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#poesie militanti
seminando-rebeldia · 1 year
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“Siamo qui soli a gridarci la vita
siamo noi soli nella tempesta.
E se ci affoga la morte
nessuno sarà con noi
e con la cattiva sorte
nessuno sarà con noi.
I portoni ce li hanno sbarrati
si sono spalancati i burroni.
Oggi ancora e duemila anni
porteremo gli stessi panni.
Noi siamo rimasti la turba,
la turba dei pezzenti,
quelli che strappano ai padroni
le maschere coi denti”.
•Rocco Scotellaro. (Poesie)
“Pozzanghera nera” 18 aprile1948•
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chez-mimich · 6 months
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OVER THE RAINBOW (parte I)
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Nello scorso mese di agosto il Centre Pompidou ha ospitato la mostra "Over the rainbow", una mostra che riunisce più di cinquecento opere d'arte e documenti, principalmente dalla collezione del Pompidou, e riferiti per la gran parte alla produzione artistica francese. Le opere che coprono un arco temporale, che va dal XIX secolo al 2000 e oltre, sono di artisti che hanno contribuito a trasformare la rappresentazione delle sessualità cosiddette “minoritarie” e hanno partecipato alle lotte delle comunità LGBTQ+ per il riconoscimento dei loro diritti. Non ne scrissi a suo tempo, ma lo faccio volentieri ora, dopo aver anche consultato il magnifico catalogo, edito dal Centre Pompidou, di cui ho appena terminato la lettura. Le opere viste erano di grande qualità, anche se molte non propriamente una novità, ma la lettura del catalogo rivela tante cuorisità e informa ampiamente su una serie di fatti e circostanze che dànno la misura di quanto sia stata ardua la conquista dei diritti per le persone con un orientamento sessuale, considerato non conforme alla "norma". La preziosissima cronologia del volume (stampata su pagine fucsia-fluo) prende la mosse dal 1868 quando il giornalista, scrittore e militante Karl-Maria Kerybeny utilizza per la prima volta i termini "omosessuale" e "eterosessuale". A far data da quel remoto anno, il catalogo analizza centinaia di opere letterarie, opere d'arte, di grafica e fotografie, ma anche film ed opere teatrali che hanno dato un notevole supporto culturale e, in fin dei conti, resa possibile la conquista di diritti civili che oggi ci appaiono assolutamente irrinunciabili. Nel repertorio fanno spicco vere e proprie chicche come le poesie di Natalie Clifford Barney : in mostra una preziosa edizione dei suoi "Pensées d'una amazone" del 1920. La Barney, espatriata americana, non per nulla considerava Parigi "la seul ville où l'on peut vivre et s'exprimer à sa guisa..." Di eccezionale bellezza il carnet di disegni di Marie Laurencin, ritrattista e decoratrice, che disegna una donna indipendente, libera nel desiderare l'attenzione di altre donne. Questa scrittrice, oltre che artista, racconterà ne "Le Carnet des nuits" di aver incominciato ad illustrare, a vent'anni, una preziosa edizione di "Les Fleurs du Mal". L'incontro di Adrienne Monnier e Sylvia Beach nel 1916, nei locali della libreria "la Maison des Amis des Livres" all'Odeon, farà diventare il luogo un punto d'incontro di artisti ed intellettuali e proprio lì Sylvia Beach matura l'idea di far nascere una sua libreria, quella "Shakespeare & Co." che sarà da subito frequentata da Margaret Anderson, Natalie Clifford Braney, Gertrude Stein, accomunate naturalmente, e non solo, dal fatto di essere lesbiche "militanti". Tantissimi gli argomenti trattati dagli esplicitissimi disegni “honoérotiques” di Jean Cocteau ai dipinti di Gerda Wegener e Lili Elbe. Il secolo breve scorre veloce e sono davvero numerose le figure rappresentative della lotta per i diritti di queste sessualità non omologate, che spesso viaggiano sottotraccia, come nel caso del travestitismo nel mondo del cabaret, per fare un esempio quello di Félix Mayol gloria dell’Eldorado e della Scala, noti locali parigini (quest’ultimo molto conosciuto anche in Italia). Sul finire del secolo, quando rivendicazioni e lotte escono allo scoperto, anche le arti visive sono massicciamente sul campo di battaglia. È il caso della cosiddetta “grafica queer”, quella per esempio del movimento/scuola Akimbo, nato a San Francisco, che metterà spesso nel suo mirino la politica conservator-reazionaria del presidente George H.W. Bush (continua)
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paoloxl · 4 years
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A Verona, neofascisti uccidono Nicola Tommasoli.
Forse la sua colpa fu quella di avere il codino o forse rispose con fare seccato alla richiesta di una sigaretta ma certamente il suo omicidio maturò nell’humus fascio-alcolico che spesso la sera trabocca nelle strade e nelle piazze della “città dell’amore”. Cinque ragazzi, tutti molto giovani, in giro per i vicoli del centro, ne incontrarono altri tre, un po’ più anziani e probabilmente “non conformi”. La richiesta di una sigaretta, negata, e poi quattro urla, uno spintone, schiaffi e pugni. Una violenza che ebbe conseguenze pesantissime. Nicola Tommasoli, 29 anni, di professione grafico, uno dei tre aggrediti, morì dopo cinque giorni di coma.
I cinque, quella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2008, fuggirono tutti, lasciando Nicola a terra.
La città si svegliò attonita, interrogandosi sui propri figli ma ci fu anche chi non si stupì, perché dal 2001 quello era “soltanto” il quindicesimo episodio di violenza, contando solo i fatti più gravi, compiuto da gruppi od esponenti del mix esplosivo ultras Hellas-destra radicale.
Particolarmente originale il commento sull’accaduto del sindaco Flavio Tosi, intervistato da Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa” (3 maggio 2008): “Non fa storia, capita una volta su un milione”. Una frase evocata ancora oggi, che offende la memoria della città.Il 4 maggio Raffaele Dalle Donne, 19 anni, di San Giovanni Lupatoto, studente del liceo classico Maffei ed ex attivista di Blocco Studentesco, propaggine di CasaPound, si costituisce e finisce in carcere con l’accusa di “lesioni gravissime”. Il Dalle Donne è già noto alle forze dell’ordine, in quanto colpito dal Daspo, il provvedimento che allontana gli ultras violenti dagli stadi e implicato nelle indagini della Procura veronese su un gruppo di 17 giovani ritenuti responsabili di vari pestaggi avvenuti tra il 2006 e il 2007, per i quali si ipotizza il reato di “associazione a delinquere con l’aggravante della Legge Mancino”. La Digos comunica anche di aver individuato altri due del gruppo aggressore, che però sarebbero fuggiti in Austria.
Lo stesso giorno, il solerte sindaco Flavio Tosi, che meno di cinque mesi prima aveva sfilato con Piero Puschiavo ed altri simpatici elementi in un corteo neonazista con codazzo di pestaggio ai danni di tre militari “terroni”, dichiara che “Verona non è una città fascista né neofascista, la matrice politica non c’entra” e chiede “pene severe” per i colpevoli (L’Arena, 5 maggio 2008). Non contento, in un’intervista al Corriere della Sera, anche questa pubblicata il 5 maggio 2008, alla domanda della giornalista: “Sindaco Tosi si dice che siano suoi elettori i ragazzi che hanno aggredito Nicola. Gente dell’estrema destra …”, il primo cittadino risponde: “Mi viene da ridere. Pensi che nella nostra coalizione abbiamo bandito tutto ciò che ha a che fare con l’estrema destra, a cominciare dai simboli. Ci sono milioni di persone che ci hanno votato. Può anche darsi che qualcuno sia un criminale …” (vedi il capitolo sulla Lista Tosi). Dal canto suo l’avvocato di estrema destra Roberto Bussinello, che ha assunto la difesa di Dalle Donne, fa una sviolinata sul dramma in cui – sostiene – “ci sono solo vittime …, il giovane disegnatore in coma, i suoi genitori e i genitori di questi ragazzi” (L’Arena, 5 maggio 2008), un assaggio di quella che sarà la sua linea di difesa in tribunale al processo per l’omicidio di Nicola.
Alle 18 del 5 maggio 2008 Nicola Tommasoli viene dichiarato morto. L’accusa di “lesioni gravissime” si trasforma per Raffaele Dalle Donne in quella di omicidio. E non solo per lui. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio la Digos preleva dalle loro abitazioni altri due giovani implicati nell’aggressione, ambedue di Illasi: Gugliemo Corsi, 19 anni, operaio, tifoso dell’Hellas e fondatore di un gruppo di supporter, e Andrea Vesentini, 20 anni, promotore finanziario, del tutto sconosciuto sia nell’ambiente calcistico che politico. Il dirigente della Digos Luciano Iaccarino comunica che i due giovani fuggiti all’estero sono stati individuati, volti e nomi noti per la loro militanza in gruppi di estrema destra e nella tifoseria ultras, i loro soprannomi sono “Peri” e “Tarabuio”. Uno dei due, come Dalle Donne, è nella lista dei 17 indagati e perquisiti dalla Procura per le violenze 2006/2007. Iniziano le prime ricostruzioni dell’accaduto, la serata al bar Malta e poi in giro per il centro fino all’incontro con Nicola e i suoi amici a Porta Leoni: “Codino, dame na sigareta”, il rifiuto, le parole, gli spintoni, l’intervento degli altri, Nicola a terra, la fuga. E le reazioni dei cinque, il silenzio di Vesentini e Corsi, apparsi “strani” ai genitori, il tentativo di fuga di Dalle Donne, fermato dal padre e convinto a presentarsi in questura, gli altri due che spariscono. Notti insonni per la polizia e per il magistrato Francesco Rombaldoni. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio i due ricercati, che erano fuggiti a Londra, tornano in Italia. Sono Federico Perini, “Peri”, 20 anni, di Boscochiesanuova, e Nicolò Veneri, “Tarabuio”, 19 anni, già indagato nella lista dei 17; ambedue sono ultras dell’Hellas, colpiti da Daspo. Perini è stato candidato di Forza Nuova alle ultime amministrative per la seconda e l’ottava Circoscrizione.
Sui media locali i commenti si sprecano, dai paesani dei giovani in carcere, compresi sindaci e parroci, a sacerdoti, capi scout, psicologi, pedagogisti, educatori, scolastici e non, e, ovviamente, politici di ogni ordine e grado. L’emergenza “educativa” e la “crisi dei valori” diventano pane quotidiano, qualcuno si azzarda anche a nominare gli ultras e a criticare l’ex ministro Castelli (Lega Nord) che, in una trasmissione radiofonica andata in onda il 5 maggio ha stigmatizzato l’accaduto come “statisticamente irrilevante”. Ma il più divertente, seppur nella tragedia, resta il presidente della Provincia ed ex rettore della locale università Elio Mosele, il quale afferma (L’Arena, 6 maggio 2008) che quanto successo dipende dal venir meno della “figura materna, intesa come principio di organizzazione familiare e certezza relazionale”. Intanto, sul luogo dell’aggressione, uomini e donne, giovani e anziani, portano fiori, lasciano biglietti e poesie, si fermano in raccoglimento. La città è presa d’assalto dai media nazionali e non, al presidio antifascista che si svolge nel pomeriggio del 6 maggio partecipano centinaia di persone come centinaia sono le lettere di cittadini e cittadine alla rubrica del quotidiano locale “L’Arena di Verona”. L’assedio dei media, in particolare l’attenzione sulle frequentazioni e alleanze politiche del primo cittadino, produce strani effetti persino sul quotidiano storico dei veronesi, da sempre schierato dalla parte dei “potentati” cittadini. Stavolta neanche “L’Arena” può esimersi dal pubblicare notizie e interviste che smentiscono le dichiarazioni di chi intende minimizzare l’accaduto o escludere la matrice politica.
Il 7 maggio il quotidiano dedica nove pagine al delitto Tommasoli, dieci con quella delle “Lettere”. A p. 7 troviamo la notizia della seduta straordinaria del Consiglio comunale e della manifestazione silenziosa previste per il giorno successivo, con la richiesta al sindaco del presidente dell’assemblea Pieralfonso Fratta Pasini (Fi) di proclamare il lutto cittadino nel giorno dei funerali di Nicola Tommasoli. Il Fratta Pasini, collega di partito delll’ex sindaca Michela Sironi (2 mandati, 1994-1998 e 1998-2002), la prima a sdoganare i fascisti nelle istituzioni comunali, ci tiene a far sapere di voler mantenere “il profilo istituzionale di questo Consiglio straordinario, non entrando nel merito delle polemiche politiche …”. Polemiche peraltro già in atto, visto che il capogruppo dei Comunisti italiani, Graziano Perini, si è rifiutato di sottoscrivere il documento comune contro la violenza firmato da tutti i consiglieri comunali. Non bastasse, a p. 10 c’è un’intervista con un ragazzo massacrato dai fascistelli un anno prima in centro storico, che denuncia come i suoi aggressori siano ancora in giro “da un bar all’altro in cerca di risse”, tanto che lo stesso giornalista è costretto a rintuzzare il commento del sindaco Tosi sull’aggressione a Tommasoli “è un caso isolato”, ricordando le decine di pestaggi avvenuti in città nell’ultimo anno e mezzo e l’allarmante rapporto del Viminale (marzo 2007) sull’estremismo politico a Verona, in cui veniva scritto chiaro e tondo che i gruppi dell’ultradestra avevano intensificato le iniziative di impronta razzista.
Il procuratore Guido Papalìa, che aveva già parlato di una “nuova area dell’estrema destra disomogenea che si è aggregata spontaneamente” (L’Arena, 5 maggio 2008), rincara la dose parlando di “matrice nazifascista” del delitto; secondo il magistrato, passato alla storia della città non solo per aver condotto tante scomode inchieste ma anche per essere stato prematuramente “sepolto” in una aiuola di piazza Bra durante la manifestazione che la Lega organizzò nel 2005 proprio per “difendere” i suoi militanti accusati di violazione della legge Mancino in relazione alla campagna del 2001 “contro gli zingari”, dall’ideologia nazifascista questi ragazzi hanno preso “la caratteristica razzista, nel senso che si è voluto colpire il diverso. Ma non solo il diverso per razza, bensì il diverso perché si comporta in modo diverso, la pensa diversamente, perché ha un atteggiamento diverso, si veste in modo diverso e secondo questa ideologia non può convivere nel centro storico della mia città. Sono scuse per colpire chi non è omologabile a me”. Chi ha orecchie per intendere intenda. Non è il caso di un certo numero di esponenti politici, dai prudentissimi Pd che fanno sapere di non voler strumentalizzare politicamente la vicenda ma invitano il sindaco Tosi a “smarcarsi definitivamente da certe forze” (Stefania Sartori, capogruppo Pd in consiglio comunale) allo stesso Tosi, che, oltre a prendersela con Perini, reo di “strumentalizzazione politica”, si produce a p. 15 in un’imbarazzante intervista. Prima invoca per le persone coinvolte nel pestaggio “una condanna durissima e pesantissima”, poi, quando gli viene ricordato (durante la trasmissione radio “Unomattina”) che i giovani fermati sono indicati come vicini alla destra più estrema, ricorda che lo stesso procuratore capo (!) ha detto che non facevano parte di un partito organizzato, sono dei disgraziati, tra l’altro non sono neanche di Verona, ma della provincia”. Dopo essersela presa con Paolo Ferrero (Prc, ministro uscente) per “l’uso fatto del tragico e brutale assassinio di Nicola Tommasoli” dichiara che tale uso “assomiglia molto alla richiesta della sigaretta fatta dal branco alla povera vittima: un puro pretesto per massacrare mediaticamente la città”. E poi avanti tutta con il “caso Marsiglia”, il professore di origine ebraica che denunciò falsamente di essere stato picchiato, mettendo la città sotto una luce ingiustamente negativa, il “disagio giovanile e l’emergenza educativa” e, infine, la replica al consigliere regionale Franco Bonfante (Pd), reo di ricordare la visita fatta da Tosi nel 2005, insieme ad Andrea Miglioranzi e Federico Bricolo, ad altri cinque giovani di estrema destra, in carcere in attesa di giudizio per il pestaggio e l’accoltellamento di Volto san Luca (2005, vedi Cronologia). Da questo momento in poi la posizione del sindaco Tosi e dei suoi sodali resterà inalterata. Verona e la sua fama di “città dell’amore” va difesa a tutti i costi e nonostante qualsiasi evidenza. Quindi nonostante la costituzione di parte civile del Comune di Verona al processo Tommasoli e la richiesta di 150mila euro di risarcimento per i danni patiti dall’immagine della città (il tribunale fisserà la cifra a 50mila euro), nonostante il successivo pestaggio di Francesca Ambrosi da parte dei soliti “disgraziati” della Curva, nonostante i raid in Veronetta di Marcello Ruffo (CasaPound e Lista Tosi) , nonostante l’approvazione in consiglio comunale di ordini del giorno ributtanti come quello proposto da Zelger sul “numero verde” per denunciare chi parla di “gender” nelle scuole.
Nonostante tutto Flavio Tosi, convenientemente aggiustato dal suo addetto stampa, partecipa a miriadi di talk-show sulle tv nazionali, dove fa la parte del gigione di famiglia, tanto amante del calcio ma in fondo dotato del tipico buonsenso della casalinga veneta. Del resto, non è il solo. La città ha dimenticato, la città dimentica in fretta.
Ma c’è ancora chi la memoria la coltiva, e sono gli estremisti tanto invisi a Tosi e ai suoi, quelli che Vittorio Di Dio vorrebbe fossero “sistemati” per la strada, gli unici che tutti gli anni, da quel 30 aprile 2008, organizzano manifestazioni, presidi, spettacoli teatrali (tra i tanti ricordiamo “Verona caput fasci” scritto e interpretato da Elio Germano ed Elena Vanni), reading, invitano madri di altri ragazzi uccisi dalla violenza di destra, intellettuali, esponenti politici, musicisti per ricordare Nicola.
Nicola, poteva essere qualsiasi di noi.
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ideeperscrittori · 5 years
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Lo stupore di tutti è comprensibile. Pensate, la polizia ha scoperto che militanti di estrema destra avevano un arsenale da guerra. Uno si aspetta di trovare in loro possesso fiori, libri di poesie e trattati sui diritti umani. Sono basito, dico davvero...
— L’Ideota
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carmenvicinanza · 4 years
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Gwendolyn Brooks, prima afroamericana a vincere il Pulitzer
#GwendolynBrooks è stata la prima autrice nera a vincere il Premio #Pulitzer per la poesia nel 1950.Le sue sono poesie politiche, frutto del suo attivismo per i diritti civili. Ha unito il forte impegno per l’identità razziale e l’uguaglianza con una padronanza delle tecniche poetiche, riuscendo a colmare il divario tra la poesia accademica della sua generazione negli anni ’40 e i giovani scrittori e scrittrici militanti neri/e degli anni ’60.
#unadonnalgiorno
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http://www.officinevonnegut.com/unadonnalgiorno/gwendolyn-brooks-prima-afroamericana-a-vincere-il-pulitzer/
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pangeanews · 4 years
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Se avessimo dato ascolto a Charles Péguy… Lode all’“amodernista” che tentò di unire scienza e mistica. Uno studio
Oltre allo studio del personaggio e alla ricerca dello scoop, fra le più alte mire della biografia c’è l’esplorazione di una personalità generazionale: l’individualità la cui vita e il cui lavoro illuminano la mentalità e la cultura, in un preciso momento e luogo della storia. Questo tipo di ambizione emerge decisamente nella mirabile biografia dell’intellettuale Charles Péguy, un pensatore troppo spesso relegato agli studi di esperti di politica e cultura francese del fin-de-siècle.
Matthew Maguire, professore associato di storia e studi cattolici presso la DePaul University, in Carnal Spirit: The Revolutions of Charles Péguy (University of Pennsylvania, 2019), ha dato un’estesa definizione di Péguy (1873-1914): quest’uomo di lettere, così selvaggiamente indipendente, fondatore del bisettimanale Cahiers de la quinzaine, tenne una posizione trasversale rispetto alle definizioni culturali delle antinomie del suo tempo, sfidando le due grandi correnti della modernità, il progressismo e la reazione. Mentre il primo si identificava nel “inesorabilità del divenire” e il secondo si sforzava di resuscitare il passato, Péguy credeva che entrambe le tendenze soccombessero in forme simili di “immanentismo”. Ossia, entrambi, ognuno a modo proprio, cercavano di determinare l’ordine finale o perfezionato – in altre parole, la fine della storia – in questo mondo e in questo tempo.
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Certamente, i progressisti illuminati erano devoti alla scienza, al positivismo e ai valori liberal-democratici; dal canto loro, i reazionari rigettavano tutto ciò, per favorire la gerarchia e un nazionalismo tradizionalista ed esclusivamente cattolico. Potrebbe sembrare un’evidente lotta fra modernisti e antimodernisti, ma non era così per Péguy. Infatti, egli credeva in un futuro guidato dalla scienza e dal costante progresso, che però non fosse più prono al modernismo – nelle sue aspirazioni più profonde – della visione reazionaria. “Questi particolaristi carichi d’ira,” spiega Maguire, “spesso sottintendono una lealtà alle più vecchie nozioni di trascendenza – inclusa la fede religiosa e la sua dichiarazione di verità eterna – ma la loro concezione di ciò trascende il tempo solo come immanenza arrestata. Presentano un passato amalgamato come unità… da reinserire meccanicamente all’interno del presente, senza creatività o stupore”. Ironia della sorte, alcuni finti antimodernisti (incluso il fondatore del movimento politico di destra Action Française e seguace del positivista Auguste Comte, Charles Maurras) credevano che la “scienza avrebbe confermato i loro particolarismi e pregiudizi”. Tuttavia, Péguy mantenne una posizione critica nei confronti di entrambe gli schieramenti e ciò gli impedì di essere identificato sia come modernista, che come antimodernista, sostiene Maguire, ma come qualcosa di molto distinto e di istruttivo: un amodernista.
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Péguy si fece strada grazie al suo essere indipendente. Si è fatto da solo, crescendo ad Orléans e dalle sue origini umili è riuscito a raggiungere l’apice dell’élite intellettuale parigina. Rimasto orfano di padre a meno di un anno, apprese il valore del lavoro dalla madre e dalla nonna, che riuscivano a sbarcare il lunario lavorando 16 ore al giorno come rammendatrici d’imbottiture per sedie. Impressionato dall’acume di Péguy, il preside della scuola che frequentava gli riservò un posto solitamente concesso ad alunni provenienti da famiglie altolocate. Da studente prodigio, Péguy iniziò la sua ascesa attraverso una successione di scuole prestigiose, fino ai migliori circoli intellettuali del paese, come la École Normale Supérieure, dove iniziò a leggere e a socializzare con alcuni dei pensatori più noti dell’epoca, tra cui Émile Durkheim, Georges Sorel, Julien Benda, Jacques e Raïssa Maritain, e Henri Bergson.
Oltre al suo percorso accademico, Charles Péguy venne formato dalla religione cattolica, dagli ideali della Terza Repubblica e da un forse senso di solidarietà con il proletariato. Tuttavia, rispose a ognuno di questi stimoli in modo fortemente personale: ripudiò le correnti clericali e reazionarie del Cattolicesimo (fino al punto di interrompere temporaneamente il suo rapporto con la chiesa); insistette sull’allargamento della giustizia a tutti i cittadini della repubblica e non solo a quelli ritenuti coerenti (per esempio, puri da un punto di vista etico o religioso); e sviluppò una varietà di socialismo anti dogmatico, che esaltava i legami mistici della solidarietà invece di un mero programma tecnocratico marxista di applicazione dell’uguaglianza.
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Come molti intellettuali, giornalisti e attivisti della belle époque, Péguy venne segnato anche dal suo coinvolgimento nell’affare Dreyfus. Un’ignobile farsa della giustizia francese che propiziò una guerra culturale fra i sostenitori e gli oppositori della condanna del Capitano Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo dell’esercito francese, falsamente accusato di aver passato informazioni al nemico durante la Guerra franco-prussiana. È stato proprio il caso Dreyfus a convincere Péguy ad aprire una piccola libreria socialista nel quartiere latino di Parigi. Voleva farne un forum per aprire un dibattito nel momento in cui gli antidreyfusiani, principalmente antisemiti nazionalisti e reazionari cattolici, si radunavano per le strade per opporsi al proscioglimento di Dreyfus, nonostante le schiaccianti prove della sua innocenza.
Da convinto dreyfusiano, Péguy scoprì velocemente che ciò che lo spingeva a sostenere la scarcerazione dell’innocente ufficiale non corrispondeva alle ragioni dei suoi compagni militanti, dato che questi venivano da una retorica antidreyfusiana. Non è un segreto che il suo supporto a Dreyfus non derivasse da un qualche tipo di amore astratto o universalista per giustizia – come invece fu per moltissimi, fra cui Zola, la cui celebre lettera aperta, “J’Accuse”, mobilitò numerosi altri attivisti – ma per un attaccamento particolare alle tradizioni della République.
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Péguy si rivela, quindi, come un liberale atipico, che crede che i principi del liberalismo debbano essere innestati in un humus locale, nelle tradizioni autoctone. Diffidente del cosmopolitismo, sosteneva che un “vero internazionalismo” si sarebbe dovuto ergere, come commenta Maguire, “sul nazionalismo e sulla storia che lo sostiene, invece di un internazionalismo che rigetta le radici locali e nazionali”. Quest’ultimo, secondo Péguy, era parte integrante dell’imborghesimento astrattivo e venale della società moderna, che lui, in quanto socialista, contrastava. Inoltre, guardava con sospetto i valori politici e metafisici semplicisti del “partito intellettuale” progressista; valori costruiti su una demistificazione senza sosta del mondo, attraverso l’oggettivizzazione del riduzionismo scientifico e della quantificazione di ogni cosa. La limitazione della libertà umana e il valore dato dal progressivismo duro e puro venivano incarnati dalla rivendicazione dei suoi sostenitori, secondo cui la scienza empirica sostituiva il bisogno del metafisico: una rivendicazione cieca anche per i suoi stessi presupposti metafisici.
Per portare avanti la sua battaglia contro entrambe le coalizioni politiche, Péguy abbandonò i propri studi alla École Normale e, nel 1900, lanciò la sua rivista bisettimanale, con l’intenzione di rimanere indipendente da interessi esterni (anche dal Partito Socialista, che ritirò la propria offerta di supporto quando Péguy rifiutò la supervisione del partito) e dalla pubblicità. Il suo sarebbe stato un “journal vrai” (vero giornale). La calendarizzazione bisettimanale indicava l’intenzione dell’editore, scrive Maguire, “di mediare fra il quotidiano, ossia la cronaca in presa diretta, e la più temporalmente estesa sfera di interesse della filosofia, della teologia e della storia”. Un numero poteva comprendere una pluralità di commentari, oppure un unico saggio su un grande pensatore, o persino un lungo estratto da un romanzo o un’opera filosofica (incluso, in un’occasione, senza il permesso da parte dell’autore, come con uno dei filosofi contemporanei preferiti da Péguy, Henri Bergson). Nonostante le uscite fossero irregolari, la rivista ebbe influenza ben al di là dei suoi 1.400 abbonati. Era letto dalle migliori menti di Francia, molte delle quali collaborarono con Péguy. In preda alle difficoltà economiche e mentre continuava la sua produzione personale – saggi, opere teatrali e poesie – Péguy mantenne aperto Cahiers de la quinzaine fino allo scoppio della Grande Guerra, quando si arruolò nell’esercito. Rimase ucciso poco dopo, mentre conduceva una carica contro la linea tedesca.
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Nonostante Maguire sia un accademico di genio, il suo libro non esaurisce l’esplorazione delle reali connessioni di Péguy con gli eminenti personaggi a lui contemporanei. Menziona il rapporto con il compagno dreyfusiano Julien Benda (autore de Il tradimento dei chierici), ma si sofferma poco sui forti contrasti che i due hanno avuto. Benda era un razionalista inflessibile (qualcuno potrebbe addirittura definirlo irragionevole), che dava la colpa dell’affare Dreyfus ai ceppi di filosofia tedesca e romanticismo che avevano infettato la cultura francese. Benda credeva che il misticismo e l’irrazionalismo antilluminista – di cui la filosofia vitalista di Bergson era l’emblema – minacciassero di annebbiare le cristalline e rigorose categorie cartesiane della cultura intellettuale francese, indispensabili per gli ideali della Terza Repubblica.
Per quanto apprezzasse Benda, Péguy trovava il suo estremizzato razionalismo arido e insostenibile, soprattutto quando si trattava di promuovere la solidarietà fra i cittadini di una nazione. La convinzione di Péguy secondo cui tutte le politiche iniziassero nella mistica – ossia, nella reale misteriosità delle credenze e dei miti trascendenti e condivisi – lo hanno reso un attento e profetico critico delle condizioni di separazione sociale e dell’anomia che spesso hanno portato al populismo ultranazionalista nelle moderne democrazie, tendenzialmente con risultati disastrosi.
*
Si potrebbe accusare Maguire di aver lasciato delle lacune sulle divergenze fra Péguy e i reazionari cattolici. Infatti, anche se era in buoni rapporti con Charles Maurras – tanto che quest’ultimo recensì positivamente alcune delle sue opere – Péguy era irritato dal modo in cui Maurras e altri strumentalizzavano la religione cattolica per promuovere la propria agenda antiliberale. Péguy aborriva il vile clericalismo della destra, tanto che smise di frequentare la chiesa completamente, anche se rimase un sostenitore della propensione alla carità della chiesa e, in cuor suo, fortemente convinto dei valori della sua fede.
Lasciando da parte queste mancanze, Maguire fornisce una lucida ed encomiabile critica sulle correnti intellettuali di un periodo di transizione assolutamente decisivo, che comprende gli ultimi vent’anni del diciannovesimo secolo fino ad almeno i primi due decenni del ventesimo. I concetti che ispiravano i due schieramenti ideologici dominanti contrastati da Péguy non sono decaduti con la fine della Prima Guerra Mondiale. Infatti, sarebbero riemersi con ancor più vigore nella Repubblica di Weimar, con il Partito Nazionalsocialista che condensava alcune delle peggiori tendenze di entrambe le ideologie, nel tentativo di ottenere un Reich etnicamente purificato e la sua versione della fine della storia. Tutti sanno com’è andata. La più recente versione della fine della storia – quella successiva alla conclusione della Guerra Fredda – ha sancito il trionfo delle democrazie liberali e del mercato libero. Anche se molto più positiva della sua predecessora, anch’essa stramazza sotto il peso delle sue contraddizioni e dell’hybris.
Invece di differenti versioni della fine della storia così immanentiste, Péguy sperava in un’epoca della “competenza”, che incorporasse un sano interesse per gli ideali liberali e la scienza empirica (compreso un certo scetticismo sui limiti di quest’ultima) a una genuina tolleranza verso la varietà dei concetti metafisici più profondi, fra cui l’ammissione del trascendente e della mistica. Tale “federalismo metafisico”, sostiene Maguire, “limiterebbe l’eccesso di un’egemonia restrittiva della metafisica nella cultura contemporanea”. Péguy credeva che i sostenitori dell’egemonia metafisica – sia di destra che di sinistra – contrastassero le arti liberali, che invece riteneva indispensabili per una democrazia repubblicana. Uniti invisibilmente nella condivisione dell’immanentismo, questi egemonisti incarnavano la profonda intolleranza della tarda modernità e perciò andavano smascherati e contrastati per la pericolosa causa che avevano deciso di sposare. Forse, il fatto che gli avvertimenti dati dalla voce chiara e profetica di Péguy si siano perduti al suo tempo come nel secolo che da allora si è dispiegato, è da considerare una delle più grandi tragedie della modernità.
Jay Tolson
*Il saggio è stato originariamente pubblicato su “The Hedgehog Review”, si può leggere qui; la traduzione è di Giacomo Zamagni
L'articolo Se avessimo dato ascolto a Charles Péguy… Lode all’“amodernista” che tentò di unire scienza e mistica. Uno studio proviene da Pangea.
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seminando-rebeldia · 2 years
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seminando-rebeldia · 1 year
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“..NON C'ERANO QUADRI: E SI FORMARONO NELLA LOTTA.
NON C'ERANO ARMI: E SI STRAPPARONO AL NEMICO.
NON C'ERANO SCARPE, NON C'ERANO ABITI.
NON C'ERANO VIVERI,
E SI TROVARONO,
NON C'ERANO MEDICINALI,
NON C'ERA CHE UN PO' DI PAGLIA PER LE MEMBRA INFRANTE DEI FERITI.
COSI' SONO NATI I RIBELLI.”
Raimondo Luraghi (Martelli)- Capo di S. M. 4 Brigata Garibaldi
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seminando-rebeldia · 1 year
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▪️13 APRILE 2015• PASSA AL VENTO IL CANTORE DELL’AMERICA LATINA: EDUARDO GALEANO▪️
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seminando-rebeldia · 2 years
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"A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari, a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi.
Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore, a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai,
a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali, ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo
e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti. In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene… a tutti i teatranti."
(Miguel de Cervantes Saavedra, Don Chisciotte)
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seminando-rebeldia · 2 years
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seminando-rebeldia · 2 years
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Per il pane e le rose
per la vita che resta
per tutto o niente ora e subito
per la voce che ancora rischia.
Per questo fumo che si alza
per queste ossa spezzate
per questi giorni di guerra di pietre
per queste nuove barricate.
Da ogni angolo di questa terra
un grido si alzerà
resurrezione insurrezione
la lotta continuerà
IN NICARAGUA LA LOTTA CONTINUA
IN PALESTINA LA LOTTA CONTINUA
IN SUDAFRICA LA LOTTA CONTINUA
niente sarà più come prima.
Per la nostra allegria
per i nostri colori
da quando gioia e rivoluzione
son tornate nei nostri cuori.
Per il sangue versato
per la forza che resta
per questi pugni ancora alzati
per il coraggio di dire basta.
Da ogni angolo di questa terra
un grido si alzerà
resurrezione insurrezione
la lotta continuerà
ANCHE IN IRLANDA LA LOTTA CONTINUA
IN PALESTINA LA LOTTA CONTINUA
IN SUDAFRICA LA LOTTA CONTINUA
niente sarà più come prima.
IN NICARAGUA LALOTTA CONTINUA
IN PALESTINA LA LOTTA CONTINUA
IN SUDAFRICA LA LOTTA CONTINUA
niente sarà più come prima.
Per questa terra occupata
per la vittoria di sempre
per chi ancora non si arrende.
uniti sotto questo cielo.
Da ogni angolo di questa terra
un grido si alzerà
resurrezione insurrezione
la lotta continuerà
ANCHE A PALERMO LA LOTTA CONTINUA
INTORNO A NOI LA LOTTA CONTINUA
DENTRO DI NOI LA LOTTA CONTINUA
niente sarà più come prima
IN SUDAFRICA LA LOTTA CONTINUA
IN PALESTINA LA LOTTA CONTINUA.
Niente sarà più come prima...
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seminando-rebeldia · 3 years
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Ci ho messo 50 anni a diventare comunista.
E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione.
E 11 anni di carcere di massima sicurezza.
E 5 anni di celle punitive. [..]
E le cariche dei carabinieri nei corridoi delle prigioni.
E il sangue nelle celle. E il sangue dal naso.
E il sangue dalla bocca. E i denti rotti.
E la fame all’Asinara.[..]
E i racconti dei torturati.
E i colpi contro la porta per non farti dormire.
E i colloqui respinti senza un motivo.
E la posta sottratta.
E il linciaggio del vicino di cella.
E il vivere col cuore in gola.
E la pressione che sale.
E il cuore che senti ingrossare.
E il compagno che se ne va con la testa. [..]
E i vetri infranti ai colloqui.
E le rivendicazioni coi pugni chiusi.
E la ritirata strategica.
E gli scioperi della fame condannati.
E i sorrisi spariti.
E gli odi tra compagni.
E le demolizioni personali.
E la disgregazione umana.
E le perquisizioni anali.[..]
E l’assalto coi cani nelle celle.
E i compagni colpiti da schizofrenia.
E i primi tradimenti.
E la massa di dissociati.
E l’isolamento politico. [..]
E gli anni che passano e i giorni che conti.
E i silenzi, i silenzi, i silenzi.
- #SanteNotarnicola “Liberi dal silenzio”-
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seminando-rebeldia · 3 years
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seminando-rebeldia · 3 years
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•14 MARZO 1978: BUON COMPLEANNO CARLO, SEMPRE NEL NOSTRO ❤️•
Ho fame di luci diverse
ho sete di splendide aurore
di giorni di pace di sere più terse
ho un mondo diverso nel cuore
Ho fame di prati puliti
ho sete di ogni colore
di fabbriche aperte di cieli infiniti
ho un mondo diverso nel cuore
Ho fame di immensa speranza
ho sete di onesto furore
di boschi sinceri di calma eguaglianza
ho un mondo diverso nel cuore
Ho fame di antichi futuri
ho sete d’un Rosso chiarore
di erigere case di abbattere muri
ho un mondo diverso nel cuore
Ho fame di lotta e di stelle
ho sete di pane e d’amore
d’avere fratelli d’avere sorelle
ho Carlo ragazzo nel cuore.
•Ciccio Giuffrida•
#CarloGiuliani #PerNonDimenticare
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seminando-rebeldia · 5 years
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