Tumgik
#se devo andare in un posto solo per essere trattato da tutti come una lei allora fanculo davvero
sasdavvero · 1 year
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se esporre la mia identità vuol dire fottersi una possibilità lavorativa allora morirò sotto un ponte.
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raffaelealbo · 3 years
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La sindrome della stradina
In alcuni periodi, per i motivi più vari, può succedere che la nostra vita si riduca ad alcune specifiche cose, ad un piccolissimo spazio (geografico e/o mentale). Un micro universo. Una stradina. L'espressione la copio da mia nonna, che a 88 anni mezza cieca e mezza sorda, non è che si faccia proprio 'sti gran interrail per il mondo. Eppure ha una vita sociale attivissima. Lei e le vicine, quasi tutte ormai vecchiette, si trovano sempre, a parlare, a giocare a carte, a commentare i grandi avvenimenti del loro piccolo e personalissimo mondo: la stradina. Ogni cosa, ogni cambiamento per quanto minimo, è analizzato, studiato, disinnescato nel suo potenziale rivoluzionario. E, se ci penso, ha pure senso. Una volta che il tuo intero universo si riduce a 100 metri, anche la minima fioriera che cambia è un avvenimento epocale. Per non parlare poi della geopolitica delle tende, o delle negoziazioni diplomatiche sui parcheggi. Ci possono essere anche risvolti che fanno un po' sorridere nella loro dolcezza: il gatto di mia nonna che viene trattato come una star, coccolato e viziato da tutte. Prima della pandemia, alle 20 aveva l'appuntamento fisso con una delle vicine: veniva preso in braccio, portato in casa, una sardina per farlo stare buono e mezz'ora abbondante di gioco. Non serve essere obbligatoriamente una 88enne per avere la "sindrome della stradina". Può succedere a chiunque. Basta che l'intero mondo rimpicciolisca, per i motivi più vari. 
Per lavoro, e quindi la "stradina" assume le forme di un ufficio, di una linea, di un negozio. Per studio, e quindi "la stradina" si dematerializza e diventa la sessione, l'esame, la tesi, le lezioni. Oppure una relazione, un gruppo di amici, uno sport, una gara in arrivo. Il minimo comune denominatore è che il mondo si riduce tantissimo, e ogni piccola cosa che succede è considerata immensamente più grande. Può avere risvolti immensamente positivi, una grandissima attenzione ai dettagli ad esempio. O rivelarsi molto dannosa, con il minimo errore che diventa una catastrofe che porrà fine alla vita umana, canina, bovina e felina. Rimarranno solo conigli e tartarughe sulla terra, a fare gare di corsa tra di loro. Col tempo, ho iniziato a raccogliere esempi di "stradine" nelle persone. Dal proprio cane ai propri figli, al proprio giardino o al pianerottolo comune in condominio. O anche un negozio di articoli sportivi, assunto a riferimento geografico principale per la somma di passione sportiva più gruppo di amici più luogo in cui in effetti la persona che me ne ha raccontato passava un sacco di tempo, pur non lavorandoci. La "sindrome della stradina" è simile al provincialismo in alcuni tratti, pur soffrendone anche persone di grandi città. Una certa ingenuità di fondo mista a diffidenza per il mondo esterno. Un'estrema attenzione e partecipazione emotiva a cose che chi viene dal fuori della stradina riterrebbe se non stupide, quanto meno non degne di tale importanza. O forse, analizzando meglio, il provincialismo non è altro che una "sindrome della stradina" allargata. Forse una "sindrome della statale", ecco. E anche un certo tipo di "globalismo", di ricerca spasmodica del mondo, può forse nascere dal rifiuto di quanto è piccolo, paesano. Una "sindrome della stradina" anche questa, ma al contrario. Che poi, aggiungo io, tutto il mondo è paese. E ogni paese è fatto di stradine. Scappa scappa ma sempre in una stradina ti ritrovi, che sia "via Giovanni Prati" di Buco di Culo sul Fiume del Cazzo o "Mediterranean Avenue" di Big City in a Big Continent. Adesso però, non devo essere così cattivo. Potrebbe essere la soluzione a tutti i nostri mali. Se "la stradina" diventasse il mondo intero, avremmo vinto. Se lo stesso engagement emotivo che ho visto applicarsi a "quello è il mio posto auto!" o ai diritti di precedenza sulle stampanti o sulle macchinette del caffè si applicasse al riscaldamento globale, in cinque giorni avremmo risolto tutto, e al posto del litigio sul posto auto sentiremo tante urla sul posto bici. Chi scrive non è affatto estraneo alla sindrome. Ne sono un cultore, un ammiratore. E spesso ne ho sofferto. Oggi ad esempio volevo del te. In casa era finito, e, dovendo già andare a fare due commissioni per mia nonna, avevo l'occasione per uscire e comprarlo. Fatte le commissioni, mi dirigo nel classico negozietto biologico fancy liberal che tanto piace agli snob di provincia come me. Una parete intera di te mi si para davanti, da cose impronunciabili e credo pure di dubbia bevibilità a rivisitazioni di tisane tradizionali di montagna. Ne prendo alcuni di classici e poi lui, proprio lui. Arriva in tutto il suo splendore. Te bianco. La giusta dose di tradizionalità: è un Te, di un colore che appartiene allo spettro visibile, so pronunciarne il nome tutto sommato bene. Ma ha questa cosa strana. È bianco. Mai visto e sentito. Lo prendo e felicissimo mi dirigo alla cassa. Corro a casa, mangio di fretta, già pregustando la straordinarietà di questa strana cosa, vecchia ma al contempo nuova. Scaldo l'acqua e aspetto felicissimo. Assaggio. Fa cagare. Bene. Sono caduto anche io nella stradina.
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Capitolo 57 - Numeri di telefono e vacanze di primavera
Nel capitolo precedente: Eddie e Angie si appartano in un posto isolato e romantico in riva al mare, ma vengono sorpresi da due poliziotti, che li sottopongono a un fuoco incrociato di domande, a metà tra l'interrogatorio e il gossip. Durante questa conversazione Angie riesce inaspettatamente ad aprirsi e a rivelare che non vuole rendere partecipi gli amici della sua storia con Eddie anche per paura di perderli se le cose dovessero andare male. Angie fa pace con le sue insicurezze e, riaccompagnando Eddie a casa, gli propone di dire tutto ai loro amici in occasione del prossimo concerto dei Pearl Jam all'Ok Hotel. I due hanno anche una piccola scaramuccia causata dalla gelosia di Eddie nell'apprendere che Angie era stata nello stesso posto romantico e appartato anche con Jerry. Eddie scopre, grazie al poliziotto che leggeva la patente di Angie ad alta voce, che la sua ragazza ha un secondo nome che inizia per W, ma lei non ha la minima intenzione di dirgli qual è. Nel frattempo Stone e Grace sono di ritorno dal loro ennesimo appuntamento eccentrico, lei ha portato una cassetta con dei pezzi che le piacciono da ascoltare e lui critica la selezione e l'accostamento dei brani. Una volta a casa di lei, dopo una parentesi di passione, Stone è deciso ad affrontare di petto Grace e la sua difficoltà a condividere il letto e l'intimità con un'altra persona, sapendo benissimo che c'è qualcos'altro sotto. Tuttavia resta scioccato quando scopre la vera origine delle insicurezze di Grace: anni prima, a causa di una forma aggressiva di tumore alle ossa, la ragazza ha subito l'amputazione di un piede. La reazione di Stone alla notizia e di totale confusione, non sa che fare o che dire e, pur rassicurando Grace, se ne va dicendo di dover metabolizzare la notizia.
**
Io giuro che non l'ho fatto apposta. Cioè, non so se sia il caso di giurare, perché comunque se non l'ho fatto volutamente sarà pur sempre stato il mio inconscio a metterci lo zampino. Oppure uno di quegli automatismi mentali del cazzo, come quando sei abituato a fare sempre la stessa strada e arrivato all'incrocio sotto casa giri a sinistra come sempre, ma invece dovevi andare da tutta un'altra parte e te ne accorgi quando sei già arrivato alla meta sbagliata. Che poi a me non era mai successo, ma è una cosa che capita a tutti, cioè, se ne sente parlare spesso. Beh, stavolta deve essere capitato anche a me perché sono uscito dalla Music Bank, mi sono messo al volante e, non so come, mi ritrovato nel fottuto parcheggio di Roxy. Rimango fermo senza fare un cazzo per chissà quanto, indeciso sul da farsi. Che ci faccio qui? Che dovrei fare? Passo dentro per un saluto? Certo, la prima cosa che vuoi vedere dopo una giornata di lavoro è la faccia di merda del tuo ex che ti viene a trovare, no? Beh, in fondo, magari non se lo ricorda neanche più che sono il suo ex, basta vedere come mi tratta, come mi ha trattato a San Diego. Come un amico qualunque. Non è nemmeno più incazzata con me, anzi, ci sta che mi sia anche grata. Dopotutto se non avessi sabotato la nostra relazione lei non starebbe con Eddie adesso. Perché è ovvio che stanno insieme. Non lo so, ma me lo immagino. Lui ci avrà provato e lei ci sarà stata. C'è stata con me che sono uno stronzo. Chiunque venga dopo di me in confronto sembrerà il Principe Azzurro. In tutto questo, la macchina ha ancora il motore acceso. La spengo quando vedo Angie assieme a Brian e a un'altra ragazza uscire dal locale, precedendo di pochi secondi Roxy stessa, che li saluta e chiude la saracinesca. Angie ha un sacco della spazzatura in mano e si dirige verso i bidoni al lato del ristorante, mentre gli altri si allontanano a piedi o in macchina. Scendo dall'auto e corro dall'altra parte del ristorante, nascondendomi, non so perché, e affacciandomi di tanto in tanto aspettando la prossima mossa di Angie. La vedo spuntare dopo qualche minuto, ha ancora la divisa, entrambe le mani infilate nella tasca della sua giacca di pelle, il viso nascosto per metà da una sciarpa voluminosa, la sua solita borsa colorata a tracolla. Attraversa il parcheggio e raggiunge la strada, seguita a debita distanza da me. Mi guardo attorno per vedere se qualcuno mi ha notato perché a un osservatore esterno potrei sembrare un malintenzionato che sta seguendo una ragazza indifesa. Ma io non sono un malintenzionato, onestamente non so neanche che intenzioni ho, non so nemmeno perché cazzo la sto seguendo. Un paio di volte rischio di farmi sgamare, quando si ferma a guardare delle vetrine e, a sorpresa, si gira. La prima volta mi sono salvato infilandomi in una cabina del telefono, la seconda ho fatto dietro front al volo unendomi a un piccolo pubblico di un busker. Continuo a seguirla e vorrei tanto sapere dove cazzo sta andando, visto che abbiamo già superato due fermate dell'autobus. Siamo alla terza quando si ferma e si guarda attorno, mentre io mi tuffo nel primo vicolo per non farmi notare. Ma poi perché non mi faccio notare? Non posso semplicemente andare lì a dirle ciao? Mi sporgo e la vedo accendersi una sigaretta, iniziando a camminare avanti e indietro e io mi nascondo ogni volta che viene verso di me. Mi affaccio di nuovo e non la vedo più. Esco dal nascondiglio e presumo sia andata alla fermata più in là, forse è presto e non vuole aspettare ferma al freddo. Oppure qualcuno è venuto a prenderla, magari il suo ragazzo... No, sta ancora camminando per la strada, tutta sola, letteralmente, perché man mano che ci allontaniamo dai negozi la via si fa più deserta. Cammino muro muro, praticamente in punta di piedi perché ho paura che possa sentire il rumore delle mie scarpe. Ed è a questo punto che capisco che non ha un cazzo di senso quello che sto facendo. Mi do del coglione da solo e faccio una corsetta per raggiungere Angie, le metto una mano sulla spalla e sento uno dei dolori più forti che un uomo possa provare nella sua vita nel momento in cui lei si gira di scatto e mi molla un'epica ginocchiata nelle palle.
“CRISTO, ANGIE!” urlo non so se più per il dolore o per chiamarla, visto che accenna a scappare.
“Jerry??” si blocca e mi guarda incredula mentre mi contorco, prima di riavvicinarsi “Ma eri tu che mi seguivi?”
“Sì”
“Ma sei scemo? Perché?”
“Volevo... beh, volevo farti uno scherzo” non ho perso il mio talento nell'improvvisazione.
“Bello scherzo del cazzo, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Scusa”
“Beh, scusami tu. Ti ho fatto male?”
“Noooo sto una favola” commento quando torno a vedere ciò che mi circonda e non più le stelle.
“Anche tu però... mi hai spaventata”
“E sono stato punito direi”
“Pensavo fossi uno che mi voleva aggredire”
“Eheh e invece sono stato aggredito io.” a quanto pare è destino, mi devo fare male ogni volta che ci vediamo, fisicamente o no. Noto la sua mano e la indico “E quelle?”
“E' un trucco che mi ha insegnato Meg” risponde rimettendo in borsa le chiavi che aveva piazzato tra le dita nel pugno chiuso.
“Sai che ti puoi fare male se non le tieni bene quando colpisci? E' un trucco pericoloso”
“Cos'è, ti offri volontario per allenarmi?” riprende le chiavi e le fa tintinnare mentre mi sorride diabolica e io mi rassegno al fatto che amerò sempre questa ragazza. A modo mio, sbagliatissimo, senza senso. Ma non posso farne a meno.
“No, grazie. Non che non me lo meriti, ma avrei altri programmi per la serata”
“Del tipo?”
“Del tipo... riascoltare i demo che ho appena registrato e capire perché cazzo non funzionano”
“Demo? Dell'album nuovo?” Angie passa dallo scherzo a essere interessatissima e io non aspettavo altro che soddisfare la sua curiosità. Forse è proprio per questo che sono venuto fin qui.
“Sì... ma è roba mia, cioè, che ho buttato giù da solo, non l'ho ancora fatta sentire agli altri”
“Beh, magari devi lavorarci un po' sopra, anche assieme al gruppo. E poi Layne può cantare qualsiasi cosa e renderlo perfetto, perciò non ti preoccupare” Angie alza le spalle e mi sorride e io penso di stare impazzendo perché mi prenderei un altro calcio nei coglioni pur di farmi toccare da lei.
“Ti va di sentirle?”
“Magari! Hai una copia da passarmi?”
“No, però ho il nastro in macchina... potremmo ascoltarlo lì, che dici?”
“Beh, non lo so, è un po' tardi” anche se dura un secondo, la sento tutta l'esitazione nella sua risposta. E' ovvio che l'idea non le vada tanto a genio, però non sa nemmeno come dirmi di no senza levarsi quella maschera di totale indifferenza nei miei confronti dalla faccia. Ammettere di essere a disagio da sola con me sarebbe come ammettere che ci siano ancora sentimenti in sospeso tra noi e questo lei non lo farebbe mai.
“Sono tre pezzi di numero. Li ascolti, mi dai il tuo parere e io in cambio ti do un passaggio a casa. Ti va?”
“E va bene, andiamo!” fa di nuovo spallucce e mi segue come niente fosse.
“Allora?” le chiedo dopo il primo brano.
“Jerry è... cosa credi che non funzioni esattamente in questa canzone? E' spettacolare”
“Lo credi davvero?”
“Sì”
“Non lo dici solo perché non vuoi tornare a casa in autobus?”
“Ovviamente no, non scherzare!”
“Con la voce di Layne guadagnerebbe qualche punto sicuramente”
“Nel ritornello sicuramente, ma mi piace la tua voce nella strofa” far ascoltare le mie canzoni nuove ad Angie non è solo una scusa per passare del tempo con lei, mi piace perché è sincera, le sue opinioni sono oneste, non ti dice che un pezzo è una figata solo per farti contento.
“Grazie”
“Ha un titolo?”
“Would. Un gioco di parole, con Wood”
“Andy?”
“Sì, è per lui. Ho pensato tanto a lui in questo periodo. Beh, non ho mai smesso di pensarci. Ma ultimamente ci penso sempre più spesso. Il nostro primo album è andato bene, suoniamo in giro, Stone e Jeff ce la stanno facendo, tante altre band stanno venendo fuori e-”
“E lui non è qui”
“Esatto. Lui non c'è. E mi manca. Andy era un amico, ma non uno con cui fai discorsi seri sul senso della vita o cose del genere. Era solo divertimento, ci divertivamo un sacco, io, Andy, Xana e Chris. Era una persona eccezionale, piena di energia e di vita”
“Le scelte che ha fatto raccontano una storia diversa però...”
“Ha fatto delle scelte del cazzo, ma non significa che fosse una cattiva persona. Ha sbagliato. Io non lo giudico però. Quelli che giudicano mi fanno solo incazzare”
“Scusa, non era mia intenzione”
“Nah, tu che c'entri, non mi riferivo a te. Tu non sei così” Angie non ha bisogno di giudicarti, le basta parlarti sinceramente o guardarti negli occhi per farti sentire una merda per tutte le cazzate che combini.
“Meg mi ha detto che è morto in questo periodo l'anno scorso, giusto?”
“Sì, tra poco sarà un anno. E mi sembra passato un decennio”
“Mi fai sentire un'altra canzone?” Angie sa quando cambiare argomento, ma non sa che il tono della conversazione non si alzerà nemmeno col secondo pezzo.
“Rooster era il soprannome che mio nonno aveva dato a mio padre quando era piccolo,” precedo la sua domanda prima di premere stop sull'autoradio “perché faceva il galletto. E perché aveva i capelli che gli sparavano in aria, come una cresta”
“Hai scritto una canzone su tuo padre?” Angie sa benissimo tutta la storia incasinata della mia famiglia e sa anche quanto sia difficile per me parlarne, anche se con lei è stato molto meno difficile.
“Ho scritto una canzone cercando di immedesimarmi in lui, provando a immaginare cosa potesse pensare o provare in quei momenti un soldato americano in Vietnam. Come sai, lui non ci ha mai raccontato niente”
“Dovresti fargliela sentire”
“Vedremo. Se ne verrà fuori una canzone vera e propria, potrebbe succedere, chissà”
“Potrebbe essere un modo per riavvicinarvi”
“Non l'ho scritta per questo”
“Lo so”
“Non l'ho scritta per nessun motivo in particolare”
“Ok”
“E' venuta fuori così e basta”
“Si vede che doveva venire fuori”
“Ti piace?”
“Sì, mi piace anche questa. Mi fai sentire l'ultima?”
“Era questa l'ultima” mento sfacciatamente.
“Ma se hai detto che erano tre canzoni...”
“Sì beh, era per dire. Sono tre tracce, ma due canzoni complete. La terza è solo una roba strumentale” dire cazzate ad Angie mi riesce ancora facile, come ai vecchi tempi, però bisogna vedere se anche lei è ancora brava a crederci.
“Voglio sentire anche quella” incrocia le braccia e mi guarda storto.
“Ti porto a casa, va” faccio finta di niente e accendo la macchina, ma Angie ha un'altra idea e allunga la mano per premere di nuovo play sull'autoradio.
Partono i primi accordi di un pezzo troppo lento e troppo moscio che non entrerà mai nemmeno in un lato B di un singolo del cazzo della band e che non farei ascoltare agli altri nemmeno sotto tortura, anche perché è talmente personale che mi prenderebbero per il culo per decenni e mi sembra che di motivi per farlo ne abbiano già parecchi. Per fortuna, nella prima parte della canzone, mi è venuta la brillante idea di intonare la melodia con un po' di 'mmm mmm', così posso cavalcare la balla del pezzo strumentale.
“Vedi? E' solo un abbozzo. Solo un coglione che strimpella e mugugna una melodia improvvisata” alzo le spalle e stoppo il nastro, per poi tirarlo fuori e farmelo scivolare nella tasca della giacca. Perché sono così stronzo? Io non ci dovevo nemmeno andare da Angie. Poi quando l'ho vista e le ho proposto di venire a sentire il demo ho cercato di raccontarmela come una mossa per poter passare del tempo con lei. Invece è chiaro che volevo farle sentire anche questo pezzo. Beh, soprattutto questo. E adesso? Me la faccio sotto oppure ho capito che era un'idea di merda in partenza? Cosa volevo ottenere? Farle sapere che mentre lei va avanti con la sua vita io sono ancora impantanato nelle mie stronzate?
“Beh mi sembrava un bell'abbozzo”
“Troppo lenta, troppo deprimente, non lo so”
“Jerry?”
“Sì?”
“Va tutto bene?”
“Certo, perché?”
“Non lo so, chiedo” perché chiedo io. E' ovvio che si faccia delle domande, spunto così dal nulla, mi presento dove lavora, la convinco ad ascoltare dei pezzi, poi il tutto si trasforma in una cazzo di seduta di psicoterapia sotto mentite spoglie.
“E' tutto ok, sono... sono solo le solite cose, ecco”
“Le solite cose continueranno ad essere sempre le stesse se non le affronti, Jerry”
“Lo so. Infatti le sto affrontando. La musica è pefetta per questo, non l'hai detto anche tu?”
“Sì, ma non basta”
“Già. Oh e scusa se sono venuto a romperti le palle, non era programmato, insomma, mi sono trovato lì. Cioè, non è che sono capitato da Roxy per caso, diciamo, che fino a un certo punto non avevo idea che stavo venendo da te, poi, diciamo, l'ultimo kilometro...”
“Ok, Jerry, ho capito”
“Scusa”
“Non ti scusare, non ce n'è motivo”
“E' solo che, beh, è più facile con te. Mi viene più facile parlare con te, nonostante tutto. Assurdo, vero?” Angie sa già tutto, a lei non devo spiegazioni, e ora che non stiamo più insieme, non le devo nulla. Però, allo stesso tempo, lei non deve nulla a me. Non è tenuta ad ascoltarmi.
“Beh, un po' sì, ma non troppo strano. La gente ama confidarsi con me, si vede che ispiro fiducia. O che sembro innocua” Angie scuote la testa e io penso che non è innocua per niente dato che il (troppo) poco tempo in cui le nostre strade si sono incrociate mi hanno lasciato un segno bello grosso e profondo.
“Innocua? Con le chiavi tirapugni? No, non direi proprio”
Il viaggio fino a casa di Angie dura più del dovuto, perché scelgo deliberatamente il percorso più lento e trafficato, ma lei è così gentile da non farmelo notare. Oppure neanche se n'è accorta.
“Allora buona notte. E grazie per il passaggio” mi dice con la mano sulla portiera già mezza aperta.
“Grazie a te per aver accettato di farmi da cavia. E grazie per i pareri”
“Figurati. E comunque quando vuoi parlare o farmi ascoltare altre cose... sappi che io ci sono, ok?”
“Davvero?” le chiedo non perché io sia incredulo, ma perché so perfettamente che sta dicendo sul serio, che è davvero sincera e pronta a sorbirsi le pare di uno che non riesce ad aprirsi emotivamente se non con la sua ex, che sta pure con un altro.
“Certo. Solo perché sei stato una merda non significa che, boh, non ti salverei da un incendio o non ti darei una mano mentre dondoli in bilico sull'orlo di un precipizio per tirarti su. Per le cose serie, se posso, una mano te la darò sempre” Angie fa spallucce mentre mi dice una cosa stupenda e invece di soffermarmi ad ammirare la bontà e l'altruismo di lei, di farmi ispirare dal suo concetto di amicizia, di imparare qualcosa dalla sua totale mancanza di rancore... io vado in fissa sui suoi occhi prima e sulle sue labbra poi e stavolta non credo proprio che non si sia accorta che ho tutta l'intenzione di baciarla. Infatti nel giro di due secondi mi da di nuovo la buona notte e schizza fuori dalla macchina, alla volta del portone di casa.
“Notte!” le urlo dal finestrino guadagnando un suo frettoloso ciao-ciao con la mano.
Si può sapere che cazzo mi sono messo in testa?
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Si può sapere che cazzo mi sono messa in testa? Che faccio, prometto cose che non sono sicura di poter mantenere? Certo, le mie sono state delle gran belle parole, non c'è che dire, suonavano benissimo, ma sarò poi in grado di farle seguire dalle azioni? Ci sarò davvero sempre per Jerry, anche se è stato uno stronzo? E' bello aspirare ad essere persone migliori, ma credo che nel mio caso spesso sia più una sorta di autocompiacimento masochistico. Insomma, c'è che a me piace un sacco essere buona, comportarmi da tale e far sì che tutti mi vedano così, come una ragazza gentile e comprensiva. Tutti, anche quelli che non si meriterebbero nessun riguardo, anzi, specialmente quelli. Tu hai fatto il bastardo con me? E ora ti aspetteresti che, come minimo, cambiassi strada quando ti vedo, giusto? Invece no, io sono qui ad ascoltare i tuoi sfoghi emotivi, a tenerti la mano e a incoraggiarti, dicendoti che andrà tutto bene. Tiè, beccati questa! Non voglio dire che lo faccio proprio apposta, però non posso negare che esista questa componente di soddisfazione nell'essere quella che fa la cosa giusta, o meglio, che fa la cosa buona che nessuno farebbe. Ora lo so che quando racconterò a Meg cosa è successo, lei scuoterà la testa e mi dirà che sono stupida e che avrei dovuto semplicemente mandare Jerry a fare in culo come si meriterebbe, ma il suo vero pensiero sarà che sono troppo buona o una cosa del genere. Ecco, io adoro essere troppo buona, mi fa stare bene, in pace con me stessa e con gli altri, perché è uno dei pochi ruoli sociali esistenti a risultarmi facili da ricoprire e in cui mi sento a mio agio. Almeno per un po'. Perché il problema è che, se ti comporti da buona, poi lo devi essere fino in fondo, senza dubbi, ripensamenti o scazzi vari. Cioè, se io ho appena detto a Jerry che per lui ci sarò sempre come amica, la prossima volta che lo vedo non posso prenderlo a calci in culo perché mi sono improvvisamente ricordata che mi ha tradita e mi ha mancato totalmente di rispetto, non solo come ragazza, ma prima di tutto come persona. Funziona così con Jerry: ci parlo e mi sembra di interagire con una persona del tutto diversa da quella con cui sono stata, ma non per modo di dire, è proprio come se fosse un altro tizio, non mi suscita nessun turbamento, non c'è nessuna tensione. Almeno finché non succede qualcosa, un rumore, una parola, una cazzo di battuta, che mi fa tornare in mente chi diavolo ho di fronte, e lì giuro che lo prenderei a sassate, così, dal nulla. Però no, non si può. Perché se hai la Sindrome di Gesù devi essere Cristo fino in fondo, col porgere l'altra guancia e tutto il resto. Non puoi solo goderti la fama di messia, devi anche farti crocifiggere o, più spesso, metterti in croce da sola.
Il mio rimuginare prende una piega mistica proprio quando entro in casa, forse il tutto è collegato al fatto che appena sono dentro mi levo le scarpe e alle sensazioni di estasi provate dalle mie estremità dopo una giornata in piedi. Agguanto il telefono senza neanche accendere la luce, noto qualcosa scritto sul blocchetto lì accanto, ma non lo prendo neanche in considerazione perché immagino sia un appunto di Meg che mi dice che Eddie mi ha cercata. Dopotutto avevamo un appuntamento telefonico circa... beh, un'oretta fa. Mi lascio cadere sul divano, anche se so che non è la cosa ideale da fare e sarebbe meglio raggiungere il letto, e compongo il numero a memoria sul tastierino, praticamente alla cieca.
“Pronto”
“Ciao Eddie, stavi dormendo?”
“Ovviamente no mia cara... Wallflower?”
“Eheh acqua, mi spiace!”
“Cazzo”
“Tanto non te lo dico”
“Tanto lo scoprirò lo stesso”
“Ah sì, e come?”
“Ho i miei metodi di convincimento, non lo sai?” sì, lo so eccome, ecco perché cambio argomento.
“Comunque stai diventando più imprevedibile, ero convinta che avresti risposto con 'E' già venerdì?' invece del pronto”
“Mi piace sorprenderti, micetta. A proposito, per caso è già venerdì?” domanda ridendo sotto i baffi, mentre io faccio per alzarmi di scatto dal divano e finisco invece per rotolare giù, sul tappeto.
“COME CA- AHI!”
“Tutto ok? Cosa è stato?”
“Niente niente. Scusa Eddie, come stracazzo mi hai chiamata?” gli chiedo mentre mi raddrizzo sul fianco, tenendomi la chiappa dolorante.
“Micetta, perché?”
“Perché, dice lui!”
“Stai parlando con qualcuno o è sempre il tuo solito pubblico immaginario?”
“Non farlo mai più”
“Dai, è carino”
“Questo lo dici tu”
“E poi a te piacciono i gatti”
“Mi piacciono tante cose, mi piacciono anche gli horror, ma non per questo mi farei chiamare Poltergeist... Anche se, pensandoci...”
“Non è male, ma preferisco micetta”
“Io preferirei qualsiasi cosa rispetto a micetta”
“Attenta a ciò che desideri”
“Ugh vuoi dire che potresti venirtene fuori con qualcosa di peggio?”
“Mettimi alla prova”
“Ma poi micetta non ha senso”
“Sì che ne ha”
“Perché mi piacciono i gatti?”
“Perché hai gli occhioni da gatta, sei dolce e tenera, ma sai tirare fuori le unghie quando serve... anche letteralmente. La mia schiena ringrazia eheh” è mezzanotte passata, io sono ancora stesa sul tappeto di casa mia e sto arrossendo.
“E' che non mi piacciono i nomignoli in generale” il meccanismo diversivo di difesa si inserisce da solo mentre cerco di rialzarmi.
“Regina ti piace però”
“Che c'entra, quello non è un nomignolo di coppia”
“Che cazzo dici, è il nomignolo di coppia per eccellenza!”
“Sì, ma nel nostro caso era una cosa tra amici” finalmente mi risiedo sul divano e d'istinto mi avvinghio a uno dei cuscini.
“Ahah amici un cazzo, fosse stato solo per amicizia il nomignolo sarebbe nato e morto quella sera”
“Ok, ma tecnicamente è nato in amicizia, quindi va bene” mi concentro sull'aspetto tecnico perché faccio ancora fatica a realizzare che Eddie abbia avuto questa... cotta (?) per me già da tempo. Cioè, razionalmente capisco che non ha ricevuto un'improvvisa illuminazione quella mattina alla stazione dei pullman di San Diego e che doveva per forza averci pensato anche prima. Ma la mia parte irrazionale ancora non si capacita del fatto che Eddie stia con la sottoscritta, figuriamoci concepire che possa aver covato il suo interesse per me per mesi.  
“Va beh, va beh, cosa c'è che non va in micetta?”
“E' troppo... è troppo zuccheroso”
“E' un nomignolo, deve essere dolce, o meglio, tendenzialmente è così”
“E' stupido”
“Che ti aspettavi da uno stupido come me, micetta?”
“Uff ti sei proprio fissato eh?” alzo gli occhi al cielo e so già che questa non la vincerò neanche per sbaglio.
“Secondo me non è che non ti piace, è solo che ti imbarazza, per non so quale strano motivo a me sconosciuto”
“Non è vero” ribatto strizzando il cuscino.
“Invece sì”
“Invece no”
“Lo sai che ti cambia il tono della voce quando colpisco nel segno?”
“Ahah cosa... di che diavolo stai parlando?”
“Niente. Se mi lasci usare micetta, ti permetto di chiamarmi come vuoi”
“Ahahah cioè, vuoi introdurlo proprio come vezzeggiativo ufficiale! Dì la verità, ci stavi lavorando già da tempo, ammettilo”
“No, mi è uscito così senza pensarci. E magari me ne sarei dimenticato un secondo dopo, se tu non avessi avuto quella reazione stupenda”
“In pratica, è colpa mia”
“Come sempre, mia regina”
“Regina o micetta, deciditi”
“E perché mai? Puoi essere tutt'e due. Anzi, lo sei”
“Se per sbaglio quella parola esce dalla tua bocca in presenza di uno dei nostri amici sei-”
“HA! Allora è quello che ti terrorizza? Che possa arrivare alle orecchie dei ragazzi?”
“Se succede una cosa del genere sei morto, sappilo”
“Sei troppo preoccupata dell'opinione degli altri, lasciatelo dire”
“Ma non morto nel senso che ti faccio il culo, ti meno o ti uccido letteralmente. Semplicemente da quel momento in poi cesserai di esistere per me, celebrerò mentalmente il tuo funerale, piangerò un pochino, dopodiché non ti rivolgerò mai più la parola né riconoscerò più la tua presenza in alcun modo”
“Ti ho mai detto che ti adoro quando sei così teatrale?”
“Ti ho mai detto che le mie minacce sono sempre reali?”
“Ok, ok, prometto che non userò mai quel nome se non quando siamo soli soletti. Così va meglio?”
“Sì” lo dicevo che questa non l'avrei vinta.
“Grazie, micetta. Tu come mi vuoi chiamare invece?”
“Io ti chiamo Eddie, punto”
“Guarda che mi va bene anche un nomignolo non zuccheroso”
“Ed?” ebbene sì, è il massimo che riesco a fare.
“Ahahahahah”
“Che cazzo ridi?” in realtà adoro quando ride, specialmente quando mi prende per il culo, ma non è necessario che lui lo sappia.
“Wow, non sarà troppo intimo? Non so se me la sento di permetterti di chiamarmi Ed”
“Vaffanculo, Ed”
“Specialmente davanti agli altri”
“Non è una cosa che puoi decidere a tavolino, ti viene spontaneo chiamare una persona in un altro modo, anche tu l'hai detto, no? Quando mi verrà di chiamarti con un vezzeggiativo idiota, lo saprai”
“Va bene. Allora, è già venerdì?”
“No, mancano ancora due giorni”
“Tecnicamente uno, la mezzanotte è passata da un pezzo”
“Allora se lo sai già, perché me lo chiedi?”
“Volevo vedere se eri attenta”
“Comunque vedi che succede a furia di sparare cazzate al telefono? Finisce che il tempo passa in fretta”
“Era il mio obiettivo fin dall'inizio. Comunque avremmo potuto spararne anche di più se non te la fossi presa comoda, io ero qui ad aspettarti dalle undici e mezza”
“Non me la sono presa comoda, sono arrivata a casa adesso. Cioè, neanche un minuto prima di chiamarti”
“Roxy ti fa fare gli straordinari? Questa cosa che ti fa fare sempre la chiusura però non la capisco, si chiamano turni per un motivo, no?”
“Non la faccio sempre. E questi orari li ho chiesti io perché per me sono più comodi per una serie di motivi. Comunque stavolta sono uscita quasi puntuale, ho perso tempo dopo, anche se non lo definirei tempo perso, visto che ho avuto un'anteprima esclusiva!”
“Ah sì? Che hai fatto?”
“Ho ascoltato un paio di demo degli Alice che andranno nel prossimo disco. Cioè, questo lo dico io, perché sono una bomba, anche se Jerry non è del tutto convinto. Ma quello è normale, perché lui non capisce un cazzo” altro autore perfezionista del cavolo come Eddie, tra di loro dovrebbero intendersi in questo senso.
“Jerry? L'hai visto? E' venuto alla tavola calda?” in barba all'intesa da me supposta, l'adorabile e giocoso Eddie scompare all'istante e nel momento stesso in cui pronuncia il nome di Jerry capisco che sta per incazzarsi esattamente come l'altra sera.
“No, l'ho beccato dopo il lavoro”
“Beccato dove? Sei andata da qualche parte dopo il lavoro e-”
“Oh no, l'ho incontrato per strada”
“Per strada?”
“Sì”
“Per strada davanti a Roxy's alle undici di sera di un mercoledì?”
“Sì” la conversazione sta lentamente scivolando nell'interrogatorio.
“E che ci faceva lì?”
“Non lo so, era in giro, non gliel'ho chiesto”
“Chiedilo a me”
“Eheh cosa?” non sono scema, non è che mi metto a ridere sapendo che Eddie avrà il fumo che gli esce dalle orecchie a questo punto. E' più un ghigno nervoso che non riesco a trattenere.
“Chiedilo pure a me, te la do io la risposta”
“Eddie io-”
“Chiedimelo” Eddie sa convincermi, anche se preferisco gli altri suoi metodi, quelli più piacevoli.
“Ok, che ci faceva lì Jerry?”
“E' venuto apposta per vederti, mi pare ovvio”
“Non è venuto apposta” sì che è venuto apposta, ma quello che voglio dire è che non è venuto apposta con l'idea di riconquistarmi, come crede Eddie. E' solo venuto a cercarmi perchè non sapeva da chi altro andare.
“Va beh, e poi?”
“E poi cosa?”
“E poi cosa è successo, che avete fatto, dove siete andati? Dove te l'ha fatto sentire QUESTO CAZZO DI DEMO?” le grida di Eddie attraverso la cornetta mi fanno sobbalzare sul divano.
“Sì, ma stai calmo, perché alzi la voce?”
“PERCHE' MI VA”
“Eddie”
“Perché io ero qui ad aspettare di parlare almeno al telefono con la mia ragazza, visto che non potevamo vederci di persona, mentre lei era in giro col suo ex”
“Non ero in giro”
“Sei andata direttamente a casa sua?”
“No”
“E' venuto lui da te? Magari gli hai fatto anche il caffè”
“Siamo stati in macchina il tempo di sentire due canzoni di numero e poi mi ha portata a casa” ignoro il suo sarcasmo perché se non lo facessi finirei per rispondere col mio e non ne usciremmo vivi.
“In macchina”
“Sì, dove me la faceva sentire la cassetta secondo te? Nessuno è andato a casa di nessuno e Jerry non va mica in giro con il boombox sulla spalla” eccolo, il mio sarcasmo non ha resistito, questa discussione non può finire bene.
“In macchina” ripete con lo stesso tono sprezzante.
“Sì, in macchina”
“E dove vi siete imboscati? Visto che il vecchio parcheggio è off limits...”
“Non ci siamo imboscati da nessuna parte, eravamo lì, sulla strada. E' finito l'interrogatorio?”
“No. Vi siete baciati?”
“MA FIGURATI, SECONDO TE??” mi viene da urlare, ma allo stesso tempo non voglio reagire con troppa veemenza e dargli l'impressione di essere stata punta nel vivo e che sia successo davvero qualcosa con Jerry.
“Non lo so, se no non te l'avrei chiesto”
“Davvero non lo sai? Cioè, tu seriamente pensi che io potrei baciare Jerry? E che soprattutto, dopo averlo fatto, ti chiamerei e mi metterei a parlare di gatti, poltergeist, nomi e nomignoli come se niente fosse?”
“Non lo so, Angie, so solo che il tuo ex si è fatto vivo con la scusa del demo e tu non hai resistito. E a giudicare dalle tempistiche, non penso proprio che tu abbia ascoltato due canzoni e poi sia filata dritta a casa, a meno che gli Alice in Chains non si siano dati a pezzi prog da 15 minuti l'uno”
“Abbiamo parlato”
“Di cosa?”
“Di cose personali”
“Ah beh allora! Perfetto, non ho assolutamente motivo di arrabbiarmi! Hai visto il tuo ex e avete parlato dei vostri segreti, ora sì che sono tranquillo!”
“Cose personali sue, che non riguardano me”
“Oh perché ora tu sei la confidente preferita di Jerry, giusto. Perché non va a raccontare i cazzi suoi alle tipe che si scopava alle tue spalle?” beh, wow, complimenti per il tatto, Eddie... Resto interdetta per alcuni secondi prima di rispondere.
“E io che ne so? Magari lo fa già, magari no. Perché lo chiedi a me, io cosa c'entro, scusa?”
“C'entri perché sei la mia ragazza, non la sua, se te lo fossi dimenticato”
“Non me lo sono dimenticato, ma forse tu sì, visto come mi stai trattando” va bene mantenere la calma, ma io non ho fatto niente, perché dovrei stare sulla difensiva? Non mi piace per niente quando fa così.
“Vero, sono io che faccio lo stronzo, dopotutto ti sei solo vista da sola con Jerry, mica mi dovrei incazzare”
“Senti, te l'ho detto io che ho visto Jerry, di mia iniziativa, senza che tu sapessi un cazzo. Se non ti avessi detto niente non l'avresti mai saputo. E invece io te l'ho detto, perché non ho niente da nascondere e non ho fatto niente di male” litigare è una delle cose che odio di più e che rifuggo come la peste. Non mi piace litigare, mi mette ansia, anche quando ho ragione, ed è per questo che spesso faccio finta di niente e chiudo gli occhi e le orecchie anche quando non dovrei, anche quando avrei qualcosa da ribattere, perché semplicemente non ho voglia di casini e voglio stare tranquilla. In questo caso, però, non riesco proprio a stare zitta, quindi cerco di farlo ragionare.
“Ok, ascolta, io ci credo che non hai fatto niente, che non è successo niente, mi fido di te. Ma non mi fido di lui? Non lo capisci che lo fa apposta? Era un pretesto del cazzo per vederti” Eddie smette di trattarmi di merda per un attimo, ma questo non è che mi faccia sentire poi tanto meglio.
“Non era assolutamente così, ma anche se lo fosse, io non c'entro nulla. Mi ha chiesto di ascoltare un paio di pezzi e dargli un parere, morta lì”
“Potevi dirgli di no. Potevi dirgli che dovevi andare a casa, che avevi un impegno. Che poi ce l'avevi davvero l'impegno, con me”
“Onestamente non ci vedo nulla di male nell'ascoltare due canzoni e un mezzo sfogo di un amico, quindi non vedo perché avrei dovuto dirgli di no” l'impegno che avevo con te era una telefonata, non casca certo il mondo se ti chiamo un po' più tardi, no?
“Forse perché non è un amico, ma è il tuo fottuto ex?”
“Proprio perché è il mio ex, non vedo perché devi essere geloso. E' acqua passata, una storia chiusa con un sacco di pietre messe sopra. Se sei geloso, il problema è tuo” se c'è una cosa che non sopporto è la gelosia, non la tollero, è stupida, è-
“Se non vedi qual è il problema, sei tu il problema. Buona notte” c'è bisogno che il segnale di occupato vada avanti per un po' prima che io capisca che Eddie mi ha letteralmente attaccato il telefono in faccia. Sono incredula, non solo per questo gesto, ma per tutta la situazione. Che cazzo è successo? Come siamo passati da una tranquilla telefonata a una lite accesa nel giro di un minuto? Perché si è arrabbiato così tanto? Non so cosa fare, aspetto qualche minuto, poi provo a richiamarlo, ma il telefono squilla a vuoto, senza risposta.
“CHE CAZZO! Angie, che diavolo ci fai lì?” la luce della sala si accende di colpo e l'improvvisa vista della mia sagoma sul divano terrorizza la mia amica.
“Ciao, Meg, scusa”
“Scusa un cazzo! Ok, dichiaro ufficialmente terminato il campionato di Spaventa a morte la tua coinquilina. Hai vinto tu e stop, mi arrendo” si avvicina tenendosi una mano sul cuore e io so già che ora si siederà con me, capirà in un nanosecondo che c'è qualcosa che non va, io inizialmente non le dirò un cazzo, poi, inevitabilmente, le spiattellerò tutto, lei mi consolerà, insulterà Eddie, poi Jerry, poi mi dirà che non è niente di irreparabile, mi darà dei consigli che mi sembreranno senza senso, ma che alla fine risulteranno azzeccati e tutto si sistemerà. Forse.
“Scusami, stavo telefonando”
“Ah, hai richiamato la tua amica, allora?” mi chiede Meg, disorientandomi totalmente. Come se non fossi già abbastanza confusa.
“La mia amica?”
“Sì, Jane, la tua ex compagna di scuola. Ti avevo lasciato un appunto...” Meg si allontana saltellando e torna da me con il blocchetto che avevo notato accanto alla base del cordless. Mi basta quel nome, prima pronunciato da lei e poi scritto a chiare lettere sul foglio giallo, per tornare immediatamente padrona di me stessa.
“Sì sì, infatti, l'ho appena richiamata, grazie” mi alzo dal divano e prendo il blocco delicatamente, ma con fermezza, dalle mani di Meg, prima di staccare la pagina incriminata.
“E' tutto ok? Mi sembrava una cosa urgente”
“Ahahah per Jane è sempre tutto urgente! Nah, voleva solo darmi la notizia che finalmente ha trovato lavoro. E darmi il suo nuovo numero, ora che si è sistemata” prendo la borsa e infilo il foglio di carta nella mia agenda, per non perderlo. O almeno, questa è l'idea che voglio dare a Meg. Io questo numero ce l'ho già, ma sotto sotto, mi piacerebbe tanto perderlo.
“718... uhm... che prefisso è, Texas?”
“New York”
“Hai un'amica nella Grande Mela? Che figata! E che fa di bello?”
“Fa la modella. Il suo sogno è fare l'attrice” sarebbe più corretto dire che il suo sogno è essere famosa, anzi, essere adorata. Da tutti, possibilmente. Ma non mi sembra necessario aggiungere questo dettaglio, non so neanche perché ne sto parlando con Meg.
“Un giorno sarai tu a dirigerla allora? Un'attrice e una regista: la squadra perfetta!” la mia coinquilina manifesta un entusiasmo che cozza un po' col mio umore, ma non posso darlo a vedere.
“A parte che preferirei scrivere e non dirigere, tranquilla che ne ho di panini da servire ancora prima di arrivare a quel punto” chiudo la borsa, me la rimetto a tracolla.
“Come mai non mi hai mai parlato di questa Jane? E' la prima volta che la sento nominare, pensavo avessi solo tre amici in croce” non demorde e mi segue fino in corridoio.
“Infatti, confermo i mitici tre. Jane non è proprio un'amica, è più... è una conoscenza più superficiale”
“Però è carina a mantenere i contatti, dai” sì, certo, carinissima.
“Sì, è una brava ragazza” credo che vomiterebbe se mi sentisse dire questo di lei.
“Che fai? Esci?” Meg mi blocca quando, anziché andare verso la mia camera, come si aspettava, faccio per aprire la porta di casa.
“Sì, ho finito le sigarette. Me ne ero dimenticata, cazzo. Mi tocca uscire di nuovo, ma ci metto un attimo”
“E non puoi stare senza fumare?”
“No, decisamente no, Meg, fidati”
Esco invitandola a tornare a dormire, dicendole che ho con me le chiavi e che non serve aspettarmi. Scendo le scale in un lampo e quando sono fuori dal condominio, do un'occhiata alle finestre del quarto piano. Le luci sono di nuovo tutte spente. Meglio così, non è necessario fare il giro dell'isolato. Mi infilo nella cabina sotto casa, inserisco una ad una le monete nel telefono a gettoni come se pesassero una tonnellata ciascuna e compongo il numero che è chiuso nella mia agenda, ma che non mi serve tirare fuori, perché lo so a memoria da anni ormai.
“Pronto”
“Che ti serve?”
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“E' ancora presto, cazzo” dico tra me e me guardando l'orologio, che segna le otto meno un quarto. Che poi, dovrei buttarlo questo cazzo di orologio. O rivenderlo. L'avevo detto anche ad Angie, chiedendole se le dava fastidio, ma lei mi aveva guardato come se fossi matto e mi aveva chiesto perché. Non le importa che io abbia al polso ogni santo giorno l'orologio che mi ha regalato una che aveva una cotta per me, una ragazza che ho persino baciato. Angie non sa cosa sia la gelosia, quell'angoscia che nasce dalla pancia e ti arriva subito alla testa, che ti fa vedere tutto nero, che ti toglie il respiro, come un mostro marino che emerge dall'oceano e ti sorprende mentre stai nuotando, ti avvolge e ti immobilizza con i suoi tentacoli, che ti convince che ormai è tutto perduto. Angie non ci pensa nemmeno, non ci ha pensato ieri sera, quando ha incontrato Jerry, e neanche quando me l'ha detto, candidamente, come se fosse una cosa normale. Perché per lei è normale. Perché è probabile che sia normale per tutti tranne che per me, lo stronzo instabile, che è qui sotto casa della sua ragazza dalle sei del mattino, in attesa che venga fuori per poterle chiedere scusa e salvare la situazione. Non avevo intenzione di svegliarla così presto e sapevo che non sarebbe uscita a quell'ora, ma non ce la facevo più a stare a casa, dopo una nottata insonne in cui sono passato, anche piuttosto velocemente, dalla rabbia alla realizzazione della cazzata appena fatta. Esco di nuovo dal pick up. Sarò sceso e salito cinque o sei volte in un paio d'ore e ci saranno i mozziconi di un intero pacchetto di sigarette su questa merda di marciapiede. Non piove, ma l'aria è fresca, io però sto sudando. Allungo la mano attraverso il finestrino lasciato aperto per metà, recupero il mio cappellino dal sedile e lo indosso. Mentre sono impegnato a raccogliere tutti i capelli alla bene e meglio sotto il berretto, sento il portone aprirsi e la vedo uscire, intenta a sistemarsi la sciarpa voluminosa attorno al collo per proteggersi dal vento. Non mi guarda, ma viene verso di me, e io non mi devo neanche impegnare a fare la faccia contrita, perché solo rivederla per me è un tuffo al cuore e sono sicuro che la mia espressione naturale sia già quella giusta. Sto quasi per chiamarla per nome quando, anziché proseguire dritta nella mia direzione, gira alla sua destra e se ne va chissà dove. Non mi ha visto? Mi ha visto e mi ha ignorato apposta, poco importa. Butto l'ennesima cicca a terra e la seguo.
“Angie” si inchioda di colpo, segno che no, forse non mi aveva visto. Si volta verso di me e letteralmente mi squadra da capo a piedi, prima di fermarsi sui miei occhi e rispondere con un cenno.
“Ciao Eddie” si volta di nuovo e riprende a camminare, stavolta più lentamente.
“Lo so che sei arrabbiata, hai tutte le ragioni per esserlo” la raggiungo e cammino accanto a lei, che affonda la faccia nella sciarpa, quasi a volersi nascondere.
“Io non sono arrabbiata. Eri tu quello incazzato, mi pare”
“Mi sono incazzato per niente, Angie, scusami. Ti chiedo perdono”
“Eri una furia”
“Lo so, lo so, sono stato uno stronzo”
“Mi hai attaccato il telefono in faccia e non mi hai neanche risposto quando ti ho richiamato”
“Meglio così! Credimi! Ero fuori di me, chissà cosa avrei potuto dire” ecco forse questo era meglio non dirlo.
“Ok, allora meglio così” Angie alza le spalle e accelera impercettibilmente il passo.
“Angie, possiamo fermarci un secondo, ho bisogno di parlarti per bene, non così, mentre camminiamo”
“Ho delle cose da fare, devo passare in banca e fare altre commissioni prima di andare in facoltà”
“Ci vorranno solo due minuti, Angie, per favore. Fammi parlare, non ci ho dormito tutta la notte” le circondo le spalle con un braccio, delicatamente, indirizzandola verso la prima panchina che mi capita a tiro.
“E dov'è la novità?” mi chiede con un sorriso un po' spento. Mi sa che non ha dormito neanche lei granché.
“La novità è che stavolta è colpa mia.” faccio un cenno verso la panchina “Ti prego”
“Ok, solo due minuti però” alza gli occhi al cielo e si arrende, sedendosi con me.
“Allora... beh, come avrai intuito, ho un piccolo problema con la gelosia” inizio a confessare.
“No! Davvero?” mi rivolge il suo solito sorrisetto sarcastico e mi sento un pochino meglio perché forse c'è la possibilità che io non abbia mandato tutto a puttane.
“Sono geloso. Ed è un mio problema, come hai detto tu ieri, avevi ragione, hai ragione. Nel senso che tu non hai fatto niente, tu non fai mai niente, è una cosa mia, non c'entrano le cose che fai o come ti comporti o cazzate del genere. Potresti non uscire mai di casa e io sarei geloso del fattorino che ti porta la pizza perché, che cazzo ne so, ti sorride un po' troppo quando gli lasci il resto di mancia”
“Beh, sì, visti i guadagni da fame, qualcuno potrebbe anche innamorarsi per una mancia, ci posso credere” Angie continua a prendermi per il culo e ammetto che la cosa mi fa sentire sempre più a mio agio.
“Il fatto è che nove volte su dieci il pensiero arriva, mi genera fastidio per quei due secondi, e poi se ne va e non ci penso più. Insomma, il più delle volte lo tengo a bada, ignoro le voci nella mia testa, e continuo con la mia vita come se niente fosse”
“Non stiamo parlando di vere voci, giusto?”
“Eheh no, voci della coscienza”
“Ah ok. E invece che capita nell'unica volta su dieci?”
“Capita che perdo la testa e dico cose che non penso”
“Sicuro che non le pensi?”
“Angie, no, non le penso. Perdonami, non succederà più, te lo prometto” provo a prenderle le mani, un po' timidamente, ma lei mi lascia fare e non si allontana da me.
“Come fai a prometterlo? Se perdi il controllo, come dici, come puoi evitarlo?”
“Posso evitarlo perché voglio evitarlo, perché tu sei più importante, di tutto”
“Eddie, ascoltami,” Angie si gira un po' di più verso di me, sempre tenendo le mani nelle mie “posso capire la tua gelosia. Cioè, non la accetto, non la giustifico, ma posso capire come funziona, ne intuisco il meccanismo e i motivi scatenanti. So che devi sentirti insicuro, anche se non ho la più pallida idea di come sia possibile, visto che sei un ragazzo eccezionale e che non ti lascerei mai”
“Magari c'è qualcuno più eccezionale di me...”
“Chi? Jerry Cantrell?” Angie non perde tempo e va dritta al punto.
“Deve pur avere qualcosa di buono se ti ci sei messa assieme. E se gli sei ancora amica, dopo che... beh, dopo il male che ti ha fatto”
“Certo che c'è del buono in lui, ma nulla di un potenziale fidanzato. Non più. E non so più come dirtelo per fartelo capire”
“E allora perché ci parli ancora? Non voglio dire che non devi parlargli, non sono quel tipo di ragazzo, che ti proibisce cose o ti dice chi devi frequentare o dove puoi andare o stronzate del genere. Solo, non capisco davvero come tu possa farlo, cioè, se Beth saltasse fuori dal nulla e mi cercasse dicendomi che ha bisogno di parlare con qualcuno, le risponderei con un bel dito medio”
“Io non sono te” la risposta è tanto immediata quanto semplice.
“Eheh lo so. E meno male, aggiungerei”
“Non so che altra spiegazione darti, per me è così. Prima di provarci era un amico e quello che è successo tra noi come coppia non ha cambiato le cose. Cioè, detto onestamente, io pensavo di sì, che le avrebbe cambiate, ma poi col passare del tempo mi sono resa conto che per me Jerry è tornato ad essere né più né meno quello che era prima: un amico”
“Mi sembra incredibile, è come se scindessi le due cose”
“Non è come se, è esattamente così. Io divido le due cose, i due rapporti, i due Jerry. C'è Jerry il mio ex e Jerry l'amico, il primo non c'è più, è rimasto l'altro” Angie fa spallucce come se spiegasse la cosa più ovvia del mondo, io non ci provo neanche a capire e non so se crederci o meno. Ma devo sforzarmi se voglio che questa cosa funzioni e non naufraghi quando è praticamente appena cominciata.
“E' un concetto molto lontano dal mio modo di vedere, ma... posso capirlo”
“Stessa cosa per me con la tua gelosia. E' un concetto molto, molto lontano da me, ma lo capisco. Quello che non ammetto è il modo in cui mi hai trattata perché eri geloso”
“Lo so, Angie, scusami”
“Mi hai detto delle cose bruttissime. E con un tono... il tono era davvero cattivo, come se cercassi di farmi male il più possibile”
“Te l'ho detto, sono scattato per una cazzata”
“Secondo me il tuo problema non è la gelosia, ma la rabbia. Appena tii senti in pericolo attacchi, alla cieca. Non è la prima volta che lo fai, ma a questi livelli no, non era mai successo” colpito e affondato. Angie mi conosce da nemmeno sei mesi, sta con me da qualche settimana e mi ha già inquadrato in tutto e per tutto.
“Lo so, è un casino. Io sono un casino.” mi lascio andare, appoggiando la testa sul suo grembo, senza mollarle le mani “Speravo non vedessi mai questo lato del mio carattere” illuso, era ovvio che saltasse fuori subito, con una maggiore intimità.
“Anch'io sono un casino, tutti lo siamo. Ma quando si tratta di ferire deliberatamente una persona, con cattiveria beh, io lì tiro una riga e segno il mio limite. Cosa me ne faccio dei nomignoli zuccherosi se poi sfoghi le tue frustrazioni su di me?” lo sapevo, mi sta lasciando. Mi ha sopportato anche troppo in fondo.
“E' finita, vero?”
“COSA? Di che stai parlando?” Angie libera le sue mani dalle mie e mi prende la testa, girandola e obbligandomi a guardarla.
“Non vuoi mollarmi?”
“Eheheh chi è quello teatrale adesso?” mi spinge di nuovo la testa in basso, mi leva il cappello, se lo mette in testa e inizia a spettinarmi per gioco.
“Hai detto che quello è il tuo limite...”
“Secondo te ti mollo per una lite del cazzo?”
“No?” sono salvo?
“La prossima volta, quando ti incazzi per qualcosa, prima di insultarmi, fai un bel respiro profondo e parlane francamente, dimmi cosa non va, di cosa hai paura e come posso aiutarti. Oppure insultami, ma solo se me lo merito o se pensi ci sia una valida ragione. Insomma, ci sta discutere, cazzo, ci sta anche litigare, anche se io detesto litigare e farei qualsiasi cosa pur di evitarlo, ma ammetto che ci sta, se c'è un motivo. Ecco, io voglio avere la libertà di litigare con te senza rischiare un crollo emotivo ogni volta, ok? Perché, come ti ho già detto, anch'io sono un casino, proprio come te, anch'io ho i miei problemi, che credi. Non vedi quanto ci metto a esternare un cazzo di sentimento che sia uno? Da un lato ti invidio, sai?” quello che dice mi lascia inizialmente senza parole perché è così... maturo. Io sono qui a piagnucolare, mentre lei ha analizzato la situazione razionalmente e sta semplicemente dicendo le cose come stanno.
“Mi invidi? Pensi che essere schiavo delle proprie emozioni sia meglio? Ogni volta è come lanciare in aria una cazzo di monetina, fai un tiro e non sai che cosa verrà fuori: come sto oggi? Sto bene? Sto male? Sono felice? Sono incazzato? Jeff e Stone potrebbero scommetterci su” mi rimetto a sedere come una persona normale e mi accorgo di avere una stringa semi-slacciata.
“Beh, le mie monetine non vengono mai lanciate, le infilo nel salvadanaio, una dopo l'altra, e lì rimangono. Almeno finché non arriva Natale e bisogna rompere il salvadanaio e allora BAM! Escono fuori tutte assieme” faccio per allacciarmi la scarpa, quando Angie si intromette, le allaccia per me mentre parla, e poi mi riprende le mani nelle sue.
“Mi presti il tuo salvadanaio?” le chiedo prima di ricevere quel bacio che temevo di non avere più.
“Sì, solo se mi fai lanciare le tue monetine ogni tanto” mi sorride e ora ne ho la certezza: sono salvo.
“Scusami, Angie, davvero”
“Non mi serve che ti scusi, mi serve che non fai più lo stronzo”
“Va bene”
“E che se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo, come due persone adulte”
“Ok”
“Perché non sono il tuo pungiball”
“No, sei la mia...” aspetto che capisca cosa voglio dire e risponda alla provocazione. Finalmente si gira di scatto e mi guarda malissimo, proprio come piace a me.
“Non ci provare”
“Perché? Hai detto che potevo”
“Non in pubblico”
“Ma se non c'è nessuno” mi guardo attorno e c'è giusto qualche passante che non ci calcola minimamente.
“Pensi che se non ti ho mollato per la piazzata di ieri non ti mollerò se mi chiami micetta? Potrei stupirti”
“HA! L'hai detto tu. Dicendolo l'hai automaticamente accettato come nomignolo ufficiale”
“E chi lo dice?”
“Io, micetta” le rispondo nell'orecchio, perché va beh rischiare, ma non voglio neanche tirare troppo la corda.
“In cosa mi sono andata a cacciare” Angie alza gli occhi al cielo per l'ennesima volta e credo che con me diventerà un'abitudine.
“Non ne hai idea, credimi”
“Non voglio più litigare con te”
“Io invece non vedo l'ora”
“Ahah che?”
“Solo con te un litigio può trasformarsi in un confronto a cuore aperto sulle emozioni, i sentimenti e la maniera di gestirli. Mi piace parlare di queste cose con te, mi piace parlare con te, mi piaci tu”
“Anche tu mi piaci,” Angie mi stampa un bacio sul naso e poi si alza “però adesso devo proprio andare”
“Ah allora non era una scusa per evitarmi? Hai da fare sul serio?” mi alzo anch'io e scherzo, facendo finta di non badare al fatto che mi ha appena detto che le piaccio, senza imbarazzarsi, senza che glielo abbia chiesto o che abbia cercato di estorcerle questa confessione con la tortura.
“Sì e mi devo muovere”
“Ma quando finiscono le lezioni?” sbuffo recuperando il mio cappello dalla sua testa e rimettendolo sulla mia.
“Domani è l'ultimo giorno”
“Finalmente! Cos'hai di vacanza, una settimana?”
“Dieci giorni”
“Ancora meglio... senti, stavo pensando... cioè, in realtà non ci avevo pensato prima, ci sto pensando adesso. Che ne dici se andassimo via qualche giorno, io e te?” le prendo di nuovo le mani, o meglio, i polsi, e ne accarezzo l'interno. Lo so che le piace.
“Via dove?”
“Dove vuoi tu. Per staccare e stare un po' da soli, ti andrebbe?”
“Non so, non sarai preso col film e la registrazione dell'album?”
“Appunto, potremmo fare questo weekend, che ne dici? Mi girano le palle che sarò impegnato proprio quando tu sarai a casa e potremmo vederci di più”
“Non lo so, Eddie. In realtà avevo già dato la disponibilità sia a Roxy che ad Hannigan per fare qualche ora in più sia nel weekend che in settimana, sai, per mettere da parte qualcosa” il suo sguardo si abbassa troppo spesso perché non ci sia qualcosa che non va.
“Oh ok... ma va tutto bene?” la scuoto un po' invitandola a guardarmi, oltre che a parlare sinceramente.
“Certo, perché?”
“Non so, non è che hai bisogno di soldi?”
“Ahahah e chi non ne ha bisogno?” Angie si stacca da me e mi fa cenno di riavviarmi assieme a lei.
“Eheh no, intendo, che magari hai qualche problema e ti servono i soldi”
“Il mio problema è il solito: pagare le bollette, l'affitto, il college e i libri. O le fotocopie dei libri, anche quelle costano” camminiamo vicini mentre Angie conta le sue spese sulle dita della mano.
“Beh, ma ti aiutano i tuoi, no? Tuo padre non mi da l'idea di essere il tipo che s'incazza se non gli mandi la tua parte all'inizio del semestre, ma un po' più tardi”
“Non c'entra, è una questione di principio, se prendo un impegno lo mantengo”
“Certo e questo è bellissimo. Ma non c'è niente di male nel chiedere aiuto quando si ha bisogno” proseguo e non mi accorgo subito che Angie si è fermata poco più indietro.
“Ecco, questo me lo dovrei tatuare, così magari inizierei anche a farlo prima o poi” mi giro e la vedo ferma sul primo gradino della scalinata della banca.
“Tutti vengono da te quando hanno bisogno, tu invece?” la raggiungo e l'abbraccio.
“Io invece chiamo te se ho un ragno in casa”
“Puoi chiamarmi anche per il resto, lo sai vero?”
“Grazie.” mi bacia ancora e stavolta non può fare a meno di guardarsi attorno per controllare che non ci sia nessuno di nostra conoscenza nei paraggi “Comunque è tutto ok, solo necessità di tutti i giorni, non ti fare strane idee, davvero”
“Ok”
“Ora devo andare sul serio però. Ti posso chiamare a pranzo?”
“Non me lo devi chiedere”
“Correggo la mia domanda: ti trovo a casa a pranzo?”
“Sì”
“Ci sentiamo dopo allora, buona giornata” mi stampa un altro bacio troppo veloce e se ne va troppo in fretta.
“A dopo... Whirpool??”
“Acqua!”
'Se qualcosa non va me lo dici e ne parliamo' così mi hai detto. Spero tu lo sappia che vale anche per te.
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wendymotorcycle21 · 4 years
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La bestia nera. La DPP ESISTE E UCCIDE.
Un bambino di cinque mesi è stato ucciso da sua madre, a causa dello scuotimento eccessivo. Una fragile vita spezzata, e un’altra, completamente a pezzi, distrutta, senza possibilità di redenzione. C’è chi la chiama assassina. Ma nessuno può sapere veramente cosa sia successo nella mente di questa donna, ve lo garantisco. Andiamo con calma. 
Questo non è un trattato di psicologia né niente di lontanamente simile. È il racconto di una persona che ha attraversato momenti molto difficili e incontrato mostri impossibili da sconfiggere del tutto. È molto lungo e prolisso, quindi accomodati e leggi con calma.
Iniziamo dal presupposto che ogni persona è diversa, ogni donna è diversa. Non esiste un manuale o un metodo univoco e universale su come essere madri né su come essere donne durante i primi mesi di vita del proprio figlio, in barba a tutti i corsi pre-parto e alle centinaia di libri a tema maternità letti in attesa di mettere al mondo la nostra creaturina. Un grosso problema di noi umani è che idealizziamo tutto: predisponiamo il nostro nido d’amore, il lettino, il fasciatoio, i completini, la borsa dell’ospedale; passiamo le ore a guardare siti internet per il miglior seggiolino, il miglior passeggino, la fascia portabebé, addirittura per lo svezzamento, paraspigoli ovunque, compriamo i pannolini di tutte le taglie esistenti per andare sul sicuro, e la nostra isoletta felice con un pargolo idealmente perfetto prende forma. Già ci vediamo lì, rilassate, con i capelli decenti e sorridenti, accomodate sulla poltrona messa appositamente per allattarlo in cameretta con il cuscino allattamento, e tutto va liscio come l’olio. Nel nostro sogno d’amore il bebè mangia, fa il ruttino, si addormenta nella sua culletta e noi ci possiamo dedicare a noi stesse. Ma tutto questo, in realtà, non esiste. E se esiste i casi sono due, o siete la Ferragni e avete una super nanny/ostetrica a domicilio H24 che sa come consolare i pupi più inconsolabili, o avete solo un gran culo che comunque, sappiatelo, non durerà.
Poi arriva il momento tanto atteso, il parto. L’ospedale, il parto, ed eccovi belle zozze di sangue con il vostro sgorbio (perché, detto onestamente, appena nati non sono sta gran bellezza: chi dice il contrario MENTE) addosso. Nella migliore delle ipotesi il papà, la nonna o chi per essi lo laverà seguendo le indicazioni delle ostetriche, e ve lo riporterà bello lindo, profumato e vestito, mentre voi... beh, voi mamme sticazzi, vi dovete arrangiare. Puzzate di sudore, o siete sporche di sangue? Fatti vostri. Se avete qualcuno che vi aiuta a lavarvi (e qualcuno che vi tenga il piccolo - non è detto che ve lo tengano nella nursery) bene, altrimenti, zero. Le visite dei parenti, gli accertamenti, le torte di pannolini. Magari già le prime ragadi al seno per un attacco scorretto e le ostetriche che, al posto di aiutarti, sbuffano e ti liquidano con sufficienza se chiedi loro delucidazioni. 
Ecco, non sono in grado di allattare mio figlio, il capezzolo inizia a sanguinare. Come farò a fare tutto il resto? Sono anche bloccata a letto a causa dei problemi che mi dà la ferita del parto. Ecco che in una manciata di ore il sogno d’amore è andato completamente in pezzi, e non ho neanche la forza di raccoglierne i cocci. Un senso di impotenza e inadeguatezza inizia a farsi strada, e il nano è nato da neanche un giorno. ‘nnamo bene, proprio bene, direbbe De Sica.
Con non poche difficoltà finalmente ce ne andiamo a casa. E le difficoltà sono appena iniziate, per me. Il bambino non prende peso, esame delle urine (a un neonato di quattro, QUATTRO giorni), del sangue e anche a me giusto per stare sereni. E pure il vaccino antirosolia a me, che pur essendo favorevolissima, avere la febbre era l’ultimo dei miei desideri in quel periodo. Se avessi avuto un indicatore dello stress in quei giorni, sarebbe stato oltre la stratosfera. Ho abbastanza latte? Si attacca bene? Non capisco, si attacca letteralmente ogni 30 minuti, piange come un’aquila, inconsolabile. Ha solo 24 giorni, non ha ripreso i grammi persi dal calo fisiologico. L’ittero è passato ma niente, il pediatra ci liquida in 10 minuti con un foglietto: aggiunta 120ml ogni pasto di latte plasmon 1. E che roba è, penso io. L’ostetrica del consultorio non è d’accordo: continua ad allattare, e tutto andrà bene. Ma sta figliola non prende peso, io non riesco ad alzarmi dal letto, sono sempre sola a casa, sono bloccata a letto con la bambina e ogni movimento necessario alla sopravvivenza (mangiare io; fare pipì, prendermi cura della ferita, cambiarle il pannolino) è una sofferenza indicibile. Certo, prima o poi guarirà. Ma intanto mi sento uno schifo, vedo altre mamme prendersi cura dei loro piccoli in maniera ineccepibile, da manuale, sempre in ordine, sorridenti, con i capelli in ordine. Io non indosso una tuta né niente che non sia un pigiama dal giorno del parto, a fatica sono riuscita a lavarmi lo stretto indispensabile, mi sento ripugnante, il mio corpo è deformato. Chissà quando ritornerò ad avere una routine normale, un aspetto normale, ad essere bella per mio marito?
Sento che l’ombra avvolge la mia mente, piano piano. Lento, ma inesorabile. Il mio mondo ideale non ha preso vita, la mia mente non lo accetta, e come ogni essere umano a cui tutto crolla addosso cerco un colpevole. Chi è il colpevole? Non io, di sicuro. Ho fatto ciò che dovevo, ho preparato la casa, ho fatto la borsa per l’ospedale... la colpa è senz’altro del bambino. Sì, dev’essere così, è così. Dovevo esserci io al posto di quelle mamme perfette. Di sicuro hanno solo avuto più culo di me, avranno avuto più sostegno... più sostegno. Mia suocera non fa che ripetermi di alzarmi, e dare il latte artificiale. Mia madre l’esatto opposto, di prendermi il mio tempo e allattare, anche se ciò significa fare tre giorni di fila con due ore di sonno complessive, alternate a notti di solo dormiveglia, di ansia apparentemente immotivata che ti impedisce di chiudere occhio. No, mamma e suocera, non siete d’aiuto così. Forse non so neanche io cosa veramente mi sarebbe d’aiuto, ma per carità, smettete di dirmi cosa devo fare. L’ombra mi stringe sempre di più. Le sento come ovattate, le grida di mia figlia che ha fame. Santo cielo, ti ho allattato 10 minuti fa, dieci! Adesso stai lì e basta. La schiena mi fa un male terribile e appena mi sarò ripresa ti allatterò di nuovo, tra l’altro i capezzoli sono devastati. Ma non sono sicura fossero dieci minuti, probabilmente il lasso di tempo era molto più lungo. Ora però le sento chiaramente, la guardo con occhi sbarrati e la allatto subito. Come ho potuto pensare una cosa simile? Quanto tempo effettivamente era passato? La cosa mi spaventa. Ma succede di nuovo, e poi ancora, nei giorni successivi. Piano piano mi rendo conto che tutto ciò che riguarda lei mi sembra un peso enorme, ma proprio tutto, compreso allattarla o dare il biberon, cambiare il pannolino. Senza contare tutto il resto tipo fare la lavatrice (la quale avrà avuto le ragnatele ormai) o cucinare. Volevo solo stare a letto, lontana da ogni rumore. Ero in grado di ignorare il pianto di mia figlia per ore, e non è una skill da acquisire nel tempo né nulla di positivo, era un campanello d’allarme ma non me ne rendevo conto. 
Nessuno si accorse di questa situazione, ma se dico nessuno intendo nessuno. Mio marito lavorava tutto il giorno e la sera doveva arrangiarsi per mangiare, era come se io non ci fossi. La bambina diventava di sua unica responsabilità finché non andava a letto. Solo all’alba dei tre mesi della bambina, che sembrarono secoli, quando tornai a frequentare il consultorio con regolarità (avevo riacquisito parte della mia routine grazie alla completa guarigione della ferita e all’acquisto di un’auto), parlando dei metodi di addormentamento, dissi con nonchalance che “la metto nella culla e la lascio lì, se piange, la lascio piangere. Le lascio una lucina accesa perché mi spiace lasciarla al buio, ma se la tengo in braccio non si addormenta. Poi scendo a guardare la tv o a leggere” e alla domanda “ma non ti angoscia il fatto che pianga? Per quanto va avanti?” io: “boh, non lo so. Non ci ho mai fatto caso”. L’ostetrica mi ha suggerito un colloquio con la terapista del consultorio. È stato solo allora che mi sono resa conto di tante altre piccole cose alle quali non avevo fatto caso. La cosa che mi colpì di più fu quando, con molta dolcezza, la dottoressa mi disse “vorrei dirti che è solo un periodo no, ma ci sono i presupposti per parlare di DPP. Depressione Post Parto. Comunque continuiamo a vederci: ti darò una mano a capirci qualcosa.” 
Fu il primo spiraglio di luce, ma non me ne rendevo conto, anzi. Ero oltremodo arrabbiata con me stessa. Come era possibile, come era potuto accadere? Spesso saltavo gli appuntamenti, e non prendevo per verità assoluta ciò che la dottoressa mi diceva, perché nella mia testa non era accettabile. Ormai la bambina aveva 5 mesi e avevo iniziato lo svezzamento. Ero un orologio: orari precisissimi, cibo pesato al centesimo, mettevo in pratica tutti i consigli della cara ostetrica del consultorio e tutto sembrava andare bene, perché finalmente la bambina prendeva peso in maniera regolare e i parenti sembravano felici e avevano smesso di sindacare sulla questione latte. Ma l’insonnia, l’ansia costante che spesso mi attanagliava e mi impediva di dormire, il velo che mi si posava sulle orecchie quando mia figlia piangeva prima di dormire, erano sempre lì. L’ombra nera mi aveva ancora stretta nella sua morsa, e sfogavo questa cosa anche mangiando eccessivamente: mangiavo di tutto, mangiavo male, spesso vomitavo. Alternavo questo mangiare senza controllo a giorni di digiuno assoluto. Forse nella mia testa speravo che così facendo avrei riacquistato la forma fisica, ma ero arrivata a pesare ben 83 chili contro i 55 dai quali ero partita e che sarebbero il mio peso forma, il mio corpo mi disgustava. L’apatia aveva colpito anche il cane, il nostro cucciolo di chihuahua, al quale spesso mi dimenticavo di dare da mangiare o dimenticavo di farla rientrare dal giardino al pomeriggio. Non prendetemi per una pazza criminale alla quale piace fare del male agli altri: in quei momenti era come se niente altro oltre a uno stato di apatia esistesse nella mia testa. Stavo lì, sul divano o sul letto, a leggere, o a guardare il soffitto, di rado uscivo di casa ed era giusto per fare la spesa. Poi iniziai con lo shopping compulsivo e a strapparmi le sopracciglia con le mani, le crisi di pianto apparentemente immotivate e la sensazione di soffocamento. 
Un giorno, me lo ricordo benissimo. La bambina aveva un maglioncino blu notte coordinato a un leggins grigio, con la stampa di una rosa rossa. Quel pomeriggio qualcosa non andava. Piangeva in maniera disperata, inconsolabile, non sapevo se fossero le coliche, i dentini, fame, sete, chissà cos’altro, fatto sta che non c’era stato modo neanche portandola fuori in passeggiata di calmarla. Ero sola a casa, la presi tra le braccia e mi sdraiai sul mio letto, alzai gli occhi al cielo e iniziai a piangere. Un fiume di lacrime, inarrestabile. Ricordo le parole che le ho detto. “Ma perché? Perché non ho il controllo su ciò che succede? Perché le cose non vanno come avevo previsto?” era tutto nero, per me. Non c’era speranza, tutto andava a sfascio, ed era fuori dal mio controllo. “Ma se non mi aiuto io, chi lo farà? Chi ti crescerà?” e forse, in quel momento, qualcosa nella mia testa si è acceso, o si è rimesso in moto, non so dirlo. Mi sono alzata dal letto con la bambina che ancora piangeva e ho chiamato la dottoressa, che mi ha ricevuto mezz’ora più tardi. Le ho raccontato tutto esattamente così, parole testuali. Nel tempo le avevo omesso anche la questione cibo, ad esempio, cose fondamentali della quale avrei dovuto parlare. Mi ha semplicemente sorriso e mi ha detto: “non posso dire che sei guarita, ma il fatto che tu abbia ammesso a te stessa che qualcosa non va, è un enorme passo avanti. Diciamo che oggi è un giorno dove possiamo segnare una tappa del nostro percorso: abbiamo capito che voler avere il controllo su tutto nella vita è inverosimile, e può essere pericoloso, e distorce la nostra percezione della realtà. Ci vediamo a fine settimana, ti aspetto”. 
Cara, cara Gilda. Ti faranno santa. La dottoressa mi seguì fino ai 9 mesi della bambina, ovvero fino al mio rientro al lavoro. Ripreso il lavoro, e grazie alla dottoressa, alla sua infinita pazienza e ai suoi preziosissimi consigli, al suo supporto, piano piano mi sono ripresa. Come dicevo all’inizio, purtroppo non è qualcosa dal quale se ne esce del tutto, ad oggi mia figlia ha tre anni e io so di avere ancora l’ombra nera che talvolta mi prende, ma ho imparato a gestirla. È facile? No, per niente. Ci sono sere come queste dove desidero solo isolamento. E ora è solo più semplice trovarlo, perché riconosco la mia stessa necessità e la gestisco, senza perdere il controllo. Ma ci è voluto tempo, e fatica. 
Perché ho sentito la necessità di raccontare tutto questo? Perché molta gente non sa cosa sia la Depressione Post Parto. NON è quella condizione di “pianto facile” che capita di avere nei giorni successivi al parto, quello viene chiamato baby blues ed è semplicemente legata allo squilibrio ormonale, non porta conseguenze gravi, ed è ampiamente diffuso. La DPP è più rara, più difficile da riconoscere perché è viscida, infame, scaltra come un ladro nella notte, si infila nella quiete di casa tua, senza che tu te ne accorga. E ti deruba di una parte di te, e non ti è dato sapere quale. Molta gente non crede neanche esista questa condizione. Ho sentito cose agghiaccianti tipo “non può esistere perché noi donne siamo fatte per fare figli quindi se succede una cosa del genere allora una non è destinata a fare la madre, non doveva diventarlo”, e altre amenità simili. E frasi simili sono coltellate, per chi magari vorrebbe chiedere aiuto e finisce per non farlo per vergogna, per non sentirsi ancor più inadeguata e sbagliata di quanto non si senta già.
Perché prima di giudicare e chiamare assassina una donna che compie un atto inconsapevolmente estremo verso il proprio neonato che piange inconsolabile, bisogna capire che cosa veramente sia successo. Cosa stava passando quella donna in quel momento della sua vita? Se fosse stata lasciata da sola, alla mercé dei suoi demoni interiori, reduce di notti insonni, con l’ombra nera che la stringeva a sé? Non possiamo saperlo. Una cosa è certa: la DPP ESISTE. E UCCIDE, se non riconosciuta. Meno dita puntante, più mano tese ad aiutare. È l’unica soluzione possibile.
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segretecose · 5 years
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SKAMIT:
1.5. VENERDÌ 15 MARZO 2019, 18:56
(For English translations 👉 @skamitaliasubs)
[Messaggio di Ed: Sono qui.]
Ele: Non si bussa?
F: Ho appena bussato.
Ele: Sì ma, Filippo, se tu bussi e poi apri subito è come non bussare.
F: Vabbè, senti. Ascolta qua: “puoi cacciare di casa Ele con una scusa dopo che ha cucinato? Così è costretta a uscire con me ‘cuoricino viola’”. Chi me l’avrà mandato?
Ele: Le hai risposto?
 F: No, in realtà no. Non ancora.
Ele: Ok, allora, ho dovuto dire a Eva che non potevo uscire con lei perché dovevo aiutarti a cucinare per una cena a casa. Ti prego, coprimi.
F: Va bene, ti copro. Ti coprirò. Però mi devi dire con chi esci.
Ele: Con uno che Eva non deve sapere.
F: Oddio, esci col suo ex!
Ele: Ti pare? Sei pazzo? No.
F: Vabbè, allora... Oh cazzo! Esci con Edoardo!
Ele: No! No!
F: Esci con Edoardo!
Ele: No, no!
F: Sì, ce l’hai scritto in faccia!
Ele: No. No!
F: Ma cosa? Dai, non mi devi dire cazzate. Eleonora!
Ele: No. 
Ok. Sì. Va bene. Ci esco, ma non lo dire a nessuno.
F: Non ci posso credere.
Ma se lo scopre Silvia, che fai?
Ele: No, no. Non lo scopre nessuno perché tanto... Cioè, non è proprio un appuntamento, ci esco così, per il suo bene.
F: Cioè. Tu esci con Edoardo per il bene di Silvia?
Ele: Mh.
F: Ma cosa sì? Ma cioè, non capisco, non ci arrivo. Perdonami ma non capisco.
Ele: Filo, è una storia lunga, ok? Basta che non dici niente. Ripeti con me: non dirò niente.
F: Non dirò niente.
Ele: Bravo.
F: Se mi presti cinquanta euro.
Ele: Come fai a saperlo?
F: Dai.
Là dietro stanno.
Ele: Sei un ladro.
F: Non li ho mai toccati veramente.
E gli altri cinquanta per aver appoggiato l’impiccio Silvia-Elia?
Ele: Tu sei pazzo. Vattene e vergognati.
F: No.
Ele: Vai via!
F: Me lo merito! Uffa, uffa.
Ed: Ciao.
Ele: Ciao.
Ed: Dove vuoi andare?
Ele: Non me ne frega niente.
Ed: Sembra un bellissimo posto. Andiamoci.
Ed: Tu rimani lì o vieni fuori?
Ok. Quando ti va. Io ti aspetto qua.
Andiamo?
Ti piace qui?
Quand’ero piccolo ci venivo con mia mamma. Avevamo una barchetta e spesso ci andavamo in giro...
Ele: Questa te la sei preparata o l’hai usata altre volte?
Ti prego. Mh?
C’ho preso, eh?
Ed: Ok, allora di cosa vuoi parlare?
Ele: Di niente. Tipo così.
Ed: E allora perché sei qui?
Ele: Perché mi ci hai costretta.
Ed: Ah sì?
Ele: Mh-mh.
Ed: E come ti avrei costretta, scusa?
Ele: Dicendo a Silvia che volevi parlare con me.
Ed: Mh. E questo significa costringere qualcuno?
Ele: Sì. Certo. Perché volevi farle credere che tra me e te c’è qualcosa.
Ed: Quindi è vero.
Ele: Cosa?
Ed: Che tra me e te c’è qualcosa.
Ele: Sei bravo a rigirarti le cose.
Ed: No. Io credo che sia molto semplice in realtà. Tu hai detto una cazzata a una tua amica e poi dai la colpa a me.
Ele: Io non le ho detto la verità perché le voglio bene. Non perché sono interessata a te.
Ed: Perché?
Ele: Cosa?
Ed: Perché non sei interessata a me?
Ele: Davvero lo vuoi sapere?
Ed: Da solo non ci arrivo.
Ele: Mh, va bene. Vediamo. Allora. Perché sei arrogante, presuntuoso, maschilista, violento, egoista, non te ne frega niente degli altri, pensi solo a te stesso e a quei capelli di merda che ti ritrovi. Poi, vediamo, sei maschilista...
Ed: Maschilista l’hai già detto.
Ele: Eh, te lo ridico.
Che cazzo ti ridi?
Ed: No, niente. Scusa.
Perché pensi che sia maschilista?
Ele: Cioè, te lo devo spiegare? Vuoi che ti ricordi come hai trattato Silvia?
Ed: Stai parlando di una cosa che è successa un anno fa.
Ele: Sì. 
Ed: Io volevo semplicemente che non mi venisse già dietro, non volevo illuderla.
Ele: E non potevi dirglielo evitando di insultarla davanti a tutti?
Ed: E tu non potevi dirmelo evitando di insultarmi davanti a tutti?
Ele: Capisci che è diverso?
Se io ti insulto tu manco te lo ricordi. Non te ne frega niente. Se tu insulti Silvia, le distruggi l’autostima per sempre.
Ed: Io penso che sia molto difficile distruggere l’autostima di una persona semplicemente con un commento.
Lo so di non essere stato molto corretto, Ele, però prova a vederla un po’ dal mio punto di vista.
È stata lei a venire da me. Io non le ho promesso nulla.
Lei sapeva benissimo che non mi volevo impegnare.
Ele: Comunque ho apprezzato che tu abbia chiesto scusa a Silvia.
Ed: Dai, lo sapevi benissimo che l’ho fatto solo per uscire con te.
Ele: Sì, però potevi chiederle solo scusa. Invece sei stato carino con lei.
Ed: In realtà non penso di aver fatto una grande mossa. Perché probabilmente lei mi ha frainteso. Ha pensato che ci stessi riprovando.
Ele: No. Lei ha frainteso quando tu l’hai invitata alla festa di Natan. È un po’ diverso.
Ed: Beh, sì. Hai ragione.
Ele: Lo so.
[Squilla il telefono di Ed]
Ed: Scusa.
Ele: Niente.
Ed [al telefono]: Pronto? Ma dove? Sì, va bene, stai calmo. Dimmi dove siete adesso. Ok, va bene. Ci metto un po’ e arrivo. Ok?
[Quattro chiamate perse di Ev sul telefono di Ele]
Ed: Dobbiamo andare.
Ele: Edoardo. Oh!
Ed: Che c’è?
Ele: Che è successo?
Ed: Non è successo niente. 
Ele: Io e te non ci siamo mai visti, eh!
Ed: No, non ci siamo mai visti.
Ele: E io non ti devo più niente.
Ed: No, non mi devi niente.
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teredo-navalis · 6 years
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Una giornata luminosa - 27.03.18
Oggi è stata una giornata luminosa, oltre il significato letterale del termine.
Siamo usciti alle 12 e ho preso il cpj da sola, poi la navetta e quando sono arrivata in centro sono andata spedita a quel negozio di libri usati che mi era parso di intravedere qualche tempo fa dal pullman.
Ci sono due grandi vetrate tappezzate di volumi e fra di esse una porticina che dà accesso ad una stanza stipata di libri.
Intravisto l'interno mi sono gettata sulla vetrata di destra per ammirare i libri e mirare i titoli...e menomale! perchè poi è uscito il libraio e si è messo a sistemare ulteriori libri sull'altra vetrina.
Io ero lì lì per andarmene perchè per il mio stupido cervello è una cosa troppo imbarazzante entrare in un qualsiasi ambiente, dire buongiorno e guardarsi intorno, cioè no, Stefania, ma stai scherzando?!??! Poi però per fortuna sono rimasta, il tipo è tornato dentro e io mi sono spostata sulla vetrina di sinistra che ospita principalmente libri d'arte.
"Guardo anche questa vetrina e poi me ne vado. Addio libri. È stato bello potervi guardare. Non entrerò mai in questo negozio. Sigh."
Poi però il libraio torna e riprende a sistemare libri, mi chiede scusa perchè per aggiustare la vetrina devo spostarmi un po' e mi dice che se sono interessata ai libri di arte all'interno ce ne sono degli altri, anche se ha visto che prima stavo dando uno sguardo alla sezione letteratura. Menomale che mi ha parlato lui perchè ero proprio in procinto di andarmene, sconsolata.
Dico che sì, infatti sono più che altro interessata alla letteratura. Entra, lo seguo e il bugigattolo è bello, con i libri fino al soffitto, impilati sulla mobilia di legno scuro. Mi luccicano gli occhi.
Chiede quale generi di libri preferisco, dico che spazio un po' fra tutti i generi, ho dei gusti abbastanza eclettici (da quanto volevo usare questa parola!). Discorriamo un po', dico che non mi era sembrato di vederlo prima e infatti mi vien detto che sono in quel locale da circa un mese.
Torna al suo lavoro solerte ed io rimango sola con i vecchi saggi, la magia neanche lontanamente diminuita dalla ristrettezzea dell'ambiente.
Ho passato una piacevole ora in compagnia di Primo Levi, Calvino, Pasolini. Ho persino trovato il trattato sull'elettricità animale di Galvani e gli occhi devono avermi brillato ad una intensità di chissà quanti candela!
Sinceramente avevo paura che ad un certo punto mi dicesse di smetterla di toccare tutti i libri e leggerli per buona parte e mi cacciasse, anche se già prima si era dimostrato gentile, e invece mi ha permesso di rimanere lì, occupare quell'angolino e fare leggere famelicamente.
Ad un certo punto ho rapito la mia vittima, un'antologia di racconti di Levi, e l'ho portata a spasso con me dall'altro lato della stanza, quella che ho scoperto essere adibita ai testi medici, in attesa di trovare il coraggio, il momento e il modo di chiedere il prezzo; che pagare per un libro in un negozio qualsiasi non mi ha mai dato grossi problemi, ma mi sembra quasi un contrabbando, una vendita, una trasfigurazione di esseri umani di scambiare questi libri che son vivi e vissuti con la carta moneta e non si dovrebbe forse dare un braccio o una gamba in cambio di qualche cosa di altrettanto umano.
Poi mi faccio forza e chiedo. È una seconda edizione, Einaudi e l'ha valutata €30, infatti avevo anche visto in quarta di copertina il numero 30, però a me la passa anche a dieci. Flashback: stamattina nella fretta ho dimenticato di prendere gli altri soldi e ho solo cinque euro. E lui che me l'ha pure scontata di venti euro! Ingrata, mi dico. Anche se: che potevo farci?
"Allora devo ritornare"
Continuo ad aggirarmi per la stanza, ormai troppo imbarazzata anche per andar via.
Dice che ho buoni gusti, tutto il Novecento italiano, m'ha vista, i libri che prendevo. Sorrido, perchè se quando mi si critica sono sempre piena di argomenti, quando mi si complimenta non so mai come comportarmi. Dice che in vetrina c'è anche un altro libro di Levi. Ah sì? Non ci ho fatto caso, non mi è sembrato di vederlo. Andiamo alla vetrina ma non c'è. Torniamo dentro e ci dirigiamo verso il mio cantuccio. Il libro è lì. "Se non ora quando". È il primo libro che avevo adocchiato ma non ero sicura se potessi prenderlo o no perchè era in mezzo ad una pila di cui facevano parte libri un po' sgualciti. Me lo posa su di un'altra pila di libri, sulla scrivania, insieme a "Se una notte d'inverno un viaggiatore" ed io sono una Pasqua. Li leggo inebriandomi, come ci si inebria della fragranza di un dolce appena sfornato.
"Non di solo pane vivrà l'uomo"
(Oggi davanti scuola gli evangelici distribuivano il nuovo testamento)
Arrivano le due e deve chiudere. Prometto di tornare.
Sono andata via dalla libreria con una pace che solo l'aver passato del tempo da sola e in compagnia di buoni libri può dare. "Ora però mangio!", mi son detta e ho diretto i miei passi verso il mare perchè c'era un sole liquido che si spandeva ogni dove e sarebbe stato un sacrilegio non mangiare con lo sguardo al mare.
Ho pensato che il mare è importante, non nella misura in cui uno ci vada tutti i giorni ma che sappia che è lì, quando dovesse avere bisogno, per farsi cullare dalla risacca, è eterno e aspetta.
Alla fine sono rimasta su piazza Ferrarese perchè il sole sembrava essere doppio, rinfranto da tanto biancore e c'era vita.
Cavalcioni sulla muraglia, di faccia al mare, ho addentato allegramente il mio panino.
"Scuusi, un'informazione. Lei è di Bari?" Un signore mi avverte che c'è un gruppo di bulli che per diletto spinge le persone giù dalla Muraglia, "io lo so perchè sono di Bari Vecchia", e per compiacerlo mi giro, continuando a lanciare occhiate furtive alla mia liquida metà.
Passano dei turisti, sorrido a un vecchietto che, contento, mi ricambia il saluto, poi guarda il mio panino e dice: "Buon appetitò". Rido e lo ringrazio. Chissà di dov'erano!
Sul corso avevo visto l'indicazione per la Cittadella della Cultura e decido che ci voglio assolutamente andare. Però per le stradine della città vecchia. Oggi ho il cuore leggero e Bari la amo tutta, con i pullman scassati e il resto.
Chissà poi dov'è la Cittadella della Cultura, perchè dal centro sono arrivata fino alla Guardia di Finanza e all'autosilo e le indicazioni proseguivano ancora oltre, credo sulla tangenziale, quindi possiamo considerare infranto il mio sogno di visitarla e/o recarmici a piacimento.
Io avrei anche continuato ad andare avanti, tempo ce n'era, poi però mi chiama mia madre e mi dice che abbiamo sbagliato, l'appuntamento all'oculista è domani, non oggi, "quindi adesso sbrigati a tornare a casa". Insomma, sogni infranti parte seconda.
Sì ma adesso come ci torno in stazione? La stessa strada a ritroso non la voglio fare, quindi ricostruisco una parziale, lacunosa mappa nella mia mente e improvviso. Ad un certo punto riconosco una strada come parte del percorso del mio pullman. "Arrivata a destinazione"
Penso ad A. e rido, perchè lei non riesce ad orientarsi neanche nelle strade che più o meno conosce, figuriamoci se si dovesse arrischiare su sentieri sconosciuti!
Arriva il pullman e mi siedo dietro, vicino ad un ragazzo con la pelle scura. Finalmente tiro fuori Zeno, lo apro e inizio a leggere. Con la coda dell'occhio vedo che il ragazzo affianco a me di tanto in tanto guarda le pagine e dice qualcosa a bassa voce, come se si stesse aiutando con la lettura. Inizialmente non ne ero sicura, poi certa.
Il tutto mi rende ancora più allegra e quando arriva l'ora di voltare pagina mi giro, gli sorrido e chiedo: "Posso cambiare pagina?". Lui ride ed io con lui, mi dice di sì. Gli chiedo se riesce a capire- "un pochino". Gli dico che se vuole può chiedermi le cose che non capisce e io gliele spiego. Mi ringrazia, ma quando riprendo la lettura non mi interrompe neanche una volta.
Il tragitto prosegue e arriva la mia fermata, metto tutto a posto e mi giro di nuovo verso di lui, con un sorriso raggiante. Lo saluto e lui mi ringrazia, no, ma di cosa! Ci salutiamo di nuovo, scendo dal pullman e continuo a sorridere. Sorrido nel sole primaverile.
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DIABOLIK LOVERS MORE, BLOOD - YUMA DARK EPILOGO (TRADUZIONE)
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Traduttrici inglese: Akui Chansera
leggere la sezione FAQ nel blog prima di ogni domanda.
NON PRENDERE SENZA PERMESSO
-”keep reading” per la traduzione.
-Monologo-
――Come sopravvivere in un mondo privo di ordine.
Per prima cosa, forma un gruppo e restate uniti.
Non importa quanto forte o intelligente tu sia,
Se perdi di vista il tuo gruppo
Non ci sono possibilità di vittoria.
E’ dura quando molti gruppi si affollano in città
Forse è per questo motivo.
E anche in questa città, ci sono orfani
Ammassati tra la folla――
Loro lo chiamano team,
Ci sono anche molti di questi.
Ero stordito nel vicolo buio,
E’ qui che ci riunivamo
Eravamo uno dei team che competevano per la vetta,
Controllati dal nostro boss, Lucks.
Un giorno, una settimana, un mese.
Il nostro tempo insieme aumentava
Conosco gli orrori di questi ragazzi.
Per non parlare delle scazzottate nei bassifondi
Il nostro capo era davvero bravo in quello,
Il cuore della nostra leadrship era anche eccellente.
Unito al senso di giustizia, essere premuroso era anche meglio.
Per lui che era il leader ideale,
Le persone si riunivano,
Attorno il tanto lodato boss, io incluso,
Era davvero un numero notevole.
Membro dopo membro di cui prendersi cura.
Il boss mise su un gruppo notevole, a dire il vero
Non avrebbe lasciato morire di fame nessuno.
Sopravvivevamo ogni giorno, grazie al nostro boss
Fu capace di prendere pane e frutta una volta.
Ma, il numero dei nostri membri
Non è fisso. Non di meno,
Questa grande quantità di cibo, raccolta dal boss
Come la procurava?
Ci sono molti ladri là fuori.
Mi chiedo.
-Fine Monologo/Flashback - Luogo: Vicolo-
Lucks: Ecco qua, Bear. La razione di oggi.
Bear: ... ...Hey, come fa Boss a prendere il cibo?
Lucks: Huh? Perché ti importa?
Bear: Ci dai da mangiare per farci sopravvivere. Ma, non è pericoloso... ....
Lucks: Hai ancora molta strada da fare prima di capire. Ottenerlo in questa città è tanto pericoloso quanto prenderlo.
Bear: Allora――
Lucks: Ma, non è qualcosa che dovrebbe interessarti.
E’ mio dovere come boss preoccuparmi. Tu dovresti solo accettarlo e prendere il tuo pane in silenzio.
Bear: ... ... ... ...
-dissolvenza-
Bear: (Certe volte, Boss scompare senza lasciare traccia... ...)
(Non capisco come procura il cibo, ma sarebbe meglio se lo aiutassi)
(Lo devo al Boss. In oltre, voglio essere utile)
Lucks: ... ...Gah... ...
Bear: Agh! Bo-Boss!?
Hey, Boss! Resisti!! Vieni con me... ...
Lucks: Gah... ...Bear... ..? Odio quando vengo scoperto... ...
Bear: (Cosa sono questi segni sul suo corpo... ...?)
... ... ... ... ! Impossibile, Boss... ...
Lucks: ... ...Non pensavo ti fosse possibile scoprirlo. Non sei mai stato esposto a tutta questa brutalità... ...
Questo è come procuro i soldi per voi... ...trattato come uno schiavo... ...ma, ho venduto il mio cuore e la mia anima.
Noi otterremo soldi e domineremo, non importa come... ...Avevo una vita, non potevo far a meno di diventare un possesso.
Anche se sono stato trattato come bestiame, ho ancora il mio orgoglio... ...
-Fine Flashback/Luogo: Infermeria scolastica-
Yuma: ... ... ... ...
L’orgoglio del Bestiame... ...
Yui: ... ...Nn... ...
Yuma: Dico le stesse cose di quel tizio, che insinsibile. Ahh, Scrofa.. ...?
Rainheart: Come va? Il suo stato.
Yuma: Hah? Che rottura. Non riesce a vedere che sta dormendo.
Rainheart: Oh, è vero. Eppure, ha un’anemia davvero alta... ...Hai qualche idea?
Yuma: Non lo so! Perché lo chiede a me, è fastidioso!
Rainheart: Perché... ...non sei il suo ragazzo?
Yuma: Ragazzo? Ha, che bello scherzo.
Rainheart: Cosa, non è così? Perché per come la stavi portando, pensavo lo fossi.
Yuma: Era l’unico modo che avevo per portare questa donna qui. ... ...Per poter raggiungere le mie ambizioni.
Rainheart: Ambizioni? Vuoi dire sogni per il futuro? E’ lodevole decidere il tuo futuro a questa età! Quali saranno mai?
Yuma: Tch, faccia silenzio! Pensi ai fatti suoi!
Reinheart: Ah, ehy. Non c’è bisogno di alzare la voce ――
Yui: Nn... ....
Rainheart: Oh, si è svegliata. Buon giorno, Komori-san. Come ti senti?
Yui: Professore... ....e Yuma-kun... ...?
(... ....Vero. Sono svenuta per l’anemia e Yuma-kun mi ha portata qui... ...)
(Er... ...i miei ricordi sono annebbiati. Dopo avermi succhiato il sangue la seconda volta, sono svenuta, all’improvviso... ..)
Bhé, ora... ...
Rainheart: La quarta ora finirà presto. Hai dormito bene.
Yui: Così tanto... ...?
Yuma: Il tuo sangue non saprà migliore mentre dormi, dannazione!
Yui: M-Mi dispiace... ...
Rainheart: Hey, Yuma-kun. Perché parli in questo modo? Devi essere gentile con una ragazza, solo le basi per un ragazzo.
Yuma: Gentile? Ha, è uno scherzo. E’ inutile esserlo.
Yui: (Per Yuma-kun esisto solo come giocattolo... ...ma sarebbe meglio se fosse gentile)
(Però, mi ha portata qui in infermeria quando sono svenuta. Mi chiedo se dovrei mostrare gratitudine)
(Yuma-kun è stato quello che ha causato tutto questo... ...)
Rainheart: Hmm, sembra ancora un poco debole. Deve proprio essere anemica.
E’ un bene che i sintomi siano leggeri per adesso, ma dovrebbe andare all’ospedale se le cose peggiorano.
Anche tu sei ancora giovane, quindi assicurati di mangiare cibi nutrienti da ora in poi. Va bene?
Yui: Si. Grazie mille.
Rainheart: Bene. Vado in aula professori a terminare alcuni lavori. Yuma-kun, tu?
Yuma: Ah? Se lei va via, è deciso che io resto.
Rainheart: Hmp hmp, sono davvero preoccupato.
Yui: (Non c’è motivo di essere preoccupato, vuole solo controllarmi... ...)
Rainheart: Bene, puoi stare con lei. Ah, ricordi quello che ti ho detto prima? Essere gentile con――
Yuma: Chiuda quella cazzo di bocca! Se ne vada di corsa!!
Rainheart: Haha, se è quello che vuoi.
*Rainheart se ne va*
Yui: (Anche se il Professore viene rimproverato da Yuma-kun, continua comunque a ridere)
Yuma-kun starà davvero qui? Ci sono le lezioni.
Yuma: ... ...AH?
Yui: (Uh, è di cattivo umore... ...non voglio dire niente che non sia necessario... ...)
Yuma: Cavolo... ...prima quel fastidioso Neet e adesso quel fastidioso professore, questa giornata non fa che migliorare.
E tutto perché sei svenuta. Prenditi le tue responsabilità, Scrofa.
Yui: ... ...! I-Il mio sangue non è già rovinato per oggi!?
(Anche se mi succhiasse il sangue solo un’altra volta, sarebbe pericoloso adesso!)
Yuma: Non posso credere che succhiarti il sangue due volte è il limite. Questo perché il tuo corpo è piccolo.
... ...Tch, impossibile, non posso succhiare niente perché sei vuota.
Se le cose stanno così, probabilmente dormirai qui dopo la scuola. Salterò le lezioni per supportarti. Ti controllerò a causa di Ruki.
Yui: Tenermi d’occhio dopo scuola... ...non è davvero tanto tempo? Dato che siamo venuti a scuola dopo tanti problemi, sarà un’ora in più aggiunta a... ...
Yuma: Ti ho già detto che resto! Ci penserò io a te, riposati e basta!!
Yui: H-ho capito... ...! E dato che ho capito, non urlare così tanto.
Yuma: ... ...Tch, davvero spaventata. *mastica sugar-chan*
Yui: (Oh, le zollette di zucchero... ...le porta anche a scuola. Ma quanto le ama?)
(Bhé, ad ogni modo... ...E’ seccato da tutto e ha scelto di restare qui. Sta saltando le lezioni per darmi supporto senza alcun motivo)
(Forse, Yuma-kun è un po’ preoccupato per me)
(Per adesso, dovrei ringraziarlo)
Hey, Yuma-kun. Graz――NGH!?
-CG-
Tumblr media
Yui: Uh... ...!?
Yuma: Hm... ...Hey, mangia. Lo darò a te.
Yui: (E’ dolce... ...sta spingendo lo zucchero nella mia bocca... ...!?)
Yuma: Dovresti sentirti onorata. Sto dando un poco dei miei teneri Sugar-chan a te... ...
Yui: Uh... ...Nn... ...
Yuma: Ecco, te ne darò un’altro pezzo speciale.
Yui: (La mia bocca è piena... ...! Quanti me ne sta dando... ...!?)
Nn, Uh... ... Nn... ...
Yuma: Haa... ...li hai inghiottiti tutti?
Yui: (Devo dare la colpa allo zucchero che lo ha reso dolce... ...? In qualche modo, mi sento strana... ...)
Yuma: Hey, è buono?
E’ bello stare così, ma riprenditi presto così potrò succhiarti il sangue... ...Va bene.
Dovresti prendere un poco di orgoglio come bestiame, non scoraggiarti mai.
Mostrami che hai le palle... ...
-FINE CG-
Yui: (Non credo che le zollette di zucchero siano di alcun nutrimento... ...)
(... ..Ma, Yuma-kun è davvero preoccupato per me)
(In un posto del genere, lui prima era umano, che sia una rimanenza... ...)
-FINE DARK EPILOGO-
-FINE DARK-
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34 anni, fidanzato, solo.
Quando avevo 20 anni mi immaginavo la mia vita quando avrai fatto 30 anni e gli avrei passati.
Ero sempre in questa condizione, nessun amico vero e al massimo qualche conoscente, ma nulla di importante.
Non sono mai stato bravo con le persone, fin da bambino son sempre cresciuto avendo difficoltà nei rapporti, essendo sempre quello in una posizione sociale favorevole, il più piccolo, il più basso, o il più "sfigato".
I miei genitori sono dei burberi, persone cresciute in campagna, con mentalità abbastanza chiusa e ridotta, con poche sfumature e "pochi colori", con dei modi di fare veramente grotteschi. Un po' come un immagine a 256 colori.
Da piccolo avevo una fortissima fantasia, immaginavo sempre tante situazioni tante cose strane mosche giganti contro dei palazzi situazioni abbastanza surreali e avevo una fantasia che si autoalimentava. Non ricordo bene come mi sentivo in generale, ho rimosso/sepolto un po di cose.
Con la scuola però ricordo che poi invece è cambiato tutto: questo nuovo mondo in cui non era solo solita storia tra me e gli altri miei 2 amichetti vicini di casa, gira il mondo là fuori e incomincia va a farsi seria la questione, e nessuno mi ha mai spiegato ho aiutato a trovare un equilibrio durante qui momenti di sconforto quando tornavo a casa, quando non capivo che cosa stava succedendo o perché i miei compagni di scuola avessero fatto una qualsiasi cosa in gruppo, giochi scherzi eccetera.
L'unica cosa che notavo era che io ero sempre escluso, ero trattato come i bambini trattano i loro compagni di classe disagiati, handicappati.
E non capivo perché.
Poi tornavo a casa, e a scuola non avevo "fatto tutto", Come mi diceva mia mamma con tono minaccioso, e in quel momento mi sentivo come se fossi in un interrogatorio di quinto grado in cui sei così sotto pressione che anche se fossi stata una scimmia avrei risposto sì ho fatto tutto.
Ovviamente non era vero, non avevo la testa per stare dietro alle elezioni e alla scuola, dovevo stare attento ai miei compagni di classe e difendermi. Ma che ne sanno due burberi e grotteschi operai non si capisce nemmeno perché si siano sposati, quali erano i miei genitori.
Tornare a casa virgola alla fatidica domanda "Hai fatto tutto a scuola?" Rispondevo "Sì" con il terrore negli occhi, loro scoprivano che non era vero, e giù botte.
E così fino alle superiori. Elementari 5 anni, scuole medie 3 anni, superiori 5 anni. E relativi periodi estivi.
Alle superiori poi la stessa storia fino alla Terza circa, Con la differenza che le difficoltà si erano quintuplicate rispetto alle medie.
Ricordo come se fosse ieri i miei primi 2 giorni alle superiori.
Il primo giorno, non trovo la classe(le aule avevano i numeri, indicati sui un tabellone all'entrata) , e arrivo in classe un po in ritardo (come detto resto tutta la mia vita) e prendo il primo posto che vedo libero: davanti, di fianco alla ragazza down, io vestito come un coglione con una camicia a quadri tipo scozzese infilata dentro i jeans, e di un'ingenuità spiazzante, di fronte a una classe di ragazzini provenienti da vari paesini della romagna, tutti già fighettati, truccati, fighi e belli da vedere, che non giocavano più coi Lego e le bambole da almeno 7 anni. Il che, agli occhi di un gruppo di ragazzini fighetti si traduce con un solo semplice termine: "sfigato". Questo ho sentito quel pensiero echeggiare nelle loro menti come campane.
Uno dei maschi, che che negli anni successivi si è rivelato essere il mio peggior incubo, mi disse testuali parole: " Se vuoi domani vicino a noi". In un secondo mi è tornata in mente in quel momento, quel pomeriggio alle elementari all'uscita del rientro pomeridiano in cui io ero rimasto terrorizzato dalla attraversare un parcheggio dove avevo visto dei ragazzi(piu grandi) rincorrersi (x scherzo, ovviamente, ma l'ho capito anni e anni dopo) proprio nel parcheggio davanti a un bar che da bambino mi avevano detto è inculcato l'idea che girasse la DDRROOOOGAAAAAAHHHHH. Rimasi così terrorizzato che non riuscivo a muovere un passo oltre il marciapiede davanti a scuola virgola al punto che mia madre quando è uscito al lavoro alle 18,00 non trovandomi a casa Vieni a cercarmi e mi provò davanti a scuola ancora in panico. Ovviamente gridandomi perché non ero tornato a casa e si era preoccupata, con una serie di rimproveri e sberle. Hai presente quel calore materno, umano ed empatico? Io no.
Tornando alle superiori, in eureka classe, il primo giorno, alla domanda del bullo "domani vuoi sedi qui con noi?" Mi è sembrata una situazione così strana è pericolosa come quella volta credo di aver risposto una specie di "uhm ok, g-g-graz-z-zie" praticamente quasi balbettato.
Ovviamente il giorno dopo non c'era nessun altro posto libero all'infuori di quello dove mi ero seduto il giorno prima. E lì ho pensato, e mi ricordo benissimo, "oh no, altri 5 anni così! Ancora!". Terribile.
E così arriviamo in 3a, motorino, 16 anni, giorno dei compleanni tristissimi.
Da un paio d'anni mi rifugiavo nelle chatroom: a quei tempi, non esistevano Facebook, instagram, i social, fashion blogger, WhatsApp, i cellulari avevano ancora tutto i tasti, prima che Google diventasse un colosso.
Che ricordi...: ci si scriveva ancora con gli sms usando il dizionario T9, ci si faceva gli squilli per far sapere a quella persona che la stavi pensando. O per scherzo. Che poi, non è che scrivevo così tanti messaggi, e a chi li dovevo mai scrivere... che tanto avevo un giro di amicizie tendente a zero?
E allora, mio fratello, forse per compassione, forse per cercare di aiutarmi, da bravo nerd mi installò un programma per chattare, il maledettissimo "C6".
Prova, interagisci, "ciao", nessuna risposta, entra nelle "room", niente di concreto.
Poi ho cominciato a cercare su Virgilio.it altre chat, e ho trovato Jumpy.it con la sua chat libera, dove c'era la stanza "Bologna", che comprendeva tutta la Romagna. Pervertita e non.
Dopo vari mesi, che si parlava con le stesse persone, si decide di incontrarci tutti, a Bologna.
Io, sedicenne, ci vado con mio fratello più grande.
Serata carina, trovo anche da limonare con una tipa. Ma, l’inesperienza, forse era la prima tipa “mordi e fuggi”? Chi si ricorda adesso a 34 anni...
Potevo anche portarmela in bagno a chiavare, niente, non ci sono arrivato.
Troppo ingenuo.
Però ho capito che poteva essere una cosa proprio figa!
Qualche mese dopo mi sono trovato una morosina. Tenuto nascosto fino all’ultimo, fino a quando non mi è scappato di fare un disegno per una materia.
Tralasciando i particolari, siamo stati assieme per qualche mese, e con lei ho scoperto la bellezza e l'arte del cunnilingus :)))
Ma non voleva andare oltre... Sì "agitava"... Avevo una fotta e un cazzo duro come il cemento quando dicevo turbare a casa mia.
Pazienza, ci lasciamo. Avanti con la solita vita di prima per un po'. C6, pomeriggi interi a non fare un cazzo davanti al PC.
Poi all'improvviso mi contatta una tipa. Sembrava ok, ci incontriamo. Lei abitava a Rimini. Jennifer. Jenny nei miei ricordi.
Come Forrest Gump, lo sfigato ingenuo e la tipa di città con milioni di amicizie. Che paura. Ci vediamo ogni tanto ma non facciamo niente. Mi porta su in casa, in camera a porte chiuse ma io non so neanche dove mettere le mani. Neanche come fare l'intro iniziale pre-flirt.
E poi la vita che per una volta che avevo trovato un po' di serenità, mi gioca un bruttissimo scherzo.
Su C6, quel maledetto C6, mi fa incontrare una metallara.
Ci incontriamo e io per piacerle mi incomincio a travestire da darkettone. Tutto nero, giacchetto di pelle, anfibi. Così dal giorno alla notte.
Un giorno, che non me lo dimenticherò mai. Un po'per la cazzata che ho combinato, ma soprattutto per la delusione che ho dato, a me, e alla Jenny.
Fatto sta che ero con la mucca, e Jenny mi scrive. Per fare il figo esclamo "ma che cazzo vuole questa?".... Merda, non l'avessi mai detto. La mucca &Friends mi convincono a chiamarla e infamarla. Perché ora io sto con loro. Ora io ero in metallaro. Yeah, e fanculo tutto. Ero roba loro.
Ed io indovinate un po', da bravo coglione pirla sfigato e suscettibile cagnolino del male... l'ho chiamata e infamata.
Mi sentivo una merda, ero fra incudine e martello. Se non lo facevo la ciurma mi avrebbe escluso - o menato? - seduta stante.
Se lo facevo perdevo l'unico punto luce da quando ho incominciato la carriera scolastica. Ho scelto l'incolumità immediata in quel momento.
Dio cosa ho fatto. Se ci penso mi vien da piangere.
Qualche settimana dopo, in queste modo, e in totale finto menefreghismo merdallaro non ci pensavo già più. Mi avevano già dato lo zucchero filato quegli altri. La mucca la figa, e il gruppo l'appartenenza.
Avanti.
A scuola è stato un trauma. Come se già non lo fosse. Ma avevo l'approvazione della tipa. Tra l'altro una bionda liscia di 90kg per 1,70 cm, con una 6a di tette.
Età un tipo. Un tipo di mucca!
E con lei la prima chiavata, a 16 anni.
I capelli si allungavano, il tempo passava. Io ero sempre con lei, scopavamo e basta praticamente. A parte quando uscivamo con gli altri ragazzetti "alternativi", mi sentivo cool. O quando non giravamo in 2 in scooter - il mio - fra Covignano(collina) e Rimini.
Jenny non era già più nella mia vita, nella mia mente.
Ma tanto ero in un gruppo, ero accettato, ero alternativo - quindi fico(in realtà ero un cesso puzzone) e bevevo... Yeah. Autostima a sprazzi a mille, e quando ero da solo a zero.
Con la tipa scopavo tutti i weekend. A casa dei miei. Un miracolo se non è rimasta incinta. Devo dire che la scopavo veramente come un toro. Una cosa di me che non conoscevo.
Tutto questo, finché i miei compagni non hanno scoperto chi fosse, o cosa fosse, o che "tipo" fosse. E via! Giù di altra carne al fuoco. Tanto ormai...
Una volta poi, ho scoperto al Dylan Dog pub, uno dei posti più lozzi della Romagna, gli shortini di Southern Comfort.
Maledetto liquore dolciastro simil wishkey. Acido muriatico zuccherato.
E ho incominciato a comprarmi la bottiglia direttamente, ci soldi della paghetta. Me le tenevo in camera. E la bevevo di nascosto.
Se prima non avevo uno scopo nella vita, figurati in quel periodo.
Ho iniziato a metterla nelle bottiglie del thè alla pesca, perché quel liquore aveva lo stesso colore.
Poi i miei compagni mi hanno frugato nello zaino e l'han portata al prof, con relativa sua delusione. E relativo senso di inutilità e fallimento mio.
[In aggiornamento...]
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Questo tipo di servizio è veramente deplorevole
                                Ding Ning Città di Heze, Provincia di Shandong Nei giorni scorsi la Chiesa aveva predisposto un cambiamento nel mio lavoro. Mentre ricevevo questo nuovo incarico pensavo: “Devo afferrare quest’ultima opportunità per fare una riunione con i miei fratelli e sorelle, parlare chiaramente con loro delle questioni e lasciarli con una buona impressione”. Di conseguenza incontrai diversi diaconi e mentre il nostro tempo insieme andava esaurendosi, dissi: “Mi è stato chiesto di lasciare questo posto e passare ad un altro lavoro. Spero che voi accetterete il leader che viene a prendere il mio posto e lavorerete insieme con lei come un solo cuore e una sola mente”. Non appena mi sentirono pronunciare queste parole, alcune delle sorelle che erano presenti sbiancarono e persero il sorriso. Qualcuna mi prese le mani, altre ancora mi abbracciarono e piangendo dissero: “Non puoi lasciarci! Non puoi metterci da parte e ignorare i nostri bisogni! …” La sorella della famiglia ospitante era particolarmente riluttante a lasciarmi andare. Mi disse: “È una cosa così bella che tu sia qui con noi. Sei una persona in grado di sopportare le avversità e sei brava a guidare in comunione spirituale verso la verità. Ogni volta che abbiamo avuto bisogno di te, tu sei sempre stata lì con pazienza ad aiutarci. Se te ne andrai, cosa faremo? …” Vedendo la loro riluttanza a separarsi da me, il mio cuore era pieno di gioia e soddisfazione. Li confortai con queste parole: “Affidatevi a Dio. Quando potrò, tornerò a farvi visita…”
Ma dopo quel momento, ogni volta che ripensavo alla scena della separazione dai miei fratelli e sorelle, sentivo il disagio nel cuore. Mi chiedevo: “Quelle espressioni di tristezza erano solo una reazione naturale? Perché si comportavano come se la mia partenza fosse una cosa così terribile? E comunque, perché la Chiesa ha voluto cambiarmi di posizione?” Il mio cuore era avvolto in una nube di dubbio e quindi mi presentavo spesso davanti a Dio cercando risposte. Un giorno stavo leggendo “Questioni di principio che devono essere comprese per servire Dio” e mi imbattei in questo passaggio: “Coloro che servono Dio devono innalzarLo in tutte le questioni ed essere Suoi testimoni. Solo in questo modo possono ottenere il frutto del condurre gli altri alla conoscenza di Dio. E solo innalzando Dio ed essendo Suoi testimoni, possono portare gli altri alla Sua presenza. Questo è uno dei principi del servizio a Dio. Il frutto ultimo della Sua opera è precisamente l’opera di condurre le persone a conoscere l’opera di Dio e in tal modo portarle alla Sua presenza. Se coloro che occupano posizioni di leadership non innalzano Dio e non sono Suoi testimoni, ma al contrario mettono se stessi costantemente in mostra…, allora si stanno configurando come nemici di Dio. … Stanno in realtà competendo con Dio per l’anima delle persone. … Di conseguenza, se il servizio offerto dalle persone non consiste nell’innalzare Dio e nel darGli testimonianza, allora queste persone stanno sicuramente mettendo in mostra se stesse. Anche se portano lo stendardo del servizio a Dio, stanno effettivamente lavorando per il proprio status; stanno in realtà lavorando per la soddisfazione della carne. Non stanno in alcun modo innalzando o testimoniando Dio nel loro lavoro. Se qualcuno tradisce questo principio del servizio a Dio, dà semplicemente prova di resisterGli” (“Questioni di principio che devono essere comprese per servire Dio” in Annali delle riunioni e disposizioni per l’attività della Chiesa I). Più leggevo, più il mio cuore era turbato. Più leggevo e più mi spaventavo. Il mio senso di colpa aumentava esponenzialmente. Dall’atteggiamento che i miei fratelli e sorelle avevano mostrato verso di me, potevo comprendere che il mio lavoro non era stato di condurli alla presenza di Dio, ma piuttosto di portarli alla mia presenza. Ora non potevo fare a meno di riesaminare molti episodi avvenuti durante il tempo passato con loro. Spesso avevo detto alla sorella della famiglia ospitante: “Vedi quanto siete fortunati. Tutti sono credenti nella vostra famiglia. Quando io sono a casa, mio marito mi maltratta tutto il giorno. Se non mi picchia, mi maledice. Ho fatto il mio dovere al meglio delle mie possibilità e lo stesso vedi quanta amarezza ho sopportato per il mio credere in Dio”. Quando i miei fratelli e sorelle incontravano avversità, non comunicavo loro la volontà di Dio; non agivo come testimone della Sua opera e del Suo amore. Invece, davo costantemente priorità alla carne e cercavo di far pensare alle persone che ero io stessa così gentile e premurosa. Quando vedevo un fratello o una sorella fare qualcosa contro i principi, temevo di offendere, quindi non aiutavo né davo indicazioni, cercando sempre di proteggere le relazioni tra le persone. In ogni cosa che facevo, ciò per cui avevo maggiore cura era la mia posizione e la mia immagine nel cuore delle persone. … Il mio scopo principale era sempre conquistare le simpatie e l’ammirazione degli altri; questa era diventata la mia più grande soddisfazione. Ciò rivela veramente che io stavo innalzando me stessa, dando testimonianza di me. Tutto ciò che facevo era in realtà contro Dio. Pensai alle Sue parole, che dicono:“Ora, sto operando fra voi ma voi siete ancora così. Se un giorno non ci sarà nessuno a prendersi cura di voi e a sorvegliarvi, non diventerete forse tutti dei re della collina?
[a]
Allora, quando avrete causato un’enorme catastrofe, chi rimetterà le cose a posto?” (“Un problema gravissimo: il tradimento (1)” in
La Parola
appare nella carne). Le parole di Dio di nuovo mi portarono alla consapevolezza di come il mio servizio verso di Lui fosse in realtà di dare testimonianza ed esaltare me stessa, e mi aiutarono a vedere le serie conseguenze del mio comportamento. Le parole di Dio mi aiutarono a comprendere che la mia vera natura, come quella dell’arcangelo, mi avrebbe condotta a diventare un predone tirannico e a causare un’enorme catastrofe. Pensai a come il mio servizio a Dio non fosse stato compiuto secondo i corretti principi di servizio; non innalzava Dio e non Gli rendeva testimonianza, e io non facevo il mio dovere. Al contrario, i miei giorni passavano tra il mettere in mostra e il dare
testimonianza
a me stessa, e l’attirare i miei fratelli e le mie sorelle alla mia presenza. Non è spregevole questo tipo di servizio? Non è questo semplicemente il “servizio” dell’anticristo? Se non fosse stato per la tolleranza di Dio e la Sua misericordia, sarei già stata maledetta e stroncata da Lui.A quel punto, tremai di paura e di vergogna; il senso dell’enorme debito che avevo contratto mi riempì il cuore e mi prostrai a terra, piangendo amaramente e implorando Dio: “Oh Dio! Se non fosse per la Tua rivelazione e la Tua illuminazione, non so in quali profondità cadrei. Ti devo veramente più di quanto potrò mai ripagarTi. Ti ringrazio per la
salvezza
che Tu mi offri! Grazie per avermi aiutato a vedere la mia natura orribile e spregevole fin nelle profondità della mia anima. Grazie per avermi mostrato che il mio servizio a Te era in realtà resistenza nei Tuoi confronti. Se fossi giudicata per le mie azioni, meriterei solo la Tua maledizione, ma Tu non mi hai trattato secondo le mie colpe. Al contrario, Tu mi hai aperto gli occhi, mi hai guidata e mi hai dato la possibilità di pentirmi e ripartire da zero. Oh Dio, sono disposta a prendere questa esperienza come una lezione da portare con me per tutta la vita. Possano il Tuo castigo e giudizio accompagnarmi sempre e aiutarmi a disfarmi per tempo della mia vecchia natura satanica e a diventare una vera e riverente serva di Dio, così che io possa cominciare a ripagare il mio enorme debito”.
Fonte: 
La Chiesa di Dio Onnipotente
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