indicati i vantaggi derivanti dalla loro messa in atto.
- Ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”.
- Punire attraverso il Timeout ossia attraverso il trasferimento del bambino in un luogo in cui siano inaccessibili i rinforzamenti positivi, come l’attenzione,
l’approvazione dei pari, i giocattoli ed altri oggetti interessanti.
Questo luogo potrà essere il corridoio di casa, un angolo della stanza, o semplicemente una sedia, l’importante è non scegliere mai spazi che
potrebbero infastidire il bimbo più del dovuto, come zone buie o confinate.
È bene ricordare, inoltre, che è sufficiente un tempo di appena tre, quattro minuti, e che aumentare tale periodo con lo scopo di rafforzare il valore della punizione è solo controproducente.
- Sorprendere il bambino con reazioni impreviste. Questa strategia, proposta da Fiorenza e Nardone serve, in particolare, per fronteggiare gli
atteggiamenti provocatori attraverso comportamenti stravaganti, che disorientano il soggetto e lo inducono a riflettere sulle proprie condotte.
La tecnica consiste nel rispondere alle provocazioni, non con rimproveri o punizioni, ma con azioni che possono apparire incomprensibili, come
accostarsi al soggetto e dargli un bacio sul naso, senza dare alcuna spiegazione e limitandosi ad asserire che si aveva voglia di farlo.
Questa risposta originale vuole di fatto comunicare al bambino due messaggi:
1) non casco nelle tue provocazioni;
2) sono capace anch’io di provocarti.
- Premiare e Punire attraverso gradagno o perdita di punti
- Piuttosto di dare indicazioni vaghe es. “Comportati bene” o “bravo, oggi ti sei comportanto bene” preferire espressioni come ad esempio “Bravo. Hai apparecchiato la tavola senza fartelo ripetere due volte, ti meriti un premio”
Se avete il sospetto che vostro figlio o un vostro alunno possa manifestare i sintomi di questo disagio provate a compilare il seguente test
(non ha valore diagnostico)
http://www.mentesana.it/test/test05.htm?phpMyAdmin=57d59a20cf2bf9f45d1d71adc92e744c
LE HO PROVATE TUTTE, COSA FACCIO?
Se nonostante gli accorgimenti indicati (impiegati con pazienza e costanza per almeno 4 mesi) non avete ottenuto risultati soddisfacenti potete valutare con gli insegnanti o con i genitori la possibilità di un approfondimento diagnostico.
QUESTA PROBLEMATICA SI PUO' RISOLVERE?
SI, se identificata e trattata precocemente. E' importante che il bambino segua un percorso di riabilitazione psicologica individualizzato che tra gli obiettivi si prefigga il controllo degli impulsi, il riconoscimento, la gestione e l'espressione delle emozioni, l'autonomia e l'adattamento ai contesti, la costruzione dell'autostima, della motivazione, della fiducia. E' raccomandabile intervallare le sedute individuali (almeno due a settimana) con incontri con i genitori e gli insegnanti. Il benessere del bambino dipende soprattutto da quello di chi si prende cura di lui.
Le strategie impiegate possono variare a seconda del caso in esame, e possono includere attività psico-motorie, rilassamento guidato, giochi di relazione e di espressione emotiva, colloquio razionale-emotivo, schede strutturate, attività artistiche e creative.
A CHI RIVOLGERSI?
Dott.ssa Anna La Guzza, psicologa clinico-dinamica e scolastica, esperta in disturbi del comportamento, emotivi e dell'apprendimento scolastico.
cell. 3311842704
Bibliografia:
American Psychiatric Association Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders Ed. IV, Washington 1994
Crepet Paolo Non siamo capaci di ascoltarli -Riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza, Einaudi 2001
Colvin G., Ainge D., Nelson R. Provocazioni ed aggressioni verso gli insegnanti: alcune strategie educative, in Difficoltà di apprendimento vol.3
n.3 Febbraio 1998
0 notes