Tumgik
#angoli si casa
catsloverword · 2 months
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“Ti porterei al Mare”. Oggi. Adesso. Ora. Vorrei non dovertelo scrivere, ma poter semplicemente presentarmi da te, bussare a una qualsiasi porta o suonare a un campanello e con un semplice sguardo dirti: “Andiamo”. Ti porterei ovunque, a dire il vero, ma partirei dal Mare perché lì c’è quel magico filo dell’orizzonte dove perdersi, per ritrovarsi, è inevitabile. E io, con te, mi sono persa… per poi ritrovarmi migliore. E accade in ogni istante del tempo passato insieme: mi perdo e mi ritrovo. Mi perdo e mi ritrovo. Ti perdo e ti ritrovo. In un gioco sottile che ridefinisce confini sciogliendoli nell’altro. È bello Essere Noi ora che siamo due persone distinte, libere, definite. Mi piacciano i Noi che nascono da Io e Te.
Ma stavo parlando del Mare… dove ti porterei, anche solo per il gusto di rapirti dalla “solita” vita. Anche solo per sradicarti da obblighi, impegni, ruoli, responsabilità.
Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che, ogni tanto, ci assolva dall’essere adulti, che ci sollevi di peso e… faccia per noi, impedendoci di pensare troppo, di ripeterci cosa sia giusto o sbagliato o… Nessuna replica. Andiamo. E, prima di tutto, ci godiamo il viaggio. Ridiamo di nulla. Parliamo di tutto. Stiamo in silenzio a guardare angoli di mondo che scorrono ricordandoci che tutto muta e che, forse, solo l’amore (quello vero) resta. E questo te lo direi appoggiando la mia mano sulla tua, in quel leggero aggrovigliarsi di dita che raccontano incastri d’anima a scoperta di noi. In tutto questo il Mare diventerebbe solo un pretesto… il migliore al mondo, ma pur sempre un pretesto. Perché infiniti sono gli orizzonti che si spalancano di Bellezza quando due anime viaggiano insieme. Quello che conta è avere il coraggio di partire. E, ogni tanto, lasciarsi semplicemente portare. Dimenticando le “valigie” a casa.
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Letizia Cherubino, Se non t’incontro nei sogni, ti vengo a cercare
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ma-pi-ma · 5 months
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Nella casa della poesia ci sono angoli bui, dove possiamo nasconderci come se non avessimo bisogno della luce. Ho spinto la porta di quella casa in cerca di quegli angoli; ma ho anche trovato il sole che entrava dalle finestre e disegnava, sulla parete più bianca, il contorno del tuo viso. In realtà, quando si entra nella casa della poesia, ogni cosa ha un disegno così preciso come il significato di ogni parola. Solo, negli angoli bui, le ombre danno un altro senso a ciò che vediamo; e per quanto apriamo le finestre e vogliamo che il sole arrivi a quegli angoli, ci sono sempre figure che non escono dall’ombra, come se fossero i fantasmi dell’infanzia, e quanto dicono che viene da molto lontano, secondo alcuni, o da troppo vicino, secondo altri. Allora, che ci faccio io in questa casa da cui il sole non riesce a togliere le ombre? Perché insisto a guardare negli angoli più bui, fuggendo dalla luce? La risposta è nell’immagine che il sole ha proiettato sulla parete: l’immagine che ha il tuo viso e mi chiede di uscire da quegli angoli bui per sentire la tua voce il giorno in cui ti ho incontrata nella casa della poesia.
Nuno Júdice, da La casa della poesia
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luigidelia · 3 months
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01/02/2024 - Calderara di Reno, Bologna Ci sono luoghi in questa grande famiglia queer del teatro dove sei a casa. Per le persone, la sala, le strade intorno, il caffè che conosci, l'odore buono del camerino, la vista da quella finestra. Sono a Calderara di Reno, Teatro Spazio Reno, con La Grande Foresta. Con Luisa ed Eva ❤. Sì, sono a casa. Da qui sono passati tutti i miei lavori ma anche progetti, incontri, esperimenti, cose della vita privata accadute negli angoli. E tutte condivise con le persone care di questo teatro. Certe telefonate in quel determinato posto le ricordo ancora ora… La Grande Foresta è un nostro racconto antico. Secondo Mario, altri amici, il più bello. Questa mattina è stato strano ritrovarlo. E pensavo come raccontando questa storia si costruisca davvero una foresta, un foresta reale ma in un luogo e in un tempo immaginario, che esiste tra tutti noi nel tempo dello spettacolo. Il protagonista è un bambino che poi diventa ragazzo e poi adulto e poi vecchio in quella foresta. Mentre il pubblico usciva si è avvicinato un ragazzino. Voleva dirmi una cosa all'orecchio. Dimmi!, gli dico. Mi abbasso. E lui, me lo presenti quel ragazzino? Domani ancora. ps. nella foto 3 nostri spettacoli del cuore. Le locandine di questi e altri sono nei corridoi del teatro.
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intotheclash · 10 months
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“Mi dovrai scusare”, gli ho detto. “Ma non ci riesco proprio a spiegarti com’è fatta una cattedrale. Non ne sono proprio capace. Non posso fare meglio di così”. Il cieco è rimasto seduto immobile e mi ascoltava con la testa abbassata. Ho detto: “Il fatto è che le cattedrali non è che significhino niente di speciale per me. Niente. Le cattedrali. Sono solo cose da vedere in tv la sera tardi. Tutto lì”. È stato a quel punto che il cieco si è schiarito la gola. Gli è venuto su qualcosa. Ha tirato fuori un fazzoletto dalla tasca di dietro. Poi ha detto: “Ho capito, fratello. Non è un problema. Capita. Non stare a preoccupartene troppo”, così ha detto. “Ehi, sta’ a sentire. Me lo fai un favore? Mi è venuta un’idea. Perché non ti procuri un pezzo di carta pesante? E una penna. Proviamo a fare una cosa. Ne disegniamo una insieme. Prendi una penna e un pezzo di carta pesante. Coraggio, fratello, trovali e portali qua”, ha detto. E così sono salito di sopra. Mi pareva di non avere più un briciolo di forza nelle gambe. Me le sentivo come dopo aver fatto una corsa. Ho rovistato un po’ nello studio di mia moglie. Ho trovato delle penne a sfera in un cestino sulla scrivania. E poi mi sono sforzato di pensare a dove potevo trovare il tipo di carta che mi aveva chiesto. Sono sceso in cucina e ho trovato una busta di carta del supermercato che aveva ancora delle bucce di cipolla in fondo.
L’ho svuotata scuotendola per bene. L’ho portata di là in soggiorno e mi sono seduto per terra vicino alle gambe del cieco. Ho spostato un po’ di roba, ho allisciato la busta e l’ho stesa sul tavolino. Il cieco si è tirato giù dal divano e si è seduto accanto a me sul tappeto. Ha passato le dita sulla busta. Ne ha sfiorato su e giù i margini. I bordi, perfino i bordi. Ne ha tastato per bene gli angoli. “Perfetto”, ha detto. “Perfetto, facciamola”. Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. “Coraggio, fratello, disegna”, ha detto. “Disegna. Vedrai. Io ti vengo dietro. Andrà tutto bene. Comincia subito a fare come ti dico. Vedrai. Disegna”, ha detto il cieco. E così ho cominciato. Prima ho disegnato una specie di scatola che pareva una casa. Poteva essere anche la casa in cui abitavo.
Poi ci ho messo sopra un tetto. Alle due estremità del tetto, ho disegnato delle guglie. Roba da matti. “Benone”, ha detto lui. “Magnifico. Vai benissimo”, ha detto. “Non avevi mai pensato che una cosa del genere ti potesse succedere, eh, fratello? Be’, la vita è strana, sai. Lo sappiamo tutti. Continua pure. Non smettere”. Ci ho messo dentro finestre con gli archi. Ho disegnato archi rampanti. Grandi portali. Non riuscivo a smettere. I programmi della televisione erano finiti. Ho posato la penna e ho aperto e chiuso le dita. Il cieco continuava a tastare la carta. La sfiorava con la punta delle dita, passando sopra a tutto quello che avevo disegnato, e annuiva. “Vai forte”, ha detto infine. Ho ripreso la penna e lui ha ritrovato la mia mano. Ho continuato ad aggiungere particolari. Non sono certo un artista. Ma ho continuato a disegnare lo stesso. Mia moglie ha aperto gli occhi e ci ha fissato. Si è tirata a sedere sul divano, con la vestaglia tutta aperta. Ha detto: “Che cosa state facendo? Ditemelo, voglio sapere”. Non le ho risposto. Il cieco ha detto: “Stiamo disegnando una cattedrale. Ci stiamo lavorando insieme, io e lui. Premi più forte”, ha detto, rivolto a me. “Sì, così. Così va bene”, ha aggiunto. “Certo. Ce l’hai fatta, fratello. Si capisce bene, adesso. Non credevi di farcela, eh? Ma ce l’hai fatta, ti rendi conto? Adesso sì che vai forte. Capisci cosa voglio dire? Tra un attimo qui avremo un vero capolavoro. Come va il braccio?”, ha chiesto. “Ora mettici un po’ di gente. Che cattedrale è senza la gente?” Mia moglie ha chiesto: “Ma che succede? Robert, che cosa stai facendo? Si può sapere che succede?” “Tutto a posto”, le ha detto lui. “E adesso chiudi gli occhi”, ha aggiunto, rivolto a me. L’ho fatto. Li ho chiusi proprio come m’ha detto lui. “Li hai chiusi?”, ha chiesto. “Non imbrogliare”. “Li ho chiusi”, ho risposto io. “Tienili così”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Adesso non fermarti. Continua a disegnare”. E così abbiamo continuato. Le sue dita guidavano le mie mentre la mano passava su tutta la carta. Era una sensazione che non avevo mai provato prima in vita mia. Poi lui ha detto: “Mi sa che ci siamo. Mi sa che ce l’hai fatta”, ha detto. “Da’ un po’ un’occhiata. Che te ne pare?” Ma io ho continuato a tenere gli occhi chiusi. Volevo tenerli chiusi ancora un po’. Mi pareva una cosa che dovevo fare. “Allora?”, ha chiesto. “La stai guardando?” Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo come la sensazione di non stare dentro a niente. “È proprio fantastica”, ho detto.
Raymond Carver - Cattedrale
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benzedrina · 6 months
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Ieri sera tipello mi chiede di cenare insieme, un mercoledì qualunque, un mercoledì in cui avremmo giocato a D&D ma abbiamo già giocato Lunedì (finendo una campagna lunga 1 anno). Domenica con la scusa di far prendere aria alla macchina (ha una mezza macchina da corsa da 300cv, ci siamo fatti giri in pista un po' di volte e poi qualcos'altro di non propriamente sicuro, legale e coscienzioso) finiamo in un paesino sperduto, poche anime, 3 macellerie sull'unica strada principale. Paesello talmente sperduto che le vie vengono segnalate con queste placche di ottone agli angoli dei palazzi anziché i soliti segnali. Una di queste macellerie è famosa per una salsiccia che produce, è vero, potrebbe campare di solo quello, ho visto gente uscire con buste di 5-6 kg. Ne prendiamo un po' per tenercela a cene improvvisate, ieri era una di quelle.
Tipello arriva e porta un carico di 9-10 biscotti. Biscotti all'erba che fa un amico nostro. L'ultima volta a casa sua venivamo da mangiare sushi e ci siamo rivistin LOL 1 fino alle 4 di notte, nel mentre una spagnola (non posso dire amica dato che l'aveva conosciuta qualche giorno prima a un rave) ci preparava le tisane e sonnecchiava sulla sedia. Ne prendo meno della metà. Conosco gli effetti. Uno intero e ho questa botta allucinante fino alla sera del giorno dopo, ricordo molto, mi è difficile socializzare, penso che il mondo sia una gran cosa. Metà e l'effetto è più blando il giorno dopo, socializzo meglio, vado col pilota automatico e per quanto difficile, sono capace di capire un film nella sua interezza. 1/4 è la dose ideale, la botta sale, le cose tanto si fanno in automatico, riesco a concentrarmi, ho una bella risata e se non lo dicessi nessuno sospeterebbe. Ieri ne prendo 1/4, lui il resto, con la variabile che lui è il doppio di me. Facciamo una tarte tatin zucca, cipolla e salsiccia, mettiamo Crash Bash e giochiamo fino alle 2. Lui va via e io mi ritrovo in botta a fare una valigia, oggi vado a Roma per una specializzazione. Posso dire che è stata una pessima scelta di vita? Si. Dovevo scegliere come vestirmi elegante, se farlo, se essere più casual, se essere più trasandato. Boh. Ho preso una giacca di pelle.
Stamattina la botta continua ma va tutto bene, sono sul treno, lui si muove, io sto fermo.
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c3ss4 · 7 months
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la situazione tra i miei genitori e pietro è piuttosto tesa, ma sono convinta che lo odino per il semplice fatto che è del mio paesello e sono terrorizzati dall’ idea che la loro reputazione venga in qualche modo intaccata. pensate che a farmi la ramanzina è stato perfino mio fratello: il più piccolo della famiglia, 5 anni in meno di me. sembra uno scherzo. 18 anni e ancora non ragiona con la sua testa per certi versi. quando l’ ho detto a pietro, coi morsi allo stomaco, si è messo a ridere e mi ha detto “meglio, mi eccita ancora di più quando ti trombo”. pietro e risoluzione dei problemi: 10 a 0. scherzi a parte, alla porta di casa mia avrebbe potuto presentarsi un lontano cugino del principe william che i miei genitori lo avrebbero ugualmente ripudiato esattamente come fanno con la sottoscritta. eppure, a detta loro, sono sempre stata voluta e desiderata. credo che ciò che intendano davvero è che desideravano essere genitori. la realtà è che non c’entro nulla con loro. ho una testa diversa, un carattere diverso. ultimamente mia madre mi fa pesare perfino il mio aspetto fisico. mi ripete in continuazione quanto non le piacciano i miei capelli, il mio corpo, il modo in cui mi vesta, il mio viso. per assurdità si aspetta da me che sia sempre posata ed impeccabile. non le piace come cammino perché dice che appoggio male i talloni. non le piace come parlo perché dice che sono terribilmente fastidiosa. non le piaccio struccata perché sembro sciatta. non le piacciono i miei capelli perché dice che sono troppo radi. non le piacciono le mie gambe, la mia pancia, la mia acne, le mie sopracciglia, la mia risata, il mio sorriso, le mie mani, il mio modo di gesticolare o di articolare una frase, non le piace nemmeno la mia postura. l’ altro giorno mentre ero con pietro lo guardo e istintivamente gli tolgo il mio fondotinta dagli angoli della bocca. “perché ti trucchi quando sei insieme a me?” mi chiede. “perché senza sto male” gli dico. “non è vero”. eppure mi pesa.
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Da me ci sono due porte, una per entrare e una per uscire. Rigorosamente divise. Dalla porta d’ingresso non si può uscire, e da quella d’uscita non si può entrare. Tutti seguono questa regola. Possono variare le modalità ma tutti finiscono per andare via. C’è chi è andato via per sperimentare nuove possibilità, chi per risparmiare tempo. Qualcuno è morto. Fatto sta che non è rimasto nessuno. Tranne me, unica superstite. La loro assenza è sempre con me. Le loro parole, i loro respiri, i motivi canticchiati a bassa voce, aleggiano come polvere negli angoli di casa mia.
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Angeles Mastretta
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gregor-samsung · 10 months
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“ Lì, nel mare, spesso ci sei tu. Appena dentro, con l’acqua che ti arriva al ginocchio, giochi a pallavolo con un gruppo di amici e molte ragazze, e fai tuffi spettacolari per prendere la palla, e schizzi acqua con tutte le forze; il vento porta voci, risate e grida qualche volta, altre volte le trattiene e sembra di essere diventati sordi. So che ci sei sempre, so che continui a passare su questa spiaggia gran parte della tua estate e il lungomare sarà invaso da un’altra serie di ricordi che non conosco più; quando fai il gesto di levare gli occhiali da sole e quando il vento porta la tua risata verso il mio ombrellone, ho la conferma che continui a essere felice, che il tuo mondo è in questi due mesi, è in questa piccola città di mare. All’inizio, con imbarazzo, venivi a chiedermi di stare con voi - non me lo chiedevi direttamente, avremmo avuto pudore di chiedere e rispondere, ma lo dicevi in modo passabile, scherzando o prendendo il discorso alla larga. Io dicevo no, anzi non dicevo no, cercavo scuse plausibili. Alla fine, ti allontanavi, e a me sembrava che un attimo dopo sarebbe venuta tua madre a prendermi la mano e a portarmi tra voi, e all’inizio non mi avreste passato la palla, tu con la testa bassa, poi una volta e poi un’altra me l’avreste passata finalmente, e avrei cominciato a giocare, e poi a tuffarmi come te, e poi mi avresti preso in giro per un tuffo goffo o cos’altro, e le risate dei tuoi amici avrebbero fatto il resto. Non avrei potuto. Sembra che sia questo il momento di divertirsi e di vivere, sembra che l’anno abbia un prima, un durante e un dopo. E questo è il «durante» - bisogna approfittarne. A me non piace essere troppo allegro, e nemmeno troppo triste. A me non piace sapere che è questo il momento di fare qualcosa, che ci sono dei mesi irrinunciabilmente dediti alla vita, e sono i mesi d’estate. Essere allegri tutte le sere fino a notte inoltrata, è faticoso. E poi tornare a casa tardi, spogliarsi di poco e non rivestirsi, girare e rigirare il corpo sul letto caldo, e guardare le stelle fuori, perché è tutto aperto e sembra di dormire per strada - e sembra una cosa bella, ma non lo è perché non si riesce a dormire, si suda, bisogna fare una doccia, hai visto che caldo ha fatto stanotte? Non ho chiuso occhio. Un caldo così. Nel letto stai un po’ dalla parte sinistra, e quando diventa calda, passi dalla parte destra, e senti un po’ di quel fresco sulle guance e sulle anche. Poi di nuovo caldo. Puoi girare il cuscino, e poi farlo ancora una volta, ma se non fai presto ad addormentarti succede che acceleri le soluzioni, passi da una parte all’altra del letto, giri il cuscino sopra e sotto, e finisci per scaldare tutto e non ci sono più angoli freschi. Ti agiti tanto, ed è peggio. Un caldo come quello di stanotte non l’hai mai sentito. “
Francesco Piccolo, Storie di primogeniti e figli unici, Feltrinelli (collana Universale Economica n° 1483), 1998; pp. 102-103.
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lunamagicablu · 8 months
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Come un fiore che schiude i suoi petali al sole del mattino, come un piccolo d’aquila che spalanca il becco per ricevere nutrimento dalla sua regale madre, come un innamorato che apre le braccia per accogliere e stringere a sé l’amata, diventando uno, come terra arida che assorbe avidamente ogni singola goccia di una fresca e tanto attesa pioggia, con la quale poi si mescola, divenendo indistinguibile, ma mutata nel colore, nell’odore, nel sapore e persino nella consistenza… Così in me, nel profondo del mio cuore, percepisco e riconosco un movimento verso una Fonte che ha in sé Vita, che è Essa stessa Vita, che rinnova e rigenera tutta la Vita. E quanta Bellezza, quanta Gratitudine, quanta Gioia, quanta Pace ed accoglienza nel ritrovarsi a Casa… Ho ripercorso a ritroso la strada lungo la quale mi ero allontanato, ho versato lacrime su lacrime per ripulire gli occhi dalla polvere e dalla sabbia da cui erano offuscati, ho ascoltato il battito del cuore per sentirmi meno solo ed impaurito nelle notti senza luna, ho ritrovato gli angoli, le svolte, gli incroci e i bivi che un tempo mi avevano disorientato e fatto smarrire… Dietro di me, a terra, ho lasciato una pesante catena spezzata, troppo corta, sia per la Libertà, sia per la Vita… Ora sono qui, oltre quella soglia che non riuscivo a varcare, oltre quella porta di cui non trovavo mai la chiave, oltre quella paura, quella rabbia e quella colpa che non riuscivo a confessare, oltre il tradimento che non riuscivo a perdonare… Casa mia… il luogo più piccino che conosco, così minuscola da stare tutta dentro il cuore, le cui pareti sono a tal punto impercettibili, che arrivano a confondersi con la più remota profondità dell’Universo, dove il sole sorge e non tramonta, dove brillano le stelle in un cielo sempre blu… Sorrido, canto e ballo insieme all’alba che nasce, dopo una lunga notte buia… Tu sei in me… Tu sei la Luce, la Bellezza e la Grazia che avevo abbandonato, Tu sei la Vita che mi anima, Tu sei l’Amore che mi nutre… Tu sei… Casa mia. Con Gratitudine e Amore. Sid Atma ********************************* Like a flower that opens its petals in the morning sun, like a baby eagle opening its beak to receive nourishment from its royal mother, like a lover who opens his arms to welcome and embrace her beloved, becoming one, like arid land that greedily absorbs every single drop of a fresh and long-awaited rain, with which it then mixes, becoming indistinguishable, but changed in colour, smell, taste and even in consistency… Thus in me, in the depths of my heart, I perceive and recognize a movement towards a Source which has Life in itself, which is itself Life, which renews and regenerates all Life. And how much Beauty, how much Gratitude, how much Joy, how much Peace and welcome in being at Home… I retraced the road along which I had left, I shed tears upon tears to cleanse my eyes of the dust and sand that clouded them, I listened to the heartbeat to feel less alone and scared on moonless nights, I rediscovered the corners, turns, crossroads and crossroads that had once disoriented me and led me astray… Behind me on the ground I left a heavy broken chain, too short, both for Liberty and for Life… Now I'm here, beyond that threshold that I could not cross, beyond that door whose key I never found, beyond that fear, that anger and that guilt that I could not confess, beyond the betrayal that I could not forgive… My home… the smallest place I know, so tiny that it fits entirely inside the heart, whose walls are so imperceptible that they get confused with the most remote depths of the Universe, where the sun rises and doesn't set, where the stars shine in an ever blue sky… I smile, sing and dance together with the dawn that is born, after a long dark night… You are in me… You are the Light, the Beauty and the Grace that I had abandoned, You are the Life that animates me, You are the Love that feeds me… You are… My home. With Gratitude and Love. Sid Atma 
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gcorvetti · 3 months
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Festa?
Ieri sono stato ad una festa di compleanno, di un'amica di vecchia data, c'era la sorella con la morosa, il moroso e svariati amici un pò così. Così sta per poco aperti a nuove conoscenze, alcuni si sono messi a giocare a scarabeo, quel gioco con le lettere che si devono formare le parole gioco preferito di Alan Harper e già questo la dice lunga. Non è durata molto per fortuna, giusto un paio di ore il tempo di fare dei brindisi, loro, e mangiarsi un pò di pasticceria mignon e sono tornato a casa. Lo sapevo che era così infatti non ho forzato Spock a venire prima che mi prendeva a calci, ma pazienza, io preferisco sempre non festeggiare che fare una festa noiosa, se il termine è quello adatto perché non saprei come definirla. Ho regalato un porta banana, un oggetto inutile tra Warhole e Cattelan, che ha suscitato quei 4 minuti di ilarità dove ognuno ha esposto l'uso che ne può fare oltre a portarsi dietro una banana. Ha fatto strano ad alcuni che io abbia lasciato l'auto lontanissimo, mi volevano accompagnare, ma ho detto a loro che camminare non mi disturba e che fa anche bene, uno di loro ha detto "Si, ma ci metti 20 minuti almeno", beh si e allora? Mi sono accorto che molti usano l'auto anche per fare 5 minuti di strada, giusto per non stancarsi, come se camminare a piedi sia una fatica immane, ho fatto notare che io vado spesso a piedi in Estonia, anche d'inverno a temperature fredde, basta coprirsi bene, ma loro hanno avuto un brivido forse più per la strada a piedi che per il freddo. Al rientro mi sono messo a suonare un pò ma poi sono crollato perché era tardi.
Ieri ho riscritto il curriculum e mi sono accorto che alcune date del passato non coincidevano, sistemato tutto, ma poco fa prima di iniziare a scrivere mi sono reso conto che avrei bisogno di una lettera di presentazione con i fiocchi, vedrò di fare un giro in rete per trovare un modello da sfruttare. Mentre che sono qua magari riesco a trovare qualcosa per darmi da fare e trovare un pò di equilibrio, lo so che l'ho scritto più di una volta che il lavoro convenzionale non mi piace, ma siccome è un pò che non ho nessun tipo di entrata magari sarebbe simpatico avere un lavoro anche per un pò. Vedrò di fare una buona ricerca anche tramite amicizie, visto che in Italia si tende ancora ad andare in quella direzione.
Per il resto tutto più o meno uguale, mi manca lei, i ragazzi, i gatti, la casa, la sauna e il mio mondo che ho costruito con calma negli anni, dallo studio agli angoli di riflessione alla mia cucina e alla tranquillità che avevo durante i giorni passati a crucciarmi per via della situazione, quindi direi che magari mi mancano ma per ora sto bene così, anche se non è proprio il massimo qua, sapevo che andavo incontro ad un periodo di transizione un pò duro, ma la vita è così anche se sai che sarà dura l'affronti lo stesso, tanto passa tutto.
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rosateparole · 10 months
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«[...] Che questi drusi ci hanno rovinato la vita, ci hanno rovinato. Ben per noi che tutti coloro che hanno liberato l’Istria sono andati a farse ciavar», commentava nonna.
«No, resteranno qui. Come sono sempre restati i più forti; e loro, i più forti, fisseranno le regole», ribatteva piano mio padre. Parlava rivolto alla finestra, senza foga o ira. Poi, dimenticando per un momento quella tristezza che sarebbe durata finché durava la vita, dimenticando che mai e poi mai sarebbe finita, metteva mano all’Italia; ritagliava angoli d’Italia, chiudeva la porta di casa, ché «in gioia e in lutto, la casa è tutto», cosicché tutti i posti che non c’erano più servivano a far brillare l’unico che c’era: la cucina Italia. La cucina diventava un’invenzione, una fiaba: papà accendeva la radio e faceva entrare l’Italia, con la radio a sei valvole noi eravamo sempre Italia. Prego, s’accomodi, lei è la benvenuta, e lei cantava e suonava, e diceva tutto quello che il cuore desiderava o che paventava, anche il discorso di Togliatti: «Mandiamo dal nostro Congresso un saluto ai popoli della Jugoslavia, ai comunisti jugoslavi, al loro grande capo ed eroe nazionale, il Maresciallo Tito...». Allora papà spegneva la radio, accendeva una sigaretta, girava la manovella del giradischi e metteva la sua canzone preferita. Il fonografo si metteva in moto, la puntina strisciava in cerca del suono e quando si metteva a raschiare arrivavano le voci di Petrolini e di Mistinguette, il cane sotto la tromba – simbolo dei dischi della «Voce del Padrone» –, se ne stava inchiodato dalla meraviglia ad ascoltare Caruso o il comico Angelo Cecchelin, che soleva deliziare spesso il proletariato polesano al teatro Ciscutti. Papà ascoltava e canticchiava qualche aria più nota, mentre batteva il tempo con il piede.
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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libero-de-mente · 5 months
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C'è una pace surreale in casa, dopo la tempesta che ha spazzato via due anime dalle nostre vite.
Quello che più mi ha colpito è l'atteggiamento dei miei figli.
Il dolore sembra aver rallentato i tempi dettati dalla vita frenetica fatta di gigabyte, 3D, gameplayer, tiktoker e social chat a cui sono abituati e coinvolti da tempo.
Del resto questo è il loro mondo, il mondo della terza adolescenza.
Ora danno più attenzione alle parole, ti guardano di più negli occhi, spesso rossi con le lacrime pronte, ti parlano con meno frenesia.
Si è tornati ai grazie, per favore, posso e altre parole che sembravano svanite dal loro gergo. Che spesso anche noi genitori accantoniamo per troppa fretta.
Gli abbracci, quanti abbracci stanno donando. Di quelli che non devi chiederli ma che ti vengono spontaneamente offerti.
Si stanno prodigando nell'aver cura e attenzioni verso le due anime sopravvissute e che, grazie al cielo, sono ancora tra di noi.
Anche Milly la gatta indolente sembra apprezzare, complice il tempo che ne ha smussato gli angoli e gli artigli. E si lascia coccolare come non mai.
Per Tea, rimasta orfana, si gioca facile. Lei tenera lo è sempre stata nata per le coccole, anche se rispettava una sorta di gerarchia aspettando che prima venisse sua madre. In tutto.
Ora che è lei al centro delle attenzioni a volte mi dà l'idea che quasi sia presa in contropiede da tante attenzioni solo per lei.
Di sicuro un insegnamento arriva da questa nostra piccola tragedia famigliare, da questo dolore condiviso. Il valore di dare peso a chi esiste, a chi è presente nelle nostre vite. Perché nel momento in cui qualcuno se ne va, resta un vuoto e il timore di non essere stato abbastanza vicino.
Di aver dato per scontato le presenze.
Nulla dev'essere scontato nella vita, a meno che non si parli di prezzi, che siano presenze o situazioni, sentimenti o azioni.
Il vuoto che possono lasciare alcuni esseri viventi può essere davvero pesante da sopportare, come un macigno.
Ma se sia ha la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per dare attenzioni, cure e amore allora possiamo piangere mostrando comunque un sorriso sulle labbra.
Anche se questo sorriso, in fondo, è un po' amaro.
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poesiablog60 · 1 year
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Buongiorno...
Deve esserci in ogni casa un angolo inviolato.
Sul terrazzo
dietro le scrivanie.
Una terra sacra tra le mattonelle . Ogni casa deve avere un lembo nudo, una fessura persa
qualcosa che non si nota
Dagli angoli si vedono i lilium nuovi nel vaso
Il giorno tutto.
*
Martina Abbondanza
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bimbadentro · 1 year
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Torno sempre così, con un pensiero sporadico che mi preme comunicare solo nel mio ripostiglio più sicuro: voi.
Oggi ho letto una frase de "Il Grande Gatsby" che mi ha fatto molto riflettere:
"È sempre triste guardare con occhi nuovi le cose su cui hai già speso le tue capacità di adattamento."
Pensateci. Quanto è faticoso?
Il nostro sguardo è in costante osservazione, sempre pronto a rivoluzionare, evolvere, modificare, deformare tutto ciò che abbiamo già visto. Proviamo a essere bravi a conservare i nostri ricordi, cercando di mantenerli sempre nella versione per noi più veritiera (che di base è già assolutamente deformata). Ma poi arriva qualcosa che ci obbliga a rivedere tutto. E questo implica smuovere di nuovo tutte le emozioni e le sensazioni legate a quel ricordo, a quella situazione, rivivendo i nostri dolori, danneggiando ulteriormente la nostra sensibile, esausta, mente. Per non parlare del cuore, pieno di ferite, crepe e buche che riempiamo con spiragli di quella che noi tutti chiamiamo felicità.
Vedere quella che è sempre stata la mia casa da che ne ho ricordo piena di scatoloni non è semplice. Mi vedo piccolissima, nella stanza condivisa con mia sorella, a cercare angoli nei quali replicare "il nascondiglio perfetto" che quella bambina in quel film ha in una parte della casa. Mi ricordo mentre capivo che una stringa di lettere forma una parola e, con mia mamma, leggevo le mie prime pagine, avviando l'amore per la lettura e divenendo irriverente nei confronti delle tabelline. Mi vedo a coccolare il mio gatto, che per sempre rimarrà tatuato sulla mia pelle e sulla mia anima, con i suoi grandi occhi color kiwi e quelle particolari e bellissime striature, che mi faranno sempre pensare che fosse parente di qualche grande felino. Penso con commozione al giorno in cui l'abbiamo portato a casa, ma mi torna in mente anche quello in cui i genitori di mio padre l'hanno trattato come un selvatico pericoloso. Ma penso anche a quando i miei zii sono venuti, stanchi e appesantiti, a visitarci perché volevamo vedessero i cambiamenti che, durante il covid, abbiamo fatto, la nuova pittura, le nuove disposizioni. Ed è in quella cucina che ho preparato il tiramisù che ho portato a mio zio - che da lì a poco avrebbe ricevuto una brutta notizia - che lo avrebbe raccontato a tutti come il tiramisù più buono mai mangiato, che aveva cucinato sua nipote. Sempre lì ho pianto per i primi crampi allo stomaco di quello che credevo fosse l'amore della mia vita. Lì ho riso e guardato film con la mia migliore amica, ma ho anche spettegolato e scambiato confidenze con quella che pensavo fosse una persona importante tratta come l'oro, e che poi si è rivelata - in una maniera così vigliacca che al solo pensiero mi vengono i conati - il peggio.
In quella casa ci sono cresciuta, non l'ho mai odiata anche quando ne avevo motivo. Ora ogni crepa e ogni difetto, che prima pensavo la valorizzassero - come quando si compra dagli artigiani e ti dicono che qualsiasi imperfezione rende particolare e unico quel prodotto - mi devastano il cuore, perché li percepisco come una sua reazione. La casa soffre. Casa è un concetto, come poeticamente ricordiamo tutti, e possiamo riconoscerla certamente in una persona. Ma casa è anche quello che è: un luogo, uno spazio, un ambiente. Un posto che ci riempie di familiarità e un posto che si sporca quando lo trascuriamo, che si svuota quando lo abbandoniamo, che si ammacca se lo trattiamo male. Ed è quello che sta succedendo alla mia casa. Che è in vendita, perché quel nido che ha accolto nel febbraio del 2001 non è più una famiglia. O meglio, lo è eccome, ma con un uomo che non è più un padre.
E qui sì che i miei occhi si riadattano, capiscono che quella trasformazione visiva è necessaria e che è giusto che la mia capacità di adattamento capisca che una determinata visione non può essere per sempre.
La mia casa rimarrà per sempre mia, anche quando ad abitarla sarà una coppia di giovani che iniziano una vita insieme o un'anziana che vuole abitare vicino alla figlia che lavora in ospedale. Sarà sempre mia perché i muri, le porte, i pavimenti, le pareti, sanno tutto. Sono discreti, non lo danno a vedere e se lo tengono per sé, ma loro conoscono le risate più rumorose, i lutti che ho elaborato, la voglia di andarmene e la felicità di tornare, gli abbracci più stretti, i miagolii insistenti, i pianti notturni, le conquiste più cercate e le scelte più complicate. Ma la mia casa non devo ricordarla per forza com'era prima, devo accettare che ora sia più vuota, più incasinata e più distaccata. Perché lo sono anche io. E, come per lei, verrà anche il mio tempo nuovo. Saremo entrambe popolate, riempite, trasformate. Ma, di soppiatto, quando ne avremo occasione, ci guarderemo timidamente, per scambiarci uno sguardo di chi si capisce, di chi si manca ma non si dispera.
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donaruz · 1 year
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" SARA' TERMINATO "
L'aria fa di piombo
il ricordo di brezze leggere
e ho viaggiato molto, Gesù,
ora che mi rannicchio
nelle parole mi intorpidisco,
in una taverna o in un bar
trovato nella via.
In strada rimangono le persone
che non hanno una casa
tra la curiosità dei bambini ,
i sorrisi dei giovani che si incontrano
e si baciano negli angoli dei marciapiedi.
E' dura certe notti nei ricordi
che lentamente si fanno brividi
quando pensi a una moglie
a un figlio, di cui non conosci più i sorrisi.
O i pianti.
Lì, dove inizia la loro vita e dove la mia ricomincia
nella brezza di piombo della sera
con l'alito cattivo e l'odore del vino.
E aspetto
e non aspetto la traccia
delle vene malandate
e le biciclette
che passano tra le mie ciglia , Gesù
... sono ritmiche ... caute
la pace di chi pedala fischiettando.
Per questo spalanco il sorriso
privo di denti
e attendo il ritorno delle rondini.
E quel piombo, nella brezza, nell'aria, sarà greve.
La giusta conclusione di un viaggio senza biglietto,
ma con un bagaglio di pianto, sarà .
Sarà terminato .
Ast Lovelli (Jamast)
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canesenzafissadimora · 2 months
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E te ne vai lontano da me ma soprattutto lontano da dove?
Forse a cercare emozioni cadute dal cielo come fossero sorrisi agli angoli del viso. Tutta la pace sovversiva che andrai cercando non l’avrai mai per diritto né per conquiste esteriori.
C’è tanto da sperimentare nel mondo,
eppure la pace arriva solo quando si smette finalmente di fuggire da sé.
Ricorderemo sempre il silenzio buono della pace di chi si sente a casa.
I pochi attimi in cui stringere una mano può bastare a dare un senso alla vita.
Poi diciamo: – È giusto così – ma non sempre ci rende felici.
O diciamo: – È meglio così – , perché è ciò che i sentimenti raccontano alla mente per giustificare un dispiacere.
E sulla strada per arrivare a percorrerti,
sono le curve dei sorrisi che hanno fatto girare la testa al mio cuore.
Li ho presi tutti senza sprecarne nessuno.
Li ho curati, coccolati, accarezzati, difesi, abbracciati, amati coi miei occhi.
E che sia meglio o peggio, giusto o sbagliato, so che farò ancora un frontale con la tua anima.
L’arrivo è dentro, dentro è il posto dove si è felici.
Partenza è fuori, magari con qualcuno e con intorno i suoi colori.
Su certe strade anche se le eviti, ti ci ritrovi senza volerlo, senza saperlo.
E nell’impatto con la sincerità l’aria esploderà e quel giorno ti dirò ancora qualcosa : – Io avrei voluto tutti i tuoi sorrisi ad uso e consumo dei miei sguardi.
E il nostro sguardo in quel momento deciderà il futuro.
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Massimo Bisotti
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