Tumgik
#a tutti quelli come te filippo
sofysta · 5 months
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È stata una buonanotte per te vermetto? Sei riuscito a dormire ? Oppure l'angoscia ed i rimorsi si stanno risvegliando pian piano prendendo il posto di quella rabbia da animale che hai avuto verso chi dicevi di amare? Soddisfatto della tua mano che teneva in pugno il coltello e sferrava colpi sul collo e sul corpo di quella ragazza indifesa ? Ci vogliono bravura e coraggio a farlo. Si sei stato coraggioso,si..si... puoi essere orgoglioso di te sai? Orgoglioso di rintanarti a vita come una bestia qualunque che sente l'odore del suo predatore più grande sempre in agguato! Così devi sentirti, braccato. E se anche ti trovassero, una volta in carcere mi piacerebbe che gli altri detenuti ti facessero scontare lentamente la tua condanna nel peggiore dei modi infierendo su di te due volte di più di quel che tu hai fatto con lei. Dai ora cerca di chiudere gli occhi se riesci, se non ti ammazzi prima e pensa che mancano pochissime ore .... goditele nel disagio (semmai ne starai provando) perchè il countdown per te è cominciato.
Buon risveglio " bravo ragazzo "
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omarfor-orchestra · 3 months
Note
ho letto le sinossi e sinceramente ho delle cose da dire:
Cosa ne pensi dei nuovi arrivati?
Palese Consuelo la violentano, sennò mi chiedo cos'altro possa "andare storto"
Sofia sinceramente non mi convince, mi sembra un rip-off di Paola della prima stagione
Ho paura per la romance tra Lino e Silvia, sarà una trashata assurda
Secondo te chi è che muore/se ne va?
Metto sotto un readmore aspè
Allora premetto che non ho seguito le riprese né nulla quindi faccio considerazioni a caldo e non studiate
Secondo me Alina ci darà delle gioie e potrebbe anche essere una piacevole pausa dagli intrecci dei clan etcetc. Avrà uno sviluppo lineare, anche circoscritto, non mi interesserebbe nemmeno troppo dei suoi rapporti con il resto. Mi piace l'idea di dare un'amica a Cardio che sostituisca un po' Filippo, adorerei se non sostituisse anche Gemma ma non sono così fiduciosa. Angelo boh sembra il vero sostituto di Filippo (viene da una famiglia benestante e si trova in carcere? Sul serio?) e questa roba dei segreti in cui c'entra sempre Silvia ma che è ma perché lasciatela stare. Comunque non riesco bene a inquadrarlo perché comunque lo devo ancora incontrare, però non mi convince molto, sembra un copia e incolla un po' a casaccio. A sto punto tenevi Sasà.
Consuelo pensavo la ammazzassero tutto considerato. Poi invece a quanto pare vive ma o la violentano o tipo le tagliano una mano una cosa del genere per avere un trauma che porta a così tante conseguenze. Non mi convince la violenza sessuale per quel "qualcosa va storto", uno stupro non può accedere per sbaglio, ma magari ci leggo troppo io.
Sofia mi auguro solo non abbia una storia con Massimo perché sennò veramente che bassezza
Lino e Silvia il mio incubo peggiore non so veramente come possa essere venuto in mente agli sceneggiatori ma Antonio non si è licenziato appena letto un accenno nei copioni io non capisco
Secondo me se ne vanno quelli vecchi, Cardio e Pino quasi sicuro, mi auguro Silvia e Kubra. Non so dire se morti, probabilmente no perché morendo ormai potrebbero andarsene solo quelli più coinvolti nelle dinamiche, quindi Edoardo Carmine Rosa e Mimmo. Però far morire Mimmo sarebbe troppo simile a Pirucchio, Edo ormai direi che se non è schiattato fino a mò seppellirà tutti gli altri, Rosa sarebbe riprendere la trope di Nina. Carmine è ormai l'unico protagonista, ammazzi pure lui? Nonsense.
L'unico che avrei visto morto suicida come possibile fine in character era Cardio, ma a questo punto non ne sono così convinta. Almeno leggendo i primi 6 episodi
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edozit · 2 years
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Fulminacci è Roma
È successo tutto per caso mentre cercavo di capire, vagando sul lungo Tevere (che chissà perché poi è sempre deserto, ma l’avete visto là sotto cos’è?) perché gli altri ci riescono ed io no. E proprio in quel momento arriva nelle orecchie questo Filippo che mi propone dei sogni e ‘sti cazzi dei soldi, a quelli ci pensiamo quando siamo grandi.  Da quel momento Fulminacci è Roma. La mia colonna sonora per ogni istante vissuto nella Capitale: Fulminacci sono le sere passate a passeggiare nella Storia, a sbirciare il cupolone dal buco di una serratura, le sere tra i locali, tra i cornettari aperti tutta notte fino all’alba a Capocotta. Fulminacci è le serate a Pigneto, tra via Fivizzano, le colazioni da Burro, le serate tra i coccodrilli ed i tramonti lungo il mandrione. Fulminacci è san Giovanni tra un concertone e le chiacchiere infinite tra birre, realtà, magie, pensieri e grandi bugie.
Fulminacci è la rabbia, la depressione, la voglia di rivincita, ché fino ad oggi vabbè ma domani...
Fulminacci è un tipo che manco m’aveva poi convinto così tanto la prima volta ed invece poi è come se: “...davanti a te io mi potessi dimenticare delle paure che fanno male all'esistenza e l'esigenza, di avere chiare le prospettive, certificare le aspettative era il mio limite, rispetto a te, che mi stravolgi tutti gli schemi ma lo fai solo perché ci tieni”  Fulminacci è un progetto da realizzare, di quelli che non sai come fare ma sai solo che lo vuoi fare tocca solo trovare la giusta tattica. E se capita che quell’obiettivo ti fa attraversare mezza Italia Fulminacci decide di portarti la sera la notte che non hai e fa la data zero del suo tour in un posto che stai incominciando a chiamare casa mica per caso.  
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lamilanomagazine · 7 months
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Milleunanota - Chasing the Future: venerdì al "Sociale" Sergio Cossu, da Matia Bazar a Janacci.
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Milleunanota - Chasing the Future: venerdì al "Sociale" Sergio Cossu, da Matia Bazar a Janacci. Cuneo. All’interno del calendario di eventi Chasing the Future, cofinanziati da Comune di Alba, Fondazione CRC e Banca d’Alba, tornano i consueti eventi autunnali organizzati dall’associazione Milleunanota, con due appuntamenti d’eccezione e due di Music On The Bus. Due gli appuntamenti principali. Il primo è per venerdì 20 ottobre al “Sociale”, con l’imperdibile concerto in piano solo di Sergio Cossu, dal 1984 al 1999 tastierista, autore e produttore dei Matia Bazar. Sergio Cossu è un pianista, polistrumentista, compositore, editore e produttore discografico. Ha esordito all’inizio degli anni ’80 come autore per Enzo Jannacci e Miguel Bosé (Sevilla, Amante Bandido) e scrivendo jingle e musiche per teatro, radio, televisione, performance, sonorizzazioni.
È stato componente dei Matia Bazar come tastierista, autore e produttore dal 1984 al 1999. Con la band ha partecipato a quattro Sanremo (Premio della Critica 1985), ha registrato sette album e ha tenuto concerti e apparizioni televisive in tutto il mondo. Tra le sue composizioni più conosciute Ti sento, Souvenir, Noi, Stringimi, La prima stella della sera, Piccoli giganti, Dedicato a te. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo disco per pianoforte solo “Falsopiano” seguito da “Aprile” (2020), “Esitazioni” (2021) e “Musica dalla finestra” (2022). Il secondo con un momento innovativo intitolato Musica Scienza, che si terrà domenica 29 ottobre all’Auditorium Palazzo Mostre e Congressi: esperti, giornalisti e musicisti si confronteranno sulle nuove frontiere che le tecnologie aprono per il settore musicale, dai concerti nel metaverso con le relative importanti implicazioni (ad esempio in un’ottica di maggiore fruibilità per le persone con disabilità) alle curiosità mai dette sul mondo dei suoni e della musica. Con la partecipazione della prof.ssa Serena Bovetti del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi - NICO e Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi - DiBioS dell’Università di Torino e della LWT3 di Milano. “Anche quest'anno torna Chasing the future con tanti appuntamenti, Music on the bus, appuntamenti in teatro e l’innovativo format Musica Scienza. Quelli pensati quest'anno sono quindi eventi che mantengono le caratteristiche degli anni passati ma cercano di evolversi e offrire curiosità culturali sempre maggiori. Musica, cultura e ambiente sono tutti elementi che fanno parte del nostro percorso culturale”, commenta il direttore artistico dell’associazione Milleunanota Filippo Cosentino. "Oltre ai preziosi appuntamenti in Teatro e al Palazzo Mostre e Congressi, con Music on the bus portiamo letteralmente eventi di qualità nei quartieri per far sì che possa arrivare il clima della Fiera anche fuori dal centro. È una bella sfida che rinnoviamo insieme all’Ente Fiera e a una realtà di qualità come quella di Milleunanota”, sottolinea l’assessore al Turismo e Manifestazioni del Comune di Alba, Emanuele Bolla. Tutti gli eventi sono a ingresso gratuito. Programma Venerdì 20 ottobre h. 21 Teatro Sociale “G. Busca” di Alba Sergio Cossu, dai Matia Bazar a Jannacci: La mia musica fra pop e jazz Dal 1984 al 1999 tastierista, autore e produttore dei Matia Bazar Introduzione a cura del noto critico musicale Alceste Ayroldi e di Adriana Riccomagno, giornalista professionista, presidente Milleunanota Sabato 21 ottobre h. 17 Music On The Bus Giardini Maestri del Lavoro, corso Piave (possibilità di trovarsi in loco o di partire da Alba in piazza Garibaldi alle 16.30 con il bus elettrico di Bus Company dedicato) Lapo Vannucci, Luca Torrigiani “Ricordi di temi italiani e spagnoli per 88 tasti e 6 corde” Domenica 29 ottobre h. 17 Auditorium Palazzo Mostre e Congressi Musica Scienza Musica, ricerca, metaverso e Intelligenza Artificiale Interventi della prof.ssa Serena Bovetti del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi - NICO e Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi - DiBioS dell’Università di Torino, dell'azienda innovativa LWT3 e di Filippo Cosentino, direttore artistico Milleunanota e ideatore di Cultura Circolare, metodo di organizzazione eventi sostenibili   Partner tecnici della rassegna: Bus Company, Dragonfly Music Studio, Circolo Acli Collettivo Scaparun 1982, LWT3 Ulteriori informazioni: www.milleunanota.com; Mail: [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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tricksterfellow · 1 year
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l’esercizio del “se fossi…”
Se fossi un piatto sarei un Vindaloo indiano: agnello delicato triturato e immolato alla vita, patate che vengono dalla terra, concrete e saporite, curcuma  esotica, burro tenero e scivoloso, così appaio alle persone, Chili in polvere a volontà, perché sotto alla cenere cova il fuoco, appena mi assaggi non te ne accorgi, ma a lungo andare il sapore divampa.
Se fossi un colore sarei il nero, che assorbe e annulla tutti gli altri. 
Se fossi una città sarei Amsterdam, placida, ma anche multiculturale, grandi dighe la preservano dal rischio costante di essere sommersa dalle acque dell’oceano; sui suoi canali ha filosofeggiato Baruch Spinoza, che comprese che “Deus sive natura”, Dio io dico la natura. 
Se fossi un profumo sarei “Incenso” di Filippo Sorcinelli, sempre con lo sguardo rivolto verso l’alto. 
Se fossi un libro sarei “l’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera, qual è il significato delle nostre piccole vite, nel grande fluire della storia, piccole grandi passioni, amore, turbamenti, grandi scelte, come quella presa da Tomàš, al tramonto della primavera di Praga del 1968: lasciare il proprio paese, la carriera sicura da medico, la propria casa o fuggire in Svizzera ? “Es muss sein , Es muss sein “ ! Si ripete per farsi forza, optando per la seconda. 
Se fossi una foto sarei una vecchia foto ingiallita vittoriana, scovata in chissà quale baule, di chissà quale soffitta, come le tante che sto ritrovando a casa di mia nonna.
Se fossi un animale sarei la terribile pantera nera, temuta dai locali che la credono dotata di poteri magici, primo fra tutti l’invisibilità; nella giungla è quasi impossibile scorgerla e quando accade è ormai troppo tardi. 
Se fossi un quadro sarei uno degli action painting di Pollock, strati di colore, intrecciati, carichi di esperienze, di persone conosciute e perdute, di luoghi visti e altri solo sognati, un intreccio inestricabile e inconoscibile persino a me stesso. 
Se fossi un accessorio sarei uno specchio, di quelli semplici, con la cornice di legno, che riflette il mondo che gli si palesa. 
Se fossi una moto sarei una vecchia Harley degli anni ‘70, piena di ruggine, dimenticata in un garage, quanto è crudele il tempo, per cui nulla contano le glorie passate. 
Se fossi una frase sarei questa di Hemingway: “nessun animale ha più libertà del gatto, il gatto è il migliore degli anarchici” come un gatto bramo trovare  quella piccola libertà del quotidiano, quella serenità giocosa che mi è mancata per anni. 
Se fossi una musica sarei “Starway to Haven” dei Led zeppelin, la scala per il paradiso che tutti ricerchiamo. 
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amicidomenicani · 1 year
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Quesito Caro Padre Angelo, volevo chiederle: esattamente quando è nata la Chiesa? Il giorno di Pentecoste o prima? Grazie in anticipo per la risposta.  Risposta del sacerdote Carissimo,  a proposito della fondazione della Chiesa dobbiamo dire tre cose: Gesù Cristo l'ha promessa, Gesù l'ha fondata, Gesù l'ha manifestata. 1. Innanzitutto l'ha promessa quando ha detto a Pietro: “E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18). La parola Chiesa tra gli evangelisti è usata solo da Matteo e per due volte. La prima nel versetto che ho appena citato, la seconda in Matteo 18,17 quando Gesù dice: “Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano”. Nel testo greco, che è l'originale del Vangelo, al posto di comunità si trova la parola “ecclesìa”, Chiesa. Chiesa significa comunità, assemblea, convocazione. 2. Quando Cristo ha fondato la Chiesa? Ecco che cosa dice il concilio Vaticano II nella Lumen gentium, che è la costituzione dogmatica sulla Chiesa: “Il Signore Gesù diede inizio alla sua Chiesa predicando la buona novella, cioè la venuta del regno di Dio da secoli promesso nelle scritture” (LG 5). E: “Questo regno si manifesta chiaramente gli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo” (LG 5). Si potrebbe dire pertanto che ha fondato la Chiesa progressivamente. Prima ancora di renderla visibile attraverso un gruppo di persone l’ha fondata nel cuore di coloro che ascoltavano la sua predicazione. 3. Tra le opere con le quali Cristo ha costituito la Chiesa come comunità dotata di una sua struttura vi è la scelta dei 12 Apostoli con Pietro come loro capo. Ecco che cosa si legge nel Vangelo di Marco: “Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui.  Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni.  Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro, poi Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè «figli del tuono»; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, il quale poi lo tradì” (Mc 313-19). Qui la chiesa è visibile per la prima volta con la sua struttura. Li ha costituiti come collegio. Per questo viene detto che la Chiesa è stata gerarchicamente costituita. Visibilmente questo è stato il primo nucleo. 4. Tuttavia non va dimenticato che la Chiesa è nata principalmente dal cuore di Cristo e dalla sua volontà di donarsi totalmente agli uomini. Allora nel sangue e nell'acqua usciti dal costato di Cristo appeso alla croce giustamente i Santi Padri hanno visto la nascita della Chiesa. E hanno commentato così: come dal costato di Adamo che dormiva Dio trasse da una sua costola Eva, così dal costato di Cristo nuovo Adamo "dormiente sulla croce” ha tratto la Chiesa, la sua mistica sposa. 5. In un terzo momento Gesù ha manifestato pubblicamente la Chiesa alla moltitudine degli uomini nel giorno della Pentecoste. Dice il Concilio Vaticano II: “Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra, il giorno di Pentecoste fu inviato lo spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa (LG 4): E nel decreto Ad gentes sulla vocazione missionaria della Chiesa il medesimo Concilio afferma: “Ma fu nel giorno della Pentecoste che lo Spirito Santo si effuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno; la Chiesa apparve ufficialmente di fronte alla moltitudine ed ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani” (AG 4). 6. Per concludere mi piace ricordare che proprio dalla parola Chiesa, che significa convocazione, appare la natura missionaria della
chiesa inviata da Cristo a tutti i popoli per farli suoi discepoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20). Con l'augurio che tu possa essere sempre figlio della chiesa, come si è espressa fieramente Santa Teresa d’Avila sul letto di morte, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. Padre Angelo
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Tre Guitti: De curtis - Troisi - De Filippo
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Che fatica'.. Ah, a parigi sarà tutto diverso: le strade, la gente, la corte. Il re farà diventare il mio padrone ricco, famoso e io finalmente non farò più il servo nelle farse, ma sarò un vero servitore. E avrò cinque di tutto: cinque pasti al giorno, cinque berretti, cinque scarpe, cinque camiciole, cinque calzoni, cinque..
Cit. Massimo Troisi da "Il viaggio di Capitan Fracassa" di Ettore Scola. https://www.youtube.com/watch?v=Ghl88jzOqcs
Clown: <<Tu che proteggi uomini, animali e barracconi. Tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni. Tu che ogni sera, presti agli acrobati le ali degli angeli, fa che sulla nostra mensa non venga mai a mancare pane e ed applausi. Noi ti chiediamo protezione. Ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che accada dopo lo spettacolo. Tu che permetti ai nani ed ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, unica rete dei nostri esercizi fa che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore. Dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate. E lascia
pure che essi ci credano felici. Più ho voglia di piangere e più gli uomini si divertono. Ma non importa, io li perdono. Un pò perchè essi non sanno, un pò per amor tuo e un pò perchè hanno pagato il biglietto. Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola ed aiutami a portarla in giro con disinvoltura. C'è tanta gente che si diverte a far piangere l'umanità. Noi dobbiamo soffrire per divertire. Manda,
se puoi, qualcuno su questo mondo, capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri>>
Cit. Antonio De Curtis, preghiera del clown, da "Il più comico spettacolo del mondo".
Re Ferdinando: <<Pulcinè, tu intanto non hai risposto alla mia domanda. Di pulcinella in paradiso, dove secondo te sono tutti uguali, non c'è lusso, non ci sono re, non ci sono ministri, ne hai mai visti?>>
Pulcinella: <<No maestà. Non ne potevo vedere perchè pulcinella non muore mai. Voi potete impiccare un corpo, ma lo spirito di pulcinella che è l'anima di un popolo, rimane qua. Ed in ogni posto della terra i popoli vogliono essere liberi! Felici!Sazi!>>
Re Ferdinando: <<E in tutti i posti della terra, i re prendono quelli che si ribellano e li impiccano!>>
Pulcinella: <<Ma fino a quando lo potete fare maestà? Fino a quando ve lo permette la gente. Ogni popolo ha il re che si merita e voi fate bene a fare quello che fate. Continuate. Tagliate teste! Afforcate! La colpa non è vostra, è nostra maestà.>>
Cit. Eduardo De Filippo da "Ferdinando I, re di Napoli”
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kon-igi · 4 years
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IO NON MI ARRABBIO... INTERIORIZZO E ALLEVO UN TUMORE
Quand’ero pischello, cioè in un’età compresa tra i 13 e i 15 anni, girava a Viareggio una figura mitologica che noi regazzetti si mitizzava e si temeva in modo estatico ed estetico.
Il tipo si chiamava DOMINGO SANCHEZ ed era un portoricano vero, in un periodo in cui la cosa più nera che ti capitava di vedere in giro era Mohammed che vendeva i tappeti sulla spiaggia (c’era solo lui e ora gareggia con Elon Musk in fatto di quattrini) e il tipo africano che a Drive In faceva la battuta ‘Un grappino... sempre più in alto!’.
Non so se DOMINGO arrivasse ad avere 18 anni ma era un tipo cattivo, di quelli che si diceva girassero col coltello, di cui, sempre si diceva, tenesse la lama sporgente tra medio e anulare, per tirare dei cazzotti micidiali che ti sfregiavano la faccia (anni dopo ho scoperto dolorosamente che no, il coltello manco per il cazzo che conviene tenerlo così).
Questo DOMINGO aveva la mamma che faceva la prostituta ed era eroinomane - lui E la mamma - e girava per Viareggio con la sua faccia butterata e con un’espressione così cattiva che noi si scappava solo a vederlo da lontano tipo Furio Brondi di Ovosodo.
Ci s’aveva paura. P. A. U. R. A.
Ogni tanto - e solo se s’era tra amici fidati e l’unico essere vivente dotato di orecchie nelle vicinanze era il gatto vecchio e sordo di Filippo - si facevano LE BATTUTE SU DOMINGO (ma mai sulla su’ mamma, solo su DOMINGO) tipo che si sbagliava e in vena ci si piantava il coltello invece che l’ago della siringa ahahahaha ma poi ci si guardava subito attorno tutti nervosi e le risate sembravano i singhiozzi di un Chihuahua che s’era ingoiato una Strumpallazza.
Ora, questo mio piccolo amarcord mi è utile a introdurre un concetto che riguarda la bellezza impersonale del mezzo internet quando invece che parlare A qualcuno puoi scegliere di parlare DI o DIETRO a qualcuno.
Per farvi capire
DOMINGO TOSSICO PORTORICANO DI MERDA FIGLIO DI PUTTANA TI INFILO QUEL TUO COLTELLO SU PER IL CULO E TI RISPEDISCO A NEGROLANDIA COME UN KEBAB A BASE DI TESTA DI CAZZO!
Una cosa del genere sarebbe stata impensabile allora e adesso non è solo una questione di essere diventato un One Army Man che Crocodile Dundee scansati di volata (Quello un coltello? QUESTO è un coltello!) e lui, probabilmente, uno relitto di sudamericano scheletrico, se non proprio morto... il fatto è che ci vuole nulla a insultare qualcuno su internet.
Sapete cos’è la Road Rage?
Da wikipedia ‘Road rage is aggressive or angry behavior exhibited by a driver of a road vehicle. These behaviors include rude and offensive gestures, verbal insults, physical threats or dangerous driving methods targeted toward another driver or non-drivers such as pedestrians or cyclists in an effort to intimidate or release frustration. Road rage can lead to altercations, assaults and collisions that result in serious physical injuries or even death. Strategies include long horn honks, swerving, tailgating, brake checking, and attempting to fight’
Praticamente il Raccordo Anulare alle 8 del mattino o la Tangenziale Ovest di Milano quando chiudono gli uffici.
Il fenomeno psicologico che sta alla base della road rage è piuttosto semplice: fai e dici cose che di persona non diresti e non faresti mai perché sei protetto dalla tua bolla-armatura a quattro ruote, il tuo mondo speciale in cui tu sei speciale e che cazzo vogliono quegli altri stronzi che credono di essere speciali più di te?!
Che se togliamo il discorso delle quattro ruote, è l’esatta descrizione di come la maggior parte delle persone vivono l’esperienza internet.
Guardate com’è facile.
@spaam SEI UN COATTO DIMMERDA AMMAZZATOPI CHE FA IL PROFESSORONE ALL’ESTERO E HAI TRADITO LA TUA PATRIA!!!
@masuoka CICLISTA TERRONE DEL CAZZO TOGLITI DALLA STRADA E TORNA IN SICILIA A FARTI PAGARE DAI MAFIOSI PER STUDIARE I LORO TERREMOTI!!!
@frauigelandtheboys MAMMINA PERFETTINA CHE FAI TANTO LA TEDESCA SUPERIORE E SPUTI SOPRA L’ITALIA PENSA PER TE E VAFFANCULO!!!
@autolesionistra TERRORISTA SINISTRORSO A TESTA IN GIU’ TI CI DEVONO APPENDERE TE E TUTTI I TUOI AMICI PARTIGIANI ASSASSINI CHE HANNO SOLO PAREGGIATO I CONTI CONTRO PATRIOTI INERMI!!!
@lamagabaol TROIA ESIBIZIONISTA TANTO LO SAPPIAMO CHE SEI UNA FRIGIDA DEL CAZZO!!!
@uds CON TE MI TREMANO LE MANI DALL’IMBARAZZO DELLA SCELTA, LAGNOSO VENETO BEGHINO ALCOLIZZATO VA IN MONA DA TO MARE CHEI BECANASSI DE TUTI I TO MORTI BÀSIME I DURÈI CANCARO IMPESTÀ D’UN MUSO DA CASSO INCRECOEÀ!!!!
E poi quel testa di cazzo insopportabile che mi sta più sul culo di tutti QUEL CICCIONE PRESUNTUOSO DI MERDA PAGATO COI SOLDI PUBBLICI PER NON FARE UN CAZZO E STARE SU INTERNET A FARE GANDALF CON QUELLA BARBA RIDICOLA CHE DISPENSA CONSIGLI ALLE RAGAZZINE PSICOPATICHE PERCHÉ SI CREDE UN GRANDE GURU E INVECE È UN PATETICO CINQUANTENNE FALLITO BUONO A NULLA!!!
Facile davvero.
A fronte della storia personale di ognuno di questi individui, di quanto hanno detto, scritto, pensato, espresso e condiviso bastano tre o quattro righe - rigorosamente maiuscole - per distruggere tutto e derubricarli a stereotipi facili da fruire e da divertirsene coi propri amichetti.
Che poi, te le direbbero lo stesso queste cose di persona?
Non so, Spaam in effetti ce l’ha un po’ la faccia da coatto tutto pieno di piercing però ha il fisico indebolito da alcol e gel di agarosio seccato e sniffato col cicloesano, Autolesionistra e Uds sono magrolini con la postura da impiegati e per nulla minacciosi, Masuoka un po’ più robusto e in forma però è un urbano cinquantenne occhialuto dall’animo mite, quindi rimangono solo Frauigel e Lamagabaol che sono donne però pure meridionali e quindi problematiche però non puoi picchiarle per quella balla del metoo. Li insulto in faccia o no?
Comunque no, quelle cose non te le direbbero mai di persona e non per la paura o meno di essere corcati di legnate (cosa che, comunque, dovrebbe essere tenuta sempre in considerazione e la lascio qua per chi vuole capire) ma perché una tastiera e uno schermo all’interno della propria abitazione sono il volante e il clacson della propria rabbiosa macchina intrappolata nel traffico di punta: qualcosa che ti fa credere migliore degli altri, più forte degli altri, più intelligente, arguto, apprezzato, un amato oggetto di masturbazione mentale collettiva... SE MI NOTANO ESISTO, CAZZO!
Però per me è un’interazione faticosa.
Tu ragioni, ci mediti sopra, scrivi e poi cancelli, ti chiedi se sarai chiaro, capito o frainteso, se riuscirai a raggiungere il cervello e il cuore di chi ti leggerà senza passare dalla pancia, se ce la farai a rinforzare un pensiero positivo e ad arginarne uno negativo e poi SBAM! una persona furiosa dentro la propria macchina si attacca al clacson e ti insulta per aver scorto due righe su cento che le hanno dato impressione di comunismo, islam o di generico e deleterio buonismo.
Se fossi come te quel clacson verrei di persona a piantartelo nel culo e ci suonerei la Marcia di Radetzky a calci ma per fortuna non sono più come te e non vorrò mai più tornare a esserlo.
Grazie, però, di ricordarmi costantemente quanto oggi io sia migliore del me stesso di ieri, l’unica e sola persona per cui provo rabbia, compassione e stanco amore tutti assieme.
Grazie Domingo.
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La natura è innocente
Siti lancia il guanto di sfida a pagina 17: “Saranno sufficienti i pensieri indimostrabili, le licenze poetiche, le prevaricazioni sui defunti? Le allusioni ambigue, le immersioni palombare, le inferenze per pura vischiosità narrativa, insomma lo (parola ormai impronunciabile) stile?”. E a chi è la sfida lanciata? L’entità non è certo astratta, o perlomeno non si dà in natura, per l’appunto, ma si incarna nella scelta di mettere a tacere il dispositivo narrativo-connotativo ogni volta che un autore poggia la penna sul foglio, alza la testa e pretende di dire che quello che si troverà tra le sue pagine è la verità, nient’altro che la verità.
Un patto recente, non antico, con il linguaggio denotativo, che si libera dal fardello della forma (che in Siti diventa “l’autorità della forma” assieme alla “pazienza dell’artigianato”) e che si presenta al mondo come trascrizione monocorde, mai inventiva, mai fantasiosa, dei fatti, nient’altro che i fatti.
Conoscere la produzione saggistica e letteraria di Siti aiuta certamente nel districarsi nella selva di non detti o, meglio, di detti a metà: quelle che seguono, le 350 pagine che si schiudono come uno scrigno, sono a disposizione di tutti quelli che ancora credono che la forma, lo stile abbiano il loro ruolo, la loro fondamentalità in un’epoca che sembra avere sempre più bisogno di scrittura scarna, precisa, diretta, paratattica. Gli svolazzi sembrano furbate, le impennate liriche fumo negli occhi di chi agogna la storia, la storiella, l’autobiografia, la biografia, la scrittura del reale.
Perché l’opposizione in cui Siti vuole mettersi non è con chi in generale scrive (scrittore o scrivente che sia, non è importante) ma con il filone foltissimo e sempre più frequentato della narrativa non finzionale, o non-fiction. Canone nel quale è ovvio che dei maestri possano essere rintracciati – come il poderoso ego di Carrère o la presenza costante ma non giudicante di Capote in A sangue freddo – ma dove tanti altri e altre che scelgono di battere questa strada rappresentano la spia di un problema più grande. Il problema che abbiamo maturato con lo stile, o forma che dir si voglia. Il debito con la fantasia non lo vogliamo più, cerchiamo di fidarci solo dei giornalisti che diventano narratori. Fotografi, non più pittori – gli autori nel libro di Siti non vengono nominati uno ad uno (comporterebbe certo un argomento lungo e che comunque lui apre altrove, in altre sedi, come l’articolo “contro” Saviano, apparso su Minima&Moralia).
Il problema è, a volte, la qualità dei testi e, in altre occasioni, la pretesa di dirsi neutrali, il vizio di manifestarsi come vestali di una verità fattuale, mai soggiogata da soggettività, pulsioni, fraintendimenti, ossessioni, idiosincrasie personali.
Venendo al libro, La natura è innocente si biforca dal principio in due tronconi, due vite – quasi vere? Beh sì, ci sono almeno quattro ineliminabili livelli di falsità che accompagnano le parole dalla bocca del parlante all’intenzione dello scrivente.
Due vite intrecciate? No, si scopre solo alla fine perché ci vengono consegnate appaiate: il matricida ha avuto il coraggio (o l’impeto? O cos’altro? Di solo coraggio non si tratta) di uccidere la propria madre; l’arrampicatore sessuale body builder è l’oggetto-premio che si sarebbe potuto ottenere una volta compiuto il misfatto. Uccidere la propria madre per vivere le proprie pulsioni in libertà, recidere il filo atavico e mitologico che strozza il vitalismo.
Ingorghi psichico-simbolici sono la cartina tornasole del vitalismo di Siti, sempre esibito e forse arrivato al suo capolinea.
Ma, dunque, le vite – non esemplari né tipiche (la letteratura non insegna, non conforta, non moralizza, non incastona esempi per vivere meglio, tutte funzioni demandate ad altre scritture), ma che stanno assieme nella loro radicalità a dire all’autore: eccoci, nudi e crudi, questa è stata la nostra vita, e ora la tua unica possibilità è scrivere di noi. Non è che la vita media cui Siti accenna nelle ultime pagine è proprio la sua, che in questo romanzo non ha trovato spazio, la sua vita che viene affrontata obliquamente in questa autobiografia bifida e appaltata? Lecito domandarselo, anche se non dev’essere questo il punto. Anche perché è da quando ho iniziato a scrivere che continuo a mancare il fuoco principale.
Filippo Addamo vive i giorni fitti, Ruggero Freddi vive invece una vita: e questo è forse l’elemento che fa tutta la differenza. Perché sì, zio Walter scrive che “Forse, perché la vita cominci davvero, serve un fatto esterno che la invada e la inquini come il casuale granello di sabbia invade il cuore dell’ostrica”.
Un fatto esterno – il tradimento della madre nei confronti di Filippo, e per quanto riguarda Ruggero il fatto che si gonfia fino a diventare sproporzionato qual è? Non c’è.
Perché Filippo, nell’indigenza e nella mancanza di un orizzonte d’attesa benefico, vive questi giorni fitti fitti e a un certo punto l’atto, l’azione, lo mettono sulla strada giusta di avere una vita – forse tutto il libro non è che una spasmodica domanda che gira in tondo “cos’è una vita? Cos’è una biografia?”. Sparare alla madre gli consegna la vita in mano, ora lui è qualcosa, ora lui un ruolo ancestrale e mitologico ce l’ha: ha avuto il coraggio di sottostare alla coazione a ripetere, ha fatto quello che la sua terra e la cultura di cui è intriso si aspetta da lui. È un atto riconoscibile, è un atto nemmeno condannato dalle persone a lui vicine, ma è un atto. Un atto sproporzionato che indica quella che da ora in poi sarà la sua esistenza. Matricida.
Per Ruggero, la vita esiste da sempre, non compie gesta che lo mettano sulla strada che ha già deciso da piccolo: evadere dalla povertà – tant’è che si fa coccolare parossisticamente quando si fa promettere che non ricadrà mai più in situazioni merdose come sono quelle che i poveri sono costretti a vivere.
Ruggero ha un piano, ha la forma bene in testa, ed è secondario il fatto che cambiando gli scenari cambi anche la sostanza di quello che vuole diventare, ma è chiaro che il suo vitalismo è teso come una corda, è un vitalismo teleologico. L’orizzonte è lontano ma viene guadagnato a suon di cazzi e marchette, nulla mette in ginocchio il sogno di una forma, nemmeno l’avvilimento che la sostanza dei giorni comporta.
Tutto questo per dire che le due vite quasi vere di Siti sono degne di questo nome in fasi diverse: una lo è da sempre, l’altra lo diventa con l’atto fondamentale. Uccidere i genitori.
I giorni e la vita: misure del tempo diverse per significato che di tanto in tanto mi ossessionano. Ma nella scrittura è piuttosto scontato che di una vita – una vita come tante, vite che non sono la tua, vite che avrebbero potuto essere la mia – si finisce per parlare. Anche di una che all’inizio non lo è, la forma e la sua autorità si insediano sul trono e dettano grammatiche e linee che facciano ordine ed è una vita quella che ne esce fuori. Prima erano i giorni e poi è una vita. Potere poderoso e salvifico dell’arte? Forse, ma mica tutto deve essere salvato.
Infatti, sempre verso la fine – che è il terzo e conclusivo inserto saggistico dove Walterone tira le somme – fanno capolino le due tane dell’autobiografia: Facebook e Instagram, luoghi ameni dove lacerti di vita quotidiana vengono riportati perlopiù con linguaggio denotativo. Giorni che si spacciano per vite, che provano a darsi una forma in pubblico ben prima che sia possibile capire se l’interesse che suscitano sia duraturo o di consumo estemporaneo e modaiolo. Giorni che si spacciano per forma, ma la connotazione ha lasciato la torre di controllo e non si vede più. E laddove la parola non arriva, la facilitazione della foto – a bassa o alta risoluzione è uguale – aiuta a tirare fuori questa auto-narrazione continua che ci propiniamo a vicenda. Le maschere crescono, il soffocamento pure. Sui social sei quello che: fa polemiche, fa foto zozze, fa i meme, fa squadrismo virtuale. Sui social sei quello che fai, ma quello che decidi di fare ti strozza e dopo un po’ chissà se sei ancora quello che volevi fin dall’inizio. O se il bisogno di un pubblico ti ha fatto mettere in ginocchio e ti ha fatto pensare che dar via un po’ della tua intimità, un po’ dei tuoi pensieri non è un peccato grave, ma solo veniale, quella vanità così insita in noi ora che non è che bisogna vergognarsene, bisogna abitarla con mille layers e post-ironia. Così si risolve l’imbarazzo nel constatare che anche oggi hai messo in vetrina un pezzetto squallidamente inutile di te, che domani è carta straccia.
A Walter Siti direi che siamo giovani e che deve perdonarci questa messa in scena continua, questa distrazione sfibrante, questo gioco di maschere in cui la vergogna di essere giorni e non vita (non per forza tutti lo sono, forse qualcuno sì).
A Walter Siti direi tantissime cose, tra cui che i suoi libri mi hanno cambiato la vita. O i giorni fitti che vivo, non so ancora se sono degna di avere una forma ben ordinata – e anche se vivo ho le stesse preoccupazioni (forse non vere, ma realistiche, e dunque bene così) di Giovanni del Drago: il mio estetismo mi fa precipitare nell’angoscia più nera se dietro di me vedo giorni privi di senso, forme e linee caotiche senza un disegno preciso. Linee e forme che non in ogni momento dicono chi sono.
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colori-spenti · 5 years
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Figlio mio, anzi.. Filippo, si la mamma voleva tanto chiamarti così, il papà.. bhe il papà aveva deciso di lasciarci, ma noi piccolo mio saremmo stati comunque felici. Questo la mamma te l'aveva promesso quando aveva scoperto la tua presenza, mi hai sentita piangere amore? Hai sentito come ti parlavo? Avevo fatto tanti progetti per noi, così tanti e così felici. Avevo sognato di comprarti quelle tutine con le orecchie da panda o un bellissimo passeggino blu, come quelli che fanno alla pubblicità. Sognavo spesso di tenerti fra le mie braccia e di vedere i tuoi occhioni grandi ogni volta che aprivo i miei miseri occhi marroni. Chissà come sarebbero stati i tuoi.. forse azzurri o verdi come il papà, chissà se avresti avuto i capelli ricci o lisci come me, chissà se la tua voce sarebbe stata acuta come quella della tua mamma o come quella del papà che trasmette tanta tranquillità. E chissà quali sarebbero stati i tuoi hobby, i tuoi giochini o le tue canzoni preferite. Sognavo anche di portarti al mare un giorno e farti vedere tutti i posti dove la mamma ha lasciato un pezzettino di se, sognavo di farti toccare quei granelli di sabbia stando attenta a non farti far male, chissà se ti sarebbe piaciuto il mare.. si chissà.
Figlio mio, chissà se poi un giorno ti saresti chiesto chi fosse il tuo papà, chi fosse quell'uomo tanto codardo da lasciarti solo così piccolo e indifeso, ancora nella pancia di quella donna che ha sfiorato così tante volte, e chissà se poi l'avresti odiato o forse no, forse magari l'avresti compatito, chissà.. Ci sono così tanti "chissà" che si sono persi in quella mattinata in cui di te mi è rimasto solo il sangue che mi scorreva sulle gambe. Figlio mio, la mamma ti amava già.
26/02/18
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Cinema sotto shock per la pandemia
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Il cinema è sotto shock per la pandemia, non solo per la "fuga" dalle sale che fra aperture e chiusure nell'alternarsi di zone bianche, gialle, arancioni e rosse ha creato un gran tourbillon. Ora a risentire delle incertezze di questo settore produttivo è soprattutto il versante della produzione. Un mondo nel quale quasi tutti i progetti cominciano a slittare per capire se gli investimenti in un prodotto potranno essere fruttiferi o meno. Diciamo che, troppo spesso, si è dimenticato che quello del cinema come di qualsiasi altra forma di operazione culturale alla fine si esplicitano in industria vera. L'industria dell'entertainment che non solo è tale ma crea una vera e propria filiera ed un economia di scala non tutelata in questi anni . Usciamo appena dal periodo natalizio, un periodo di solito molto importante per il cinema. Sono arrivati nelle sale sia film prodotti delle grandi major che delle produzioni italiane o minori ma i risultati al botteghino è stato appena apprezzabile. Due casi su tutti, uno americano e l'altro italiano fotografano bene la situazione. Spider-man che ha sfiorato i 22 milioni di euro d'incasso (in Italia, nel mondo più di 1 miliardo e mezzo di dollari) e Diabolik con 2 milioni e mezzo d'incasso. A ben guardare due casi simili perché entrambe le pellicole sono rivolte ad una precisa nicchia di pubblico di riferimento che è accorsa nelle sale. Cinema sotto shock per la pandemia: esercenti e distributori Mario Lorini Pesidente degli esercenti Anec - fonte ANSA"...è mancato il pubblico adulto e le famiglie e a resistere sono stati quei film che richiamano una platea particolare, i fan del fumetto, quelli del fenomeno Me contro Te, quelli di Pio e Amedeo per Bella Ciao..." Non migliori i commenti dei produttori e distributori che hanno riscontrato come da un momento all'altro la pandemia è ritornata a condizionare la vita dei prodotti cinematografici nelle sale. La recrudescenza dei contagi ed i provvedimenti urgenti assunti, giocoforza, da governo e regioni hanno dato il colpo di grazia. Giampaolo Letta A.d. di Medusa - fonte ANSA"... Ci siamo trovati dall'oggi al domani in questa situazione, fino a metà dicembre ancora si sperava in un Natale discreto e se togliamo il dato del caso Spider-Man oggi il disastro sarebbe ancora più grande, a farne le spese soprattutto il cinema italiano, noi per primi con il risultato di Supereroi di Paolo Genovese (546mila euro in tutto) che pure aveva aspettato la sala dal precedente lockdown. A questo punto noi freniamo le macchine..." Non tutti sono così catastrofisti e qualcuno si aggrappa ferocemente alla realtà cercando di fare necessità virtù. Massimiliano Orfei, A.d. di Vision Distribution - fonte ANSA"... Non bisogna farsi prendere dal panico, anche se la tentazione di mollare è forte. Noi confermiamo tutte le uscite, a cominciare da America Latina dei D'Innocenzo, perché se mettessimo tutto in pending far tornare la gente al cinema poi sarebbe un'impresa titanica e non possiamo permettercelo..." Cinema sotto shock per la pandemia: i produttori Riccardo Tozzi, fondatore di Cattleya ex presidente Anica - fonte ANSA"Il pubblico, quando sarà finita questa peste, tornerà al cinema e saremo più o meno sui 100 milioni di biglietti come l'Italia ha sempre avuto, quello che cambia è la composizione del pubblico e il sistema complessivo: siamo viziati dall'abbondanza di film e serie in casa, saremo chiamati ad uscire ed andare in sala quando sentiremo che c'è l'evento, l'originalità, l'avvenimento che ti ci porta ...E' stata la mano di Dio di Sorrentino pare sia andato molto bene al cinema, io stesso ho trovato sale piene, eppure si vedeva su Netflix. Poi dobbiamo sapere che la sala non è più il punto che determina il valore commerciale di un film: il film di Sergio Rubini sui fratelli De Filippo in sala sarebbe andato male, su Rai1 ha fatto il botto e il suo valore è certamente alto ma non è dato dall'esito in sala". Agostino Saccà, ex dg Rai, fondatore di Pepito produzioni - fonte ANSA"...il pubblico c'è, aspetta di tornare e anche se gli incassi delle feste dimostrano un dato psicologico che oggi ci sembra insuperabile perché condizionato dall'ansia, terrorizzato per quanto sappiamo che la sala è un luogo sicuro, i segnali che l'amore non è finito ci sono. I 22 milioni di Spider-man dimostrano che certe chiamate sono irresistibili e dunque si può sperare. ... Insomma per dirla alla Eduardo 'adda passa' a nuttata' e poi la mancanza di cinema nella bellezza dell'esperienza di sala tornerà a farsi sentire..." Posizioni diverse, uguali speranze ed una sola certezza: al di là delle difficoltà il cinema non morirà, non può morire e la gente non smetterà di sedersi in una sala per godersi le emozioni amplificate dal grande schermo. Read the full article
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giancarlonicoli · 3 years
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9 dic 2020 17:08
“SCANZI MI CHIAMA FASHO? NON ME LO PUÒ DIRE UNO CHE HA AVUTO LA MARCHETTA DI CONTE SUL SUO LIBRO E QUELLA DI DI MAIO SUL SUO SPETTACOLO” – VITA, OPERE E MISSIONI DI FEDERICO PALMAROLI, IN ARTE OSHO: “VOLEVO SOLO CAZZAGGIARE. IL MIO TALENTO NASCE DA UN AMORE PER I LUOGHI COMUNI. DA RAGAZZINO AVEVO UN LIBRETTO IN CUI SEGNAVO LE FRASI DI CIRCOSTANZA DEGLI ADULTI. E POI HO PRESO MOLTI AUTOBUS” – “CON FILIPPO SENSI ERA NATO UN AMORE. OGNI TANTO MI MANDAVA PURE LE FOTO DI GENTILONI, CHE HA UNA MIMICA MERAVIGLIOSA” – IL LIBRO “VEDI DE FA POCO ‘O SPIRITOSO”
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1  – PER PARLARE COME OSHO HO PRESO MOLTI AUTOBUS
Giulia Villoresi per “il Venerdì di Repubblica”
Siamo all'Osho Beach Resort di Varkala, un albergo sulla costa sud-occidentale dell'India dedicato al guru Osho Rajneesh. In giornata è atteso un gruppo di italiani, e la direzione ha pensato di accoglierlo con un benvenuto in lingua: è una gigantografia del Maestro - la lunga barba bianca, lo sguardo intenso rivolto all'osservatore - che recita: "Ciò che non ti uccide te rompe li cojoni".
È successo davvero, e infatti più tardi gli albergatori scopriranno che, sì, la frase è effettivamente in italiano (o quasi), ma la massima non è di Osho. No: per risalire alla fonte bisogna volgersi ad altre latitudini. Italia, Roma, quartiere Pinciano, dove nel 2015 un quarantasettenne di nome Federico Palmaroli crea per gioco una pagina Facebook intitolata Le più belle frasi di Osho.
Nel primo meme il Maestro ci guardava attraverso le fronde di un alberello sentenziando: "I pomodori non sanno più de niente". Oggi quella pagina ha oltre un milione di follower e Palmaroli, altresì detto "quello di Osho", è il vignettista web più seguito in Italia. Ora non usa più le foto del Maestro, ma solo scatti di attualità politica.
L'idea però è sempre quella: far parlare Giuseppe Conte, il Papa e Greta Thunberg come la Sora Cecioni. Rizzoli ha raccolto le migliori vignette degli ultimi tempi e ne ha fatto un libro - Vedi de fa poco 'o spiritoso - appena arrivato in libreria. Vi si celebrano snodi memorabili quali la visita di Mattarella alla Casa Bianca (con Trump che insiste: "Scusa ma fermateve a magnà qui no?"), l'esplosione dell'allarme Covid (e Di Maio pensieroso in Parlamento: "Sarebbe da accannà tutto e aprisse un chiosco de Amuchina nel Lodigiano"), la confusione dell'Oms sulla pandemia (con il direttore Tedros Adhanom che rassicura: "Tante vorte po' esse pure 'n po' de stress").
Palmaroli, come è arrivato fin qui?
"Ah, boh. Io volevo solo cazzeggiare".
Allora riformulo: come nasce questo talento per il cazzeggio?
"Da un amore per i luoghi comuni. Da ragazzino avevo un libretto in cui segnavo le frasi di circostanza degli adulti. Quelle che si dicono al telefono per riempire i momenti di vuoto, tipo: 'Mah, speriamo bene'. E poi ho preso molti autobus".
Lo sa che Flaubert da bambino teneva un libretto così? Poi ha fatto il Dizionario dei luoghi comuni.
"Non l'ho letto".
Prende di mira le frasi da conversazione chic.
"Quindi l'opposto delle mie. Che poi sono pure in romano".
Però funzionano anche fuori da Roma, vero?
"Vado particolarmente forte in Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo. Pure in Emilia. E poi, non so perché, in Puglia. In Campania ho difficoltà a sfondare: lì hanno un'altra tradizione comica dialettale. Il romano è più semplice. Anche se qualche purista mi critica perché non uso la lingua del Belli. Ma a me quello non interessa".
Cosa le interessa?
"La quotidianità del parlato. E poi pescare nella memoria storica della gente. Anche se certi riferimenti magari non arrivano a tutti".
Tipo?
"Tipo quando ho beccato una foto di Gentiloni all'autogrill con una mano in tasca e gli ho fatto dire Me so 'nculato i Ringo".
Il tocco di classe sono i Ringo.
"Pure secondo me. Ma magari non per tutte le generazioni".
È vero che Paolo Gentiloni l'ha invitata a Palazzo Chigi?
"Mi ha invitato Filippo Sensi, il suo portavoce. Con lui era proprio nato un amore. Ogni tanto mi mandava pure le foto di Gentiloni".
Che all'epoca era il suo bersaglio fisso. Perché?
"Perché ha una mimica meravigliosa. E perché a Palazzo Chigi, quando era premier, c'era un fotografo bravissimo, Tiberio Barchielli, che un paio di anni fa purtroppo è morto".
Quindi il processo creativo parte dalla foto?
"Di solito scorro le immagini del giorno e aspetto che arrivi la battuta. Se non arriva, lascio perdere".
Le è capitato di autocensurarsi?
"Gli unici limiti che mi pongo sono morte e malattia. Ma non basta".
Cioè?
"Che ne so, faccio una vignetta in cui Greta dice N'è tanto er caldo, è l'umidità che t'ammazza, e sotto partono gli insulti di quelli che la detestano, e poi i commenti indignati perché l'ho presa in giro...".
E le polemiche quando si è saputo che Osho non vota a sinistra?
"Mamma mia, è successo un casino. Una cosa che piace alla sinistra la fa uno di destra: shock".
Quanto di destra?
"Non sono né razzista, né omofobo. E il populismo mi disturba. Se po' fa'? Riconosco che le cose migliori della satira sono tradizionalmente di sinistra. Prenderla così male, però...".
Altra polemica: il Vernacoliere, storico mensile di satira, rischia di chiudere, e sul Foglio è uscita un'intervista al direttore Mario Cardinali, che se la prende un po' con Osho.
"Il web uccide la carta stampata: si sa. Però Cardinali dice che le mie sono 'battutinè e che comunque se l'è inventate lui. Un atteggiamento non bello. Evidentemente le battutine vanno più delle battutone".
E i meme sono le nuove vignette.
"Però funzionano bene anche sui giornali. Io li faccio per Il Tempo".
Quindi è memista a tempo pieno?
"Ho anche un lavoro vero".
Quale?
"Diciamo che mi occupo di marketing per una società".
Diciamo?
"Preferisco tenere Osho separato da Federico Palmaroli".
Ma le fotografie di Osho, perché non le usa più?
"Per carità. M'hanno pure fatto scrivere da uno studio legale con sede a Londra".
Lo sa che ogni tanto si sente dire "come dice Osho..."
"Lo so. In genere sono espressioni che la gente non si rendeva conto di usare. Tipo lui che guarda nello specchietto della Rolls e dice: Cazzo te soni".
Le manca?
"Molto. Ma le sue foto prima o poi sarebbero finite. Mentre la politica italiana è una miniera inesauribile".
2 – OSHO CONTRO SCANZI: "IO DI PARTE? È LUI CHE HA LE MARCHETTE DA CONTE"
Cristina de Palma per www.thefreak.it
Con i nuovi divieti dovuti al lockdown, incontrare Federico Palmaroli, in arte Osho, non è stato facile. Durante la settimana lui esce dall’ufficio dopo le 18h quando i bar sono chiusi e quindi il famoso “incontriamoci per un aperitivo” è stato sostituito da “prendiamoci un caffè”.
Finalmente un sabato mattina, parecchio ventoso, riusciamo a fissare un appuntamento a Ponte Milvio, Roma nord. Arriva a piedi, con occhiali da sole e mascherina che si toglie appena seduto al tavolino del bar: “non sono di quelli ipocondriaci e poi siamo all’aperto ed a un metro di distanza”.
Gli occhiali invece rimarranno fissi sul suo volto per tutto il tempo dell’intervista, colpa del sole che ha scandito il ritmo del nostro incontro.
47 anni, ben portati, è lui l’ideatore della pagina “Le più belle frasi di Osho” che oggi ha raggiunto più di 1milione di follower su Facebook e oltre 400mila seguici su Twitter. Pubblica su Il Tempo e da due anni collabora con Bruno Vespa a Porta a Porta.
Un successo nato sul web nel 2015, ed esploso nel 2016 con il primo libro best seller omonimo.
Da poco, ha cambiato il bersaglio del suo sarcasmo tranchant passando dal santone Osho ai politici odierni.
Il 1 dicembre scorso è uscita la sua ultima fatica “Vedi de fa poco ‘o spiritoso – il meglio (e il peggio) di un anno italiano”, edito da Rizzoli, che racconta la politica ai tempi del coronavirus.
Si definisce vignettista, anche se sui generis. Stima, ricambiato, Makkox e non ama essere etichettato “come quello di destra”.  Cosa che gli è valsa un’accesa litigata sui social con Andrea Scanzi. Ma cominciano dall’inizio…
Come definiresti le tue “figure”? Sono vignette, meme, fumetti?
Le chiamerei vignette perché meme è un termine troppo moderno. Anzi, possiamo definirle anche fotoromanzi. Quando ero giovane io, c’era “Grand hotel” dove trovavi le scenette fotografate e ai protagonisti facevi dire di tutto.  È quello il meccanismo. Ma è più facile chiamarla vignetta alla fine.
Come nasce una tua vignetta?
Alcuni personaggi vanno da sé, tipo il Papa, Lo puoi far parlare romanesco e già così è divertente, a prescindere dalla battuta. Metà del lavoro è fatto. Sui nuovi politici invece, che sono meno autorevoli, devi concentrarti molto sulla battuta più che sulla foto.
La mia chiave è affrontare un grande tema riportandolo alla quotidianità. Guardo le gallerie di foto e da lì parte l’ispirazione. O non parte. Dipende.
Hai un ricordo curioso legato a Osho?
Quando ero soltanto Osho, un giorno mi mandarono una foto di un resort di meditazione indiano dedicato al santone in cui era stata posizionata, all’ingresso, una mia vignetta. Credevano forse che fosse la traduzione in italiano di una sua vera frase e magari pensavano di fare cosa gradita a qualche loro ospite italiano. Era quella in cui il mio Osho diceva “Ciò che non ti uccide ti rompe li cojoni”.
In passato, la tua “vittima” preferita era Paolo Gentiloni, oggi invece quale politico ti ispira di più?
La satira si fa su chi governa, ma un governo nato da un inciucio e sulla contraddizione non è sempre il simbolo perfetto per fare comicità. I politici storici, navigati, come Gentiloni appunto, erano delle figure che tu abbassavi con la satira, ma rimanevano personaggi alti, riconoscibili e riconosciuti.
Quando sono arrivati i cinque stelle è stato tutto più difficile perché erano volti non noti. E usare loro foto non era evidente. Non era come Mattarella.  Diciamo che con loro lavoro più sulla battuta che sulla situazione. Ora poi trovare uno spunto è complicato perché le notizie sono poche e sempre le stesse.
Ci sono dei politici che si sono arrabbiati per una tua vignetta?
No, ho avuto solo uno scontro con Di Maio ma abbiamo chiarito subito. Era per la vignetta sulla sua ragazza. Ma si è risolto tutto velocemente. Di Maio pensava che la foto l’avessimo scattata noi de Il Tempo, quandoinvece era stata pubblicata da una rivista pattinata. Lo scatto non è stato gradito per niente.
C’è una vignetta della quale ti sei pentito?
Pentito no, ma a volte ho fatto vignette su dei personaggi che risultavano antipatici ai più e non mi sono piaciuti i commenti sotto la loro foto. Come è successo con Maria Elena Boschi.
Raramente ma è capitato, ho cancellato la vignetta incriminata. L’ho fatto con la foto di Greta Thunberg, ad esempio. Faccio satira ma non la faccio in modo offensivo, ma poi vedi i commenti cattivi delle persone e questo non l’accetto.
Si può fare satira su tutto?
Io personalmente non scherzo sui morti o sulla salute. Per il resto sì, anche dal punto di visto religioso.
Io mi rifaccio alle comicità anni ‘80 e ‘90. In quegli anni si poteva fare e dire di tutto, tanti film storici si sono basati su battute che ogni sarebbero irripetibili o giudicati socialmente scorretti. Penso alle battute contenute ad esempio nei film di Natale. Oggi invece è tutto censurato e secondo me è assurdo.
Ad esempio, le vignette di Charlie Hedbo su Amatrice come le hai giudicate? (Erano vignette sul terremoto in cui si mostravano alcune vittime insanguinate con la scritta “penne al pomodoro” e “penne gratinate”, o schiacciate sotto le macerie delle loro case con la scritta “lasagne”, ndr)
Sono vignette estreme. Io non farei mai una battuta del genere perché di mezzo c’è stato un terremoto con tante vittime. Ma soprattutto se decidi di fare una battuta del genere perché la consideri “la battuta del secolo”, te la rischi. A me le loro vignette non mi fanno proprio ridere. Per me Charlie Hebdo non fa satira.
Non è un mistero che in passato hai votato MSI, e da allora sei stato etichettato come “vignettista fascista”. Recente è il tuo scontro via social con Andrea Scanzi che ti ha ribattezzato “fasho”, affermando che la satira non deve essere di parte. Sei d’accordo?
Scanzi non si può permettere di dire chi è di parte. Io rivendico di aver votato MSI e non lo rinnego. Per questo motivo spesso vengo ghettizzato. Anzi sono riuscito ad andare oltre, per fortuna. Credo di aver dimostrato che non sono tutto ad appannaggio della politica. Ho le mie idee, ma faccio satira su tutti.  Avrei molti più fan se fossi veramente schierato con una corrente politica, ma ripeto io faccio vignette su tutti, indistintamente. Cerco di essere super partes. Mentre Scanzi si è targettizzato M5S, e viene ad accusare me di essere schierato? Lui dice che la satira non può essere di parte? Ma perché il giornalismo sì invece? Chi decide cosa è di parte? Non me lo può dire uno che ha avuto la marchetta del Presidente del Consiglio Conte sul suo libro e la marchetta di Di Maio sul suo spettacolo. E comunque non è più quel personaggio amato come prima. Ho sentito un sacco di gente, anche di destra, che mi ha detto che lo seguiva ma poi ha cominciato a fare solamente il gioco dei cinque stelle e si targettizzato. Lui ha voluto colpirmi, non c’è una spiegazione razionale.
Sei di destra, eppure hai dichiarato di aver votato Virginia Raggi alle precedenti elezioni romane…
Sì, l’ho votata al ballottaggio. Rappresentava una ventata di aria fresca, era contro il sistema. Mi ricordava la destra sociale, ma poi il m5s si è rivelato un partito che ha iniziato a fare accordi per sopravvivere. Fa parte del gioco politico indubbiamente, ma sono rimasto un po’ deluso dai loro inciuci con il PD. E onestamente non so per chi voterò a Roma il prossimo marzo.
Non è neanche detto che voterò. Speriamo solamente che le nuove elezioni romane mi diano spunti nuovi e gustosi per le mie vignette.
Il 1° dicembre è uscito il tuo nuovo libro “Vedi de fa poco ‘o spiritoso – il meglio (e il peggio) di un anno italiano”.
È una raccolta di vignette dalla caduta del governo giallo verde fino ad oggi, quindi da luglio 2019 fino ad ottobre 2020, inclusa ovviamente la pandemia.
Tante cose di satira si sono ovviamente concentrate sul Covid. Era impossibile non parlarne. Speriamo solo di non farlo più nel prossimo anno e di ricominciare le battaglie politiche di una volta.
Parlando di Covid, tu come vedi questa guerra mediatica tra virologi?
È quasi una corsa a dire la cosa più sensazionale, ma è una corsa tra di loro. A volte si smentiscono non solo tra di loro, ma anche tra loro stessi. Stanno diventando dei personaggi televisivi e quindi cerco proprio di non guardarli in tv. Questa situazione attuale mi angoscia tantissimo. Non sono ipocondriaco ma viene detto tutto e il contrario di tutto.
C’è un virologo che secondo te si presta maggiormente come figura da prendere in giro?
Non ho ancora mai fatto una vignetta su un virologo, forse solo qualche battura testuale. Credo che l’immagine dello scienziato lo associo talmente tanto al disagio che stiamo vivendo, che mi passa pure la fantasia di utilizzarla per scopi satirici.
Tu faresti il vaccino?
Sì, assolutamente sì. Io mi metto in fila come se dovessi comprare un Iphone. Lo vorrei fare subito perché ho voglia di partire, di viaggiare, di tornare alla vita di prima.
Quindi appena mi diranno che è possibile farlo, lo farò anche se mi dovessi trasformare in un topo il giorno dopo (e ride, ndr).
La tua pagina “la più belle frasi di Osho” ha raggiunto oltre 1 milione di followers. Una bella cifra, te l’aspettavi?
Quando ho iniziato nel 2015, aggiornavo l’app e c’erano migliaia di like ogni giorno. Era come un counter che non si fermava mai. Ovviamente la cosa si è stabilizzata, perché Osho era un personaggio neutro. Ora mettendo delle figure politiche al centro delle battute, a qualcuno va bene, ad altri no. E ne ho risentito in termine di followers. Conta poi che è tutto molto più impegnativo per me perché non ho un team, faccio tutto da solo. La difficoltà è che devi sempre far ridere, anche quando il tuo umore è pessimo e sei depresso.
Come ti vedi tra 10 anni?
Tra 10 anni non lo so, intanto posso dirti che sto lavorando ad una serie tv ispirata a Osho, il santone che mi ha portato fortuna. È un progetto della Stand by me, la casa di produzione di Simona Ercolani. Ci sarà da ridere ma anche da riflettere.
E se vi chiedete chi ha pagato il caffè, vi lascio indovinare ma sappiate solamente che Osho è un vero signore.
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intotheclash · 6 years
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CAPITOLO 10
 "Cazzo marcio! La mia non vuol saperne di accendersi!" Imprecò Schizzo, tenendo in una mano la sigaretta e nell'altra il fiammifero acceso.
"Sfido io che non ci riesci, coglione che non sei altro!" Lo rimbrottò, sghignazzando, Tonino, "Mica è un ramo secco! La devi metter in bocca e tirare, tonto!" Concluse, dando il buon esempio e assumendo quell'aria da scafato che io odiavo. Quella di chi crede di saperla sempre più lunga di tutti. Cercammo comunque di imitarlo. Titubanti e maldestri come un branco di elefanti in una cristalleria.
"Come ti senti?" Chiese sottovoce Bomba, seduto al mio fianco.
"Cosa hai detto?" risposi. Ero concentrato sull'operazione e sulle possibili trasformazioni del mio corpo, a seguito di quella prima, clandestina, fumata.
"Ti ho chiesto: come ti senti?" Domandò di nuovo. Stavolta a voce più alta. Talmente alta che tutti si voltarono a guardarlo e scoppiarono in una rombante risata.
"Che c'è, Bomba? Hai fifa? Guarda che mica devi mangiartela!" Lo provocò Sergetto. Ma si vedeva che pure lui era impaurito. Ce lo aveva scritto in faccia.
"Se era da mangiare, un sol boccone e sarebbe sparita! Anzi, si sarebbe pappato anche le nostre sigarette!" Rincarò la dose il Tasso.
Bomba lasciò scivolare a terra le provocazioni. Era turbato, preoccupato, si, insomma, aveva una fifa della Madonna. Tanto che mi chiese, per la terza volta:"Allora, Pietro, me lo dici come ti senti?"
"Che vuoi che ti dica: secondo me non fa un cazzo! A parte la puzza e la bocca cattiva, sto esattamente come prima. Niente di niente." Era vero. Non riuscivo proprio a capacitarmi del perché si dovesse fumare. Che gusto ci provavano?
"Ma tu, lo mandi giù il fumo?" Chiese l'insegnante Tonino.
"Giù dove? Dove cazzo devo mandarlo?"
"Nei polmoni, tonto! Dove se no? Nel buco del culo? Davi aspirare, mandare giù, trattenere un po' il respiro e buttarlo fuori così!" Disse, soffiando fuori il fumo dalle narici. Lo guardammo ammirati ed anche invidiosi. Lui si che ci sapeva fare. Si vedeva che non era la prima volta.
"Come cazzo hai fatto?" Gli chiese il Tasso, fissandolo come a carpirne il segreto. 
"E' facile, butti dentro il fumo e respiri col naso. Puoi farcela anche tu!"
"Se sei capace tu, che sei nato stupido e, crescendo sei pure peggiorato, sicuro che ne sono capace anch'io! State a vedere!" Il Tasso si concentrò sulla parte, diede una gran tirata, ma la parte finale non fu mai partorita. Gli si riempirono gli occhi di lacrime, il viso si accese di un rosso violento e iniziò a tossire come il motore della macchina di mio padre quando è ingolfata e di partire proprio non ne vuol sapere. Quello si che era un bell'effetto! Si alzò in piedi e iniziò a girare in tondo piegato su se stesso. Tossiva e sputava, quasi volesse liberarsi pure dei polmoni in fiamme. Alla fine si vomitò pure l'anima.
"Che schifo!" Esclamò Schizzo, inorridito alla vista di quella scena.
"Che succede, Schizzo? Non dirmi ora che ti fa schifo il vomito!" Chiesi.
"Il vomito no, ma questa bestia ha mangiato i piselli. Guardali lì, sono ancora interi! Io i piselli li odio!"
La prima esperienza con le sigarette fu molto istruttiva. Ci insegnò che...facevano vomitare. Ma non mollammo. Da lì a non molto, saremmo diventati, tutti e sei, dei fumatori incalliti. Avremmo scoperto, sempre a posteriori, che anche il vino poteva far vomitare, e la marjuana e le donne, in qualche caso, tuttavia cercammo sempre, con tutta la nostra volontà, di non farci mancare niente di quanto sopra elencato. C'era quasi da credere che vomito e piacere fossero due facce della stessa medaglia.
"Senti, Tonino, dove le hai sgraffignate le sigarette? Dalla giacca di tuo padre?" Domandò Sergetto.
"Mica voglio morire da giovane! Le ho fregate a mio fratello, Francesco."
"Cosa?" Intervenne preoccupato il Tasso, che ancora sussultava per la tosse, "Ecco perché ho vomitato! Erano drogate!"
"Che cazzo vai dicendo, idiota?"
"Mio padre dice che tuo fratello è un drogato. E che, prima o poi, si metterà nei guai."
"Certo che sei proprio uno stronzo, Tasso! E pure tuo padre! Anzi no, forse tuo padre non è stronzo, ma un drogato vero!"
"Drogato si, ma di pippe!" confermò sorridendo Bomba.
"Pipparolo! Pipparolo!" Gridammo in coro. In parte per stemperare la situazione, ma molto di più perché niente era così divertente come prendere per il culo qualcuno.
"Fatela finita! Mio padre non è un pipparolo!" Si difese il Tasso, assumendo la tipica posizione da combattimento del suo spirito guida.
"Se è come dici tu, allora perché tutti lo chiamano Pippo?" Chiese Sergetto. Non mollare mai. Era una delle regole fondamentali del gioco.
"Perché è il diminutivo di Filippo, deficiente che non sei altro!"
"Si, ma perché hanno scelto la parte finale del nome? Ci sarà un motivo! Lo avrebbero potuto chiamare Fili!"
"Fili? Hai mai sentito nessuno con quel nome?"
"Sarà pure come dici tu, Tasso, però la faccia da pipparolo ce l'ha davvero. Eccome se ce l'ha!" Sentenziò Schizzo. E l'ilarità toccò di nuovo il suo picco massimo.
"Non prendertela, Tonino," Dissi, non appena ebbi riacquistato l'uso della parola. "Lo sai come sono fatti i genitori, no? Si preoccupano di tutto, non va mai bene niente e nessuno. Solo loro sono perfetti. Non sbagliano mai, fanno sempre la cosa giusta. Il Tasso non voleva offenderti."
"Certo che non volevo offenderti! E non volevo offendere nemmeno tuo fratello. Mi sta pure simpatico. Ride sempre e mi saluta, ogni volta che mi incontra. Ho solo detto cosa ne pensa mio padre. Non volevo farti incazzare!"
"Mi dispiace, Tonino, ma anche mio padre dice che tuo fratello si droga. Ma che vuol dire? Io non lo dico! E neanche lo penso!" Disse Sergetto, avvampando di vergogna,
Tonino lo guardò di traverso, ma non replicò. Era diventato improvvisamente triste. Non aveva più voglia di combattere quella battaglia. Poi sapeva che non era con noi che doveva combattere, Noi eravamo i suoi amici. Stavamo dalla sua parte, perdio!
"Non volevo dirtelo, pure a me dispiace, ma mia madre dice esattamente le stesse identiche cose." Aggiunse timidamente Bomba.
"E tu, Pietro? Che mi dici?" Mi chiese direttamente, Tonino, ma senza guardarmi in faccia. Conosceva già la risposta. Da qualche minuto era impegnato a gettare pietre nell'acqua, cercando di colpire le foglie dei cerri che viaggiavano in balia della corrente. Dava l'impressione che tutto il suo mondo si esaurisse lì. Mi schiarii la voce, avrei voluto indorare la pillola, ma non potevo. Eravamo amici, meritava la verità, per quanto cruda fosse: "Che vuoi che ti dica? Lo conosci mio padre, lo sai come è fatto. Quando ci si mette è il peggio di tutti. Per lui non solo tuo fratello è un drogato, ma lo sono anche tutti i suoi amici. Drogati e scansafatiche. E quelle tre ragazze che stanno sempre insieme a loro sono tre troiette che te le raccomando!" Avevo vuotato il sacco.
Ci fu un attimo di silenzio lungo una settimana. Tonino lanciò l'ultimo sasso, si voltò verso di noi con gli occhi arrossati dallo sforzo di trattenere le lacrime e disse: " Lo sapete qual è la cosa che mi fa più incazzare?  Che anche mio padre, che poi dovrebbe essere anche il padre di mio fratello, la pensa come i vostri genitori. E, ogni tanto, glielo dice pure! si fanno certe litigate che sembrano non finire mai. Prima o poi, andrà a finire che si ammazzeranno di botte. Anzi, andrà a finire che mio fratello ammazzerà di botte mio padre. E io sarò felice! Perché mio padre è uno stronzo, ma mio fratello è un grande! Ecco cosa penso!"
"Magari ce lo avessi io un fratello come il tuo! Che desse una bella ripassata a mio padre quando mi carica di legnate!" Fantasticò il Tasso, che, come credo di aver già detto, era quello che le buscava più spesso e più sonore.
In quanto a Francesco, il fratello maggiore di Tonino, era proprio simpatico. fosse stato pur vero che si drogava, me ne strafregavo, lui e i suoi amici erano troppo forti. Mai una volta che avessero fatto i prepotenti, o che ci avessero malmenato, cosa che, solitamente, ti dovevi aspettare da quelli più grandi. Loro no, loro ci trattavano da pari, da amici. si fermavano spesso a giocare al calcio con noi, su alla Rocca. Lasciavano le loro ragazze sedute sugli scalini della fontana a bere e fare il tifo e giù a battersi con noi, a prenderle e a darle pur di vincere la partita. Terminata la gara, si beveva insieme. Birra per loro e gassose e chinotti per noi. Sempre a loro spese. Li adoravamo. Certo, strani erano strani. Diversi da tutti gli altri, questo lo vedevamo anche noi, mica eravamo ciechi. Con quei camicioni enormi, di mille colori, quelle giacche sdrucite di due o tre taglie più grandi e i pantaloni rattoppati e sfrangiati alle caviglie. Erano più belle le ragazze però, molto più belle. Non c'era partita. Indossavano certe minigonne da infarto e vestitini a fiori trasparenti che... insomma, che non c'era bisogno di immaginare. Non nego, ma un po' me ne vergogno, che alcune gare di seghe furono interamente dedicate a loro.
Poi c'erano i capelli. Era questo l'aspetto che, in paese, detestavano di più. Sarebbe bastato solo quello per farli additare come delinquenti. Erano tutti dei gran capelloni. E, come se non bastasse, alcuni erano anche barboni. Capelli che scendevano incolti fin sopra le spalle e barbe come capelli. Uguali a certi cantanti, o a certi attori che si vedevano alla televisione. Noi, dieci anni più tardi, li avremmo portati molto più lunghi e saremmo stati molto più sporchi e cattivi. Ma allora correva l'anno millenovecentosettantadue, il sessantotto non aveva fatto fermate nei piccoli centri, tanto meno in quelli del viterbese. Si pascolava beatamente nel medioevo della ragione. "Ma guarda cosa mi tocca vedere!" Sbraitava mio padre ogni volta che, alla tele,  passavano quei nuovi complessi beat, o rock, tipo: Beatles, Rolling Stones, o i nostrani Rocks, o i Ribelli. "Di questo passo chissà dove andremo a finire. A lavorare dovrebbero andare! Tutti i giorni pala e piccone! Altro che fracassarci i timpani e i coglioni con questa caciara. Saprei io come fargliela passare la voglia!"
E potevo benissimo immaginare che, nelle altre case, i toni e i commenti erano identici. Nonostante ciò e, forse, anche a causa di ciò, noi ragazzini stavamo tutti dalla parte di Francesco e della sua banda. Ci piacevano e ci piacevano anche le loro auto. Non che fossero più belle, o più nuove delle altre che circolavano, anzi, per dirla tutta, erano le auto più vecchie e malandate del paese. Ma erano interamente ricoperte di strani simboli e disegni variopinti. "Sono disegni psichedelici." Ci disse una volta Alex, il figlio di Paolo il fabbro, fabbro lui stesso e amico fraterno di Francesco. Sa il cazzo cosa significasse, ma ne fummo ugualmente colpiti. Tant'è che, per dire di una cosa fica e strana, dicevamo che era psichedelica. Lo dicevamo anche delle persone. Naturalmente Schizzo era il più psichedelico del mondo. Anche la musica che ascoltavano era psichedelica, stavolta per davvero, ce lo dissero loro. Arrivavano in piazza, parcheggiavano alla meglio e lasciavano sempre le portiere aperte, per ascoltare meglio quella valanga di note che ne usciva. E loro lì, a ballare come dei matti e a fumare. Noi li fissavamo incantati, come davanti alla vetrina di un negozio di dolciumi, giurandoci che un giorno saremmo diventati come loro.
"Che lavoro fa tuo fratello?" Domandò il Tasso a bruciapelo.
"Non lavora, ancora studia." Rispose Tonino, che, nel frattempo, aveva ritrovato la calma.
"Come ancora studia? Quanti anni ha?"
"Ventuno...No, ventidue! Ne ha ventidue."
"Ventidue? E ancora va a scuola? Cos'ha in testa, la segatura? E' peggio di Schizzo! Quanti anni ha ripetuto?" Il Tasso cercò di fare i conti con le dita delle mani, non riusciva a capacitarsi.
"Sarai tu ad avere la segatura in testa! Studia ancora perché va all'università. Coglione! Mica fa le medie!"
"Aspetta un attimo, Toni', fammi capire bene..." Si intromise Schizzo, che, improvvisamente parve interessarsi all'argomento.
"Si, buonasera! Per far capire te, ci vorrebbe un miracolo!" Gracchiò sghignazzando, Sergetto.
Schizzo lo guardò freddamente, raccolse la forchetta da terra e gliela mostrò. questo piccolo gesto fu sufficiente a farlo tacere. "Dicevo, " riprese Schizzo, ma senza togliere gli occhi di dosso a Sergetto, "Come è possibile che ancora studia? L'obbligo di andare a scuola non è fino a quattordici anni?"
"E allora?"
"Francesco quanti anni ha?"
Ventidue, stupido! Ho appena detto che ne ha ventidue! Ma che cazzo c'entra? Lui mica è obbligato ad andare a scuola. Lo ha scelto, gli piace." Stava di nuovo perdendo la pazienza.
"Eccome se c'entra! Anzi, è proprio qui che casca l'asino! Mi dispiace, Tonino, ma è la prova che davvero tuo fratello si droga. A chi può piacere di andare a scuola, se no? Solo a un drogato!"
"Ma vaffanculo va!" Fu la risposta del coro.
"Sentite, perché non ce ne torniamo in paese? C'ho una fame che non ci vedo!" Disse Bomba, massaggiandosi l'abbondante ventre, come se volesse calmare una bestia feroce.
"Tu hai sempre fame, Bomba! Dovresti farti visitare. Là dentro c'è una tana di vermi solitari. Tanti vermi, quindi non sono poi così solitari!" dissi, alzandomi in piedi e infilandomi i sandali e la canottiera.
"Dai, andiamo. Mi mangio qualche fetta di pane e pomodoro e riesco subito da casa."
"Ma si, andiamo. Anch'io mi sono rotto di star qui a non fare un cazzo. ho voglia di giocare al calcio. Vado a casa, prendo il pallone di cuoio e ci vediamo su in piazza."
Imboccammo mesti la via del ritorno, senza scambiarci parole. Ognuno perso nelle proprie scarpe e nei propri piccoli pensieri, ingigantiti, a tratti, dalla stanchezza e dai sogni a buon mercato. Decidemmo all'unanimità che saremmo passati a casa, per ricaricare le batterie e per cambiare le calzature. Col pallone di cuoio, era meglio indossare le scarpe più malandate che possedevamo, meglio per la nostra salute, naturalmente. I nostri ci avrebbero scuoiati vivi se avessimo rovinato quelle buone.
Era tutto apparecchiato per il calcio d'inizio. Le porte disegnate a terra con il gesso fregato anzitempo a scuola, le squadre già disposte nella propria metà campo e avevamo reclutato anche altri quattro ragazzini per la classica di tutte le classiche: il cinque contro cinque. Le regole erano semplici, molto più semplici di quelle del calcio vero, quello giocato negli stadi, intendo, e ci venivano tramandate dalla notte dei tempi. Mai toccare la palla con le mani, per nessun motivo, non esisteva il volontario e l'involontario, creava solo discussioni e, talvolta, cazzotti. Non lo dovevi fare e basta, altrimenti era fallo contro. Anche le trattenute erano fallo. In compenso, i calci negli stinchi erano ammessi. Ed anche gli spintoni. Ma non dovevi mai far cadere a terra l'avversario. Quello era il fallo peggio di tutti. Rigore contro! Non c'erano santi!
"Allora, Schizzo? Iniziamo o aspettiamo che faccia notte?" Era Schizzo a dover dare il calcio d'inizio. E il Tasso fremeva come un toro in attesa di essere liberato dal recinto. Ma Schizzo continuava a tenere la palla sotto al piede sinistro e a guardare la via che si immetteva nella piazza. Sembrava imbalsamato.
"Si è incantato un'altra volta. E' peggio di quel cesso di giradischi di mia sorella. bisogna sempre prenderlo a manate per poter ascoltare una canzone fino alla fine." Dissi a Tonino, vicino a me e in squadra con me. Lui evitò i commenti, limitandosi a scuotere la testa.
"Guardate un po' chi sta arrivando?" Urlò improvvisamente Schizzo, puntando il dito verso due figure che stavano risalendo la via.
"Ma che cazzo ti vai inventando? Che vuoi che me ne freghi? tira la palla, piuttosto!" Il Tasso scalpitava.
"Non li riconoscete?"
"Ascolta, Schizzo, certe volte è complicato sopportarti. Prima di tutto: sono in due, non uno solo. Chi dei due dovremmo riconoscere? Poi mi spieghi come hai fatto tu a riconoscerlo, che sei cecato come una talpa cieca?"
"Aspettate un secondo," Si intromise Bomba, aguzzando la vista, "Ha ragione Schizzo! Ora ho capito anch'io chi è."
A quel punto, avevamo capito tutti. Erano a non più di trenta passi. Due, uno grande e uno piccolo. Il grande, con ogni probabilità doveva essere il padre del piccolo, visto che gli teneva un braccio intorno alle spalle. Ma di lui non ce ne fregava niente. Era al piccolo che avevamo incollato i nostri sguardi.
"E' quello stronzetto che abbiamo incontrato giù al fiume!" Esclamò, stupefatto, il Tasso.
"E' quello stronzetto che te le ha suonate giù al fiume! Forse è questo quello che volevi dire." Lo canzonò Schizzo, senza neanche guardarlo.
"Che sarà venuto a fare quassù? Chi cazzo glielo ha dato il permesso di entrare in paese?"
"Il permesso? Ma chi ti credi di essere? Il sindaco?" Lo zittì, Tonino.
" Sarà venuto a trovare qualche parente."
"Se avesse avuto qualche parente in paese, lo avremmo già visto prima. O lo avremmo saputo. Di turisti, da noi, neanche l'ombra. Io dico che si è appena trasferito. E' venuto ad abitare qua." C'era della logica nell'osservazione di Bomba.
"Io dico..."
"Io dico che ora lo chiediamo a lui. Personalmente." Dissi, troncando sul nascere il pensiero di Tonino, che era rimasto con le parole a penzolare fuori dalla bocca. Mi guardarono increduli, dopo quello che era successo, era impensabile. Ma quando videro che mi ero avviato, a passo deciso, verso il nuovo arrivato, non ebbero esitazioni a seguirmi.
"Ciao! Finalmente ci incontriamo di nuovo. Come mai sei venuto in paese?" Fu il mio discorso di benvenuto. Nessuna risposta. Continuava a guardarmi fisso, ma nessuna risposta. E non cambiò neppure espressione. Sembrava quella statua che si trovava in Egitto. Quella vicino alle piramidi...Credo si chiamasse Sfinge. Ecco, appunto, sembrava una cazzo di Sfinge! Non mi persi d'animo, ci voleva ben altro per scoraggiarmi. Abbassai la testa e ripresi l'assedio:" Io sono Pietro. Tu? Come ti chiami?" Un'altro buco nell'acqua. Stavolta però sorrise. Sorrise muto come un pesce. Pensai che non avrebbe mai parlato, se non fosse stato il padre a costringerlo.
"Non essere maleducato, figliolo, di loro come ti chiami." Fece l'omone coi baffi che l'accompagnava, mollandogli un leggero scappellotto sulla testa, con quella sua mano grande come un badile da muratore.
"Mi chiamo Pietro." rispose infine in un sussurro.
"Anche tu? Ci mancava pure questa! Come se uno non fosse stato sufficiente." Si intromise Tonino.
"Questa si che è una gran bella notizia, figlio mio. Siamo qui da appena una settimana e già ti sei fatto dei nuovi amici." Disse il gigante, evidentemente soddisfatto. Più lo guardavo e più mi sembrava immenso. Pareva...pareva...parevano due! Uno sull'altro.
"Proprio amici, non direi." Borbottò sottovoce il Tasso. L'uomo lo scrutò con aria interrogativa e Schizzo ne approfittò per inchiodarlo alla sua responsabilità di padre.
"Non lo stia a sentire, signore. Parla così perché, suo figlio, giù al fiume, gliele ha suonate per bene" Il pover'uomo parve vacillare, aveva accusato il colpo. Schizzo decise che era il momento di affondare: "Veramente non le ha suonate soltanto a lui, pure il povero Bomba ha buscato la sua razione." Concluse, indicando con un dito la seconda vittima.
L'orco divenne tutto rosso in viso, la collera gli tracimava dagli occhi, fissò il sangue del sue sangue e disse: "E' vero quello che dice questo ragazzo?" Pietro non rispose. Continuava a fissarmi, ma niente. "Se non hai nulla da dire, significa che sei colpevole. Ora chiedi scusa e, stasera a casa, faremo i conti. Vedrai se non te lo tolgo questo vizio di menar le mani."
Adesso, però, era costretto ad aprir bocca, doveva difendersi, far valere le proprie ragioni. Non era stata colpa sua, lo avevamo provocato, era colpa nostra. Gli sarebbe bastato raccontare come realmente erano andate le cose e l'avrebbe scampata. Invece niente. Neanche una sillaba. Quel ragazzino era davvero tosto. duro come la pietra delle cave. No, non lo avrei permesso. Non poteva andarci di mezzo lui. dovevo salvargli il culo. Se lo meritava. Se lo meritava e, tutto a mio vantaggio, mi avrebbe, poi, dovuto un favore.
"Lo lasci stare, signore, non è stata colpa sua." Dissi con una voce timida e tremolante.
"Come dici, piccino?" Chiese l'omone, chinandosi verso di me, come per udire meglio.
Mi faceva incazzare quando mi chiamavano piccino, o piccolo, o bambino, ma cosa avrei potuto farci? Quello era una montagna e doveva essere forte come un toro. Per me, poteva pure chiamarmi come cazzo gli pareva, non avrei di certo protestato! "Dico che è stata colpa nostra. Non avremmo dovuto prendere a sassate le sue mucche. Se qualcuno le ha prese è perché se le è cercate. Al posto di suo figlio, anch'io mi sarei incazzato come una biscia."
"Se le cose stanno così, come dici, metteteci una pietra sopra e fate la pace. Festeggeremo con una bella bevuta al bar." Entrammo nel locale ed ordinò una birra per se e una gassosa per il figlio, poi ci chiese cosa desiderassimo. "Gassosa!" fu la nostra decisa risposta. "Bene allora: Cinque bottigliette di gassosa e un secchio per lui!" Ordinò al barista, ma strizzando l'occhio a Bomba, che fece finta di sorridere. Era abituato alle prese per il culo, per via della sua mole. Ma che a farlo fosse uno grosso il triplo di lui, era paradossale. Troppo comico.
"Ora un bel brindisi!" Ci invitò il padre di Pietro.
"A cosa brindiamo?"
"All'amicizia!" Tuonò, con un vocione che fece tremare le pareti e concentrò su di se tutti gli sguardi dei presenti. Brindammo con gioia. Il nuovo amico mi si parò davanti e. "Grazie." Disse con una voce talmente fioca che fu un'impresa capirlo.
"Per cosa?"
"Per prima"
"Quello che ho detto era la verità. Era davvero colpa nostra. E non capisco perché tu non ti sia difeso. Eri dalla parte della ragione!"
Fece spallucce, ma non rispose.
"Certo che devi avere una bella capa tosta!"
"Non c'è male." Rispose, ma, per la prima volta, sorridendo apertamente.
"Senti, ti va di giocare con noi a pallone?"
"Non posso. Devo accompagnare mio padre non ho capito bene dove."
"Eccome se puoi!" Lo corresse il padre, "Se non hai capito dove, significa che la tua presenza non è del tutto necessaria. E' necessario invece che resti a giocare con i tuoi amici. Quando avrò finito con le faccende che devo sbrigare, tornerò a riprenderti."
"Perfetto!" Esultai, poi rivolgendomi agli altri: "Andiamo, si riprende la partita, gioca anche Pietro. Sai giocare vero?"
"Me la cavo."
"Si, ma come facciamo? Ora siamo dispari. bisogna chiamare un altro giocatore." Disse il contabile Bomba.
"E perché? Lui si mette in squadra con voi e noi giochiamo con il portiere volante. Anche se siamo uno in meno, vi rompiamo il culo lo stesso!" Sentenziai con la certezza di uno sbruffone.
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Sarah Felberbaum: “E’ il momento di una donna Premier”.
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L’attrice anglo-americana non ha dubbi. Lei, che arriva oggi in tv come fidanzata del giovane montalbano, è convinta che “per le italiane tutto è più complicato. Ma Fornero, Camusso e Marcegaglia certo non sono in quei posti per le quote rosa”. La sua ricetta? “Dare il buon esempio”. Alta, occhi verdi, fettoni. Voce pacata e risata libera. Sarh Felberbaum, 31 anni, ex presentatrice tv, attrice, è stata al fianco di Toni Servillo nel Gioiellimo e ora sta per sbarcare in forze nelle nostre case. Sarà la protagonista femminile del Giovane Montalbano su Raiuno e poi, sempre sull’ammiraglia dell tv di stato, duetterà con Alessandro Gassman nella Grande Famiglia. La incontro in un albergo di Roma centro. Mentre parliamo un signore si aggira fischiettando tra i divani della hall. L’attrice commenta: “E’ Mascagni”. Ogni tanto accosta la mano sinistra alla bocca. Chiedo: “Quello che hai all’anulare è un brillante impegnativo. Un regalo di Daniele De Rossi, il centrocampista della Roma?”. Risposta: “Ero indecisa se togliermelo prima di venire qui, ma poi non mi è sembrato il caso”. Sarah raggiunge picchi di sincerità quasi eccessivi. Eccola di fronte all’esame per la perfetta fidanzata camilleriana di Montalbano. Cosa sono i cabasisi? “Qualcosa che si mangia?” Non esattamente. Sono i testicoli. Finisci di declinare: io sacciu, tu sai, iddu… “Non lo so. Non sono stata in Sicilia abbastanza”. Iddu sape. Ma prima di girare la fiction hai studiato un po’ Camilleri? “Ho visto qualche puntata. Soprattutto quelle vecchie in cui c’è Livia, la compagna di Montalbano. Io interpreto lei da giovane”. Livia, la donna nordica. Tu sei una donna nordica di cultura anglosassone anche nella realtà. “Padre newyorkese e madre londinese”. Questa intervista esce l’8 marzo. Come hai vissuto il dibattito degli ultimi due anni sulle donne in Italia? “Con un po’ di scetticismo”. Hai seguito la campagna ”sul corpo delle donne”? Le polemiche sul bunga bunga… “Si certo. Non dico che non me ne freghi nulla….anzi. Ma penso che troppo spesso si parla, si parla, ma poi non cambia nulla. Sono le donne a doversi muovere concretamente. Con iniziative come Se non ora quando, ma anche con l’esempio quotidiano”. Esempi quotidiani. Berlusconi ti invita a cena…. “Non ci vado”. Neanche se fosse una cena elegante? “Non vorrei vedere il mio nome associato a certe situazioni. Dici che dovrei essere più diplomatica?” Hai mai ricevuto avances da qualche produttore? “Ho ricevuto inviti sospetti, che ho rifiutato. Piuttosto che scendere a compromessi preferisco cambiare mestiere. Mi reinvento”. Chi è la donna italiana ideale? “Monica Vitti. Talentuosa e leggera”. Sei favorevole o contraria alle quota rosa? “Sono favorevole alla presenza delle donne nelle istituzioni, nella politica, nei Cda delle imprese… E’ la base della democrazia. Ma vorrei che ci stessero per le loro idee. Non vorrei veder avanzare donne che non hanno niente da dire. Non credo che Emma Marcegaglia, Elsa Fornero e Susanna Camusso abbiano avuto bisogno delle quote rosa. Loro sono leader per le loro idee, per la loro grinta”. Giusto. Ma gli spazi per le donne in Italia sembrano ridotti. “Per le donne italiane è tutto più complicato. Basta vedere la vicenda delle lavoratrici incinte (e a partita Iva) della Rai a cui non veniva rinnovato il contratto. Ma credo che anche l’Italia non sia pronta per un premier donna. Altro Monti, Passera e compagnia…” Donne grintose. Tu lo sei? “Mi considero abbastanza insicura. A ogni provino sento una voce che mi sussurra: “non ce la farai mai”. Non faccio molto teatro anche per questo: la scena mi mette il panico”. Per un’attrice potrebbe essere un problema.. “Con questa insicurezza non ci convivo bene. Ma qualche pro nell’essere insicuri c’è”. Sei pigra? “Ogni tanto mi regalo giornate di grande svacco”. L’ultima volta che è successo? “Alla fine delle riprese della Grande Famiglia”. Parli spesso della tua di grande famiglia: Harvey, tuo padre, americane di origini russo- ungheresi. Paulyne, tua madre, inglese…. “Ho letto spesso molte inesattezze”. Di che tipo? “Gira una ricostruzione fantasiosa della mia infanzia in Italia a quindici anni”. Invece? “Sono nata in Inghlterra, ma ho sempre vissuto qui”. Che studi hai fatto? “Scuole americane e private. Ne ho cambiate molte”. Hai cominciato a lavorare a quindici anni. “Una signora che frequentava lo stesso circolo sportivo di mio padre e lavorava per Fendi mi propose di sfilare. Per qualche anno ho fatto la modella”. Hai raccontato di aver sfiorato l’anoressia. “Ho avuto momenti difficili. E per un po’ sono stata una fisarmonica: magra, paffuta, magra, paffuta….” Sfileresti ancora? “L’ho fatto per beneficienza l’anno scorso. Per Alberta Ferretti, la mia preferita. Sembravo un pezzo di legno”. Per qualche anno hai fatto la presentatrice. “E non lo rifarei più” Ballando con le stelle lo condurresti? “Ho rifiutato due volte di partecipare come concorrente”. Non presenteresti nemmeno Sanremo? “Sanremo è Sanremo. Ci andrei se mi facessero scendere le scale sul palco in anfibi, o scalza, come ha fatto Geppi Cucciari. I tacchi non li amo”. Dopo il periodo da presentatrice ti sei data alla fiction “Già, ma non mi sono mai sentita una predestinata. Molte mio colleghe raccontano la loro giovinezza come una ineluttabile strada verso la carriera di attrice. Io, semplicemente, amo il cinema e le emozioni che dà. A ventuno anni prima mi sono messa a studiare recitazione, con l’attrice Gisella Burinato, poi ho cominciato a fare provini. Mi presero per Caterina e le sue figlie. Con Virna Lisi”. Ti ha insegnato i trucchi del mestiere? “No. Sul set era molto professionale nel modo di gestire il rapporto con la troupe. Per tutti era la signora Lisi”. Sei stata anche la figlia di Elisa di Rivombrosa “Non è stato un grande successo” Di solito gli attori non lo ammettono “I numeri sono numeri”. E’ vero che parteciperai a “La figlia di Elisa”? “Col cacchio”. Qual’è la fiction che non rifaresti? “Forse Giorni da leone 2. Non è venuta un granchè”. Fai molti provini? “Vado a quelli che mi sembrano più interessanti”. Il provino più difficile? “Quello per Il Gioiellino. Quando ho visto entrare Toni Servillo, che per me è un mito, mi si è bloccato il cuore. Aveva il sigaro tra i denti e le prime parole che ha detto sono state: “Mi rode il culo”. Pensai:”Signore mio, è finita”. Invece”. Un provino che hai lisciato? “Quello per il primo film di Checco Zalone”. Non sono molto lungimirante: Zalone ha sbancato “Lo so. Ma in quel periodo stavo girando altro. E poi ero più snob di quanto non lo sia oggi”. Lo faresti un cinepanettone? “In linea di massima…no”. Il regista con cui vorresti lavorare? “Darren Aronofsky e Matteo Garrone” L’attore con cui vorresti duettare? “In questo momento ho una cotta professionale per Marco Giallini. Mi piace come riesce a far comparire all’improvviso la freddezza e la cattiveria nei suoi occhi e a farla scomparire un secondo dopo. Aggiungo Filippo Timi. Ma con lui avrei dei problemi. Chi ammiro troppo mi spaventa”. Tra le star internazionali? “Javier Bardem e Sir Ben Kingsley”. A cena col nemico? “Con George W.Bush. Vorrei farci giusto due chiacchiere”. Pensavo che mi dicessi Hernanes, il “profeta” della Lazio “Pensai male. Io non vivo di calcio”. Ma sei fidanzata con De Rossi, pilastro della Roma. “Quando l’ho conosciuto non sapevo nemmeno chi fosse”. Beato chi ci crede “Te lo giuro. Ero in un ristorante a Roma centro. Arriva al tavolo questo ragazzo e tutti intorno cominciano a bisbigliare. Io vado al bancone e un amico barista mi dice: “Ma lo sai chi è quello?” Hai un clan di amici? “Sono gli stessi da vent’anni. Ne cito due: Barbara, che ho conosciuto in quarta elementare, e Ilaria. E’ lei che mi ha insegnato cos’è il fuorigioco”. Che cos’è il fuorigioco? “Una linea immaginaria….” La domenica vai allo stadio? “Solo se riesco a organizzare un gruppo divertente di amici”. Non frequenti fidanzate e mogli degli altri calciatori? “Non ne conosco. Una volta ho portato mio padre allo stadio. Ho fatto l’ingresso all’Olimpico con un panama in testa. Molto affascinante”. Hai un rapporto strettissimo con tuo padre. Una volta hai detto che con lui parli di sesso. “Con i miei genitori non ho mai avuto tabù. Mi pare una cosa sana”. L’errore più grande che hai fatto? “In linea di massima rifarei tutto quello che ho fatto”. Che cosa guardi in tivù? “Sono fissata con le serie tv, da quando sono bambina. Le guardo in lingua originale: Boardwalk Empire, Lie to me…” Passi le serate davanti al televisore? “No. Registro. E poi faccio grandi full immersion quando Daniele è in trasferta”. Il film preferito? “Una moglie di John Cassavetes con un’immensa Gena Riwlands”. La canzone? “Il concerto per violoncello di Edward Elgar. Un pezzo classico”. Suoni qualche strumento? “Ho studiato pianoforte, poi ho abbandonato”. Il libro? “Anime alla deriva di Richard Mason. Leggendolo ho capito per la prima volta che cosa ti può dare un libro” Conosci l’art 12 della Costituzione? “No,dai. Conosco il primo e il terzo, quello per cui siamo tutti uguali di fronte alla legge”. Il dodicesimo è l’articolo che descrive la bandiera italiana “Non sono esattamente patriottica”. Hai il passaporto inglese e americano. Ai prossimi Europei per chi tiferai? “Italia. Ho un nazionale nel cuore” Sai che cos’è Twitter? “Si, ma non lo frequento”. Conosci i confini della Libia? “Mortacci! No”. (Sette - 09/03/2012)
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Il cristianesimo, fin dall’inizio, assomiglia a un passa parola fatto tra amici. È la contaminazione per relazione l’argomento più efficace dell’evangelizzazione. Non è la propaganda la cosa che funziona di più, ma la credibilità degli amici: “Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi»”. La festa di San Bartolomeo (Natanaèle) ci fa ascoltare questo brano del vangelo tutto speciale. In un solo annuncio troviamo non solo le resistenze dei pregiudizi di Natanaèle ma anche l’unica risposta plausibile a ogni critica: “Vieni e vedi”. Infatti il cristianesimo è un’esperienza, e se lo si vuole scartare o prendere sul serio non lo si potrà fare a tavolino, o semplicemente in lunghissimi discorsi, ma solo mettendosi in gioco nell’esperienza. Natanaèle è diffidente ma si mette in gioco seguendo Filippo. “Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!»”. Gesù smonta subito il pregiudizio di Natanaele che così passa dalla diffidenza alla professione di fede, diventando di fatto il protettore di tutti quelli che iniziano con il piede sbagliato e finiscono con il piede giusto. La storia della Chiesa è piena di santi che avevano un atteggiamento polemico nei confronti di Cristo o della Chiesa, ma hanno avuto l’umiltà di mettersi in gioco, e Gesù ha tirato fuori da loro, capolavori immensi. Non avere paura, allora, se sei polemico, c’è speranza anche per te. E non rispondete con durezza ai polemici, Gesù ricambia la polemica con un gesto di tenerezza, e d’un tratto le cose si capovolgono. Giovanni 1,45-51 #dalvangelodioggi Don Luigi Maria Epicoco #vangelodelgiorno https://www.instagram.com/p/CEQrv35jL6X/?igshid=g0ds40zwtqog
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stillhere24 · 6 years
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Come te nessuno mai: elogio alla diversità
Mi sono rotta con questa storia che bisogna essere sempre tutti uguali, belli perfetti, alti… con un sorriso bianchissimo e tutti i denti bianchi come dei Tic tac. E chi non lo è? Chi non lo è deve sentirsi una merda! Chi magari ha le tette piccole, il naso storto e le labbra sottili si sente sbagliato e si rifà! Vedrai tra dieci anni… tra dieci anni saremo tutti uguali, tutti identici. Toccherà poi andare dal chirurgo estetico e dire: “Senta… mi può spaccare il naso cortesemente? Voglio averlo un po’ storto per darmi quel tocco di diversità”…. “Guardi. Ho le tette della quarta, me le fa della prima scarsa? Perché sa le quarte ce le hanno tutti. Mi fa le tette di un gatto maschio per piacere?”.
Secondo me la bellezza non vuol dire essere perfetti, ma vuol dire essere armonici dentro e fuori. Accettarsi per quel che si è. Lo dico per tutti i ragazzi che patiscono a scuola e tra gli amici, quelli che sono spesso vittima dei bulli. Ho una lettera per voi..
Cara Francesca, Alessia, Cecilia, Rosa, Martina… e poi aggiungete voi. Caro Mattia, Alberto, Riccardo, Filippo, Osvaldo, Mimmo e Fred… e poi aggiungete voi. Può capitare che in certi periodi della vita uno si senta fragile, si senta come le barrette ai frutti di bosco… che basta un niente a frantumarle. È normale. È assolutamente umano. Viviamo in un tempo fetente che ci vuole sempre al top, fichissimi, intelligentissimi, bravissimi a scuola, amatissimi… e anche pieni di like. Capirai?!
E se invece non sei così bella? Se sei tonda e gentile come la Nocciola delle Langhe… e nessuno ti guarda? Se c’hai sempre qualche brufolo pellegrino che fa il cammino di Compostela sulla fronte? Se la tua caviglia non è stretta come il cervello di chi ti critica? Se vivi nella vita reale e non vivi in Photoshop? E tu invece? Tu invece che sei maschio e ti senti medusa. Che non sei alto 1,90m, che non hai settemila muscoli che ballano sotto la maglietta… e quando giochi al calcio sembri un po’ il Gabibbo. Tu che porti la stessa felpa da un mese, perché solo con quella ti senti un po’ corazzato. Che porti i capelli lunghi fino al naso così non si vede che ogni tanto piangi. Che devi fare? Nulla devi fare. Nulla. Solo lasciarti crescere in pace. Amarti… questo si.
Perché la gente non sa quante cose belle ci sono dentro di te… è per quello che ti tormenta. Ma guardali… guardali! Vale la pena dar retta alle stronzate che dicono? Sono budini. Budini che si credono torroni. Solo tu sai quanto vali. Sei diverso? Minchia… Evviva! Vuol dire che sei un pezzo unico e originale. Come te nessuno mai. Io questo ho imparato con il tempo. A diventare un po’ speleologi di se stessi, tipo palombari. Solo quelli lo fanno nel mare. Tu ti metti lì e cominci a scavare… e ti ascolti.
Il tuo cuore è una conchiglia, se lo ascolti bene si sente un sacco di roba. Si sentono le onde, le maree, le burrasche, le bonacce… si sentono gli slanci del tuo cuore e le paure mescolate alle tue forze. E poi leggi… leggi tanto, leggi tutto, leggi anche quando sei al cesso, leggi anche le istruzioni del detersivo, leggi anche quello che ti sembra difficile. Lo hanno scritto degli uomini, c’hanno speso del tempo, qualcosa dentro che serve ci sarà. E perché attraverso le storie degli altri che si scopre di non essere solo… e che le cose che succedono a te, sono successe non sai a quanti. E poi ascolta la musica, fai che il tum tum del tuo cuore si mescoli al tum tum della batteria. E poi canta. Canta anche se sei stonato. Riempiti l’iPod e cammina, fino a quando ti fanno male i piedi e va via la voce.
Tirati su da quel divano, mettiti su una maglietta che ti sta bene… un po’ di rimmel se sei una femmina e un po’ di gel se sei un maschio. Tutti e due se sei gay. Impara prima di tutto a piacere a te stesso, quello che pensi di te è molto più importante di quello che gli altri pensano di te. Lo diceva Seneca, che non era affatto uno stupido.
-Luciana Littizzetto
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