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#il burbero
2023 in books n. 23
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Ah, che chicca leggere finalmente una raccolta di gialli della Sellerio - ambisco a comprare anche Una giornata in giallo per avere una completa collezione delle raccolte a tema 'temporale' (una notte, una settimana, un anno e quella che mi manca è appunto 'una giornata').
Tra quelle che ho letto, purtroppo, questa è la più deboluccia, finora. Ci sono dodici racconti, uno per ogni mese dell'anno, e devo dire che non tutti sono riusciti a dare l'idea dell'atmosfera, tranne Camilleri e Piazzese e qualche altro autore. Non me lo sono goduto come avrei potuto, insomma.
Come gialli, nel breve spazio del racconto chiaramente non si possono imbastire trame approfondite, ma una raccolta del genere è ottima per capire di che cosa sono capaci gli scrittori: su cosa si concentrano, come mantengono l'attenzione, che soddisfazione si ha alla fine.
Si sono riconfermati gli autori che anche nelle altre raccolte mi avevano convinto:
Marco Malvaldi
Antonio Manzini
Santo Piazzese
Alessandro Robecchi
Fabio Stassi
Mentre purtroppo devo accettare il fatto che leggere Camilleri è molto difficoltoso per me, il testo non fluisce perché non so predire la parola che seguirà in quasi-dialetto. Peccato, perché il suo è (ovviamente) uno dei migliori.
#2023 in books#un anno in giallo#andrea camilleri#(la sua storia - chiaramente con montalbano protagonista - è stata soddisfacente; c'era sì una bozza d'indagine ma il fulcro della vicenda#era 'umano' e incentrato più sui personaggi coinvolti nel presunto crimine; peccato che mi sia sembrato un compito da leggere)#gaetano savatteri#(madonna quanto lo odio lamanna come personaggio e tutti quelli che gli stanno attorno; almeno la risoluzione finale è stata interessante)#simonetta agnello hornby#(che delusione di racconto: protagoniste scialbe in un'ambientazione che avrebbe potuto essere londra come busto arsizio; du' palle)#fabio stassi#(ah! i problemi risolti con il consiglio di lettura di un libro specifico! mi è piaciuto sia lo stratagemma per risolvere il mistero#che lo stile narrativo che l'atmosfera del mese di ambientazione - finalmente il primo preferito)#marco malvaldi#(i magnifici vecchietti toscani che risolvono crimini con il barista burbero - mai letto i romanzi ma inizio a considerarli seriamente)#alessandro robecchi#(che bella sorpresa ritrovare i killer meneghini dal codice etico che però pensano al fatturato anche quando si ritrovano#con incarichi contrastanti - mi fanno sempre ridere e la trama è stata anche questa volta soddisfacente)#gian mauro costa#(ha introdotto la sua protagonista partendo dal bel culo e da come si mortifichi nel vestire per non farsi abbordare dai colleghi#in polizia - mi è stato sulle palle lui e il racconto a partire dalla prima pagina e non si sono redenti nel finale)#esmahan aykol#(una conferma: non sa cosa sia una trama e i suoi personaggi sono interessanti come cicche spiaccicate sull'asfalto)#alicia giménez-bartlett#(il racconto non è male ma non mi sono mai affezionata alla sua petra delicado e anche in questo racconto non è scattata la scintilla)#francesco recami#(anche lui si conferma come autore che non mi piace: yay! mi è stato sulle balle poi il modo in cui ha trasformato#il protagonista di un altro autore in un truffatore di vecchietti; almeno non mi sono annoiata leggendolo)#santo piazzese#(anche lui becca l'atmosfera grazie a dio - benché non mi sia familiare l'esperienza di raccolta delle olive è riuscito a farmi sentire#la situazione come se fosse un ricordo; la risoluzione del crimine non è stata graditissima ma la accetto nell'insieme)
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spettriedemoni · 2 months
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Nino
Nel palazzo dove ho abitato per tanti anni c’era un coinquilino che aveva lavorato per anni anche in ospedale come una sorta di factotum. Spesso anche mia madre si faceva aiutare da lui per riparare tubi, lavandini, lavatrice.
Mi faceva ridere sempre con quel suo umorismo sarcastico e un po’ burbero. Aveva sempre la battuta pronta e la sigaretta in mano.
Aveva due figli, due gemelli, più giovani di me di un anno. Andrea era costretto su una sedia a rotelle e ogni tanto lo portavo in giro per il quartiere. Il fratello Gianluca invece è stato uno dei miei primi amici più stretti.
Nino portava sempre Andrea in giro per centri di riabilitazione ma non è mai riuscito ad alzarsi da quella sedia. Il padre è sempre stato con lui, una presenza costante e sicura. Ho sempre pensato che anche a causa del dolore per la disabilità del figlio lui fosse così sarcastico e pungente nella sua ironia.
Una volta mi ricordo che era venuto a sistemare la lavatrice che non scaricava bene l’acqua. Aveva trovato, dopo diverse imprecazioni e qualche bestemmia, la causa del problema: una moneta da 50 lire finita nel filtro lasciata nella tasca di chissà quale indumento.
Un’altra volta ci aveva sistemato una tapparella e quando l’ho incontrato la sera per chiedergli come era andata mi aveva risposto: «Gliel’ho rimollate tre quattro madonne, ma pare che ora vada», oppure mi vedeva tornare a casa a ora di cena e mi diceva: «Sei tornato eh? Inizia a formicolarti il pancino, vero?» sempre col suo sorriso beffardo.
Ironico e generoso, sempre pronto a salire da noi appena mia madre diceva di avere un problema domestico.
Nino se n’è andato il 14 febbraio, il giorno di San Valentino. Leggendo il suo necrologio mi accorgo che aveva 83 anni ormai. L’ultima volta che l’ho visto stava caricando in auto il figlio Andrea. Era magro ma quella volta mi era parso ancora più magro.
Mi chiedo che ne sarà del figlio adesso che lui non c’è più. Il primo pensiero è stato quello: chi porterà il figlio in questi centri di riabilitazione.
Dopo questo però mi è venuto un altro pensiero, è un altro pezzo della mia vita che se ne va, un altro pezzo di quella che è stata la mia giovinezza tra infanzia e adolescenza.
Improvvisamente mi rendo conto del tempo che è passato e mi sento malinconico.
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orotrasparente · 1 year
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comunque io sono dell’idea che non li dovete fare dei bambini se poi non li sapete educare e a 7/8 anni sono quei bambini irrequieti che cagano il cazzo a tutti facendo un bordello della madonna (tipo in treno) ((tipo seduti dietro di me)) e manco DITE NULLA madonna
si sono un vecchio burbero ma non mi dovete cagare il cazzo quando dormo
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iviaggisulcomo · 9 months
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Un signore alto e burbero, sbucato da dietro la curva della montagna, ci ha suggerito a suo modo di non andare fuori sentiero perché sarebbe stato troppo pericoloso in quel punto lì (e non lo avremmo fatto se non fossimo stati a corto di tempo).
Seppur contrariati dai suoi modi un po' rudi, abbiamo seguito il consiglio e siamo tornati sul sentiero principale. Volevamo comunque ringraziare il signore alto e burbero ma, guardandoci intorno, ci siamo accorti che era scomparso all'improvviso e nel nulla, così come era apparso.
Quella sera stessa, abbiamo avuto notizia di una frana sul sentiero che stavamo per imboccare, poche centinaia di metri più avanti.
Ora: non sono un tipo religioso, ma il pensiero che qualcuno (o qualcosa) da qualche parte volesse salvarmi da morte (probabile) ce l'ho avuto.
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nichylas · 1 year
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When you find yourself involved in mild peril, make sure you are wearing your sheerest tights/pantyhose....!
Debra Feuer, Il burbero, 1986
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effettoofarfallaa · 2 months
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Ti ho sognata ancora.. eravamo al cinema.
La sala era mezza vuota e tu ti sei stesa su più sedili ed io mi sono appoggiata alle tue gambe piegate.. hai discusso in modo burbero come era tuo solito con un signore poco più avanti rispetto alla nostra fila solo perché ci guardava,ed io sorridevo qualunque cosa tu dicessi come facevo sempre.. abbiamo parlato e guardato il film strette e tu hai riso come facevi sempre quando la conversazione era piacevole ,Ed io mi godevo come ogni volta quella risata che mi faceva letteralmente impazzire..
Poi mi sono svegliata e di te come sempre resta solo il ricordo.
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diceriadelluntore · 10 months
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Storia Di Musica #281 - Mingus Big Band, Live At Jazz Standard, 2010
Chi e cosa è stato Charles Mingus? Le domande non sono così tautologiche come possono apparire. Nella storia dei grandi del jazz, porta agli estremi la ribellione culturale, l’esigenza di una riabilitazione personale, i problemi psichiatrici, una vitalità che molto spesso superava ogni eccesso nel cibo, nel sesso, nell’esternazione delle emozioni. Ma sopra ogni cosa Mingus è stato un genio creativo con pochi pari. Il burbero, scontroso, violento passa in secondo piano rispetto al musicista. È quello che successe poco dopo la morte, avvenuta nel gennaio del 1979: molti dei musicisti che avevano collaborato con lui, si strinsero intorno alla figura di Sue Mingus, la sua quarta moglie, e iniziarono a pensare a come omaggiare la sua musica. Tra l’altro, nonostante la debilitante malattia che lo stava progressivamente fermando, Mingus continuò a comporre e dettare musica, tanto che alla sua morte lasciò in eredità almeno 200 idee musicali tra spartiti, linee melodiche, idee sparse qua e là. Nello stesso anno della morte, si forma il primo nucleo di questo percorso di ricordo con la Mingus Dynasty, formata dai sessionisti che collaborarono con lui nell’ultimo periodo. Iniziarono a suonare concerti in giro per gli Stati Uniti prima, e nel mondo poi, garantendo a Mingus una nuova fioritura di notorietà, persino più sincera e ragionata rispetto a quella legata al suo strabordante personaggio. Sue costituirà una Fondazione, che oltre a celebrare la musica di Mingus, diventerà attiva nella formazione musicale e culturale, garantendo borse di studio ai ragazzi emarginati, legando il tutto ad uno dei punti centrali della parabola artistica di Mingus: il rispetto interrazziale e l’importanza della conoscenza per le minoranze etniche. Mingus Dynasty prende il nome dal titolo di un album del 1959, Mingus Dynasty, che contiene due classici mingusiani, Song With Orange ma soprattutto Gunslinging Bird, che stavolta fu davvero dedicata al grande Parker, e come titolo provvisorio aveva If Charlie Parker Were a Gunslinger, There'd Be a Whole Lot of Dead Copycats. Nell’album del 1959 al trombone c’era Jimmy Knepper, all’epoca fido collaboratore di Mingus, che nonostante i due denti rotti che gli fece il Maestro e il conseguente processo, rimase sempre un suo grande amico. E Knepper fu il band leader di uno dei grandi live che la Dynasty ebbe presso il Teatro Boulogne-Billancourt di Parigi, l’8 Giugno 1988, racchiusi in due emozionanti cd (titolo Live at the Theatre Boulogne-Billancourt/Paris, Vol. 1 e 2). Ma personalmente credo che il ricordo più vero e sentito è stato quello che ha portato avanti l’evoluzione della Dynasty, la Mingus Big Band. Uno dei sogni di Mingus era di creare una Big Band sulla falsariga di quelle del suo mito Duke Ellington, e un po’ come successe allo stesso Ellington, a Glenn Miller o ai fratelli Tommy e Jimmy Dorsey, le cui musiche sono sopravvissute al loro creatori anche grazie alla continuazione delle big band, così è capitato pure indirettamente per Mingus. La Mingus Big band nasce nel 1991, formata da 14 elementi: il repertorio mingusiano viene riarrangiato, anche seguendo delle idee di Charles, in stile Big Band, che rimase il grande sogno inespresso in vita del grande contrabbassista. Il successo delle prime esibizioni è esaltante, e in pochi anni la Mingus Big band suona in tutti gli Stati Uniti d’America, e inizia anche acclamatissimi concerti in Europa, in Giappone, in Oceania. Nel 1997, viene ingaggiata per l’apertura di un nuovo locale, il Jazz Standard, situato nel quartiere Rose Hill di Manhattan, New York City. La band viene ingaggiata per due lunedì di seguito, ma il successo dei Mingus Mondays diviene così eccezionale che in pratica la band suona, quando non è in tour, tutti i lunedi fino a quando, causa Covid, il locale non chiude nel 2020. Ma la sera del 31 dicembre 2009, casualmente non un lunedì ma un giovedì, Sue Mingus decide di registrare l’esibizione della Big Band, e pochi mesi più tardi esce Live At Jazz Standard, nell’aprile del 2010. Quella sera fa parte della Big Band anche Randy Brecker alla tromba, che agli inizi degli anni ‘70 fu sessionista prediletto di Mingus. In scaletta, il meglio della produzione: Self-Portrait in Three Colors, Bird Calls, Open Letter To Duke, Cryin' Blues, la leggendaria Goodbye Porky Pie Hat, ma anche scelte minori come E's Flat Ah's Flat Too (aka "Hora Decubitus"), da Blues & Roots del 1959, New Now Know How e una finale Song With Orange da antologia. Band, pubblico, atmosfera sono così perfetti che il disco vince un Grammy Award come Best Large Jazz Ensemble Album nel 2011, e i Mingus Mondays sono ormai uno dei 5 eventi jazz migliori di tutta New York per i primi due decenni degli anni duemila. La Big Band continua a suonare in tutto il mondo, anche in Italia dove ha un folto seguito di appassionati, e quest’anno i Mingus Mondays sono tornati presso il Drom, un altro locale di New York, nell’East Village. Per celebrare il centenario della nascita di questo genio, pazzo e scalmanato, e davvero unico. Persino nella storia del jazz.
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gcorvetti · 3 months
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Veloce veloce.
Nel mezzo dell'impacchettamento e delle cose che comunque devo fare, bisogna mangiare anche oggi, faccio un salto veloce.
Stamane mentre facevo colazione meditavo sulle cose che mi mancheranno, beh, lei e i ragazzi in primis, anche se non sono sicuro che il comportamento distaccatissimo della mia compagna mi mancherà, bah, vedrò in seguito. Per i ragazzi penso che sono grandi abbastanza e non hanno molto tempo da dedicare a me, forse quando non ci sarò sentiranno la mancanza, mia figlia mi verrà a trovare a marzo con il fidanzato, per mio figlio quando finirà il servizio militare magari gli regalo un viaggetto, anche se sarà giugno e forse per lui farà troppo caldo, va bè si vedrà. I gatti, ovviamente con il loro carattere burbero e il loro modo di volermi bene. La casa, anche se non l'ho mai sentita mia al 100%, beh lo studio con i miei strumenti, il silenzio quando sono da solo, come adesso, e poi la sauna che ho imparato ad apprezzare con la sua calura rigenerante, oggi ne faccio una come si deve.
Questo non è un addio ah, ma un arrivederci a chissà quando, non voglio mettermi fretta, starò il tempo che ci vuole, anche se ho dentro di me la sensazione che finirà con questo viaggio, ma per ora non ci penso e torno a fare le cose, ah oggi pizza :D
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francescosatanassi · 2 years
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A GINO NON INTERESSAVA IL RISULTATO
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Vivo a Forlì da parecchio, ma sono cresciuto a San Martino in Strada, il primo paese uscendo dal centro in direzione Predappio. Non è lontano, circa 6 km, e c’è una ciclabile che porta fino in centro. Nonostante la breve distanza, i miei nonni dicevano “Vado a Forlì” quando dovevano spostarsi verso la “città”, come se questa fosse una specie di metropoli lontanissima da loro. È stato così anche per me, per un certo tempo. A San Martino ho trascorso l’età in cui non esiste altro al di fuori del paese. È lì che ho fatto l’asilo, le scuole elementari, la prima comunione. Noi bambini avevamo un confine preciso oltre al quale non si andava, il Mulino Zampighi, lì terminava il marciapiede e sapevamo soltanto che più avanti, prima della metropoli, c’era un luogo indefinito che i nonni chiamavano "Caiossi". Ma durante nostre esplorazioni non arrivavamo mai fino al mulino, ci bastava scendere dietro casa, attraversare un canale d’acqua e perderci lungo i campi in cerca di avventure. Di quegli anni c’era una cosa che ci faceva ridere tantissimo: una squadra di calcio della zona, scarsissima, che si chiamava Tre Martiri, centro delle nostre prese in giro quando giocavamo a pallone al campetto. “Va’ a giocare nella tre Martiri” era un insulto frequentissimo. Il fatto è che la Tre Martiri era veramente una squadra scarsa. Ogni domenica che dio mandava in terra scendeva in campo e perdeva. Sempre. Ogni partita. Per tutto il campionato. Quattro, cinque, sei gol di scarto. Non ci siamo mai chiesti perché perdesse sempre e perché avesse proprio quel nome. Per noi era una squadra dove giocavano gli scarsi e gli sfigati. Un po’ di anni fa, leggendo della morte del suo fondatore, Gino Bertaccini, scoprii cosa rappresentava in realtà quella piccola società sportiva. La Polisportiva Tre Martiri era nata nel 1949 e Bertaccini era stato il primo a Forlì a creare anche una società che praticava pattinaggio. Scoprii che chi giocava nella Tre Martiri era scarso perché a Gino non interessava il risultato, ma il progetto. Andava per i circoli, i bar, le parrocchie e chiedeva “Qualcuno vuole giocare a calcio?” e raccoglieva gli sbandati che non sarebbero entrati in nessuna squadra giovanile. Dava loro un pallone e un motivo per stare assieme. Faceva tutto lui: allenatore, dirigente, magazziniere, custode. Disegnava col gesso le linee del campo, riempiva e portava le borracce, lavava in casa le casacche di ogni ragazzo poi le stendeva in giardino. Faceva tutto da solo e lo faceva così, per passione. E quel nome, Tre Martiri, che ci evocava risate e prese in giro, Gino l’aveva scelto dopo la guerra per un motivo: i tre martini erano Pino Maroni, Antonio Zoli e Antonio Piazza, tre partigiani di San Martino in Strada. Avevano combattuto ed erano morti per gli altri e Gino, che per tutti era un burbero, un solitario e un piantagrane, lo sapeva bene, e aveva scelto quel nome per ricordare i suoi compagni falciati dal fascismo a vent’anni. Anche se l’abbiamo capito tardi, la Tre Martiri non è più stata la squadra degli sfigati, ma il sogno di un uomo che voleva ricordare tre amici nel suo nome: Pino Maroni, Antonio Zoli e Antonio Piazza. Nel cimitero di San Martino, dove sono sepolti anche i miei nonni, c’è un monumento che li ricorda. Le loro storie ve le racconto un’altra volta.
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hhorror-vacuii · 9 months
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Thank you @poesimark <3
Last song: I fell asleep listening to Il burbero di buon cuore and it's still reverberating in my head. Definitely my study soundtrack as of late.
Currently watching: I started Utopia 2013 yesterday and it's really captivating so far, I think we will finish it today.
Currently reading: An article about the importance and meaning of a translator's imagination during the translation process + I started a back to back reread of The Danton Case and Thermidor yesterday.
Current obsession: I am a little subdued as of late, bu I'm getting back into doing big sized ceramic sculptures.
I would love to see it from @widevibratobitch and @dykejohnmilton if they are up for it?
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gaytamorfosi · 5 months
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Il divano su cui è cambiato tutto
🇮🇹 ("The sofa on which everything changed" Italian Version)
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Il divano nuovo era rigido, la stoffa era tesa come una corda di violino, era come sedersi su una panca di legno. A Riccardo non sembrava di essere una persona seduta su un divano, pensava di essere più simile a un giocattolo appoggiato lì, dove qualche bambino sbadato l'aveva appoggiato e dimenticato.
Una tazza di tè, i piedi sul tavolino, un po' di musica...
Riccardo ascoltava la radio avvolto nella sua felpa in pile bianchissima, morbida e profumata. Aveva provato a mettersi comodo su quel divano nuovo, stava provando a sentirsi a casa nell'appartamento in affitto partendo dalle cose più semplici a cui riusciva a pensare. Il modo in cui era arrivato su quel divano però era tutt'altro che semplice, da qualche settimana la vita di Riccardo era stata completamente rivoluzionata.
Il padre di Riccardo, un uomo burbero e molto religioso, aveva insistito perché il figlio iniziasse a lavorare nel piccolo ferramenta di famiglia a Saronno. Riccardo invece voleva andare all'università, non sapeva nemmeno cosa volesse studiare ma era certo di non voler passare la sua esistenza tra brugole, sifoni e catenacci. "So io cos'è meglio per te " ripeteva il padre con tono secco e autoritario; Riccardo le aveva provate tutte per convincerlo, ma con la gran testa dura che aveva, l'uomo restava inamovibile sulla sua decisione.
Una sera Riccardo decise di giocare l'ultima carta che aveva a disposizione e dopo aver fatto accomodare i genitori sul divano prese coraggio e annunciò: "Papà, Mamma, mi piacciono i ragazzi". Il padre rispose con una risata, seguita solo dal silenzio. Resosi conto che non si trattava di uno scherzo, un velo di incredulità passò davanti ai suoi occhi, per poi esplodere in una rabbia feroce. L'avrebbe strozzato, quel figlio ingrato, come si era permesso? Le mani dell'uomo sarebbero state già strette attorno al gracile collo del giovane, se non fosse intervenuta la madre, che di rado faceva valere le sue opinioni. Mezz'ora dopo Riccardo era fuori dalla porta di casa e camminava curvo sotto il peso di un grosso zaino, trascinando due valige più grandi di lui. Dentro c'era tutta la sua vita, buttata alla rinfusa. Paradossalmente Riccardo non si era mai sentito tanto leggero e seppur ferito nell'animo, sorrideva al pensiero che il giorno successivo sarebbe andato a vedere l'università statale di Milano. Riccardo passò la notte in bianco alla stazione di Saronno; prese il primo treno per Milano alle 5:44 e poi puntò dritto all'università.
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Giunto davanti al grosso edificio, dovette aspettare un’ora e mezza, perché il grosso portone veniva aperto alle 7:30. Nel piazzale quasi deserto i suoi occhi si posarono su un volantino arcobaleno appeso al muro: indicava gli appuntamenti del collettivo LGBTQ+ dell'università. Riccardo ci fece una foto con il cellulare pensando che forse tra i membri di quel gruppo qualcuno avrebbe potuto ospitarlo qualche giorno. Quando la guardia aprì le porte, Riccardo tentò di raggiungere il cortile interno, ma venne subito fermato: "dove va con tutte queste valige?" Chiese la guardia, “Servono per una lezione, sono qui preso perché devo montare tutto l'equipaggiamento. Mi han detto che siamo all'ultimo piano" mentì Riccardo. La guardia indicò con aria perplessa la strada per raggiungere un ascensore che portasse all'ultimo piano, e Riccardo ringraziò e si avviò con passo deciso, prima che la guardia potesse chiedere altro. Giunto nel bagno dell'ultimo piano, il povero ragazzo sfinito chiuse a chiave la porta si addormentò. 
mezzogiorno era passato da un pezzo quando Riccardo si svegliò e si diresse alla riunione del collettivo LGBTQ+. Ovunque andasse tutte quelle valige lo facevano sentire come un marziano appena sceso sul pianeta terra. Riccardo individuò l'aula della riunione senza problemi, era quella più chiassosa di tutte. L’allegro vociare dei presenti non si fermò quando il ragazzo entrò nell'aula, ma qualche occhiata malcelata volò rapidamente dal viso del ragazzo, al suo corpo, ai pesanti bagagli.
Come di consueto, prima di iniziare la riunione ogni ragazzo a turno si alzò in piedi ripetendo a voce alta il nome, la facoltà, da quanti anni studiava e da quanti frequentava il collettivo. Quando fu il suo turno, Riccardo si alzò e disse "Sono Riccardo, ho 19 anni, non sono uno studente e mi hanno appena cacciato da casa". Poiché i presenti lo fissavano con sgomento e non accennavano a prosegue con le presentazioni, Riccardo continuò il suo racconto ricapitolando ciò che gli era successo nelle ultime ore.
Quella sera Riccardo dormì sul divano di un gruppo di coinquilini membri del collettivo, il giorno successiva i ragazzi del collettivo avevano diffuso la storia di Riccardo a mezza comunità LGBTQ+ milanese. Per tre settimane Riccardo rimbalzò da un divano all'altro, rapidamente trovò un lavoro come maschera al Carcano, il celebre teatro Milanese; infine si trasferì più o meno definitivamente affittando una stanza in un appartamento in periferia. Ora divideva la casa con Simone, un trentenne dal fisico massiccio, senza capelli, poco virile nei modi, che lavorava come assistente e ricercatore in università. I due andavano d'accordo, ma i loro orari erano talmente diversi che si incrociavano di rado nell'appartamento.
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Quel giorno Simone doveva tenere una lezione in università, quindi Riccardo era solo in casa. Riccardo sedeva su quel divano rigido con la tazza in mano e mentre la bustina di tè colorava l'acqua, le dita del giovane rigiravano lo strano pacchetto di carta colorata dove la busta era conservata poco prima. "Ma Silvia dove le recupera ste cose?" pensò. Silvia era un'amica di Simone, una di quelle ragazze che si credono un po' streghe e collezionano cristalli e oggetti presunti magici; dove passava Silvia lasciava una scia di ninnoli e fesserie che lei credeva prodigiosi e Simone la lasciava fare, per farla contenta. La bustina aveva dei caratteri illeggibili sopra, ma per Riccardo era come se ci fosse scritto "Questo l'ha portato Silvia".
Il fumo si alzava silenziosamente dalla tazza di acqua calda, ed un aroma dolce si diffuse per la stanza. "...Vaniglia? ...Caramello? …Nocciola?" Si chiese Riccardo mentre inalava la fragranza intensa sprigionata dalla tazza. Era un profumo tanto corposo che sembrava penetrare nella pelle e scaldare il corpo come un bagno caldo. Ecco, forse per la prima volta dopo settimane Riccardo stava riuscendo a rilassarsi. "Se solo questo pile non prudesse tanto" pensò, ed iniziò a spogliarsi. Era un capo davvero strano, fino a qualche momento prima sembrava morbido e confortevole, ora invece pizzicava in modo insopportabile. 
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Stando a torso nudo sul divano Riccardo avvicinò la tazza alle labbra, soffiò, e poi ne bevve un piccolo sorso: era il the più buono che avesse mai bevuto, dolce ma non stucchevole, sembrava quasi il sapore di... Un bacio. Anche questo era un pensiero strano, Riccardo non aveva mai baciato le labbra di un uomo, eppure quello era il sapore a cui lo associava. Riccardo pazientò per far raffreddare un poco la bevanda, poi mandò giù alcuni sorsi. Il calore della bevanda si diffuse in ogni angolo del suo corpo, donando una profonda sensazione di benessere. Era una vita che Riccardo non si sentiva così bene, si sentiva vivo, aveva voglia di prendere e andare a fare una corsa fuori, di uscire e guardare il cielo, di iniziare un nuovo capitolo della sua vita…
"Devo chiedere a Silvia dove ha preso questa roba" pensò grattandosi la barba. 
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L'ennesimo avvenimento insolito: Riccardo non aveva mai avuto la barba, eppure ora c'era, fitta e nera, quasi come quella del suo coinquilino. Riccardo, in preda alla sensazione quasi orgasmica donata del tè colorato, non diede peso alla barba, né ai peli che iniziavano a crescere sul resto del suo corpo. La barba dava a Riccardo un'aria distinta, dimostrava qualche anno in più ma gli stava proprio bene. Con quei peli poi sembrava più muscoloso, ma era un’illusione o erano muscoli veri? Com'era possibile una cosa del genere? Ecco spiegato il desiderio di muoversi e correre, la sua nuova muscolatura era calda e pronta, come una moto da gara appena uscita dal concessionario. Ma correre per cosa? Correre da chi? Riccardo decise di rivestirsi e uscire, ma prima terminò il contenuto della sua tazza a grandi sorsi. 
Il desiderio di uscire svanì immediatamente e Riccardo rimase seduto esattamente come prima, Imbambolato e incredulo. Un senso di improvvisa rilassatezza permeava il suo corpo, che progressivamente iniziò a sprofondare nel divano. I cuscini si piegarono e deformarono, sotto il peso improvviso della massa di Riccardo, che cominciò ad aumentare in modo impressionante. Il corpicino pelle e ossa che Riccardo aveva fino a pochi minuti prima non era che un lontano ricordo, ricoperto com'era di muscoli, carne e pelo. 
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La trasformazione che stava avvenendo avrebbe lasciato sbigottito chiunque, un omino di nemmeno vent'anni ora ne dimostrava tranquillamente più di trenta, ed aveva moltiplicato le sue dimensioni come mai avrebbe potuto fare in vita sua, nemmeno se avesse iniziato vivere di abbuffate e sollevamento pesi. Riccardo era satollo, rilassato e felice, un po' come ci si sente dopo un pranzo di Natale.
Quando quella sensazione si dissipò, raggiunse uno specchio e si osservò compiaciuto: Era proprio un bell’uomo. Nonostante l'assurdità della situazione, Riccardo restava calmo, come se tutto ciò fosse perfettamente sotto controllo, come se fosse stato lui a voler essere un'altra persona. Più si guardava nello specchio e più realizzava che la sua corporatura sembrava la copia identica di quella di Simone. Chissà cos'avrebbero detto i vicini? Con quei due gorilla nell'appartamento di fianco (uno dei quali probabilmente s'era mangiato quel ragazzo magrolino che non si vede più). A proposito di Simone, come avrebbe potuto spiegargli che quella bustina l'aveva trasformato in un bestione del genere? Alla parola "bestione" a Riccardo passò per la testa l'idea di controllare una parte del corpo importantissima, a cui non aveva ancora pensato. Ancora prima di mette la mano, non poté fare a meno di percepire un certo movimento nelle sue mutande, ma un rumore improvviso interruppe il delicato momento: erano le chiavi di Simone nella toppa della porta. Il cuore di Riccardo iniziò a battere tanto forte che sembrava essere cresciuto anch’esso. Per la prima volta un senso di preoccupazione permeò quel corpo nuovo e massiccio, che si diresse goffamente davanti alla porta d'ingresso.
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La porta si spalancò rivelando una figura minuta ricoperta da una maglietta blu decisamente troppo grande. Un grazioso e accigliato ragazzetto biondo fissava Riccardo. "Simone?" Chiese Riccardo sbigottito.
Simone aveva bevuto lo stesso tè quella mattina, ma a lui era sembrato un tè normalissimo ed era andato a tenere la sua lezione. Durante il viaggio di ritorno in tram, aveva avvertito un capogiro improvviso e deciso di scendere, temendo che viaggiare sui mezzi peggiorasse la situazione. Mentre camminava verso casa aveva iniziato a rimpicciolire e ringiovanire, e mentre il suo corpo prendeva la forma di quello di Riccardo, sulla testa crescevano morbidi capelli biondi, la sua barba invece svaniva senza lasciare la minima traccia. Simone non poteva credere a ciò che stava succedendo, come poteva fermare questa cosa? Più il suo corpo si trasformava e più si accendeva in lui il desiderio di correre a casa, cosa che risultava abbastanza difficile con scarpe e vestiti decisamente troppo grandi, tanto da doverli necessariamente tenere su saldamente con le mani per non perderlo per strada. Il poveretto correva reggendo con due mani quei pantaloni enormi, sembrava quasi che stesse partecipando ad una corsa coi sacchi. Poiché i pantaloni cadevano da tutte le parti e non nascondevano nulla, erano ormai solo un intralcio e Simone decise di abbandonarli per strada. Correre in mutande gli permise di andare più veloce, dopotutto mancava solo l’ultimo pezzetto di strada.  
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Raggiunse la porta di casa ripetendo nella sua testa il discorso che voleva fare a Riccardo per spiegare cosa gli era successo, ma lo shock più grande doveva ancora arrivare.
Aprendo la porta Simone rimase esterrefatto, ma capì subito che quell'omone grande grosso a torso nudo con una visibile erezione nei pantaloni altri non era che Riccardo.
Non fu necessario dire una parola in più, i due sapevano esattamente cos'era successo all'altro, anche se non avevano idea del perché fosse successa una cosa simile. Poi sentirono più forte che mai quell'impulso a scattare, a correre, a raggiungere... L'altro. Era per quello che Riccardo voleva correre fuori, lo stesso motivo che spingeva Simone a correre a casa: Una forza magnetica li attirava l'uno all'altro. Simone deglutì, i suoi occhi si spostavano dal Viso di Riccardo al suo pacco gonfio, mentre i suoi piccoli piedi si muovevano portandolo verso l'omone. Mentre Simone camminava lasciò cadere anche le mutande, ormai fuori misura. Riccardo liberò Simone anche dalla la maglietta (che arrivava quasi alle ginocchia) e vide che anche Simone era molto eccitato. Mentre Simone tentava di ricambiare il favore e sbottonava la cintura del coinquilino, Riccardo non poté fare a meno di guardare il corpicino che aveva davanti, con la sua piccola erezione pulsante: "sei la cosa più carina che abbia mai visto" disse.
Simone arrossì e una volta sfilata la cintura dai pantaloni di Riccardo lo spinse verso la camera da letto e chiuse la porta d'ingresso.
Riccardo sollevò Simone e lo mise sul letto, pensò che fosse davvero carino ridotto così, poi senza esitare si tolse i pantaloni e le mutande.
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Simone non fece nemmeno in tempo a realizzare che il membro di Riccardo era persino più grande di quello che aveva lui prima di trasformarsi. Riccardo raggiunse il coinquilino trascinando le ginocchia sulle lenzuola e si abbassò per dargli un bacio: era un bacio dal sapore dolce, forse perché le labbra di Riccardo sapevano ancora di The. Simone non aveva mai ricevuto un bacio del genere, avrebbe voluto che il tempo si fermasse lì. La pelle calda di Riccardo a contatto con quella di Simone era la sensazione più bella che avessero mai provato.
Riccardo si spostò, fece sdraiare Simone a pancia in su e gli aprì gambe, per infilare la faccia barbuta sotto sue le palle: era un punto talmente sensibile che Simone ebbe paura di venir subito, solo per essere toccato lì dalle labbra di Riccardo, che invece iniziò a leccare il piccolo buco del ragazzo. Simone fremeva di piacere (da quando era così sensibile?) mentre si aggrappava alle lenzuola nella sua testa si faceva spazio il desiderio di afferrare con entrambe le mani la virilità gigantesca di quell'omone.
Quando Riccardo sollevò la testa, Simone si spostò e lasciò il posto a Riccardo, notando che nella fretta aveva dimenticato di togliere i calzini. Mentre l'omone stendeva la sua larga schiena sul letto, Simone gli sfilò a fatica i calzini grigi, ormai deformati perché coprivano dei piedi che avevano appena moltiplicato la loro misura. C'era un che di eccitante in questa azione, Simone pensò che era strano, non aveva mai avuto gusti simili, in genere i piedi lo lasciavano indifferente, ora invece non poteva lasciare cadere la gamba pesante di Riccardo. Avvicinò invece il piede alle labbra e baciò la pianta del grosso piede, per poi farlo scorrere sulla pelle del torso, sino al pube. Riccardo sorridendo divertito solleticava con le dita dei piedi l'erezione di Simone che ora più che mai sembrava sul punto di esplodere. Eccitatissimo, Simone abbassò la faccia sul pube villoso di Riccardo e lo baciò ripetutamente. Anche l'erezione di Riccardo pulsava, Simone l'afferrò con una mano, mentre l'altra reggeva con delicatezza le due grosse palle. Riccardo improvvisamente si sentì totalmente succube di quell'audace biondino, ora che il suo poderoso nuovo attrezzo era interamente nelle sue mani. Simone avvicinò la faccia al prezioso bottino e lo prese in bocca, mettendo in pratica tutta l'esperienza che aveva in questo genere di cose. Riccardo di fronte a quella sensazione del tutto nuova, fu più volte sul punto di venire, ma prima di farlo c'era almeno un'altra cosa che voleva provare.
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Simone si spostò e si mise a cavalcioni di Riccardo, come se fosse la risposta di un messaggio telepatico. Dopo aver lubrificato la zona a dovere ed avere messo il preservativo più grande che c’era nel cassetto di Simone, Riccardo infilò con delicatezza il suo membro nella sottile apertura di Simone, che in genere era versatile, ma ormai erano anni che non trovava un partner attivo che avesse rapporti con lui. Fu uno dei rapporti più intensi della sua vita, e pensò che qualsiasi cosa fosse successa era stata necessaria per portare li loro due, in quel momento, con quella forma, in quel letto. Vennero a pochi secondi di distanza l'uno dall'altro, poi si spostarono in bagno per pulirsi.
Con la mente un po' più lucida Riccardo chiese: "...e ora che si fa con questa faccenda?". Simone, seduto sul bidet, dava le spalle al coinquilino e senza alzare gli occhi rispose: "che vuoi che si faccia? Ora chiamo Silvia e le chiedo se questa cosa è temporanea o permanente, se serve staremo qualche tempo a casa aspettando che passi".
Il viso di Riccardo si rabbuiò, senza sapere perché non voleva che le cose tonassero come prima. "Se fosse solo una cosa provvisoria ti va di berci un'altra tazza di quel tè ogni tanto?" Chiese Riccardo con una timidezza che addosso ad un omone del genere faceva ancora più tenerezza. "Rifarlo? E se fosse permanente?" Replicò Simone con tono stupito e preoccupato. Riccardo si accovacciò dietro a Simone e gli diede un bacio sulla spalla, poi disse: "Se fosse permanente, ti andrebbe di uscire con me?"
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𝘓𝘦 𝘪𝘮𝘮𝘢𝘨𝘪𝘯𝘪 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘰𝘷𝘦𝘯𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭 𝘸𝘦𝘣 𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘢𝘵𝘦 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦 𝘢𝘭𝘭'𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦. 𝘚𝘦 𝘴𝘦𝘪 𝘪𝘯𝘧𝘢𝘴𝘵𝘪𝘥𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘳𝘪𝘵𝘪𝘦𝘯𝘪 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘵𝘶𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘦��à, 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘵𝘢𝘮𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘳𝘪𝘮𝘶𝘰𝘷𝘦𝘳𝘭𝘰. 𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪𝘦.
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𝘛𝘩𝘦 𝘪𝘮𝘢𝘨𝘦𝘴 𝘪𝘯 𝘵𝘩𝘪𝘴 𝘱𝘰𝘴𝘵 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘵𝘩𝘦 𝘸𝘦𝘣 𝘢𝘯𝘥 𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘵𝘩𝘢𝘯𝘬𝘴 𝘵𝘰 𝘢𝘳𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪𝘨𝘦𝘯𝘤𝘦. 𝘐𝘧 𝘺𝘰𝘶 𝘢𝘳𝘦 𝘣𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳𝘦𝘥 𝘣𝘺 𝘵𝘩𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘤𝘦 𝘰𝘧 𝘢𝘯𝘺 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘵 𝘵𝘩𝘢𝘵 𝘺𝘰𝘶 𝘣𝘦𝘭𝘪𝘦𝘷𝘦 𝘵𝘰 𝘣𝘦 𝘺𝘰𝘶𝘳 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘺, 𝘱𝘭𝘦𝘢𝘴𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢𝘤𝘵 𝘮𝘦 𝘵𝘰 𝘳𝘦𝘮𝘰𝘷𝘦 𝘪𝘵. 𝘛𝘩𝘢𝘯𝘬 𝘺𝘰𝘶.
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chez-mimich · 1 year
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GLI SPIRITI DELL'ISOLA
Rompere un'amicizia è sempre una cosa spiacevole, a volte anche molto spiacevole, ma qualche volta può addirittura sfociare in un vero e proprio dramma, specie se si vive su una sperduta isola di un arcipelago irlandese. Ci troviamo nel 1923 (non è fatto da poco che nemmeno esistessero né i social, né il web ad alleviare la pesantezza del vivere) e, come si è già detto, sulla remota isola irlandese (immaginaria) di Inisherin, accade che Colm (intepretato da Brendan Glee) decida all'improvviso di interrompere la frequentazione di Pàdriac (Colin Farrell) il suo più caro amico, senza nessun plausibile motivo, almeno all'apparenza, mentre Pàdriac non sopporta il rapporto danneggiato e il mutismo dell'ormai ex amico. La vita sull'isola continua prevedibilmente a scorrere monotona, tra il pub sulla scogliera, la chiesa e il porto dalle acque grige e tempestose di quelle latitudini. Ma Pàdriac non si rassegna e, come il più molesto degli stalker, non molla la presa di Colm che, uomo burbero e scontroso, decide di tagliarsi un dito di una mano ogni qual volta Pàdriac gli rivolgerà la parola. Detto fatto, il (povero) Colm si ritrova senza tutte le dita della mano destra. Colm è un violinista-compositore e il suo gesto appare ancora più masochistico, ma darà anche luogo successivamente alla rappresaglia contro Pàdriac, con l'uccisione della asinella di quest'ultimo. Pàdriac, a sua volta, brucerà la casa di Colm che tuttavia casualmente resterà incolume. Naturalmente il focus di tutto il film è centrato sulle motivazioni che spingono Colm, parrebbe insensatamente, a rompere l'amicizia con Pàdriac. Perché Colm si chiude in una sorta di autismo nei confronti dell'amico? In realtà è lo stesso Colm a spiegarlo anche piuttosto esplicitamente: l'amicizia di Pàdriac, ormai, non è più in grado di offrirgli nulla e quindi preferisce di gran lunga la composizione musicale e il violino alla compagnia di Pàdriac, uomo gentile, ma di quella gentilezza un po' asfittica ed appiccicosa di cui si può benissimo fare a meno, anche se con una certa dose di cinismo. Quanto c'è in noi di Pàdriac e quanto c'è di Colm? Al di là delle piccole storie dell’isola irlandese e delle sue inquietanti presenze, è proprio questa domanda che rende interessante la pellicola di un regista disincantato e crudo come Martin McDonagh (suo era il magnifico "Tre manifesti a Ebbing Missouri"). Ognuno potrà rispondere secondo una propria tavola di valori : Pàdriac reclama di essere un uomo gentile, Colm risponde che la gentilezza non trapasserà nei ricordi dei posteri, mentre certamente arriverà la musica, nella fattispecie quella da lui composta. E allora la domanda investe noi tutti: vale la pena dedicare il proprio tempo coltivando una affettuosa, ma asfittica, amicizia o meglio spenderlo coltivando i propri interessi anche a scapito dei rapporti interpersonali?
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hemlockdrunk · 7 months
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*in piedi sul piano della cucina* buongiorno φίλοι, φίλαι e φίλα. a grande richiesta. 
Il Δύσκολος, noto in italiano intercambiabilmente con il titolo di Misantropo o di Burbero, è una commedia menandrea in cinque atti datata attorno al 316 a.c., nonché unica opera del filone della commedia nuova ad esserci pervenuto quasi per intero. Al centro della narrazione vi sono due vicende parallele, quella del giovane Sostrato, proveniente da una ricca famiglia cittadina, innamorato di un’umile fanciulla contadina della quale, giustamente, non conosciamo neppure il nome; e quella di Cnemone, vecchio scorbutico e asociale - da lui il nome della commedia - e padre della giovane. 
Il personaggio di quest’ultimo è caratterizzato molto chiaramente, come un “misantropo (ἀπάνθρωπος, “lontano dall’umanità), collerico con tutti (appunto δύσκολος πρὸς ἅπαντας), che non ama la gente.”  [δύσκολος I, vv 6-7]. La sua è un’asocialità fraintesa dagli altri personaggi, la cui immagine di Cnemone è quella di un vecchio selvatico e aggressivo ai limiti della bestialità, che non solo evita ma contrasta attivamente qualsiasi tipo di contatto con il mondo esterno e contemporaneo. In verità, il suo atteggiamento altro non è che una risposta estrema a un bisogno di integrità morale; esso si manifesta in un rifiuto attivo della città, luogo naturale di rapporti umani, sociali ed economici, ma anche simbolo e incarnazione di progresso e modernità, e da un rifugio nella campagna, in una vita spartana e quasi autarchica, umile, povera. Cnemone, come la maggior parte dei vecchi nella letteratura grecolatina, è ancorato agli antiqui mores, alle tradizioni patrie e in ultimis a un’idea di moralità ormai superata e arcaica. L’isolamento di Cnemone dalla socialità corrisponde in larga misura a un isolamento dal presente; e risulta difficile non vedere in questo comportamento un parallelismo con quello dei tre evangelisti. O almeno, risulta difficile a me non pensare ai tre evangelisti per più di cinque minuti di fila. 
Il presente, dagli occhi degli evangelisti, è sinonimo di degrado, scardinamento. I sistemi valoriali di tutti e tre (soprattutto di Marc, considerato che fredvargas a quanto pare preferirebbe morire piuttosto che approfondire un minimo introspettivamente Mathias e ancora di più Lucien) paiono anche loro radicati nei rispettivi periodi d’elezione; di nuovo, soprattutto quello di Marc, con tutte le sue seghe mentali sulla nobiltà cavalleresca. Il simbolo maggiormente rappresentativo del loro isolamento completo dal presente e dal progresso è, almeno a mio avviso, l’elemento del telefono - o della sua mancanza. Essa li isola non solo metaforicamente da una tecnologia ormai incompatibile con le loro tendenze al rifugiarsi nel passato, ma fisicamente da qualsiasi contatto con l’esterno. Non a caso il loro unico ponte con la modernità (n.d.a. in questo trip allucinante che mi sto facendo userò presente, modernità e contemporaneità, che storicamente NON significano la stessa cosa, nella loro accezione di uso comune, come sinonimi di, appunto, presente, perché ripetere sempre la stessa parola suonerebbe male) nonché con la rete telefonica è Vandoosler il Vecchio, simbolo del presente, che per telefonare deve uscire dalla casa per recarsi al vicino bar, atto che può essere inteso come un abbandono del passato, di cui la topaia pare intrisa, e una dipendenza da un luogo di rapporto umano come il bar, ma soprattutto luogo moderno. In più, non è difficile riscontrare somiglianze tra i rispettivi stili di vita, entrambi poveri e difficili seppur per diversi motivi. 
Come Cnemone rifiuta la contemporaneità, così gli evangelisti, e qualsiasi epoca non sia quella che vedono come “loro”, e una mediazione tra piani temporali non pare possibile. In realtà, la suddetta mediazione tra contesti e epoche avverrà, nel δύσκολος come più discutibilmente nella trilogia degli evangelisti, dalla forza conciliatrice dell’Eros. In Menandro, è l’amore di Sostrato per la figlia di Cnemone a fungere da intermediario nelle contrapposizioni di ordine psicologico, generazionale, ambientale e socioeconomico; in Vargas è altresì l’amore (amore platonico, amicale, fraterno, non assolutamente con sfumature omoerotiche) che comunque si forma tra i tre nonostante le loro evidenti differenze, permettendo loro di superare la barriera temporale dei secoli e fisica delle scale per unirsi tutti in nome di una causa comune. L’amore di Sostrato (come l’amore l’amicizia tra gli evangelisti) attiva un processo comunicativo e conciliatore tra mondi così distanti, in quanto nell’universo menandreo “l’eros [...] si afferma come forza conciliatrice capace di mediare tra le disparità delle condizioni sociali e dei caratteri” [F. Ferrari, Introduzione al teatro greco, Sansoni, Milano, 1996.] 
Altra analogia può essere trovata nella scena del pozzo. Durante l’atto IV, a causa di un errore della vecchia serva fidata (dunque per colpa di una donna più matura con la quale la persona ha un rapporto di fiducia stretta e quasi familiare non so se vedete la mia visione o se sono io che sto uscendo di testa) Cnemone precipita in un pozzo, dove resta, ferito e quasi moribondo, incapace di uscirne. A salvarlo sono Gorgia, figlio di primo letto della ex moglie di Cnemone stesso, e Sostrato; Gorgia si cala nel pozzo e soccorre Cnemone, mentre Sostrato regge la fune per trascinarli di nuovo in superficie. Se fisicamente i ruoli corrispondenti sono chiari (Mathias-Cnemone, Marc-Gorgia e Lucien-Sostrato) metaforicamente parlando le figure si confondono, tanto da poter affermare che tutti e tre gli evangelisti siano in qualche misura tutti e tre gli eroi comici. 
Cnemone è nel pozzo, nuovamente e ancor più isolato, sprofondato in strati di terreno che effettivamente risalgono a epoche passate; e Cnemone rappresenta l’anzianità, rappresenta il rifugio nel passato e nella solitudine - che, con il caso del pozzo, potrebbero trasformarsi dal suo riparo alla sua tomba - il rifiuto del presente, e tutto quello che è stato detto in precedenza. Gorgia, al contrario, rappresenta la gioventù contrapposta alla vecchiaia del patrigno. Quello di Gorgia è un personaggio completamente positivo, portatore di valori etici quasi progressisti e che nella sua giovinezza porta al tempo stesso novità e maturità. I tre evangelisti stessi, nonostante i trent’anni suonati, sono sempre descritti come dei giovani, da Sophia, da Armand, da Adamsberg, et cetera. Nonostante la loro vocazione da storici, gli evangelisti sono comunque, volenti o nolenti, membri più o meno attivi di un presente che cercano di cambiare e migliorare, a partire dalla loro situazione finanziaria sino al complesso dell’eroe che emerge potentemente quando si ritrovino invischiati in un caso di omicidio. L’immagine del nuovo che soccorre il vecchio, nel momento in cui entrambi gli spiriti coesistano all’interno dei tre evangelisti, può essere intesa come se i tre, vicendevolmente, si salvassero da sé stessi. Le loro vite prima dell’incontro e della coabitazione sono sempre descritte come deprimenti, faticose e soprattutto solitarie [Fred Vargas, Debout les Morts, capitolo III]. L’aiuto che si prestano a vicenda, anche inconsciamente, non è solo monetario ma soprattutto morale, psicologico, e per quanto siano incapaci di esprimerlo a parole in quanto uomini alfa testosteronici l’affetto che provano l’uno per l’altro, di qualsiasi natura esso sia, è senza dubbio presente, e sincero.
Per ultima, viene la dimensione erotica. Le motivazioni di Sostrato, lasciato a reggere la fune, sono in realtà le più semplici: ingraziarsi il padre e, speranzosamente, la figlia. Più volte descrive, nella sua ῥῆσις ἀγγέλλικε, come durante l’intera operazione di salvataggio e subito dopo non sia in grado di staccare gli occhi dalla giovane, trattenendosi a stento dal baciarla. Similmente, persino dopo essere riemerso ed essere stato estratto dal pozzo, Mathias ripensa a Juliette (uomo etero alert) e al fatto che nonostante fosse un’assassina (e probabilmente pure lesbica) per farla breve lui aveva sempre voluto portarsela a letto e anzi, quasi quasi in fin dei conti era un peccato che non fosse successo. Invece Lucien - che è patologicamente incapace di comportarsi da eterosessuale - alla fine di questa serie di eventi fortemente traumatici, quando ci è finalmente dato uno spaccato dei suoi pensieri, anziché imparanoiarsi per tutto quello che è appena successo, fissa il suo coinquilino (uomo) bagnato fradicio, con tanto di descrizione del modo in cui i capelli gli ricadano sulle spalle. Comunque, se Sostrato riesce a ottenere la benedizione di Cnemone e a sposare l’amata, nessuno dei tre evangelisti tromba né verosimilmente tromberà mai. Choose celibacy !!!
Questi erano i miei due centesimi (documento google di 1400 parole). Valgono gli stessi disclaimer del muro di testo dell’altra volta io sono solo un omino su tumblr e sono pronto a scommettere che anche se fredvargas avesse letto Menandro di sicuro non ha creato volontariamente questa gigantesca metafora che invece ho allucinato io. Questa volta l’elaborazione arriva DOPODOMANI non rompetemi il cazzo sulla grammatica io questa roba non l’ho neanche riletta. 
bibliografia: xenia 3 (il mio libro di letteratura greca); la mia insegnante di greco (grazie monica); fonti terze citate nel testo. per lo spelling delle parole greche ringrazio poesialatina punto it e olivetti greco dizionario online quindi se accenti e spiriti sono messi a cazzo di cane o manca uno iota sottoscritto sappiate che per una volta NON è colpa mia.
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ilconteunicorno · 7 months
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Sono troppo vecchio per rincorrere le persone.
Lo dico con tutta la sincerità di questo mondo, sono un vecchio burbero e se vi sta bene è ok, ma se pensate di farvi rincorrere il lascio proprio la presa, zero voglia di stare dietro a certi giochi.
Anche se siete dei datori di lavoro, se tirate la corda, finiamo in tribunale, zero sbattimento. Però poi non lamentatevi eh.
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theladyorlando · 8 months
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Il mio amico Nando
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Scoprire che Pavese sia stato innamorato di Fernanda Pivano mi ha fatto saltare sulla sedia: eppure adesso mi sembra un'informazione scontata, un'evidenza inevitabile. Ci sono persone che si chiamano, da lontano, questo mi è ormai chiaro. Fernanda Pivano era stata alunna di Pavese, e poi si erano ritrovati alcuni anni dopo il liceo di lei. A me fa tanta tenerezza l'idea di lui che ormai è un uomo fatto, che si è scontato un anno di confino per non tradire ai fascisti la sua "donna dalla voce rauca", che è tornato a casa solo per scoprirla sposata, e che già si lascia "accarezzare" la coscienza dall'idea di togliersi la vita; ecco, mi fa una tremenda tenerezza pensare che lui si sia innamorato come un bambino di una ragazza che aveva conosciuto da studentessa, una ragazza che voleva tradurre l'antologia di Spoon River e che si vestiva da maschio. La chiama "il mio amico Nando" in una lettera in cui racconta, come in un tema di scuola, le vacanze d'estate a Torino in sua compagnia:
"il pensiero è questo: che vorrei cambiare sesso ed essere una compagna di Nando per poterlo sposare io, tanto gli voglio bene. Ma penso che, se fossi una ragazza, non avrei l'occasione di andare con lui in bicicletta e allora è meglio che sia così e che siamo amici... Nando è un ragazzo simpatico e intelligente che, visto di profilo, pare già un uomo fatto, e di faccia invece è giovanissimo, perché ha due grandi occhi che si stupiscono e sorridono sempre. è sempre molto pulito e riavviato, non come me che dimentico qualche volta di pettinarmi."
Questo per me significa abbassare ogni barriera, una cosa che ho scoperto succedere specialmente nelle lettere: e il gioco dei sessi è bellissimo: chi è l'uomo? chi la donna? e chi il maestro e chi l'alunno? Pavese lo scontroso, il burbero, qui è tornato bambino.
Lui l'aveva introdotta alla letteratura americana e lei si era laureata su Melville. E poi erano trascorsi cinque anni in cui non era passato un giorno senza che i due si vedessero, in bicicletta, per Torino. A leggere quello che le scrive, c'è da chiedersi come sia possibile che lei abbia rifiutato di sposarlo per ben due volte. O forse è fin troppo chiaro. Perché è una resa incondizionata, quella di lui, anche se di una dolcezza disarmante. "Analisi amorosa di P." è il titolo che Pavese dà alla lettera dove letteralmente si spoglia davanti a Fernanda Pivano:
"Che potrà fare un uomo simile davanti all’amore? La risposta è evidente. Nulla, cioè infinite cose stravaganti che si ridurranno a nulla. Una volta che sarà innamorato, P. farà esattamente ciò che gli detta la sua indole e che è appunto ciò che non va fatto. Lascerà capire, innanzi tutto, di non essere più padrone di sé; lascerà capire che nulla per lui nella giornata vale quanto il momento dell’incontro; vorrà confessare tutti i pensieri più segreti che gli passeranno in mente; dimenticherà sempre di mettere la donna in posizione tale che essa lasciandolo si comprometterebbe. Questa, che è la prima elementare precauzione del libertino (il solo che applichi con impeccabilità la strategia amorosa), in P. invece si rovescia addirittura. P. si dimentica d’innamorare di sé la donna in questione, e si preoccupa invece di tendere tutta la propria vita interiore verso di lei, d’innamorare di lei ogni molecola del proprio spirito. Ecco la mania di assoluto, di simbolismo, che si diceva in principio. P. gioca (plays) fino in fondo la sua parte amorosa, primo per il suo bisogno feroce di uscire dalla solitudine, secondo per il bisogno di credere totalitariamente alla passione che soffre, per il terrore di vivere un semplice stato fisiologico, di essere soltanto il protagonista di un’avventuretta. P. vuole che ciò che prova sia nobile-, significhi, simboleggi una nobiltà sua e delle cose; diventi un idolo, insomma, cui valga la pena di sacrificare anche la vita, o l’ingegno – che sa di avere grande."
Questo Pavese mi fa letteralmente sentire ubriaca. Rido e piango. Mi fa ridere quando lo leggo, perché lui è così disperato di sé stesso che lo sento proprio sganasciarsi da solo ("si dimentica di innamorare di sé la donna in questione"); eppure lo sento anche piangere amaramente, e fa piangere anche me. Mi fa piangere perché non ho mai letto niente di più intimo e indifeso di questa lettera di arrendevole "analisi amorosa". Sento mio quel "terrore di vivere un semplice stato fisiologico": anche io voglio che sia nobile ciò che provo, e Pavese aveva davvero ragione. E non lo ha detto al mondo, no: lo ha detto a Fernanda Pivano. E anche se capisco bene che lei lo abbia rifiutato per due volte, perché un uomo con una sensibilità del genere deve fare davvero paura, allo stesso tempo non posso credere che lei lo abbia lasciato andare. Non riesco a credere che lei abbia voluto vivere una vita intera senza di lui: senza saperlo al mondo. Lui che in cinque anni non ha provato a baciarla mai, neanche una volta. La prova che i baci necessari esistono e che possono benissimo restare non dati, per sempre. Pavese è un autore che mi dà sicurezza e ho capito perché: perché è così sbagliato che ride di sé, perché vive in mezzo alla guerra e pensa solo alla croce della donna che non ha, ma molto più banalmente perché è un suicida. In questo, il suo pare un trionfo sulla morte, perché lui la controlla, la decide, in qualche modo. La sua biografia mi illude che lui abbia insomma governato la morte. Ma poi non può decidere della vita, tanto meno di quella di lei. Ho preso l' autobiografia di Fernanda Pivano che stava tra i libri di mio padre, e c'è un lungo inserto fotografico in cui è ritratta con tutti gli autori Americani della Beat Generation (questi sconosciuti). Senza Pavese non ci sarebbe stato niente di tutta quella vita, e da quella vita lui è assente, non c'è. Non è incredibilmente ingiusto? Che due persone si chiamino da lontano, a sbracciarsi, e non riescano a incontrarsi, a trovarsi per bene, come si deve? ad avere almeno una foto insieme? a darsi anche solo un bacio? onestamente sono un po' risentita con Fernanda Pivano.
La lettera più bella che le scrive secondo me è questa:
"Cara Fernanda,
se lei ignora l’odore del grano, intendo del grano in pianta, maturo, dondolante, sotto le nuvole e la pioggia estive, è sventurata e La compiango. Pensi che io non avevo mai sentito il grano in pianta, perché venivo sempre in campagna alla metà di luglio quand’è già mietuto, e questa volta è stato come quando un marito, separato dalla moglie da anni, ritorna a trovarla e gli pare un’amante – essa ha cioè delle parole, dei gesti, dei momenti a lui ignoti, a lui sfuggiti al tempo dell’amorosa passione, e che ora gli paiono rivelargli tutto il dolce del primo amore.
Mi metto dunque, stamattina, per le strade della mia infanzia e mi riguardo con cautela le grandi colline – tutte, quella enorme e ubertosa come una grande mammella, quella scoscesa e acuta dove si facevano i grandi falò, quelle ininterrotte e strapiombanti come se sotto ci fosse il mare – e sotto c’era invece la strada, la strada che gira intorno alle mie vecchie vigne scomparse, alla svolta, con un salto nel vuoto. Da questo salto non ero mai passato; si diceva allora che la strada proseguiva sempre a mezza costa, sempre affiancata da colline di così enorme estensione da apparire, viste sopra la spalla, come un breve orizzonte a fior di terra. Ero sempre arrivato soltanto a quest’orizzonte, a questi canneti (capisce? E come quando stesi nel prato, si guarda l’erba: chiude il cielo e sembra una foresta), ma presentivo di là dal salto, a grande distanza, dopo la valle che espande come un mare, una barriera remota (piccina, tanto è remota) di colline assolate e fiorite, esotiche. Quello era il mio Paradiso, i miei Mari del Sud, la Prateria, i coralli, l’Ophir, L’Elefante bianco ecc. Stamattina che non sono più un ragazzo e che il paese in quattro e quattr'otto l'ho capito, mi sono messo per questa strada e ho camminato verso il salto e ho intravisto le colline remote e ripreso cioè la mia infanzia al punto in cui l'avevo interrotta. La mia valle era vaporosa e nebbiosa, la barriera era lontana, chiazzata di sole e di campi di grano, era quel che dev'essere il corpo della propria donna quand'è bionda. Qui naturalmente non parla piu il bambino, l'infante, ma un uomo che è stato quel bambino e adesso è felice di esser uomo e di ricordarsi di Fernanda.
Ciao
                Pavese."
Pavese dice che descrivere i paesaggi è cretino. E infatti qui lui non sta affatto descrivendo un paesaggio, no. Qui Pavese sta iniziando Fernanda Pivano al mito della sua infanzia e della sua adolescenza, ma le sta dicendo anche qualcos'altro: cara Fernanda, anche se abbiamo scherzato più volte, io non sono un bambino; sono un uomo, e ti amo. E per renderglielo come più tangibile, questo amore, lui la prende e la innesta nel suo mito come fosse una pianta, nelle sue colline, fin dentro al grano: pura bellezza. Io quando leggo quel ciao alla fine, scritto dopo averle dato del lei tutto il tempo, penso proprio che per quella bellezza avrei rifatto il viaggio della lettera al contrario, mi sarei messa in ginocchio davanti a quest'uomo pieno di problemi e gli avrei riempito le mani di baci: poi lo avrei implorato, per carità, di sposarmi. 
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tuttalamiavitarb · 2 years
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Non si finisce mai di imparare
Caro diario oggi ho appreso da un anziano cliente , due lezioni su come si vive che porterò sempre nel mio cuore burbero
Lezione numero 1 vi trovate in una città a caso e vi scappa la cacca grossa.
Ebbene il primo posto da cercare appena avvertite uno strizzone non è un centro commerciale od un bar, ma le cappelle del commiato più vicine.
Li c è un sacco di gente che va e viene, nessuno farà caso a voi o vi farà domande.
Il bagno di solito si trova in disparte e potrete fare il rumore che vi pare ed il puzzo che pare.
Lezione n 2
Pestate la maleducazione del padrone di un cane
Trovate un bagno, ( per esempio guardate la lezione 1) e pulite il misfatto con lo scatizzola merde, tirate lo sciacquone ed è tutto come nuovo
Ciauz
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