Tumgik
#Riflessioni sulla questione ebraica
gregor-samsung · 1 year
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“ Agli occhi del marxista la lotta di classe non è in nessun modo il combattimento tra il Bene e il Male: è un conflitto di interessi tra gruppi umani. Ciò che induce il rivoluzionario ad adottare il punto di vista del proletariato è anzitutto il fatto che questa classe è la sua, poi il fatto che è la classe oppressa, che è la classe di gran lunga più numerosa e la sua sorte, per conseguenza, tende a confondersi con quella dell'umanità, infine che le conseguenze della sua vittoria necessariamente comporteranno la soppressione delle classi. Lo scopo del rivoluzionario è quello di cambiare l'organizzazione della società. E per ottenerlo occorre senza dubbio distruggere il vecchio regime, ma questo non basterebbe: prima di tutto conviene costruire un ordine nuovo. Se per assurdo la classe privilegiata volesse concorrere alla costruzione socialista e si avessero prove manifeste della sua buona fede, non ci sarebbe alcuna ragione valida per respingerla. E se è assai improbabile che essa offra di buon grado il suo concorso ai socialisti, è perché la sua stessa situazione di classe privilegiata glielo impedisce, non certo per chissà quale demone interiore che la spingerebbe suo malgrado ad agire male. In tutti i casi, delle frazioni di questa classe, se se ne staccano, possono sempre essere aggregate alla classe oppressa e queste frazioni saranno giudicate dai loro atti, non dalla loro essenza. «Me ne infischio della vostra essenza eterna», mi diceva un giorno Politzer. Per il manicheista antisemita invece l'accento è posto sulla distruzione. Non si tratta di un conflitto di interessi, ma dei danni che una potenza malvagia causa alla società. Di conseguenza, il Bene consiste innanzitutto nel distruggere il Male. Sotto l'acredine dell'antisemita si nasconde l'ottimistica convinzione che l'armonia, una volta soppresso il Male, si ristabilirà da sola. Il suo compito è dunque esclusivamente negativo. Non si tratta di costruire una società, ma solamente di purificare quella che esiste. Per ottenere questo scopo, il concorso degli ebrei di buona volontà sarebbe inutile ed anzi nefasto e d'altra parte un ebreo non potrebbe essere di buona volontà. Cavaliere del Bene, l'antisemita è sacro, l'ebreo è pure lui sacro a suo modo: sacro come gli intoccabili, come gli indigeni colpiti da un tabù. Così la lotta viene condotta su un piano religioso e la fine del combattimento non può essere altro che una distruzione sacra. I vantaggi di questa posizione sono molteplici: per prima cosa, essa favorisce la pigrizia dello spirito. Abbiamo visto che l'antisemita non capisce niente della società moderna, sarebbe incapace di concepire un piano costruttivo; la sua azione non può collocarsi al livello della tecnica, ma si mantiene sul terreno della passione. Ad una impresa di largo respiro egli preferisce un'esplosione di rabbia analoga all'amok dei malesi. La sua attività intellettuale si rifugia nell'interpretazione: cerca negli avvenimenti storici il segno della presenza d'una potenza malvagia. Da ciò quelle invenzioni puerili e complicate che lo rendono simile ai grandi paranoici. Ma d'altra parte l'antisemitismo convoglia le spinte rivoluzionarie verso la distruzione di determinati uomini, non delle istituzioni; una folla antisemita crederà d'aver fatto abbastanza quando avrà massacrato alcuni ebrei e bruciato qualche sinagoga. Rappresenta dunque una valvola di sicurezza per le classi possidenti che incoraggiandolo sostituiscono ad un odio pericoloso contro il regime un odio benigno contro dei privati. “
Jean-Paul Sartre, L'antisemitismo. Riflessioni sulla questione ebraica, introduzione di Filippo Gentili, traduzione di Ignazio Weiss, Mondadori (collana Oscar / Saggi), 1990. [Libro elettronico]
[ 1ª Edizione originale: Reflexions sur la question juive, Gallimard, novembre 1946 ]
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gregor-samsung · 2 years
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“ L'antisemita ha paura di scoprire che il mondo è fatto male: perché allora bisognerebbe inventare, modificare e l'uomo si ritroverebbe padrone dei propri destini, provvisto di una responsabilità angosciosa ed infinita. Perciò localizza nell'ebreo tutto il male dell'universo. Se le nazioni si fanno guerra ciò non deriva dal fatto che l'idea di nazionalità, nella sua forma presente, implica quella dell'imperialismo e del conflitto di interessi. No, è l'ebreo che sta lì, dietro ai governi, e soffia la discordia. Se c'è una lotta di classe, ciò non si deve al fatto che l'organizzazione economica lascia a desiderare: sono i caporioni ebrei, gli agitatori dal naso adunco che traviano gli operai. Così l'antisemitismo è originariamente un manicheismo; spiega il corso del mondo con la lotta del principio del Bene contro il principio del Male. Tra questi due principi non è concepibile nessun accordo: bisogna che uno dei due trionfi e che l'altro sia annientato. Guardate Celine: la sua visione dell'universo è catastrofica; l'ebreo è dovunque, la terra è perduta, l'ariano deve badare a non compromettersi, a non venire mai a patti. Ma stia in guardia: se respira, ha già perso la sua purezza, perché l'aria stessa che penetra nei suoi bronchi è insozzata. Non si direbbe questa la predicazione di un cataro? Se Celine ha potuto sostenere le tesi socialiste dei nazisti, lo ha fatto perché pagato. Nel fondo del suo cuore non ci credeva: per lui non c'è soluzione che nel suicidio collettivo, nella non procreazione, nella morte. Altri, Maurras o il PPF, sono meno scoraggianti, prevedono una lunga lotta, spesso incerta con il trionfo finale del Bene: è Ormuzd contro Ahriman. Il lettore ha compreso che l'antisemita non ricorre al manicheismo come ad un principio secondario di spiegazione. Ma è invece la scelta originale del manicheismo che spiega e condiziona l'antisemitismo. “
Jean-Paul Sartre, L'antisemitismo. Riflessioni sulla questione ebraica, introduzione di Filippo Gentili, traduzione di Ignazio Weiss, Mondadori (collana Oscar / Saggi), 1990. [Libro elettronico]
[ 1ª Edizione originale: Reflexions sur la question juive, Gallimard, novembre 1946 ]
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