Tumgik
#dentro agli occhi miei
princessofmistake · 4 months
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Vorrei mancarti
E non te lo nascondo, vorrei mancarti quando ridi, quando sei triste o stanco, quando hai proprio tutto tranne che me e se te ne accorgi avverti un vuoto dentro. Vorrei mancarti quando fai tardi e quand'è troppo presto, perché tu capisca che essere fuori tempo è drasticamente importante anche per due come noi. Noi che, per quanto amore provassimo, non riuscivamo a non essere in anticipo oppure in ritardo su tutto: tu sui miei dubbi che risolvevi troppo tardi, io sui tuoi sorrisi veri che notava quando ormai si erano già spenti.
Vorrei mancarti quando la notte guardi la luna e senti che c'è qualcosa che non hai, che non hai più, che non sai se ce l'hai avuta mai. Vorrei mancarti quando sei in mezzo agli altri, altri che non hanno i miei occhi, che non sono me e che non mi somigliano nemmeno un po', e ti pesa, non te lo aspettavi, ma ti pesa.
Ti vorrei mancare quando tutta quella folla che hai intorno ti fa sentire solo al mondo, quando sei distrutto, sfatto, in discoteca da solo, oppure in compagnia nel letto.
Vorrei mancarti quando in piena notte ti svegli e allunghi il braccio per cercarmi.
Vorrei mancarti quando non sai che ti succede ma non ti va più di ascoltare la gente parlare, e vorresti solo spegnere il mondo e gettarti dentro ad una fotografia, quella che hai bene nella testa, di noi che ridiamo da tristi, di noi che sorridiamo da felici.
Io ti vorrei mancare perché significherebbe che t'è importato, che t'è importato tanto, che è stato doloroso ma incredibilmente speciale. Io ti vorrei mancare perché mi manchi. Più o meno tutto il tempo. E mancarsi, mancarsi in due, significa appartenersi.
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chouncazzodicasino · 5 months
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Ieri pomeriggio è venuto papà in negozio, a sorpresa. Così. Non che ci sia nulla di strano, ma un po' mi fa sorridere questa cosa. Io e mio padre non abitiamo vicinissimi, lui abita in centro a Roma, io fuori in un paese. È venuto e abbiamo passato il pomeriggio insieme a chiacchierare mentre lavoravo. L'altro ieri mi ha chiamata per chiedermi un consiglio su alcune delicate dinamiche familiari, questa estate siamo stati molto l'uno di supporto all'altro per queste dinamiche micidiali (non si capisce per quale motivo si dice parenti serpenti e non parenti pezzi di merda). Insomma, nell'ultimo periodo sento che i miei consigli sono per lui importanti e di supporto, sento che ha bisogno di sentire la mia campana e questa cosa mi stupisce piacevolmente ancora un po'.
Negli ultimi anni papà si è smussato. Non voglio dire cambiato perché non sarebbe il vocabolo giusto. Si è calmato? Forse. Si è rasserenato? Eh, dai, forse sì. Sì è rassegnato? In alcuni casi sì. Ma sono tutte accezione positive del termine e io sono una vera sega a parlare quindi meglio di così non riesco a spiegarlo. Penso spesso a quando è cominciata questa sua variazione da "orso" a "orsetto" e non so bene a cosa attribuirla. Un misto di pensione/nonnitudine/vecchiaia e di certo la malattia di nonna. Veder passare una donna da totalmente indipendente, dinamica, con una vita così piena e attiva che se solo ci penso io oggi mi viene il fiatone, ad una nonnina con la testa che fugge e si stacca, che ha bisogno di un aiuto pratico per quasi tutto, nel giro di pochi mesi, è stato devastante. Lacerante. Sono convinta che questo lo abbia molto scosso. Come scuote e percuote me, anche solo a scriverlo, con le lacrime agli occhi. Perché mia nonna è il mastodontico perno di questa grande famiglia chiassosa, stronza e dispersa nel mondo, che nonostante tutto amo. Comunque...
Io e mio padre siamo sempre stati connessi. Culo e Camicia. Quando ci chiamavano così io immaginavo un culetto pallido con dei bottoncini attaccati alla pelle (che ero io) e una camicia azzurro chiara che si abbottonava perfettamente su quei bottoncini (che era papà). Eravamo uguali. Fumantini. Forti. Spigolosi. Tuonavamo. Ma anche molto divertenti e buffi. Poi lui se n'è andato di casa e mi ha lacerato il cuore. "La persona che odio e amo di più al mondo", solo così riuscivo a pensare a lui nella mia mente in quel periodo, in quei merdosissimi anni che la mia mente vuole ricordare solo a sprazzi. In quel periodo ho eruttato come un vulcano violento, contro il mondo, ma soprattutto contro di lui. Poi col tempo, ci siamo ritrovati, ritrovati veramente, dentro, perché fuori non ci siamo mai persi. So che il mio giudizio su di lui in quel periodo ha pesato come un macigno, ma è giusto che sia così. Oggi siamo sempre molto simili, ma siamo entrambi cambiati. Io, come lui, mi sono smussata.
Mi piace questa nuova fase della nostra vita dove oltre a figlia che può essere portata in braccio fuori dai rovi come un cerbiatto delicato, sono anche la figlia che hai bisogno di sentire per un parere, quella che parlando, in un continuo brainstorming incasinato e mal parlato, ti fa riflettere e ti apre finestrelle nella mente che tenevi chiuse senza volerlo.
Se penso a questa nuova nostra fase la prima immagine che mi viene in mente è il giorno di ferragosto di quest'anno. Dopo il classico pranzo sotto le montagne, con le tante famiglie della nostra gigante famiglia, tante risate e tanto buon cibo abbiamo portato nonna a riposare e io ho cominciato a pensare ai miei zii, a cosa si stanno perdendo vedendola poco o niente, a come sono lontani, come cerchiamo di includerli e ci scanzano, la scanzano. Ho raggiunto papà, su una panca vista ghiacciaio, e ho cominciato a parlarne con lui, piangendo. Non per me, sticazzi di me, ma per nonna. Ho rotto i miei argini. Ho pianto per tanto tempo, vomitando bile su questa situazione che ci fa stare una merda, urlando e singhiozzando, quando senti la pelle bollente dalla rabbia e gli occhi rossi, con mio padre che mi ascoltava, mi parlava, mi consolava, mi stringeva la mano, guardava le montagne e piangeva. Un triste e rassegnato consolarsi a vicenda.
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vintagebiker43 · 4 months
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PERCHÉ NON CREDO IN DIO
di Carlo Rovelli:
“Diverse persone mi hanno chiesto perché dico che non credo in Dio. Ecco la mia risposta.
A me non piacciono quelli che si comportano bene per paura di finire all’inferno. Preferisco quelli che si comportano bene perché amano comportarsi bene.
Non mi piacciono quelli che sono buoni per piacere a Dio. Preferisco quelli che sono buoni perché sono buoni.
Non mi piace rispettare i miei simili perché sono figli di Dio. Mi piace rispettarli perché sono esseri che sentono e che soffrono.
Non mi piace chi si dedica al prossimo e coltiva la giustizia pensando in questo modo di piacere a Dio. Mi piace chi si dedica al prossimo perché sente amore e compassione per le persone.
A me non piace sentirmi in comunione con un gruppo di persone stando zitto dentro una chiesa ascoltando una funzione. Mi piace sentirmi in comunione con un gruppo di persone guardando i miei amici negli occhi, parlando con loro, e guardando il loro sorriso.
Non mi piace emozionarmi davanti alla natura perché Dio l’ha creata così bella. Mi piace emozionarmi perché è così bella.
Non mi piace consolarmi della morte pensando che Dio mi accoglierà. Mi piace guardare in faccia la limitatezza della nostra vita e imparare a sorridere con affetto a sorella morte.
Non mi piace chiudermi nel silenzio e pregare Dio. Mi piace chiudermi nel silenzio e ascoltare le profondità infinite del silenzio.
Non mi piace ringraziare Dio: mi piace svegliarmi al mattino, guardare il mare e ringraziare il vento, le onde, il cielo e il profumo delle piante, la vita che mi fa vivere, e il sole che si alza.
A me non piacciono quelli che mi spiegano che il mondo l’ha creato Dio, perché penso che non lo sappia nessuno di noi da dove viene il mondo; penso che chi dice di saperlo si illude; preferisco guardare in faccia il mistero, sentirne l’emozione tremenda, piuttosto che cercare di spegnerla con delle favole.
A me non piacciono coloro che credono in Dio e così sanno dove sta la Verità, perché penso che in realtà siano ignoranti quanto me. Penso che il mondo è per noi ancora uno sterminato mistero. A me non piacciono quelli che conoscono le risposte. Mi piacciono di più quelli che le risposte le cercano, e dicono «non so».
Non mi piace chi dice di sapere cosa è bene e cosa è male, perché sta in una chiesa che ha il monopolio di Dio, e non vede quante diverse chiese esistono al mondo. Quante morali diverse, e ciascuna sincera, esistono al mondo.
Non mi piace chi dice a tutti cosa tutti devono fare, perché si sente forte grazie al suo Dio. Mi piace chi mi dà suggerimenti sommessi, chi vive in un modo che mi stupisce e ammiro, chi fa scelte che mi emozionano e mi fanno pensare.
Mi piace parlare agli amici, provare a consolarli se soffrono. Mi piace parlare alle piante, dare loro da bere se hanno sete. Mi piace amare. Mi piace guardare il cielo in silenzio. Mi piacciono le stelle. Mi piacciono infinitamente le stelle.
Non mi piace chi si rifugia nelle braccia di una religione quando è sperso, quando soffre; preferisco chi accetta il vento della vita, e sa che gli uccelli dell’aria hanno il loro nido, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il suo capo.
E siccome vorrei essere simile alle persone che mi piacciono, e non a quelli che non mi piacciono, non credo in Dio.”
Carlo Rovelli,
fisico e saggista
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Ho le rughe... Mi sono guardata allo specchio e ho scoperto di avere molte rughe, intorno agli occhi, alla bocca, sulla fronte. Ho le rughe perché ho avuto amici, e abbiamo riso, abbiamo riso tanto, fino alle lacrime. E ho conosciuto l'amore, che mi ha fatto strizzare gli occhi di gioia. Ho le rughe perché ho avuto dei figli, e mi sono preoccupata per loro fin dal concepimento, e ho sorriso a ogni loro nuova scoperta e ho passato notti a cullarli. E poi ho pianto. Ho pianto per le persone che ho amato e che sono andate via, per poco tempo o per sempre oppure senza sapere il perché. Ho vegliato, trascorso ore insonni per progetti andati bene, andati male, mai partiti, per la febbre dei bambini, per leggere un libro o fare l’amore. Ho visto posti splendidi, nuovi, che mi hanno fatto aprire la bocca stupita, e rivisto i posti vecchi, antichi, che mi hanno fatto commuovere. Dentro a ogni solco sul mio viso, sul mio corpo, si nasconde la mia storia, le emozioni che ho vissuto, la mia bellezza più intima e se cancellassi questo, cancellerei me stessa. Ogni ruga è un aneddoto della mia vita, un battito del mio cuore, è l’album fotografico dei miei ricordi più importanti.
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scorcidipoesia · 2 months
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Sei come una macchia di olio benedetto che si espande in me .. dal cuore arrivi in ogni cellula e la mia mente si culla perduta in te, verso di te.
Chi sei , cosa hai fatto, da dove arrivi, chi ti ha creato, di cosa sai, come respiri, dove abiti, cosa ti attraversa la mente, cosa sogni?
Qual è il tuo profumo ?
Il mio solo desiderio è poter appoggiare il volto accanto al tuo, sapere di cosa sai, come è la tua pelle ,se hai rughe profonde o si distendono quando chiudi gli occhi.
No, non ho pensieri di sesso sfrenato, non mi interessa il tuo corpo , sapere se sei uno dei tanti adoni ( e il cellulare ha scritto asini perché scrivo di getto), non voglio piaceri fisici. Non è importante, conta più come mi sento.. Il tempo mi ha mitigata, ho capito che il sentimento raggiunge apici che il piacere sbiadisce, so quello che non voglio e non posso ma so chi desidero da dentro.
È una perfetta congiunzione, un fare l’amore così : mente nella mente, anche se non lo sai. Perché certamente ti perderei, ti spaventerei perché le donne profonde fanno paura agli uomini e perché gli uomini che mi rapiscono non mi vedono. So diventare invisibile e sparire, so ormai comandare i miei comportamenti ma non quello che mi fa vibrare come una nota forse stonata ma forte, vibrante : mi senti ?
Non vorrei sporcare questo regalo, ora che il mio cuore si è ricomposto dalle delusioni della vita e dai miei fallimenti vorrei diventare quella bambina che sapeva sognare e non è mai invecchiata nell’anima. Ora che il mio volto non è più il bocciolo fresco di un fiore a primavera vorrei poter sorridere a te, guardare come sei e parlarti, dirti senza parole di questa marea che mi porta su e giù nei meandri infiniti dei miei pensieri che non conosci, delle poesie mai scritte, dei doni mai offerti.
Ora che il tempo si è accorciato vorrei poterti aprire le mani e mostrarti i palmi e le righe del destino che ti vede comunque come un miracolo che mi stritola la gola proprio quando credevo che non avrei più sentito, sorriso o pianto, perché anche di emozione si piange .
… credevo che il disincanto e la delusione avessero portato via il mio fulcro emotivo, le mie fragilità così forti e potenti che con te tornano a bussare, a togliermi il sonno e a dipingermi un sorriso sciocco e anche tremare di paura.
Ora che la notte è vicina e la pioggia bagnerà le strade della città io vorrei poter ascoltare il silenzio finalmente e assaporarlo con te, e mettere a tacere il rombo incessante dei miei pensieri che prendono destinazioni sconosciute ma arrivano sempre a te, da te.
Ascolta la notte e sentimi. Non conosco il suono della tua voce ma intravedo nella mia miopia la bellezza del tuo cuore e questo mi basta per scrivere una lettera al vento e farla volare via.
In alto, dove i miei angeli si sono raccolti in preghiera per salvarmi e salvandomi hanno aperto ancora il mio cuore che credevo finito e morto, come un organo inutile che invece batte, palpita e vive e adesso vuole solo te.
Chiudi gli occhi e se mi sentissi arrivare non mandarmi via.
Sono un essere che non ti ferirà mai, una battito di ali che non potrà posarsi su di te, un testo che non leggerai o abbandonerai perché io sono così diversa e lontana dalla normalità che forse ti farei ridere ma non è importante per me.
Quel che conta è questo: un bisogno immediato di fermarmi e indirizzarti la mia lettera, posala sul tuo comodino, lasciala aperta alla riga che preferisci ma non chiudere gli occhi, guardala, scoprila, cerca la mia calligrafia. La punteggiatura è il mio respiro e se smetti un secondo di correre mi trovi , mi senti e forse sorridi .
Solo questo vorrei da te: essere nel tuo sorriso e tra le tue braccia aperte.
Per me
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bucodiverme · 12 days
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Se siete tranquilli nel vostro animo vi ricordo l'esistenza di questa lettera che Pavese scrisse nel 1932 ad Elena Scagliola perché non posso essere l'unica a tormentarsi da circa tutto il pomeriggio.
Sono stato male tutto il giorno a non vederti sulla strada di Crevacuore E., com’è brutta Torino. E il più triste di tutto questo è che ci dimenticheremo, senza esserci quasi nemmeno conosciuti. Non so quel che tu veda in me, ma io indovino in te un miracolo di femminilità e di tenerezza, che, come si è formato avanti agli occhi a poco a poco in tutta l’estate, così ora colla medesima lentezza andrà svanendomi nelle nostre lettere. E., ho paura che i nostri ultimi giorni di - li dimenticheremo mai? - siano stati come una crisi, un punto massimo, oltre il quale non andremo.
Questo per ora è un pensiero che mi dispera, ma il giorno in cui mi lascerà indifferente ci pensi, E.? Non è la disperazione, la sofferenza, che ci deve far paura - questo è nulla, è anzi ciò che ci può rendere più meraviglioso un altro incontro - ma il momento che non soffriremo più, che non ce ne importerà più, questo è il terribile.
E pensare che probabilmente noi tra poco dovremo perderci, senza quasi esserci conosciuti, senza sapere di noi più che uno sguardo, un bacio alle dita, qualche carezza.
Che cosa pensi tu, E.? Perché tremi quando sono con te? Cosa c’è dentro ai tuoi occhi quando mi guardi sorridendo e poi ti fai seria, quasi ostile, e poi torni a sorridere? Queste cose le perderò senza averle mai conosciute.
Io d’amore non so piangere E. - piango a sentire un’ingiustizia, una crudeltà, un dolore di bambino - e non posso nemmeno consacrarti delle lacrime per tutto il dono immenso che hai fatto a me in questi giorni. Piangerò forse quando ripenserò - e sarà tardi - al tesoro di quell’amore sprecato così, per uno che non ne vale la pena: tant’è vero che lo lascia ora morire senza nemmeno commuoversi, senza tentare di far nulla per conservarselo, meritarselo.
Ma che altro potremmo fare? È inutile mentire: in amore conta il corpo e il sangue, conta la stretta, la vita, e noi dobbiamo star staccati, dobbiamo avere giudizio, ragionare; mentre la ragione non conta dinanzi alla vita.
Tu sprechi il tuo amore, E. Io non so di volerti bene se non ti sono stretto vicino, e questo temo voglia dire che non ti voglio quel bene che tu desideri.
Ma di una cosa sarò gioioso, se non temessi che tutto fosse per finire con quello: i nostri pomeriggi a - a guardarci negli occhi e carezzarci. Quelli non li dimenticherò mai. Fa’, E., che tutto non finisca qui: dammi una probabilità di amarti meglio, di esserti più fedele nei miei pensieri, più degno di te!
Se mi scriverai, devi giurarmi che a Bra staremo sempre insieme senza stancarci.
Ma dove andremo a finire E.? C’è qualcosa di più assurdo dell’amore? Se lo godiamo fino all’ultimo, subito ce ne stanchiamo, disgustiamo; se lo teniamo alto per ricordarlo senza rimorsi, un giorno rimpiangeremo la nostra sciocchezza e viltà di non avere osato. L’amore non chiede che di diventare abitudine, vita in comune, una carne sola di due, e, appena è tale, è morto. A pensarci, si viene matti! È inutile, l’amore è vita e la vita non vuole ragionamenti. Ma possiamo noi lasciarci andare giù così alla disperata? Dove andiamo a finire? Non so trovare parole di conforto per te che valgano, se non ricordarti quel giorno che eravamo stretti insieme, in piedi, e pareva che uno dei due dovesse condurlo a fucilare e invece era tutta gioia. Ricordami quell’attimo, E., se mi scrivi, e dimmi di quando saremo a Bra.
Ti bacio così, come vuoi tu, anche se sei stata cattiva a non venire sulla strada di Crevacuore.
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Auguri a me
Alla ragazza che sono ora
Alla bambina che ero e che continua a vivere dentro di me
Alla donna che sarò, veramente adulta prima o poi
Chissà se quest'anno riuscirò a superare le mie paure di non essere in grado, di non essere abbastanza capace nel vivere il mondo degli adulti con tutte le responsabilità e complicazioni e conseguenze che comporta o se continuerò a crescere solo sulla carta d'identità e cambiando una cifra alle candeline sulla torta.
Auguri a me
Con i miei occhi scuri profondi come gli abissi e dolci come cioccolato
Con i miei capelli corvini ribelli spettinati come i miei mille pensieri per la testa
Auguri a me
Alla mia immensa immaginazione, alla mia creatività, alla magia del vento che credo essere diventata ormai parte di me, della mia anima
Auguri a me
Ai miei momenti no, bui, tristi e pieni di disperazione e fragilità
Ma soprattutto auguri a me
Alla mia forza di non mollare, di non lasciare che un crollo d'umore, mentale, fisico possa lasciarmi per sempre a terra senza più alcuna forza e voglia di rimettermi in gioco, continuerò sempre a lottare soprattutto contro me stessa.
Auguri a me
Ai traguardi raggiunti
Alle mie indecisioni da bilancia
Al mio voler diffondere affetto
Ai ricordi che conservo nel cuore e nella mente
Alle esperienze fatte e quelle che farò
Alle paure superate e a quelle su cui pian piano lavorerò
Alle mie passioni
Ai miei ideali
Al mio modo di vedere il mondo
Alla mia empatia, dono e condanna del mio essere
Ai cartoni che mi hanno insegnato la vita
Alle mie perdite, agli abbandoni
Alle piccole follie realizzate
Ai miei brividi d'emozione, al mio arrossire per un complimento
Ai rimpianti e rimorsi, ai salti nel vuoto senza paracadute, mi sono sfracellata tante volte l'anima eppure eccomi qui a festeggiare un nuovo anno per me
23 anni di combattimenti interiori ma anche di gioie e soddisfazioni
23 anni di me
Auguri a me
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mccek · 1 year
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Come ogni anno, mi ritrovo qui a scrivere una riflessione, per il giorno del mio compleanno.
Non penso che il problema sia l’età, ma bensì ciò che mi circonda.
Più passano gli anni e più mi rendo conto che la gente si dimentica di te come nulla fosse.
E allora mi chiedo: a che serve continuare a fare del bene dalla mia piccola età se non è mai stato ricambiato nemmeno con semplice grazie?
Lo so, in molti avrebbero già mandato tutto a quel paese e, magari si sarebbe fatto contagiare dalla più grande malattia di cui soffre la nostra generazione, l’odio, che prova indifferenza verso chiunque, anche chi ti starebbe accanto nonostante tutto.
Certe volte mi vorrei lasciare andare, per diventare ciò che forse sarei sempre dovuto essere, uno dei tanti.
Vorrei usare la stessa cattiveria che in tanti hanno usufruito per frustrazione sfogandosi nei miei confronti senza una ragione, perché a casa mia il male non è mai esistito, ah…purtroppo quello c’è in effetti, ma è qualcosa che non scegli, che ti tocca subire contro la tua volontà.
Andrea, Eleonora, tutti voi lassù che vi ho conosciuti in quel reparto, Mamma, che sei ancora qui con me, e non desidero altro, ogni giorno che passa, di poterti continuare a sentire, a vedere, la tua presenza è vitale, come era la loro.
Non voglio piangermi addosso, ognuno ha perso qualcosa nella propria vita, e a volte quel qualcosa è tutto che che avevi, e i miei amici erano l’unica cosa che mi rimaneva, ma vivete dentro me, siete quella parte buona che tiene a bada il marcio che ogni giorno mastico a causa di chi non sa più fermarsi, ragionare, pensare che oltre all’idea che ci si fa sparando a zero, senza almeno provare una volta a conoscerla per quello che è davvero quella persona, c’è un abisso di tristezza, uguale alla vostra, che ci accomuna tutti, e propria essa c’ha sempre lasciato tanti messaggi mai ascoltati, un po’ come quelli in segreteria, e non sarò mai convinto che sia uno psicologo a salvarci veramente, e nemmeno noi stessi, soli, con le proprie forze, ma unendo il nostro male, cosa che da testardi cronici che siamo, mai compiremo, piuttosto godiamo nel vederci soffrire, quasi sapendo che c’è sempre qualcuno che sta peggio di noi, e questo ci rincuora no?
In questo momento mi vengono in mente solo le parole di mia nonna: “non abbandonare mai quella semplicità mista a amore verso il prossimo che hai dentro di te.”
Perché io ho un sogno, che va oltre la scrittura che accompagna le mie lacrime e ogni sera, va oltre la voglia di riscoprirmi ogni giorno, di mettere da parte i miei brevi istanti di felicità per dedicarli a chi ne ha più bisogno di me (e sono tanti), oltre il mio ballare con il mostro che mi porto dentro da fin troppo tempo.
Io sogno che un giorno o l’altro, io, te, noi tutti, ci dimenticassimo di questo maledetto telefono, che ormai c’ha resi automi, frustrati, insopportabili e più trasparenti agli occhi della gente di quanto già lo fossimo.
Chissà, sarebbe una grande conquista tornare a vivere con quel poco di spensieratezza che ci basterebbe, che sicuramente non sarebbe mai quella che avevamo da piccoli, ci sarebbero sempre gli insormontabili problemi legati al lavoro, al costo della vita, ma volete mettere in confronto a come stiamo vivendo ora?
E mi rivolgo sempre alla mia generazione e purtroppo, a quelle che verranno.
Chiedete e scrivete sempre tutti, che vi manca qualcuno che vi ascolti, che si prenda cura di voi, senza se o senza ma…e mi domando cosa stiamo aspettando ancora e quanto aspetteremo!?
Siamo il male che vediamo fare ma che tolleriamo.
Nel frattempo mando lo stesso abbraccio che mi faccio ogni sera a tutti voi, forse il più sincero di quelli che ho ricevuto finora, a te papà, che nonostante le difficoltà e i gravi problemi di lavoro non mi hai mai fatto mancare il cibo a tavola, e pur essendo totalmente diversi, ogni giorno cerchi di spronarmi, senza mai farmi sentire “arrivato”.
A te mamma, che mi hai cresciuto, lasciandomi libertà di agire e pensare, sbagliando e imparando, anche se sono ancora un puntino in questa vita,
A te che trascuri la tua malattia pur di non farmi mai mancare un sorriso, una parola di conforto, quando sprofondo nel deserto della mia depressione.
E a quelle stelle dei miei amici che da lassù illuminano ogni momento buio della mia vita,
ricordandomi che non sono solo, che c’è sempre qualcuno che ha occhi puntati su di me, e non mi lascerà solo per nessuna ragione al mondo.
Resterò sempre ciò che sono.
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clo-rofilla · 1 year
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Più passa il tempo, più tornare a Roma mi ferisce. È in qualche modo doloroso constatare come qui le persone vivano una vita che io percepisco come autentica, in netta contrapposizione con la vita che ho costruito per me da quando sono andata via, prima a Parigi, sforzandomi costantemente di simulare il più verosimile accento parigino che riuscissi, e poi a Como, dove ho tentato - in un progressivo, appena percettibile e quasi inconscio processo interiore - di "ripulire" la mia cadenza, e con essa la mia essenza. Con lodevoli risultati, in ambo i casi. Lodevoli, perché lodati. Ma è poi davvero un vanto sconfessare una parte di sé?
Essenzialmente, che io ne fossi cosciente o meno, è da quando ho lasciato Roma che ho costantemente profuso parte dei miei sforzi quotidiani nel conformarmi, nel rinnegare una parte di me per abbracciarne una che sentissi più simile alle persone con cui avevo a che fare, che fluisse a tutti loro naturale, conosciuta, levigando le impurità, le diversità.
Senza pensare che quelle asperità che andavo cocciutamente, costantemente a levigare, erano parte intrinseca di me e di quello che sono.
Ho creato una serie di maschere, di sovrastrutture, di Claudie confacenti a chi mi guardasse e giudicasse, e ho sacrificato mortificato e ucciso la Claudia che ero davvero, e per cosa? Per desiderio di accettazione? Per non "disturbare" il prossimo? Per omologarmi, non dare fastidio, non destare stupore o commenti (ché d'altronde si sa, "dal Po in giù sono tutti terroni").
Ma ne è valsa poi davvero la pena?
Scrivere queste parole mi fa male, perché le sento vere e infuocate come dardi, perché toccano le corde di qualcosa di profondamente insito dentro di me; perché quella Claudia che ero e che ho rinnegato urla sempre più forte dentro di me.
È un gesto violento eppure finora è avvenuto in sordina. Mi sento come se avessi sottratto a me stessa una parte essenziale, estrapolata a forza dal petto, e gettata in pasto ai lupi. Ma ogni volta che agli occhi di qualcuno, seppur per il motivo più futile al mondo e con il tono più innocente, torno a essere "diversa" o "estranea" o "altra", quell'organo originario che ho rigettato pulsa dolorosamente anche all'infuori di me, e mi ricorda chi sono.
Forse tutto quello a cui quella Claudia aspirava davvero, era alla fine una vita più semplice, senza pretese e senza pretenzioni.
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raccontiniper18 · 6 months
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Quarto racconto erotico
La masturbazione.
Un tabù per gli uomini? Per la donna è ancora peggio!
''Se lo fai sei una p*ttana'' ''Se lo fai ti svergini'' '' Se lo fai non ti sposi''
e tanti altri luoghi stereotipi che inculcano che il piacere tocca solo agli uomini,ma cosa? A noi donne piace godere, e piace anche tanto.
Vi racconto del mio primo ditalino.
Premessa ho una sorellina,una sorella gemella, siamo nate lo stesso giorno ma lei è ''la maggiore'' essendo nata qualche minutino prima di me. Siamo cresciute praticamente insieme,stessa pancia,stessi hobby,stesso modo di crescere. Pensate che il primo bacetto per ''imparare'' l'ho dato proprio a lei,cosi non facevo cattive figure con il mio primo fidanzatino.
Avevamo un rapporto bellissimo e lo abbiamo tutt'ora,come ogni gemella e come ogni sorella o fratello credo, pensate che spesso ci lavavamo assieme,facevamo il bagno assieme e se il water era occupato l'altra si sedeva sul bidet,insomma credo che ogni sorella con sorella o fratello con fratello non abbia questa vergogna della nudità, e appunto non ne avevamo nemmeno noi.
Ai nostri primi pruriti sessuali,dopo l'ora di educazione sessuale ci incuriosimmo tantissimo,e approfondivamo il tutto a casa sul pc e google,santissimo google,che leva molte curiosità, ci sentivamo bagnaticce tutte e due e con il clitoride bello duro. Allora decidemmo di fare una doccietta per ''spegnere'' i bollori, ad una certa lei prende il doccino e se lo punta li e fa ''scusami ne ho troppa voglia'' io non l'avevo mai fatto e non sapevo cosa si provasse e le chiesi cosa si provasse e chi gliel'aveva detto di fare cosi' visto che su internet non avevamo trovato nulla che parlasse di ciò,allora mi svelò che aveva visto la mamma farlo,mentre lei era in bagno e la mamma non si rese conto che fosse entrata,e allora provo' per la prima volta con me e gli piacque,dopo poco mi passo ''il testimone'' e dio mio. Davvero mi sentivo in paradiso,il calore dell'acqua passava dal clitoride quel piccolo bottoncino minuscolo a tutto il corpo, dio mio,pensai mamma mia con un cm di corpo mi sento piena e vuota in tutto il mio corpo. Dopo un po' decidemmo di uscire visto che il bagno serviva a tutti e non volevamo certo farci beccare da papà o da mamma anche se ripeto ci lavavamo spesso assieme ma oggi era un ''lavaggio'' più approfondito.
Uscimmo
Ci asciugammo
Ci recammo in camera nostra (perchè la dividevamo).
Ci denudammo dell'accappatoio
e iniziammo ad ispezionarci bene per prima cosa decidemmo di entrare dentro con un dito ,pochissimo dito per evitare di sverginarci ma a me non piacque anzi non sentivo praticamente niente se non i miei umori quindi solo un po' di umidiccio sulle dita. Lei fece un paio di su e giu' e uguale zero coinvolgimento allora con il dito fradicio si toccò il clitoride e fece il classico movimento rotatorio sul grilletto, la vidi in paradiso,con gli occhi girati e lei tremante.
Allora feci lo stesso sempre guardando lei mimai i suoi movimenti e dio mio, cazzo,se mi piaceva. Sentivo un bollore sempre più forte e la testa vuota,tipo quando fai una montagna russa,che devi stare calmo e scalpitante allo stesso modo.
Non so se lei venne,ma io no.
Smettemmo perchè era l'ora della cena e papà e mamma ci urlarono dalla sala. Smettemmo ci rivestimmo con un pigiamino e ci recammo da loro. Cenammo
Post cena vedemmo un film tutti sul divano, ma io sentivo il pigiama bagnato ancora. Finito il film andammo a dormire, la mia sorellina mi disse senti finiamo di masturbarci? Mettiamo su un porno ?
Io dissi che non ne avevo mai visto uno. Neanche lei ammise.
Quindi non sapevamo che sito vedere allora idea,google immagini ''cazzo grosso'' ne trovammo uno lo misimo a tutto schermo, e Dio quanto è bello un cazzo, i nostri odori di fica si mischiarono e la stanza era inebriata di odore di fica. Dopo un po' lei disse che sentiva una sensazione strana e che forse stava per venire, si contorse un po' e smise di toccarsi perchè poi le dava fastidio a detta sua. Allora io non credendo spostai la mia mano dal mio clitoride al suo e la toccai ma quasi si mise a piangere per il fastidio allora disse dai ti faccio concludere io, mi masturbo' lei e in poco venni anche io. Eh si il mio primo orgasmo non l'ho avuta da sola. Continuò e capii anche io la sensazione di fastidio di essere appena venuta e di essere titillata al clitoride. Ci ripromettemmo che almeno una volta a settimana ci saremmo masturbate assieme e se una delle due avesse avuto qualche esperienza nel mentre raccontava ci dovevamo masturbare assieme. E cosi' fu... Ma questa è tutto un'altro racconto.
Fine
E voi? La vostra prima masturbazione? E l'ultima com'è stata? Raccontateci in chat anche con profili fake
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occhietti · 1 year
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Ho bisogno di qualcuno Che abbracci La mia anima. Che capisca I miei silenzi. E il mio Parlare con la Luna. Qualcuno Che guardi Le stelle con me.
Ho bisogno di qualcuno Che oltre al viso, Accarezzi i miei sogni. Qualcuno che ci sia, Che ci sia e basta. Solo per sentire Che frequenza Emette il mio cuore. Qualcuno Che oltre agli occhi Guardi il mondo Che c'è dietro.
Ho bisogno di qualcuno Che mi senta Oltre le parole. Che mi avvolga Dentro un abbraccio Quando Ho il gelo dentro. Qualcuno che ci sia.
Ho bisogno di qualcuno Che venga a prendermi In piena notte Per portarmi a vedere Il mare. Qualcuno che cammini Nella mia anima.
Ho bisogno di qualcuno Che rida con me Per il mio strano modo Di parlare agli alberi. E che con me Sussurri al vento.
Qualcuno che ci sia. Anche quando, per me, non ci sono nemmeno io.
- Numa
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casual-nonbinary · 1 year
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alle volte mi sento rotta dentro, perché leggo tutti avere relazioni, fare sesso, godersi la vita, e io sono sola, con una libido zoppicante che è più assente che altro, costretta a fare le cose da sola anche quando avrei i pensieri che mi devastano. boh forse sono solo scema e paranoica, non dovrei paragonarmi agli altri, ma se a 24 anni la vita che ho è questa...
non mi lamento neanche dell'università o delle poche amicizie decenti che ho, ma semplicemente sono stanca di sentirmi quella sbagliata. ho meno esperienze dei miei coetanei, ho vissuto spesso con la paura, e ora sono qua a letto a scrivere un post invece che prendere in mano le redini della mia vita.
non ho soldi e tempo per tornare da uno specialista, ma avrei davvero bisogno di un aiuto. anche solo un abbraccio e un piatto di pasta al sugo preparato con amore (e lontano dai miei occhi, data la mia tendenza al controllo totale in cucina).
da venerdì prendo una pausa dallo studio per qualche giorno, passerò il tempo a leggere.
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canesenzafissadimora · 4 months
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All’inizio le dissi: – Tu sei la mia scommessa d’amore.
Si prova questo a sentire nuovamente
e finalmente qualcosa dopo tanto tempo.
Se l’abbiamo persa o vinta alla fine
io non lo saprò mai.
Eppure il tempo è un assassino.
A volte ci dispiace persino accorgerci
che è la vita stessa a permetterci di dimenticare, di sopravvivere ai dolori,
a metterci davanti l’estrema consapevolezza che prima o poi tutto passa, che tutto finisce esattamente come noi.
Tutto o quasi, direi.
Perché sa anche regalarci quei pochissimi attimi che non se ne vanno, restano ricordi indelebili.
Sono quelli così diversi dal resto, quelli che, anche se non ti volti indietro a guardarli, tornano a specchiarsi dentro di te, ogni tanto. Insomma quei pochi attimi che non riesci a strappare e buttare, piccole ombre che ti seguono, di cui non ti liberi.
Certi attimi valgono anni d’attesa.
Di lei mi ricorderò sempre un momento di desiderio infinito.
Un momento di quelli che a descriverli con le parole non ci riesci mai fino in fondo.
Eravamo sul mio divano e la mia mano era andata a cercarla nel suo posto più intimo. Da molto sognavo, desideravo quel momento, così tanto da sentire la passione smisurata di un uomo che vuole amare la sua donna senza potersi trattenere nemmeno un minuto di più.
Eppure d’improvviso, seguendo il contorno delle sue labbra, incrociando i suoi occhi, la mia mano si è fermata, rimanendo immobile fra le sue gambe.
Forse in quell’istante era lei ad aver penetrato con i suoi occhi la mia mente.
Mi sembrava quasi di profanare il suo corpo, avvolto da una luce eterea, da una purezza estrema, disarmante.
Lei era la perfezione in miniatura, così fragile, così bella, così indifesa, con le sue piccole mani che avevo cercato di stringere in ogni momento possibile per tutta la sera.
La guardavo: il suo volto era così sereno, abbandonato.
Lei dipendeva dai miei movimenti ed io dalla mia commozione mentale.
Mi sembrava di guardarla come lei non era riuscita a vedersi mai.
Mi sembrava potesse pensarsi ancora più bella di quel che sapeva di essere in quell’istante, attraverso il mio sguardo.
E se lei avesse potuto guardarsi coi miei occhi si sarebbe innamorata del mio desiderio, perché era dentro quel desiderio, fermo così, come d’incanto , che avevo capito di provare ancor più di ciò che credevo.
Ci siamo guardati a lungo e forse si fa l’amore anche così, con gli occhi negli occhi,
i pensieri nei pensieri.
Tutto ciò che ricordo era questo infinito, pazzesco, irrefrenabile desiderio di starle addosso e non per sesso.
Per annusarla, per sprofondare nel suo odore, per fissarmelo come una seconda pelle.
Poi l’enfasi era ripresa, facemmo fatica
ad uscire di casa.
Nel viaggio di ritorno per riaccompagnarla
io le tenevo la mano nella mia, avevamo in sottofondo solo la musica
e quella pace interiore di un silenzio che non spaventa, racconta.
Racconta quel punto in cui le parole si fermano a riposare.
Resterà eternamente quella notte di pace immensa.
Poi la vita spesso divide, sottrae, liquida precocemente eppure chissà, forse questa
è una piccola illusione a cui noi umani non smetteremo mai di credere.
Voglio credere che ovunque saremo e in qualsiasi modo andranno le nostre vite, ogni tanto, in un piccolissimo angolino del cuore, quella sensazione tornerà a scaldarci dal freddo.
Lei sorriderà e io lo avvertirò, perché il suo sorriso toglieva il fiato agli alberi.
In quel piccolissimo angolino del cuore non entrerà mai nessun altro, lo abiteremo solo noi.
Io mi ci rifugerò, quando avrò bisogno di assaporare ancora la pace, l’aria di quella notte, un respiro ultraterreno.
Lei mi ripenserà, quando la vita l’avrà consumata, succhiata, vissuta fino
al midollo.
Ma non avrà mai nessun rimpianto
e nemmeno io.
Perché continueremo ad abitarci ogni tanto
e nel ricordo dei nostri passi sulle foglie
dei viali autunnali, quelle che calpestate
per amore trasformano in suono il rumore,
la ritroverò sempre un po’...
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Massimo Bisotti
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gregor-samsung · 3 months
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L'uomo che decise di fingersi un altro
“ Avevo deciso di fingermi un altro, non nel senso di cambiare nome o connotati. O tutti e due; no, fingermi un altro «dentro». Non pensavo a un suicidio psicologico, non intendevo cancellare la mia identità per sostituirla, pretendevo di mantenerla, ma di nasconderla; inventandomi, per convenienza, una natura diversa. Sì che gli altri, parlandomi, si riferissero a questa e non a me. Avrei potuto fare di tutto, senza sentirne rimorso o vergogna. Chi parla con te non sa mai chi sei: conosce un viso, un nome, anche un carattere, qualche pensiero, ma «chi» sei non lo sa; lo sai soltanto tu che dici «io» e ne hai coscienza perché guardi dalle finestre dei «tuoi» occhi, odori dai buchi del «tuo» naso; ma per gli altri questo «io» è un «lui» e un «lui» può essere chiunque. Perché, allora — mi dicevo — non sfruttare questa impossibilità d'identificazione profonda, per sfuggire, non soltanto al male che gli altri potevano arrecarmi, ma anche a quello stesso che io potevo procurarmi per errore o incapacità? Ecco, dunque, il tema: nascondersi dietro un altro che non esiste, reinventare sé stesso finto, per proteggere quello vero. Mostruoso? non più della vita che ci espone a continui travagli. E, comunque, non si trattava di sembrare un altro agli altri, ma di sembrarlo a me stesso; chè, anzi, per il mondo dovevo continuare come se nessuna sostituzione o, meglio, sovrapposizione fosse mai avvenuta al mio interno. Cominciava un'altra vita.
Avevo rimosso me stesso e sarebbe stato un altro a subire umiliazioni, dolori, delusioni al posto mio. E potevo cambiarlo, a seconda delle circostanze, con un altro ancora, con vari altri, quanti volevo. E diversi tra loro. Condussi un'esistenza che il mondo giudicò scombinata e incoerente. E io, invece, stavo lì coerente ma irraggiungibile, ridacchiando nel mio nascondiglio per tanta invulnerabilità. Continuavo il mio lavoro, conservavo la mia posizione sociale, i miei titoli; ma consentivo all'altro che mi rappresentava, tutte le libertà possibili. Nei primi tempi le cose andarono felicemente. Il discredito che mi circondava non mi riguardava, addirittura mi divertiva. Ma, poco alla volta, presi a mal sopportare questi altri che m'inventavo, con i quali convivevo e che non stimavo. Mi accorsi come non sia vero che la vergogna, la sofferenza, i sentimenti degli altri non ci tocchino. E mi accorsi che questi altri, che m'illudevo di controllare e dirigere, diventavano sempre più autonomi e padroni. Sentivo che, continuando, avrebbero fatto di me il loro burattino. La corazza s'indeboliva, al punto che non mi distinguevo più dai fantasmi che avrebbero dovuto proteggermi. Dovevo liberarmene o non mi sarei più ritrovato. Ma non era quello che avevo voluto? No! avevo preteso di restar vivo, fingendomi morto. E non c'è, invece, finzione che duri così a lungo senza mutarsi in realtà. Decisi di ritornare in me, prima che fosse tardi. Ma era tardi: non sapevo più chi ero. E non in senso universale. Chi siamo non c'è chi lo sappia o, se c'è, tace ostinatamente. No, io mi chiedevo, più semplicemente: sono un immorale, un cinico, un vigliacco, un coraggioso? Sepolto da finzioni diverse, m'ero smarrito. Ricordavo tutte le vite vissute, ma non riuscivo più a distinguere quale fosse la mia, per potermela riprendere. Né avrei risolto nulla a scegliermi la vita che più mi sentivo di vivere. Anche se il caso m'avesse portato a scegliere la mia; non saperlo, mi sarebbe costato vivere dubitando continuamente di me. «Essere sé stessi» non è un dato oggettivo, l'interessato deve esserne informato. So io cosa significa cercarsi e non trovarsi. È come confidare i propri pensieri ad un estraneo. O come non sapere con chi conversare. O, nella migliore delle ipotesi, non sapere con «chi» si sta conversando. È come non avere mai la certezza di essere soli con sé stessi. Nessuno può aiutarmi. E non lo chiedo a nessuno. Aspetto. Chissà che un giorno io non venga a trovarmi! “
Pino Caruso, L'uomo comune, Palermo, Edizioni Novecento (collana Il liocorno), 1986¹, pp. 71-74.
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intotheclash · 1 year
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Se per un istante Dio si dimenticherà che sono una marionetta di stoffa e mi regalerà un poco di vita, probabilmente non direi tutto quello che penso, ma in definitiva penserei tutto quello che dico. Darei valore alle cose, non per quello che valgono, ma per quello che significano. Dormirei poco, sognerei di più, capisco che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi, perdiamo sessanta secondi di luce. Andrei avanti quando gli altri si fermano, starei sveglio quando gli altri dormono, ascolterei quando gli altri parlano e come gusterei un buon gelato al cioccolato!! Se Dio mi regalasse un poco di vita, vestirei semplicemente, mi sdraierei al sole lasciando scoperto non solamente il mio corpo ma anche la mia anima. Dio mio, se io avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si sciogliesse al sole. Dipingerei con un sogno di Van Gogh sopra le stelle un poema di Benedetti e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna. Innaffierei con le mie lacrime le rose, per sentire il dolore delle loro spine e il carnoso bacio dei loro petali... Dio mio, se io avessi un poco di vita... Non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo.Convincerei tutti gli uomini e le donne che sono i miei favoriti e vivrei innamorato dell'amore. Agli uomini proverei quanto sbagliano al pensare che smettono di innamorarsi quando invecchiano, senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi. A un bambino gli darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo. Agli anziani insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con la dimenticanza. Tante cose ho imparato da voi, gli Uomini! Ho imparato che tutto il mondo ama vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel risalire la scarpata. Ho imparato che quando un neonato stringe con il suo piccolo pugno, per la prima volta, il dito di suo padre, lo tiene stretto per sempre. Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardarne un altro dall'alto al basso solamente quando deve aiutarlo ad alzarsi. Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi, ma realmente, non mi serviranno a molto, perché quando mi metteranno dentro quella valigia, infelicemente starò morendo.
(Johnny Welch)
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Tutti che mi chiedono ossessivamente cosa voglio fare, come occupo il mio tempo, cosa desidero
Ecco io in realtà non lo so cosa voglio fare, mi sento completamente incapace di decidere quale sia la mia strada, ho il terrore di sbagliare, di non essere in grado di fare cose che si danno per scontato che tutti sappiano fare come dare il resto, portare un piatto appena uscito dalla cucina di un ristorante, saper interloquire con il cliente... E se poi sbaglio? Mamma mi risponde «Buttati, tanto cos'hai da perdere?» Ma il mondo del lavoro prevede responsabilità e conseguenze, o almeno così ho studiato e questo mi spaventa, pertanto appena sento mia mamma parlare di concorsi e quindi di eventuali posti in ambienti dove la responsabilità del proprio operato è un masso in bilico sopra la propria testa per tutto il tempo pronto a crollarti addosso al primo errore, beh storcio il naso.
Poi mi vedo messa in continuazione in paragone con altri, banalmente «Hai visto come è brava quella commessa nel suo lavoro, ecco così bisogna essere, svelti!» oppure «Hai sentito sta facendo la magistrale, studia lingue, si è laureata con il massimo dei voti, ha preso 30 e lode a quell'esame» Istintivamente rispondo con: «Cosa vorresti dire scusa?» Cioè mi sento in continuazione con il dito puntato contro, tutti in attesa di vedere quale sarà il mio passo, tutti in attesa di dire la propria su qualsiasi passo farò, nessuno che consideri come un primo passo il fatto che sto realmente scrivendo un libro, che ho sogni piccoli ma per me giganteschi legati a quel libro, che in quel libro ci sto mettendo tutta me stessa in tutti i sensi perché in quel libro è raccontata la versione di me che sogno e immagino da quando ero bambina, ma c'è anche la me di ora che non sa davvero cosa vuole, che non sa decidere e che prende decisioni sempre o spinta da ciò che la famiglia pensa sia giusto per lei o che comunque trovano il sostegno nella famiglia, un "va bene te lo concedo", quindi niente che li possa deludere, niente che possa essere effettivamente ciò che vuole ma ritenuto dalla famiglia un non-lavoro o un lavoro non serio, non importante, non dignitoso, non ai loro standard.
Nessuno che si renda davvero conto di quanto tutto questo sentirmi bloccata mi faccia male, ai loro occhi sono solo una scansafatiche che sta rimandando sempre più in là quella decisione che sia iniziare la scuola guida, che sia iniziare un lavoro e dopo che aspetteranno che mi accaso con un ragazzo, che metto su famiglia e che altro?! Ma scusate è la mia vita o è solamente un copione già scritto da dover seguire alla lettera e nei tempi stabiliti dalla società, dalla famiglia, dal pensiero degli altri?! «Se resti in casa come le incontri le persone? Mica ti vengono a bussare alla porta!» Eppure quando esco di casa non mi pare ci sia la fila di gente che mi voglia conoscere eh anzi mi ignorano tutti nonostante io sia quella che sorride agli sconosciuti per regalare un piccolo raggio di gioia nelle loro giornate, in tutta risposta mi ritrovo sguardi infastiditi e perfino disgustati... Sono io sbagliata per questa società e questa epoca in cui se si è buoni e gentili si viene solo sfruttati, ghostati, insomma te la prendi nel culo sempre. Io quella che sorride fuori ed è un fiume di lacrime dentro che spesso fuoriescono ma chissà come mai quasi sempre di nascosto nel buio della mia cameretta, lontano dallo sguardo di tutti, tanto chi conosce o ormai conosceva davvero i miei crolli li considerava appunto crolli, semplicemente un momento continuo in cui bum essere fragili, piagnucoloni, fare i capricci e cercare attenzioni, abbracci e affetto... Eppure io non recito, quelle lacrime che scendono lungo le mie guance solo io so davvero quanto bruciano e quante ne reprimo. Solo io conosco quella sensazione che non mi abbandona mai e che al massimo resta nello sfondo qualche volta di quel vuoto nel petto, conosco il punto preciso in cui sento quel vuoto è proprio al centro del petto, è una voragine interiore circondata da tutte quelle ferite interiori mai davvero totalmente cicatrizzate: delusioni, bugie, doppiogiochisti, approfittatori, paure, quella parolina che urla dentro senza sosta "non abbastanza", mancanze, promesse infrante, "per sempre" diventati addii, rimpianti e rimorsi. In una parola dolore. Un vuoto circondato da dolore, eppure sorrido, eppure regalo affetto a destra e a manca, eppure ingenuamente continuo a mantenere viva una speranza, eppure cerco di vedere sempre il buono in ogni cosa, eppure eppure sono viva e respiro la vita, tocco la vita, sento la vita attraverso la musica, guardo la vita attraverso un cielo dipinto di azzurro o nelle stelle che brillano e mi ricordano che non sono sola anche se mi ci sento tanto, anche se proprio quelle stelle mi ricordano persone che sono diventate mancanze. Guardo la vita nella natura anche nella frenesia della città e di una società in cui tutto è scandito, in cui sembra proprio di seguire un copione e giammai fermarsi per beh banalmente vivere per davvero.
Quindi ritornando alle domande iniziali manca da rispondere all'ultima: cosa desidero? Io in realtà l'unica cosa che desidero è riuscire a sentire di meno questo vuoto interiore invece che ritrovarmi ad alimentarlo in continuazione, non voglio diventare il mio demone interiore ma non voglio lottare tutto il tempo, io desidero vivere per davvero e non limitarmi a sopravvivere... Ma ahimè non esistono manuali o istruzioni su come si vive, come affrontare la vita senza distruggersi.
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