Tumgik
#bella bordy
sesiondemadrugada · 10 months
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Two Girls on the Street (André De Toth, 1939).
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jazz-vampire · 11 months
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Két lány az utcán (Two Girls on the Street) (1939)
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randomrichards · 1 year
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TWO GIRLS ON THE STREET:
Two working women
Team up to live on their terms
Deal with highs and lows
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j-ellyfish · 1 year
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Mi riempie il cuore di gioia sapere che anche a qualcun'altro sta sul caz* la Ferragni (+ marito). Veramente non capisco perché tutta questa adorazione. 🙄
A parte questo haha
Che é successo a Sanremo? Chi ha spaccato cosa?
Riempie il cuore di gioia anche a me!! <3 Tra l'altro, stavo pensando stamattina ... Secondo me il messaggio sarebbe passato meglio se al posto di quel vestito orrendo, o almeno insieme a quel vestito orrendo, non si fosse spalmata in faccia tre quintali di trucco ... Perché ok, i female presenting nipples si possono mostrare in mondovisione, ma la faccia al naturale no!! Anche questo è essere donne progressiste e moderneh! uwu Quanto non sopporto lo pseudo femminismo ipocrita delle influencer e donne di spettacolo milionarie.
Blanco ha dato di matto e se l'è presa con i fiori della scenografia perché l'audio nell'auricolare non andava bene e quindi faceva fatica a cantare.
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ninoelesirene · 4 months
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Mi piace ripercorrere la storia degli oggetti. Ogni 18 dicembre ci penso, perché è il compleanno del mio cane. Quando è morto, l’abbiamo sepolto in mezzo alla campagna romana, avvolgendolo in un asciugamano da mare matrimoniale che io e mia madre comprammo negli anni ‘90 al Mercatone Zeta. Il Mercatone Zeta ha chiuso tanti anni fa ed era descritto bene dal suo nome: un grande mercato, di livello Z; ma, se sapevi cercare, qualcosa tiravi fuori. Ricordo l’episodio perché pensai a che bella idea fosse avere un telo da condividere, di cui non devi tirare ogni due secondi i bordi o spianarli alla perfezione. Il mare è questo per me ed era questo per noi: l’amore condiviso. Sull’asciugamano era disegnata una barca che veleggia in mezzo a una baia circondata dal verde. Quando lo comprammo, Jack ancora nemmeno ce lo avevamo. Quando lo comprammo, mia madre stava benissimo. Chissà come è finito a Roma, forse l’ho preso con me quando ci ho portato Jack, che, in effetti, era il cane di mia madre (e nel libretto delle vaccinazioni portava anche il suo cognome). Insomma, è proprio in quell’abbraccio di ma(d)re e ricordi che il corpicino di Jack giace dal 2012, anno in cui, di fatto, finisce la sua storia, ma anche quella del nostro amato asciugamano familiare, protagonista apparente o reale di questo ricordo.
Ogni 18 dicembre e ogni 6 gennaio, giorno in cui Jack è morto, ci penso e trova risposta una delle domande che mi pongo più spesso: perché, per anni, ricordiamo episodi apparentemente ininfluenti, come l’acquisto di un asciugamano di spugna sottile in un grande magazzino? Li ricordiamo perché quegli episodi hanno il futuro dentro, solo che ancora non lo sappiamo. Un secondo dopo, però, immagino anche che nessuna storia è mai davvero conclusa, e magari, su quella barca, in quella baia circondata dal verde, Jack e mia madre ora stanno veleggiando, liberi.
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bearterritory · 25 days
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Bears Take 3 Of 4 At Manhattan Beach
#6 Cal Tops #15 GSU, Comes Back To Beat #13 Hawaii
LOS ANGELES – After kicking off the East Meets West Invitational by knocking off #4 Florida State (14-1) to hand the Seminoles their first loss of the season, the #6 Golden Bears beach volleyball team continued their week with their third straight win over a top-15 team, coming back to defeat #13 Hawaii 3-2 just hours after picking up a 4-1 win over #15 Georgia State.
Cal 4, Georgia State 1 California (12-4) began the day with a quick 4-1 win over the Panthers (9-8), a dual which saw all five matchups decided in two sets.
Jenna Colligan and Lara Boos got things started with a 21-10, 21-13 win on court four. Emma Donley and Alexandria Young-Gomez finished out the opening wave by pulling out a pair of close sets, 21-19, 23-21.
Gia Fisher and Marilu Pally clinched the Bears' victory with a 21-15, 21-12 win on court three. Portia Sherman and Ella Dreibholz sealed Cal's second straight 4-1 win with a 21-17, 21-16 victory on court five.
1 - Angel Ferary/Bella Ferary (GSU) def. Sierra Caffo/Kendall Peters (CAL) 21-18, 21-17 2 - Emma Donley/Alex Young-Gomez (CAL) def. Lila Bordis/Aree Keller (GSU) 21-19, 23-21 3 - Gia Fisher/Marilu Pally (CAL) def. Elise Saga/Ayla Johnson (GSU) 21-15, 21-12 4 - Jenna Colligan/Lara Boos (CAL) def. Savannah Ebarb/Destiny White (GSU) 21-10, 21-13 5 - Portia Sherman/Ella Dreibholz (CAL) def. Michaela Jefferson/Aliisa Vuorinen (GSU) 21-17, 21-16
Order of finish: 4, 2, 3, 1, 5
Cal 3, Hawaii 2 The Bears needed a perfect finish after falling behind 2-0 to the Rainbow Wahine (9-8), but their final three pairs would answer the call.
Sherman and Dreibholz capped off an undefeated weekend with a dominant 21-9, 21-16 victory on court five. The pair improved to a team-best 14-2 record on the season.
The dual would go down to the wire as the final two matchups went to three sets. Fisher and Pally won theirs 21-18, 18-21, 15-13 on court three. In the match-deciding battle on court one, Caffo and Peters bounced back from a tough opening-set defeat to pull out a 16-21, 21-19, 16-14 victory and seal Cal's third straight win.
The Golden Bears are now 4-1 in their last five duals against ranked teams. 1 – Sierra Caffo/Kendall Peters (CAL) def. Jaime Santer/Alana Embry (UH) 16-21, 21-19, 16-14 2 – Julia Thelle/Kaylee/Glagau (UH) def. Emma Donley/Alex Young-Gomez (CAL) 21-15, 21-19 3 – Marilu Pally/Gia Fisher (CAL) def. Julia Lawrenz/Pani Napoleon (UH) 21-18, 18-21, 15-13 4 – Riley Wagoner/Sydney Amiatu (UH) def. Lara Boos/Jenna Colligan (CAL) 21-17, 21-15 5 – Portia Sherman/Ella Dreibholz (CAL) def. Anna Maidment/Sydney Miller (UH) 21-9, 21-16
Order of finish: 2 4 5 3 1
STAY POSTED For further coverage of Cal beach volleyball, follow the Bears on Instagram (@calbeachvb) and Twitter (@calbeachvb).
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catastrofeanotherme · 8 months
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- “Alice… Ma la cicatrice quando passa?”
- “La cicatrice non passa, è come una medaglia che nessuno ti può portare via. Così, quando Zeta è grande e ormai il principe non gli fa più paura, si ricorda che ha vissuto, che ha fatto tante avventure. Che è caduto e si è rialzato.”
- “Ma perché non passa?”
- “Perché è una cicatrice, se andava via con l'acqua era un trasferello. È una cosa che fa paura, ma è anche una cosa bella: è la vita.”
(“Strappare lungo i bordi” - Zerocalcare)
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3nding · 1 year
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Ha fatto anche cose
L'assessor Pignazzoni C'era una volta, neanche troppo tempo fa, un paesino di nome Ferbello. Ferbello aveva pochi abitanti, poche case, strade polverose, una chiesa col campetto da calcio e un bar. La gente si lamentava perchè a Ferbello si faticava ad andare avanti, i soldi erano pochi e le prospettive per il futuro erano incerte. Così un giorno al signor Pignazzoni venne in mente di farsi eleggere in consiglio comunale per cambiare le cose come diceva lui. Alle elezioni nessuno se lo filò, così iniziò a dare la colpa a destra e a manca inventando scuse sul perchè non fosse stato eletto. Successe però che le difficoltà di Ferbello impedirono al consiglio comunale di poter mettere mano ai molteplici problemi del paese, così gli abitanti di Ferbello dovettero tornare ad elezioni. Pignazzoni divenne assessore. "C'E' DA ASFALTARE LA STRADA!" disse. A chi gli faceva notare che i soldi non c'erano, lui rispondeva che li avrebbe trovati lui, poi si annotava il nome e cognome di chi lo aveva contestato e qualche tempo dopo quello o quella si trovavano con le ruote bucate, o le finestre rotte o il magazzino dato alle fiamme. Per asfaltare la strada Pignazzoni portò degli africani con la promessa che sarebbero diventati cittadini di Ferbello e li avrebbe pagati, in realtà non videro un soldo e quando la strada fu finita gli amici di Pignazzoni li picchiarono. Ora Ferbello aveva una strada asfaltata, Pignazzoni pensò che poteva essere il momento giusto per un gemellaggio oltre confine, magari con un paesino con una squadra di calcio più forte della Ferbellese che faceva abbastanza pena. Pignazzoni curò personalmente il gemellaggio con una squadra d'oltralpe che era famosa per essere forte, ma ancora più famosa per la sua tifoseria violenta. Fece arrivare gli ultras per il gemellaggio i quali appena misero piede a Ferbello andarono a picchiare i tifosi della squadra ospite contro cui stava giocando la Ferbellese. Tutti gli abitanti di Ferbello che non erano d'accordo con questa situazione vennero intimiditi o fatti trasferire, alcuni addirittura uccisi. Pignazzoni guardava la strada asfaltata e lo stadio con gli ultras ed era contento, però sentiva che mancava qualcosa a Ferbello. "UNA STATUA!" così chiese ai Ferbellesi di dargli tutto il ferro possibile, non importava smontare sedie, auto, trattori, finestre e porte. La statua si doveva fare. Fu così che la fonderia fece un'enorme statua di Pignazzoni che lui stesso inaugurò davanti al campo da calcio, ai bordi della strada asfaltata con la placca "All'assessore Pignazzoni, eroe di Ferbello". Gli ultras e gli amici di Pignazzoni però non avevano capito la situazione e credendosi imbattibili e intoccabili avevnao iniziato a cagare il cazzo anche ad altre squadre e tifoserie che poco o nulla avevano a che fare con Ferbello. Così un bel giorno, guardando fuori dalla finestra, Pignazzoni vide una ventina di pulman di tifosi di altre squadre, incazzati che volevano fare il culo a lui, a quelli del gemellaggio e ai suoi amici. Pignazzoni che era un codardo, si travestì e provò a scappare. Purtroppo per lui che non solo i ferbellesi, ma una moltitudine di persone ormai lo riconosceva e detestava, e tutti gli fecero fare una brutta fine. Una volta uscito di scena, a Ferbello si decise di rimuovere la statua e di fonderla con tutta la targa. Passarono gli anni e la memoria di quello stronzo di Pignazzoni si fece sempre più vaga. Così oggi ogni tanto qualcuno che passa da Ferbello dice "Eh però, bella strada asfaltata. Chi l'ha fatta?" "Pignazzoni" si sentono rispondere. "Bravo no?" "Ma quale bravo e bravo, ma vaffanculo a Pignazzoni e aquesta strada di merda."
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Cellini e la sfida della fusione, forchette, pentole e padelle per realizzare il Perseo.
Il Perseo bronzeo di Benvenuto Cellini si trova in piazza della Signoria a Firenze da oltre 500 anni.
Era apparso dinnanzi agli occhi dei fiorentini sotto la Loggia dei Lanzi nel 1554 per volere di Cosimo I de' Medici, secondo duca di Firenze e primo Granduca di Toscana.
La fusione in bronzo fu per l'artista una sfida senza eguali.
Di norma, nell’antichità, le statue in bronzo venivano realizzate assemblando i diversi pezzi dell’opera fusi separatamente, per poi saldare il tutto e livellare i bordi tramite limatura.
L’uso della fusione di un oggetto in un unico blocco, portò gli artisti a sperimentare tale tecnica anche con statue di varie dimensioni e dalle posizioni complesse.
Il Perseo è l’esempio più celebre di questi esperimenti, costituita da soli tre pezzi: la testa di Medusa, il corpo dell’eroe e il corpo del mostro sotto i suoi piedi.
Il Cellini stesso, ci spiega, nella sua biografia, come la realizzazione lo abbia messo a dura prova per un concatenarsi di problematiche pratiche durante la fusione.
Prima le febbri dell’artista (causate dall’esalazione dei metalli), poi i fuochi della fornace quasi spenti a causa di un temporale, infine l’insufficienza di stagno della lega di fusione.
Per la statua di Perseo, alta più di 5 metri, furono necessari 18 quintali di metallo!
Quest’ultimo problema, portò l’artista a dover rimediare a tale mancanza con un’idea astuta, ovvero impiegò tutte le stoviglie della bottega ed anche alcune delle cucine di Palazzo Vecchio, completando così la colatura.
Cellini si vide costretto a sacrificare nella fusione anche il proprio personale servizio di vasellame e posateria!
Il risultato di tante peripezie fu una fusione quasi perfetta, tanto da stupire lo stesso Cellini; solo alcune parti, infatti, vennero rifatte (precisamente il piede destro e parte dello stinco) ed altre solo da sistemare e definire.
La statua, iniziata nel 1545, venne esposta in Piazza della Signoria nel 1554, dopo 9 anni di tentativi e migliorie.
Quest'opera resta ancora oggi un dono pubblico e magnifico, in bella vista di chiunque transiti liberamente, giorno e notte, nei pressi di Piazza della Signoria.
Perseo, Benvenuto Cellini, Loggia dei Lanzi, Firenze
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piovra · 2 months
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Piovrandom 3.0!
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1. Piovrandom ha 16 anni e ho deciso di creare una terza veste. L’ultima realizzata era ormai datata nel 2015, ai suoi 7 anni.
2. Doppia colonna per la versione desktop, monocolonna per i dispositivi mobili (>1024px), con menu a comparsa da sinistra.
3. La 3.0 l’ho battezzata come “Nuntemollo” perché era doveroso e necessario un intervento serio sia di abbellimento che di ordine, oltre che di pulizia. Tra le altre cose, recentemente sono apparsi problemi con i post sincronizzati con Instagram, da cui venivano condivise le foto e diciamo chiaramente che era "l'alimentatore" principale in questo lido. Purtroppo però, non per colpa mia, non è più possibile il sincronismo automatico e gli embed manuali risultano orripilanti per la grafica: in sostanza non è più possibile condividere la sola immagine, bensì l'intera porzione del post su ig che comprende anche il nickname con sfondo bianco: soluzione orripilante per la veste di questo sito. In termini tecnici, il post viene inserito come se fosse un iframe che include tutto il contenuto. Per quanto mi riguarda, tutto ciò comporterà che le prossime foto verranno pubblicate manualmente. Una bella seccatura, ma non posso fare diversamente. Ultimamente le politiche di Zuckerberg mi stanno allontanando spontaneamente da Instagram poiché ormai è tutto incentrato sui reels e sulle produzioni video. In sostanza, è diventato un secondo Tik Tok e ciò è il motivo per cui ho condiviso mooolto meno anche qui. Tumblr, dopotutto, è rappresentato il mio terzo lido per quanto concerne la blogosfera: la mia storia sulla blogsfera, difatti, è sintetizzabile con l’esordio su Splinder nel 2002/03, poi MSN Spaces (12/2024) infine WordPress. Tumblr è nato a cavallo tra gli MSN Spaces e Wordpress nel 2006 ed oggi è l'unico blog rimasto in vita dopo aver mandato Piovrablog in pensione due anni fa.
4. I Tumblr sono l’unico luogo dove sento così vicino il ricordo degli MSN Spaces, per quello che hanno rappresentato nella vita del sottoscritto. La soddisfazione di tirare su un proprio spazio graficamente, con solo codice HTML/CSS/JS è un qualcosa di indescrivibile. Cerco sempre di realizzare le cose come meglio dovrebbero rappresentarmi e ciò vale anche per questo luogo.
5. Elenco dunque le cose su cui ho lavorato principalmente:
Fix alla struttura mobile che aveva diversi bug, alcuni dei quali da impazzirci solo per individuarli. Ho anche fixato lo sfondo che ora rimane fisso;
Riordinato le info post spostando tutto sotto ogni post. In sede ho aggiunto anche i pulsanti di condivisione: Facebook, Whatsapp, X, Pinterest, Telegram e mail;
Aggiunti effetti ai bordi (ben visibili su desktop) e gli effetti slide alle due colonne.
Sistemate le immagini e i video adattandoli ad ogni schermata. Ho cercato quanto più possibile di ordinare la visualizzazione di un set di foto;
Aggiunte pagina "privacy policy" e "disclaimer", ricordando a tutti questo tumblr è monitorato da tempo da Google Analytics e che i dati prelevati sono in formato anonimo;
Sistemate le pagine di ricerca e tag;
Tornata visibile la lista dei like e reblog sotto ogni post. I pulsanti stessi di interazione per la Community sono stati spostati sulla sinistra.
Sembrano poche cose, ma in realtà mi hanno portato via diverse ore che ho sfruttato nel mio tempo libero. E' da Gennaio che ho iniziato a rimettere mani sul codice. Così, tanto per farvi capire. Conclusioni. Anche se ormai i social hanno letteralmente divorato il pubblico delle nostre blogsfere, non smetterò mai di ringraziare gli ormai pochissimi sopravvissuti che mi leggono e soprattutto tutti coloro che come il sottoscritto continuano ostinatamente a produrre contenuti alla vecchia maniera, che poi alla fine sono il modo migliore per descrivere i nostri mondi, più di qualunque altra cosa, immagini filtrate e ben selezionate comprese.
Grazie a tutti. ❤️
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pastrufazio · 1 year
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Fino a qualche decennio fa sui cristalli dell’ingresso principale c’erano ancora i segni di due pallottole sparate da un gruppo dell’Autonomia operaia nel 1977. Il Collegio San Carlo di corso Magenta, di fronte a Santa Maria delle Grazie… sì ma non è di questo che volevo scrivere…
È che poco prima delle 16 escono i bambinetti delle elementari. Hanno tutti la loro bella divisa blu con lo stemma e il logo del Collegio: Humilitas. Tate, qualche genitore, molti nonni li accompagnano sul sagrato della chiesa. Si siedono ai bordi, salta fuori un pallone e i bambinetti cominciano a giocare, venticinque da una parte sedici dall’altra. Nessuna porta. Le bambine cercano di intrufolarsi. Urletti, gridolini ben impostati, sovrastati dai maschietti. Recalcitrano e alla fine si accontentano di una carezza. Bimbe e bimbi fanno proprio quello che i loro coetanei nelle scuole di periferia non possono più fare. E dal momento che quelli delle periferie non hanno neppure una scuola che gli imponga la divisa di un’appartenenza, quale che sia, i bambini periferici sono gabbati due volte, prima per l’una poi per l’altra assenza. Così i conti non si pareggeranno mai a Pastrufazio.
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sesiondemadrugada · 11 months
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Two Girls on the Street (André De Toth, 1939).
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princessofmistake · 2 years
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E scelsi la sua lingua, quella che più amava e grazie alla quale mi conduceva a sé e mi lasciava intravedere chi fosse, rivoli di luce ai bordi di una porta socchiusa. «Come corpo ognuno è singolo, come anima mai.» 
Lo riconobbe subito. Hermann Hesse. Me lo disse il suo sguardo. E pensavo di averlo già visto ridere, ma non era vero. Perché la dolcezza, la gioia e la grazia dei suoi occhi, in quel momento, erano una stagione sconosciuta, un colore nuovo. Provai a non ridere e poi lo baciai ancora. 
«Allora, alla fine l’hai letto.» 
«Sì, in realtà, e questa parte è bella. Questo è come mi fai sentire.»
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alonewolfr · 2 months
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«Bellissimi», direbbero molti. Un cieco, però, i diamanti li descriverebbe in modo diverso: «Sono freddi, e hanno i bordi taglienti». A volte gli occhi ingannano, per questo decisi di guardarti ad occhi chiusi, lontano dalle appariscenti distrazioni della città. Ma nel buio eri solo più bella. «È inverosimile come la luce talvolta possa eclissare la verità, e le tenebre rivelarla».
|| Dapa - Il Vaso e il Salice
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cinquecolonnemagazine · 3 months
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Up, up, hula hoop
Mio padre è stato in America per ben 5 volte, negli anni tra il ’69 ed il ’75. La prima volta, nel febbraio ’69, mi ha lasciata che avevo un anno e mezzo ed è tornato che ne avevo tre, e di lui avevo perso ogni ricordo. Ma non è di questo che voglio parlare. No, di questo no, non amo i biografismi intimisti, sanno di cinema italiano contemporaneo. Moretti, Muccino, da chi lo vogliono, con le loro storie minime di tristi famigliole colpite dal dramma dell’incomunicabilità? Che poi, scava scava, alla fine il problema sono sempre le corna. Non mi va di raccontare ‘sta roba troppo ammorbante: infanzie tradite, drammi psicosociosferici (nel senso che la psicologia e la sociologia le sfere pure ce le hanno riempite, con i loro determinismi e i loro etichettamenti, il loro descrivere come tutto dovrebbe essere e non è mai), aspettative deluse, progetti falliti…. Ma a chi, ancora, possono interessare, con quello che sta capitando in questo Paese e sull’intero Pianeta? Eppure, l’oggetto che ho scelto mi piace, non può essere un caso che sia tra quelli selezionati e, contemporaneamente, tra quelli di cui più ho sentito il fascino nella mia intera (ormai lunga) vita. Ci deve essere una storia bella, semplice ma avvincente ad esso collegata che valga la pena di raccontare e di esser letta. Ancora non ce l’ho, ma confido nell’intuizione di Michelangelo: forse è lì, grezza, dalle pieghe del tempo celata, speriamo che si riveli presto, prima che scadano i termini per la consegna del testo. Comunque, dall’America, mio padre mi portò uno stereoscopio. Ai tempi, era una rarità, il classico oggetto misterioso, e me ne accorsi dal successo che ebbe tra amici e parenti: i cugini facevano a ficozze per aggiudicarselo, sia pure per pochi minuti. In dotazione avevo ricevuto una serie di dischetti, scopro solo ora che si chiamano View-Master reel, due con Alice in wonderland e Cinderella della Disney, gli altri dedicati ai luoghi di New York, città di cui mio padre, con giusta ragione, era matto. Da dove comincio per cianciare di quest’oggetto, ormai, forse, di nuovo sconosciuto? Dalla faccia dello stregatto di Alice, l’unico gatto che mi ha sempre fatto terrore. Un occhio chiuso ed uno aperto, per non vedere doppio, ed eccolo lì, col suo spaventoso faccione sospeso nella notte, senza corpo e col suo sorriso fluorescente di sarcasmo… tu che guardi ce l’hai tra gli occhi e il naso e aspetti solo che apra le fauci e faccia di te un solo boccone. Era questo il bello, eri dentro la storia! E allora, portavi l’arnese agli occhi per qualche secondo, testando il tempo in cui riuscivi a sopportare l’adrenalina che ti entrava in circolo, e poi giù, via, di nuovo nella realtà, coi piedi per terra, per prendere fiato e poi riprovare, senza mai trovare pace, né di qua, né di là. Così come in quella che ritraeva arzilli visitatori sulla cima dell’Empire State Building, signore incappellate di piume e velette che tengono la mano sulla testa per non far volar via il rassicurante accessorio mentre guardano giù, e tu sei dietro di loro, come volassi a cavallo di un drone e la vertigine del vuoto ti attrae “come una nave che anela al mare eppur lo teme”. Oppure, Alice grande grande nella casa piccola piccola e Bianconiglio che l’aspetta fuori: le enormi braccia infilavano due finestre aperte sui lati opposti della casa, mentre la testa, guarnita da lisci capelli biondi e da un nastro di raso nero messo a trattenerli, assennatamente, dietro le orecchie, ne sollevava il tetto. Mi sembrava una magnifica assurdità che, di nuovo, mi ammaliava e spaventava al tempo stesso, mi sarebbe piaciuto essere lì dentro. Entrare dentro le cose a 3D era una mia fissa di bambina. Le cartoline olografiche, per esempio, provavo sempre a smontarle per tirane fuori gli oggetti, gli animali, le persone o i pupazzi che vi erano ritratte. Ancora ne circola qualcuna in casa con tutti i bordi tagliuzzati e pezzi di pellicola superficiale strappata nel tentativo di capire come fosse possibile che, una cosa piatta, a due dimensioni, fosse capace di contenere una realtà a tutto tondo, con una profondità che avevo una voglia matta di esplorare. Quelle che mi deliziavano di più erano quelle che mi facevano entrare in un mondo fantastico, la realtà così com’è, chesta è ‘a zita e si chiamma ‘Sabella, non mi è mai piaciuta. Ma la domanda è: questa storia c’è o non c’è? Prendo tempo, consumo righi in questa riflessione, allungo il brodo macinando caratteri, forse perché la storia non c’è. Detesto gli esercizi virtuosi, magari le parole sono pure messe bene, ma da dire non c’è niente… per carità! Che si dica se si ha da dire, altrimenti si taccia, che il rumore di sottofondo all’insegna della vacuità è già assordante. Io, che mi sono sempre stata a casa, posso continuare a farlo. La tridimensionalità capace di suggerire altri mondi possibili doveva essere un pallino nella mia testa, perché la percepivo anche in ciò che si presentava, inequivocabilmente, a due dimensioni. Le copertine del Topolino avevano, per me, sempre tre dimensioni, forse grazie alla lucida patinatura presente, di solito, nelle edizioni speciali. Le più attraenti erano quelle dedicate a Minni (in seguito, il mio femminile alquanto minnesco sarebbe stato oggetto di ammirazione quanto di critica, forse perché non sarei stata capace di chiarire che, un po’, mi sento davvero un fumetto che avrebbe vissuto volentieri a Paperopoli o a Topolinia, e forse ho amato davvero solo chi ha capito che più che un’umana sono una topesia). In particolare, ce n’era una con Minni accomodata in poltrona di fianco ad una classica lampada anni ’50, con un plaiddino scozzese sulle gambe immersa nella lettura di un buon libro e, sulla parete alle sue spalle, un quadretto ritraente un’improbabile antenata, la bis-bis-bis- prozia Topilla De Topolis, di cui certamente io sono la reincarnazione in salsa umana. Il suo occhione a mezz’asta e il sorriso appena accennato mi suggerivano quanto stesse assaporando il momento, nel tepore della sua casetta, nella calma di chi può usare la corrente elettrica senza pagare le bollette (sarebbe stata forse l’Unione Sovietica la mia patria ideale?), di chi può essere elegante senza dover essere trendy, bon ton senza diventare conformista, di chi può avere un fidanzato, con cui non si lascerà mai, senza suocera annessa e senza mamma che per forza te lo vuole far sposare, di chi può stare in serena solitudine senza il tormento di quello che dovrebbe fare, che avrebbe potuto fare, che ha sbagliato e doveva/poteva fare meglio, senza contare che non avrà mai più di un’influenza né le toccherà per forza di morire (almeno, così dicono, che si muoia, ne sarò certa quando succederà)… uff… me lo sentivo già tutto quello che mi sarebbe toccato, per questo volevo sparire dentro la copertina del Topolino! Ma chi lo dice che il mio piano fosse sbagliato? Ora potrebbe partire il pippotto psicologico che, beninteso, avrebbe pienamente ragione: volevo fuggire da un’infanzia che, per mille motivi, mi stava stretta. Menomale, va’, perché, altrimenti, se mi fosse stata larga, non avrei mai avuto la necessità di mettere il naso fuori da lì. Premesso che non mi piacciono i sogni e detesto tutta quella melensa sub-cultura della speranza da santino facebookiano, avendo fatto mio, sin da subito, il detto: “Chi di speranza vive, disperato muore”, direi che mi piacciono le realtà da sogno, mi gusta e mi attizza l’idea che la realtà sia bella come il più bello dei sogni. Ne ho realizzati di sogni, di quelli che si fanno di notte, come baciare un uomo che desideri al punto da diventare psicotica, un attimo dopo che ti abbia detto: «Ti amo» e la realtà è stata come il sogno. E allora? La realtà può essere il più incredibile dei sogni. Forse ci siamo inventati l’espediente del sogno e della speranza per non affrontare la sublime gioia di fondare una realtà da sogno. Ad un certo punto della Storia, anzi, a dire il vero, nel momento esatto in cui ci siamo entrati ufficialmente, provenendo da luoghi in cui il tempo era solito curvare fino a creare un cerchio, ci siamo ostinati a volerlo spezzare, quel cerchio, e lo abbiamo stirato in una linea, pronti ad inventare la più gagliarda delle parole: progresso. Ma ci era sfuggito che progresso vuol dire che il meglio deve ancora venire, e che non sta qui, ma lì, nel passo che stiamo per dare, che, una volta dato, quello giusto è quello successivo, e poi nell’aldilà, nel domani che verrà, nel sogno che si avvererà, e, per quanto sia confortante pensare che ciò che speravamo di veder realizzato, di certo, a suo tempo, dovrà accadere, viene da chiedersi: ma quando? Mia madre mi chiamava Frettella, tutto ‘sto rinvio non è mai stato per me. La vita io la voglio mangiare come una brioche col gelato di Ciro a Mergellina stracolma di panna, ma, attenzione, non la voglio “consumare”, la voglio gustare, ed è cosa ben diversa. Forse è nata lì la confusione, ai tempi del boom economico e poi a quelli dell’edonismo reaganiano, dopo millenari rinvii, abbiamo deciso di fare man bassa di tutto: risorse, anime, cervelli, destini, relazioni, droghe, alcol, tecnologia, tecnocrazia, sesso, amore, messe con chitarre pop, mantra indiani al ritmo di swing, immagini, suoni, luci, colori, scoperte che cambiano la faccia della terra, case, palazzi, ville al mare e in montagna, automobili, bombe A, H, N, G, hamburger sottocosto, vite sottovuoto, per non parlare delle stagioni, vanno di fretta pure loro e si presentano ogni quattro ore anziché ogni quattro mesi. Forse ci siamo ‘mbrugliati, doveva essere “qui ed ora” e invece è diventato “tutto e subito”, che si somigliano, ma non sono la stessa cosa. Eppure, saltare dall’uno altro non è troppo difficile, perché naturalmente si seguono l’un l’altro, basta rifare della linea un cerchio e ritrovare quel tempo che procede verso l’Uno, perché il cerchio si può tenere aperto, quello che conta è conservare la curva e proseguire in un moto a spirale che ci conduca verso un magico puntino, nel quale…. ahhhhhhh, che sollievo….. potremo dissolverci. Sarebbe bello metterci tutti in fila a cavalcioni del cerchio, e gira, gira, e noi con lui, come su un grande hula hoop a righe bianche e rosse a ballare il twist della vita con anca lesta, e mentre sei giù, sai già che poi va su, e quando sei su, ti prepari al vuoto di stomaco della calata, tanto, poi, lui gira e tu risali. Per fare esercizio, potremmo cominciare con la ruota panoramica di Edenlandia, perché le nostre menti hanno ora bisogno di riadattarsi a concepire di andare in tondo, piuttosto che di avanzare. Nell’idea di eterna espansione che Capitan Capitale ha scelto per noi c’è tanta bellezza, è lei che ci seduce e ci trascina nel suo sogno a bordo della Discordia, sogno che non diventerà mai realtà, perché il punto è che il sogno non è nostro e l’imbarcazione nemmeno, a meno che non si sia noi disposti a veleggiare anche su una zattera da cui non si scorga alcuna destinazione certa, e su cui non ci sia nessuno che ci voglia per forza dimostrare quanto fosse necessario e come siano andate “davvero” le cose quando Capitan Capitale si dimenava per salutare amici e parenti sotto costa per venire bene nelle foto da pubblicare su Fb, ed ora noi siamo il Capitano e la nostra realtà da sogno è il mare fresco nel quale, finalmente liberi, possiamo immergere la mano. E allora avevo ragione io da bambina a voler entrare in altri, tutti, i mondi possibili, e dispiegare spazi e tempi in tutte le dimensioni. A cavallo di un drone infilarmi nella favola di Alice a bere il thè con Bianconiglio o tra i gendarmi della regina a dipingere di rosso le rose bianche, aspettando la buia notte per dire allo Stregatto, muso a muso che, in fondo, poi, mi è simpatico; ritrovarmi grande grande che sfondo il lastrico solare del mio palazzo di periferia (degradata, ovviamente)con la mia eruzione di ricci per niente assennata, e, poi piccola piccola a prendere confidenza con le bottiglie in pvc lanciate dai balconi, che, se ti c’infili dentro, puoi viaggiare con loro verso il mare e finire nel ventre della balena come Pinocchio; da lì, sulla terrazza dell’Empire a sciupare il plumage dei cappellini delle vecchie signore per invitarle a venire con me a montare l’hula hoop del giusto tempo ritrovato; e ancora, di corsa, a sollevare gli strati della cartolina olografica come fossero una copertina, per incontrare Mastro Geppetto, che ha i capelli arancioni fatti di fili di lana e aspetta che il suo figlio di legno diventi un uomo vero e posso fargli compagnia. A sera, stanca, approfittare del fatto che Minni sia uscita con Topolino per una romantica kermesse, non se ne avrà se, per un po’, me ne sto sulla sua poltrona fatta di gelatina di mela a leggere, finalmente, “I fratelli Karamazov”. Vorrei vivere, in una sola, almeno venti vite, compresa quella in cui il colesterolo non esiste e posso mangiare ciurilli fritti e zucchine a pampugliella senza che il medico mi debba rammentare che, oltre una certa età, il metabolismo rallenta. Dunque, lo mando questo non-racconto per giocare al non-scrittore, come farebbe Bianconiglio, me la sfilo questa maglietta marcata Benetton e ne faccio una vela per la mia zattera, mentre la Discordia affonda senza che io nemmeno mi volti a guardarla. Chiunque voglia salire a bordo è il benvenuto, basta che si sia pronti a prendere il vento quando soffia in poppa ed in cuore si abbia la certezza che, ora o mai più, la Vita è un’occasione che non possiamo perdere. Foto di Marco Maraviglia per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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lucadea · 7 months
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Piazza Giacomo Matteotti a Sestri Levante
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Piazza Giacomo Matteotti a Sestri Levante. Nel pieno centro di Sestri, tra le due baie, quella del Silenzio e quella delle Favole, si trova questa bella piazza con fontana. Sulla piazza si affaccia il palazzo del municipio sestrese, qualche tavolo del ristorante la Sciamadda e la piccola fontana. Una delle foto classiche, come questa, è scattare dalla terrazza leggermente rialzata con qualche fiore ai bordi dell'inquadratura! Conosci Sestri Levante?  Giacomo Matteotti square in Sestri Levante - Place Giacomo Matteotti à Sestri Levante - Plaza Giacomo Matteotti en Sestri Levante - Praça Giacomo Matteotti em Sestri Levante - Platz Giacomo Matteotti in Sestri Levante - Quảng trường Giacomo Matteotti ở Sestri Levante - 塞斯特里莱万特的贾科莫·马泰奥蒂广场 - SestriLevanteのGiacomoMatteotti広場 Read the full article
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