Tumgik
#tutto questo per non farmi allargare troppo
pgfone · 3 months
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STORIA LUNGA E TRISTE
Un po' di tempo fa mi telefona un signore del mio paese che faceva il fabbro, mi dice che gli affari gli sono andati male per svariati motivi e che sia l'oliveto di sua proprietà che il capannone andranno presto all'asta, mi dice "ho pensato che magari ti poteva interessare visto che ci confini" e così io li per li spiazzato e lusingato per aver pensato a me gli dico SI! di getto, senza pensarci troppo. L'accordo consisteva in questo: visto che avevamo pochi soldi entrambi e che a lui interessava riprendersi il capannone e a me l'oliveto (che lui aveva già abbandonato da tempo) mettevamo un po' di soldi per uno e così non lasciavamo che gli sciacalli si aggiudicassero l'asta. Bene, inizia una trafila burocratica abbastanza lunga che non sto a raccontarvi dove come al solito metto tutto me stesso, arriviamo quindi a una ventina di giorni dall'asta, è tutto pronto ma il signore inizia a gohstarmi, non mi risponde al telefono, fa finta di non vedermi quando passo in mezzo al paese, si nega al citofono; non riesco proprio a comprendere questo comportamento e intanto passano i giorni, quando a 3 giorni dall' asta mi telefona e mi dice che non se ne fa più niente, che vuole riprendere tutto la moglie (da cui è separato) che è la prima creditrice e così è tutto più semplice. Mi assicura che però il nostro accordo non si cambia, appena acquisito tutto poi per la stessa cifra mi venderà l'oliveto senza nemmeno pagare le spese notarili. La cosa mi puzza ma lascio perdere, avete presente quando proprio non avete energie per lottare? E poi lottare per cosa? Per un oliveto abbandonato? Bene, passano i mesi e il silenzio è tombale, do quest'affare per perso ormai fino a che oggi, porto l'olio a un mio nuovo cliente, iniziamo a chiacchierare e mi racconta che nella zona dove opero voleva prendere un oliveto molto bello, me lo descrive e somiglia proprio tanto a quello del fabbro, mi racconta che il proprietario se lo voleva riprendere insieme a un ragazzo agricoltore ma alla fine la moglie si è fatta prestare i soldi da due tizi e si è presa tutto lei e adesso ha messo in vendita il tutto per il quadruplo del prezzo.
Chi sono i due tizi? I miei zii.
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thetillermansays · 3 months
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"Riesci a vedere?"
Fai no con la testa. Stringo ancora la benda sui tuoi occhi, allacciandola stretta sulla nuca. Ti ho fatto raccogliere i capelli in modo da non farla cadere, lasciando esposto il tuo collo. Senti le mani prenderti per le spalle e il mio respiro sul collo nudo, avvicinarsi pian piano fino a sussurrarti all'orecchio.
"Ora ho bisogno tu faccia la brava e parli, invece di muovere la testa. Cosa vuoi che ti faccia davvero?"
Resti qualche secondo in silenzio per raccogliere le parole.
"Voglio che tu mi faccia male, voglio sentire dolore. Ovunque, puoi farmi tutto quello che vuoi"
L'ultima frase ti si spegne in gola. Sai che ci sono postille, limiti sottintesi che giá conosco e che non supereró, ma senti un piacere viscerale nel darmi completa libertá nel punirti.
Ci sono giorni in cui senti il corpo elettrizzato, con il bisogno di uno scontro in cui sfogarti e poter perdere. Ti basta dire una parola di troppo ed essere punita per quella lingua lunga con un gesto che ti faccia sentire rimessa al tuo posto, sentirti controllata e vedere quel fuoco che hai dentro divampare in un secondo, il tempo di uno schiaffo in faccia.
Poi ci sono giorni come questo, in cui la fatica si é accumulata tanto dentro di te da desiderare di piú: senti un cieco bisogno di ubbidire, subire, nascondere alla tua mente il bisogno di controllare tutto e sentire il corpo martoriato fino a cedere completamente.
Ti giro intorno accarezzando il collo e sbottonando la camicetta che porti. Ti ho detto di indossare cose facili da sbottonare e resti in piedi, con le braccia lungo i fianchi, mentre senti i pantaloncini cadere alle caviglie. Ti prendo una mano e la segui, facendo un passo in avanti.
Senti il gancetto del reggiseno slacciarsi e scivolarti addosso e le mutandine essere tirate dolcemente fino a cadere nuovamente ai piedi.
Di nuovo ti prendo per mano, di nuovo un passo avanti. Stavolta completamente nuda.
Non ti ho ancora sfiorata e questo ti mette agitazione. Sai di essere guardata in ogni dettaglio, il tuo seno, le labbra, percespisci come ti ruoti attorno per guardare il tuo culo e la figa che sbuca appena da dietro le cosce. Sento giá il tuo odore.
Mi alzo, accarezzandoti la schiena e risalendo ti afferro le braccia. Sono stranamente dolce, il che ti fa capire che le punizioni saranno molto dolorose.
Ti porto le mani dietro la nuca e con un colpetto al fianco capisci di dover allargare le gambe.
Esegui, esponendoti completamente.
"Ora non fiatare"
Ti afferro i capezzoli e li stringo, tortulandoli. Un gemito ti blocca il respiro, riuscendo ad uscire come un pesante sospiro solo quando, per stringere ancora, allento la presa. Senti una scarica elettica partire dal seno e scaricarsi sulla schiena. Ti tappi la bocca, stringendo forte le labbra per non parlare. Resti immobile salendo in punta di piedi mentre ti sollevo le tettine, tirandole tanto da perdere la presa.
"Ora respira, voglio sentirti contare"
Ti prendo a schiaffi il seno, senza aspettare una risposta.
"Uno"
"Due"
"Cinque"
"Dieci"
Non vedi quando arriva, non tengo un tempo. Senti solo un piccolo movimento d'aria e tendi il corpo quanto puoi, prima che arrivi.
"Dodici"
"Quindici"
I muscoli si tendono come sollevassi centinaia di chili, hai dimenticato tutto il resto. Di essere nuda, di essere bendata, di avermi chiesto di farti tutto il male che voglio.
"Venti" dici con voce roca. Ti schiarisci la gola. Mi fermo a guardarti e per la prima volta, riprendendo fiato, ti accorgi di quanto sei eccitata.
Senti il seno caldo, pulsante. Senti l'odore della tua eccitazione e lo sento anche io.
"Non ti vergogni di essere cosi bagnata?"
Fai si col capo.
Ti colpisco sul ventre, forte.
"Rispondimi"
"Si signore"
"Di cosa ti vergogni?"
Rifletti. "Di essere cosi eccitata dall'essere picchiata"
Appoggio la mano sul ventre, dove ti ho appena colpita. Hai un leggero sussulto temendo un altro colpo, ma ti accarezzo scendendo fino alle tue labbra.
"Allora riprendi a contare"
Stavolta i colpi sono direttamente sulla figa. Il primo é inaspettato, piú sorpresa che dolore, ma ti ordino subito di esporti. Apri i fianchi, allargando le gambe e mostrandomi la tua figa: bagnata, dalle labbra lucide che vibrano per lo spavento del colpo.
"Ventuno"
Senti la mia mano afferrarti la base del collo, sotto la nuca, per tenerti ferma mentre ti colpisco.
"Ventidue, ventitré, ventiquattro"
Ti si piegano le ginocchia, cercando istintivamente di proteggerti.
"Apri"
Torni in posizione, lasciandoti colpire.
"Venticinque"
Ancora
"Ventisei"
Non hai la resistenza che ricordavi. Il dolore è forte, espanso, ti fa bruciare la pelle e lo dici a voce alta. Mi fermo.
"Visto che non sai più comportarti, oggi non avrai alcun orgasmo. Non ti penetrerò affatto, non giocherò col tuo clitoride nè avrai alcun piacere"
Quasi ti tremano le gambe. Una punizione continua senza godere.
Ti ci masturberai per mesi, ripensando a questa sessione.
Dal rumore capisci che mi sono allontanato. Armeggio, forse apro un cassetto, uno strano suono, qualcosa che fa click.
Click. E silenzio.
"Ora immobile e tira fuori la lingua. Voglio guardarti"
Esegui, non capendo. Ti senti in imbarazzo, ti infilo due dita sulla lingua e gioco con la tua saliva.
Una goccia di cera rovente ti cade sul seno, scivolando sul capezzolo e asciugandosi quasi subito, bruciandoti. Sussulti e ti spingo sulla lingua, bloccandoti di nuovo sul posto. Quelle dita che si infilano nella tua bocca sono quasi una violenza più forte del dolore della cera, che continua a scorrerti sul petto. Senti un piccolo rigolo scenderti nell'incavo del seno, fino al ventre fermandosi raffreddato poco prima dell'ombelico.
Sto scendendo.
La candela è molto vicina, la senti bruciare accanto alla pelle. Ti faccio stendere per terra, allargandoti le gambe e favendo cadere le gocce di fuoco sulle cosce, pian piano risalendo la carne fino al pube. I colpi di prima si sommano a questo dolore, rendendo ogni piccolo movimento impensabile. La cera tornata solida quasi ti taglia la pelle, o almeno è quello che senti.
Non pensi a nulla, non senti nulla se non quel dolore.
Appena mi fermo, senti il corpo cedere. Percepisci un soffio deciso, forse spegnere la candela e tanto ti basta.
I muscoli cedono e quasi ti sembra di cadere mentre rilassi il corpo, accogliendo il dolore rimasto attaccato alla pelle.
Qualche lacrima ti riga il viso ma non hai il coraggio di alzare le mani per toglierle, lasciandole cadere fino alle orecchie.
Ti lascio respirare. Piangi, ti calmi, qualche lacrima torna e ti calmi ancora. È stato tutto intenso, senza pause e temevi di non arrivare fino in fondo.
Non mi vedi ma mi senti, senti il calore delle mie gambe piegate sulle tue e le mani che ti accarezzano i piedi, per calmarti.
"Ora alzati, senza togliere la benda"
Ti afferro, aiutandoti a metterti in piedi. Ti porto al divano, posizionandoti a quattro zampe col sedere bene in aria. Piccoli pezzi di cera cadono a terra e posso vedere la tua figa gonfia di botte ed eccitazione. Tremi ad ogni carezza, incapace di discernere paura e piacere.
Mi inginocchio a terra, afferrandoti il sedere e infilando la lingua nel tuo culo. Esplodi in un gemito di piacere, inaspettato e profondo, istintivamente spingi il culo ancora più in fuori e ignori il dolore della cera che si stacca dal seno, strofinandosi  sul divano. Assapori ogni centimetro che ti esplora, lasciando spazio alla mia mano di infilarsi dentro di te. Due dita ti allargano le labbra, spingendo fino al punto in cui sai di non poter resistere. Sai di avere i secondi contati, se avrai il permesso.
"Posso? Posso? Non so se resisto"
Mi stacco, senza smettere di muovere le dita.
"Dipende, per cosa vuoi il permesso? Vuoi venire o vuoi schizzarmi in bocca?"
Ti so ribaltando gli occhi a sentirmelo dire, cosi volgare, cosi diretto. Respingi l'orgasmo, cercando di riprendere il controllo.
"Quello che vuoi tu, dimmi cosa vuoi e lo faccio.."
Ti allargo la figa, col pollice spingo il clitoride per mostrare il buchino da cui mi schizzerai addosso. Entro a fondo e spingo nel tuo punto preferito.
"Pisciamo in faccia piccola, senza venire e fammi sentire quanto ti piace"
Non aspetti nemmeno la fine della frase, ti senti esplodere. Senti la pressione premere nel tuo ventre, senti un orgasmo montarti mentre le mie dita continuano a farti schizzare. Bevo ogni goccia che posso, masturbandoti con forza: vieni un secondo dopo, tremando con le gambe e premendomi il culo in faccia per farti penetrare più a fondo, montandomi la mano alla ricerca di qualcosa per riempirti.
Stavolta il tremore non è dolore o stanchezza. Ne vuoi ancora, non ti bastano le sberle o il fuoco o due dita. Vuoi sentirmi dentro, sentire il mio cazzo riempirti fino a strapparti e farto desiderare di svenire un orgasmo dopo l'altro. Ti sfili la benda allentata per guardarmi.
"Cosa vuoi che faccia?"
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sciatu · 1 year
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ANTONELLO DA MESSINA - PARTICOLARI DELLE SUE MADONNE
IL LINK SBAGLIATO
Lo so, è colpa mia! Ma non ci potevo fare niente: l’uomo esperto della vita e delle situazioni, una volta che finisce in un guaio ne esce più forte, mentre un bradipo esistenziale quale sono io, rende il problema ancora più grosso! E questo è quello che è capitato a me: da uno stupido errore, ho creato un immenso casino che mi ha sconvolto la vita. E tutto è successo per uno stupidissimo e insignificante link spedito all’indirizzo sbagliato. Ora, è importante che ti spiego il contesto in cui tutto è accaduto. Io sono un restauratore, dono una nuova bellezza ad oggetti creati da artisti ormai morti, ad opere d’arte la cui luce è stata offuscata dal tempo e dagli uomini. Ecco si, questo è importante per conoscermi: io salvo e proteggo la bellezza nella sua perfezione ed idealità. Quindi, per dover lottare contro il tempo che tutto distrugge e annulla, i miei modi di fare sono lenti e studiati. Per cui non ho quell’approccio che hanno i giovani o gli uomini comuni con le cose e con le persone. Metabolizzo accadimenti e situazioni con il giusto passo, ne troppo lento, ne troppo veloce, per gustarne e capirne l’estetica e attraverso di essa, il senso unico che li caratterizza. Ma di questo cercare l’attimo che definisce il tutto, ora capisco e comprendo che vedevo e consideravo solo una superficiale, benché elegante, inutile apparenza. Questa mia abiura della vacua contemporaneità e illusorio modernismo è dovuta al fatto che la vera forza della natura che ci domina, perché rende vani i nostri sogni, non è il cielo, o il vento o il mare, ma quel Tempo contro cui lotto! Noi siamo quello che il Tempo ci permette di essere nel momento in cui dobbiamo mostrare noi stessi. Una sedia costruita nel 1800 era una sedia, adesso è un’opera d’arte, il simbolo di un’epoca. Per cui per me un oggetto antico, una poltrona, un settimanale, un ex voto, sono un testimone di quella vita che una generazione passa a quelle successive. Sono la prova di una o più esistenze e meritano rispetto, considerazione e la giusta valutazione. Per cui, dando più valore alle cose che alle persone, tratto (o dovrei dire trattavo) le donne, che sono la totalità dei miei clienti, in modo schietto e diretto, senza perdermi in manfrine o complimenti ipocriti e soprattutto senza considerarle importanti. Per motivi che poi spiegherò, ogni volta che permettevo ad una donna di diventare per me importante, ho poi dovuto pagare un prezzo altissimo fatto di infelicità e disperazione. Ma torniamo agli avvenimenti. Per fare contenta Mara, una mia vecchia amica che mi presentava sempre nuovi clienti e opportunità di lavoro, avevo accettato di dare delle lezioni di pittura a lei e ad alcune sue amiche. Non è che io sia un pittore eccezionale, me la cavo un po’ per via del lavoro che faccio e per la buona conoscenza che ho di storia dell’arte; in fondo, come si dice: in mezzo agli analfabeti chi sa scrivere il suo nome è già un letterato. Siccome all’epoca del Covid, ero rimasto senza lavoro, per riprendere i contatti e farmi qualche soldo, avevo accettato di fare qualche corso per allargare la clientela. Mi organizzai con Mara e riuscimmo a interessare alcune sue amiche di cui tre vennero un paio di volte e poi si persero dietro corsi di bachata o fiori di carta, mentre altre tre erano diventate assidue frequentatrici delle mie lezioni. Arrivammo quindi all’ultima lezione prima della pausa estiva e proposi di farla in un posto molto scenografico verso punta Faro, dove si domina lo stretto di Messina, subito dopo Ganzirri, in modo che dopo un paio d’ore di spennellate d’acquarello, potevamo sederci in uno dei tanti ristoranti locali e farci una sbafata di cozze fresche. Ovviamente a spese delle mie allieve. Essendo stato il promotore della uscita con mangiata, promisi di mandare qualche giorno prima dell’evento, l’indirizzo dove potevamo trovarci. Ovviamente me ne dimenticai e il mattino del giorno in cui dovevamo vederci, di fretta e furia, a causa di un quadro che stavo pulendo, mandai in fretta e furia quello che pensavo fosse il link della spiaggia dove dovevamo vederci e quindi continuai tranquillamente la pulizia del quadro che stavo eseguendo senza pensare ad altro. Ed ero tanto preso dal lavoro che arrivai sul luogo dell’incontro in ritardo, solo per scoprire che non c’era nessuno. Fu allora che guardai il cellulare che da quando avevo mandato il messaggio era rimasto chiuso nello zaino usato per portare colori e i quaderni dove dipingevo. Con mia grande sorpresa vi era una sfilza di messaggi “Ma Renzo, sei diventato matto? Non me lo sarei mai aspettato da te” Aveva scritto Mara due minuti dopo aver ricevuto il messaggio “Renzo, che cattivo gusto !! dovresti vergognarti” Aveva scritto Pinuccia aggiungendo una sfilza di faccine disgustate “Renzo ma niscisti pacciù?” Mi chiedeva Emma, la più grande delle gemelle Finocchiaro, mentre sua sorella Edda aggiungeva “si vidi chi jè tantu chi nun fai….” Stupito da quei commenti che le mie alunne mi avevano mandato andai ad osservare il link e notai subito che non era di Google-Map ma di Tumbrl. Eppure ero sicuro di aver copiato il link giusto. Aprii il link e mi trovai a vedere una scena di sesso spinto che neanche Rocco Sifreddi avrebbe mai concepito nei suoi momenti di maggior vigoria. C’era una signora con solo una parte dei vestiti, che dopo essersi deliziata leccando il cannolo del partner, ne faceva uso ed abuso, concedendo all’energumeno ogni suo orifizio ed evidenziando le prestazioni del mandrillo con un piacere urlante anche quando si lasciava tirare i capelli e ricevere grandi manate nel considerevole posteriore, mentre l’infoiato verro, citando i racconti del Decamerone, la possedeva “come in uso tra i cavalli dei Parti”. Provai una enorme vergogna pensando alle mie attempate signore della Messina bene che assistevano stupite e schifate al messaggio che avevo mandato loro. Una profonda e immensa vergona!  In quale abisso ero finito: da maestro d’arte a viscido spacciatore pornografico. Avevo poi dato a quelle annoiate e insipide signore la possibilità di ridicolizzarmi agli occhi di tutti i nostri conoscenti. Che orribile malafigura!! Cercai di capire come avevo mandato quel link assurdo e volgare, che solo quello stupido e fancazzista del mio amico Salvatore avrebbe distribuito tra i suoi conoscenti di ambo i sessi. Fu questa constatazione che mi fece risalire alla dinamica del mio sbaglio. Salvatore, appunto, mi aveva mandato uno dei suoi laidi link, aggiungendovi il solito commento ambiguo e di bassa lega. Mi era sembrato però un link fasullo, perché clickando non faceva partire la pagina web. Lo avevo quindi copiato per incollarlo sul web e vedere di cosa si trattasse. La pagina però veniva caricata molto lentamente ed io l’avevo chiusa, stanco di stare dietro alle stronzate di Salvatore. Probabilmente il link era rimasto in memoria e, preso dalla fretta, lo avevo incollato al posto dell’indirizzo della riunione e li era successo il patatrac, facendomi cadere addosso il mare di escrementi vari in cui stavo affondando. Io non sono un tipo ansioso, ma sapermi ridicolizzato nei salotti bene di Messina mi inquietava. Presto l’inquietudine divento ansia e l’ansia terrore! Passai la notte a pensare a tutti i miei clienti trattarmi da idiota; le confraternite religiose, di cui curavo gli antichi quadri e le tarlate suppellettili, mettermi al bando e cacciarmi con ignominia dai loro circoli; i prelati di campagna che mi portavano vecchi crocifissi anneriti ed ex voto infantili pagandomi con capretti e uova fresche, li immaginavo maledire il mio studio, quella stanza dall’odore di acquaragia e resine pregiate in cui avevo rinchiuso la mia vita per proteggerla dalla barbaria e dal cattivo gusto che la circondavano. Dopo il periodo del covid che aveva asciugato le mie risorse, tutto mi stava crollando addosso per uno stupido, maledetto link. Passai la notte in bianco, maledicendo Salvatore e le tecnologie moderne. Il giorno dopo uscii di casa molto presto, vagabondando per il quartiere pensando a cosa fare. Arrivai alla chiesa del Gesù e come sempre facevo vi entrai non per un qualche motivo religioso o morale, ma solo perché lì c’era la prima opera che avevo restaurato, la cornice barocca che circondava la statua di San Rocco, un’opera molto venerata. Don Nino, il parroco della chiesa, aveva ricevuto una cospicua donazione dal Commendatore Andò che nella chiesa aveva fatto celebrare le nozze della figlia. Con una piccola parte della donazione, mi aveva pagato per il restauro della cornice. Io avevo accettato di buon grado perché ero proprio agli inizi e fino ad allora non avevo avuto nessun cliente che non fosse un mio parente che, ovviamente, si guardava bene dal pagare. Il restauro attirò su di me l’attenzione dei benestanti del quartiere e piano piano, incominciai ad avere la giusta clientela. Guardavo la cornice di San Rocco quando sentii la voce di don Nino alle spalle “È sempre bella, non è vero?” “Certo – risposi felice di vederlo – sempre più bella. Ma occorrerebbe pulirla un po'” “Magari quando troviamo qualche soldino da spendere per la chiesa: ora abbiamo troppi poveri. Ma dimmi, come và, ti vedo preoccupato” Don Nino riusciva a capire i miei stati d’animo anche se mi fossi messo una maschera. Era per me un buon amico e senza di lui sarei stato solo un fallito per cui decisi di accennargli dei miei pensieri. “È che ho fatto una minchiata, forse ho offeso qualche signora e non so come uscirne” Don Nino salutò una vecchia signora che passò nella navata. “Come stà tua moglie” Chiese improvvisamente con un ghigno che se non l’avessi conosciuto mi sarebbe apparso maligno “Don Nino!! Lo sa che io di quella persona non voglio parlarne, non ne voglio sapere: Quella per me è morta!!!” “Ed è per questo che da quando ti ha lasciato non esci più da tuo laboratorio” “Don Nino ma questo chi ci ntrasi? Stavo parlando di un mio problema e lei mi tira fuori quella … quella … non le dico cosa perché siamo in chiesa…” “Ci ntrasi, ci ntrasi – fece sornione don Nino – perché se tu fossi andato a cercare tua moglie e trovandola le avessi chiesto, guardandola negli occhi perché ti aveva lasciato dopo un mese di matrimonio, uno sposalizio con duecento invitati e otto anni di fidanzamento ufficiale dopo quattro anni di giochi erotici e sbaciucchiamenti da fidanzatini, ora sapresti cosa fare! Andresti da chi hai offeso e guardandolo negli occhi diresti “scusa amico mio, scusa, ho sbagliato!” E invece no, ti perdi a pensare come farti perdonare, cosa dire, perché e percome hai sbagliato! Ti chiuderai nel tuo laboratorio indeciso su come affrontare il problema e pensando e ripensando consumerai i tuoi giorni, la tua vita dentro ad una stanza, come un carcerato! Prendi coraggio e vai da chi hai offeso chiedendo scusa, inginocchiati ai suoi piedi pur di riavere la sua amicizia ed evitare di essere sempre più solo!” La forza con cui don Nino mi disse il suo pensiero rimbombò nella navata ed i sacrestani che stavano mettendo in riga i banchi si voltarono a guardarci. Alzai una mano come per rispondergli ed argomentare quel suo rimprovero che pensavo immeritato. Ma non mi usci parola. Allora mi girai e a passo veloce, furioso e disgustato, me ne andai. Fuori dalla chiesa camminai mormorando tra me e me. Urtavo persone che mi lanciavano improperi e maledizioni, attraversavo strade dove le macchine facevano stridere i freni per non investirmi. Ne dicevo di tutti i colori nei confronti di don Nino, ma sapevo che aveva ragione, che da quando mia moglie mi aveva lasciato il mondo per me era come morto. Se non fosse stato per i pochissimi amici che avevo, non sarei uscito dal mio laboratorio. Vedi all’inizio, quando ho cercato di descrivermi, non ti ho detto di mia moglie perché …  perché non ci riesco! Tanto è stato per me il trauma che ancor nel dover parlare di quei momenti mi sale una rabbia che non so trattenere e controllare. Non è solo una persona amata da sempre che improvvisamente ed inspiegabilmente se ne è andata, ma anche tutta la mia giovinezza, tutta una concezione del mondo dove certezze come l’amore, la fiducia negli altri, l’ottimismo, la sicurezza dei rapporti finiva improvvisamente. Come fai a credere negli altri, ad aver fiducia in chi incontri per strada se dall’oggi al domani, chi ti giurava amore infinito se ne va svuotandoti la casa e il conto corrente, dicendo che gli avevi rotto le scatole con la puzza dell’olio dei mobili e le soluzioni di bicarbonato per pulire i quadri. Come fai a credere all’amore, all’amicizia, a tutto quello che ti spinge a vivere se hai capito che non esistono. Non possono esistere. Io lottavo per fermare il tempo, l’estasi della bellezza assoluta. Lei aveva invece cancellato metà della mia vita uscendo da essa. Il suo potere era stato più forte del mio. Fu un periodo orribile, passato a fissare le pareti del mio studio come se fossero le onde del mare al tramonto. Ne sono uscito lentamente grazie all’aiuto di qualche amico. Ad esempio, il corso di pittura richiesto da Mara forse era stato inventato da lei più per aiutare me che le mie allieve a dipingere. Don Nino aveva ragione: dovevo trovare il coraggio di chiedere scusa. Il suono di un clacson mi svegliò dai miei pensieri nel mezzo del Viale San Martino,  circondato da macchine impazienti. Mi guardai intorno e vidi che ero vicino alla casa delle gemelle Finocchiaro. Senza esitare mi diressi verso il loro caseggiato e risoluto a contraddire don Nino salì al loro piano suonando alla loro elegante e ricca porta di casa. Sentii un ciabattare e un chiavistello girare più volte e quando la porta di mogano antico si aprì, mi apparve una delle gemelle con un prendisole turchese, pieno di ricami da cui si vedeva balenare la candida pelle. Ora devo dire due cose delle gemelle. La prima è che sono perfettamente uguali. Loro dicevano che era facile riconoscere chi erano perché Emma, quella sposata portava la fede, mentre Edda che non lo era, portava all’anulare un anello con un rubino. Spesso però avevo la sensazione che si scambiassero l’anello per confonderci. La seconda cosa che devi sapere è che si comportano come se fossero una sola persona. Dipingevano sempre insieme usando uno stile che ricordava i pittori naif della Jugoslavia degli anni ‘80. Una di loro iniziava a dipingere da una parte e l’altra dalla parte opposta muovendosi entrambe, in perfetta sincronia, verso il centro del quadro. Benché non si parlassero e non avessero pianificato il quadro, le due parti del quadro si integravano perfettamente e non si vedevano differenze di stile o dimensioni tra la parte di destra e quella di sinistra. Erano quadri dove erano rappresentate isole mediterranee con tante piccole candide case messe una sull’altra, mentre scendevano verso il mare in un rigoglio di palme e buganvillee. Le case e le stradine che le percorrevano, erano popolate da centinaia di piccoli uomini e donne impegnati in mille attività come piccole rosee formiche in un candido formicaio. In basso a destra si firmavano con la figura di una bambina che era formata da due metà ricongiunte, ma per notare questo particolare bisognava guardarla attentamente. “Renzo, che bella sorpresa” Mi disse una gemella in turchese quando mi aprì la porta “Mi fa piacere vederti” Aggiunse l’altra arrivando ciabattando da un lungo corridoio vestita con un coprisole ocra. Entrambe erano vestite come i personaggi dei loro quadri. “Vieni, entra, prendi qualcosa con noi” Fece quella che mi aveva aperto e presa la mia mano, mi tirò dentro casa sua “Meno male che sei venuto mi stavo annoiando” Aggiunse l’altra spingendomi in un lungo corridoio che dava su molte stanze tutte arredate in modo classico con alle pareti i grandi quadri colorati che dipingevano. Mi fecero sedere in un piccolo salotto con un divano molto largo e pieno di grandi cuscini. Sul tavolino in onice erano sparsi disordinatamente libri, riviste e scatole di torroncini e confetti. Sparirono e riapparirono subito dopo portandomi un gran bicchiere di acqua tonica in cui galleggiava della granita al limone. Parlammo del caldo che imperversava e dello scirocco che svuotava le strade e a loro faceva venire il mal di testa, fino a che non misi giù il bicchiere e, schiarendomi la voce, iniziai il discorso che mi ero preparato. “Ecco … sono venuto per quel link che involontariamente vi ho spedito … volevo chiedervi … scusa” “O veru? …. Scusa  mi volevi chiedere ….?” Iniziò quella seduta accanto a me a destra e quella seduta a sinistra finì la frase “… E picchì ti scusi per quella stupidata …?” “Mi ha fatto divertire ….” “…. E ti confesso, ma non lo dire a mio marito …” “Lui è all’antica, non capirebbe …” “Mi ha fatto venire un po' di voglia…” “voglia di passione, un fuoco proprio li …” “Intenso ….” “feroce ….” “Una cosa mai provata …” “ma forse desiderata …” “ tu quelle cosa, dimmi … le hai mai fatte ?…”” “… si, si tu sotto sotto chissà quante ne fai…” E sentii una mano scivolarmi lungo la coscia “… magari ti ha spinto a spedire quel filmino un qualcosa di inconscio, un desiderio mai confessato … “ “ma fortissimo! Anche a me capita …” “di provare sanazioni proibite, pensieri libertini…” “ ma in fondo, umani siamo” “le tentazioni, dentro di noi sono” E senti il calore di un paio di generose minne premermi contro il petto “per questo il tuo… è sicuramente un messaggio d’aiuto …” “un messaggio… alle tue amiche …” “ e hai fatto bene a mandarlo!” “Ora sò che quello che sento io anche tu lo senti: hai lo stesso pensiero….” “abbiamo gli stessi desideri” “ e ai desideri non bisogna resistere: fa male … “Fisicamente e moralmente…” “Se un desidero è onesto, perché resistergli?” “… devi soddisfarlo, se vuoi vincerlo… “ “Così staresti meglio … ti sentiresti libero” “e anch’io starei meglio …” “mi passerebbe il mal di testa” “mi rilasserei …?” Sentivo il loro respiro sul collo, una mano era salita alla base della coscia e richiamava l’attenzione del locale residente, mentre un'altra mano, dalla parte opposta aveva vinto la resistenza di un bottone della camicia e stava esplorando con dita calde ed esperte, il mio petto. Non sapevo cosa fare, o meglio, lo sapevo benissimo, mi sarei dovuto alzare e lasciar perdere quelle due sirene assatanate. Ma i loro corpi contro il mio, quel sussurro con cui mi tentavano, la carestia sensuale che provavo da quando quella donna che aveva giocato a fare la moglie per poche settimane se ne era andata (portandosi via corredo e regali di nozze), mi impediva persino di concepire l’idea di muovermi, di fuggire a quell’ipnotico desiderio di essere sbranato sensualmente. “Ma … tuo marito?” Cercai di dire ricordando loro impegni morali e sentimentali così che (loro) finissero quella inattesa e bellissima seduzione di un incapace (io), di un inesperto (sempre io ), di un maschio minchione e fissa (ancora io) e quindi innocente, assolutissimamente innocente. “mio marito è una persona eccezionale” “… lui è in mare, è capitano su una nave…" Fece qualcosa di umido che mi esplorava l’orecchio “… starà li per altri due mesi …” Rispose la mano che apriva la mia cintura “è intelligente, capirebbe” “Poi lui fa l’amore a metà….” “… non accetta il fatto che io sono una… “ “ in due corpi” “Che deve amarmi due volte …” “entrambi i corpi” “… perché io abbia un unico piacere …” “… ma se lo sa mi ammazza” Azzardai come ultima disperata e debole difesa “… non lo saprà mai e poi” “… gli abbiamo detto che sei gay ” “… che tua moglie ti ha trovato a letto con un negro…” Capisci? Oltre la notorietà di possibile cornuto, avevo anche la fama di probabile gay. Ma quello che ero per il marito di Emma, in fondo non mi interessava perché ormai non parlavamo più. Cosa stava succedendo è inutile dirtelo e a ripensarci non ricordo tutto quello che era accaduto, perché il mio cervello è troppo piccolo per ricordare tutto il piacere che le gemelle mi facevano provare. Ricordo solo che l’intimo di una profumava di rose e che quella dell’altra di tuberose e che la prima era dominante esigente, predatrice, un amazzone volitiva e golosa. Tuberosa era invece succube, generosa, disponibile, pronta a donare quanto la sorella pretendeva, a non negare quanto la sorella non voleva. Ma non farmi dire altro. Ti dirò solo che insieme avevano tutti i desideri, i capricci, le voglie che una donna ha. I corpi di Rosa e Tuberosa erano abbondanti come le donne dei quadri di Rubens eppure leggeri, quasi evanescenti aerei, come le donne del circolo dei canottieri di Renoir, felici come le Mademoiselle d’Avignone di Picasso e oscure, impenetrabili come gli occhi senza anima delle donne di Modigliani. Scoprii nuovamente che le donne sono come il sole a primavera che dona vita agli alberi e ai fiori, come la pioggia nel deserto capace di far fiorire l’arida sabbia. Quando la sera, distrutto nel corpo e rinato nell’animo tornai nel mio laboratorio di restauro, mi accorsi che era piccolo, troppo piccolo per contenere il piccolo pezzo di paradiso che le gemelle mi avevano donato. Compresi anche la loro solitudine, quella che nasce dal non poter essere di fronte al mondo, quello che ci sentiamo di essere, quella disagevole sensazione che nasce dal mostrare a tutti solo una minima parte di quanto siamo. Quella sera nella casa vuota, mentre osservavo allo specchio i graffi, i morsi che mi avevano lasciato sulla pelle, mi sentii anch’io come loro la metà di una persona, privo di quel gemello con cui poter essere un individuo completo. La metà che mi mancava non era quell’essere odiato che mi aveva lasciato, ma tutte quelle anime spaiate che conoscevo o che avrei potuto trovare e che invece, chiuso nel mio laboratorio, non avevo incontrato e forse avevo perso per sempre. Il giorno dopo mi alzai frastornato. Mi misi a lavorare di lena, ma ogni pezzo di legno che scartavetravo era un pezzo della coscia di Profumo-di-Rosa o Tuberosa; ogni pennello che usavo per distendere gli oli o le resine, mi ricordavano i loro capelli, accarezzati, stretti, tirati e rilasciati con i loro sospiri di piacere. Me ne andai a metà mattinata e mi diressi deciso verso casa di Pinuccia. Dovevo ancora chiedere perdono alle altre amiche e lo facevo volentieri perché ormai avevo capito che anche loro potevano essere sole come me e che il link sbagliato che avevo inviato poteva essere un motivo per non esserlo più. Stavo per suonare alla porta di Pina quando questa si aprì improvvisamente e una vecchia signora, seguita da una ragazza down uscirono. “Marti ti sei presa la sciarpa?” gridò la voce di Pinuccia da dentro casa “Si mamma, non ti preoccupare” Rispose la ragazza “Non fare sforzi “ “Si maaa” Rispose seccata Marti “Cercavo la signora Lo Cascio “ chiesi alla vecchia signora stupita di vedermi proprio di fronte a lei “È intra – fece la vecchia, ed alzando la voce gridò – Signora a stannu ciccannu” E presa Martina per mano entrò nell’ascensore “Chi è? - Fece Pinuccia apparendo sulla porta, vedendomi esitò qualche secondo  e poi mi disse quasi seccata – entra” Entrai colpito dall’assenza di entusiasmo con cui mi aveva accolto Mi fece entrare in salotto e senza chiedermi di accomodarmi mi chiese “Cosa vuoi?” “Ecco … volevo scusarmi per quel filmetto che ti ho mandato … è stato uno sbaglio un errore deprecabile dovuto alla mia superficialità … scusami …” Lei mi guardò freddamente. Io ti confesso che quello sguardo mi fece male. Pina era una signora dai modi aggraziati, aveva due occhi chiari perennemente tristi sotto una chioma di capelli scurissimi, un naso importante che colpiva e ammaliava. La sua pelle era sempre chiarissima ed il corpo tonico, senza un filo di grasso. L’avevo vista una volta in bikini e mi era apparsa come una di quelle sculture delle ballerine di Francesco Messina: perfetta e seducente. Vederla così fredda e arrabbiata mi dispiaceva “”Scusami”…. Vieni qui e mi dici “scusami” … prima mi mandi quelle cose volgari e degradanti, dove le donne son trattate da bestia e poi mi dici “scusami”” E fece una faccia che mostrava solo di disprezzo “Ma no, è  stato uno sbaglio … era un semplice film … “ “Non era un film – gridò feroce quasi saltandomi addosso – non è mai solo un film quando si fa del male è … una porcheria … un sopruso che il vostro egoismo di uomini fa passare per “amore”, per “piacere”” “… ma  veramente …” Cercai di difendermi “È stato un atto disgustoso mandare a me che quella violenza l’ho subita, un film che me lo ricordasse” “Ma no Pina io…” “Sei un vigliacco  un porco come quello che mi violentò a quindi anni e mi ha messo in cinta di Martina … sei un mostro … siete tutti dei mostri” Urlò disperata e nascondendosi il volto tra le mani incominciò a piangere “Ma io … non …” Balbettavo sopraffatto dalla sua reazione, dalla sua storia che non conoscevo, che non sapevo e volevo quasi quasi andarmene, fuggire da quella situazione imbarazzante e sgradevole. Non sapevo cosa fare e non so perché mi venne in mente don Nino e la sua voce che gridava di gettarmi in ginocchio per chiedere perdono. Preso dalla disperazione mi avvicinai a lei e cadendo in ginocchio ai suoi piedi l’abbracciai stringendole le gambe. “Scusami, scusami, scusami, non volevo farti del male, sono uno stupido, un coglione, ma non voglio, non sarei mai capace di farti del male. Sono venuto solo a scusarmi perché è stata una cosa da imbecille ma non sapevo cosa ti era successo, e mi dispiace che questa bambinata ti abbia fatto tanto male. Non avrei mai voluto, non saprei mai farti del male” ripetei, rallentando quel mio dire esagerato e velocissimo che era il frutto della mia sorpresa, del mio disorientamento di fronte al suo dolore. Continuai più lentamente “tu sei speciale, sei la persona più gentile e generosa che abbia mai conosciuto, io non posso volere o desiderare il tuo male. Soprattutto ora che so quanto hai sofferto, quanto stai soffrendo. Pensavo di essere l’unico ad essere stato preso a schiaffi dalla vita. Ma ora so che tu non sei stata più fortunata di me e questo mi dispiace perché avrei voluto che la vita fosse stata più generosa con chi ritengo migliore di me.  Scusami di non aver fatto rinascere il dolore che ti porti dentro.” Lei scivolo tra le mie braccia e mettendosi anche lei in ginocchio mi abbracciò “ La vita mi ha sempre violentato. La prima volta a sedici anni, la seconda quando è nata Martina che malgrado tutto aspettavo con amore, poi quando l’ho dovuta crescere da sola senza l’aiuto di nessuno, quando ho incontrato mio marito che poi è morto in un incidente, privandomi della nuova vita che mi ero costruita. Ed ora, con il tumore che ha Martina l’incubo ricomincia. Lunedì dovrò portarla in ospedale, poi le  medicine, la chemio, le visite e lei dovrà pazientemente sopportare tutto ed io con lei! Ora tutto rincomincia, sono di nuovo all’inizio di un altro calvario” Restò in silenzio qualche secondo, sempre stretta a me “Sono stanca. Vorrei che tutto finisse perché non ce la faccio più.” Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulle spalle senza più dire o muoversi Sentivo il suo corpo tra le mie braccia e non era quello delle gemelle, con un calore solare e un desiderio vitale. Era un fragile guscio che conteneva un anima che aveva attraversato tempeste e soprusi , senza un momento in cui avere la giusta pace e la desiderata serenità. “Lunedì vi accompagnerò io. – esordii improvvisamente - Vi starò accanto e affronteremo insieme tutto quello che c’è da fare: non sarà un altro calvario. Tu hai superato tanti momenti brutti, saprai superare anche questo momento, poi hai le tue amiche, ci sono io: ti difenderemo dal destino e gli impediremo di farti del male.” Lo so: le mie erano semplici e probabilmente inutili parole. Esageravo nel sottovalutare il problema e nel vantare la soluzione, ma in quel momento ci credevo veramente. Sapevo fermare il tempo che divorava la bellezza di mobili e quadri, avrei saputo fermare anche il destino perché ancora una volta non travolgesse Pina e Martina. Ma più di tutto, sapevo, perché me lo aveva insegnato l’arte che curavo, che i sogni vivono più a lungo dei sognatori che li avevano creati, e che illudersi e credere nelle proprie illusioni era l’unico modo di santificare la vita, la propria e quella degli altri vincendo quel nulla da cui diamo nati e in cui scompariremo. Lei si staccò da me guardandomi, poi sorridendo anche se aveva gli occhi lucidi “Non ti sapevo così determinato! Vuoi proprio il mio perdono” “Mi hai già perdonato - le dissi asciugandole gli occhi -  e hai fatto bene. Chi non sa perdonare è come se volesse fermare la vita, ma questa, non la può fermare nessuno e alla fine, la vita lo schiaccia. A me è successo questo dopo che mia moglie mi ha lasciato. Non volevo che tu facessi lo stesso errore.” Sentimmo girare la chiave nella serratura e ci alzammo velocemente. Martina entrò felice mostrando alla madre le medicine comprate. Io salutai e Pina mi accompagnò alla porta. “Allora lunedì passo a prenderti ed andiamo al Papardo. Non ti dimenticare” “Ma Renzo, non so se è il caso …” “Lo è! Fidati” Ed entrai in ascensore. Per strada camminavo lentamente pensando a tutto quello che era successo. Pina dipingeva di preferenza le nuvole. Quelle di un azzurro purissimo sfumate di rosa simili a quelle degli affreschi del Tiepolo e quelle cupe e color piombo della Tempesta di Giorgione. Ora capivo che nel dipingere cercava un po' di pace e voleva esorcizzare le ansie che l’assalivano. Lei non si era rinchiusa in una stanza perché non poteva, ma non di meno, come i miei, i suoi giorni erano senza sole e serenità. Fino a quel momento avevo tenuto lontano tutto e tutti ritenendo che “gli altri” si fossero presi più di quanto mi avessero dato, lasciandomi in una tribolata solitudine mentre loro vivevano immersi in una normalità viscosa e soporifera ma serena e forse, felice. D’improvviso invece, persone che ammiravo perché parte dello sfondo luminoso che circondava la mia oscurità, mi avevano mostrato le loro inquietudini e difficoltà. Non ero quindi un’anomalia, un diverso obbligato ad un infelice malinconia per tutto quello che avrebbe potuto avere e che gli si era rivoltato contro. Ero solo un comune infelice dei tanti, uno qualunque senza peso e senza alcuna importanza. Infelice come lo era anche chi mi circondava.   Avevo bisogno di parlare con Mara. Lei era il mio punto di riferimento, in ogni momento difficile avevo trovato in lei un aiuto a chiarirmi situazioni e persone. Volevo capire cosa dovevo fare con le gemelle, con Pina e soprattutto con me stesso ora che un link del cavolo mi aveva costretto a fare i conti con un insospettato lato nascosto della realtà. Presi il mio furgone e mi diressi verso la casa della mia amica. Arrivato il portiere filippino mi disse che era andata nella casa al mare a Rometta, perché era il compleanno del figlio e volevano festeggiarlo al mare. Mandai un messaggio chiedendole se avesse tempo per me e mi rispose immediatamente di andare a trovarla aggiungendo di entrare dal cancello sul giardino. Andai direttamente a parlarle passando dal giardino senza suonare. Ai tempi del liceo  ero stato in quel giardino molte volte per le feste di compleanno di Mara o per le feste estive. All’epoca Mara era una ragazza con le curve delle donne di Botero, abbondanti e sensuali. Malgrado il sovrappeso e un leggero strabismo di venere, mi attraeva in modo particolare e avevo fatto diversi approcci per farglielo capire e passare ad una relazione più intima.  Non ero però abbastanza esperto per poterla sedurre o interessare, ed in fondo lei aveva già abbastanza malizia da neutralizzare i miei goffi tentativi.   Quello che di lei mi colpiva era la sua capacità di razionalizzare ogni sentimento e persona, una capacità in antitesi con  la mia mente creativa e caotica. Era quindi un valido punto di riferimento, una sicura certezza. Non so perché pensai che al liceo non riuscivo a capire come mai quel suo corpo fuori dalle regole della bellezza mi piaceva, mentre ora mi accorgevo che non era il suo corpo ad attirarmi, ma quello che conteneva: la sua costante serenità, la lucidità, la semplicità, la fermezza, la forza con cui affrontava l’ironia dei compagni di classe e le difficoltà della vita. E questo perché riteneva la vita troppo importante per sciuparla in malinconie ed arrabbiature. Entrai nel giardino e camminai tra gli alberi dei limoni e mandarini, ognuno chiuso in un quadrato di terra circondato da piastrelle di lucido cotto. Quella razionale disposizione mi ricordava i quadri di Mara dove paesaggi e persone erano suddivisi in forme geometriche perfette come quadrati, cerchi, triangoli equilateri, quasi la rassicurasse la perfetta disposizione spaziale di tutto quello che vedeva. La trovai sul dondolo che osservava  il suo cellulare . Era vestita con un kimono leggero, di fiori rossi su un fondo crema. Il kimono era stretto ai fianchi da una cintura che lo faceva aprire sul davanti mostrando, l’abbondanza del petto rinchiuso nella parte superiore di un bikini rosso. Mi fece segno di sedermi accanto a lei “Allora come và?” Esordi sorridendo e guardandomi da sopra i suoi occhiali che controllavano e bloccavano il suo strabismo di venere. “È che ho mandato quello stupido link e sono venuto a chiedere scusa.” “hai fatto tutta questa strada solo per questo? Ma era chiaro che non era cosa tua” “No, non è solo per questo. Ho chiesto scusa anche alle gemelle e a Pina e hanno reagito in un modo strano! Ognuna di loro in modo personale e comunque diverso da quello che mi sarei aspettato.” “È normale : ognuno reagisce per il carattere che ha, siamo in fondo tutti diversi” “Ecco è proprio questo: è normale che ognuno reagisca secondo il proprio carattere, ma la loro reazione mi ha fatto capire che non avevo compreso le loro personalità che non erano per come le pensavo o le conoscevo.” Sorrise allargando le rosse labbra lunghe quanto un sogno. “Ce lo hai spiegato tu: ognuno vede un quadro in un modo diverso perché lo interpreterà sulla base della sua esperienza: tu forse, le hai sempre giudicate sulla base del rapporto superficiale che avevi con loro. “Certo! Questo è normale ma, pur conoscendole da tempo si sono comportate come se non le avessi mai conosciute mentre invece è da un anno che le frequento. La continuità di una relazione fanno si che abitudine e consuetudine rivelano  chi ci stà accanto. Invece non è così. A questo punto mi chiedo: ma allora non conoscevo nel suo profondo intimo neanche la mia ex moglie, non conosco te, non conosco nessuno: e quindi non è possibile conoscere veramente qualcuno per quello che è, con i suoi problemi, manie, nevrosi? Vi sono sempre dentro di noi delle porte che non apriamo a nessuno, per questo nessuno in questo mondo riesce ad essere cristallino, trasparente: vero. E allora che senso hanno le frequentazioni, l’amicizia … l’amore? Se tutti nascondiamo agli altri quello che siamo veramente? Se siamo tutti fragili e prigionieri delle illusioni che ci creiamo per vincere la nostra solitudine? Che senso ha la vita, se è solo un palcoscenico dove tutti recitano di essere un altro e mai se stessi e mostriamo agli altri nei social o per strada, quello che è solo una nostra l’illusione creata per non essere schiacciati dalla realtà?” Restai qualche secondo in silenzio “Ecco, sono confuso” Lei sorrise di gusto “Sei confuso perché sei un uomo, hai la testa piena di rotelline che girano dove ognuna si muove spinta da quella prima per muovere quella dopo, per cui uno più uno è sempre e solo uguale a due. A noi donne questa logica non serve, noi sappiamo leggere anche quello che non è scritto, sappiamo già se il risultato è buono o cattivo indipendentemente dal dover sommare o sottrarre. Noi non avevamo bisogno del tuo link per capire chi sei.” La guardai aspettando che continuasse “E allora chi sono io?” “Un bietolone – rispose sorridendo allegramente -  uno che si perde dietro a un tavolo stile direttorio o un quadro di De Pisis senza considerare la donna che lo osserva accanto a lui” “Io non sono così” Osservai per difendere la mia dignità virile “E allora cos’è per te una donna?” “Un opera d’arte come le Madonne di Antonello da Messina, con lo sguardo che rivelano un anima e delle labbra che promettono l’estasi” Si mise a ridere poi si avvicinò e appoggio la testa con la lunga chioma al suo braccio destro e con la mano sinistra aggiustò il colletto della mia camicia rimasto a mezzaria dopo l’ultimo incontro con Pinuccia. “Una donna non può essere una statua o un quadro da ammirare. Una donna è anche emozione, sensualità, eleganza, passione, armonia, tenerezza, forza, istinto e mille altre cose. Tu di tutto questo hai deciso di vederne solo una piccola parte. Hai ridotto tutto ai minimi termini in esteriorità e coiti, per paura o disillusione e non ci capisci più. Quand’è l’ultima volta che hai vissuto desiderando, o sognato amando?” La guardai disorientato “E cosa dovrei fare per non essere il bietolone che sono?” “Quello che le gemelle e Pinuccia ti hanno detto di essere” Capii che lei sapeva tutto forse anche le cose più intime delle gemelle o che mi ero vergognosamente abbracciato alle gambe di Pina “ vuoi dire amante e amico…?” Chiesi dubbioso “Sei un restauratore, un signore di una certa cultura che restaura le cose e che non ha capito che anche le persone devono essere restaurate, devono essere pulite dalla patina dell’ipocrisia, dalla stanchezza del vecchiume che copre ogni esperienza per riavere le loro emozioni e far nascere delle speranze. Ognuno di noi è abbruttito dalla disillusione e dalla solitudine che ricopre, soffoca i suoi giorni, ognuno di noi vorrebbe levarsi le maschere che indossa per proteggersi o nascondersi e con te questo è possibile perché sei come un bambino onesto e sincero. Tu eri l’unico in classe che mi guardava dentro, cercando di capire cosa c’era in quel mio corpo orribile. E questo ti è rimasto. Non hai però capito che tutti noi vogliamo che il tempo si fermi; vogliamo tornare a provare i colori, i sentimenti della nostra gioventù, le sfumature nascoste delle nostre personalità e splendere come i vecchi quadri che tu pulisci facendoli tornare alla loro bellezza. Questo tu, sei abituato a farlo. Tu non fermi il tempo che divora un quadro! Tu ricrei le emozioni che quel quadro dona, ed è questo quello che le gemelle o Pina volevano e che tu hai dato loro: le emozioni che non riescono più ad avere” Era questo quello che mi era sfuggito: quello che le mie donne cercavano. Volevano riprovare le emozioni delle stagioni passate, riscoprire le certezze che la vita aveva sfigurato o cancellato. Volevano ritrovare quello che era stato rubato loro e per fare questo dovevano vivere, con il mio aiuto, le emozioni che la quotidianità gli negava. Le gemelle avevano bisogno di sentirsi quell’unica persona divisa in due metà come la firma nei loro quadri. Pinuccia voleva una presenza, un sostegno fidato, un amico affidabile e Mara? Mara cosa cercava ? Una donna è emozioni, aveva detto, ma lei era sempre stata neutra, imperturbabile, anche quando la prendevano in giro per le forme tonde e il leggero strabismo di venere. Aveva fatto del non mostrare emozioni il suo scudo invincibile. Con il tempo si era costruita una forma da elegante donna matura, con i fianchi larghi e con gli occhiali, ma anche con due gambe da ventenne e due spalle da campionessa di nuoto che potevano sostenere l’abbondanza del seno, quelle forme che, nell’insieme, la facevano sembrare una intramontabile fotomodella, con un fascino discreto ed intenso. Ma ancora, come al liceo, non mostrava mai emozioni e forse era proprio questo quello che dentro di se avrebbe voluto: mostrare e vivere quanto provava, quanto le dava piacere facendole gustare ed apprezzare la vita. La guardai ed osservai le lunghe labbra piegate in un sorriso ironico. Quelle labbra lunghe, sempre rosse e serene, mi erano sempre piaciute fin da quando eravamo al liceo, e forse il modo migliore per farla uscire allo scoperto era proprio farle capire cosa lei era per me “Ti ricordi quando con gli altri compagni di classe, siamo andati a fare il bagno a Falcone? In quarta superiore” Lei mi guardò stupita da quell’improvviso cambio di argomento “Si … Perché? Cosa c’entra ora?” “Ti ricordi che abbiamo fatto il gioco della bottiglia? Facevamo girare la bottiglia e chi la bottiglia indicava quando si fermava doveva baciare chi aveva di fronte?” “Si – rispose ridendo – abbiamo fatto baciare Carlo e Giovanni” “Ecco vedi – dissi facendo la faccia innocente e spostandole con un dito la falda del chimono – io mi ero allenato il giorno prima  e avevo studiato come far fermare la bottiglia su chi volevo” Lei osservò la mia mano scivolare dentro il kimono e e alzò gli occhi a guardarmi severa, ma non mi fermò “Allora quando toccò a me far girare la bottiglia gli diedi il colpo che avevo studiato e sei uscita tu” Mi guardò ancor più sorpresa mentre con l’indice scendevo sotto il costume e lentamente giravo intorno al suo capezzolo “Mi piacevi tantissimo ma mi evitavi sempre allora sono ricorso a questo trucco per baciarti, ed è stato bellissimo. All’inizio hai fatto resistenza, poi però la tua lingua è scivolata tra le mie labbra. Me lo ricordo ancora. Fu come un fulmine mi fosse entrato nel cervello illuminandomi l’anima e mi sembrò di esplodere, di essere diventato enorme tanto da abbracciare tutto l’immenso blu del mare. Fù la cosa più bella che ricordo di tutto il liceo.” Chinai la testa e appoggiai le mie labbra sulle sue mentre il suo capezzolo si irrigidiva, duro e complice del mio dito. Fu un bacio stranamente lungo e quando mi staccai continuai. “È passato tanto tempo ma quello che eravamo resta ancora in quello che adesso siamo. Io quel momento non l’ho dimenticato ed ogni volta che ti vedo, anche arrivare da lontano mi sembra ancora di sfiorare le tue labbra e di abbracciare l’immenso blu del mare. Se ti sognassi non vorrei più svegliarmi.” “Magari se avessi avuto lo stesso pensiero con tua moglie, lei non ti avrebbe lasciato” Osservò lei senza accidia o cattiveria “Se ne sarebbe andata in ogni caso. I nostri corpi si amavano ma tra le nostre anime non c’era quella amicizia, intimità e complicità che serve a riempire tutto il tempo di chi sta insieme.  L’amicizia è il seme dell’amore, è una piccola, primordiale, forma d’amore e senza di essa, l’amore non può esistere.” “Adesso, quella nostra amicizia del liceo, è diventata altra cosa. Il tempo passa per tutti” “Lo hai detto tu che sono un restauratore, che posso fermare il tempo e per me quel tempo e le emozioni che mi ha dato, sono rimaste esattamente per come le ho vissute” Mi chinai ancora una volta e la baciai con maggiore intensità. Per pochi secondi senti che lei mi rispondeva con la sua passione, ma subito le sue mani mi spinsero indietro. Quando stupito incontrai i suoi occhi, mi sembravano felici, ma la sua bocca mi gelò “Lunedi accompagno io Pinuccia e sua figlia al Papardo.” La guardai stupito. Sapeva ovviamente tutto e ora, al suo solito, stava riprendendo le redini della situazione. Prese la mia mano immersa nel calore del suo seno con due dita e la fece uscire da sotto la sua vestaglia “Pinuccia ha apprezzato molto la tua disponibilità e tutto quello che le hai detto - continuò con un tono tranquillo mentre chiudeva il kimono - Le hai ridato la fiducia nelle persone e nel destino. Ma quello della figlia è un problema di donne e preferisce che con lei vi sia una donna” “Ho capito. – feci seccato – da donna hai letto in noi due qualcosa che non andava bene, anche se non era scritto?” “Si, non possiamo tornare completamente indietro e saltando troppo in avanti faremmo solo del male a noi stessi e a chi vogliamo bene. Il restauro migliore è quello in cui si lasciano le cicatrici del tempo, le rotture i tagli sull’oggetto restaurato. Forse in quello che provi, ci credi, ma devi viverlo secondo le cicatrici ed i doveri  che la vita ha lasciato dentro di noi: per ora va bene così, non c’è bisogno di forzare la mano. Ho due figli, un marito che lavora per darmi tutto quello che io o i figli vogliamo. Loro hanno più importanza di quello che provavamo o che provo io adesso o che potremmo provare domani. Di egoismo si muore ed io non posso essere egoista e pensare solo a me stessa.” Devo aver fatto una brutta faccia perché sorrise e continuò “Anch’io, come Pinuccia ho apprezzato le parole e il gesto, ma la vita non risparmia chi si illude” Aveva ragione, la vita premia solo chi ha coraggio, io dovevo averlo allora quando mi ero accorto che lei era il mio immenso, infinito blu. Si alzò “È meglio che vai. Quello che proviamo al di fuori dell’amicizia non ha un futuro e quindi non può avere neanche una ragione o un motivo. Tra tutti i nostri obblighi ed impegni non ha né uno spazio per crescere ne un senso per vivere” Eccola li: razionale e indifferente, nemica di ogni passione ed emozione. Mi alzai seccato. Il suo volto era serio, forse turbato dalla conclusione che aveva tratto da sola per entrambi e per il nervosismo si mise con le braccia conserte quasi a tenermi lontano. La guardai. La odiavo mentre sentivo di non poterne fare a meno e questo me la faceva odiare ancora di più. “Oh capito ciao” Risposi seccato. Mi girai e mi incamminai incazzato verso il cancello. Era una presuntuosa, boriosa e seccante, come faceva suo marito a sopportarla? Mi fermai davanti al cancello. Il pensare a suo marito fece girare le rotelline del mio cervello. Un pensiero mi illuminò. Mi dissi che ero il solito bietolone che credeva a tutto quello che gli dicevano.   Avevo ancora una volta riassunto una relazione in sesso e apparenze come avevo fatto con quella stronza di mia moglie. Ma Mara non voleva solo la felicità di un attimo donata dalla carne anche se, a sentire il suo capezzolo, l’apprezzava. Avevo sbagliato nel semplificare i suoi bisogni, nel pensare troppo solo ai miei, nell’essermi alzato e nell’andare via offeso nella mia presunzione. Se si è capaci solo di fuggire e non si è disposti a fermarsi, a capire, a lottare per chi si ama, che amore è? Era questo quello che in fondo don Nino voleva dirmi. Mi voltai e tornai da lei sorridendo. Incominciai a parlare velocemente “Lunedi vengo con voi al Papardo e vi aspetto fuori. Quando Pina e Martina escono le accompagno a casa così puoi andare a prendere i tuoi ragazzi a scuola. Ora chiamo le gemelle e chiedo loro se sabato vogliono venire a Taormina. A Palazzo Corvaia c’è una bella mostra e penso che a loro piacerà. Inviterò anche Pina e Martina. Penso che faccia bene a Martina vedere Taormina e riempirsi gli occhi di sole e di mare prima di vedere le corsie dell’ospedale. Assumo che tu venga perché da quando mia moglie mi ha lasciato tu sei stata sempre presente, la prima a chiamarmi, l’unica a considerarmi e da allora non ti ho mai sentito parlare di tuo marito, non ti ho mai visto insieme a lui da nessuna parte a Messina, su Instagram o Facebook e nessuno di tutte le tue amiche, ne ha mai parlato al presente. I tuoi figli hanno più diritto di me, è chiaro, ma io sono il tuo unico diritto, quello a cui non puoi, non devi rinunciare se vuoi dare un senso ai tuoi giorni. Ai nostri giorni. Sei sempre stata quella che passava i compiti senza che nessuno te li chiedesse: hai sempre pensato per gli altri e mai per te stessa come adesso fai con i figli o con un marito che non lo è più. Hai sempre nascosto ogni emozione perché provavi solo quelle che ti facevano male. Ma sei una donna. Tu le emozioni le fai nascere, sai renderle eterne e sublimi: non puoi ignorarle. Io sono un restauratore e come hai detto faccio rinascere le emozioni invecchiate. Ma per me, le uniche emozioni che voglio rivivere sono quelle che mi hai dato quando ti ho rubato un bacio. Se tu il giorno dopo il primo bacio avessi accettato di venire ai falò, io non avrei incontrato mia moglie e non avremmo perso anni della nostra vita  per una stronza.  Non fare lo stesso errore di allora: se sai leggere anche quello che non è scritto, leggi quello che avrei voluto dirti ma che non vuoi sentire: la prima cosa che leggeresti sarebbe  “non aver paura a voler vivere le tue emozioni, la tua vita.”” Le sorrisi e me ne andai. In macchina pensavo che per un link della minchia ero stato sedotto da una donna che era la somma di due donne, ero l’amico fidato di una donna che la vita non aveva mai rispettato, ed ero l’ingenuo seduttore di un’altra donna generosa e pronta ad aiutare tutti, tranne che se stessa. Un casino. Come avrei fatto a gestire tutto? Come mi sarei diviso tra l’una e l’altra e il mio lavoro. Da che ero più solo di una bottiglia vuota che galleggiava in mezzo al mare, a che mi trovavo a condividere intimità e problemi con un harem di anime più sole della mia. Quasi mezz’ora dopo mi arrivò un messaggio, come al solito imperativo e pragmatico: “A Taormina vengo anch’io con Pina e Martina. Andiamo con il tuo furgone!” Passò qualche secondo e apparve un’altra parola come se prima di essere scritta dovesse essere razionalmente pesata e valutata, prima di essere irrazionalmente spedita “un bacio” Aveva fatto la sua scelta. Sapevo che sarebbe venuta anche lei. Perché a Mara le mostre d’arte sono sempre piaciute e chi ama il bello, non può fare a meno dell’amore. Ne ero sicuro perché come ti ho detto, l’amicizia è sempre un principio d’amore un seme che in un modo o in un altro diventa sempre un fiore e perché, come diceva don Nino, una vita, non può restare chiusa in una stanza piena solo di rimpianti.
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cat61ste · 2 years
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Giochi 1
Eccomi a casa.
Giornata pesante in ufficio, ma il pensiero della serata con lei ha addolcito la cosa.
Luisa, mia moglie, splendida donna, alta, gambe lunghissime che ama velare con autoreggenti, che spuntano dai vestiti mai troppo lunghi. Sedere che non smetterei mai di ammirare e seno prorompente.
Ma è il viso che spicca. Un viso angelico con due occhi verdi splendidi e una bocca con due labbra carnose.
Nessuno dei miei amici crede che quel viso angelico nasconda un indole lussuriosa che si scatena appagandomi sempre completamente.
Apro il portone.
"Ciao tesoro"
"Ciao, sono in bagno"
Percorro il corridoio ed entro nel bagno. Lei ha solo un ampio telo di spugna che le fascia il corpo.
"Mi sto preparando"
"Bene, faccio una doccia e mi preparo anch'io".
Mi spoglio ed entro nella doccia. Mentre l'acqua scorre sul mio corpo, sogno che lei entri nuda a farmi compagnia, ma non succede niente.
Esco dalla doccia con un asciugamano intorno ai lombi.
Si è vestita e... non ho parole.
Come ho detto non le piacciono i vestiti lunghi ma questo arriva a malapena a lambire le autoreggenti.
Come non bastasse la schiena e nuda fino al margine dei glutei rendendo evidente che non porta il reggiseno.
Si è truccata pochissimo, a parte il rossetto rosso che le rende le labbra ancora più sensuali. Mi avvicino e la giro verso di me.
"Stasera vuoi far morire tutti d'infarto?"
Sorride compiaciuta.
Con il pollice passo sulle sue labbra sbafando il rossetto.
"Sei pazzo ora dovrò  rimetterlo"
"Va bene... ma dopo.
E la bacio penetrando la sua bocca con la lingua che inizia un ballo selvaggio con la sua.
Le mani scivolano dal collo ai seni sodi, accarezzandoli con vigore, con le  dita prendo i capezzoli turgidi e li strizzo, il grido di dolore so essere accompagnato da una scossa elettrica che le attraversa tutto il corpo.
La faccio girare le faccio appoggiare le mani al lavandino  e piegare il corpo in avanti.
Faccio salire quel poco che serve il vestito scoprendo il suo culo perfetto. Le faccio allargare le gambe per scoprire la fessura bagnata, coperta solo dal perizoma. Scostò il filo e la penetro con due dita godendomi i suoi gemiti di piacere.
In quel momento mi ricordo del regalino che non le ho ancora dato.
Mentre continuo a scoparla con le dita, con l'altra mano prendo il piccolo oggetto nascosto nel taschino della giacca.
I suoi gemiti sono sempre più frequenti e profondi.
So che sta per godere.
Mi fermo e immergo il piccolo oggetto tra le due labbra dentro il suo antro pulsante.
Si gira interdetta e irritata.
"Che fai mi pianti così, e cosa cazzo hai messo dentro?"
Sorrido, sarcastico e un po stronzo.
"Avrai tempo tutta la notte per godere. E dentro ho messo un piccolo vibratore, il cui telecomando ho io. È  solo un gioco piccola. Sono sicuro ti piacerà".
Mi guarda, ancora incazzata per l'orgasmo mancato, e al contempo irritata ma stuzzicata dall'idea del gioco".
Fascio scendere di nuovo il vestito coprendole la fessura e l'aiuto a sollevarsi.
La bacio di nuovo e le appoggio la mia erezione al bacino. Ha un brivido e sorride.
La guardo compiaciuto.
"Finisci di prepararti. Mi vesto e andiamo".
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ilmerlomaschio · 3 years
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Tatuata
"Allora hai deciso..."
"Sì".
"E se poi ti stancassi ? Volessi levarlo ? Non ti piacesse più..."
"Non credo...e in ogni modo, lo sai, non do peso al mio corpo, non mi guardo allo specchio..., non m'importa cosa ne penserò domani o fra vent'anni, ho solo bisogno di un segno..."
"Un segno...?"
"Devo segnare questo tempo...ricordarlo..."
"Ricordarlo ? Puoi farlo comunque...perché sulla pelle ?"
"Definitivo..., questa fuga non è con la testa nel sacco, so che sto fuggendo e da cosa..."
"Tu hai troppi uomini..."
"In questo periodo ? Sì...sempre... quando sono così..."
"Tu li usi..."
"E loro usano me...normale...".
"Non sei innamorata, è vero...?"
"Ho bisogno di sogni, lunghissimi, interminabili..."
.................
Ore 16.35. Sono in anticipo.
"Ciao..."
"Ho appuntamento alle 17.00..., posso aspettare ?"
"Accomodati, lui è di là...nel frattempo puoi guardare i cataloghi, hai già un'idea ?"
"No. Nessuna."
Il divanetto è molto piccolo, e davanti una tendina trasparente, nera su un vetro. Dietro intravedo un'ombra. E un rumore, quasi un ronzio. Forte, insistente. Che cosa succede di là ? Nessuno parla...solo il ronzio.
Sfoglio le pagine piene di simboli scuri, linee, curve, punte, e piccoli totem, simbologie di mondi passati, qualche animale, e piume, ali. Che fare ? Che tipo di segno sul mio povero polso ? Un sole ? Questo piccolo pesce ? Questa spirale appuntita ?
"Hai bisogno d'aiuto ?"
Lei è vestita di nero, come me. Al naso, sopracciglia, e labbro inferiore anelli e altri piccolissimi oggetti.
"Fra poco tocca a te... è quasi pronto..."
Arriva. E' qui vicino. Mi guarda. Lo guardo.
Alto. Magro abbastanza. Le maniche corte della maglietta blu, larga, scoprono ogni forma incisa, e incredibile, sulle sue braccia. E colori. Anelli ad ogni suo dito. E il viso. Rugoso, ma giovane, con occhi chiari e una bocca grande, non ben delineata. Senza barba.
"Ciao...che cosa posso fare per te...?"
Huuummm, che cosa puoi fare per me ?...devo dirtelo subito... o dopo?
"Credo che un occhio...forse...ma molto stilizzato...una forma semplice, pulita...non troppo grande..."
"Ok, vieni..."
Si muove piano e sparge in giro un po' del suo profumo di muschio. La sala degli orrori ora è davanti ai miei occhi. Arrivandoci senza sapere cos'è può essere scambiata per lo studio di un dentista. Ma la musica ovunque, e forte, i disegni alle pareti, le sue foto nudo con esibizione d'ogni piccola e grande opera d'arte, mi fanno sentire finalmente a casa.
"Siediti qui...vicino a me..."
Mi accomodo, un po' timorosa sulla poltroncina vicino al tavolo, dove lui sta disegnando il mio occhio. Con la matita su una velina trasparente.
"Così... ti piace ?"
"Sì.....va bene..."
Si alza. Più in là la poltrona da esecuzione, il patibolo, quasi un lettino, di pelle imbottita rossa. Mi allungo, e lui prende il mio polso. Non parla, e da un cassetto tira fuori un rasoio. In un attimo graffia via i pochi peli sul mio braccio fino alla mano. Io tremo, sono già spaventata.
"Posso... scappare... se...?"
"Scappare ? e dove...stai tranquilla... ci penso io... non sentirai male... non troppo...sopporterai...vedrai..."
La decalcomania ora è sul mio polso, bella disegnata, e blu.
"Ecco...questa è la giusta posizione... potranno vederlo bene, tutti..."
Comincio a sudare, la ghigliottina è lì davanti a me, e sta iniziando il suo ronzio terribile.
L'ago. Mio dio. L'ago.
Punge. Punge e colora la mia pelle. E lui preme, e striscia per seguire il tratto del suo disegno, il mio occhio.
Non voglio scappare. Sono immobile e senza respiro.
Il mio braccio sulla sua gamba, e lui curvato a tenerlo fermo. E incidere.
"Ti fa male...?"
La sua voce adesso è bassa, e lenta. Tutta la pelle del mio capo freme.
So che la mia spina dorsale sta iniziando a gioire. La sento.
Il piacere che sale dai miei fianchi sino alla nuca, e poi scende sino all'interno delle mie cosce.
Ancora immobile.
Ma con la mente sono già ad accarezzare la lampo dei suoi pantaloni, e tutta la meraviglia che gli sta sotto.
"Ti fa male...?"
Sì. Mi fa male. Tu sai che mi stai facendo male. E anche come.
Conosci il tipo di dolore che procuri alle tue vittime.
E sono certa che la tua erezione è già cominciata.
Non mi chiedi se voglio sospendere per un attimo. No. Non lo fai.
E io non vorrei. Non devi fermarti, ora. Non più.
Che bello. E' bellissimo. Non potevo immaginarlo, sai ? Proprio non ne avevo sospetto.
Il segno che lasci sulla mia pelle vergine, è il tuo segno.
Il passaggio di te, su di me.
Molto più di una prima penetrazione. Altro tipo di verginità persa.
Quella di un angolo della mia testa, che ti lascia entrare dentro di me, e modificare il mio corpo.
Perché ho sempre sfuggito ogni mostra di body art ?
Stupida. Molto stupida. Ora capisco il piacere infinito.
E ne sto vivendo solo una piccola goccia.
E il senso di potere. Gigantesco. Voglio coprire il mio corpo di segni. Non smettere mai.
Aaaahhh... il tuo ago...come spinge... e striscia....e colora...
Ancora. Non fermarti. Non smettere mai. Fammi bruciare, ancora.
E incidi. Segnami. E segnami ancora...
"Ancora... un po' di grigio...qui...è troppo vuota...questa forma..."
Sì...ancora. Grigio...azzurro...rosso...verde....Tutti i colori che vuoi. Riempi i miei pori. Senti che vuoti ? Senti che voglia di essere pieni... di te... e dei tuoi colori...?
Perché non mi tagli, ora ? Potresti...sai ? Non scapperei. No.
Qualsiasi lama nelle tue mani.
Oltre ogni pene, oltre ogni lingua e ogni mano.
Potresti farmi scoppiare, sai ? E sono già molto vicina. E la schiena mi trema.
E le gambe sono spalancate sai? Senti come sono bagnata ?
Allagata. Per te.
Potresti tirare fuori il tuo pene mentre continua il ronzio ?
Oppure allungare la tua terza mano, quella con le dita sensibili, e infilarmele tutte, una per una, e riempirmi ? Le sento già tutte dentro di me. Vuoi farmi venire ? Così ?
E allora anche la tua lingua. Ti prego. Non risparmiarti. Dammi tutto di te.
Lo prenderei, sai ? Il tuo tutto, e anche di più...
Ma...non hai ancora finito ? Allora anche tu non vuoi smettere. Ti piace.
Allora... sei sadico... è per questo che il tuo pantalone è così gonfio, qui proprio davanti a me ? E io sono masochista ? non so... Ma che piacere sottile... e inciso sulla mia pelle...
"Ti rifaccio questa riga... perché..."
Perché ? Hai capito quanto mi piace ? Grazie. Sei buono. Continua allora. Forse riesci a farmi venire. Mi piacerebbe sai ? Cosa direbbero quelli di là, che stanno aspettando, se ad un tratto oltre al ronzio del tuo ago, sentissero anche l'urlo ? Il mio urlo, quello più forte, e lungo. Quello che stai costruendo sulla pelle del mio povero polso. Lo vuoi ? Vuoi sentire il mio urlo ? E poi che faresti ? Lasceresti ogni cosa...? Smetteresti... per allargare le mie gambe ancora di più ? E affonderesti dentro di me ? Lo vorresti ? O forse è già troppo il piacere che senti nella tua mente mentre mi incidi... incidi il tuo segno su di me ?
"Ti piace ?"
"Sì...è bellissimo...sei stato bravo"
"Posso fotografarti ?"
Puoi fare quello che vuoi, lo sai.
Sei il mio cavaliere, ora... il cavaliere degli aghi.
E asciugami ora. Non posso uscire da qui, tutta bagnata.
"Torna, per ogni eventuale... io sono sempre qui...".
Sono troppo bagnata. Aspetta. Non mandarmi via, adesso, solo perché c'è qualcuno che deve entrare ora, e al mio posto.
"Ciao, ti aspetto allora..."
Esco. Ma piano. E i sogni sono ancora con me.
Sta piovendo una pioggia discreta, e non ho ombrelli da aprire.
Cosa faccio ? Vado subito in auto ? O forse è meglio camminare un po'. Sì magari sulla riva del mare. E' sempre bello in inverno, e con la pioggia tutto sembra più morbido.
La piccola ferita che brucia sotto la fasciatura... non stavo sognando, ora c'è un tatuaggio sul mio povero polso. Povero ? Superbo, come dice il mio amante migliore, "superba giornata amica mia".
E sono bagnata, è vero. E non solo di pioggia. Bagnata di me.
E ho voglia. La reprimo ? Perché...?
Ricordo una volta, da ragazzina...l'amore sulla spiaggia, sotto una barca capovolta. Era sera come ora. E le luci lontane da noi, passavano appena da sotto, giusto per farci vedere le nostre mani che si toccavano. E le risate. "Ci avrà visto qualcuno...? ...e se ci fosse qualcuno qui fuori...?" Nessuna paura allora. Ma adesso ? Mi infilerei sotto una barca capovolta per darmi piacere ? No. E non ci sono più le barche dei pescatori su questa spiaggia. Ora è un porto di lusso. Ma le panchine, quelle sì, ci sono.
Vado più in là, dopo l'ultimo lampione. Quella panchina isolata proprio vicino allo scoglio.
Eccola. Perfetta.
E la pioggia mi aiuta. Questa mano destra, così libera, che mi cerca. Se la lascio entrare sotto lo slip, potrà aiutarmi ? Sì. Penso di sì. Di solito è il mio letto il posto migliore, e meglio sotto il piumone d'inverno. Posso allargare le gambe nude e sentirmi tutta. Riconoscere ogni pelo, e bagnarmi le dita di miele. Ma ora arrivo subito e soltanto alla mia clito. E' qui, proprio qui sotto, e già mi fa male. La scopro, la apro, nel punto più impazzito di tutto il mio corpo. Da lì è impossibile tornare indietro. Quando arrivo su quella punta di piccolo cazzo infuocato, la testa mi scoppia.
E allora, sì. Mi lascio scoppiare.
E' stata una bella giornata.
E qui la pioggia è diversa dal solito. Calda, caldissima tra le mie cosce.
Dedicato ad Alex Tatu, tatuante in Sanremo.
FalcoSirene
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changminikyu · 3 years
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FIRST ACHIEVEMENT UNLOCKED!
(first month together, 14/02)
(https://soundcloud.com/nyukyu_1401/sets/nyukyu-first-month)
è ancora buffo pensare che io, il quattordici gennaio, ti abbia chiesto di essere il mio ragazzo senza minimamente pensare che il primo mesiversario sarebbe ricaduto nel giorno di san Valentino. quindi, amore mio, questa è una giornata speciale il doppio!
non sono molto bravo con le parole, anzi, non faccio altro che scrivere e cancellare le frasi ogni due secondi... forse è anche colpa delle live su twitch che tengo in sottofondo mentre cerco di dar vita a questa lettera d'amore digitale, ed è anche per questo che questo mese a dar voce alle mie emozioni saranno le quattordici canzoni che ti ho dedicato.
(1st track) all my emotions feel like explosions when you are around. choi, hai idea del casino nel mio stomaco ogni qualvolta che semplicemente mi parli? o quando mi dai un bacio sulla guancia, oppure quando la mia sveglia è impostata alle sette e mezza e per qualche minuto posso godere della vista del tuo volto dolce e sognante, delle tue labbra incurvate inconsciamente all'insù e del naso che ogni tanto ti viene da arricciare. tante piccole farfalle fastidiose si riuniscono per sbattere le loro ali contro il mio stomaco, mentre mille mammut si divertono a saltare su e giù come se ci fosse un trampolino nel mio corpo. ogni tanto, spero che questo mix d'emozioni sia lo stesso che provi tu con me.
(2nd track) and here it is, our final night alive and as the earth runs to the ground, oh boy it's you that I lie with as the atom bomb locks in, oh it's you I watch TV with as the world, as the world caves in. questa canzone mi ha sempre fatto pensare a te, assieme ad un'altra che abbiamo fatto un po' nostra.. ma arriverà qualche canzone più avanti. voglio passare la mia vita con te, girare il mondo con la tue dita intrecciate alle mie e baciarci in ogni angolo del mondo. voglio stare con te anche il giorno in cui il mondo cesserà di esist-... troppo deep, passiamo alla prossima.
(3rd track) boys will be bugs. onestamente? non credo di poterti dedicare una semplice riga di testo, non so nemmeno se dedicarti l'intera canzone. penso solo che sia nostra, e mi fa pensare a quella super serata su rave a tarda notte, ero un po' triste e stavo mettendo una canzone dopo l'altra... tu non hai fatto altro che supportarmi, mio soulmate (da quanto non usiamo questo termine?), e te ne sono infinitamente grato. grazie per la felicità che mi doni ogni giorno.
(4th track) I wanna be somebody to someone, someone to you. ...siamo d'accordo che questa sia la nostra canzone per eccellenza? quando sia tu che io non eravamo poi così coscienti dei nostri sentimenti, ci limitavamo ad un "soulmate" che adesso ancora ci appartiene, ma che abbiamo deciso di allargare da trentuno giorni, ormai. sei il mio somebody da più di un mese, forse lo sei dal quattro marzo del 2020-... giusto, ti ho risposto un giorno dopo <3 lo sei dal cinque marzo del 2020, e mi rendi dannatamente felice da trecentoquarantasei giorni... è quasi un anno, choi!! sono riuscito nel mio intento di essere someone to you?
(5th track) they.... fell in lawv! sei il mio piccolo dinosauro e sono tanto innamorato di te, ma promettimi che non faremo la fine dei due dinosaurs in love, non mi piacciono i big bang!! se devo morire, sarà un morso di uyu sulla faccia a farmi dire le ultime parole, ovvero "uyu ti amo comunque"... ops?! aspetta. "uyu, pan, ghana, chanhee, vi amo comunque" e poi x__x!!
(6th track) di questa, voglio dedicarti tutto il testo. forse è una canzone un po' triste, ma rappresenta alla perfezione i momenti in cui non mi rispondi per cinque minuti perché sei in bagno o sei impegnato, o quell'oretta in cui hai da fare e coccolo uyu tristemente finché non torni e mi dai un bacione dei tuoi. esagero un pochino? forse, ma starei ventiquattro ore su ventiquattro assieme a te, non mi stancherei nemmeno per un secondo.
(7th track) anche di questa, ti dedico l'intero testo. credo che tu abbia ormai capito qual è il genere di musica che mi piace, ovvero che vado matto per il sound *triste*. facci l'abitudine però!!
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merrowloghain · 4 years
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«Cioè.» vuole capire meglio, «Tu ti sei inventata una pomiciata solo per non dire che stavi parlando con un quadro?» ma sei scema?, l`inciso. «Merr.» la richiama all`ordine, «Forse non sei ancora così popolare.» come me, coff, «Ma ti fai notare.» lei l`ha notata, dopotutto, «Hai... il fuoco.» qualsiasi cosa questa voglia dire.
Sospira nel cogliere quell`inciso che la fa inclinare all`indietro, portando le braccia a sostenere il busto, mentre gli molla un ghignetto che sembra tutto un programma «Senti, mi sono presa una valanga di punizioni quest`anno, per cose che non ho nemmeno fatto. Non voleo rischiare di farmi punire ancora solo perchè volevo dare una mano...a ripensarci, quest`anno è stato davvero assurdo e duro.» scuote il capo, sbirciando in direzione del finestrino «Ho guadagnato qualche persona interessante, ma ne ho perse a valanga.» commenta asciutta, ma lei la richiama all`ordine con quella frase che le fa corrucciare la fronte perplessa «Si, in punta di bacchetta, per appiccarlo alle tende di Cadel.» ops, l`ha detto? L`ha detto. «Io non voglio farmi notare, davvero. Vorrei solo...» eh, come glielo spiega «Aiutare» cosa? Chi? «Cioè non che io possa farlo» autostima sottozero «però ci provo..tipo con i piccoli.» sbuffa dal naso «Che poi devo ancora capire perchè mi seguano.» i misteri di Hogwarts «Anche tu hai... il fuoco» commenta infine, in un risolino che dimostra un`accezione differente forse, rivolta verso la McLeod «Vorrei averti conosciuta prima.» come Ovid, come William, come ogni cosa bella nella sua vita, lei arriva sempre troppo tardi, o forse non arriva affatto. Disincrocia la gamba destra solo per mollarle il tacco dell`anfibio sulla coscia sinistra, in un tentare di spingerla via con delicatezza, ma in un disagiatissimo modo per poterle dire tutto: mi manchi, ti voglio bene, non te ne andare, vai al Gramo McLeod.
«Se le hai perse forse significa che non erano così importanti.» solleva appena le spalle, piegando il capo a lato fin quasi a fargli toccare la stessa spalla, «Altrimenti avresti lottato per tenertele vicine.» esattamente come ha fatto lei con la Ambjornsen e quel ricordo che le ha regalato durante il ballo della sera prima e che ha rimesso tutto in gioco. Ride sul fuoco alle tende, ma non investiga oltre, le cose da dormitorio lì devono rimanere e la mafiatassa su questo è piuttosto rigida. «Perchè non vuoi farti notare?» l`ippogrifo se ne stupisce decisamente. Gli occhietti che si sgranano lo rendono palese, «Che male c`è?». Ascolta il resto prima di uscirsene con un «Senti.» che schizza sincero, come tutto dalla bocca della McLeod, «Cosa te ne frega? Cioè, davvero. Sei fatta così, vai bene così. Perchè devi lottare per fare una cosa che...» si stoppa, sbuffa, «Ti piace prenderti cura dei più piccoli? Fallo. Ti mettono in punizione per quello? Continua a farlo. Hai la tua testa, usala, del resto non importa.» Eleanor arriccia le labbra. «Un giorno forse ti farò vedere il mio fuoco.» il Dono, anche se in quel modo suona un po` a doppio senso, e di certo non aiuta l`ammiccare della tassorosso, che scoppia poi a ridere, divertita. «Ehi, mi hai conosciuta. E` questo che conta.» e si becca quella stivalata nella gamba. Eleanor schiude le labbra come se fosse colpita/inorridita dal gesto, ma poi sfrutta il movimento e i muscoli del dorso e delle rene per spingersi in avanti e allargare le braccia per stringere la Loghain in un abbraccio – se l`altra permette – lungo e particolarmente forte. «Ti voglio bene, Merr.» nessun problema ad ammetterlo, anche se poi si scioglie e la spinge con un «Ora vai, altrimenti mi commuovo facile.» anche se poi è un sorriso affettuoso che le regala, in quell`ultimo viaggio di ritorno da quella che è stata casa per ben sette, lunghi, intensi anni.
«Forse si.» non "forse" ma più "sicuramente" visto il carattere della Grifondoro, sempre così protettiva e combattiva verso le poche cose o persone che si meritano la sua attenzione. Alle sue domande però si ritrova a corrucciare il capo, lasciandola continuare nella sua arringa anche solo per poterla rimirare così, con quelle ultime perle che le regala, quando ancora sono entrambe studentesse sullo stesso treno che le allontana da Hogwarts. Si gode il panorama della McLeod che le ammicca, limitandosi ad annuire ed a spiegare semplicemente «Se ti notano sei un bersaglio assicurato.» ecco perchè «E finchè colpiscono me, chissene... ma in guerra ci sono sempre vittime collaterali.» ecco perchè vuole nascondersi, magari sotto un masso o dietro un arazzo: per proteggere chi ama dalla melma che le capita addosso. «Non vedo l`ora» replica quindi riguardo al mostrarle il suo fuoco, facendo appena in tempo prima di vedere l`altra spingersi in sua direzione ed agguantarla in un abbraccio che non solo non si aspettava, ma che la trova rigidissima in un primo momento, prima di sgretolare quel gelo che l`avvolge mano a mano che resta tra le braccia di Eleanor. E` inevitabile: le mani salgono ad aggrapparsi alle sue spalle, passando da dietro sulla schiena, per poter stringersela addosso in una stretta adamantina che non vorrebbe più sciogliersi, mentre gli occhi grandi le cominciano a pizzicare agli angoli. Alla sua dichiarazione d`affetto così schietta, però, le sfugge un piccolissimo vocalizzo d`accuso, mentre le palpebre calano e si strizzano per evitare che il peggio accada «Seh.» commenta il suo ultimo dire, sciogliendo a malincuore quell`abbraccio ma cercando con le labbra di raggiungere la sua guancia sinistra per posarle un piccolo bacio a stampo che sa tanto di tenerezza e di reale affetto «Ti voglio bene anche io, Ele.» ma non la guarda più, perchè sta già correndo ai ripari nel non mostrarle quelle lacrime che già minacciano di rompere le dighe delle sue iridi grigie. Si rimette in piedi e fa per uscire, fermandosi sulla soglia solo per voltarsi con mezzo volto e borbottare «Ci vediamo tra non troppo.» e si, sembra una promessa, mentre s`allontana lungo il corridoio, con passi pesanti e lenti.
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paoloxl · 4 years
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di Cesare Battisti da Carmilla
Così come lo Stato italiano, affiancato da media servizievoli – niente da obiettare – si è autorizzato tutti i mezzi disponibili, senza curarsi di cadere nell’illegalità, per riportarmi in Italia, io mi sono valso del diritto che la legge mi consentiva per evitarlo. Ma non era mia intenzione rifugiarmi qui dietro una supposta condotta legale da un lato e supposti abusi di potere dall’altro. Sappiamo che quando entra in campo la “ragione di Stato” diritto ed etica vanno in panchina. O vogliamo essere tanto ipocriti da negarlo? I moralisti d’occasione però non demordono, il linciaggio è il loro pane quotidiano. Dotati di una creatività di gusto discutibile, essi trovano sempre mille ragioni per improvvisarsi giudici e preti, assolvere o condannare anche quando nessuno glielo chiede, oppure quando non rimane più niente da dire: lo Stato mi ha scaricato a Oristano, ho ammesso le mie responsabilità, ho espresso la mia compassione per tutte le vittime senza distinzione.
A questo punto io dovrei chiudere questa lettera. Si dà però il caso che finora a parlare siano sempre stati gli stessi, quelli chiamati ad assolvere gli uni e a condannare sempre gli altri. Succede allora che non sono poche le persone che oggi mi chiedono un parere su questo o quell’avvenimento consumatosi in Brasile. Sono soprattutto tre gli episodi che mi è stato chiesto di chiarire. Vorrei qui trattare solo due di questi. Il terzo e ultimo merita un capitolo a parte in seguito, se sarà ancora il caso. Tengo a precisare che tutte le informazioni qui riportate sono documentabili nei rispettivi luoghi di competenza. So che non posso dilungarmi, questione di spazio ma anche di opportunità. Devo comunque premettere alcune informazioni basilari sul mio stato civile in Brasile, altrimenti certi avvenimenti perderebbero senso.
Dopo il decreto di non estradizione firmato dall’ex presidente Lula e la successiva conferma del Tribunale Supremo Federale nel 2011, ottenni un documento di residenza permanente in Brasile. Escluso quello di votare, questo documento mi conferiva tutti i diritti di un cittadino qualsiasi. Durante tutto il periodo brasiliano, oltre alla normale attività di scrittore, ho svolto diverse altre attività lavorative, tutte debitamente registrate, avendo così accesso come contribuente ai servizi prestati dallo Stato. Ho pubblicato alcuni romanzi, fatto traduzioni, militato in differenti situazioni politiche e socio-culturali, senza mai sconfinare nell’illegalità. Nel corso delle mie attività mi è capitato di visitare alcuni paesi confinanti col Brasile, come Uruguay, Argentina, Bolivia. Il documento rilasciatomi dall’autorità brasiliana mi consentiva di passare queste frontiere. Per finire, nel 2013 è nato mio figlio e nel 2015 mi sono sposato con la donna con cui convivevo dal 2004.
Detto ciò, vorrei passare a spiegare per grandi linee, così mi è stato chiesto, come sono avvenuti i miei due arresti in Brasile: quello del 2015 a Embù das Artes, Sȃo Paulo, e l’ultimo nel 2018 alla frontiera con la Bolivia.
I tentativi dello Stato italiano di strapparmi dal Brasile a ogni costo sono stati ininterrotti, e più efferati a ogni scacco inflitto dalla legge brasiliana. Era da tempo che apparati italiani in Brasile studiavano la possibilità, tra altre innominabili, di farmi ritirare la residenza e quindi ottenere l’espulsione. A questo proposito fu attivato un procuratore, noto magistrato di estrema destra, legato all’ambasciata italiana, tramite la lobby militarista che porterà Bolsonaro al potere.
Costui, dopo alcuni tentativi abortiti sul nascere, tanto flagrante era la sua interpretazione delle leggi nazionali, finì con l’associarsi a una giudice federale del foro di Brasilia, anch’essa nella sfera d’influenza militare e quindi dell’ambasciata italiana. Si istruì in segreto un processo dove, in barba a tutte le norme giuridiche previste, non furono mai convocate le parti.
Nel 2015 la sentenza della giudice federale Adverci Lates Mendes de Abreu, in una udienza da sottosuolo, mi revoca la residenza ordinando l’espulsione dal paese. Con l’intenzione di battere sul tempo gli avvocati difensori e le istanze superiori la giudice non fa pubblicare la sentenza, però ordina l’arresto e l’espulsione immediata. Il piano dell’ambasciata italiana con la lobby Bolsonaro sembrava ormai andato in porto.
Un giorno del mese di marzo l’Interpol si presentò a casa mia. Con l’aria di scusarsi, gli agenti mi invitarono a seguirli, rimproverandomi la leggerezza di non avere contattato in tempo il mio avvocato. Sembravano sinceramente preoccupati per quello che stava succedendo. In quel momento io non sapevo ancora che c’era un aereo pronto a imbarcarmi all’aeroporto internazionale di Sȃo Paulo. Non so ancora chi abbia avvertito l’avvocato. So solo che qualche ora dopo uscii libero dalla questura. L’avvocato fece in tempo a far valere l’art. 63 dello Statuto: “Non si procederà a espulsione se questa metta in questione un’estradizione non ammessa dalla legge brasiliana”.
Il 14 settembre 2015 la sesta sezione del Tribunale Regionale della Prima Regione (Sȃo Paulo) dichiarò illegittimo il mio arresto temporaneo avvenuto nel marzo 2015 in seguito alla sentenza di questa giudice. L’Italia reagì con la solita isteria (“Non avremo pace”, si urlò), come se imporre la propria volontà a un altro paese usando vie traverse fosse legittimo.
Lo Stato italiano mantenne viva la sua promessa. Avvalendosi di ogni mezzo disponibile, con l’obiettivo di farmi terra bruciata intorno e annientarmi psicologicamente, nei tre anni successivi trasformò in un inferno la mia vita quotidiana e quella della mia famiglia. Nessuno dei vicini di casa, l’ambiente di lavoro e le istanze del movimento politico e culturale da me frequentato, è stato risparmiato dalle pressioni, dalle calunnie provocatorie e dall’assedio ininterrotto di media aggressivi.
Nonostante la manovra di soffocamento, la solidarietà nei miei confronti si saldò, permettendomi di non rinunciare ai miei impegni familiari, professionali o di attività politica in seno ad alcuni movimenti sindacali e sociali, come l’MST (movimento di senza terra) e l’MTST (movimento di lavoratori senza tetto). Sono queste le istanze militanti che, negli anni precedenti, mi avevano consentito di allargare i contatti politico-culturali oltre frontiera. Fu il caso con alcuni membri del governo di Evo Morales e movimenti di lotta boliviani.
Fu credo alla metà del 2018, quando approfittai del viaggio di due membri del sindacato della USP (Università di Sȃo Paulo), di cui uno era il legale, per recarmi in Bolivia. Era mia intenzione rinnovare alcuni contatti politici e culturali (lavoravo all’epoca a un progetto editoriale), ma anche per accertarmi della futura disponibilità di asilo in quel paese, in vista della scalata al potere di Bolsonaro.
Partimmo da Sȃo Paulo. Ognuno di noi aveva con sé una modesta somma di denaro per coprire le spese di trasferta, e con il resto comprare nella zona franca qualche articolo d’informatica a prezzo ridotto. Giunti a circa 200 km dalla frontiera, fummo fermati a un posto di blocco. Si capiva subito che ci stavano aspettando. Dopo il controllo dei documenti, ci sottoposero a una perquisizione così accanita che durò ben due ore. Non si rassegnavano all’idea, era troppo evidente, che non fossimo in possesso di falsi documenti d’identità: erano stati dislocati apposta per eseguire un arresto con questa accusa.
Quando furono costretti a rilasciarci e ci restituirono documenti e valori, ci accorgemmo che i nostri soldi erano stati mischiati in un’unica mazzetta. Non ci facemmo troppo caso, al riprendere il cammino li separammo, a ognuno il proprio. Contammo allora, tra dollari, euro e moneta nazionale un totale di 22.000 reais (l’equivalente di circa 5.500 euro, mentre il limite di esportazione di valuta per persona, ignorato da tutti, sarebbe di 10.000 reais).
Al passo di Corumbà, Mato Grosso do Sul, ci attendeva un’altra sorpresa: il posto di frontiera, normalmente in disuso dopo la creazione del Mercosur, pullulava di polizia. Immaginammo subito che si fossero scomodati solo per noi, ma non avendo niente da recriminarci, tirammo dritto. Questa volta neanche finsero di controllare i bagagli o i documenti, erano interessati solo ai soldi. Al vedere che questi erano stati di nuovo separati si innervosirono. Cominciarono le intimidazioni, le minacce, poi mescolarono tutti i soldi su un tavolino e chiamarono un fotografo che gironzolava lì attorno, al quale dissero che la valuta era stata rinvenuta negli effetti personali di Battisti.
A nulla valsero le nostre rimostranze, ci consegnarono tutti e tre a una squadra del DIP (Dipartimento di Intelligence di Polizia) fresca arrivata da Brasilia. Fummo trasferiti in questura, dove cominciarono a tartassare i miei amici, affinché mi accusassero di qualcosa. Precedentemente – abbiamo saputo dopo – l’ambasciata italiana aveva avviato la parte finale del piano. Ossia, attivato il giudice Odillon, reuccio dittatore del foro di quello Stato, terrore degli avvocati, nemico giurato dei “signori dei diritti umani”. Questo personaggio doveva essere l’asso nella manica dell’ambasciata italiana: famigerato giustiziere, figura scomoda anche per la giustizia federale, sarebbe andato in pensione proprio il giorno seguente al nostro arresto.
In cambio di un’uscita gloriosa dalla carriera di magistrato e l’appoggio alla candidatura a governatore, il giudice Odillon si incaricò di mettermi ai ferri, costruire una falsa accusa di traffico di valuta (sic!), aggravata da nientedimeno che “lavaggio di denaro” – 22.000 reais in tre.
Una volta di più, lo strafare dei soliti furbi non ha pagato. L’accusa fu tanto inverosimile che un giudice d’istanza superiore (di origine italiana e, a suo dire, dispiaciuto di farlo) ha dovuto ordinare l’immediato rilascio del sottoscritto, con una lavata di testa allo sfortunato giudice Odillon, che poi perderà anche le elezioni. Per l’ennesima volta, il solito aereo di Stato, sempre a disposizione di Cesare Battisti, dovette tornare in Italia senza il “mostro”.
Per il prossimo capitolo posso anticipare questo aneddoto. Disse all’epoca dei fatti un ministro brasiliano di Giustizia, e grande amico di Bolsonaro: “Sono stati ingenui ad agire a quel modo. Io lo avrei lasciato passare in Bolivia, lì sarebbe stato presa facile”. Lo stesso ministro che ha impedito a Lula di presentarsi alle presidenziali, mantenendolo in prigione, firmò il 18 dicembre di quell’anno (casualmente il giorno del mio compleanno) l’autorizzazione per la mia estradizione.
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dilebe06 · 4 years
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Ever Night ( dal 52° episodio al finale)
Chi va piano…va sano e va lontano.
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Finalmente entriamo nel girone finale. 
Quello che ci porta direttamente allo scontro/duello con il boss di fine saga. 
Avevo lasciato Ning Que e Sang Sang in procinto di sposarsi Xiling mi sia testimone tuttavia il ruolo di Sacerdotessa della Luce che Sang Sang deve andare a ricoprire, è troppo importante perchè lei ci rinunci. 
Ning Que prova a convincerla in tutti modi facendole notare che potrebbe essere un bene per lei avere degli obbiettivi..dei sogni..dei desideri. 
Sang Sang di contro, ribadisce che il suo unico scopo di vita è Ning Que e che quindi di andare a Xiling a fare da sacerdotessa della Luce non ne ha intenzione. 
Alla fine i due promessi sposi e gli emissari di Xiling giungono ad un accordo: tra tre anni Sang Sang andrà a Xiling per imparare a divenire la prossima sacerdotessa della Luce.
Ottima evoluzione nella relazione con Sang Sang per Ning Que. 
Si nota decisamente un cambiamento della sua percezione verso la ragazza, non vista più solo come cameriera/serva/badante ma come una formatrice a cui il protagonista prova ad allargare gli orizzonti:
La scena dove tenta di convincere Sang Sang ad andare a Xiling parlando dei sogni o obbiettivi delle persone è emblematica di questo cambiamento...e ciò non può che farmi piacere. 
Discorso diverso invece per Sang Sang: purtroppo - nonostante io adori questo personaggio - digerisco poco il suo attaccamento morboso verso il protagonista. Rinunciare a farsi esperienze..conoscere posti e persone diverse...imparare cose diverse...perchè altrimenti “chi laverà i vestiti al protagonista? chi gli preparerà da mangiare? chi lo pettinerà?”
Non c’è niente di male se Sang Sang stessa vuole questo nella vita...credo solamente che sia un peccato viste le enormi potenzialità della ragazza. Sopratutto quando è la serie stessa - per bocca del suo protagonista - a tirare in ballo questo tema.
 Purtroppo, per me, la mancanza di ambizione della protagonista la tiene troppo in ombra rispetto a Ning Que.
A Xiling intanto la Maniaca dei Libri novella scriba, viene molestata dal Capitano delle Guardie e dopo un duro scontro,scappa e abbandona Xiling.
Poichè sotto tutto quell’atteggiamento freddo e scostante in realtà si cela una tenerissima innamorata ( pure lei ... e con lei siamo a 5) la ragazza si auto- invita a casa di Ning Que e Sang Sang gli sfonda proprio il portone di casa.
La suddetta casa inoltre non è più quella di prima: i due protagonisti hanno fatto un investimento e si sono comprati... UN LAGO. 
Non una casa sul Lago..ma il lago (leggi pozza d’acqua ) e tutti i terreni intorno. 
Lo hanno fatto perchè a Sang Sang piace nuotare? 
No. 
Perchè Ning Que vuole darsi alla pesca del luccio?
Neanche.
In realtà è tutto un subdolo piano di Ning Que.
La maniaca del daoismo è una dei miei personaggi preferiti. Tuttavia mi domando se era necessario farla innamorare pure lei di Ning Que. 
Poichè ce ne sono altre 4 che svengono dietro al protagonista, il suo innamoramento mi risulta ripetitivo e quasi comico. Certo comprendo che si possa vedere come un motivo per creare una sua evoluzione distaccandola dai principi assoluti di Xiling. 
Ho anche adorato tutta la questione del lago. 
Ovviamente è Sang Sang - Dio della Luce/ Dio degli Inferi/ DIO DELLE FINANZE - che trova un modo per avere la location che il suo amato desidera. 
L’ambientazione non è scelta a caso: tutto è per lo scopo finale... la vendetta contro il generale. 
Carinissimi tutti i maestri dell’Accademia che - sapendo dei desideri di Ning Que - aiutano il protagonista a creare la trappola perfetta per Xia Hou. 
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Ed è proprio lui che dopo aver preso metà della Pillola Celeste canalizzante fake ed aver raggiunto l’apice del potere...va incontro al protagonista. 
Fedele alla parola data a Primo - lasciare l’esercito - il fratello dell’Imperatrice prima si reca a Xiling per ringraziare della pillola ed avvertire delle controindicazioni e successivamente torna nella Capitale per salutare il Re e sua sorella. 
Xia Hou si rende conto che stiamo al finale: L’Imperatore vuole sapere delle vicende di 15 anni fa... Ning Que gli da la caccia e l’Accademia è dalla parte dei suoi nemici. 
è quindi giunta l’ora di chiudere i conti. 
I due avversari si ritrovano nella Capitale e durante una cena Il generale mostra la propria superiorità verso Ning Que, accettando la sua sfida con estrema sicurezza.
Credo che il Generale sia uno dei personaggi fatti meglio dell’intera serie. Nonostante sia stato l’esecutore materiale degli eventi di 15 anni prima, non mostra rimorso. 
Perchè l’ha fatto per sua sorella..perchè gli era stato ordinato ed è un soldato. 
Le scene e l’affetto che nutrono i due fratelli della setta demoniaca sono sinceri e potenti. 
Anche la superiorità che sprizza verso Ning Que rientra perfettamente nel suo personaggio: il suo sfidante è solo una formica che Xia Hou vuole schiacciare come 15 anni fa schiacciò gli abitanti della Residenza Lin.
Durante il saluto all’Imperatore, il Generale viene pressato perchè confessi il crimine di anni prima, ma lui rifiuta.
 Ed anzi contrattacca. 
Quando poi esce dal palazzo Ning Que e Sang Sang gli vanno incontro per portargli la sfida ufficiale e per svelare finalmente la verità: Il protagonista non è il figlio del generale Lin ma solo il figlio dei servitori di questa famiglia. 
Questa svolta tuttavia non cambia le cose e nonostante molti si oppongano a questo duello..esso si farà. 
L’imperatore - povera anima - ci prova il tutti i modi a fermare questo duello. 
Se vincesse il Generale infatti, l’Accademia non la prenderebbe bene. Ma se vincesse Ning Que, l’Imperatrice perderebbe suo fratello. 
Tra l’altro non ricordo assolutamente come faccia l’Imperatore a sapere di questa storia. Chi ha parlato? Quando? Dove? 
Molto bello il discorso di Ning Que sulla sua origine e sul fatto che anche se figlio di nessuno, anche lui ha il diritto di cercare giustizia per tutto quello che gli è successo. 
Discorso condivisibile. 
Ed eccoci al Main Event: Xia Hou VS Ning Que - 15 anni dopo -.
La location è scelta dal 13° maestro e non a caso: il lago ghiacciato è ottimo contro il generale, che ha problemi con l’acqua.
 Inoltre presenta una Formazione fatta da Settima che dovrebbe aiutare il protagonista. 
Lo scontro inizia e vede Ning Que sparare tutto quello che ha contro il suo avversario..ma senza successo: frecce, spada..ad una certa lo fa pure esplodere. Ma nulla. 
Tanto che alla fine è Ning Que a cadere in acqua. - destino beffardissimo -
Con la momentanea pausa Sang Sang interviene nel combattimento solo per prenderle e questo Ning Que non lo può accettare. 
Salta fuori dall’acqua e grazie ai poteri di Sang Sang..spezza a metà la lancia del Generale. 
Quest’ultimo capito la mal parata ingoia l’altra metà della pillola...suicidandosi. 
Prima di evaporare in coriandoli fa i complimenti al suo avversario e si fa promettere che proteggerà l’Imperatrice. 
Un bellissimo duello. 
Speravo che durasse abbastanza e che mi desse emozioni..e cosi è stato. 
La superiorità del Generale è stata resa in modo ottimo, così come ottima è stata la capacità del duello di mostrare un Ning Que versatile: talismani, spade, coltivazione demoniaca, la formazione... dove il generale svettava per potenza, Ning Que lo sorpassava per varietà.
Ho anche riso un sacco quando a cadere in acqua è stato Ning Que. 
Carinissima Sang Sang e il suo eterno amore per il suo amato... pronta a scendere il battaglia e a coprirlo con il suo corpo per non farlo ferire. 
L’unica pecca è stato per me la questione dei poteri di Sang Sang: pensavo che questa occasione potesse essere buona per mostrare la sua potenza reale, ma nulla. 
Ed infine il Generale: morto a causa di Xiling. 
Ma coerente fino alla fine con le sue idee ed azioni. Commovente il suo ultimo pensiero verso la sorella. 
Ed infine c’è il Monastero dell’Obbedienza e della Conoscenza dove troviamo il Figlio della Luce modello Cenerentola dei poveri, che tenta di ritrovare i poteri perduti. 
Durante la sua permanenza nel Monastero conosce un tipo senza gambe rinchiuso li da non si sa quanto, e potentissimo. MA QUESTO CHI èèèè!!!
La loro relazione inizialmente non va benissimo, ma quando il pazzo scopre che il principe dello Yan vuole vendetta contro Ning Que e l’Accademia, è disposto a cedere metà dei suoi poteri al ragazzo. 
Solo che il Figlio della Luce è avido e se lo prende tutto il potere (LOL) lasciando il vecchio morto stecchito. 
Dopodichè - non gli ha passato solo i poteri ma pure la pazzia - irrompe nel monastero, ruba un rotolo celeste e si pappa la Pillola Celeste Canalizzante. 
E poi se ne va. BOSS!
La sua storyline per questa stagione si conclude una sua scena dove vive in una grotta facendo propositi di vendetta verso Ning Que, attorniato da corvi e vestito di nero. 
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Figlio della Luce.... vera Luce di questa serie. 
Il suo arco narrativo è stato il più bello e quello più inaspettato. 
La serie mi fa quasi tenerezza nel mettermi le scene di Long Qing cattivo come per farmi intendere che il Figlio degli Inferi potrebbe essere lui. 
NON MI AVRETE MAI!!! 
In questi ultimi episodi ho sentito tanto la sua frustrazione nel tornare ad essere potente. E quello che ha fatto..il buco nero nel quale è caduto, è una svolta che ho amato. 
Infine...il fratello della Maniaca del Daoismo. 
Anche lui come il Capo del Monastero ciccia fuori a 6 episodi dal finale..per motivi ignoti. 
Tecnicamente è in giro per uccidere Ning Que pure lui...ormai a Ning Que o lo amano o lo vogliono morto. Non c’è una via di mezzo  mandato da Xiling ma in realtà gironzola per la Capitale, se la prende con la sorella e sfida Primo in un duello terrificante ed inutile.
C’è di buono che grazie a lui viene fuori la storia di Pipi: il ragazzo è figlio del capo del Monastero e la Maniaca del daoismo poichè spaventata dal fatto che Pipi potesse prendere il posto di futuro capo del monastero al posto di suo fratello, lo minaccia velatamente. 
Pipi dunque scappa e non si volta indietro. 
CIAOOOOO POVERYYYYY!!!!!!!!
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Quando ho visto il Capo del Monastero ho internamente festeggiato: infatti dei 19 personaggi della sigla questo era l’unico che ancora mancava all’appello.
Il fatto che sia sbucato fuori a serie finita è una cosa che non mi spiegherò mai. Idem il fratello della maniaca del daoismo che per carità..simpatico quanto ti pare ma fin qui totalmente inutile. 
Tuttavia la storia di Pipi mi è piaciuta tantissimo. In un vecchio audio con @veronica-nardi​ si discuteva del coraggio di Pipi. 
E si... potrebbe sembrare che la sua fuga dal monastero sia un atto di viltà...ma in realtà è una scelta coraggiosa. 
Persino dopo anni da quella scelta, Pipi dice che la rifarebbe perchè fuori dal Monastero è felice e soddisfatto. 
Bravo Pipi. 
CONCLUSIONE: 
Ever Night è il drama strutturalmente più strano che io abbia mai visto. 
Oltre a procedere a passo di lumaca - senza essere MAI noioso - presenta uno schema che mi ricorda tanto Game of Thrones con i suoi mille personaggi e le svariate locations. 
Ma a differenza di GoT credo che gli manchi la differenziazione di storyline: mentre Dany conquistava Essos, Jon Snow aveva a che fare con gli Estranei. Allo stesso tempo Dorne faceva piani e agiva contro i Lannister mentre i Frey inventavano nuovi modi per festeggiare le nozze. 
In Ever Night nonostante i tantissimi personaggi si hanno troppe poche storyline per 60 episodi. 
E poche di queste sono coinvolgenti. 
Inoltre sono tutte legate al protagonista. 
Questo significa che Secondo in 60 episodi ...non si è mosso dall’Accademia. Non ha fatto nulla.  Fu Zi ha passato metà stagione in giro a mangiare e l’altra metà a commentare quello che accadeva al protagonista. L’Imperatore ad esempio viene mostrato in scena solo quando c’è qualcosa che ha a che fare con Ning Que. 
Questo fatto coincide inoltre con la mia mancanza di amore verso i personaggi: mi sono piaciuti tutti...ma non mi sono innamorata di nessuno. Il troppo poco tempo dedicato e la mancanza di introspezione di molti di loro mi ha fatto calare la patina dell’anaffettività. 
Un altro punto da tenere in considerazione è l’amore spassionato che questa serie ha per i dettagli.
 E il fatto di essere riuscita a raccontare una storia con così tanti personaggi e un mondo così strutturato...al 70% con i particolari.
Se dovessi scrivere la trama complessiva di Ever Night basandomi solo gli eventi mi basterebbero 10 righe. Se ci aggiungessi i dettagli...ci passerei la settimana. 
Altra cosa molto strana è la relazione tra i due protagonisti: questo doppio livello affetto/servitù è stata una piacevole pippa mentale, innovativa e spesso foriera di imprecazioni. 
Ma interessante. Sopratutto alla luce degli eventi futuri. 
Ottimo il personaggio di Ning Que come una piacevole novità rispetto ai soliti protagonisti belli affascinanti, geni, intelligenti, capaci ecc ecc... 
Il tredicesimo maestro infatti rimane in basso nella classifica dei personaggi forti. Non è il più saggio o il più potente o ancora il più sveglio tra tutti gli altri...ma compensa con una mente variegata che gli permette di essere quasi multitasking.
Mi è anche piaciuta la sua evoluzione nel rapporto con Sang Sang dove il suo cambiamento nei suoi riguardi è molto tangibile.
Si vede inoltre l’enorme impegno della produzione nei dialoghi,  nelle ambientazioni, scenografie, costumi. 
La pecca più grande è per me il personaggio di Sang Sang poichè anche se caratterialmente adorabile, manca di ambizione. E questo la colloca in una posizione in ombra rispetto al protagonista. 
Avevo sperato durante la visione che Sang Sang ottenesse un’identità distaccata dal protagonista trovando altri obbiettivi di vita che non fossero “vivo solo per Ning Que”. 
E questa possibilità è accaduta per ben due volte ma per entrambe la ragazza ha rifiutato, preferendo rimanere a servire il suo padrone. 
Su questo personaggio tuttavia mi riservo la possibilità di cambiare giudizio in vista della seconda stagione: vorrei infatti capire se Sang Sang è scritta in tal maniera per questioni di trama o poichè la novel - da cui è tratta la serie - la caratterizza in tal modo e stop. 
Un’ultima cosa sulla seconda stagione in arrivo collegata al cambio di cast: da una parte mi mancherà l’attore di Ning Que con tutte le sue faccine, il suo modo scansonatorio di approcciarsi agli altri e le sue scene di combattimento (fighissime tra l’altro). 
Dall’altra  - internamente -  grido al meno male... l’attore di Ning Que nelle scene più intense non mi ha convinto. 
Dove c’era da mostrare disperazione, rabbia o sconvolgimento ritengo che abbia avuto pochissima espressività. 
Detto questo Ever Night è una serie che ho visto con piacere. 
Mi ha intrattenuto, fatto sorridere e pienato di pippe mentali. 
è riuscita a rendermi reali Xiling, la Capitale o i rappresentanti della Setta demone, costruendo bene un mondo molto complesso. 
Voto: 7+
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figmento · 7 years
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«Sai sarebbe bello , vivere in una grande città.» disse lei seduta al suo affianco «una grande città? Per fare cosa? Secondo me sarebbe peggio , in una grande città , ci sarebbe solo più merda da pulire » disse lui senza spostare gli occhi dalla strada lei invece guardava le luci al neon che slittavano sui vetri del finestrino mentre sfrecciavano sui viali e quelle luci sembravano lampi , schegge illuminescenti dai più svariati colori. «bho , si. Forse hai ragione» «ma questa città, mi sta troppo stretta, mi è sempre stata stretta . Riesco a percorrerla in cosi poco tempo... a volte penso di stare in un dipinto, nulla di tutto ciò mi sembra reale » «e credi che il problema sia un fatto di metri? Ti stupiresti a sapere che lo stesso problema di spazio c'è l'ha anche chi vive in una grande città » lei esitò prima di proferire una risposta , le mancavano le parole , cosi egli continuo il suo dire « È la solita storia, non importa lo sfondo , qualunque sia , si è obbligatoriamente ingrati con il posto in cui si sta . Nessuno è mai felice lì dove si trova , il buono è sempre da un'altra parte , lontano , chissà dove. » «Dubito che si trovi qui , insomma guardati attorno , non c'è niente. La gente qui è matta . Vittima di una insana follia. Li ho visti tutti , gli ho sentiti parlare in coro. Aspirazioni certe , sogni futili , passioni spente. È questo ciò che vedo , null'altro . » disse lei , alzando il tono della voce come irritata. «le persone, ma certo. Ovunque tu andrai e qualunque terra tu calpesterai , scoprirai forti analogie con questi tuoi paesani che tanto odi , siamo figli dello stesso stampo . » «eppure ,ma forse non ti va di credermi . Basta soltanto una luce diversa e l'angolazione giusta per cambiare tutto. Devi fare un esercizio , devi allargare lo sguardo. » « nessuna luce e nemmeno il buio potrà farmi guardare diversamente, questo posto . » « l'odio che tu provi , ti rende cieca . Non ti permette di vedere.» «ma dimmi , c'e un posto che più di tutti, vorresti incontrare?» « si , che c'è. Se potessi adesso , vorrei stare su un tetto e vedere da l'alto New York, come nei film americani .» egli , ascoltando quelle parole e vedendo quello sguardo cosi triste e al tempo stesso, cosi sognante . Cambiò strada e si diresse su una via che portava ad un vecchio palazzo abbandonato. «Dove stiamo andando?» chiese lei « siamo arrivati , su scendi » « ti prego voglio andare a casa , cos'è questo posto?» « ah si , davvero vuoi tornare a casa?» lei anche se contraria, scese e lo seguì. Arrivati fin sulle scale della vecchia struttura , giunsero sul tetto. « senti , io ... non volevo di certo ...» « sta zitta » disse lui «so cosa vuoi dire , ma ti prego ascoltami.» la portò sul perimetro del tetto e le fece segno di sedersi e lei lo fece . Poi disse « cosa vedi ?» « cosa vuoi che vede , case , palazzi , uno che porta a pisciare il cane. » « io invece sai cosa vedo ? Io vedo New York. Sai fa ridere, ma anche io vedo , case , palazzi e gente che porta fuori il cane . Sei sicura che non vedi anche tu New York?» lei lo guardò e si guardò intorno , c'era una luce nei suoi occhi, come sé all'improvviso da una lunga spedizione in mare avesse visto finalmente la terra. Si guardarono entrambi negli occhi, persi all'unisono. Lei si guardò attorno di nuovo , scorse ogni singola cosa con i suoi occhi, incantata da quel nulla . Poi senza volerlo , ritorno sul suo sguardo . Egli la guardò a sua volta, senza distrarsi un sol secondo . E la bacio . Quando le loro labbra , furono divise . Lei disse «si , anch'io vedo New York.»
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elisabetta-oca-blog · 7 years
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Elisabetta Oca
Ciao a tutti! Mi chiamo Elisabetta e ho 21 anni vivo a Bologna. Sono una ragazza abbastanza timida, il mio carattere è molto dolce e simpatico. Amo ballare e cantare. A me piace lo Spagnolo. Ho pochi amici e amiche, con loro mi trovo bene e non ho mai litigato c'è un legame molto sincero tra di noi. Ho un'amico con cui dico tutto ed è Leonardo il mio grande amico e la nostra amicizia è vera, siamo grandi amici e non voglio perdere la sua amicizia la nostra è molto importante di più di quelle che ho avuto in passato. Ti voglio troppo bene per me è come un fratello e ed vero. Se mi chiedessero se io e il mio migliore amico c'è qualcosa di più? Io risonderei di no, perché rovinare un'amicizia speciale con essere fidanzati. Preferisco un'amicizia sincera senza fidanzarsi perché quello che conta è amicizia e di non mescolare amicizia e fidanzati. Per me è solo un migliore amico. L'ho conosco da 3 anni è molto simpatico e mi fa ridere quando sono triste e ho imparato che se sono triste c'è qualcuno che ti fa sorridere. Per me come potete vedere l'amicizia è molto importante. Ho un ricordo di una mia ex amica che si chiama Beatrice, ma mi manca tanto pul troppo non siamo più amiche per vari problemi. Non ho mai abbandonato nessuno ma molte persone l'ho hanno fatto e io per quello che hanno fatto non voglio più perdonarli. Il mio passato è stato orribile con persone che mi hanno usato e delusa, sono una ragazza che mi piace fare nuove amicizie e non mi piace cose che fanno gli altri cioè fare la vittima dire bugie e dare la colpa ai altri. Il problema è che non mi conoscono la persona che mi conosce è mia cugina, si perché sono cresciuta con lei e lei sa chi sono realmente non di certo di chi mi ha conosciuta a scuola o ecc. Ero fidanzata con un ragazzo che era è il mio ex ragazzo e si chiama Marco, l'ho conosciuto all'elementari poi sono dovuta trasferirmi a Milano ed ci siamo divisi per un tot di tempo, poi quando sono ritornata l'ho cercato su Facebook di mia mamma perché io allora non avevo Facebook e lo cercato con quello di mio mamma e gli ho scritto: Ciao Marco, ti ricordi di me abbiamo fatto l'elementari assieme, sono Elisabetta Oca. Poi niente ci siamo visti, io ero abbastanza timida e pigra e avevo un pò paura, poi mi passo la paura incomincia a vicinami. Mi ricordo ed è un bel ricordo che ho da tutto quel tempo l'ho avevo ritrovato ♡. Ma col passare del tempo le cose sono andate male e mi dispiace se ora non c'è ma so che i ricordi sono belli. Se non avrei conosciuto la Marianna forse era meglio era una non tanto a posto e ci ha fatti mollare era una ragazza che faceva mollare i ragazzi fidanzati. Io ci sono rimasta male perché dopo che lui mi ha mollata per colpa di una scema sempre Marianna ascoltando la sua versione non vera. Io non è vero che non ti ho amato perché ti ho sempre fatto un regalo e questo melo ricordo perfettamente, ero molto legata a te e anche quando ero bambina. Poi credere tutto quello che vuoi ma non è vero quello che pensi di me, io so solo quello che pensavo di te e mi manchi per davvero non sai quante volte ho cercato di parlare e tu non mi volevi ascoltare quindi vedi tu. …
Volevo parlarti ma mi hai denuncciata senza sapere come sono veramente andate le cose e l'hai fatto perché tu hai ascoltato più una persona che manco hai visto di persona e tra l'altro ero io la tua ragazza no Marianna. Il tuo sbaglio era di non ascoltare lei ma dovevi ascoltare me se mi amavi varamente. Io non sono una ragazza che tradisce qualsiasi ragazzo, chi dice così non ha niente da fare e racconta un sacco di stronzate a tutto andare. Sono una persona seria e vera non mi piace fare corna se sto con un'ragazzo non lo tradisco, ma gli dimostro interesse che a me dei altri ragazzi non mene importa niente. Io sono così, gli altri possono raccontare un sacco di cazzate ma tanto so solo io come sono di certo non ascolto chi mi giudica. Ho visto la tua pagina, tu puoi scrivere tutto quello che ti pare però c'è una cosa che sbagli ed è se ami veramente una ragazza non la molleresti mai (con me hai fatto questo) e tanto meno faresti il possibile di riaverla (che tu con me non hai fatto). Se eri ancora innamorato non mi avresti abbandonato fidati. Io c'ero tu no. Io non avrei fatto quello che avresti fatto a me e tanto meno abbandonare chi avrei amato o perso la testa per te. Tu invece hai fatto il ricontrario. Suppongo che sei tu che non eri più innamorato di me e non mi amavi più come prima. Questa è la verità non sto dicendo cazzate ricordo anche che mi hai fatta soffrire e ti sei divertito molto penso o no? Io non mi divertirei mai e non faccio soffrire nessuno. Ti posso solo dire che tu ok avrai le tue ragioni ma io ho una memoria di ferro e so solo io come sono fatta di certo non melo devi dire te che persona sono io. Ora hai la tua vita e ti auguro che troverai una persona che ti vole veramente bene per quello che sei, non ti dimenticare di me perché comunque il mondo possa sembrare grande ma alla fine è piccolo e ti ho visto molte volte in centro o ha Castel Maggiore perché io lavoro là. Tu hai scritto di dimenticarti giusto? No non lo faccio ma ti lascio perdere ti lascio andare visto che no ti ho mai abbandonato ma tu si a me. Sei ancora nel mio ♡ un pezzo telo lasciato li. Ora se mi scusi ma devo raccontare altre cose ma non di te.
Il 2015 ho iniziato a lavorare come trarocinante a Castel Maggiore presso Filoppo Bassi l'elementari e materna. Mi trovo abbastanza bene ho fatto nuove amicizie con una ragazza che si chiama Irene è molto semplice e simpatica però è poco più grande di me e non riesco a legarmi con me, ci abbiamo provato ma è questione di età io ne ho 21 anni e lei ne ha 25 anni. Un pò dura ma le voglio bene anche se non siamo riuscite ad avere un rapporto di amicizia anche fuori dal lavoro. Mi dispiace un pò ma comunque la vedo a lavoro solo però se faccio pure io il mattino. Lei Irene fa la mattina e io il pomeriggio :(. Sia a lei che a me ci piace tanto Alvaro Soler 😍😍😍😍 è bellissimo…! Poi ho legato anche con due colleghe che si chiamano Giusy e Rosalia sono diventate le mie preferite e io con loro mi trovo benissimo mi fanno ridere, sono una ragazza abbastanza silenziosa e non parlo tanto con chi non conosco. Ho anche un'amica che non mi sta molto simpatica ma con lei non ho nemmeno legato. Questa esperienza mi ha fatta crescere e soprattutto allargare le mie amicizie. Sono cambiata abbastanza da prima e per tutto quello che mi hanno insegnato sono contenta di aver raggiunto il mio obbiettivo. Penso solo che le cose belle ci sono e i sogni se continui ad sognare diventano realtà. Ho sempre sognato di avere un'amicizia come quella di Irene e io mio sogno è diventato realtà. Una cosa che non vi ho detto, non so come partire ma mi piace molto un ragazzo a cui io gli piaccio ma non ci conosciamo ancora di persona. Prende con me il 97 o 98 l'ho incontro sempre li sul bus, però intrambi siamo timidi non so come andrà a finire. Ci guardiamo e soprattutto ci fissiamo. Siamo tutte e due single. È un bel ragazzo, lui guarda solo me è io idem. In pratica non so come farmi avanti. Un consiglio vi prego!
Ora devo proprio andare, buon pomeriggio e buona pasqua! Scritto il: 13/04/2017 - Anonimo
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andreainthailandia · 7 years
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Una cartolina da Phimai: il baniano più grande della Thailandia
Come vi avevo accennato parlando del Parco Archeologico di Phimai non ci sono poi così tante cose da fare in questa piccola cittadina. Qui ruota tutto intorno all’agricoltura, al tempio principale Prasat Hin Phimai e ad un albero di baniano (Ficus benghalensis o Banyan Tree) che si dice sia il più grande di tutta la Thailandia.
La cosa incredibile è che non si capisce proprio che sia un albero
o perlomeno che sia un solo albero…
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Ed eccoci così in sella ad una scassatissima bicicletta a seguire il placido scorrere del fiume Mun alla ricerca del Sai Ngam, il parco dove vanno a passare il pomeriggio i giovani di Phimai e dove si trova questo “famoso” albero.
Dico solo che ringrazio il cielo di essermi spruzzato un litro di repellente per le zanzare e di non esserci andato da solo!
L’acqua quasi stagnante del fiume Mun nel tratto in cui si trova il parco è habitat perfetto per le zanzare che al nostro arrivo sembravano non avessero fatto un pasto di sangue da mesi! Il fatto che poi si stesse avvicinando l’orario del tramonto di certo le aveva convinte che fosse per loro ora di cena…. e noi, ovviamente, il loro pasto!
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E sarà stata forse la stanchezza mista alla luce crepuscolare ma devo dire che a Sai Ngam da solo non ci sarei restato nemmeno un minuto! Se credete ai fantasmi – e non sto qui a dirvi se io ci credo oppure no – evitate proprio di andarci a vedere questo enorme intreccio di radici e fogliame perché state certi che vi si materializzeranno davanti agli occhi tutti i peggiori incubi che avevate da bambini.
Forse sto esagerando visto che amici che c’erano già stati me ne avevano parlato come di un luogo incantato, capace di trasmettere serenità. A me devo dire ha messo ansia!
Ovvio, sono felice di poter dire d’averlo visto e se ve lo sto raccontando vuol dire che non è poi successo nulla di grave. Ma di certo non sarò io a dirvi che DOVETE ANDARCI! Fatelo consapevoli che potrebbe non essere una passeggiata proprio rilassante.
Dopo una pedalata di poco più di 2 km passando accanto a templi più moderni, a qualche casetta e a un paio di ristorantini che avevano attirato la nostra attenzione,  siamo arrivati all’ingresso del parco (che è aperto dalle 7.30 alle 18 circa). Lasciate le biciclette abbiamo iniziato a passeggiare fra le radici del baniano.
Sì, in mezzo alle radici!
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Perché la caratteristica più evidente di questo tipo di albero particolarmente diffuso in tutto il sudest asiatico e in India sono le radici aeree. Queste partono dai rami e, una volta raggiunto il terreno, si trasformano a loro volta in tronchi, in modo tale da allargare la superficie coperta da ogni singolo albero. Quello di Phimai continua ad estendersi e all’interno del fitto labirinto creato dai tronchi ci sono panchine dove sedersi, vialetti pavimentati dove passeggiare al riparo dal sole e piccoli tempietti dove gli anziani del posto vengono ad accendere incensi durante tutta la giornata. L’aria è pesante e l’odore dell’incenso misto a quello di muffa sembra fatto apposta per attirare gli spiriti. Ma forse ho semplicemente visto troppi film di Dario Argento.
Non mi resta che chiedervi se ci siete già stato di lasciare sotto al post un commento per farmi sapere cosa avete provato voi. Io di certo non ci torno.
Una cosa positiva comunque c'è stata, come sempre! Il parco sorge sulla riva del fiume. Questo regala dei tramonti molto belli - se non piove ovviamente. Ma tanto se piove a spasso per il parco non c'andreste comunque.
Per vostra comodità, questa la posizione su Google Map
Non c'è terrore in uno sparo, ma solo nell'attesa di esso. Alfred Hitchcock
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andreasiobhan · 5 years
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♡ ; 𝟐𝟎𝟏𝟗.
In un mondo come il nostro, in cui le insicurezze sono dietro l’angolo, pronte a divorarci e a renderci dei semplici pezzi di carne, possiamo star certi di avere un’unica sicurezza a cui aggrapparci con tutte le nostre forze: al contrario di ciò che si pensa, siamo tutti dotati di intelletto e di una capacità critica maggiore rispetto a coloro che ci hanno preceduto. Questo perché lo sviluppo non ha avuto luogo semplicemente nelle tecnologie, nell’economia e così via, ma ha intaccato per prima la nostra mente. Siamo cresciuti e ci siamo migliorati, seppur di miglioramenti ne dovremmo fare ancora molti. Mi piace essere ottimista e vedere una luce bella e accesa per il nostro futuro, non la solita oscurità. Non mi ritrovo in nessuna frase di carattere pessimistico che vuol sembrare simpatica e veritiera, poiché mi sembra come se chi le diffonde ed esalta voglia vedere solo una misera parte dell’intero. O forse neanche esistono più facce e prospettive per coloro che hanno una parola negativa sempre sulla punta della lingua, incastrata dietro ai denti.
Bisogna stare attenti, perché immagino che qualcuno possa pensare “Tu sei ottimista e vedi solo le cose buone, non quelle cattive”. Non riesco a concordare o ad ammettere le mie colpe, perché la mia positività non mi impedisce di irrigidirmi, arrabbiarmi e offendermi di fronte alla cattiveria dell’uomo e ai disastri da lui ideati, creati e messi in pratica. Il mio atteggiamento va ben oltre il piantare fiori e disegnare arcobaleni quando qualcuno mi tiene troppo tempo al telefono e non so dove mettere le mani. Ciò che sono come persona ed il mio modus operandi mi ha portato a parlare, a capire di avere una voce. Non è lamentandosi e denigrare qualsiasi cosa che si potrà dirimere la realtà dei nostri giorni, pertanto ho fatto dell’ottimismo la mia filosofia di vita, perché a forza di imparare a vedere del buono ovunque, ho conosciuto inevitabilmente il peggio e non l’ho mai sottovalutato. Studiare il peggio, osservarlo, analizzarlo è un buon modo per combatterlo, oltre ad annientarlo con il suo opposto: il bene. Per farlo sono partita dalle basi, da ciò che serve per poi affrontare il mondo, vale a dire da me stessa.
Avulsa dalla realtà, dai sentimenti, dalle persone, ho sempre pensato di non essere in grado di amare o di farmi amare. Sembrava anche a me in bianco e nero il mondo, nonostante il rosso naturale dei miei capelli illudesse le persone che avevo intorno, facendo credere loro che ogni cosa dai miei occhi potesse essere terribilmente irresistibile e soddisfacente. È assurdo e quasi divertente come viviamo tutti periodi tristi e brutti, ma finiamo per dimenticarlo e per credere che le persone che ci circondano stiano sempre bene. Ed è assurdo come qualcuno possa dare per scontato che una persona sorridente sia davvero felice ogni giorno. La felicità è un sentimento particolare, oserei dire molto più difficile da raggiungere rispetto all’amore. Ho imparato, durante il corso degli anni, specialmente in questi ultimi, che la felicità va costruita e che non arriva da sé. La paura di sfociare in un discorso banale e proposto diverse volte è tanta, ma ciò non mi impedisce di dire che ciò che ho appena scritto sia la verità. O almeno lo è per me.
Metaforicamente la mia vita è una torta divisa in diversi spicchi. Una fetta e poco più l’ho mangiata eludendo ed evitando ogni sorta di problema con cui alla fine ho dovuto fare i conti. Ho pagato la mia torta centesimo dopo centesimo, ho affrontato ogni parte con la panna che non mi piace, ho gustato le fette con la frutta che amo e chissà quanti altri sapori mi attenderanno in futuro. Per ora la mie papille gustative percepiscono infinita dolcezza, poiché quest’oggi sto ingerendo l’ultimo boccone del duemiladiciotto con estrema soddisfazione e orgoglio.
Ho trovato il mio posto felice nelle braccia della persona che al momento è al mio fianco mentre saluto questo anno, ma ho trovato il mio posto felice anche in coloro che hanno reso questi trecentosessantacinque giorni indimenticabili e significativi. Pertanto mi ritrovo qui anche io a dover ringraziare coloro che mi hanno fatto del male per avermi fatta crescere, ringrazio chi mi ha supportata e coccolata quando le lacrime erano fin troppe e le parole morivano in gola. Un grazie a chi mi ha voluto bene fin dal primo saluto, ma anche a chi ha impiegato più tempo per capire di essere al sicuro con me. Un grazie a chi mi ha ferito e quasi tolto la dignità, l’anima ed il cuore: ho riconquistato tutto perdonandovi. Un grazie a chi ha avuto il coraggio di litigare con me, realizzando quanto io sia testarda e fastidiosa, rimanendo comunque al mio fianco perché non è un disguido a rovinare un’intera amicizia o una relazione. Anzi, forse quello rende i rapporti più tosti e belli. Grazie a coloro che nonostante il disagio e l’imbarazzo, sono riusciti a legarsi a me facendomi scoprire delle persone nuove, dolci e piacevoli. Grazie a chi è entrato nel mio cuore, grazie a chi ne è uscito, grazie a tutti coloro che hanno reso il 2018 l’anno migliore della mia carriera. Grazie a chi mi ha rallegrato le notti insonni con una semplice chiacchierata, grazie a chi mi ha permesso di migliorare e allargare i miei orizzonti che conversazioni profonde e talvolta intellettuali. Grazie a chi mi ha voluto con sé in viaggi in giro per il mondo. Grazie a chi rende simpatiche le mie giornate con messaggi buffi e divertenti. Grazie a chi mi ha percepita come una persona affidabile a tal punto da poter custodire segreti. Grazie a me stessa e alla forza di volontà che ho avuto quest’anno, quella che mi ha permesso di non mollare neanche un secondo ciò che con fatica e tanto lavoro ho costruito. Grazie a chi mi ha semplicemente voluto bene.
Quelle appena concluse sono state giornate difficili, con alti e bassi continui, ma sono successe fin troppe cose che mi hanno riscaldato il cuore: il mio canale YouTube; la mia laurea; il mio primo evento come youtuber; i viaggi continui; i nuovi amici; i vecchi amici sempre al mio fianco; il mio primo amore; il sentirmi finalmente bene con me stessa. È una lista breve, questa, poiché è solo una misera parte di quello che è avvenuto fino ad oggi, ma io mi aspetto altre grandi gioie, come mi aspetto tormenti e cammini tortuosi, poiché la vita è così: difficile.
Non cambia assolutamente nulla da un anno all’altro, in fin dei conti è solo un numero che serve per delineare una cronologia, ma di base la nostra vita è un unico percorso, lungo e pieno di sorprese. Ed io mi sento fin troppo onorata di aver condiviso parte di essa con delle persone speciali, proprio per questo mi auguro di essere sempre qui, anche tra quindici anni, a mangiare questa grande torta con voi - che non ho nominato, ma che probabilmente vi sarete rivisti in qualche categoria citata - e a ringraziarvi per essere stati la mia àncora personale e tasselli importanti della mia vita.
Non avendo abbastanza tempo e stando lontana da tutti, vi abbraccio a distanza e riempio le vostre guance di baciotti e vi auguro fin da subito un felice anno nuovo.
ps. Non avendo una foto con tutti, ho deciso di utilizzare un'immagine di ciò che ci accomuna: New York. Central Park non è una scelta casuale, perché siete tutti il giardino in cui io cammino per fare una passeggiata piacevole e rilassante.
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paoloxl · 4 years
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Così come lo Stato italiano, affiancato da media servizievoli – niente da obiettare – si è autorizzato tutti i mezzi disponibili, senza curarsi di cadere nell’illegalità, per riportarmi in Italia, io mi sono valso del diritto che la legge mi consentiva per evitarlo. Ma non era mia intenzione rifugiarmi qui dietro una supposta condotta legale da un lato e supposti abusi di potere dall’altro. Sappiamo che quando entra in campo la “ragione di Stato” diritto ed etica vanno in panchina. O vogliamo essere tanto ipocriti da negarlo? I moralisti d’occasione però non demordono, il linciaggio è il loro pane quotidiano. Dotati di una creatività di gusto discutibile, essi trovano sempre mille ragioni per improvvisarsi giudici e preti, assolvere o condannare anche quando nessuno glielo chiede, oppure quando non rimane più niente da dire: lo Stato mi ha scaricato a Oristano, ho ammesso le mie responsabilità, ho espresso la mia compassione per tutte le vittime senza distinzione.
A questo punto io dovrei chiudere questa lettera. Si dà però il caso che finora a parlare siano sempre stati gli stessi, quelli chiamati ad assolvere gli uni e a condannare sempre gli altri. Succede allora che non sono poche le persone che oggi mi chiedono un parere su questo o quell’avvenimento consumatosi in Brasile. Sono soprattutto tre gli episodi che mi è stato chiesto di chiarire. Vorrei qui trattare solo due di questi. Il terzo e ultimo merita un capitolo a parte in seguito, se sarà ancora il caso. Tengo a precisare che tutte le informazioni qui riportate sono documentabili nei rispettivi luoghi di competenza. So che non posso dilungarmi, questione di spazio ma anche di opportunità. Devo comunque premettere alcune informazioni basilari sul mio stato civile in Brasile, altrimenti certi avvenimenti perderebbero senso.
Dopo il decreto di non estradizione firmato dall’ex presidente Lula e la successiva conferma del Tribunale Supremo Federale nel 2011, ottenni un documento di residenza permanente in Brasile. Escluso quello di votare, questo documento mi conferiva tutti i diritti di un cittadino qualsiasi. Durante tutto il periodo brasiliano, oltre alla normale attività di scrittore, ho svolto diverse altre attività lavorative, tutte debitamente registrate, avendo così accesso come contribuente ai servizi prestati dallo Stato. Ho pubblicato alcuni romanzi, fatto traduzioni, militato in differenti situazioni politiche e socio-culturali, senza mai sconfinare nell’illegalità. Nel corso delle mie attività mi è capitato di visitare alcuni paesi confinanti col Brasile, come Uruguay, Argentina, Bolivia. Il documento rilasciatomi dall’autorità brasiliana mi consentiva di passare queste frontiere. Per finire, nel 2013 è nato mio figlio e nel 2015 mi sono sposato con la donna con cui convivevo dal 2004.
Detto ciò, vorrei passare a spiegare per grandi linee, così mi è stato chiesto, come sono avvenuti i miei due arresti in Brasile: quello del 2015 a Embù das Artes, Sȃo Paulo, e l’ultimo nel 2018 alla frontiera con la Bolivia.
I tentativi dello Stato italiano di strapparmi dal Brasile a ogni costo sono stati ininterrotti, e più efferati a ogni scacco inflitto dalla legge brasiliana. Era da tempo che apparati italiani in Brasile studiavano la possibilità, tra altre innominabili, di farmi ritirare la residenza e quindi ottenere l’espulsione. A questo proposito fu attivato un procuratore, noto magistrato di estrema destra, legato all’ambasciata italiana, tramite la lobby militarista che porterà Bolsonaro al potere.
Costui, dopo alcuni tentativi abortiti sul nascere, tanto flagrante era la sua interpretazione delle leggi nazionali, finì con l’associarsi a una giudice federale del foro di Brasilia, anch’essa nella sfera d’influenza militare e quindi dell’ambasciata italiana. Si istruì in segreto un processo dove, in barba a tutte le norme giuridiche previste, non furono mai convocate le parti.
Nel 2015 la sentenza della giudice federale Adverci Lates Mendes de Abreu, in una udienza da sottosuolo, mi revoca la residenza ordinando l’espulsione dal paese. Con l’intenzione di battere sul tempo gli avvocati difensori e le istanze superiori la giudice non fa pubblicare la sentenza, però ordina l’arresto e l’espulsione immediata. Il piano dell’ambasciata italiana con la lobby Bolsonaro sembrava ormai andato in porto.
Un giorno del mese di marzo l’Interpol si presentò a casa mia. Con l’aria di scusarsi, gli agenti mi invitarono a seguirli, rimproverandomi la leggerezza di non avere contattato in tempo il mio avvocato. Sembravano sinceramente preoccupati per quello che stava succedendo. In quel momento io non sapevo ancora che c’era un aereo pronto a imbarcarmi all’aeroporto internazionale di Sȃo Paulo. Non so ancora chi abbia avvertito l’avvocato. So solo che qualche ora dopo uscii libero dalla questura. L’avvocato fece in tempo a far valere l’art. 63 dello Statuto: “Non si procederà a espulsione se questa metta in questione un’estradizione non ammessa dalla legge brasiliana”.
Il 14 settembre 2015 la sesta sezione del Tribunale Regionale della Prima Regione (Sȃo Paulo) dichiarò illegittimo il mio arresto temporaneo avvenuto nel marzo 2015 in seguito alla sentenza di questa giudice. L’Italia reagì con la solita isteria (“Non avremo pace”, si urlò), come se imporre la propria volontà a un altro paese usando vie traverse fosse legittimo.
Lo Stato italiano mantenne viva la sua promessa. Avvalendosi di ogni mezzo disponibile, con l’obiettivo di farmi terra bruciata intorno e annientarmi psicologicamente, nei tre anni successivi trasformò in un inferno la mia vita quotidiana e quella della mia famiglia. Nessuno dei vicini di casa, l’ambiente di lavoro e le istanze del movimento politico e culturale da me frequentato, è stato risparmiato dalle pressioni, dalle calunnie provocatorie e dall’assedio ininterrotto di media aggressivi.
Nonostante la manovra di soffocamento, la solidarietà nei miei confronti si saldò, permettendomi di non rinunciare ai miei impegni familiari, professionali o di attività politica in seno ad alcuni movimenti sindacali e sociali, come l’MST (movimento di senza terra) e l’MTST (movimento di lavoratori senza tetto). Sono queste le istanze militanti che, negli anni precedenti, mi avevano consentito di allargare i contatti politico-culturali oltre frontiera. Fu il caso con alcuni membri del governo di Evo Morales e movimenti di lotta boliviani.
Fu credo alla metà del 2018, quando approfittai del viaggio di due membri del sindacato della USP (Università di Sȃo Paulo), di cui uno era il legale, per recarmi in Bolivia. Era mia intenzione rinnovare alcuni contatti politici e culturali (lavoravo all’epoca a un progetto editoriale), ma anche per accertarmi della futura disponibilità di asilo in quel paese, in vista della scalata al potere di Bolsonaro.
Partimmo da Sȃo Paulo. Ognuno di noi aveva con sé una modesta somma di denaro per coprire le spese di trasferta, e con il resto comprare nella zona franca qualche articolo d’informatica a prezzo ridotto. Giunti a circa 200 km dalla frontiera, fummo fermati a un posto di blocco. Si capiva subito che ci stavano aspettando. Dopo il controllo dei documenti, ci sottoposero a una perquisizione così accanita che durò ben due ore. Non si rassegnavano all’idea, era troppo evidente, che non fossimo in possesso di falsi documenti d’identità: erano stati dislocati apposta per eseguire un arresto con questa accusa.
Quando furono costretti a rilasciarci e ci restituirono documenti e valori, ci accorgemmo che i nostri soldi erano stati mischiati in un’unica mazzetta. Non ci facemmo troppo caso, al riprendere il cammino li separammo, a ognuno il proprio. Contammo allora, tra dollari, euro e moneta nazionale un totale di 22.000 reais (l’equivalente di circa 5.500 euro, mentre il limite di esportazione di valuta per persona, ignorato da tutti, sarebbe di 10.000 reais).
Al passo di Corumbà, Mato Grosso do Sul, ci attendeva un’altra sorpresa: il posto di frontiera, normalmente in disuso dopo la creazione del Mercosur, pullulava di polizia. Immaginammo subito che si fossero scomodati solo per noi, ma non avendo niente da recriminarci, tirammo dritto. Questa volta neanche finsero di controllare i bagagli o i documenti, erano interessati solo ai soldi. Al vedere che questi erano stati di nuovo separati si innervosirono. Cominciarono le intimidazioni, le minacce, poi mescolarono tutti i soldi su un tavolino e chiamarono un fotografo che gironzolava lì attorno, al quale dissero che la valuta era stata rinvenuta negli effetti personali di Battisti.
A nulla valsero le nostre rimostranze, ci consegnarono tutti e tre a una squadra del DIP (Dipartimento di Intelligence di Polizia) fresca arrivata da Brasilia. Fummo trasferiti in questura, dove cominciarono a tartassare i miei amici, affinché mi accusassero di qualcosa. Precedentemente – abbiamo saputo dopo – l’ambasciata italiana aveva avviato la parte finale del piano. Ossia, attivato il giudice Odillon, reuccio dittatore del foro di quello Stato, terrore degli avvocati, nemico giurato dei “signori dei diritti umani”. Questo personaggio doveva essere l’asso nella manica dell’ambasciata italiana: famigerato giustiziere, figura scomoda anche per la giustizia federale, sarebbe andato in pensione proprio il giorno seguente al nostro arresto.
In cambio di un’uscita gloriosa dalla carriera di magistrato e l’appoggio alla candidatura a governatore, il giudice Odillon si incaricò di mettermi ai ferri, costruire una falsa accusa di traffico di valuta (sic!), aggravata da nientedimeno che “lavaggio di denaro” – 22.000 reais in tre.
Una volta di più, lo strafare dei soliti furbi non ha pagato. L’accusa fu tanto inverosimile che un giudice d’istanza superiore (di origine italiana e, a suo dire, dispiaciuto di farlo) ha dovuto ordinare l’immediato rilascio del sottoscritto, con una lavata di testa allo sfortunato giudice Odillon, che poi perderà anche le elezioni. Per l’ennesima volta, il solito aereo di Stato, sempre a disposizione di Cesare Battisti, dovette tornare in Italia senza il “mostro”.
Per il prossimo capitolo posso anticipare questo aneddoto. Disse all’epoca dei fatti un ministro brasiliano di Giustizia, e grande amico di Bolsonaro: “Sono stati ingenui ad agire a quel modo. Io lo avrei lasciato passare in Bolivia, lì sarebbe stato presa facile”. Lo stesso ministro che ha impedito a Lula di presentarsi alle presidenziali, mantenendolo in prigione, firmò il 18 dicembre di quell’anno (casualmente il giorno del mio compleanno) l’autorizzazione per la mia estradizione.
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