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#la vita con un militare
fridagentileschi · 5 months
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Delle Big Babol e delle cartoline attaccate alle bici con le mollette da bucato. Delle toppe sui jeans e delle merendine del Mulino Bianco. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga. Al massimo una volta a settimana in piscina, giusto per imparare a nuotare.
Poi siamo cresciuti, e la nostra adolescenza è arrivata proprio negli anni ’80, con la musica pop, i paninari e il Walkman. Burghy e le spalline imbottite. Madonna e il Live Aid. Delle telefonate alle prime fidanzate con i gettoni dalle cabine e delle discoteche la domenica pomeriggio. Di Top Gun e Springsteen. Dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Delle gite scolastiche in pullman e delle prime vacanze studio all’estero.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie con giusto un po’ di nonnismo. Nel frattempo magari un Inter Rail e infine un lavoro. All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre."
Quelli del tempo delle mele
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gcorvetti · 3 months
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Marcello Vanzo è alla guida di una piccola cabina di una funivia che martedì 3 febbraio 1998 sta scendendo verso Cavalese, in Val di Fiemme, sulle Dolomiti. Accompagna a valle 19 turisti, italiani, tedeschi, olandesi, belgi e anche un adolescente polacco di 14 anni. É il suo lavoro. Da una vita porta su e giù la gente che va in montagna per sciare, arrampicarsi, fare passeggiate. E anche quel giorno soleggiato, in piena stagione turistica, è lì. Anche se quello non sarebbe il suo turno, ma quello di un collega, che però impossibilitato a lavorare, gli ha chiesto di dargli il cambio. E Marcello l’ha fatto. Chissà cosa avrà pensato alle 15.12, la cabina iniziare ad oscillare, a muoversi violentemente, a volare nel vuoto per 150 metri fino a schiantarsi a terra, vicina al fiume Avisio. Chissà cosa avrà pensato mentre diventava una delle venti vittime della strage del Cermis.
Quel 3 febbraio 1998 dalla base militare di Aviano, intorno alle 14.30, decolla un Prowler EA-6B dell’aviazione statunitense. Si tratta di un velivolo equipaggiato per la guerra elettronica. A bordo l’equipaggio è composto da 4 elementi: il Capitano Richard Ashby, pilota e comandante dell'aereo, il Capitano Joseph Schweitzer, navigatore, e due addetti ai sistemi di guerra.
Il piano prevede un addestramento a bassa quota. Il limite che gli aerei militari dovrebbero mantere, anche in caso di voli radenti è 650 metri, ma alcuni testimoni dicono di averlo visto sorvolare il lago di Stramentizzo a pelo d’acqua. Altri affermano di aver avuto chiaramente l’impressione che ad un certo punto il jet volesse passare tra i due gruppi di cavi della funivia distanti tra loro appena 40 metri. Per questo il Prowler impatta le funi facendo precipitare la cabina. L’aereo, seppur danneggiato, riesce a tornare alla base. La magistratura italiana mette il Jet sotto sequestro e inizia un’indagine ma in forza delle convenzioni tra Italia e USA sui militari Nato,è la giustizia militare americana a dover esprimersi sul caso. Un caso che appare subito chiaro a tutti.
Ashby, il pilota del Prowler, veterano della guerra in Bosnia, stava giocando. Il suo secondo Schweitzer affermerà anni dopo di aver fatto dei video del paesaggio, poi distrutti appena arrivati ad Aviano. Il jet volava sottoquota e a una velocità eccessiva, e quel passaggio tra i cavi della funivia è un segnale evidente dell’atteggiamento criminale che caratterizza tutto il volo.
Eppure nel marzo 1999 una giuria militare statunitense li assolverà entrambi dal reato di omicidio colposo, sostenendo che l’altimetro dell’aereo era rotto e che la funivia non era segnalata nelle carte. L’unica condanna che arriva è per intralcio alla giustizia, legata alla distruzione del filmato di volo.
Ennesimo incidente impunito di un'invasione camuffata da alleanza con dei tizi arroganti e psicopatici, quando li manderemo a casa sarà tardi, anzi è già tardi.
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mnemomaz · 2 months
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Alcuni dei grandi pensatori ebrei sopravvissuti all’Olocausto hanno trascorso il resto della loro vita cercando di dire al mondo che quell’orrore, pur essendo stato letale come nessun altro, non doveva essere visto come un’aberrazione. Il fatto che l’Olocausto fosse successo significa che era e rimane possibile.
Il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman sosteneva che la natura imponente, sistematica ed efficiente dell’Olocausto era legata alla modernità, anche se non era affatto predeterminata, ed era in linea con altre invenzioni del novecento.
Theodor Adorno studiò quello che rende le persone inclini a seguire i leader autoritari e cercò un principio morale che impedisse un’altra Auschwitz.
Nel 1948, Hannah Arendt scrisse una lettera aperta che cominciava così: “Tra i fenomeni politici più inquietanti dei nostri tempi c’è l’emergere nell’appena nato stato di Israele del Partito della libertà (Tnuat haherut), una forza politica strettamente affine per organizzazione, metodi, filosofia politica e attrattiva sociale ai partiti nazisti e fascisti”.
Appena tre anni dopo l’Olocausto, la filosofa paragonava un partito israeliano al partito nazista, cosa che oggi sarebbe considerata una violazione della definizione di antisemitismo dell’Ihra.
Arendt basava il suo paragone su un attacco effettuato dall’Irgun, un predecessore paramilitare del Partito della libertà, contro il villaggio arabo di Deir Yassin, che non era stato coinvolto nella guerra e non era un obiettivo militare. Gli aggressori “uccisero la maggior parte dei suoi abitanti – 240 tra uomini, donne e bambini – e tennero in vita alcuni di loro solo per farli sfilare come prigionieri per le strade di Gerusalemme”.
Da Internazionale 1546, 19 gennaio 2024 Masha Gessen
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curiositasmundi · 2 months
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Oggi ci troviamo in una situazione molto pericolosa. La guerra non è solo un campo di battaglia per le armi, ma anche per l’informazione. Julian è stato messo in prigione per aver pubblicato notizie vere su una guerra impopolare, come era quella in Iraq, dove le forze di occupazione americane controllavano totalmente la narrazione dei fatti”.
Con queste poche parole al Fatto Quotidiano, Stella Moris, la moglie del fondatore di WikiLeaks, centrava l’essenza del caso Assange e WikiLeaks, mentre la guerra in Ucraina era appena all’inizio. Oggi che da Gaza a Kiev, la guerra brucia migliaia di vite innocenti e per Julian Assange è l’ultima chiamata, le parole di Stella rimangono la sintesi perfetta del caso. Sì, perché l’unica ragione per cui Assange non ha più conosciuto la libertà e rischia di perderla per sempre, forse nel giro di pochi giorni o di pochi mesi, è che lui e WikiLeaks hanno esposto le atrocità e le manipolazioni della macchina della guerra su larga scala come mai nessuna organizzazione giornalistica, aprendo uno squarcio profondo in quel “Potere Segreto”, che è il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma non solo: WikiLeaks non ha rivelato soltanto i crimini del mondo occidentale. Ha esposto anche i massacri dei talebani, la ferocia di al Qaeda e le complicità di tanti Paesi non occidentali nella War on Terror. Per Assange è stata la fine.
Dal 2010 a oggi: dall’arresto all’ultima udienza Inumato da vivo dal 2010, all’età di 39 anni, quando lui e WikiLeaks iniziarono a pubblicare i 700 mila documenti segreti del governo americano. Questa mattina, il giornalista australiano comparirà davanti alla High Court di Londra, per quella che può essere l’ultima udienza sul suolo inglese. Se la High Court confermerà l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni di prigione, ad Assange rimarrà solo una possibilità: appellarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma il rischio che possa venire estradato prima che la Corte emetta misure protettive è reale.
I file segreti sulla verità delle guerre americane Le rivelazioni di WikiLeaks, per cui il suo fondatore rischia di passare la vita in prigione, sono tra gli scoop più grandi nella storia del giornalismo. I 91.910 Afghan War Logs e i 391.832 Iraq War Logs, report segreti sulla guerra in Afghanistan e in Iraq rispettivamente, hanno permesso di bucare la nebbia della guerra proprio mentre questa era in corso e non dopo trenta o quaranta anni dopo, quando ormai quei conflitti non interessavano più a nessuno, a parte gli storici di professione, perché troppo lontani nel tempo. Grazie a quei file segreti, abbiamo potuto confrontare quello che la macchina della propaganda ci raccontava su quelle due guerre e quello che accadeva sul campo, secondo il racconto dei soldati americani che li combattevano.
Afghanistan: conflitto perso in partenza Abbiamo così scoperto, per esempio, che già nel 2010 la guerra in Afghanistan era un conflitto senza speranza: dopo dieci anni, le truppe americane e della coalizione Isaf, di cui faceva parte anche il nostro paese, avevano ottenuto così poco che nel distretto di Herat, controllato dagli italiani, le forze di polizia afghane da noi addestrate avevano problemi così seri che molti di loro si univano ai talebani, perché non venivano pagati e non si capiva dove andavano a finire i loro salari. La situazione appariva così compromessa che alcuni arrotondavano con i sequestri di persona. Mentre la propaganda ci raccontava le magnifiche sorti progressive del conflitto afghano, i 91.910 documenti fotografano un fallimento che, undici anni dopo, nell’agosto del 2021, ci avrebbe portato al ritiro. Gli Afghan War Logs ci hanno permesso di scoprire unità segrete mai emerse prima, come la Task Force 373, un’unità di élite che prendeva ordini direttamente dal Pentagono. La brutalità dei raid portati avanti nel cuore della notte da queste forze speciali, aveva prodotto stragi tra forze afghane alleate, bambini e donne, creando un forte risentimento contro gli americani e contro le truppe alleate da parte della popolazione locale. A oggi gli Afghan War Logs rimangono l’unica fonte pubblica per ricostruire attacchi, morti civili ed esecuzioni stragiudiziali tra il 2004 e il 2009, a causa della segretezza di quelle operazioni. E sono una delle pochissime fonti che permettono di ricostruire i civili uccisi prima del 2007, su cui neppure la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, l’Unama, che compila queste statistiche, possiede dei dati affidabili.
Iraq; i morti mai contati e il carcere di Guantanamo Quanto agli Iraq War Logs, hanno permesso di rivelare, tra le altre cose, 15 mila vittime mai conteggiate prima nella guerra in Iraq. Possono sembrare statistiche, puri numeri, in conflitti come quello in Iraq, che ha registrato circa 600 mila civili uccisi e 9,2 milioni di rifugiati e sfollati – ovvero il 37 per cento della popolazione prima dell’invasione americana dell’Iraq – ma quei 15 mila civili mai conteggiati prima erano padri, madri, fratelli. È un diritto umano sapere che fine ha fatto una persona cara. E l’unica giustizia che quegli innocenti hanno avuto, è la verità fatta emergere da WikiLeaks. I documenti segreti sul carcere di Guantanamo Bay hanno permesso di conoscere 765 su 780 detenuti del lager, facendo emergere per la prima volta le ragioni per cui gli Stati Uniti li avevano trasferiti nel campo di detenzione, tra informatori comprati e torture da Inquisizione.
I cablo tra gli Usa e altri Paesi (Italia compresa) Ma le rivelazioni più cruciali sono sicuramente quelle che emergono dai 251.287 cablo: le migliaia di corrispondenze diplomatiche inviate da 260 ambasciate e consolati americani in 180 Paesi, che hanno fatto affiorare scandali, abusi, pressioni, come quelle sulla politica italiana per garantire l’impunità agli agenti della Cia (Central Intelligence Agency) responsabili per il rapimento e la tortura di Abu Omar o i sospetti dell’Amministrazione di George W. Bush che l’Italia pagasse mazzette ai talebani per evitare attacchi ai suoi soldati in Afghanistan. È per questo lavoro giornalistico, e solo per questo, che gli Stati Uniti vogliono seppellire per sempre Julian Assange in una prigione.
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duca-66 · 8 months
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11/09/1973
Le ultime parole alla radio, rivolte al popolo cileno, del presidente socialista del Cile, Salvador Allende, poco prima di essere ucciso dalle truppe golpiste del generale Augusto Pinochet, il quale, sostenuto dagli USA, prenderà il potere e darà vita ad una dittatura durissima, fatta di repressioni sanguinarie e omicidi di stato. La dittatura militare finirà nel 1988 con un referendum popolare.
" Sono sicuro, che il seme che abbiamo depositato, nella coscienza, degna del popolo cileno, non potrà mai essere falciato".
Salvador Allende.
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occhietti · 9 months
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06/08/1945
La prima bomba atomica
fu sganciata su Hiroshima
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Sono le 8,14. L'aereo è giunto su Hiroshima. La bomba denominata Little Boy precipita. Alle 8,15 la bomba esplode a poco meno di seicento metri d'altezza.
Un lampo, un ciclone di fuoco, un fungo gigantesco che saliva al cielo, poi un vento della forza di 1200 chilometri e la città scomparve dalla faccia della Terra, non con una morte nera ma con un abbagliante sole sceso sulla terra.
In 70 mila muoiono all’istante, spazzati via dalla potenza della deflagrazione dell’ordigno, come circa il 90% degli edifici presenti in città. Altri 100 mila moriranno nelle settimane e nei mesi successivi a causa delle ferite riportate e per l’avvelenamento da radiazioni. 
Vite umane liquefatte, ritornate atomi, calcinati i corpi, ustionati, piagati e contaminati dalle radiazioni dal punto zero fino a dodici chilometri di raggio. Fu questione di un attimo, per molti abitanti appena il tempo di percepire l’immenso lampo luminoso.
Nella zona dell’ipocentro la temperatura balzò in meno di un decimo di secondo a 3000-5000-50.000- 800.000 °C. Ogni forma di vita nel raggio di ottocento metri svanì in seguito all’evaporazione dovuta al tremendo calore.
Tutto è finito, arso, smaterializzato, tutto è ritornato in molecole, in atomi. In quel fungo rossiccio che si alza in cielo, ci sono gli atomi di migliaia di esseri umani.
Quando scompare la nuvola, di Hiroshima non resta più nulla. Una città con la cornice della morte.
La sera, il Presidente Truman annuncia la verità al mondo. Truman è felice.
"Con questa bomba noi abbiamo ora raggiunto una gigantesca forza di distruzione, che servirà ad aumentare la crescente potenza delle forze armate. Stiamo ora producendo bombe di questo tipo, e produrremo in seguito bombe anche più potenti."  (Comunic.Ansa, 6 agosto 1945, ore 20,45).
- web
"L'uomo ha inventato la bomba atomica,
ma nessun topo al mondo
costruirebbe una trappola per topi."
- Albert Einstein
Albert Einstein non partecipò mai attivamente alla costruzione della bomba atomica, ma la sua formula E= mc^2 fu indispensabile per sviluppare la bomba atomica perché implicava l’equivalenza tra massa ed energia generando una bomba a fissione nucleare, un’arma di distruzione di massa. 
Einstein si oppose all’uso militare del nucleare, ma aiutò la ricerca fiducioso del fatto che l’America non avrebbe mai usato le bombe per attaccare e distruggere ma solo in caso di difesa, qualora costretta. 
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gregor-samsung · 6 months
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" Il mio bisnonno Dorino, classe 1888, diceva di aver combattuto tutte le più grandi battaglie della Prima guerra mondiale. Di certo, era stato protagonista di almeno due conquiste storiche, quella del Carso e quella del Monte San Michele. Militare semplice di fanteria, raccontava incredulo di aver assistito alla morte, al ferimento e alla mutilazione di decine di suoi commilitoni durante i combattimenti, ma di essere rimasto completamente illeso. Neanche un graffio, un proiettile di striscio. Nulla. Tirava fuori questa storia ogni volta, durante le feste di Natale, con la famiglia riunita e qualche bicchiere in corpo. Si commuoveva ricordando gli amici caduti e non si capacitava del proprio destino di miracolato. L’episodio più sbalorditivo però gli era accaduto dopo le battaglie del Carso e del San Michele, quando l’intero battaglione era stato inviato in Albania. In seguito ai successi conquistati anche su questo campo, la truppa aveva ottenuto una licenza premio per tornare a casa qualche giorno. Si era dunque imbarcata al porto di Valona su una nave diretta in Italia, ma pochi attimi prima della partenza è giunto un gruppo di ufficiali e per fare posto ai graduati alcuni militari semplici sono stati fatti scendere. Fra loro c’era anche Dorino. Le sue vibranti proteste per questa ingiusta e improvvisa sostituzione sono rimaste inascoltate. Tuttavia, pochi minuti dopo la partenza la nave è stata silurata e affondata dalle flotte nemiche e l’intero equipaggio è perito nell’attacco. Ancora una volta, la sorte aveva deciso di graziarlo, e nel modo più plateale possibile.
Per quanto fossi molto piccolo, mi ricordo del bisnonno che raccontava queste storie trattenendo a stento l’emozione, anche se solo diversi anni dopo ne avrei compreso il contenuto. Mi sono trovato anche a riflettere sui suoi racconti e sulla sua inspiegabile sorte. Forse è insito nel mio DNA: sono destinato a sopravvivere. È un lascito ereditario che scorre nel sangue della mia famiglia. Proprio come Dorino che ripeteva la sua incredibile storia a chiunque volesse ascoltarla, anche io sono sopravvissuto a una guerra perché il mio ruolo è raccontarla. "
Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta, Mondadori, 2023¹; pp. 57-58.
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internod · 6 months
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𝐈𝐍𝐓𝐄𝐑𝐕𝐄𝐍𝐂𝐈𝐎𝐍 / actividad siete.
Entre cristales rotos y molestas astillas, aquellos músculos que se destensan entre golpes y música llena de ideales parecen no querer ceder, aún cuando las horas pasan — el vitae proporcionado en la barra resulta ideal para dar un respiro a tanta adrenalina y continuar con energético evento. Sin importar que el caos sea terreno base, aquel estruendoso chirrido que hace eco sobre todo metro cuadrado es suficiente para obligar a vástagos de sensibles sentidos a tapar sus oídos, capturando atenciones dispersas de manera brusca y casi inentendible. Confusión se nota en cada entrecejo que se frunce y cada boca que entre amplitud sonora pretende insultar, y son largos metros de tela blanca que caen lentamente desde los techos los que terminan por sellar estado. De una manera tan irónicamente militar, decena de anarquistas se ordenan con rapidez para acomodar proyectores frente a nuevas pantallas, sin responder dudas de los más impacientes y sólo aguardando que las luces se apaguen por completo antes de darle inicio a la gran presentación.   
En la pantalla, una escena mal grabada se despliega, mostrando a escondidas al consejero del Príncipe y la Baronesa en un oscuro rincón de la ciudad, una noche donde los secretos y las traiciones se tejieron entre las sombras. — Sólo he hablado contigo ahora. ¿Dónde está Hinata? ¿Qué garantías tengo de que cumplirán su parte del trato? — Solo una vez que los anarquistas sean neutralizados, podremos establecer un dominio inquebrantable y podrás cenar a su lado en el palacio. Hay una pausa entre la dupla, una desconfianza que aunque palpable, poco significa para quienes murmuran entre diversos públicos.  — ¿Tienes listos los territorios que te pedimos?  La baronesa asiente, y las imágenes, aunque borrosas, capturan la esencia de la conspiración: un apretón de manos entre dupla dispar que termina de sellar todas aquellas dudas sobre a quién pertenecía la lealtad de la mujer. Entre palmas, un sobre de madera deja a una de las partes para ser entregada a la secta dominante.   — Pero asegúrate de que tus hombres estén listos para actuar. Los anarquistas no serán fáciles de derrotar.  —  Para eso estás tú, querida. 
Escena de lejos podría parecer dócil, pero entre aquel audio de baja calidad, el beso que Benno deposita sobre el dorso de la pelirroja se siente como una amenaza. Aún cuando el tipo ha demostrado frente a los neonatos tener poco poder, su aura agresiva es impasable para cualquiera. Video se corta repentinamente, y sólo entonces, precedido por un pesado bufido, la voz de uno de los anarquistas se reproduce en cada parlante disponible. 
 — Lo que contemplamos es una traición que ha estado oculta ante nuestros ojos durante demasiado tiempo. El consejero del príncipe y la baronesa han estado negociando a nuestras espaldas, deliberando sobre el futuro de nuestros territorios, sin tomar en cuenta nuestras vidas, nuestras voces. ¿Cuánto tiempo más seguiremos aceptando que nuestras costas sean utilizadas a gusto por el Príncipe? ¿Por cuántos ghouls de la alta sociedad permitiremos que nuestra falsa líder siga en pie?
Su voz es tan firme como sus ideales, una postura tan decidida como la que ha tenido desde el momento de planear el que parecía un evento simplemente divertido.  
 — Este video es sólo una manera de mostrarles lo que hace tiempo venimos notando, cómo nuestra Gangrel se ha convertido en el perrito faldero de la Torre de Marfil y cómo nos pone en vergüenza a todos los habitantes de las afueras de Tokyo. No podemos permitir que tomen nuestras tierras ni sigan trabajando sobre ellas a gusto, ¡debemos recuperar el Papillon y el puerto cuanto antes!
Sus seguidores vociferan a su favor, elevan sus puños con un ardor tras sus ojos que desenfunda un enojo que lleva noches calcinándose. Si hay dudas sobre la veracidad de hechos, ellos no son quienes las pondrán en jaque.
 — Esto es lo que somos, esto es lo que representamos. Y esta es la resistencia que podemos lograr cuando unimos nuestras fuerzas. ¡Hermanos del Sabbat! ¡Pulgas de la Camarilla! No teman a las represalias de sus antiguos, teman al poder de la gente y lo que podemos hacer contra los traidores. Esta misma noche traeremos la cabeza de Nikza a este mismo lugar, ¡y la de cualquiera que se atreva a dar aviso a cualquier líder! 
Mano que se cierra sobre sí, venas inertes que se marcan en su cuello dejan ver la rabia que crece con cada palabra que da el anarquista. 
 — ¡Salgan, vástagos! ¡Encuentren a la Baronesa o escóndanse bajo el ala de la tiranía nuevamente! ¡Destrocen lo que encuentren y molesten a los guardias de la Camarilla! ¡Luchemos por la libertad, por la resistencia y por la perpetuidad de nuestra noche eterna! 
𝐀𝐂𝐋𝐀𝐑𝐀𝐂𝐈𝐎𝐍𝐄𝐒 𝐎𝐎𝐂.
⦾ El conocimiento de estos sucesos es obligatorio para todos los personajes, y su respectivo manejo queda en manos de ustedes, usuaries. Pueden decidir adaptar algunas o todas de sus convos a cualquier momento en el que quieran centrarse de esta intervención, ya sea durante o después, pero la inclusión de esta intervención es obligatoria.
⦾ A pesar de la obligatoriedad de incluir la intervención, sus personajes son libres de elegir sí se unirán a las filas de caos de los anarquistas o si prefieren no tener curiosidad alguna sobre lo que suceda las próximas horas. Una intervención complementaria será publicada en breve al respecto de esta decisión. 
⦾ En caso de contar con cualquier duda o consulta, no duden en acercarse al main.
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fridagentileschi · 9 months
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RINO GAETANO: UCCISO DAI POTERI FORTI
Era amico della figlia del medico personale di Licio Gelli: era lei la fonte di tante rivelazioni che poi sarebbero finite nelle sue canzoni, in un gioco tanto pericoloso da costargli la vita?
Sono gli interrogativi che l’avvocato salernitano Bruno Mautone solleva, nel suo secondo libro sulla strana morte di Rino Gaetano, fino a chiedere alla magistratura romana di riaprire le indagini sulla scomparsa del cantante, morto nella capitale il 2 giugno 1981, a soli trent’anni di età, dopo esser stato investito da un camion. Impressionante l’elenco delle “stranezze” che Mautone riassume nel pamphlet, “Chi ha ucciso Rino Gaetano?”, edito da Revoluzione nel 2016. Davvero moltissimi i riferimenti, nelle canzoni di Gaetano, a episodi imbarazzanti della politica italiana. Desta scalpore, inoltre, l’infelice sorte di un grande amico del cantautore crotonese, altra possibile fonte di informazioni riservate: una morte-fotocopia (incidente stradale) altrettanto prematura. Il giovane, che lavorava presso consolati stranieri, fu sepolto al Verano accanto all’artista, ma poi disseppellito e trasferito in un altro cimitero. Curiosità: l’autore dello spostamento dei resti mortali, scrive il blog “Scomparsi”, ha una identità «che coincide con un personaggio storico dello spionaggio italiano, collegato addirittura al “Noto Servizio”». Si tratta di apparato riservato dello Stato «che compiva atti di intelligence in modo autonomo rispetto ai servizi istituzionali», prima il Sid e poi il Sismi e il Sisde, «spesso sfociando in atti illegali e gravissimi». Specialità inquietante del “Noto Servizio” «risultò essere, con atti sequestrati e acquisiti dalla magistratura, l’uccisione di persone ritenute “scomode” con incidenti stradali». Nel libro, Mautone ricostruisce le vistose anomalie dell’incidente che causò la morte di Gaetano, travolto da un camion e poi morto dissanguato, nella notte, a bordo di un’ambulanza militare, dopo che il ricovero fu rifiutato dal pronto soccorso di diversi ospedali. Una vicenda su cui inutilmente chiesero di fare luce, subito dopo, due senatori del Msi, Araldo di Crollalanza e Tommaso Mitrotti. Dal governo Forlani, un muro di silenzi e omissioni: il liberale Renato Altissimo, autore della risposta, non precisò l’ora dell’incidente sulla Nomentana, non disse chi allertò i soccorsi e come, né perché intervenne un’unica ambulanza nonostante fosse ferito anche il camionista coinvolto nell’incidente, esanime sull’asfalto, accanto all’artista intrappolato nella sua Volvo. Nella risposta di Altissimo, inoltre, «non si precisa perché l’unica ambulanza intervenuta fosse un mezzo poco attrezzato dei vigili del fuoco e perché Rino, una volta prelevato con una gravissima ferita cranica, venne condotto fatalmente in un ospedale privo del reparto di traumatologia cranica».
Non si fanno neppure i nomi dei medici che avrebbero curato o cercato di curare il ferito in quelle condizioni, né si fa cenno ai presunti motivi che spinsero altri ospedali, pur allertati, a non approntare nessuna forma di soccorso. Non si dice nemmeno chi convocò il medico traumatologo, fatto accorrere al Policlinico, né il nome dello specialista e degli altri sanitari coinvolti. Tanta evidente vaghezza finisce per moltiplicare i sospetti: «Sin dai primi momenti, la morte prematura dell’artista calabrese suscitò interrogativi e dubbi». Oltre alla storia dell’amico impegnato in uffici diplomatici, che di lì a poco avrebbe seguito Rino Gaetano nel cimitero maggiore della capitale (per poi esservi rimosso), Mautone rimarca una clamorosa dichiarazione rilasciata da Rino dopo i trionfi sanremesi al giornalista Manuel Insolera: il festival della canzone viene paragonato in modo esplicito ad «un ordine massonico». In un articolo della “Stampa” di Torino, pubblicato il 3 giugno 1981 all’indomani della morte del cantante, si rileva come i testi di diverse canzoni facessero riferimento alle scabrose cronache della P2. A Mautone non sfugge che Rino Gatano è statoesplicitamente citato da Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, nel suo discorso ufficiale di insediamento, il 6 aprile 2014, utilizzando un verso del cantante per sottolineare la necessità di concordia: «Vi ricordo che cosa cantava Rino Gaetano: “Chi nuota da solo affoga per tre”».
«Una notizia di grande interesse – aggiunge il blog “Scomparsi” – è rappresentata da una stretta frequentazione di Rino: nel cerchio delle sue più care amiche si annovera la giornalista Elisabetta Ponti, figlia di un medico, Lionello Ponti, che risultò inserito nella lista della P2 ed era il sanitario di fiducia di Licio Gelli». Il libro di Mautone, poi, mette a fuoco i costanti, fittissimi riferimenti (cifrati) con cui Rino Gaetano alludeva, nelle sue canzoni. Nella canzone “La zappa, il tridente, il rastrello” compare direttamente “una mansarda in via Condotti”, che – si scoprirà poi – ospitava il vertice della P2. Decisamente inquietante, poi, il brano “La ballata di Renzo”, inciso nel 1970 ma uscito soltanto nel 2009, postumo. Sembra l’anticipazione, profetica al millimetro, della fine che attendeva l’artista – una sorta di contrappasso dantesco. “Quando Renzo morì, io ero al bar”, cantava Rino. L’incidente, poi l’odissea in ambulanza: “S’andò al san Camillo, e lì non lo vollero per l’orario”. Altro ospedale: “S’andò al san Giovanni, e lì non lo accettarono per lo sciopero”. E quindi l’epilogo, con persino il sinistro riferimento cimiteriale: “Con l’alba, le prime luci, s’andò al Policlinico, ma lo respinsero perché mancava il vice capo. In alto c’era il sole, si disse che Renzo era morto. Ma neanche al cimitero c’era posto”
Rino Gaetano piaceva molto ai giovani. Li faceva riflettere sulla società che li circondava: era scomodo. La sua morte è stata utile al sistema per addormentare i giovani...poco dopo la sua morte infatti il sistema aiuterà l'affermarsi di un tossico ubriacone che insegnerà ai giovani a spegnersi come massimo della ribellione tra una dose di eroina e due litri di alcol come un non plus ultra della vita spericolata e a diffidare di chi cerca di andare oltre le cose...i giovani lo hanno eretto idolo in varie generazioni dagli anni 80 a oggi...alle droghe e all'alcol ha aggiunto il siero come massimo del servilismo edonista a un sistema che si può fregare solo annullandosi come esseri pensanti... embè eh già..
Guardate Maurizio Costanzo (membro della ex-loggia massonica P2) come e' irritato della presenza del cantante...
https://www.youtube.com/watch?v=0Y7eE3gNepI
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donaruz · 10 months
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CLASSIFICAZIONE DEI SEDUTTORI ONLINE:
1) L'ANALFABETA: "O visto le tue foto mi ai piaciuto molto".
2) IL BUZZURRO: " Incontriamoci e poi vedi che ti faccio".
3) LO SBRIGATIVO: " Dammi il tuo cell che ti chiamo".
4) LO PSICOLOGO: " In questo tuo rifiuto di incontrarmi ,leggo una tua inibizione sessuale. Devi avere ricevuto una educazione molto rigida che ti condiziona ancora oggi".
5 ) IL FILOSOFO: "La vita è breve. Godiamocela. Ricordi il carpe diem di Orazio? Viviamoci quest'attimo".
6) L'INTELLETTUALE: "Scrivi benissimo. Potrei farti scrivere su qualche giornale per cui scrivo io, ma prima sarebbe meglio incontrarci e parlarne a voce".
7) IL POLITICO: "Le compagne come te mi eccitano".
8 ) IL RINCOGLIONITO: "Sono vedovo da anni, ma sessualmente molto attivo. Ho 79 anni, ma a letto sono un vulcano. Se ci incontriamo te ne renderai conto".
9) LO SFIGATO: "ho 55 anni vivo solo con mia madre anziana, ho bisogno di una donna, vuoi venire a vivere con me? ".
10) L'IRASCIBILE: "Ma chi ti credi di essere per dire a me, che non vuoi incontrarmi? E chi sei ? Lady Diana? ".
11) IL TECNOLOGICO: "ai wuozzap? ai skaip? ai la veb cam?".
12 ) IL CRIPTICO: "Ke fai? cm va? tt bn? 6 bona".
13 ) LO SDOLCINATO: "Tu sei la gomma, io la matita, non cancellarmi dalla tua vita ❤".
14 ) IL BASTARDO BUGIARDO SPUDORATO: "Sono sposato, ho due figli, ma sto separandomi. Ti seguo da sempre. Posso dirti, senza timore di essere frettoloso, che ti amo. Non voglio perderti. Dammi una chance".
15) IL MILITARE (statunitense o inglese): "Vista tua foto tu molto bella io vedovo, moglie morta in incidente io solo (ma a volte con bambini) honey, voglio una vita con te con la benedizione di Dio".
(Dal gruppo al femminile: Donne-Dee-Regine)
😁
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libero-de-mente · 9 months
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VACANZE
Non esiste cartina tornasole, come prova decisiva, delle vacanze estive per comprendere come il tempo passi. E come rimpianti si acuiscono.
Il tempo passa e smaschera le nostre incoerenze, le certezze di ieri non sono quelle di oggi così come i "non ce la posso fare" di ieri essere dei rimpianti di oggi.
Estate 2023.
Figlio uno partirà tra qualche giorno con amici in auto, destinazione Toscana; figlio 2 parte oggi con la sua Rebecca, destinazione Trentino. Uno al mare l'altro in montagna.
Entrambi lontani centinaia di chilometri da me.
Sono due ragazzi, i miei figli, che si sono visti frenare la loro vita sociale e di aggregazione, quando stava per nascere, dagli anni bui della pandemia. La scuola in DAD, le zone rosse, i coprifuoco e le mascherine a coprire i loro sorrisi da adolescenti.
Il distanziamento sociale che per alcuni adulti è stata una pausa, un gran respiro per staccarsi da situazioni tossiche, è stato per i ragazzi una brusca frenata nella loro vita sociale.
Come quando ti ritrovi a bloccare in frenata l'auto lanciata di corsa in autostrada, un rallentamento che altera inevitabilmente la media tempo/percorrenza.
L'anno scorso fu figlio 1 a fare il primo passo, chiese e ottenne di andare in Campania. Prese l'autobus autostradale una sera di agosto. Lo accompagnammo, ci salutò e salì in maniera composta sul mezzo.
Lo guardavo sbirciandolo dalla portiera dell'autobus, lo stavo osservando mentre guardava fuori dal finestrino quando venni distratto dalle voci concitate di due persone.
Uno dei due conducenti stava discutendo con un ragazzo perché sprovvisto di mascherina, per le norme in vigore non poteva salire.
Notai lo sguardo supplichevole del ragazzo, se avesse perso quel mezzo quella sera probabilmente gli sarebbero saltati tutti i suoi piani.
Ho immaginato a una famiglia che lo aspettava, a una compagna o a degli amici con cui poi partire per altre destinazioni.
Mentre pensavo a tutto ci mi ero mosso automaticamente raggiungendo la mia auto, tenevo sempre delle mascherine di scorta così ne presi una e la offrii al ragazzo.
Mi ringraziò e riuscì a salire a bordo. Fu allora che riguardando Daniele, mio figlio che probabilmente non si era accorto di quella scena, lo vidi in lacrime. Stava piangendo a singhiozzo.
Credo che sia stata una di quelle volte, in vita mia, in cui mi si è letteralmente fermato il cuore. Non potendo salire per motivi di sicurezza lo chiamai al telefono.
Lo ascoltai, lo rincuorai e gli dissi che tutto era a posto. Gli dispiaceva "lasciarci". Era la prima volta. Io sentivo il suo pianto, lui per fortuna non sentì il mio.
Quest'anno entrambi andranno per le loro strade. Strade di vacanze, più che meritate.
Sembra passato poco tempo da quando si stava attenti alla sabbia che poteva irritare gli occhi di bambini piccini, al sole che poteva ustionare pelli così delicate.
Oppure il tempo in cui correvano per la spiaggia e la paura di perderli tra la fola, che era un'angoscia costante.
I momenti in cui entravano in acqua e "Tranquillo pa' so nuotare", in quei momenti mi passava il ricordo di mia madre. Con i piedi ben piantati sul bagnasciuga, una mano su un fianco e l'altra a mo di saluto militare sopra gli occhi per proteggerli dal sole. Per vedermi meglio.
I segnali in codice "madre", le mani che mimavano i vari "vieni più vicino", "esci che hai le dita a spugna", "lì non tocchi spostati", "quando esci facciamo i conti". Segnali come quelli nautici, quelli fatti con le bandierine dai marinai.
Erano tante le madri, allora, in fila come un plotone di esecuzione sulla spiaggia. Con tutti quei segnali, i nomi dei propri figli ben scanditi a richiamare l'attenzione se si guardava verso il mare aperto, interrompendo il contatto visivo con il genitore madre.
Credo che se questi plotoni di madri degli anni '60 e '70, fossero stati messi sulle spiagge di Utah Beach oppure Omaha Beach in Normandia, nel giorno del D-day, ci sarebbero stati moltissimi meno morti tra gli alleati.
Le vacanze con i diavoletti ti portavano a bramare di ricominciare a lavorare, a volte, a farti capire che le vacanze analcoliche non erano certo di aiuto. Così la sera, quando tutti erano a letto, qualcosa di fresco e alcolicissimissimo era irrinunciabile.
Ora che scusa avrò per bere? Tutto sarà così silenzioso e irreale.
Eppure avrò il tempo di leggere quel libro, di riguardarmi quel film, di prendere il sole senza dover tenere un occhio aperto per vedere dove sono i marmocchi.
Potrò davvero rilassarmi.
Ma non sarà così, la chat di famiglia sarà monitorata di continuo per vedere se qualcuno ha scritto o condiviso qualcosa. Cercando di frenare la voglia di chiedere, anche semplicemente come va, per non passare da genitore tedioso. Che poi ottieni esattamente l'opposto.
Mi abituerò, nella vita ci si abitua a quasi tutto, ma sono sicuro che nel mio cuore non mi rassegnerò al fatto che quelle corse appresso ai pargoli e i castelli di sabbia, forse, sono stati dei momenti di grazia assoluta.
E come si dice spesso in questo caso mentre guardiamo foto o immagini degli anni passati, quando eravamo giovani noi, "eravamo felici e non lo sapevamo".
L'importante che loro lo siano oggi, intendo felici.
Per me ci saranno altri momenti di felicità. Questa sera pizza ad esempio. Ci vuole.
Magari offrirò i miei servigi di genitore apprensivo a giovani genitori social, quelli che invece di stare sulla battigia preferiscono le stories e i selfie. Ci penserò io ai loro mocciosi.
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sciatu · 1 year
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Nell’inizio del 1200 la Sicilia è un regno ricco e parte di un impero che andava da Tunisi fino alla Danimarca Palermo era una capitale potente in cui Federico II aveva instaurato una corte forte nelle armi ed evoluta nella cultura, una cultura che non era formata solo dalla quella araba arrivata con i conquistatori nord africani sconfitti dal conte Ruggero ed ora erano sudditi di Federico, e neanche quella provenzale o francese discesa con i Normanni e con le popolazioni lombarde e piemontesi che li avevano seguiti. Era una cultura somma di queste due culture apparentemente opposte ed arricchite da quella bizantina ed ebrea. La stessa lingua, che di quella cultura era la forza, era una lingua unione ed evoluzione di tutti i popoli dell’isola a cui i guerrieri normanni avevano concesso di vivere e di pregare secondo la loro origine. L’amministrazione del regno infatti teneva conto di tutte le diversità che lo costituivano. Così ad esempio, vi erano notai Arabi, notai Ebrei e notai Latini che certificavano e regolavano la vita amministrativa dei privati e dello stato. Tra questi, vi era anche il notaio Jacopo da Lentini, il cui nome appare non solo nel registro notarile dell’epoca, ma anche in importanti atti amministrativi del regno. Essendo parte della forza amministrativa del regno, notar Jacopo era coinvolto anche nella gestione militare ricoprendo l’incarico di comandante della fortezza di Mazzarino. Per questo motivo i suoi contatti con la corte erano assidui e continui. Federico, contrariamente a molti nobili europei, aveva avuto una educazione multiculturale, con insegnanti arabi e latini. Per questo parlava diverse lingue, scriveva libri sull’uccellagione, poesie e ballate che a quel tempo avevano una grande importanza. Le poesie potevano essere imparate facilmente da qualsiasi suddito che non avesse istruzione ed erano uno strumento per veicolare sia le grandi gesta dei cavalieri, che l’amore o la protesta del popolo, la sua rabbia o le sue istanze politiche. Le ballate guidavano le danze dando ritmo ed eleganza ai movimenti di uomini e donne accompagnati dai pochi strumenti musicali di allora. I menestrelli ed i giullari componevano poemi e ballate d’amore secondo la cultura d’origine e l’esperienza dei singoli, spesso in modo ripetitivo e volgare o erudito ed ironico a seconda dei gusti di chi li ospitava. Molti di questi componimenti si concentravano sulla donna, che per i menestrelli e poeti arabi era una conquista, una preda da mostrare o un premio per le battaglie fatte per conquistarla. Per i menestrelli provenzali la donna era una madonna, una nobile dama degna del cavalier che la serviva. Per i poeti siciliani e per Jacopo da Lentini in particolare, la donna è la perfezione che l’uomo non ha; la donna è chi può dare nello stesso tempo la vita e la morte, è la compagna senza di cui il Paradiso stesso non può essere tale. Versi assoluti non per l’amore fine a se stesso, ma per la donna che si ama, versi per un sentimento dominante giustificati dal fatto che per Jacopo la donna è quanto manca all’uomo per aver pace, armonia e la pura bellezza. Jacopo anticipa la Beatrice di quel Dante che considerava i poeti siciliani dei maestri nell’arte del poetare e dell’amare (tutto ciò che gli italiani fanno in poesia, si può dire siciliano). Jacopo è anche il lato oscuro dell’amore, nell’impossibilità di essere amato per quanto si ama, nel dolore che nasce dalla difficoltà di poter rivelare e mostrare quanto di immenso si prova. Il sentimento è una tempesta che nessuno vede, è una forza invisibile impalpabile che attrae come quella di una calamita e a cui nessuno può sottrarsi, è un destino che non arriva mai a compimento. Per poter meglio dire quello che prova Jacopo crea una nuova forma di poesia, rivoluzionaria per quel tempo: il sonetto. Il sonetto forse non è altro che una ballata minore che si apre e che racconta con due quartine di versi e giudica e riassume con due terzine di versi finali. Le rime, vicine ed immediate battono un tempo che la metrica incalza facendo diventare il tutto efficiente ed elegante. Dante, Petrarca avrebbero usato il sonetto con tocchi e forme celestiali, Shakespeare avrebbe fatto raggiungere al sonetto vette ineguagliabili, Trilussa lo avrebbe trasformato in uno ironico schiaffo alla sua società di allora a dimostrare la straordinarietà di un mezzo che ha affascinato e aiutato migliaia di poeti a creare il loro cammino poetico. Noi conosciamo le opere di Jacopo grazie alla traduzione che ne fecero i poeti toscani nell’ italiano della loro epoca. I versi di Jacopo erano però scritti nel siciliano della corte di Federico, un siciliano evoluto che nella traduzione in italiano perde forza e freschezza. Ad esempio, nel tradure i poemi siciliani, i poeti toscani hanno dovuto inventare la famosa “rima siciliana” una rima che in italiano non lo è ma che lo sarebbe stata se fosse stata scritta in siciliano. Malgrado questa limitazione, le poesie di Jacopo ci raccontano l’eleganza di un tempo e la modernità di un sentimento dove l’amore non è un ideale ma una persona, dove i propri sentimenti sono l’eco della vita e, nello stesso tempo, una forza che ci innalza e ci abbatte, ci salva, ci distrugge, ci domina e che non riusciamo mai a saziare per come vorremmo o dovremmo. Questo era Jacopo da Lentini, notaio, burocrate, castellano e poeta, ai tempi del grande Federico Stupor Mundi.
In the early 1200s Sicily was a rich kingdom and part of an empire that ranged from Tunis to Denmark. Palermo was a powerful capital in which Frederick II had established a court strong in arms and evolved in culture, a culture that was not formed only by the Arab culture which arrived with the North African conquerors defeated by Count Roger and were now subjects of Frederick, nor the Provençal or French descent with the Normans and with the Lombard and Piedmontese populations who had followed them. It was a sum culture of these two apparently opposite cultures and enriched by the Byzantine and Jewish one. The language itself, which was the strength of that culture, was a language of union and evolution of all the peoples of the island to whom the Norman warriors had allowed to live and pray according to their origins. In fact, the administration of the kingdom took into account all the differences that made it up. Thus, for example, there were Arab notaries, Jewish notaries and Latin notaries who certified and regulated the administrative life of individuals and the state. Among these, there was also the notary Jacopo da Lentini, whose name appears not only in the notarial register of the time, but also in important administrative deeds of the kingdom. Being part of the administrative force of the kingdom, notar Jacopo was also involved in military management, holding the position of commander of the fortress of Mazarin. For this reason his contacts with the court were assiduous and continuous. Federico, contrary to many European nobles, had had a multicultural education, with Arab and Latin teachers. For this he spoke several languages, wrote books on fowling, poems and ballads that were of great importance at that time. Poems could be easily learned by any subject who had no education and were a tool to convey both the great deeds of the knights, and the love or protest of the people, their anger or their political demands. The ballads led the dances giving rhythm and elegance to the movements of men and women accompanied by the few musical instruments of the time. The minstrels and jesters composed love poems and ballads according to the culture of origin and the experience of the individuals, often in a repetitive and vulgar or erudite and ironic way according to the tastes of their hosts. Many of these poems focused on the woman, who for Arab minstrels and poets was a conquest, a prey to be displayed or a prize for the battles waged to conquer her. For Provençal minstrels, the woman was a madonna, a noble lady worthy of the cavalier who served her. For Sicilian poets and for Jacopo da Lentini in particular, woman is the perfection that man does not have; the woman is who can give life and death at the same time, she is the companion without whom Paradise itself cannot be such. Absolute verses not for love as an end in itself, but for the woman who loves herself, verses for a dominant feeling justified by the fact that for Jacopo the woman is what she is missing from the man to have peace, harmony and pure beauty. Jacopo anticipates the Beatrice of that Dante who considered Sicilian poets masters in the art of poetry and love (everything that Italians do in poetry can be said to be Sicilian). Jacopo is also the dark side of love, in the impossibility of being loved as much as he loves himself, in the pain that arises from the difficulty of being able to reveal and show how immense one feels. Feeling is a storm that no one sees, it's an impalpable invisible force that attracts like a magnet and that no one can escape, it's a destiny that never comes to fruition. In order to better express what he feels, Jacopo creates a new form of poetry, revolutionary for that time: the sonnet. The sonnet is perhaps nothing more than a minor ballad that opens and tells with two quatrains of lines and judges and summarizes with two tercets of final lines. The rhymes, close and immediate, beat a tempo that the metric presses, making everything efficient and elegant. Dante, Petrarca would have used the sonnet with celestial touches and forms, Shakespeare would have made the sonnet reach unparalleled heights, Trilussa would have transformed it into an ironic slap on his society at the time to demonstrate the extraordinary nature of a medium that has fascinated and helped thousands of poets to create their own poetic path. We know Jacopo's works thanks to the translation that the Tuscan poets made of them into the Italian of their time. However, Jacopo's verses were written in the Sicilian of Federico's court, an evolved Sicilian that loses strength and freshness in the Italian translation. For example, in translating Sicilian poems, the Tuscan poets had to invent the famous "Sicilian rhyme", a rhyme that is not a rhyme in Italian but would have been if it had been written in Sicilian. Despite this limitation, Jacopo's poems tell us about the elegance of the past and the modernity of a feeling where love is not an ideal but a person, where one's feelings are the echo of life and, at the same time, a force that lifts us up and knocks us down, saves us, destroys us, dominates us and that we can never satiate as we would like or should. This was Jacopo da Lentini, notary, bureaucrat, castellan and poet, at the time of the great Federico Stupor Mundi.
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ladolcespezia · 1 year
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie... All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre.
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kon-igi · 3 months
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IL PONTE SUL PASSO DEL TEMPO
Questa mattina mi sono riempito per sbaglio lo zoccolo sanitario di un flacone intero di lattulosio, che - per chi non lo sapesse - è una roba sciropposissima e appiccicosissima che si usa per contrastare l'encefalopatia epatica ma spiegarvene bene i meccanismi risulterebbe noioso e non pertinente a quanto sto per raccontare.
Il fatto è che nell'attimo in cui il mio piede ha sciaguattato fastidiosamente nello zoccolo ho avuto una reminescenza di un qualcosa che probabilmente da lì a qualche anno sarebbe stato spazzato via nella perdita continua delle cellule cerebrali che avviene quotidianamente e invece sono rimasto lì, quasi fulminato, a fare ciccheciac col piede come un bambino in stivali e impermeabile in una pozzanghera dopo il primo acquazzone autunnale.
Il fatto è che mi sono sentito come un emerito professore di storia di una prestigiosissima univesità che scopre in modo inconfutabile che lo stesso identico oggetto - non simile... proprio lo stesso - è stato tenuto in mano da un uomo di Cromagnon, da un faraone e da un cavaliere del basso medioevo.
L'oggetto era un paio di banalissime birkenstock.
Solo che quelle birkenstock erano un qualcosa fuori dal tempo perché collegavano tre mondi, anzi, tre ere geologiche lunghe millenni.
Nel primo flash ho 18 anni e sto lavando la macchina di mio padre nel polveroso cortile del condominio dove sono nato e da dove, l'anno dopo, saremmo andati via per traslocare in un appartamento finalmente di proprietà.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock destra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo onirica.
Nella nuova casa, quella dove i miei genitori abitano ancora, sto realmente per poco tempo a causa di università e militare, ma nella mia memoria emotiva il tempo si dilata in decenni, perché stringo indissolubili e potenti legami con gli amici che mi resistono ancora accanto.
Sono a malapena cinque anni, finché non decido di raggiungere la ragazza che ancora adesso mi resiste accanto (nessuno dei due sapeva che aveva una bambina nella pancia ma vabbe'... così nessuno ha potuto dire che si era trattato di un trasferimento coatto riparatore).
Mio padre mi regala la sua macchina, per il viaggio e per cominciare la mia nuova vita, così decido di lavarla per arrivare in gran stile.
La canna dell'acqua mi sfugge di mano e mi si incastra tra il piede e la suola della birkenstock sinistra, allagandola completamente e inscurendo il cuoio.
Fine di un'era che chiameremo frenetica.
In un altro luogo, lontano mille anni luce nello spazio e nel tempo, una bambina piccola coi capelli rossi dice 'Papà... laviamo la macchina che è sporca!' e quindi usciamo insieme nel cortile illuminato da un sole primaverile. Insaponiamo la macchina e, ridendo, la sciacquiamo schizzandoci con la canna dell'acqua.
A un certo punto lei guarda le ciabatte che porto ai piedi, vecchie e annerite, che oramai uso solo per curare il giardino... e me le bagna col getto della canna dell'acqua urlando 'Sono brutte! Buttale!'
E io, a distanza di 27 anni, ricordo ancora il sacco nero della spazzatura, appeso alla ringhiera della scala, e le birkenstock che hanno viaggiato attraverso le ere di tre vite intere scomparirci dentro.
Allora non avevo capito ma nel momento in cui è entrata l'infermiera con sguardo interrogativo, fissando la pozza di lattulosio a terra, mi sono reso conto che continuavo a non capire.
Ma che alla fine andava bene così.
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duca-66 · 1 year
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Alcune considerazioni
Leggo da qualche giorno sui giornali e sento nei vari servizi dei TG, l'incessante richiesta, da parte di molti, della richiesta di proclamazione al rango di Santo (al grido di "santo subito") di papa Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, classe 1927. Ora posto che la morte di un papa, in virtù del dicastero da lui ricoperto, induce a ritenerlo meritevole di procedimenti santificatori, a ciò aggiungiamo l'emotività del momento, vorrei dire qualcosa.
Un papa che ha avuto un inquadramento militare, al tempo della IIª guerra mondiale, in un battaglione di fucilieri delle SS. Non prendendo però parte ad alcuna azione militare. Alla fine della guerra con la sconfitta della Germania, fu catturato e fatto prigioniero di guerra scontando una reclusione in un campo di prigionia alleato, a Ulm.
Nominato cardinale assume la carica di prefetto della Congregazione per la Dottrina delle fede, per volere del papa polacco Wojtyla. Inaugurazione di un periodo oscurantista-inquisitorio notevole. Il caso Kung lo dimostra (Kung fu un teologo che mise in dubbio la Dottrina della infallibilità del papa nei suoi giudizi ex catedra).
Avversò la corrente progressista dei vescovi sudamericani per l'emancipazione delle classi più povere.
In occasione del Giubileo del 2000, il Papa chiese perdono per le colpe della Chiesa, in particolare inquisizione, persecuzione degli ebrei, crimini contro le donne. Ma Ratzinger era molto contrario a questa posizione infatti ebbe a dichiarare "Noi pecchiamo, ma non pecca la Chiesa che è Tua ed è portatrice di fede"...in pratica una giustificazione delle malefatte.
Il capitolo più doloroso...la copertura, l'insabbiamento dei casi di abusi sui minori all'interno della chiesa, con la complicità, anzi l'ordine, di Wojtyla (anche sul polacco ci sarebbe MOOOLTO da dire, magari in un altra occasione). Si ricorda che già quando era vescovo di Monaco non agì su almeno 4 casi accertati. Nella stessa diocesi di Monaco si sono stimati circa 250 casi di abusi, soltanto in epoche successive Ratzinger ammise "la sua grande e profonda vergogna". E fu lui a lasciare un prete di nome Hullermann, condannato per abusi, nella sua parrocchia, senza alcuno stralcio di provvedimento a carico del depravato in toga.
Riammise al sacerdozio Lefebvre , un prelato francese che entrò in attrito con la chiesa per questioni liturgiche, la quale lo scomunicò. Uno scismatico, per farla breve. Riabilitando tutto il movimento lefrebvriano.
Non volle mai fare chiarezza sui misteri finanziari e, per usare un eufemismo, poco puliti dello IOR la banca vaticana (cosa contraddittoria per chi PREDICA E FACCIA VOTO DI POVERTÀ AVERNE UNA)
Per tutti questi motivi appena elencati, argomenti suffragati da indagini, documenti, dichiarazioni, ritengo che solo parlare di santità a Ratzinger sia veramente difficile. Che sia stato un fine teologo non si discute...uno strenuo difensore della fede nessuno lo nega, ma da qui ad attribuirgli la patente di Santo, ed anche subito, non credo sia possibile.
Forse la santità la chiesa dovrebbe riservarla a tutti coloro, laici o prelati, che giornalmente dedicano la loro vita a mitigare le sofferenze degli ultimi, dei poveri, con qualunque mezzo a loro disposizione, arrivando a sacrificare anche la loro vita sull'altare di un bene supremo, quello dell'amore per il prossimo.
Con tutto il rispetto di cui sono capace, per Ratzinger come persona e come Papa, dico che la morte cancella la persona, ma la storia è lì a giudicare i fatti.
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