Tumgik
#critica al giudizio
annaeisuoipensieri · 3 months
Text
Da leggere tutto...
"All'improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti ad un pubblico da quasi due anni. Nel mio ultimo concerto, alla Konzerthaus di Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull'applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. E non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima. Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio.
Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti ad un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo! Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito.
Un altro dono! La gratitudine nei confronti della bellezza del Creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d'ospedale. Un altro dono.
La riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. Per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per l'affetto, la forza, l'esempio che ricevo dagli altri pazienti, i guerrieri, così li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori dei piccoli guerrieri.
Quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c'è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono.
Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall'esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell'ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima. Il brano si intitola Tomorrow, perché domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello!"
Il Maestro Allevi ❤️
Tumblr media
26 notes · View notes
vividiste · 3 months
Text
Grande Anima ❤
"Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se la malattia mi porgesse, assieme al dolore, degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio… Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti ad un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo! Oggi… dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri… non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito.
Un altro dono! La gratitudine nei confronti della bellezza del Creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanze d'ospedale. 
Un altro dono. La riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. Per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per l'affetto, la forza, l'esempio che ricevo dagli altri pazienti, i guerrieri, così li chiamo. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori dei piccoli guerrieri. Quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. E come intuisce Kant alla fine della Critica della Ragion Pratica, il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette, io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c'è qualcosa che permane! Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono. Voglio andare fino in fondo con questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall'esterno? Voglio accettare il nuovo Giovanni. Come dissi in quell'ultimo concerto a Vienna, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima.
E Ancora: «Ho due vertebre fratturate, e tremore e formicolio alle dita. Nome tecnico: neuropatia. Proprio io che devo suonare il pianoforte. Ma non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l'anima».
E così fa, Giovanni Allevi. Dopo due anni, rimette le mani sul pianoforte. Ed emoziona l'Ariston. Il brano si intitola Tomorrow. Perché, dice, «domani, per tutti noi, ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello. più bello.
Giovanni Allevi🌻
Tumblr media
23 notes · View notes
susieporta · 4 months
Text
IL SEGRETO
Il segreto?
Vivere connessi al proprio Centro ti permette di stare fuori dai giochi (di ruolo) che le persone vi propongono, le dinamiche psicoemotive i giochi di potere.
Senza vittima, non può esservi persecutore.
Se non ti posizioni da vittima, non attiri il persecutore.
Non reagendo ad una critica, ad un’offesa, la critica e l’offesa tornano al mittente.
Rimanere presenti, integri e centrati, vuol dire non essere manipolabili, toglie potere ai manipolatori.
Il segreto?
È stare fuori dai giochi.
Lascia agli altri i loro giochi, che giochino da soli.
Cade nella rete chi vive in funzione del giudizio altrui.
Vende sé stesso per ricevere in cambio falsa attenzione, falso amore, falso riconoscimento.
Roberto Potocniak
19 notes · View notes
libero-de-mente · 7 months
Text
Io sinceramente faccio sempre più fatica a capire il mio prossimo. Oggi cosa che dici, pensi o fai è oggetto di opinione, critica o giudizio. Credo che il tempo che mi rimanga di vita vada sfruttato al meglio, quindi liquido quasi tutti con un "Hai ragione tu, ora scusa ma ti devo salutare". Il risultato? S'incazzano di più.
13 notes · View notes
abr · 11 months
Text
(G)li interventi della Commissione europea a cui hanno fatto seguito le “esternazioni” del Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) hanno punti comuni.
Il primo giudizio riguarda la flat tax, sempre più adottata dal popolo delle partite Iva italiane, individuata come (...) come contraria all’equità e una minaccia agli equilibri di bilancio.
Sotto accusa è lo scarso effetto redistributivo della ricchezza (sic!) e l’iniquità. (...) La flat tax incrementale (tassare in modo flat l'eventuale incremento di reddito rispetto al 2020-2022, ndr) viene inoltre accusata di essere un beneficio slegato da incrementi di produttività e destinato a pochi.
L’accusa di mancanza di equità è di parte (e inoltre) non viene supportata da una proposta. (M)anca in ogni caso il “coraggio” di riconoscere un premio al rischio connesso al lavoro autonomo. Gli effetti sulle imprese e sul lavoro autonomo provocati dal Covid prima e dall’alluvione oggi, rimangono senza riposta. (...)
(Anche) l'ammonimento sulle coperture per la flat tax potrebbe essere tacciato come superficiale. Non vengono approfonditi, infatti, gli effetti sulla crescita che ne potrebbero conseguire. (...)
Superficiale è anche la critica fatta alla proposta di sostituzione dell’Irap, un’addizionale applicata al reddito delle società. La critica omette di considerare la situazione attuale. (...) L’Irap, nella configurazione attuale, è stata allontanata dal valore aggiunto economico su cui era stata concepita, differenza tra ricavi e costi sostenuti presso altri operatori economici, per cui già oggi è un’addizionale spesso iniqua.
Altro argomento di riflessione è quello rivolto all’applicazione dell’autonomia differenziata che viene individuata come un elemento che introdurrà complessità (...) fiscale.
Quello che lascia perplessi nell’intervento della Commissione è la reiterazione fuori luogo dell’invito ad allineare i valori catastali  agli attuali valori di mercato. (F)a pensare che l’intervento della Commissione rientri nella trattativa in corso con il Governo su altri argomenti: Mes e rimodulazione del Pnrr. (...)
via https://www.ilsussidiario.net/news/riforma-fiscale-dalla-flat-tax-allirap-i-giudizi-superficiali-di-ue-e-upb/2543650/
i soliti ricattatori europei chiedono il pagamento del riscatto.
22 notes · View notes
rideretremando · 4 days
Text
KANT
di Sebastiano Maffettone
Domani, 22 aprile, Immanuel Kant compie 300 anni (1724-2024). Ho usato il tempo presente non a caso. Perché, che lo si sappia o no, Kant vive ancora in mezzo a noi. Meglio, le sue idee e le sue teorie sono parte integrante del nostro patrimonio intellettuale. Lo si vede chiaramente dalla nostra comune ideologia, dalle più rilevanti ipotesi filosofiche che hanno popolato il secolo ventesimo e l’inizio del nostro, e in sostanza dal nostro modo di pensare nel suo complesso. Non è facile argomentare decentemente una tesi come questa. Certo, si può dire che Kant era un genio assoluto, si può sostenere che ha messo insieme profonde intuizioni sul suo tempo con una tecnicalità filosofica perfettamente compiuta, oppure ancora che egli ha incarnato come nessuno lo spirito della modernità di cui siamo ancora – volenti o nolenti – figli riluttanti. Tutto vero, beninteso.
Ma, non appena si cerca di sostenere qualcosa di simile alla luce dei suoi scritti, interpretazioni generali come questa mostrano la corda. E per varie ragioni. La prima è banale e ineliminabile: leggere Kant è complicato, quasi impossibile senza una guida. Non puoi, intendo, prendere i suoi testi più importanti e, pur armato di buona volontà, sperare da solo di capire ciò che il filosofo sostiene. Innanzitutto, perché il nostro tratta problema estremamente astratti e complessi, del tipo di come sia possibile la conoscenza e che cosa vuol dire essere liberi. In secondo luogo, perché Kant non aveva il dono di una scrittura persuasiva e gradevole, come per esempio lo sono quella di Rousseau e quella di Hume. Certo, la sua prosa è ardua perché, come detto, si arrampica su cime abissali, ma è difficile negare che l’autore ci metta del suo. Il tedesco di Kant è indubbiamente ostico, come del resto i suoi primi lettori non esitarono ad affermare.
Kant, diciamo la verità, era un tipo strano. Metodico fino all’esasperazione e prussiano nell’animo, così lontano non solo dalla mia immaginazione mediterranea ma anche dalle esperienze di vita degli altri filosofi della modernità. Cartesio, Hobbes, Spinoza, Locke e compagnia avevano avuto vite movimentate, ed erano stati costretti all’esilio per ragioni diciamo così ideologiche. Kant, invece, come molti sanno, non si era mai mosso dalla sua Königsberg, ai suoi tempi cittadina mercantile fiorente nella Prussia Orientale ora – con il nome sovietico di Kaliningrad (sic!) – centro di un exclave russo sul Baltico che rischia di essere un pericoloso corridoio bellico nel prossimo futuro. La sua vita era scandita da ritmi sempre uguali. Lo svegliava il fedele servitore Lampe prima delle 5, poi studiava e preparava le lezioni che avrebbe tenuto all’Università Albertina di Königsberg, dopo di che consumava l’unico pasto del giorno (talvolta in compagnia), e nel tardo pomeriggio faceva la famosa passeggiata quotidiana rigorosamente in solitario (quella su cui si dice i locali regolassero l’orologio). Al ritorno, leggeva fino a quando arrivava l’ora di andare a dormire. Era genericamente stimato dai suoi concittadini anche se la sua carriera accademica era stata lenta e faticosa, ed era finito a 80 anni nel 1804 dopo una vecchiaia fertile di studi e pubblicazioni.
Se si dovesse scegliere una frase tra le tante che Kant ha lasciato impresse nella nostra memoria, direi di partire da quella che ci invita a prendere in considerazione due fondamentali universi quello del «cielo stellato sopra di noi» e quello della «legge morale dentro di noi». Dal complesso rapporto tra di loro, discende il nucleo dell’opus kantiano. Quest’ultimo è senza dubbio costituito in primo luogo dalle tre Critiche, Critica della ragion pura (1781, seconda edizione rivista 1787), Critica della ragion pratica (1788), Critica del Giudizio (1790). Ciò, anche se Kant era un genio poliedrico, in grado di esprimersi ad alti livelli su temi di fisica, matematica, diritto, astronomia, antropologia, geografia, teologia e via di seguito. E anche se –oltre alle Critiche – Kant ha scritto molti altri lavori di enorme importanza filosofica, tra cui quelli dedicati alla politica e alla religione.
Nelle sue opere, emerge – come mai altrove – lo spirito dell’Illuminismo, con la sua fede nel progresso e la fiducia nella scienza (a cominciare dalla fisica di Newton), ma col passare del tempo anche la pacata consapevolezza dei suoi limiti e un’apertura al clima culturale che sarebbe seguito. Se, in tutto ciò, un concetto dovesse farci da guida direi che è quello di «autonomia». L’autonomia kantiana riguarda sia la conoscenza teoretica che la vita pratica ed è il vero faro che illumina il percorso della modernità.
Nella Critica della ragion pura si trova l’essenziale della filosofia teoretica di Kant, che riguarda il mondo come è. Nella Critica della ragion pratica – ma anche nella tarda Metafisica della morale (1797) - il nucleo della filosofia pratica di Kant che riguarda il mondo come dovrebbe essere. In entrambi i casi, sia pure in maniera diversa, il soggetto dà leggi a sé stesso, cosa che poi corrisponde al concetto di autonomia di cui si diceva. Nella Ragion pura il nucleo del ragionamento kantiano coincide con la cosiddetta «rivoluzione copernicana», che fornisce la riposta alla fondamentale domanda sul come possiamo conoscere a priori la struttura del mondo sensibile. La risposta suggerisce che il mondo sensibile, o mondo delle apparenze, è in fin dei conti costruito dalla mente umana tramite una complessa interazione di materia che riceviamo dall’esterno e di forme apriori che derivano dalle nostre capacità cognitive innate. Si tratta di una nuova visione costruttivista dell’esperienza, che costituisce davvero una rivoluzione nel campo del pensiero (come quella di Copernico a suo tempo). Lo strumento analitico principale in questo tour de force è costituito dall’idealismo trascendentale, che all’osso è la dottrina secondo cui noi facciamo esperienza solo delle apparenze attraverso le forme a priori di spazio e tempo, mentre le cose in sé restano inconoscibili. In questo modo, Kant toglieva certamente autorità alla metafisica, ma – come ebbe a dire lui che aveva avuto una profonda educazione religiosa ispirata al pietismo – lasciava al tempo stesso più spazio alla fede.
Se la filosofia teoretica di Kant concepisce l’autonomia come capacità squisitamente umana di fornire l’apparato a priori che consente l’esperienza, la stessa autonomia gioca un ruolo ancora più centrale nella filosofia morale di Kant. La legge morale è – come ci hanno raccontato a scuola – basata sull’imperativo categorico, ed è fondata sul lavoro della ragione là dove la conoscenza poggia sull’intelletto. Anche qui, sullo sfondo c’è l’idealismo trascendentale, ma in questo caso non ci accontentiamo delle apparenze ma entriamo nell’ambito delle cose in sé. Se non altro perché la natura è altro da noi, mentre la moralità è squisitamente umana. La ragion pratica così concepita aiuta a comprendere la fondamentale libertà che abbiamo avuto in sorte. Naturalmente, di ciò non possiamo avere una pura consapevolezza teoretica, ma dobbiamo partire da un profondo sentire che consente a ognuno di noi di avvertire la legge morale, secondo la dottrina detta del «fatto della ragione».
A questo punto, il disegno complessivo della critica sembra essere inevitabilmente condannato a un dualismo, che non può che stridere con la mentalità sistematica di Kant. Da un lato c’è il determinismo della natura, dall’altro la libertà dell’essere umano. Scopo della Critica del Giudizio, è proprio il tentativo di superare questo dualismo tra teoria della conoscenza e il dominio della pratica. L’unità del progetto viene raggiunta, in quest’opera, introducendo una terza opzione cognitiva, che fa capo alla capacità riflessiva del giudizio. Tramite tale capacità noi concepiamo la natura nel suo complesso come dotata di scopo. Il giudizio estetico, la scoperta cioè del bello e del sublime nell’arte e nella natura, rivela un’armonia ultima tra il gioco dell’immaginazione e il creato. Consentendo, così, di pensare la natura come frutto di un disegno intelligente e come coerente con i nostri scopi. Soprattutto, sono gli organismi viventi che suggeriscono una finalità intrinseca all’esistenza e alla realtà.
Tutto ciò, oltre a essere complicato per chi non sa e semplicistico per chi sa, ha l’ovvio difetto di apparire scolastico. Kant può risultare, letto in questo modo, come un continuatore particolarmente sofisticato del razionalismo illuministico dei Leibniz e dei Wolff, capace di temperarlo con il lascito dell’empirismo britannico di Locke e Hume. Per capire che non è così, basta guardare alla differenza tra la filosofia che lo precede e quella che lo segue, a cominciare da Hegel e Marx. Per non parlare dell’eredità enorme lasciata da Kant nella filosofia del secolo ventesimo, un secolo in cui tutte le grandi scuole di pensiero – dalla fenomenologia all’esistenzialismo e al positivismo logico – sono in fin dei conti derive dell’opus kantiano. Ma non basta, perché la filosofia del linguaggio dopo Wittgenstein, la filosofia sociale e politica di Habermas e Rawls e la riflessione sul postmoderno non sarebbero neppure immaginabili senza partire dalla rivoluzione del pensiero apportata dal genio di Königsberg.
Dirò di più, credo sia impossibile per noi eredi del progetto incompleto della modernità trovare il bandolo delle nostre idee senza tornare a Kant. Con il compito, direi ovvio, di doverci confrontare con un mondo sociale mutato in cui certi passaggi razzisti, sessisti e classisti di Kant che pure ci sono, non hanno (o non dovrebbero avere?) più cittadinanza. E con una realtà ontologicamente trasformata dalla condizione digitale in cui siamo immersi, dalle guerre (da rileggere ora il saggio kantiano del 1795 su La pace perpetua) e con un pianeta in cui l’Occidente, di cui il nostro era chiara espressione, non rappresenta più l’avanguardia della civiltà. Ma anche per questo compito futuro il lascito di Kant resta fondamentale, un punto di partenza filosofico senza il quale sarebbe impossibile capire il nostro essere nel mondo.
3 notes · View notes
Ho solo bisogno di un po di pace , nessun giudizio, nessuna critica , solo sentirmi al sicuro .
2 notes · View notes
frabooks · 4 months
Text
Il sosia
Tumblr media
Il sosia è il secondo romanzo di Dostoevskij, pubblicato nel 1846, quando aveva 25 anni. È lungo circa 230 pagine e presenta il topos narrativo del doppio. Ovviamente.
È stato pubblicato subito dopo il primo romanzo, Povera gente, anche sull’onda del grande successo di questo, grazie soprattutto alla recensione positiva del grande critico Belinskij. Per D. fu un grande colpo, era entusiasta e non vedeva l’ora di diventare grande e di essere riconosciuto come tale. Lettera al fratello: “Goljadkin è dieci volte superiore a Povera gente. Con quante speranze mi guardano tutti! Effettivamente Goljadkin mi è riuscito come meglio non si povera TI piacerà come non so cosa. Ti piacerà persino più di Anime morte, lo so”.
Il sosia fu un fallimento clamoroso. D. ci restò malissimo tanto che lo riprese in mano diverse volte, anche dopo la condanna, per un riscrittura parziale o completa, cosa che non terminò mai.
Tema del doppio sempre presente. Il tema del Sosia, per D., era un tema serissimo, il più serio di tutti. Raskolnikov vuol dire diviso. D. indica Goljadkin come primo uomo del sottosuolo.
Non gli era riuscita la forma, secondo D.
Majkov, nel 1846 parlò del Sosia così:”Nel sosia la maniera di D: e il suo amore per l’analisi psicologica si sono espresse in tutta la loro pienezza e originalità. In quest’opera egli è penetrato così a fondo nell’anima umana, con tanta impavida e appassionata attenzione ha osservato il moderno meccanismo dei sentimenti, dei pensieri e degli atti umani che l’impressione prodotta dalla lettura del sosia può essere paragonata soltanto l'impressione di una persona curiosa che sia penetrata nella struttura chimica della materia. […] Nei suoi studi psicologici c’è quel riflesso mistico che, in generale, è proprio delle raffigurazioni di una realtà analizzata profondamente”. Majkov ha colto che la “pazzia” non era un tema fantastico o realistico legato a Gogol o Hoffman ma a un’aspetto dell’analisi del tipo umano di D.
È un romanzo quasi in prima persona. È questo quasi che permette di fondere satira e tragedia, condanna e pietà, realismo e misticismo, lucidità e delirio. Goljadkin ha le movenze brusche e meccaniche di un burattino, che si muove a scatti e agisce in modo repentino,e la sua umanità sta nella patologia della sua coscienza verbale, nel suo ininterrotto parlare con se stesso e con le proprie proiezioni, nel continuo sforzo di giustificare se stesso ai proprio occhi e quelli degli altri.
“Il doppio […] è un tratto che è proprio della natura umana in generale, ma che è ben lungi dall’esser reperibile in ogni natura umana con l'intensità che si trova in Lei. Per questo Lei mi è affine, perché questo sdoppiamento in lei è esattamente lo stesso che io ho e che sempre ho avuto. È un grande tormento, ma allo stesso tempo anche un grande piacere. SI tratta di una intensa coscienza, di un’esigenza di autorendiconto e di presenza nella sua natura dell’esigenza di un dovere morale verso se stessi e verso l’umanità.
Goljadkin è la patologia dell’uomo qualunque, il primo gradino di quello “sdoppiamento” che costituisce la malattia dell’uomo moderno, malattia sublimabile soltanto nel privilegio dell’attività spirituale.
Goljadkin è un impiegato di medio livello, ha un servo, Petruska, non ha apertura sociale, non conosce donne né ha amici, nonostante il dottore gli consigli continuamente di fare una vita con più “allegre compagnie”. G. non lo fa mai, ha paura del mondo, del giudizio degli altri e quindi preferisce evitare. È imbranato nelle occasioni sociali, non riesce in nulla e, in primo luogo si chiude in se stesso, in secondo luogo critica fortemente “la società” e chi “ce la fa”.
Usa spesso frasi fatte e usa poche, singole formule continuamente. Si sente vittima delle società, che gli vuole male, che trama contro di lui.
Goldjiakin suona “mentalmente sprovveduto, povero di spirito”.
È un personaggio D. nel senso che è molto vero, sfaccettato. D. non lo descrive, gli fa fare cose, lo fa parlare e interagire con le persone, così capiamo chi è.
G. è a tratti un po’ tutti noi. Io mi ci sono rivisto in alcuni tratti; mi succede spesso con i personaggi di D.
La storia è banale, scontata, molto lineare e pulita. Non so se sono io, se è colpa mia questo effetto. Però questa banalità pregiudica moltissimo la lettura che non si fa mai davvero intrigante, “pericolosa”. Nonostante sia un romanzo grezzo e giovanile, si sente D., lo si percepisce proprio nel personaggio di G.
Ma per far riuscire questo libro sarebbe servito anche altro.
NON è un libro utile per conoscere D., è un libro di D. che può interessare a chi interessa D., tutto qua.
2 notes · View notes
titosfriends4life · 6 months
Text
PAURA DEL DENTISTA: STRATEGIE PER SUPERARLA
Tumblr media
Sono molti coloro che provano timore nel recarsi dal dentista. I denti, spesso croce e delizia, possono trasformare il semplice sentire nominare la parola 'dentista' in un'esperienza carica di ansia e paura. Questo terrore, irrazionale ma reale, può causare sintomi fisici come tachicardia, sudorazione e perfino attacchi di panico.
Le cause di questo timore, noto come odontofobia, sono varie e spesso affondano le radici in esperienze negative con il dentista, specialmente in età infantile, o in procedure dolorose. Alcuni pazienti evitano gli appuntamenti dentali per evitare imbarazzi legati alle condizioni dei propri denti, temendo il giudizio o la critica.
Tuttavia, superare questa paura è fondamentale per preservare la salute orale. Trascurare la salute dei denti può portare a condizioni come l'alitosi, la parodontite e le carie trascurate che, nel peggiore dei casi, possono causare perdita dei denti.
Oltre a ciò, la paura stessa del dentista può compromettere il lavoro del professionista, spingendo i pazienti a comportamenti evitanti che possono complicare ulteriormente la situazione.
Ecco alcune strategie psicologiche per affrontare la paura del dentista in maniera più efficace:
Informarsi per comprendere meglio: Esplorare e conoscere meglio il trattamento dentale potrebbe ridurre l'ansia che deriva dall'ignoto.
Scelta del dentista: È essenziale selezionare un dentista con cui ci si senta a proprio agio. Conoscere il professionista tramite video presentativi o interagendo sui social può aiutare a creare fiducia e comfort.
Comunicazione chiara e aperta: Un dialogo aperto e rassicurante tra paziente e dentista è fondamentale. La comunicazione verbale e non verbale deve essere chiara e confortante.
Gestire la paura dell'ago: Informare il dentista sulla paura degli aghi può aiutare ad adottare strategie di sedazione consapevole, rendendo l'esperienza meno dolorosa e più rilassante per i pazienti.
Evitare racconti negativi: Evitare di ascoltare esperienze negative di altri pazienti può contribuire a non alimentare la propria paura.
Richiedere aiuto professionale: Quando la paura diventa paralizzante, un aiuto psicologico professionale come la terapia strategica breve può essere una soluzione. Questo tipo di terapia mira a sostituire le soluzioni disfunzionali con quelle più funzionali per modificare la percezione della situazione dentale.
Affrontare la paura del dentista richiede tempo e pazienza, ma è cruciale per preservare la salute dentale e per stabilire una relazione più salutare con i professionisti del settore.
Affronta la tua paura del dentista e riconquista il sorriso❗️Scopri come superare la tua ansia con le giuste strategie psicologiche. Prendi il controllo della tua salute dentale oggi stesso.
Tito Bisson
UNISCITI AL CANALE TELEGRAM CLICCA 👉🏻 QUI 👈🏻
HAI BISOGNO DI AIUTO❓Cheidi al PROFESSIONISTA online, inquadra il CODICE IQR qui sotto e INIZIA A CHATTARE: 👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻👇🏻
Tumblr media
2 notes · View notes
theportalofwonder · 6 months
Text
Distopia 2022
Nella strada asfaltata di Roma le persone si confondevano con i loro cellulari, i loro sguardi erano lì e Matteo non poteva più guardarli in faccia, per non rivelare il suo stato d’animo, mentre ascoltava i loro pensieri con il cellulare che aveva ben premuto nella tasca. Stava tornando a casa dal suo lavoro di insegnante in cui ogni anno ripeteva le medesime cose, alcune sincere ed altre non, creando però di sé un’immagine e una figura inattaccabile. Ma il suo lavoro era leggere i pensieri degli altri, sul cellulare a raggi X, che aveva l’abilità di captare i pensieri riflessi degli altri tutto il pomeriggio, fino al calar del sole. Grazie a questo suo lavoro, metteva like ai post che erano più adatti ad alcune persone, e pensandole riusciva ad indirizzarle a loro, poi inviava post su whatsapp o su facebook, inviategli dall’agenzia americana che gli dava il lavoro. Tutto questo teneva in piedi un modello di idee capitaliste che circolavano, manteneva ciò che le persone pensavano fossero mode, o tendenze, ma personalizzandole a un livello tale, che le persone non si accorgevano del loro bisogno di altro. La sua persona influenzava il loro giudizio favorevole alle cose segnalate.
Questo era un lavoro, pagato, ma che era costretto a fare. La punizione sarebbe stata la morte per raggi X, sparati a tali livelli da diventare mortali. Dentro al suo corpo aveva un sensore per i raggi, ed era per via di esso che riusciva a sentire i pensieri altrui, di più se la stanza diventava tesa, c’era un malumore, uno sfogo, una tensione. I pensieri infatti facevano rumore, e più erano forti più li sentiva e gli facevano male in raggi. Poteva andare dove voleva, ma doveva sempre essere attaccato al cellulare, guardandolo compulsivamente, e se trovava un contenuto adatto a qualcuno dirlo subito a tutti. Nei locali chiusi c’erano dei sensori che conoscevano ogni suo movimento, ogni sua parola e ogni suo pensiero. Fuori c’erano le telecamere, che sparavano raggi X.
Il piano che lo aveva coinvolto era stato organizzato dalle venti più ricche persone americane, negli anni ’70, ma perfezionato sempre di più fino agli anni ’90. Il desiderio di potere e di dominio del mondo da parte dell’America si era fatto troppo forte e avevano più ricchezza e armi nucleari di qualunque altro paese. Per cui, con la tecnologia che avanzava per favorire la lettura dei pensieri, fecero un patto, che gli insegnamenti a riguardo sarebbero rimasti indietro, e che le idee in generale sarebbero ricircolate secondo modelli canonici, non permettendo alle persone di pensare, bloccando loro il pensiero davanti a schermi e cellulari, e mantenendo il modello americano di pensiero ovunque. La facoltà critica sarebbe pian piano scomparsa, e le persone avrebbero imparato a esprimersi soltanto tramite reference ad altre cose, già studiate sotto al modello.
Matteo si guardava in giro, aveva finito, era sera. I negozi artigianali italiani erano quasi scomparsi, le attività a lungo termine. Ora c’erano locali di plastica rosa, costruiti per disfarsi in pochi anni, con lavori temporanei e camerieri costretti a sorridere e soddisfare il cliente. Pensava solo a venti anni prima, quando il cameriere si faceva il cappuccino e una chiacchera prima di darne uno al cliente e a come era tutto più rilassato, senza sensori e telecamere. Sapeva che era un piano ben studiato e si chiedeva, come molti altri, se ci fosse un modo di uscirne.
Lui era stato coinvolto da ventenne, quando era finito nei giri sbagliati e una persona lo aveva sensibilizzato ai raggi X con la violenza. Il resto lo aveva scoperto da solo. Aveva dovuto crearsi un personaggio, credibile, che avesse tanta influenza dal vivo, e professore si era prestato come il mestiere adatto a essere più influente, con più persone. Così reiterava i suoi successi antecedenti, si faceva pubblicità, aveva curato molte mostre, ma non poteva più andare avanti nella vita, non aveva più il diritto di esprimersi, se non per modelli obbligati.
4 notes · View notes
rosa-kirsche · 2 years
Text
Il rispetto non esiste più. Per alcune persone il solo digitare tasti in sequenza su una tastiera, nascondendosi dietro lo schermo e all’anonimato, è un passatempo, un modo come un altro per soddisfare bisogni e piaceri. Per queste persone non ha la minima importanza quello che dall’altra parte viene recepito: critica, accusa, giudizio, mancanza di rispetto, senso di insicurezza ed inadeguatezza. Per queste persone non esiste l’anima dietro alle altre persone che incontrano su un sito come questo, come in moltissimi altri luoghi, social o blog che siano, preferendo parlare senza tenere nemmeno in conto quelle che potrebbero essere le conseguenze. E queste persone non sono altro che la causa che porta persone come me a nascondersi nella vita reale a farlo anche su un blog che sentivano personale, come un diario, in cui avevano imparato ad accettarsi un po’ di più e porsi sotto una luce meno oscurata dagli standard tossici che incontrano tutti i giorni nella vita quotidiana al di fuori di internet. Persone come me che sono insicure e piene di paranoie che si ritrovano a cancellare foto personali e a smettere di rispondere ai messaggi perché importunate o sminuite o ritenute false e approfittatrici.
Questo è l’ultimo messaggio che scrivo con la speranza di vedere il rispetto ricomparire almeno un po’ tra tutti i post che questo sito presenta, con la speranza di non dover buttare al vento quel poco di autostima e riconoscimento nei miei confronti che molto duramente mi sono costruita.
22 notes · View notes
susieporta · 29 days
Text
"La ... Gestalt non si fa domande sull'essenza del vuoto fertile, si limita ad aver chiaro come trovarlo: semplicemente lo si trova quando si fa silenzio dentro.
Se ci si ascolta interiormente, al di là del chiacchiericcio incessante si intravede qualcosa che potremmo chiamare un'intenzionalità, quella che poi si traduce in desideri.
Di qui il senso dei ritiri nel deserto: in assenza di stimoli esterni e di richieste dell'io, ad un certo punto si ferma l'agitazione della mente. Quando questo avviene, la situazione s'inverte: invece che funzionare in risposta a stimoli esterni, la mente comincia a produrre autonomamente.
(...)
... quando è fertile, il vuoto si riempie da solo e giungono alla mente cose che la persona stessa non si aspettava.
Naturalmente tra produzione e qualità c'è un abisso, ma se non ci viene concesso di produrre sciocchezze, un'opera sensata non si farà mai... Non c'è modo di creare nulla senza lasciare spazio alle sciocchezze: cavalcando poi il senso, si arriverà all'opera vera e propria. Nella maggior parte delle persone il processo creativo è impedito fin dall'inizio, perché la critica interna dice: 'Questo no, è brutto; questo no, è sbagliato; quest'alto ancora no, ci faccio brutta figura' e la cornucopia chiude i battenti.
Nell'area digitale, ciò che fa la differenza è la dialettica giusto o sbagliato... Nell'attività analogica, invece, la bussola è 'mi piace o non mi piace': un quadro può piacere o no, ma non può essere giusto o sbagliato. Nell'analogico il giudizio critico non trova posto: non avrebbe nessun senso dire, per esempio, che Leonardo è giusto e Picasso sbagliato."
Giovanni Paolo Quattrini: per una psicoterapia fenomenologico - esistenziale, pp. 84 - 85
2 notes · View notes
precisazioni · 1 year
Text
anche se spesso con riluttanza, dopo anni mi sono abituato un minimo ad affrontare momenti prima insostenibili quali: sentirmi a disagio e non andare via nell'immediato; non scappare da ogni situazione potenzialmente giudicante nei miei confronti; provare a leggere fra le righe e interpretare la comunicazione altrui
conoscere cose mi aiuta. alcune persone, per sentirsi più sicure, fanno palestra; io faccio qualcosa di simile ma con attività perlopiù intellettive (in realtà faccio anche un minimo di attività fisica). che poi, con 'attività intellettive' sembra voglia ritenermi un cervellone: a dimostrazione che non mi percepisca come tale, i pensieri che sono sorti dopo che ieri ho consegnato un esercizio a uno dei docenti
il professore, persona sprezzante, polemica e forse ignara di concetti quali 'ansia sociale' o 'ansia da prestazione' ma che non mi sento neppure di detestare date sue idee politiche dichiaramente di sinistra, aveva chiesto di sonorizzare 2001 odissea nello spazio (solo un paio di minuti, non tutto il film) utilizzando tecniche ben precise
avevamo tutti le idee un po' confuse: il professore non spiega, chiede solo esercizi senza darci gli strumenti. arriva il mio turno: dice che il lavoro non è male, poi però lo critica in ogni sua parte con aria di sufficienza; parlo, mi interrompe, non mi ascolta e si spazientisce. ci fa capire che per lui non valiamo niente e che i nostri lavori sono e saranno mediocri, privi della profondità di un compositore colto
penso di non litigare con un estraneo da un decennio, non succedeva neppure quando lavoravo al call center e i clienti non esitavano a offendermi: spesso li zittivo con cortesia; con lui però mancava poco: la teensione creatasi è stata sufficiente a farmi chiedere, il giorno dopo a un collega, se per caso avessi esagerato. la sua risposta: no, affatto, ti sei comportato benissimo, è lui a essere un esaltato
queste considerazioni non sono però bastate a non farmi pensare che sia io, nella mia incapacità di istituzionalizzarmi ,a non aver quel tipo di intelligenza congrua al mondo in cui viviamo. decontestualizzato potrebbe forse essere un pensiero esagerato, se non si tenesse in conto la difficoltà, o meglio la paralisi, con cui gestisco le consegne che prevedono un giudizio, sia esso di un docente o di un pubblico
il riscontro della conoscenza, dunque, è inefficace nei fatti concreti; tuttavia, nella conversazione e nel confronto ordinario, anche se alla fine non parlo mai delle cose che scopro e in realtà non mi trovo a mio agio a parlare di me stesso, l'atto di conoscere, oltre al piacere derivante dall'esser curioso, mi da l'iea di sentirmi pù sicuro della mia persona e che, se si vuole, con me si potrebbe parlare di qualche fatto culturale, artistico, scientifico senza che abbassi la testa
questo mi da quel minimo di forza da poter pensare di uscire di casa senza troppo imbarazzo, a rapportarmi occasionalmente con altre persone, ad andare a lezione senza ossessionarmi che non valgo niente e a presentare un mio progetto artistico senza vergognarmi di esistere, anche se questo può voler dire ricevere opinioni da parte di un docente che crede di rapportarsi con persone a lui inferiori
8 notes · View notes
gcorvetti · 10 months
Text
Il vaso di Pandora.
La settimana scorsa a Milano c'è stato una specie di concerto organizzato da Fedez, Silvestrin è uno attento ad eventi del genere perché è il suo campo e nonostante non gli piaccia lo guarda per cronaca, un pò come Sanremo. Durante l'evento ha fatto diversi tweet di critica forte dove è stato sia attaccato che lodato per la sua sincerità contro un evento da bimbiminkia forzando la mano sul fatto che la musica non è quella e che non c'è speranza per l'Italiano medio di comprendere e andare avanti sul campo. Nei giorni a seguire è stato intervistato da alcuni giornali per, diciamo, chiarire la sua posizione e anche perché quando ci sono polemiche i giornali si sfregano le mani, nelle interviste ha ribadito la sua posizione e rimarcato il fatto che la musica nello stivale è più o meno morta. Mi associo a lui non perché la penso al 100% come lui ma perché penso che abbia ragione su questa cosa, forse è un pò troppo duro e magari non vede che comunque ci sono persone che vanno oltre la trap e la musica commerciale, ma anche oltre alle varie nostalgie e non tutti dicono che non c'è più buona musica, sicuramente chi lo segue ha già una visione diversa; fatto sta che in qualche modo e probabilmente anche per lasso di tempo breve ha aperto il vaso di Pandora o detto che il Re è nudo, fate voi, alzando un pò il polverone che stantio grava sul mondo della musica in Italia. Quello che ha fatto sicuramente lo ha portato un attimino in auge e quelli che non lo cagavano magari si sono incuriositi e hanno guardato alcune sue live, è ogni giorno su twitch e posta video su youtube continuamente, ma oltre al suo ritorno penso che abbia messo la pulce nell'orecchio degli addetti ai lavori, radio e tv in testa, almeno lo spero così magari qualcosa cambia. Nel mio piccolo sono sempre in movimento, quello che facevo ieri non lo faccio domani, sempre in uno stato di incubazione che mi tiene nell'ombra, non sono come molti colleghi attivissimo sui social e non mi interessa avere consensi dai social perché sono effimeri, oggi hai 35540 like domani zero, non sono un content creator come molti che postano video quasi ogni giorno per mostrarsi quanto bravi sono, non sono neanche così bravo faccio il mio e spesso non piace neanche a me. La musica è parte di me da quando avevo 10 anni, ma anche prima adoravo ascoltare i brani dalla radio o dal mangiadischi, da quando poi ho iniziato a suonare nella mia prima band è scattato in me un meccanismo che negli anni è cambiato, se a 16 anni volevo diventare famoso a 20 non lo volevo più, a 23 volevo solo creare e proporre dal vivo i nostri lavori (ero in una band a mio giudizio eccezionale che poi si sciolse come neve al sole che è quasi normale nell'ambiente), quando poi sono andato via da Catania ho iniziato a cercare qualcosa che non sapevo neanche io cosa, non una band, non altri musicisti, ma alla fine era quello che si proponeva continuamente, avendo sempre suonato con altre persone non avevo il concetto di suonare da solo. Il tempo passava e le opportunità diminuivano, le mie idee cambiavano continuamente e il numero di quelli con cui potevo fare comunella si assottigliava, poi l'esperienza a Londra mi ha dato tantissimo, arrivato qua dopo una ricerca sterile di musicisti mi sono reso conto che era meglio intraprendere un percorso solitario, inizia la fase one-man band che è tutt'ora sul binario morto ma pronta a ripartire. Negli ultimi anni, dal lock down, ho ripreso a studiare, ricercare e sperimentare, adesso sono in fase brainstorming, butto giù tutto quello che mi passa per la testa e quando sarà il momento metto tutto online. Posso definirmi senza esagerare un outsider, fuori da tutti i giochi e da tutte le nicchie, anche se sicuramente qualcuno mi ci infilerà, ma mi sento più libero che mai di potermi esprimere al meglio con forme diverse e non cadendo su magri stili ripetitivi.
Posto un video di Enrico che legge una delle interviste che gli hanno fatto in uno dei giornali, video troppo divertente, è anche autoironico e questo è lodevole.
youtube
2 notes · View notes
diceriadelluntore · 1 year
Photo
Tumblr media
Storia Di Musica #250 - Miles Davis, Miles Smiles, 1967
Il traguardo delle 250 storie di musica lo festeggio con una delle sue rare foto in cui ride: probabilmente ne esistono altre, dato che è stato uno dei musicisti più fotografati di sempre, ma nelle copertine dei suoi dischi, dove compare sempre accigliato e “serio”, è un punto di svolta (unico tra l’altro). Il 24 e il 25 ottobre 1966, Miles Davis è con il suo formidabile Secondo Quintetto nei leggendari studi della Columbia sulla 30.ma strada a New York. Sotto gli occhi vigili del suo produttore principe, Teo Macero, arrivano i musicisti di questa nuova avventura, iniziata 3 anni prima: Herbie Hancock al pianoforte, Ron Carter al basso e contrabbasso, Tony Williams alle batterie e Wayne Shorter al sax. Quel periodo storico è una fase centrale della musica jazz, probabilmente anche poco conosciuta, perchè compressa dalla frenesia eccitante del bop degli anni ‘50 e l’arrivo delle avanguardie free form che dall’inizio del decennio successivo iniziavano ad incalzarla. Davis, non nuovo a innovazioni storiche (anzi, in pratica è passato in ogni trasformazione del jazz) fiuta che l’aria sta cambiando, ma rimane fermo su una convinzione (almeno per i successivi dieci anni): non gli importa del free jazz, ma una sua strada per il superamento degli schemi la vuole trovare. Buona parte degli esperimenti avvennero dal vivo, con il quintetto che nei primi anni sforna dischi dal vivo di successo (’Four' & More: Recorded Live in Concert del 1966, Miles in Berlin del 1965, registrato dal vivo alla Berliner Philharmonie nel 1964, prima prova del Secondo Quintetto con Shorter al sassofono, e anche altri titoli). Davis va in studio con l’obiettivo preciso di allargare la svolta modale degli anni precedenti. Lo fa prendendo la decisione di rallentare e mischiare i tempi ritmici, tanto Williams sa fare di ogni cosa una magia, e di giocare anche sugli arrangiamenti. Quello che ne viene fuori è un disco in cui l’alchimia tra le due istanze sembra magicamente riuscire, sebbene ancora oggi a distanza di anni la critica si divide tra chi lo vede come il suo primo esperimento di musica d’avanguardia (giudizio che a mio avviso è sbrigativo e smentito dalla musica stessa) e chi lo trova il primo, riuscitissimo, esempio di post-bop, per un processo simile a quello per cui i critici definiranno post-rock quella musica destrutturata e immaginifica di cui ho anche parlato in questa piccola rubrica per il rock occidentale. Sia come sia, Miles Smiles esce un anno più tardi, nel 1967, e quel sorriso sincero in copertina è con ottima approssimazione la sensazione che l’ascolto produce all’ascoltatore: 7 brani, uno solo a firma Davis, tre a firma Shorter e due cover riuscitissime. La scelta dei brani di Shorter fu un impegno gigantesco per il sassofonista, che sfodera nelle interpretazioni tutta la sua espressività magnetica, e i fraseggi tra i due fiati sono clamorosi. Ma la cosa stupefacente sono il pianoforte e la linea ritmica: Hancock spesso suona solo con la mano destra, per un suono più rarefatto e languido, Williams e Carter giganteggiano con i ritmi musicali, innestando nei brani scale africane, ritmi caraibici, soprattutto il tresillo cubano, in uno dei passaggi fondamentali di Footprints, brano di Shorter di qualche mese prima che qui viene suonato nella sua versione definitiva. C’è qui una delle ballad più intense e belle di Davis, Circles, di una dolcezza sconfinata, c’è il suono formidabile e accesso di Orbits, e Dolores, altro gioiello di Shorter. Le due cover sono brani che il quintetto aveva spesso suonato dal vivo, Freedom Jazz Dance di Eddie Harris, a cui vengono aggiunte due battute completamente diverse dallo standard, il quale ha però la struttura più classica di tutto il disco; Ginger Bread Boy fu scritta da Jimmy Heath, uno dei tre fratelli Heath grandi musicisti jazz, per la nascita di suo figlio, e appare nel suo disco del 1964 On The Trail. Davis ebbe Heath come sassofonista per un breve periodo nel 1959, durante l’assenza di Coltrane dal primo leggendario quintetto, per disintossicarsi. Anche questo brano faceva parte del “live book” di Davis e registrato per la prima volta solo in questo disco in studio. Come succede spesso con i grandi dischi di Davis, oltre la maestria e la tecnica musicale di uno dei gruppi più importanti e talentuosi della storia della musica, ciò che colpisce è la straordinaria sensazione che tutto sia naturale, che la sintonia mentale e spirituale tra i musicisti sia innata. Il disco ebbe sin da subito critiche formidabili, ma per tutta una serie di motivi storici successivi, tra cui l’esplosione della fusion del jazz, frutto delle sperimentazioni dello stesso band leader di oggi, verrà un po’ dimenticato. Tuttavia, dagli anni 2000, tutta la straordinaria musica del periodo verrà rivalutata, e Miles Smiles entrerà nella lista dei 1000 dischi fondamentali del Museo dei Grammy, e presente in tutte le classifiche dei capolavori del jazz. Fu il disco apice di una certa idea davisiana, approfondita con altrettanta bellezza, ma un pizzico di magia in meno, in due dischi successivi, Sorcener, che esce nello stesso anno, 1967, e Nefertiti, sempre del 1967. Bastano pochi mesi per il primo passo dell’ennesima rivoluzione, quando lo stesso quintetto suona gli strumenti elettrici in Stuff e George Benson entra con la sua chitarra elettrica in Paraphernalia, due cardini di Miles In the Sky: sono passati appena due anni, ma sembra un decennio. Ennesimo grande potere di uno dei più grandi stregoni della musica, personaggio unico e inimitabile.
13 notes · View notes
gestografico · 2 years
Text
proprietà psicologiche (6)
Proseguo con l’elencazione di proprietà/qualità psicologiche, su cui ciascuno può fare proprie personali considerazioni.
LA CHIAREZZA = E’ davvero una qualità importante. Chi ha chiarezza di concezione e di espressione è al tempo stesso una persona che tende a tutto osservare. Un eccesso di chiarezza può ledere la prudenza per troppa sincerità, fino a rasentare l’ingenuità. Chi è sincero è al tempo stesso leale. Con la CHIAREZZA mentale predomina la ragione e la coscienza.
CHIAREZZA -  è positiva se non c’è studiosità; deve essere innanzitutto spontanea
CONFUSIONE - è proprio il suo opposto (è per se stessa ‘patologica’)
Tumblr media
fonte immagine: https://www.ilgiomba.it/chiarezza-aspetto-fondamentale-della-vita/29790
-------------------------- 
IL SENSO ESTETICO - riguarda la percezione e la creazione del bello.
ECCESSO DI SENSO ESTETICO =  diventa imbarazzante, disturbante, disintegrante l’armonia (è un pavoneggiarsi)
Tumblr media
fonte immagine: https://pikaia.eu/la-bellezza-darwin-e-lestetica-evoluzionistica/
-------------------------- 
PROFONDITA’ - scruta la radice delle cose, Il pensiero si fa più penetrante e può diventare più raffinato, sicuramente ben coordinato.
GRETTEZZA -  prevalgono gli atteggiamenti polemici, vi è soggettivismo nel valutare. Il giudizio e il sentimento diventano meschini, piccinini.
Tumblr media
fonte immagine:  https://www.pinterest.it/pin/397090892119435209/
-------------------------
LA CRITICA – è potenza di discernimento:
Se in eccesso diventa IPERCRITICA
Se è in difetto è MANCANZA DI CRITERIO PRATICO
Tumblr media
fonte immagine: https://www.pinterest.it/pin/397090892119435209/
------------------------ 
N.B. - ad ognuna delle suddette caratteristiche psicologico-comportamentali corrispondono specifici segni grafologici morettiano (del metodo grafologico di Girolamo Moretti)
                                                            (segue)
8 notes · View notes