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#2015 nostalgica
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Dorks.
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世界を壊している (Sekai wo Kowashiteiru) • 人生は吠える (Jinsei wa Hoeru) • イドラのサーカス (Idola no Circus) • アノニマス御中 (Anonymous Onchuu) • ばいばい、ノスタルジーカ (Bye Bye, Nostalgica) • ハリボテ (Haribote) • FPS • 脱獄 (Datsugoku) • 洗脳 (Sennou) • テロル (Terror) • マイネームイズラヴソング (My Name Is Love Song)
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a-dreamer95 · 2 months
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Questo anno (2024) sono dieci anni dal mio esame di maturità ed è quindi tempo per un bell'esame di coscienza. Sinceramente no, non sono soddisfatta della mia vita di adesso perché non ho raggiunto tanti obiettivi che mi ero prefissata. C'è da dire che sono anche una perfezionista, quindi di solito è impossibile traguardare tutti i miei obiettivi. Voglio però fare il punto della situazione: ho passato più momenti difficili che felici in questi anni. Dal 2014 al 2015 le delusioni in amore sono state tantissime, così come tantissime le ricadute e i pianti alla ricerca di attenzioni che non ho mai ottenuto. Le persone ti amano, oppure fanno finta di amarti, ma poi si dimenticano di te da un momento all'altro. Inoltre problemi familiari a non finire, litigi, depressione, deliri… Alla fine è tutto correlato con l'assenza di vero amore. Nella mia famiglia non c'è mai stato l'equilibrio di una famiglia sana, nonostante ciò ci vogliamo bene lo stesso. Quando si nasce in una famiglia povera non c'è scampo. Puoi solo ammazzarti di lavoro per cercare di aumentare in modo impercettibile il livello di reddito, diminuendo così ancora di più la qualità di vita. La vita quasi mai è giusta. Provo un senso di frustrazione che non penso andrà mai via. Sposto leggermente lo sguardo verso i miei successi: due lauree, una persona che mi ama e tanta, tanta consapevolezza in più. Non sarò quella che mi ero prefissata di essere, ma ammetto di essere un po' appagata e anche un po' nostalgica verso tutta questa mia gioventù "brucata". Talvolta anche esperienze difficili diventano un’occasione per crescere. Non sempre dobbiamo combattere le difficoltà, qualche volta possiamo anche assecondarle e vedere se ne esce qualcosa di buono. A me è successo, ed è stato bellissimo. ❤️
La vita non è una gara con nessuno, bisogna correre perché ci piace farlo, non per vincere, perché l'unico premio è la vita stessa.
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eccomi qui dopo non so quanto tempo. navigavo su tumblr nel lontano 2015. mi sento così nostalgica. ultimamente navigo sempre nell’anonimato, ma su insegreto. è un bel sito. ma, nonostante tutto, qui ho tantissimi ricordi. la mia prima amica online l’ho conosciuta qui, la prima cotta sui social l’ho conosciuta qui (anche se non mi ha mai cagato lmao). ora ho 21 anni, tra poco mi laureo (si spera), sto crescendo, ho avuto dei ragazzi, sto cambiando. non sono più quella ragazzina ferita che navigava su tumblr, sempre ferita ma non più quella ragazzina. ora reagisco in modo diverso, sono più consapevole di me stessa, del mio dolore, del mio umore. fumo, fumo ancora, non credo smetterò mai. bullismo? ormai solo un lontano ricordo. timidezza? ormai è andata via da tempo. ho tanti amici, quelli veri non sono molti ma sto bene con loro. l’anima gemella? quella manca sempre. non so, ho scritto tutto questo un po’ a cazzo. oggi sono solo un po’ nostalgica.
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iltrombadore · 2 years
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Ricordo di Marisa Volpi, del suo amore per l’arte, la scrittura e l’occhio “senza tempo”
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14  Maggio 2015. Mi telefona il caro amico pittore Sergio Ceccotti incaricato di darmi la dolorosa comunicazione: Marisa Volpi si è spenta nella notte.Aveva quasi ottantasette anni, portati talmente bene che mi sembrò quasi una ragazzina tutta sorridente quando due anni fa ricordammo il ventennale della scomparsa di mio padre assieme a lei e ad altri. Era una donna speciale. Una borghese liberale di famiglia agiata marchigiana, era cresciuta a Roma nella casa di Via Tolmino, tra corso Trieste e la Via Nomentana, che poi divenne il titolo di un suo prezioso racconto autobiografico. Appassionata d'arte, Marisa aveva militato tra gli universitari del PCI fino al 1956, ma se ne era allontanata per quello spirito di libertà intellettuale che ne distingueva il profilo di donna sensibile e indipendente. Marisa si era formata al magistero fiorentino di Roberto Longhi, e da lui aveva ereditato l'arte di scrivere sull'arte, quella trasposizione letteraria del linguaggio artistico, che tanto si confaceva al suo temperamento di scrittrice, quale si rivelò in seguito col suo romanzo Il Maestro della Betulla ( Vallecchi, Premio Viareggio 1986). 
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Non credevo che per lei il tempo dovesse passare. Era sempre felicemente stupita delle cose del mondo, nostalgica e saggiamente fantasiosa, come attraversata dal desiderio di plasmare esteticamente ogni aspetto dell'esistenza dimenticando così i dolori e il brutto del mondo. La ho conosciuta bene negli anni Ottanta e diventammo subito amici. Insegnava all'Università di Roma la storia dell'arte. Ma soprattutto viveva a contatto con gli artisti, di cui era estimatrice ( Consagra, Scialoja, Dorazio, sadun, Twombly, e tanti altri con loro) alternando la critica d'arte al commento storico, dall'impressionismo al simbolismo, dall'espressionismo all' astrattismo.'L'arte di scrivere sull'arte' la portò sempre più lontano dalla critica d'arte dopo che le venne a noia il ripetersi del neoavanguardismo (con le ricadute 'transavanguardiste'). 
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Preferì la narrativa dando alle stampe una decina di volumi  con racconti che hanno per soggetto episodi della vita di artisti come Berthe Morisot, Arnold Böcklin, Edgar Degas. Fu molto legata a Plinio De Martiis collaborando con lui ai quaderni de La Tartaruga e negli anni Ottanta sostenne i pittori che Plinio amava di più come contraltare della postavanguardia dilagante (Franco Piruca, Aurelio Bulzatti, Maurizio Ligas). Dopo di che, la scrittura: tersa, dolcemente divagante, indagatrice del vissuto, memorialismo privato elevato ad emblema, piccoli cammei che restano prezioso documento di una testimone discreta e di una osservatrice profonda, meditativa, emotivamente partecipe. Ricordo tra gli altri il breve e intenso libro 'Uomini', un riassunto di incontri, amicizie, sentimenti, esperienze di amore e vita morale. Ma varrebbe ancora parlare di 'Non amore', un altra prova letteraria di finissima qualità che la distinse, ed altre ancora realizzate negli anni Novanta, con la rievocazione del mondo preraffaellita inglese, di Bocklin, e di altri importanti amori che Marisa ebbe per episodi dell'arte europea, per i suoi maestri e protagonisti. 
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Appassionata com'era, e per nulla superficiale, Marisa amava entrare nei personaggi di cui ripercorreva l'esperienza vitale ed estetica. Si immedesimava in loro per ricavarne una lezione sempreverde, al di là del tempo e delle circostanze storiche, tracciando assieme al saggio critico una parafrasi letteraria ricca di pathos e fantasia. Nel far vivere, rivivendole, le cose belle del passato consisteva la sua migliore qualità di scrittrice e di sapiente esperta d'arte. Non a caso per i suoi ottanta anni (2008) venne festeggiata all'università di Roma con un volume intitolato 'L'occhio senza tempo.Saggi di critica e storia dell'arte contemporanea. (Lithos, Roma 2008). Per l'occasione parlai anche io facendole festa e mille ringraziamenti per la sua vitalissima lezione di una ricerca disinteressata del bello 'senza tempo' che la distingueva come intellettuale di primo ordine. Senza tempo, era Marisa, e tale voleva che fosse la sua opera. E adesso, che anche per lei il tempo si è fermato, la sua opera continua a far rivivere le emozioni che ha saputo trasmettere  al di là di sé stessa. Il mio più caro abbraccio, Marisa.
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lorenadecastro · 4 years
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Só porque estou nostalgica hoje 😁 Fotinha de 2015 . . . #me #nostalgia #riodejaneiro #alagoas (em Alagoas) https://www.instagram.com/p/B8zEw2kgWnp/?igshid=wuivde7op2zx
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#?
Ricordo la prima volta che misi Tumblr non seppi dove mettere mano, ovviamente imparai subito, mica so cretina.
Sfortunatamente cancellai il mio primo Tumblr su richiesta di D., anche il mio primo Twitter. Insomma se avevo una possibilità di essere famosa me la giocai serenamente nel 2012.
Sono passati 9 anni dal 2012.
Imbarazzante.
Imbarazzante anche come alla fine io sia qui sul mio Tumblr dimenticato da Dio a scrivere.
Nel frattempo il mondo vabbè non si è ribaltato con una pandemia globale da Covid-19, tra.
Situa attuale: sono sul divano di casa mia. Ma non mia mia, non di mia madre, non di mio padre, bensì di G. ovvero il mio fidanzato.
CIoè non ragazzo o compagno, proprio fidanzato nel senso che teoricamente prima o poi ci sposeremo.
Panico.
Ansietta.
Con 3 t.
Bree excursusn necessario del fatto che con la pandemia siamo chiusi dentro casa divisi per zone il che boh sinceramente mi ha portata ad interessarmi sempre meno a ciò che succede intorno a me, me ne fotto proprio.
Fa schifo. Anche perché io avevo 9 a diritto, cioè ero davvero forte capivo che succedeva, ero al top.
Fa schifo questa situazione e se prima faceva schifo ora fa proprio vomitare.
Actually, anche la scorsa volta avevo provato a scrivere, ma unfortunately non so perché si è semplicemente chiuso il post.
In ogni modo, sono amareggiata, in primis dal fatto che se scrivo a mano mi fa subito male la mano destra mentre se scrivo (ammazza inaspettato) non mi fa male nulla e posso continuare a lungo.
Sarà per l'università, altra cosa che una me del 2015 non avrebbe mai pensato, ma che in realtà mi è sempre piaciuta. Ricordo bene quel momento in cui in cucina più o meno a fine diploma dissi a mio padre mmm sono indecisa fra IED e scienze della comunicazione, ma lui disapprovò i 3 anni, che se li avessi fatti prima ora chissà dove sarei.
Ma sono sempre convinta che per quanto ci sforziamo ad essere sfruttatori della legge dell'attrazione, ad essere gli artefici del nostro destino, a manovrare cheat code, spiriti, purificare l'aria, acque di luna e quant'altro, ci sono cose che purtroppo o per fortuna sono semplicemente scritte e che devono accadere, come se fossero delle tappe fisse.
Più guardo la mia vita più mi rendo conto che certe cose non potevano andare diversamente. Loro nascono e muoiono proprio così.
Tutto è connesso, quello è vero.
Sono molto nostalgica da quando ho compiuto 25 anni, mi sento vecchia in culo, ogni giorno mi ripeto che in realtà 25 è pura gioventù, posso ancora decidere tutto ed il resto, ma poi guardo con estrema, estrema nostalgia e malinconia i miei anni passati, domandandomi continuamente se non mi sto perdendo dei pezzi mentre provo a ricordare.
Ok mi sono chiusa 10 min a ricordare le vecchie foto, ma come pensavo non ce ne sono tantissime, perché purtroppo o per fortuna averle cancellate in un dato momento mi ha aiutata a superare dei momenti di merda.
Quando cresci e sinceramente non devi manco aspettare troppo perché se calcoli che ho 25 anni e l'ultima cancellazione di massa che ho fatto è stata a 19 e l'ultima rottura a 20, voglio dire.
O forse no? Forse 6 anni ti fanno?
Dipende per cosa in realtà.
Dicevo, che quando cresci vedi le cose proprio in modo diverso è più forte di te la consapevolezza ti assale e ti sbrana senza pietà, te se magna l'anima e se non te la fai mangiare ti mangerà il senso di perdizione delle persone che ti lasciano indietro.
Siamo animali sociali infondo.
Ad esempio pratico, ho cancellato le foto con F.? No, sono ancora catalogate ofc.
Eppure rispetto a L. una storiella del cazzo oggettivamente vista da fuori, ci sono stata 10 volte più male e dovetti togliere tutte le foto da mezzo.
Assurdo.
Poi ne abbiamo altri 2000 di esempi, ma vabbè non ho molta voglia di scrivere.
Cosa brutta: non riesco più ad accedere al mio Blogspot. Prende un po' a male perché c'erano anche delle foto, ma chissà forse in futuro riesco a recuperarlo.
In ogni modo diverse cose sono rimaste le stesse, direi terribili oltretutto.
Ad esempio a 25 anni ancora non faccio il lavoro che voglio. Allora tu mi dirai vabè amica mì però stai studiando, cazzo vuoi?
Se vabbè.
Tutte cazzate: per quanto la mia voglia di università esista, sono molto disturbata dal fatto che lo IED non mi abbia portata a fare il lavoro per cui ho pagato.
Cioè diciamo le cose come stanno ora non voglio incazzarmi, però porcoddio manco a fa così.
Vabbè non inizio nemmeno.
Insomma vabbè sono 110% contrariata.
Sono rinchiusa in una situazione che mi uccide, sento che ogni giorno prende un granello di me, del mio cervello, della mia facoltà di essere creativa, della mia anima, me \1o
OK RAGA HO APPENA VISTO UNO SPIRITO ED HO PARLATO CON MERY QUINDI POI PURIFICHIAMO CASA NEL FRATTEMPO HO ACCESO LA SALVIA.
Dio santo.
In ogni modo con TikTok c'è un boost impressionante di self confidence, journaling e tutte cose che prima non avevano un nome ed ora sì.
In ogni modo non riesco, mi piacerebbe farlo come quando avevo 10-13 anni. Ho scritto 3 diari completi nel corso della mia vita e se U. non li ha buttati dovrei riaverli nel solito posto e forse sarebbe bello rileggerli.
Comunque ho anche deciso di cambiare profumo. Nel 2011 comprai Coco Mademoiselle e non me ne sono mai liberata, forse è arrivato il momento di farlo.
Una cosa che mi limita, e credo che a tal proposito la mia chart zodiacali c'entri anche se non ci capisco molto, tendo ad essere maniacale ed a volere tutto in ordine preciso e catalogato, ma come posso impormi di fare qualcosa nel momento in cui so che non ho la libertà di farlo, bensì imposto?
Funziono malino da questo punto di vista, o meglio è una lotta continua, perché dico va fatto così, ma puntualmente non riesco a farlo, come dire mangi 50 gr. di pane oggi, ma poi me sconfano dopo, come l'università dove magari un bel libro lo rilutto perché va fatto per l'esame.
Brutto.
Però sto cercando di superare quello scalino dello scrivere come una cosa che faceva mia madre, che nonostante sia morta da quasi 2 anni mi provoca ancora delle botte di odio e confusione delle volte.
Ci sono ancora dei punti irrisolti, ma forse saranno chiari più in là.
In ogni modo, forse avevo bisogno di buttar già alcune righe nel posto che mi accudisce dal 2013.
Alla fine, anche se non ho i ricordi prima, ho almeno quelli dopo tale data.
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domenicosolimeno · 3 years
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La visione nostalgica di Gonçalo Peixoto
La visione nostalgica di Gonçalo Peixoto
L’intimità, il contatto e la vicinanza tra corpi oggi sono diventati dei bisogni mai provati prima. La collezione Autunno/Inverno 2021-2022 di Gonçalo Peixoto, designer portoghese dell’omonimo brand di moda femminile fondato nel 2015, si ispira proprio al desiderio di tatto e libertà vissuti durante i momenti collettivi, in cui il divertimento e la convivialità venivano celebrati al massimo.…
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foroimage · 4 years
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L’algoritmo dell’immagine
Quando creai nel 2015 il progetto di ricerca fotografico Moussakà, era indirizzato sulla fotografia condivisa attraverso sui social network e 5 anni fa parlavo di Facebook ed Instagram come contenitori contemporanei dei nostri ricordi.
Tutto questo corrisponde ancora a verità, in questi anni, però, ha cambiato il suo target.. ad oggi Facebook viene utilizzato sempre più da un pubblico adulto soprattutto da quell’età compresa tra 50 anni in poi; Instagram nasceva come social prettamente volto alla condivisone “instantanea” dello scatto che rappresentava appunto il momento, ad oggi invece si fa testimonial di fotografie costruite del più diabolico marketing. Potremmo affermare che la fotografia su Instagram è diventata vero e proprio strumento di influenza di stile di vita, è diventato, di fatto, il luogo virtuale dove le e gli influencer ti invogliano a scattare il momento, solo se in partnership con i migliori brand in voga sul mercato.
Questo articolo non vuole soffermarsi sullo studio di marketing dei social network, quanto alla fotografia che si fa sempre più strumento di mercato.
Perché se 5 anni fa affermavo quell’idea nostalgica del ricordo che sempre più si è convertita al virtuale, oggi la fotografia è costruita e costituita da algoritmi che intercettano il nostro modo di voler essere.
Recentemente scrissi un articolo sull’intelligenza artificiale e la fotografia . Di come l’A.I. ci stia sempre più separando da quel volere e scelta dello scatto, che rappresentava la nostra presenza. Il nostro essere lì presenti è calcolato da algoritmi che generano la nostra immagine, così come anche il nostro volto; sceglie il trucco anche quando ci presentiamo “nudi”.
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Finché la “verità” del volto amato fa capolino tra le pieghe ingiallite di una vecchia foto che ritrae la madre bambina in un giardino d’inverno. Quella foto secondo Roland Barthes realizzava utopisticamente la scienza impossibile dell’essere unico. Lo scopo della fotografia ritrattista era essenzialmente questo, ritrarre un’unicità del volto, anche perchè anatomicamente il viso è così complesso e caratterizzato da una moltitudine di muscoli che in base all’informazioni trasmesse  e dettate dall’emozione, originano la nostra espressione.
Ebbene la stessa anatomia ed identità ad oggi vengono calcolate dai numeri che stabiliscono quale effetto meglio si aderisce alla nostra faccia, facendoci perdere la bellezza di una fisionomia diversa ed unica e rendendoci immagini piatte sullo schermo.
 # 3 " Identità e maschera da schermo" || L'immagine del profilo (MOUSSAKÀ)
67 sono le volte in cui ho "cambiato" la mia immagine sottoponendomi al bisturi facebookiano, ritagliando il mio volto secondo il suo quadro estetico.... trasformandomi in animale, "amante", performer ed anche testimonial di eventi o di lavori altrui e più le approvazioni tramite i cosiddetti "like" ammontano, più la tua metamorfosi deve continuare... 
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gazemoil · 5 years
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RECENSIONI 4IN1: Kehlani, Flume, Deerhunter, Better Oblivion Community Center
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In questa istallazione di Recensioni 4in1 parliamo in breve di quattro dischi, tra album e mixtape, usciti durante il primo quadrimestre dell’anno. E’ una buona occasione per recensire musica che, per questioni di tempo, non ha trovato spazio in un articolo prima di ora, ma anche si merita almeno qualche parola. E’ il turno di due dei mixtape più in evidenza dell’inverno: l’atmosferico While We Wait della cantante rnb Kehlani ed il bizzarro Hi This Is Flume del noto producer australiano Flume. Poi è la volta di due piccoli album che non devono essere passati inosservati a chi piace controllare cosa transita appena sotto il radar del mainstream: Why Hasn’t Everything Already Disappeared? dei Deerhunter e l’inaspettata collaborazione tra Conor Oberst e Phoebe Bridgers con Better Oblivion Community Center.
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Kehlani - While We Wait (TSNMI / Atlantic, 2019)
La cantante californiana Kehlani Ashley Parrish, nota solo come Kehlani, ritorna a distanza di due anni dal fortunato disco d’esordio SweetSexySavage con il mixtape While We Wait. Nell’attesa, come suggerisce il titolo, di portare a termine la sua prima gravidanza, il nuovo progetto - formato da nove tracce per una durata di trenta minuti - sembra il copione di un romanzo su quanto possa essere complessa la coesistenza funzionale tra amore e comunicazione in un presente iper-mediatico come il nostro. La sua storia, quindi, non presenta colpi di scena eclatanti e non segue traiettorie affatto imprevedibili, in realtà, non attribuisce poi così tanto peso alla narrazione che diventa, come ormai è comune nell’rnb, un pretesto per creare l’atmosfera romantica, flirtante e nostalgica che va di pari passo col genere. Kehlani incontra stilisticamente SZA, H.E.R. e Drake per illustrare queste realtà confuse, talvolta ripercorrendo traumi del passato, sentimenti repressi, incomunicabilità delle parole e costrizioni della mascolinità per come viene comunemente intesa. I suoi personaggi sono, dunque, persone emotivamente provate che cercano di capirsi a vicenda. Comunque sia, i brani rimangono in linea generale molto gradevoli e pop. La produzione è pulita e di qualità, sebbene non sia nulla di speciale, così come le strumentali sono sempre molto colorate e moderne, ma raramente sopra la media, a metà strada tra trap ed alternative hip-hop, urban ed rnb con ammicchi vagamente funk e soul - come in Morning Glory che potrebbe benissimo trovarsi nel prossimo album di Ariana Grande. Il vero punto di forza è perciò la voce della cantante, lucida e balsamica, seducente ma non forzatamente zuccherata. 
Si inizia benissimo con Footsteps che rimane probabilmente imbattuta dagli altri brani in quanto ad intensità, scorrendo fluidissima grazie ad una composizione molto tranquilla ma intrigante che sovrappone cori, un giro di chitarra nello sfondo immerso nel riverbero, bassi e hi-hats sintetici di matrice trap ed una collaborazione azzeccatissima con Musiq Soulchild. Molto più elettronica è la successiva Too Deep, uno degli improbabili momenti più divertenti, in cui i synth sono bollicine caramellate ovattate da una patina che li rende in qualche modo più sinistri; ancora grandissimo uso delle sovrapposizioni vocali che qui diventano fondamentali per costruire la spirale dentro cui viene incanalato il testo, animato dal momento in cui si ci rende conto del risvolto soffocante del sentirsi improvvisamente e pericolosamente con la testa tra le nuvole. “We was candy crushin’ / But this shit gettin’ to deep”. Il vocabolario di Kehlani non è per nulla ricercato e per questo l’intera problematica da lei presentata rimane irrisolta, analizzata soltanto in superficie. Gli altri highlight sono le trap-peggianti Night Like This con Ty Dolla $ign e la più notturna RPG con 6lack. Per la scelta piuttosto ristretta delle tematiche - ed il modo in cui sono state sviluppate - il sound ed il ritmo, While We Wait risulta leggermente tirato per le lunghe. E’ il classico esempio della musica bella finché dura, ma che una volta finita passa velocemente nel dimenticatoio. 
TRACCE MIGLIORI: Footsteps; Nights Like This; RPG
TRACCE PEGGIORI: Morning Glory; Butterfly
VOTO: 65/100
di Viviana Bonura
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Flume - Hi This Is Flume (Future Classic, 2019)
Tre anni sono passati da Skin, il secondo disco del producer australiano Flume che lo ha annoverato tra i nomi più noti del filone EDM della musica elettronica, pur conservando un’integrità artistica dati alcuni aspetti peculiari del suo stile, quali le influenze glitch pop, future bass ed hip-hop incorporate in maniera eccentrica, sbilenca e sempre bizzarra. A fargli da controparte ci sono stati i due EP della serie Skin Companion che hanno ampliato il contesto in cui l’artista voleva collocarsi, ovvero, mostrandosi intenzionato a presentare un sound lucido ed espansivo per far presa sulla situazione attuale della musica elettronica, ma ancora personale ed aggiornato sulle sperimentazioni. La mossa successiva di Flume conferma questa voglia di essere appetibile senza rinunciare a fare di testa sua, pubblicando il mixtape Hi This Is Flume, in cui ha potuto dare sfogo ai suoi estri più creativi ed anticonvenzionali. 
Il mixtape dura ben quaranta minuti, ma la durata media delle tracce è di circa due minuti, ciascuna perfettamente incasellata davanti e dietro l’altra tramite transizioni disinvolte, permettendo così al progetto di essere un’opera intera e fluida, un’esperienza olistica e connessa. Per esempio, la tastiera intrepidamente acuta e caramellata ed il beat industriale pesante, insieme alla collaborazione del rapper grime slowthai nella traccia High Beams creano un sound vibrante, rovente e ghiacciato allo stesso tempo, da cui si genera la successiva Jewel, una traccia altrettanto bella dalla melodia glitchy che ci traspone nel tipico mondo etereo e robotico di Flume, una pulsante e vaporosa visione ultra-futuristica nel bel mezzo di una flora rigogliosa. Lo stesso discorso vale per i droni distopici di Dreamtime, in cui i synth sembrano i battiti cardiaci di una strana creatura sottomarina ed il campionamento di una voce femminile distorta serve come tavolozza per creare la successiva Is It Cold In The Water?, remix di un brano di SOPHIE in cui Flume fa squadra col producer Eprom per rivisitare la traccia con più variazione e struttura ritmica rispetto all’originale, malgrado a tratti possa essere troppo rigida, rimane apprezzabile la sua nuova abrasione noise. Verso la fine il minutaggio per brano si restringe ed il mixtape diventa una vera e propria traccia unica, schizzi di beat e sovrapposizioni sintetiche elaborate in cui si susseguono altre strane manipolazioni e distorsioni, ancora accenni magnetici allo stile industrial, ma anche alle virtualità vaporwave coi tagli laser di Vitality, campionamenti di voci tra cui ritorna l’apprezzata Kučka in Voices. Saltano all’orecchio la frizzantissma MUD e la vertiginosa Upgrade che creano muri di suoni da club per nulla prevedibili che non hanno paura a diventare rumorosi e scatenati. Ma la vera perla del progetto è l’affamatissima collaborazione con JPEGMAFIA in How To Build A Relationship, una traccia fantastica, eccitante ed esplosiva sotto tutti i punti di vista in cui si palesa la brillantezza di entrambi. 
Sì, ci sono dei momenti che appaiono fini a se stessi, quei brani di qualche secondo che sembrano non aggiungere nulla, ma alla fine Hi This Is Flume è fatto proprio di quei piccoli pezzi che insieme si danno spinta e senso. Probabilmente è proprio questo che rende il mixtape del produttore australiano una boccata d’aria fresca sia nel più generale panorama musicale della musica elettronica - in cui si vedono troppo spesso personaggi stampati in serie capaci solo di appostarsi dietro la consolle per premere play -  sia nella sua stessa discografia che per quanto differente può anche risultare troppo confezionata ed addolcita. Hi This Is Flume è effettivamente qualcosa di sperimentale e ci porge un lato promettente dell’artista, non può fare di certo compagnia alle cose più inaudite e rivoluzionarie della musica elettronica, ma può stare sicuramente ai livelli di Bonobo, Jamie xx o Sbtrkt. Se veramente questo è Flume a noi piace parecchio.
TRACCE MIGLIORI: High Beams; Jewel; How To Build A Relationship
TRACCE PEGGIORI: Hi This Is Flume;  ╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§╜φ°⌂▌╫§°⌂ ▌
VOTO: 70/100
di Viviana Bonura
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Deerhunter - Why Hasn’t Everything Already Disappeared? (4AD, 2019)
Per oltre un decennio i Deerhunter, band capitanata da Bradford Cox, si sono fatti conoscere per il loro approccio neo-psichedelico, punk e surreale all’indie rock e pop. Come in un quadro metafisico la loro musica è stata generalmente caratterizzata da una tensione latente contenuta un involucro placido, pulito e definito, dentro cui si celano tracce o espressioni dirette di orrore ed oscurità. L’impressione è che esistano, inchiodati sotto la superficie delle dinamiche socio-politiche quotidiane, una miriade di sentimenti ed esperienze negative che influenzano la nostra prospettiva sul mondo. Solitamente, la superficie placida è quella sonora, mentre l’oscurità è celata nei testi. Il loro ottavo disco, Why Hasn’t Everything Already Disappeared? lotta contro gli impulsi escapisti e conflittuali del caso, continuando l’esplorazione delle diverse sfaccettature sonore della band, purtroppo senza riuscire ad evitare alcuni importanti errori, come il finire per incarnare quello stesso limbo anestetizzante che tanto compiangono nel mondo esterno.
Già nel 2015 Cox si era dichiarato stanco della nostalgia soffusa dei primi dischi dei Deerhunter, quella nebbia affascinante della giovinezza, volendo avvicinarsi al mondo degli adulti. Nel loro ottavo album questa sensazione si è percettibilmente intensificata e l’impressione è di una band che inizia ad essere insofferente. La nostalgia, dopotutto, alimenta alcune delle più pericolose correnti di pensiero reazionarie degli Stati Uniti, richiamando un'immagine nazionale perfettamente omogenea che mai è veramente esistita. Le canzoni di Why Hasn't Everything Already Disappeared? considerano visceralmente le ricadute postume del capitalismo, facendo i conti con le conseguenze della vita in un paese che si sta reiterando fino alla morte. L’apertura Death in Midsummer racconta di memorie di amici defunti tra rintocchi di clavicembalo e batteria che sembrano registrati dentro un frigorifero; entrambi colpiscono bruschi, tirando il brano verso l’interno. Al di sotto di essi, tuttavia, un pianoforte squilla come se si disperdesse all’infinito in uno spazio aperto. Un assolo di chitarra dai sapori psichedelici rinforza l’illusione che la canzone stia avendo luogo contemporaneamente sia un’arena che in una bara. La combinazione vertiginosa di queste due atmosfere la rende perfetta per il testo: “They were in hills / They were in factories / They are in graves now”. 
Ci sono preoccupazioni che rimango implicite, scelta che suggerisce che l’intera tematica sia una questione artistica piuttosto che una dichiarazione di una certa posizione politica, più un’esplorazione del posto in cui potremmo finire se scegliamo la strada della distruzione. E’ come se gran parte del disco suonasse come una pellicola sottoesposta, sviluppata con sonorità analogiche e granulose. Dall’inizio alla fine Cox avvista una distante apocalisse osservandola attraverso un vetro scuro, offuscato, e mentre progredisce si lascia andare ad affermazioni nichiliste per ricordarci della sua presenza. “In the country / there's much duress / violence has taken hold / follow me / the golden void” canta fermamente in No One’s Sleeping, brano che sembra una canzone indie rock suonata col clavicembalo. I cambiamenti di temperamento del disco gli attribuiscono un effetto freddo e distanziante - forse è proprio questo il suo più grande difetto - poiché incorpora sonorità davvero insolite. A volte però, si apre uno spiraglio, quell’incisività che li incornicia nel pop, ad esempio nella strumentale Greenpoint Gothic. Esistono anche altri punti salienti, come What Happens to People che dimostra la prodezza della band nel generare consonanze, la loro abilità nel mettere insieme una trama sonora vivida fatta di chitarre splendenti e sintetizzatori spessi. Eppure, persino questa traccia ha la sfortuna di essere seguita da Detournement, un brano dalle strane modulazioni vocali da sorpassare immediatamente in quanto indugia nelle peggiori inclinazioni della personalità appuntita di Cox.
TRACCE MIGLIORI: Death In Midsummer; Greenpoint Gothic; What Happens To People?
TRACCE PEGGIORI: Détournement; Tarnung
VOTO: 60/100
di Viviana Bonura
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Better Oblivion Community Center - Better Oblivion Community Center (Dead Oceans, 2019)
In una fredda giornata di gennaio, il cantautore Conor Oberst - meglio conosciuto come il leader dei Bright Eyes - e la cantautrice Phoebe Bridgers decidono di formalizzare la loro ammirazione reciproca e di dare un seguito ad una collaborazione iniziata nell’album d’esordio di lei con Better Oblivion Community Center, un inaspettato nuovo progetto musicale che si propone di unire il sensibile e malinconico indie folk di entrambi. Bridgers è da poco reduce dall’esperienza con un altro nuovo super-gruppo, quello delle boygenius, ma è proprio con Oberst che ha dimostrato di avere una naturale armonia, una simbiosi priva di qualsiasi egocentrismo che faceva sperare benissimo per una collaborazione a lungo termine. Il loro omonimo Better Oblivion Community Center è un disco molto semplice che non si discosta assolutamente dalle sonorità, già molto simili tra di loro, di ciascun solista -  e probabilmente, questo si rivela il problema di fondo. Per quasi l’ottanta percento dei trentasette minuti complessivi i due cantano insieme, narrando secondo il loro stile canonico dei malfunzionamenti quotidiani dell’essere umano e tirando fuori, qualche volta, riminiscenze del passato e quella strana sensazione di aver sempre sentito un’ambivalenza tra felicità e tristezza anche nei momenti più belli della vita.
Nei primi lavori coi Bright Eyes, la scrittura di Oberst era particolarmente vivida perché tutto ciò di cui parlava sembrava una questione di vita o di morte. Col tempo il suo istrionismo è andato perdendosi, ma stavolta, a fianco della penna empatica e cristallina di Bridgers anche Oberst sembra ringiovanito. Il punto di forza del disco è proprio nei testi, ma il suo più grande punto debole è il non essere voluto uscire dalla zona di comfort. La produzione, quindi, risulta molto elementare, pulita e senza nulla di originale, per la maggior parte acustica e sobria, tranne per la più briosa Dylan Thomas che fa da sorta di cavallo di battaglia coi suoi ritmi rock più vivi ed una band di supporto. Exeption To The Rule è proprio come dice il titolo, una traccia che improvvisamente sembra darci proprio quello che vogliamo, ovvero, una formula con altri ingredienti, delle sonorità più speziate, ma piuttosto, coi suoi synth retrò che quasi sovrastano le voci, risulta più una sbandata rigida, sterile ed insapore. 
Le altre tracce sono decisamente mediocri, ma possiamo essere d’accordo sul fatto che Service Road e Chesapeake riescono a distinguersi positivamente all’interno di una tracklist fin troppo piatta. La prima rivela Oberst in un momento particolarmente delicato ed onesto, ricordando un giovane fratello che non c’è più, mentre la voce calda e crepuscolare di Bridgers è come una mano di conforto sulla sua spalla. La seconda è la pura e nostalgica poesia di un artista acclamato su un palco, osservato dal punto di vista di Bridgers che nel pubblico si trova schiacciata tra la folla, desiderando che finisca presto di suonare, parallelamente, ricorda una persona a lei cara abituata a suonare per nessuno e questo scatena in lei un senso di colpa che, sistematicamente, la distrae dal presente per rimuginare sul passato. Quella tridimensionalità in più la si intravede proprio negli ultimi sessanta secondi della conclusiva Dominos, cover di Taylor Hollingsworth, includendo un assolo di chitarra elettrica distorta che prosegue rumorosa su un basso pieno. Soddisfazione troppo breve, ma se non altro chiude il disco su una nota positiva. Oberst e Bridgers sono indubbiamente fatti l’uno per l’altra, tuttavia, il loro primo album condiviso non è nulla di speciale. Sicuramente è bello da ascoltare finché dura, ma non vanta nessun momento riconoscibile o memorabile una volta finito.
TRACCE MIGLIORI: Dylan Thomas; Service Road; Chesapeake
TRACCE PEGGIORI: Sleepwalkin’; Exeption To The Rule; Big Black Heart
VOTO: 55/100
di Viviana Bonura
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vale-re · 7 years
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Recensioni da spiaggia: “Il futuro di una volta”
Sia per chi ha scelto la frescura della montagna,sia per chi ha scelto di farsi baciare dai caldi raggi del sole al mare, per le vacanze non può mancare in valigia un buon libro a tenere compagnia. 
Quest’anno - un pò per caso- sotto l’ombrellone mi sono ritrovata a leggere “Il futuro di una volta”, l’esordio (risalente al 2015) di Serena Dandini come romanziera.
Un libro fresco e piacevole da godersi sorso dopo sorso come un cocktail di tanti sapori. Già il titolo, con l’ossimoro che racchiude, suscita curiosità: il futuro di una volta è quello immaginato da giovani per il nostro avvenire il quale, però, prima o poi dovrà fare i conti con una realtà probabilmente diversa. Lo sa bene Laury, una delle protagoniste, che alla soglia dei fatidici 70 anni si ritrova un tumore mortale che però non rivela a nessuno dei suoi amici e neppure alla figlia. Quello di Laury è un mondo strano: lei e la sua comunità di amici sono degli irriducibili hippies/fricchettoni che non si rassegnano agli anni che passano. Poi c’è Elena, la figlia di Laury che, dopo una stravagante infanzia in giro per il mondo, ha deciso di vivere una vita adulta “normale”, ordinaria e ordinata, senza troppe emozioni, trincerata come segretaria dietro la scrivania di una multinazionale di software informatici.
Tra questi due mondi a Parigi c’è il piccolo universo formato da Yves, proprietario di un piccolo battello turistico, Maurice il suo miglior amico squattrinato, l’affascinante Beatrice  che possiede un popolare bistrot e Fred che rischia la chiusura della sua nostalgica libreria maoista.
Tutti i personaggi del libro sono in cerca di qualcosa: Laury consapevole che, molto probabilmente non riuscirà a festeggiare da viva i suoi 70 anni, vorrebbe riappacificarsi con la figlia Elena; Elena, che dopo la morte improvvisa della sua migliore amica, vuole provare di nuovo a trovare  e vivere l’amore; Yves che vorrebbe conquistare Beatrice; Maurice che vorrebbe sposare Liulì, sua compagna di lavoro al circo e Fred che non vuole perdere la sua libreria.
Improvvisamente un nuovo dolore squarcia la vita di Elena e degli amici di Laury: la donna collassa per un overdose di oppio ed è tenuta sedata in rianimazione. Adesso anche Elena sente forte il bisogno che sua madre continui a vivere perché possano riappacificarsi. Anche gli amici di  Laury, che Elena ha sempre mal sopportato, adesso le stanno vicino come una famiglia, bizzarra, ma pur sempre con affetto sincero.
Alla fine della storia il puzzle sarà completo: ogni tassello, ogni vita avrà raggiunto la propria realizzazione; ciascuno dei protagonisti avrà trovato il coraggio di affrontare la realtà, dolce o amara, che sia. 
#letture #book
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fashioncurrentnews · 6 years
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Urban Outfitters, la collezione Autunno Inverno 2018 2019
Urban Outfitter ha aperto da pochi mesi il primo store italiano a Milano, là dove un tempo era ubicato l’iconico shop Fiorucci, dopo un primo esperimento nel 2015 presso il corner Annex di La Rinascente.
Il successo è stato immediato grazie alla formula multibrand che affianca capi, accessori e oggetti dall’elevato contenuto design e dall’attitude contemporanea. E anche se la stagione più calda sta per arrivare, Urban Outwfitters svela la collezione Autunno Inverno 2018 2019 che sarà disponibile dai prossimi mesi.
Per l’occasione, Lizzie Dawson, Design Director di Urban Outfitters, ci ha raccontato la selezione (che ora potete scoprire in gallery), dove domina un look sporty, incline al mondo del trekking, proposto in nuance calde come il giallo calendula, il marrone caramello e il verde bosco:
“La nostra collezione Autunno Inverno 2018 si ispira a tutto ciò che ha a che fare con l’idea di viaggio e esplorazione. L’influenza ‘trekking’ è presente in tutti i capi e gli accessori , sia nel menswear che nel womenswear. Siamo entusiasti della nostra maglieria, con i maglioni in stile scandinavo e i golf e i cardigan space dye, completati con cinture in corda ‘da esploratore’ in colori vivaci per un’estetica trekking con un tocco più raffinato dalla silhouette femminile. Anche gli accessori giocano un ruolo importante per la prossima stagione. Passamontagna, fasce da collo e le manopole con lacci sono il tocco finale per i nostri look ‘avventura’, mentre le scarpe da trekking e le sneakers grosse e ‘brutte’ indossate con calzini spessi creano un contrasto perfetto con le gonne a fiori lunghe fino a terra. Siamo felici di presentare anche nuovi capispalla, ormai il marchio di fabbrica del brand, come le trucker jacket a quadri con dettagli in eco pelliccia e cappotti da esploratore over in colori sgargianti. Le texture restano un elemento chiave per la prossima stagione , e in tutte le categorie di prodotto, soprattutto la felpa e tessuti resistenti in tutte le forme. La palette colori per la stagione mixa toni autunnali dal mood positivo come viola, rosso, caramello, verde bosco, giallo calendula ed ecru.“
Leggete anche: La moda (nostalgica) di t-shirt e jeans Fiorucci
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meudiario97 · 4 years
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17.06.2020
Hoje eu acordei, umas 11:00 minha sobrinha, a Julia, já estava aqui em casa desde cedo. Minha mãe está com ela direto, está fechado a creche por causa da pandemia, minha irmã está trabalhando fora, meu cunhado também, a boa notícia pra ele é que talvez ele seja promovido a supervisor no trabalho. Meu padrasto está morando em Porto Alegre mas hoje chegou em Curitiba mas foi direto para a casa do filho dele. Minha mãe adora ficar com minha sobrinha, mas é bem cansativo ficar o tempo todo com criança e como ela tá aposentada ela quer mais tempo livre, quer sair e viajar e está reclamando que não aguenta mais ficar em casa. Hoje não foi um dia produtivo, meu treinamento não começou hoje, começa apenas na segunda-feira. Apenas fiquei com ela e minha mãe, assisti desenhos com ela, ela gosta de assistir Cocomeleon, no Youtube kkk ela tá bem sapeca. Comemos bolo de chocolate com leite, as 16h aproximadamente ela dormiu, acordou só 19h e levamos ela pra casa, ficamos conversando com minha irmã e meu cunhado, passamos no mercado e voltamos embora, perdi minha novela das 19h que é aquela Totalmente Demais, que está repassando, é uma novela de 2015-2016 . Depois comi panquecas de banana da minha mãe, que eu adoro e assisti a novela das 21h com ela que é a Fina Estampa, adorava essa também que passava em 2011, essas novelas me fazem sentir nostalgica porque assistia na época. Hoje nem peguei pra fazer coisas da faculdade, tirei meu dia de folga, essas matérias são cansativas mas to com medo de me dar mal. E to preocupada também com o valor da minha rescisão do Plansul meu antigo trabalho que vai sair no dia 24. Enfim, meu dia foi isso, sem grandes novidades, me sinto neutra, não tô triste e não tô feliz. Por fim conversei com o Fabio por video algumas vezes durante o dia , ele trabalhou hoje em casa e agora  já foi dormir e eu quero terminar algumas coisas que quero registrar aqui, e quero ver se assisto alguma coisa, ou ouço música e tentar não dormir tão tarde, não quero ficar com o sono tão bagunçado pois logo começo a trabalhar de manhã. Amanhã o plano é só ajudar a mãe limpar a casa, ver se tem algo da faculdade ou antecipar alguma coisa pra fazer e só.
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italianaradio · 4 years
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Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, recensione del film conclusivo della saga
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Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, recensione del film conclusivo della saga
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, recensione del film conclusivo della saga
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, recensione del film conclusivo della saga
La recensione di Star Wars: L’Ascesa di Skywalker che state per leggere non contiene spoiler sulla trama del film. In uscita il 18 dicembre in Italia, il 20 nei Paesi anglofoni, l’Episodio IX segna la fine (provvisoria) di un fenomeno che ha travolto la cultura pop, partendo esclusivamente dal mezzo cinematografico. Solo dopo il film è diventato franchise, declinandosi in molteplici e vari canali di intrattenimento, diventando addirittura anche un culto religioso.
Proprio per questo è giusto che questa saga, quella legata alla famiglia Skywalker, trovi proprio al cinema la sua chiusura. Una fine, si sa, scritta nella sabbia, non un porta chiusa sul passato, ma una conclusione che, per ora, è romantica e soddisfacente, il giusto equilibrio tra speranza per il futuro e iconografia nostalgica che rappresenta un ritorno a casa, un posto sicuro in cui fermarsi, per un po’.
L’equilibrio nella Forza: Rey e Kylo Ren
E proprio la ricerca dell’equilibrio si trova alla base di L’Ascesa di Skywalker: la storia della saga che racconta la guerra tra Jedi e Sith ci ha da sempre detto che i rappresentanti dei due ordini si muovono sempre in coppia, un maestro e un allievo, Lato Chiaro o Lato Oscuro che sia. In questo modo l’universo, la galassia, trova il suo equilibrio nella Forza, che lega gli esseri viventi e li fa prosperare.
In Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, J.J. Abrams abbraccia il concetto di equilibrio tra due parti e lo trasmette ai suoi personaggi, i protagonisti Rey (Daisy Ridley) e Kylo Ren/Ben Solo (Adam Driver). Sono loro il cuore della ricerca di questo equilibrio, non perché rappresentano il buio e la luce, l’icona della spada laser rossa che si incrocia in duello con quella blu, ma perché portano il conflitto dentro di sé, e la storia che racconta il film è principalmente la storia della ricerca di questo equilibrio. Una coppia complementare che nel concetto di famiglia, ereditarietà della colpa, sangue, origine e identità cerca la risposta ai propri dubbi.
Il volto bello, onesto, puro, luminoso di Rey si contrappone a quello sgraziato, brutto, segnato di Kylo, così le due interpretazioni dei giovani attori si prestano, con grande intensità e bravura da entrambe le parti, a dare corpo ai personaggi che più di tutti rendono L’Ascesa di Skywalker un’avventura emozionante, nei ricordi, nel futuro, alla ricerca di quell’equilibrio che permette la vita. Ma i due eredi della Forza dovranno capire a proprie spese che senza scelta tra ciò che è giusto e ciò che è facile, non c’è vittoria.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker prende le distanze da Gli Ultimi Jedi
Con questo cuore pulsante come premessa, J.J. Abrams costruisce una storia tradizionale, che prende le distanze da quello che aveva tentato di fare Rian Johnson con il criticatissimo Gli Ultimi Jedi. Così come l’Episodio XIII cercava di desacralizzare il mito, allo stesso modo J.J. Abrams rimette le cose nel loro ordine, senza cancellare del tutto ciò che aveva fatto il suo predecessore, ma smussandone gli aspetti più ostici e riprendendo la via, sicura, confortante, ma non per questo meno bella, della tradizione e, sì, della nostalgia.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker racconta l’ultima battaglia, l’ultima speranza, come a fare eco a quella nuova speranza che era stato a suo tempo il giovane Luke Skywalker: la galassia è destinata alla morte e alla sconfitta a causa di una oscurità potentissima che sorge dalle sue viscere, ma la Ribellione, guidata dal Generale Leia, è ancora viva e, come lei, continua a coltivare la speranza che il Lato Oscuro non possa vincere. Lo pensa la Principessa di Alderan, ma lo pensano anche Poe Dameron e Finn, che dovranno imparare cosa vuol dire prendere il comando ed ereditare davvero l’onere e l’onore di portare avanti la Storia.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker è un’esplosione di emozioni
Joonas Suotamo is Chewbacca, Oscar Isaac is Poe Dameron, Daisy Ridley is Rey and John Boyega is Finn in STAR WARS: THE RISE OF SKYWALKER
E così, J.J. ritrova equilibrio, anche lui, tra gli elementi del franchise che più di tutti lo caratterizzano: una parte divertente e cinematograficamente avvincente, la guerra, gli eroi, le rocambolesche fughe e i piani che danno “pessimi presentimenti”; l’altra mistica e introspettiva che indaga le profondità della battaglia per trovare in sé l’equilibrio nella Forza. Certo, la prima parte del film si limita ad essere una frammentata serie di informazioni da fornire allo spettatore per impostare la storia, che già nelle premesse ha un che di pretestuoso, ma nella seconda parte il film diventa travolgente, per la lunga sequela di sensazioni che riesce a smuovere, per l’utilizzo intelligente delle leve nostalgiche di cui dispone, per la sequenza finale gloriosa e avvincente, per la scena conclusiva che è una vera e propria esplosione di emozioni.
La terza trilogia, che si conclude con Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, si fa mito, chiudendo per sempre le storie dei protagonisti storici, Luke, Han e Leia, affidando il futuro ai giovani, Rey, Poe e Finn. Lo ha fatto, dal 2015 ad oggi, rielaborando il passato (Il Risveglio della Forza), provando a staccarsi da ciò che conoscevamo bene, distruggendone gli idoli e i simboli (Gli Ultimi Jedi) e riavvicinandosi in maniera rispettosa alla sua tradizione (L’Ascesa di Skywalker), regalando una conclusione soddisfacente, che prima di tutto fa appello al grande amore che gli spettatori hanno nutrito per questi personaggi e questi mondi nel corso di 42 anni di Storia del Cinema.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Star Wars: L’Ascesa di Skywalker, recensione del film conclusivo della saga
La recensione di Star Wars: L’Ascesa di Skywalker che state per leggere non contiene spoiler sulla trama del film. In uscita il 18 dicembre in Italia, il 20 nei Paesi anglofoni, l’Episodio IX segna la fine (provvisoria) di un fenomeno che ha travolto la cultura pop, partendo esclusivamente dal mezzo cinematografico. Solo dopo il film […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Chiara Guida
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cybeout · 5 years
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Il logo Apple sull'iPhone potrebbe segnalare le tue notifiche
Il logo #Apple sull'iPhone potrebbe segnalare le tue notifiche
Ricordiamo che i Mac all’epoca includevano un logo sullo chassis che si illuminava quando il computer era in esecuzione; il produttore aveva comunque abbandonato questo elemento visivo nel 2015.
Un logo Apple brillante per dare colore al tuo iPhone
Apple sarebbe nostalgica e penserebbe di aggiungere uno strato di luce al suo logo, situato sul retro di diversi modelli di iPhone, che…
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francescafiorini · 5 years
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Esposizioni vintage, pool parties, dischi da collezione, musica rigorosamente alternativa, un pubblico coloratissimo, esterofilo e in parte streaniero, in perfetto stile sixties, un’attitudine DIY e un entusiasmo che non lascia spazio al compromesso. Torna per la sua ventisettesima edizione il Festival Beat di Salsomaggiore, tra i più longevi e psichedelici della penisola e al mondo, nato prima di Facebook, di MySpace e dei forum sul web. Nato nel 1993 e, da allora, fedele a se stesso. Il cast è al completo: ecco i nuovi nomi e la suddivisione dei giorni. Tutte le info QUI: https://www.festivalbeat.net/lineup
Le foto sono di Silvia Saponaro:
Mercoledi 26/6 EVIL KNIEVEL (Italia) Giovedì 27/6 The DARTS(USA) THE SONORAS (MEXICO) Venerdi 28/6 THE CYNICS (USA) ​THE INCREDIBLE STAGGERS (Austria) ​BABY SHAKES (USA) ​LEFT LANE CRUISER (USA) ​THE BACKDOOR SOCIETY (Italia) ​+ dj set all night long Sabato 29/6 FLAMIN’ GROOVIES (USA) ​THE KAISERS (Scozia) ​GUADALUPE PLATA (Spagna) ​THE GENTLEMENS (Italia) ​ONE HORSE BAND (Italia) Domenica 30/6 GO DOWN RECORDS presenta: ALICE TAMBOURINE LOVER acoustic set
La nuova 27° edizione è prevista dal 26 al 30 giugno a Salsomaggiore e annuncia oggi i primi nomi. FLAMIN’ GROOVIES plays TEENAGE HEAD. Direttamente dagli USA, un grande nome della storia del rock’n’roll per un’unica data italiana. Riproporranno dal vivo e per intero la loro pietra miliare “Teenage Head” ma anche i grandi classici del repertorio. ​GUADALUPE PLATA nascono nel sud della Spagna a inizio 2006 e il loro particolarissimo sound gli permette di raggiungere un pubblico ampio e vario quanto lo spettro delle loro influenze, trasformandoli in breve tempo in una delle band più richieste da club e festival nazionali. Appassionati di Delta Blues, Screamin’ Jay Hawkins, John Lee Hooker ma anche Ennio Morricone & Black Keys o di LP di Gun Club, Tito & Tarantula o Gallon Drunk. Non potevano mancare a fronte delle grandi richieste THE KAISERS, dalla Scozia, per la prima volta in Italia per un’unica data, freschi di pubblicazione del capolavoro “Ruff’N’rare” uscito per la Soundflat. THE DARTS, una “all girls band” texana-californiana, garage-psych. The Darts è quella che si può anche definire una “all stars band”, visto che le quattro ragazze terribili arrivano da importanti esperienze come Love Me Nots, Outta Sites e molte altre e stanno per rilasciare il nuovo album con la Alternative Tentacles di Jello Biafra, loro grande fan che le ha volute sul palco per il suo 60° compleanno. LEFT LANE CRUISER (USA): il nome della loro label dovrebbe dire tutto, ALIVE NATURAL SOUND. Duo clamoroso blues-hardrock, slide guitar e batteria innaffiati di Bourbon. THE INCREDIBILE STAGGERS (Austria): Reunion esclusiva studiata unicamente per il Festival Beat della leggendaria band austriaca, che da qualche anno ha abbandonato le scene per dedicarsi ad altri progetti. Il festival è riuscito a farli riunire, per un ultimo spettacolare show. THE CYNICS (USA): ecco svelato il secondo headliner del main stage. In esclusiva per l’Italia, direttamente da Pittsburg, una delle più importanti e longeve garage-punk band della storia, nonché fondatori della GETHIP RECORDINGS. BABY SHAKES: una delle più chiacchierate band degli ultimi anni, 3/4 al femminile, pop punk rocknroll dalla cosmopolita NYC cresciute a Ronettes e Ramones. ONE HORSE BAND: largo ai giovani! Progetto nato nel 2015 ed avvolto dal mistero. Non si sa chi si celi sotto quella testa di cavallo, ma siamo sicuri che con l’energia della giovane (dichiarata) età vi farà saltare come cavalli imbizzarriti
Cinque giorni in cui i riflettori sono puntati non solo sulla musica ma sulla cultura, sul folklore, sul passato, presente e futuro del sixties-sound sempre attento alle nuove sonorità ed evoluzioni del genere in un contesto pittoresco e creativo, tra expo vintage, auto d’epoca, la celebre corsa in maschera “Mad Beatle Boots Race” (vera e propria gara cui è tassativo indossare un paio di Beatle Boots, stivaletti icona tipici del movimento garage-beat cari alla Swinging London, beatlesiani nel taglio e scomodissimi nella performance), pool parties pomeridiani e mostre, stand di produzioni editoriali e discografiche indipendenti. E tra un tuffo in piscina e una birra, negli anni è stato possibile incontrare leggende del garage e dintorni, di ieri e di oggi, dai Sonics agli Undertones, Fuzztones e The Bellrays, The Scientists e The Mummies, Allah Las, Ron Gallo, Bee Bee Sea e moltissimi altri, perdendosi nei warm up e dj set che accompagnano le danze per tutto il giorno e si chiudono a notte fonda. Non c’è da stupirsi dunque che il festival, promosso dall’associazione BUS1, sia ormai un punto di riferimento costante per appassionati da ogni parte del mondo, laddove gli stranieri rappresentano una buona parte del pubblico di affezionati che, per cinque giorni, cambiano il volto di Salsomaggiore trasformandolo in un villaggio dall’atmosfera senza tempo, colorato e decisamente esterofilo. 
IL FESTIVAL Omaggiare i favolosi ’50 e ’60 e l’epoca beat non è un’operazione nostalgica che guarda esclusivamente al passato, ma un modo per tramandare e aggiornare una cultura, un movimento di stimolante vitalità artistica. Ecco cos’è il Festival Beat, una manifestazione artistico-musicale che si pone l’obiettivo di ritrarre un’epoca storica che ancora oggi testimonia e ripropone un fenomeno culturale che, a partire dagli anni ’50, ha contaminato tutte le arti conosciute segnando indelebilmente la fine del secolo scorso. E l’inizio di quello successivo. Nato nel 1993, è l’esempio più longevo di manifestazione sul tema in Italia e in Europa e porta sul palco quanto di meglio si possa trovare sulla scena sixties e le sue diverse forme di evoluzione musicale. La promozione del Festival ha seguito le evoluzioni dei canali di comunicazione, passando quindi dalle fanzine alle riviste di settore, dalla produzione di materiale fisico (tuttora distribuito negli altri principali festival europei del genere) e adattandosi alla rete e ai social network. Presenta nel 2019 la sua ventisettesima edizione accompagnata per la prima volta dalle prevendite online, presto disponibili.
Festival beat: il fotoracconto Esposizioni vintage, pool parties, dischi da collezione, musica rigorosamente alternativa, un pubblico coloratissimo, esterofilo e in parte streaniero, in perfetto stile sixties…
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