Tumgik
#Il pesce dei sogni
tqngled · 5 months
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Domande.
Come ti chiami
Percentuale batteria del telefono?
Ti piace leggere?
Ti piace scrivere?
Cosa che tutti amano fare ma a te non piace?
Cosa tutti odiano fare ma tu ami?
Hai amicizie a distanza?
Hai tanti amici?
Hai mai letto libri in inglese?
Guardi mai film in inglese?
Pratichi qualche sport?
Se no, che sport ti piacerebbe?
A casa hai il calendario dell'avvento?
Ami fare le foto?
Ami farti le foto?
Hai tanti amici, o sei più una persona solitaria?
Ti piace cucinare?
Sei ordinat* o meno?
Che cellulare hai?
Hai mai scritto una lettera?
Pregi e difetti del posto in cui vivi?
Vivi lì da tutta la vita?
Che lavoro fai?
Ti piace il tuo lavoro?
Se non ti piace, quale vorresti fare?
Frequenti l'università?
Se studi all'università cosa studi?
Hai conoscenti all'estero?
Hai mai pensato di lasciare il tuo paese/città?
Cosa ne pensi della frase "gli amici sono una seconda famiglia?"
Che rapporto hai con la tua famiglia?
Guardi mai film in streaming?
Ti reputi una persona tecnologica?
Preferisci thè o caffè
Preferisci dolce o salato?
Preferisci fare allenamenti a casa o in palestra?
Stagione preferita?
Cosa diresti a te stess* di 10 anni fa?
Vai spesso in discoteca?
Ti hanno mai ricoverato in ospedale?
Descrivi il tuo stile d'abbigliamento abituale.
Colore preferito?
Di che colore è la tua camera da letto?
Descrivi la tua camera da letto
Parli ancora con le stesse persone che hai conosciuto 5 anni fa?
Perché hai deciso di aprire un blog di Tumblr?
Da quanto tempo hai Tumblr?
Come sei venut* a conoscenza di questo social?
Ti reputi una persona molto social?
Sei fidanzat*
Se non sei fidanzat* quali caratteristiche la tua persona del cuore dovrebbe assolutamente avere?
Film Disney preferito?
Preferisci comprare online o in negozio?
Quale regalo di Natale vorresti ricevere?
Sei molto unit* alla tua famiglia?
Vivi nella regione in cui sei nat*
Cosa ami di più delle festività natalizie?
Cosa odi di più delle festività natalizie?
Cibo che tutti amano, ma tu odi?
Cibo che tutti odiano ma tu ami?
Vorresti dei figli?
Se si, che nomi daresti a loro?
Hai animali?
Se si, come si chiamano?
Se non possiedi animali, li vorresti?
Numero fortunato?
Hai qualche brutto vizio?
Cosa ami di te stess*
Cosa odi di te stess*
Programma preferito?
Serie TV preferita?
Hai un paese/nazione nel cuore?
Intraprenderesti mai un viaggio da sol*?
Un gioco che hai sempre voluto da piccol* e che poi è finalmente arrivato?
C'è una lingua straniera che vorresti assolutamente imparare?
Ascolti molto i consigli degli altri?
Ti piacciono i giochi da tavolo?
Come trascorri la giornata di natale?
Vivi da sol*
Sito che visiti più spesso durante la giornata.
Che effetto ha su di te il giudizio altrui?
Hai degli hobby?
Esci tutti i sabati sera?
Ultimo posto in cui sei andat* in vacanza?
Ultima volta che sei andat* al cinema? Che film hai visto?
Pesce o carne?
Segui una dieta particolare?
Senti di avere difetti particolari?
Fai amicizia subito con le persone?
Ti piacciono le leggende?
Paese che hai sempre voluto vedere?
Hai i buchi alle orecchie?
Hai tatuaggi?
Se si, hai in programma di farne altri?
Canzone preferita?
Consiglia 4 canzoni
Consiglia 4 film
Consiglia 4 serie TV
Dove pensi incontrerai l'amore della tua vita?
Sei sposat*
Sei mai stat* in campeggio?
Film che tutti amano ma tu non capisci perché?
Film che tutti odiano e ma tu non capisci perché?
Hai mai fatto un falò?
Festeggerai Capodanno?
Hai dei buoni propositi per il nuovo anno?
Hai mai inviato un SMS alla persona sbagliata?
Sei brav* a dare consigli?
Sai dipingere?
Qualcosa che hai sempre voluto fare, ma che non hai mai fatto per paura?
La tua più grande paura?
La tua più grande passione?
Porti gli occhiali o le lenti a contatto?
Porti l'apparecchio ai denti?
Descrivi la tua casa dei sogni
Hai mai pensato di aprire un canale YouTube?
Oggetto che ti ricorda la tua infanzia?
Cibo che ti ricorda la tua infanzia?
Ultimo messaggio inviato?
Ultimo messaggio ricevuto?
Cosa stai facendo adesso?
Cosa stai aspettando adesso?
Ti piace il sushi?
Un piatto tipico della tua regione?
Che ore sono adesso?
Vivi in una regione dove c'è il mare?
La tua colazione tipo?
Ti piace stare in pigiama a casa?
Usi pantofole o calzini a casa?
Hai un animo infantile?
Ti senti soddisfatt* di ciò che hai ottenuto dalla vita fino a ora?
Che cosa cambieresti della tua vita ora?
Che cosa diresti al te adolescente?
@tqngled (Mar 12.12.23 h 01:00)
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sciatu · 9 months
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MARZAMEMI
Abbiamo lasciato il Gelsomineto per andare a mangiare. La Figlia mi chiede se conosco qualche trattoria li vicino. Le sorrido e le dico di chiamare un ristorante a Marzamemi. A Marzamemi, dopo le casette e le strade simili a tanti paesini sulla costa, ci abbraccia serena e luminosa la grande piazza che nasconde il mare, con la piccola chiesa, gli edifici dell’antica tonnara trasformati in ristoranti e negozi. È tornare indietro nel tempo, quando il mare era color corallo per il sangue dei tonni e le case accoglievano i pescatori , gli attrezzi per le gabbie in cui intrappolare i tonni e le nere Parascalmi, le barche su di cui ai lati della camera della morte, si eseguiva la rituale, drammatica mattanza (“sangu pi sangu”, sangue per avere sangue, come diceva mia nonna quando uccideva gli animali da cortile per nutrire tutti noi). La chiesa in piazza, non è un ornamento, ma il nodo tra la vita e la morte per cui Marzamemi è nata, l’incrocio tra il dolore e la vita, l’ultima certezza prima degli incerti giorni di un tempo. Ora invece il tempo sembra fermarsi nella solare serenità della piazza e che questa serenità contagia ogni persona che l’attraversa. I tavoli sulla piazza del ristorante prenotato sono vuoti. La Figlia, mi guarda preoccupata. “Vieni” le dico e la porto sul di dietro del ristorante dove, dopo un vicolo pieno di fiori, c’è una grande terrazza sopra gli scogli del mare. La terrazza è coperta da canne e la luce filtrando tra loro, assume una luminosità dorata. Intorno scuri scogli usurati dalle onde, bianca schiuma, il blù del mare, l’azzurro perfetto del cielo. I piccoli tavoli sono coperti da antiche tovaglie siciliane ricamate o fatte all’uncinetto mentre forchette e coltelli sono di quelli grandi e pesanti delle grandi occasioni. I bicchieri colorati ed i vecchi piatti siciliani, rendono quel luogo familiare alla memoria e unico tra tutti quei locali, che seguono temporanee mode e tendenze. Alla destra abbiamo una famiglia olandese con la madre che non starà zitta per tutto il pranzo mentre il marito, dirà solo due parole, “Pane prego” per fare la scarpetta nel salmorigghiu del pesce. Alla sinistra abbiamo una coppia francese, non più giovane che si guardano da innamorati e che parlano sottovoce dicendosi frasi che li fanno sorridere e riempiono i loro occhi di complicità e malizia. Scrivono nell’aria versi che nessun poeta potrà mai copiare e che restano intrappolare tra le canne del tetto e trai petali dei fiori. Arriva il responsabile di sala, in realtà un ragazzo con i capelli ricci e i baffetti alla Domenico Modugno che ci porta un menù colorato. Ordiniamo poche cose tra cui un calice di Grillo perché per raggiungere Marzamemi ho attraversato le terre dove nascono il Grillo e l’Inzolia. Terre bianche, secche, aride, bruciate dalla calura e mi stupisce come i vini di quella terra possano essere così profumati, sapendo di fiori e di vento. Forse nell’uva la vite mette i suoi sogni, quel suo voler essere nell’arida terra, fiori e bellezza e sono questi sogni che sentiamo nel vino e che alla fine donano ebrezza. Mangiamo ascoltando il mare, la brezza che attraversa le canne, osservando l’andare e venire di invisibili camerieri che percepisci solo per le gustose emozioni che lasciano sui tavoli. Lentamente mangiamo guardando i colori dei fiori, gli sguardi amorevoli degli innamorati, la gioia delle famiglie, il soffice silenzio in cui tutto si perde tra il profumo dei fiori del bianco Catarrato e la dolcezza assoluta della cassata. La lentezza con cui viviamo una necessità come nutrirsi diventa piacere, ci libera da ogni ansia donata dal correre dei minuti, ci da un senso di libertà che le grandi città ci hanno rubato. Così ci riprendiamo lo spazio e il tempo per essere felici, per dimenticare affanni, credere nella serenità e inventare nuovi sogni. In fondo, è questo Marzamemi. ( andando via l’olandese si ferma a guardare il mare che urta gli scogli. La moglie lo raggiunge e lo abbraccia osservando il mare con la sua testa appoggiata alla spalla del marito. Sono già ammalati di nostalgia).
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susieporta · 1 year
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«Mi voleva bene e anch'io lo amavo. Perché sposai un uomo pieno di farina come un pesce da mettere in padella, io non lo so. So che stava ore e ore chino sui forni e grondava sudore. Con il pane si guadagnava la vita.
Perché l'ho sposato? Forse perché io amo il pane, la semplicità, la vita fresca, l'operosità e soprattutto perché ero già consapevole, a vent'anni, che tutti gli scrittori sono pazzi. Sono matti si, e checché se ne dica, io li avevo lasciati tutti, ad uno ad uno, esasperata, contrita, impauritissima di quegli uomini di genio che non sapevano darmi un figlio.
Io ero nata per avere figli, li sognavo fin da bambina. Allora per migliorare la razza degli scrittori scelsi un uomo semplice, e avvenne una bellissima combustione. Lui faceva il pane e io lo vendevo. Non sempre però: quando mi seccavo mandavo al diavolo clienti e panetteria. Anche a quel tempo ero irascibile e già un poeta affermato: per questo ho sempre mandato al diavolo tutti quelli che minacciavano la mia pace domestica.
Mio marito è stato comunque anche il mio calvario. Nel senso che dopo il lavoro, quando si lavava era talmente fresco e aggraziato che tutte le donne me lo guardavano. Curava molto i suoi mustacchi e quando mi baciava mi pungeva la faccia».
Ci sono amori che stravolgono e amori che pungono. Ogni persona che entra nella nostra vita ci cambia un po', in due ci si mescola il giro del sangue e dei sogni. Come eravamo? Come saremmo stati, altrimenti?
A ognuno di noi, ricomporsi.
Alda Merini
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lumasara · 5 months
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VI racconto un po’ del mio 2023:
Ho fatto il mio primo viaggio alle Dolomiti in inverno
Ho salutato mio cugino (fratello)
Ho imparato ad andare sullo snowboard, una cosa che ho sempre voluto fare
Ho constatato che mi piace festeggiare il mio compleanno con un tema
Mi hanno regalato un pesce
Ho festeggiato con le mie amiche
Ho constatato che mi piacciono i costumi di coppia
Sono stata a Roccaraso con la mia famiglia, per più volte
Mi sono allenata TUTTO l’anno
Ho iniziato la mia corretta alimentazione
Sono stata al concerto dei Maneskin with my sista
Sono stata con i miei nonni
Ho fatto il mio primo regalo handmade
Sono andata al mare con le mie amiche
Ho festeggiato con il mio ragazzo
Sono stata a Bologna (tantissime volte)
Ho finalmente amato il mio corpo al 100%
Ho fatto il mio primo viaggio con mia cugina Silvia
Ho visitato Milano per la prima volta
Ho visto gli arctic monkeys
Sono partita per la Grecia con la mia metà
Ho fatto la mia prima esperienza campeggio
Sono stata 11 gg fuori casa
Sono andata al Clorophilla per la prima volta
Sono andata in barca
Ho amato Sally (anche se lei non lo sa)
Ho fatto foto e video al tramonto con la mia metà
Sono andata in barca con le mie persone preferite
Ho fatto foto alla luna
Sono andata alla cava di Bauxite con mia cugina e anche a Lecce
Ho riscoperto l’amore per la fotografia
Ho usato per la prima volta una skimboard dopo tantissimo tempo
Sono stata malissimo per la partenza del mio moroso per poi superare questo momento
Sono stata al concerto della SIIIEEEDDDDD ed ho iniziato ad ascoltarli senza sosta
Ho festeggiato i 57 anni di mia madre
Ho fatto passeggiate nella natura
Ho fatto un taglio di capelli obbrobrioso
Nicola è partito per Bologna
Sono stata nuovamente male
Ho superato e ho eliminato tutte le paranoie
Ho legato tantissimo con mia cugina
Ho fatto il viaggio della mia vita con mia cugina EDIMBURGO
Mi sono allontanata da Simona
Sono andata 3/4 volte da Nicola a Bologna
Ho ascoltato i QUERCIAAAA
Ho festeggiato il compleanno di mia cugina in anticipo
Ho visto case a laureto con Nicola sognando di averne una insieme
Mio fratello si è comprato la macchina che piaceva troppo a me 🙂
Ho festeggiato l’immacolato con i miei nonni
Sono stata a lecce con le mie amiche
e per concludere questa esperienza, sto per partire per le DOLOMITIII con tutta la mia famiglia per natale! <3
Conclusione posso dire che in questo anno ho amato con tutta me stessa, ho fatto nuove esperienze, ho constatato che la mia relazione ha avuto un'evoluzione, ho pianto tanto, ho fatto i viaggi dei miei sogni, ho amato me stessa.
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magicnightfall · 1 year
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A SOLO CELLO OUTSIDE A CHORUS
Una disquisizione sull’introversione alla luce delle festività natalizie appena passate, di una vita di risentimento nei confronti della tirannide estroversa, e di Mercoledì Addams.
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Quanto pesa un introverso? Non abbastanza da rompere il ghiaccio.
Oggi è il 2 gennaio e si celebra la giornata mondiale degli introversi. La data non è casuale: ci si è appena lasciati alle spalle i momenti di socialità forzata delle festività natalizie e l’evento più nefasto e inutile tra tutti gli eventi nefasti e inutili nella storia del mondo: l’ultimo dell’anno. Al tg si parla sempre delle vittime dei festeggiamenti per il capodanno, in genere sono quelli che hanno perso un occhio, un orecchio o dita in numero variabile, ma mai delle vere vittime di questa insensata ricorrenza — in realtà di tutte le ricorrenze, a partire dal proprio compleanno: gli introversi.
Perché?
Perché gli introversi sono una categoria di persone negletta, incompresa e oppressa, ancor più dei vegani a un barbecue.
Negletta, poiché in preda al delirio festivo tutti si dimenticano delle nostre antitetiche esigenze di tranquillità;
Incompresa, poiché la nostra necessità di starcene da soli rimane inintelligibile alla maggior parte delle persone;
Oppressa, poiché il nostro diritto alla solitudine è costantemente violato, tra cene, cenoni, aperitivi, compleanni, matrimoni, battesimi, comunioni, cresime, pizzate, raduni aziendali con colleghi che magari per quaranta ore a settimana sogni di tirar sotto con la macchina. Ecco, tutti eventi di cui faremmo volentieri a meno.
Il problema è che il mondo è dominato dalla lobby degli estroversi, i quali, esistendo in percentuale maggiore nella popolazione, prevaricano — tanto per numero quanto per energia — sulla riservata minoranza. Ed è ora di dire basta. Sarebbe da salire sulle barricate e rivendicare i nostri diritti umani e costituzionali, se valesse la pena uscire di casa e rinunciare a vedere un film.
Gli estro, per gli intro, costituiscono il loro unico, e letale, predatore. Se ne stanno lì, in agguato nell’ombra dei gruppi Whatsapp e all’improvviso ci aggrediscono con gli inviti più disparati e le proposte più improbabili: il nuovo ristorante che fa la pizza solo con le farine macinate nei giorni dispari dai monaci cistercensi di Scurcola Marsicana, che devono assolutamente provare; il vernissage dell’artista polacco minimalista morto suicida, quadri venduti due; la conferenza del filosofo che ha teorizzato l’essenza ontologica del fritto misto. E, a seconda del periodo dell’anno in cui ci si trova, con la precisione di un pesce arciere se ne escono con la più perniciosa e molesta delle domande nella storia dell’umanità: “Cosa facciamo a capodanno?” e “Cosa facciamo a ferragosto?”.
In effetti, si può tranquillamente affermare che introversi ed estroversi sono nemici per natura, come gli Inglesi e gli Scozzesi, o i Gallesi e gli Scozzesi, o i Giapponesi e gli Scozzesi o gli Scozzesi e altri Scozzesi! Dannati scozzesi, hanno distrutto la Scozia!
Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente?
È facile riconoscere un introverso a una festa: è quello che è rimasto a casa.
Seee, magari. Il più delle volte è quello che sperava di riuscire a rimanere a casa.
Esistono due motivi per cui l’introverso si convince, non senza strepiti e lamentele, ad abbandonare lo stato di quiete della materia per andare alla festa, alla cena, all’aperitivo: 1) senso di colpa (“Sono stati carini ad invitarmi, in fin dei conti mi dispiace dargli buca”); 2) un'effettiva esigenza di socialità. E non necessariamente la prima ragione è un motore più performante della seconda, solo ricorre statisticamente più spesso.
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E non dico che ci va e se ne pente (io, per esempio, non lo faccio), perché anche l’introverso è felice di passare del tempo con gli amici (sia messo a verbale!): soltanto, esaurito il momento conviviale, l’introverso deve (come un pesce deve stare nell’acqua) tornare a rintanarsi nel suo bozzolo per ricaricare le batterie mentali. Di solito anche per lunghi periodi di tempo, il problema è che per introversi ed estroversi il tempo scorre diversamente, come in Interstellar, ecco perché il successivo invito arriva sempre “troppo presto” per gli uni e “troppo tardi” per gli altri. La compagnia della sua ristretta e selezionata cerchia, a cui ovviamente vuol bene, all’introverso non è sgradevole (si verbalizzi anche questo), gli è soltanto — nel lungo periodo —psicologicamente dispendiosa.
The most interesting plants grow in the shades.
Che sia per leggere un libro, guardare un film o una serie, giocare ai videogiochi, fare una passeggiata nella natura o anche solo starsene immobile a contemplare gli oscuri recessi dell’animo umano, la solitudine è un presupposto fondamentale del benessere psico-fisico della persona introversa, è qualcosa di fertile e nutriente. Perché se l’estroverso trae la sua energia dallo stare con gli altri, l’introverso al contrario la trae proprio dall’isolamento. Il che non significa — checché ne dica il linguaggio violento e offensivo dell’egemonia estroversa — essere disadattati, completamente asociali, scorbutici, privi di autostima e di sicurezza, incapaci di rapportarsi con gli altri o di stringere relazioni significative.
La lobby estroversa, con la sua visione compagnona e schiamazzante della vita, ha plasmato il mondo a sua immagine e somiglianza, un mondo in cui gli espansivi vengono incentivati e i riservati additati, fin dalla scuola. Com’è che nel linguaggio dei media il serial killer è sempre un “lupo solitario” e la vittima il pilastro portante della comunità? Mo’ mi volete dire che non è mai esistito un serial killer estroverso? Esigo di parlare col mio criminologo.
Ciò si riflette anche nell’arte: i film e le serie sono pieni di protagonisti che frequentano i più variegati ritrovi sociali, che escono e fraternizzano tutto il tempo, in cui la loro casa è un porto di mare di cui tutti hanno le chiavi (i danni che ha fatto Friends in questo senso sono incalcolabili); il personaggio timido invece è sempre quello sfigato che deve superare il suo “problema” e imparare a essere espansivo, perché la propaganda estroversa votata al dominio mondiale (e sicuramente collusa con la lobby dei baristi), cerca da sempre di convincere le persone che la vera felicità risieda nella socialità. Un sofisma bell’e buono.
Great job, everyone. The reception will be held in each of our individual houses, alone.
Andando a ritroso dalla recente serie Netflix Wednesday, devo arrivare fino a Parks & Recreation (terminata nel 2015), per trovare un personaggio introverso appagato e felice, che non sente il bisogno di cambiare, né cercano di convincerlo a doverlo fare, perché essere introversi non equivale a essere difettosi.
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Prima di Mercoledì (che non sostituisce ma si aggiunge), Ron Swanson è stato il mio faro, il mio mentore: tutto ciò che so sul farmi i fatti miei l’ho imparato da lui.
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I do like stabbing. The social part, not so much.
Nel gustoso libro Introfada di Hamja Ahsan (ADD Editore, 2019, trad. Piernicola D’Ortona), Mercoledì Addams è inserita, insieme a Rosa Parks, Emily Dickinson, Blaise Pascal e Lisa Simpson, tra gli “antesignani dei Militanti Introversi che sono ormai icone della resistenza”.
Mercoledì è un personaggio sovversivo (Ahsan direbbe “introvversivo”): ribalta, nel suo micromondo, l’ordine costituito dalla lobby estroversa; rende nota fin da subito la sua esigenza di solitudine e fa sì che gli altri si adeguino, anziché viceversa. Il che è abbastanza rivoluzionario. Il suo arco di trasformazione (che culmina nell’abbraccio a Enid nel season finale, dopo essersene sempre sottratta) nulla ha a che vedere con la sua introversione intesa come tratto (sano) della personalità (che, appunto, non va cambiato perché non è un difetto), quanto piuttosto con la sua ostinazione a voler tenere fuori gli altri dalla propria vita, con la convinzione di bastare a se stessa in tutto e per tutto, e che le emozioni equivalgano a debolezza.
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Questo tipo di solitudine, infatti, va ben oltre il legittimo desiderio di svicolare dai raduni sociali e lo stare bene per conto proprio: quando Enid la costringe a confrontarcisi, ecco che Mercoledì capisce per la prima volta che si tratta di due situazioni diverse, di cui una dannosa, perfino per lei.
You want to be alone, Wednesday? Be alone.
È innegabile, infatti, che a Mercoledì, come a tutti gli introversi, piaccia stare da sola — di più: abbia bisogno di stare da sola. Quello che invece non le piace, e prima di conoscere Enid non aveva mai avuto modo di rendersene conto, è il sentirsi sola. Che è tutta un’altra storia. Di base, è la differenza che corre tra “alone” e “lonely”. Il primo termine rappresenta la condizione, neutra (positiva per l’introverso), di trovarsi da soli senza gente intorno, ma nel momento in cui quella neutralità si corrompe, ecco allora che si è “lonely”, parola che descrive il sentimento negativo di infelicità e sofferenza che si prova a causa della mancanza, nella propria vita, di amicizie o persone importanti.
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Listen, people like me and you, we’re different. We’re original thinkers, intrepid outliers in this vast cesspool of adolescence. We don’t need these inane rites of passage to validate who we are.
Per quanto abbia stretto legami significativi (Enid ed Eugene, così come Mano, e a modo suo è protettiva verso il fratello Pugsley), per quanto partecipi ad attività di gruppo (la Coppa Poe, sebbene mossa unicamente dal desiderio di umiliare Bianca, la studentessa che si stava delineando come sua nemesi, e non da quello di socializzazione; il Rave’n, anche se solo a seguito dell’inganno di Mano), per quanto interagisca con una varietà di persone e figure istituzionali (gli altri studenti, la preside, i professori, il sindaco, lo sceriffo, la psicologa) e per quanto abbia perfino partecipato al ballo studentesco, in ogni caso i bisogni di Mercoledì e la sua visione del mondo sono quelli di una persona introversa, e lei riesce sempre a essere fedele a se stessa.
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In che modo? Innanzitutto, come a suo tempo Ron Swanson, con l’essere trasparente e onesta (verso lei e verso gli altri) al riguardo. Già per questo, Mercoledì dovrebbe essere assunta a guru spirituale di tutti gli introversi del mondo che si lasciano aggrovigliare le viscere dal senso di colpa derivante unicamente dall’idea di inadeguatezza di essere se stessi inculcata dalla lobby estroversa.
Se le viene chiesto di partecipare a qualche attività sociale, Mercoledì non accampa scuse farlocche adducendo altri precedenti, ma fantomatici, impegni improrogabili. Questo perché Mercoledì sa che il suo bisogno di restare per conto suo a fare i fatti suoi, qualsiasi essi siano, è dignitoso tanto quanto il bisogno dell'estroverso di stare in compagnia. Tanto quanto. Non di più, è ovvio, ma certamente neanche di meno.
Di solito, l’introverso ha difficoltà a dire no secco quando quel no secco origina dal suo bisogno di solitudine, e per questo si inventa giustificazioni che l’estroverso possa comprendere (qualcosa per cui a parti invertite anche lui si comporterebbe alla stessa maniera): "No, ho appuntamento in banca"; "No, devo studiare che fra tre giorni ho l'esame"; "No, ho già una cena"; "No, mi hanno cambiato il turno". Teme, l'introverso, che se dicesse di voler restare a casa per conto suo a fare le cose sue — leggere, vedere una serie o, nel caso mio e anche di Mercoledì — a scrivere, la verità verrebbe percepita dall’estroverso che ha esteso l’invito come una mancanza di rispetto (dopotutto, pensa l'estroverso, si tratta di attività che saranno sempre lì ad attenderlo, le può fare un'altra volta) (è ovvio che siano tutte cose che possono essere fatte un’altra volta, il punto è un altro: che l’introverso aveva necessità di farle proprio in quel momento). E l’introverso, che non vuole ferire l’altro, delegittima il suo bisogno di solitudine e ingiustamente lo fa recedere dinnanzi a quello di socialità degli altri, che la società stessa considera e impone come preminente.
Non voleva mancare di rispetto, ma alla fine — inventando scuse e conseguentemente togliendo dignità ai suoi bisogni — ne manca a se stesso.
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Perché di base, la paura dell’introverso è la possibilità che l’alone si corrompa in lonely, vedere gli amici fare i bagagli, e ritrovarsi come Mercoledì in posizione fetale a rimuginare su quanto quella solitudine lì faccia, in effetti, molto molto schifo.
You are the reason I understand how imperative it is that I never lose sight of myself.
Come ogni introverso che sia mai esistito e che aveva stabilito dei piani per fare le cose sue e poi se li è visti stravolgere dalla tirannide della socialità, anche Mercoledì, incastrata col Rave’n, deve rinunciare ad appostarsi nella grotta per beccare il mostro a cui sta dando la caccia. Ma la sequenza più memorabile di tutta la serie (ormai il computo del tempo si divide in prima e dopo il suo ballo sulle note di Goo Goo Muck dei Cramps) è anche un proclama potentissimo di individualità espresso nella cornice di assoluto conformismo delineata dall’ordine costituito dell’estroversonormatività.
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Il dress code prevede bianco, lei è vestita di nero; il suo ballo è strano, originale e dissonante rispetto al solito dimenarsi (come se ti scappasse la pipì e il bagno è occupato) di tutti gli altri. La personalità estroversa, infatti, tende maggiormente a uniformarsi al gruppo e a adattarsi alle circostanze rispetto a quella introversa, che invece, distanziandosi dal mondo esterno e ripiegandosi su se stessa, è molto più in sintonia con la propria singolarità.
Anytime I grow nauseous at the sight of a rainbow or hear a pop song that makes my ears bleed, I’ll think of you.
Ora, come Ron Swanson ha a che fare con Leslie Knope, un concentrato di ottimismo, iniziative, stimoli e attività di gruppo, così Mercoledì ha Enid Sinclair, che di Leslie è la versione licantropa.
Mercoledì ed Enid, nuvola di tempesta una e raggio di sole l’altra, non potrebbero essere più antitetiche: sempre in nero la prima, coloratissima la seconda; l’una con una visione assolutamente cinica e disillusa del mondo e uno spiccato gusto per il macabro, l’altra ottimista, spensierata ed euforica. E, ovviamente, Mercoledì campionessa di introversione come Enid lo è di estroversione.
Because we work. We shouldn’t, but we do. It’s like some sort of weird, friendship anomaly.
E però funzionano. Funzionano perché entrambe comprendono le loro rispettive esigenze.
Enid rispetta il desiderio di Mercoledì di non essere abbracciata; non questiona la risposta di Mercoledì di voler passare il tempo a scrivere anziché andare alla pizzata (se invece avesse detto “Eddai, su, scriverai un’altra volta” sarebbe finita sul libro nero della compagna di stanza per direttissima, e a ragione); al tifo indiavolato sugli spalti le propone l’alternativa più coerente del “lanciare occhiatacce angoscianti”; la sciarpa-cappuccio che le regala è nera e non rosa come la sua; quando le estende l’invito delle altre del dormitorio a passare un po’ di tempo insieme alla luce della vittoria della Coppa Poe, non l’assilla per farla venire e le lascia la facoltà di decidere in autonomia in base a ciò che è meglio per lei. L’abbraccio ricambiato del season finale è espressione della volontà non coartata di Mercoledì, e nasce proprio, tra le altre cose, anche da questo atteggiamento di non imposizione.
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Dal canto suo, Mercoledì sposta la bacheca con le foto dei delitti del mostro dalla loro camera al capanno delle api, perché Enid si sentiva a disagio a vedere arti smembrati e organi sparsi; quando Enid si ritrasferisce nella loro stanza dopo il litigio, Mercoledì non le fa usare il nastro adesivo per dividere a metà le loro rispettive zone, così rendendo meno netti i confini tra la socialità dell’amica e la sua riservatezza; all’invito per i festeggiamenti non le spara un no secco ma un conciliante “Ci penserò” (e vi assicuro che è roba grossa).
E quando Mercoledì ne ricambia l’abbraccio, quel gesto contemporaneamente piccolo ed enorme al tempo stesso (consente, ma non ricambia, nemmeno quelli di Pugsley — e Morticia stessa, conoscendo e rispettando i confini posti dalla figlia, si limita a sfiorarla appena) è la sintesi di un processo dialettico innescato dalla loro prima scena nell’episodio pilota: così come Enid ha sempre rinunciato al proprio bisogno di contatto fisico per rispettare l’opposta esigenza di Mercoledì, così Mercoledì rinuncia al proprio bisogno di mantenere una materiale distanza tra le persone per soddisfare la necessità emotiva dell’altra.
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Nella serie, Mercoledì è costantemente spinta al di fuori della sua comfort zone. Tuttavia Enid, nei limiti di quanto le è possibile, cerca sempre di fare in modo che resti a suo agio in una situazione che, di base, per Mercoledì è di disagio.
Being your friend should come with a warning label.
Maneggiare un introverso è complicato: siamo proiettati all’interno, siamo riflessivi, preferiamo la comunicazione scritta a quella parlata (io, giuro, non ho mai inviato un vocale in vita mia) perché ci consente una maggiore ponderazione, e abbiamo bisogno dei nostri tempi per processare le istanze di socialità che vengono da fuori. A volte acconsentiamo, altre volte no (con tutti i dubbi, i dilemmi e i tormenti che ne conseguono: sia che diciamo la verità — capiranno le nostre esigenze?, sia che inventiamo una balla — e se ci sgamano?, è una situazione in cui davvero non si vince). E quello che spesso è percepito come egoismo, in realtà è solo autoconservazione.
Il modo migliore per trattare un estroverso è di non stargli addosso e di lasciargli spazio di manovra: perché ancor prima che l'estroverso finisca di formulare una proposta social, anche fosse un’apparentemente innocua serata di giochi da tavolo (che innocua non è mai: comporta comunque un notevole dispendio di energie mentali e forse proprio in quel momento l'introverso sta viaggiando con la spia della riserva accesa), il nostro cervello avrà già elaborato almeno otto diversi piani di fuga che neanche Matteo Messina Denaro, e scuse che neanche Berlusconi quando si avvicina la data di un’udienza in tribunale. Poi, oh, se poco poco Jenna Ortega per questo ruolo vince davvero il Golden Globe e mi dicono di andare in piazza con le vuvuzelas a festeggiare come un molesto (ed estroverso, direi molesto perché estroverso) tifoso del pallone qualsiasi, allora il tempo di mettermi le scarpe e arrivo, ma questo è proprio un caso limite.
Subito dopo i piani di fuga, il cervello dell’introverso elaborerà tutti i pro (in genere pochi, ma per onestà intellettuale li valuta comunque) e i contro (di solito molti di più) che quell’occasione di socialità gli comporterebbe, e infine gli passeranno davanti fracchi di scenari apocalittici innescati dall’eventualità di un suo “no”: dall’incrinatura irrimediabile dell’amicizia fino a una possibile strafexpedition di un commando armato (ma moriremmo contenti di aver dimostrato che esistono i sociopatici anche tra le file degli estroversi, checché ne dicano i giornalisti).
Ora, va detto che il più delle volte questi scenari tragici sono solo nella nostra testa, ma l’introverso, per la sua natura rimuginatoria tendente a ingigantire ogni questione, quasi sempre difetta degli strumenti per comprenderlo. L’unica sua speranza di campare abbastanza sereno è di essere fortunato abbastanza da avere delle Enid tra le sue amicizie.
Io, per fortuna, ce le ho. E in questo mondo estroversonormativo poco non è.
E intanto che mi godo la meritata calma dopo la tempesta natalizia, sperando che duri almeno fino a Pasqua ferragosto Natale prossimo, introversi di tutto il mondo, uniamoci!
Ognuno a casa sua.
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Ricordati di tua madre e tuo padre, e della tua prima menzogna, il cui odore indiscreto striscia nella tua memoria.
Ricordati del tuo primo insulto a coloro che ti fecero : il germe dell'orgoglio era seminato, la frattura splendeva, spezzando la notte una.
Ricordati delle sere di terrore quando il pensiero del nulla ti attanagliava al ventre, e sempre tornava a rodertelo, come un avvoltoio; e ricordati dei mattini di sole nella stanza.
Ricordati della notte di liberazione, quando, il tuo corpo sciolto cadendo come una vela, tu respirasti un po dell'aria incorruttibile; e ricordati degli animali vischiosi che t'hanno ripreso.
Ricordati delle magie, dei veleni e dei sogni tenaci; -volevi vedere, serravi i tuoi due occhi per vedere, senza saper aprire l'altro.
Ricordati dei tuoi complici e dei vostri inganni e di quel gran desiderio di uscire dalla gabbia.
Ricordati del giorno in cui sfondasti la tela e fosti preso vivo, inchiodato nello strepito di strepiti delle ruote di ruote che girano senza girare, tu dentro, ghermito sempre dal medesimo attimo immobile, ripetuto, ripetuto, e il tempo non faceva che un giro, tutto girava in tre sensi innumerabili, il tempo si allacciava a ritroso, e gli occhi di carne non vedevano che un sogno, non esisteva che il silenzio divorante, le parole erano pelli seccate, e il rumore, il sì, il rumore, il no, l'urlo visibile nero della macchina ti negava, - il grido silenzioso " io sono " che l'osso intende, di cui la pietra muore, di cui ciò che non fu mai crede morire, - e tu a ogni attimo non rinascevi che per essere negato dal gran cerchio senza limiti, puro tutto, tutto centro, puro ad esclusione di te.
E ricordati, dei giorni che seguirono, quando camminavi come un cadavere stregato, con la certezza d'essere mangiato dall'infinito, d'essere annullato dal solo esistente, l' Assurdo.
E soprattutto ricordati del giorno che volesti gettare ogni cosa, in qualunque modo, - ma un guardiano vegliava nella tua notte, vegliava quando sognavi, ti ha fatto toccare la tua carne, ti ha fatto ricordare dei tuoi cari, ti ha fatto raccattare i tuoi cenci, - ricordati del tuo guardiano.
Ricordati del bel miraggio dei concetti, e delle parole commoventi, palazzo di specchi costruito in una cantina; e ricordati dell'uomo che arrivò, che spaccò tutto, che ti prese con la sua mano rude e ti tirò fuori dai tuoi sogni e ti fece sedere tra le spine del pieno giorno; e ricordati di non saper ricordare.
Ricordati che tutto si paga, ricordati della tua felicità, ma quando il tuo cuore fu schiacciato, era troppo tardi per pagare in anticipo.
Ricordati dell'amico che porgeva la sua ragione per raccogliere le tue lagrime, sgorgate dalla sorgente gelata che il sole della primavera violava.
Ricordati che l'amore trionfò quando lei e tu sapeste sottomettervi al suo fuoco geloso, pregando di morire nella stessa fiamma.
Ma ricordati che amore non è di nessuno, che nel tuo cuore di carne non vi è nessuno, arrossisci guardando il pantano del tuo cuore.
Ricordati delle mattine in cui la grazia era come un bastone brandito, che ti conduceva sottomesso attraverso le sue giornate, - felice la mandria sotto il giogo!
E ricordati che la tua povera memoria tra le sue dita torpide lasciò scappare il pesce d'oro.
Ricordati di quelli che ti dicono: ricordati, - ricordati della voce che ti diceva : non cadere, - e ricordati del piacere dubbio della caduta.
Ricordati mia povera memoria, delle due facce della medaglia, - e del suo metallo unico.
(1942)
Memorabilia
René Daumal - I poteri della parola
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cinquecolonnemagazine · 5 months
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I capolavori del cinema italiano da scoprire e rivedere
Lo streaming e la televisione, che ci offrono una vasta gamma di opzioni cinematografiche a portata di clic, ci danno l'opportunità di scoprire e apprezzare tanti capolavori del cinema italiano degli ultimi anni. Con le festività natalizie e qualche giorno libero in più, è il momento ideale per dedicarsi alla visione di quei film che, nel trambusto quotidiano, spesso finiamo per trascurare. I capolavori del cinema italiano da scoprire e riscoprire Dunque non resta che mettersi comodi sul divano telecomando alla mano. Non dimenticate la copertina e una tisana calda rilassante (o digestiva, considerato il momento). Se l'offerta è troppo ampia e avete l'imbarazzo della scelta vi diamo noi qualche suggerimento. Dogman (2018) di Matteo Garrone. In uno dei tratti più abbandonati del litorale domitio, si snoda la storia del perverso rapporto tra un carnefice e la sua vittima. Vittima che finirà per ribellarsi facendo emergere il lato più animalesco di sé. La cruda pellicola, liberamente ispirata a un fatto di cronaca quale l'omicidio del Canaro, offre le brillanti interpretazioni di Marcello Fonte e Edoardo Pesce. Chiamami con il tuo nome (2017) di Luca Guadagnino. Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di André Aciman, il film racconta con delicatezza, la struggente storia d'amore tra Elio e Oliver nata in una lenta e assonnata estate. La narrazione è sempre più intensa a mano a mano che ci si avvicina al finale. Il traditore (2019) di Marco Bellocchio. Regista che si è più volte confrontato con le pagine più oscure della storia italiana del secondo Novecento, Bellocchio ci propone un ritratto del mafioso Tommaso Buscetta. In questa pellicola ci restituisce una ricostruzione della sua vita dai tempi d'oro fino alla collaborazione con il magistrato Giovanni Falcone. Anche questo film si distingue, tra l'altro, per una grande prova attoriale di Pierfrancesco Favino. Il giovane favoloso (2014) di Mario Martone. Cambiamo decisamente genere ed epoca con il film di Martone sulla vita di Giacomo Leopardi. Uno strepitoso Elio Germano incarna lo scrittore e poeta con tutto il suo travaglio fisico ed esistenziale. Un animo sensibile in aperto contrasto con la fragilità del suo corpo e la superficialità del mondo che lo circonda. Smetto quando voglio (2014) di Sydney Sibilia. Sono alquanto amare le risate che questa pellicola ci ispira. Le avventure della sgangherata banda di ricercatori dell'Università della Sapienza di Roma mette in luce tutta la precarietà del mondo della ricerca in Italia. Narra, a suon di battute, il triste destino di tanti giovani italiani i cui sogni, dopo tanti anni di studio, si infrangono di fronte alla triste realtà. Il film inaugura una trilogia tutta da ridere. Perfetti sconosciuti (2016) di Paolo Genovese. Metti una sera a cena tra amici in cui si decide di condividere i messaggi che arrivano al proprio cellulare. Da quel momento si scoprono retroscena e segreti che nessuno avrebbe mai sospettato. Nessuno si salverà. La pellicola cult di Genovese mette in luce un altro aspetto dei nostri tempi: l'esistenza di tre sfere, la pubblica, la privata e la segreta. Read the full article
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lamilanomagazine · 11 months
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Bari: dal 30 giugno al 2 luglio la terza edizione di Lunogmare di libri, domani l'anteprima a Spazio Murat con la performance "Sussurra luce"
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Bari: dal 30 giugno al 2 luglio la terza edizione di Lunogmare di libri, domani l'anteprima a Spazio Murat con la performance "Sussurra luce". La terza edizione di “Lungomare di libri” si svolgerà nello Spazio Murat, in piazza del Ferrarese, alle ore 21. In programma la performance Sussurra Luce, con Francesco Cavaliere e Spencer Clark, un progetto di Fantom che esplora le relazioni tra suono, parola, voce, media e tecnologia. Per assistere alla performance Sussurra Luce è richiesto l'acquisto di un biglietto d'ingresso (in prevendita pari a 14 euro, al botteghino pari a 18 euro). All’evento interverrà l’assessora comunale alle Culture Ines Pierucci. La terza edizione di “Lungomare di libri” entrerà nel vivo da venerdì 30 giugno, quando Bari si trasformerà ancora una volta in una grande libreria a cielo aperto - grazie alla presenza di librai ed editori del territorio - e in un crocevia di incontri con autrici e autori da tutta l’Italia, nei luoghi simbolo della città: nella città vecchia e lungo la Muraglia, da largo Vito Maurogiovanni al Fortino Sant’Antonio, fino a Piazza del Ferrarese, all’ex Mercato del Pesce e allo Spazio Murat. Lungomare di libri continuerà sino a domenica 2 luglio attorno al tema “La fantasia è un posto dove ci piove dentro”, per esplorare insieme il grande potere dell’immaginazione e per rendere omaggio a Italo Calvino a cent’anni dalla nascita, attraverso le suggestioni che scaturiscono da questa sua citazione tratta dalle Lezioni americane. Ma anche per proseguire la riflessione iniziata al Salone Internazionale del Libro di Torino (con il tema “Attraverso lo specchio”) sulla necessità di immaginare nuovi mondi e nuove realtà, per meglio affrontare e superare un’epoca caratterizzata da conflitti sociali, politici ed economici, con la consapevolezza che la creatività porta con sé il potere di sperimentare vie e strade originali, per guidarci in un mondo più libero da limiti, convenzioni, arricchendo vite, sogni, prospettive. Presentazioni editoriali, lezioni magistrali, convegni, momenti di approfondimento, azioni pittoriche, attività per bambine e bambini, consigli di lettura e reading si alterneranno nell’arco di tre giorni, dal pomeriggio alla sera, per dare slancio alla fantasia attraverso la lettura e i tanti linguaggi della scrittura, dai romanzi ai saggi, dai libri per ragazze e ragazzi, passando per le serie televisive e i podcast. I temi affrontati spaziano dalle questioni di respiro sociale e collettivo agli argomenti più intimi e personali, tra cui l’accoglienza e la solidarietà, le biblioteche come cuori pulsanti di cultura e aggregazione, i meccanismi del potere governativo, il rilancio dell’economia, la precarietà non solo economica, ma anche sociale, sanitaria e geopolitica, l’impegno civile, la rinascita personale, le sfide verso l’ignoto e il coraggio di superare i propri limiti. La terza edizione di Lungomare di libri è promossa dal Comune di Bari, assessorato alle Culture e dall’associazione I Presìdi del libro, con il sostegno della Regione Puglia, dipartimento Turismo, Economia della cultura e Valorizzazione del territorio ed è organizzata dal Salone Internazionale del Libro di Torino, insieme ai librai di Bari e provincia, alle case editrici pugliesi con l’organizzazione dell’APE - Associazione Pugliese Editori e la partnership di Fondazione Puglia. Quest’anno Lungomare di libri si arricchisce della collaborazione di Trenitalia-Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Confindustria Puglia, Confindustria Bari e BAT; Sponsor Food Lifestyle e Design Lifestyle. Un progetto di promozione del libro e della lettura ispirato alla fortunata formula di “Portici di Carta” a Torino, che passa attraverso la promozione turistica dei centri storici cittadini e il coinvolgimento delle fertili realtà territoriali della filiera editoriale, come le librerie indipendenti, le biblioteche e gli editori locali. Programma: Quasi 50 ospiti in tre giornate per più di 30 appuntamenti dedicati ai grandi e ai più piccoli, tra la terrazza del Fortino di Sant’Antonio, largo Vito Maurogiovanni, piazza del Ferrarese e l’ex Mercato del Pesce. Sulla Muraglia, nel tratto compreso tra piazza del Ferrarese e largo Vito Maurogiovanni, torna il caratteristico serpentone con 35 casette complessive, che ospitano 23 librerie di Bari e della Città metropolitana e 39 editori pugliesi associati ad APE. La manifestazione prende il via venerdì 30 giugno, alle ore 18, in piazza del Ferrarese, con la grande azione di pittura collettiva VisibileInvisibile. Skyline, a cura del dipartimento Educazione del Castello di Rivoli in collaborazione con Salone Internazionale del Libro di Torino e la rete Bari Social Book, ispirata all’immaginario delle Città invisibili di Italo Calvino. Linee, forme e colori, sulla vasta superficie pittorica, daranno vita a un inedito skyline ottenuto componendo, su un’unica linea d’orizzonte visivo, tra realtà e immaginazione letteraria, anche gli edifici e i monumenti più suggestivi di Bari, città che ospita l’evento, e di Torino, da anni capitale internazionale del libro. Tra gli ospiti attesi di venerdì 30 giugno: Antonella Agnoli, tra le massime esperte di progettazione di biblioteche in Italia, con una lezione tratta dal suo nuovo saggio La casa di tutti. Città e biblioteche (Laterza); l’autore per bambine e bambine Gianluca Caporaso con Il signor Conchiglia (Salani), fiaba poetica ispirata alla storia di Aylan Kurdi, il bimbo profugo ritrovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum; la giornalista Anna Puricella con il suo nuovo thriller Monteruga (Fandango) ambientato in Salento; lo storico e grecista Luciano Canfora che, partendo dal suo ultimo lavoro Sovranità limitata (Laterza, 2023), proporrà un ritratto della politica attuale italiana e una riflessione sulle scelte atlantiste in politica estera; l’esordiente Beatrice Salvioni, caso letterario dell’anno, non solo italiano, con La malnata (Einaudi), già tradotto in più di trenta Paesi e in procinto di diventare una serie televisiva; i librai di Lungomare di Libri, coordinati da Rocco Pinto, con i loro consigli di lettura. Tra le autrici e gli autori in programma sabato 1 luglio: Il Premio Andersen Arianna Papini con letture, animazioni e laboratori per bambine e bambini; l’economista Gianfranco Viesti, che si interrogherà su una domanda attuale e strategica: Riuscirà il PNRR a rilanciare l’Italia? (Donzelli); il critico musicale e conduttore radiofonico di Radio Due Gino Castaldo, in occasione dell’uscita di Il cielo bruciava di stelle. La stagione magica dei cantautori italiani (Mondadori), che si apre con il giorno in cui furono rapiti Fabrizio De André e Dori Ghezzi; Marino Sinibaldi, già direttore di Rai Radio Tre e ora presidente del Cepell-Centro per il libro e la lettura, che presenterà il settimo numero della rivista da lui diretta Sotto il vulcano (Feltrinelli), intitolato Sopravvissuti e curato da Paolo Giordano, e il suo nuovo podcast Timbuctu prodotto da Il Post, in dialogo con Gaetano Prisciantelli; l’economista Carlo Cottarelli, ora in libreria con Chimere. Sogni e fallimenti dell’economia (Feltrinelli), in cui analizza le forze economiche che governano la vita di tutti i giorni, esaminando sette grandi sogni e altrettanti fallimenti; la scrittrice Claudia Durastanti, che attraverso una lectio magistralis racconterà, a cento anni dalla sua nascita, la figura di Rocco Scotellaro, poeta e scrittore lucano dal grande impegno civile e sociale e dalla poetica impregnata di cultura contadina; Silvia Cassioli con Il capro (Il Saggiatore), romanzo sull’orrore incomprensibile che fu la serie di delitti del Mostro di Firenze; i librai di Lungomare di libri, coordinati da Rocco Pinto, con i loro consigli di lettura. Domenica 2 luglio sono attesi: Domenico Scarpa con il nuovo libro Calvino fa la conchiglia. La costruzione di uno scrittore (Hoepli), frutto di una ricerca ventennale e scavi d’archivio, che restituisce tutti gli Italo Calvino che si sono presentati al lettore in forme sempre diverse; Gabriella Genisi, scrittrice amatissima come la protagonista dei suoi gialli Lolita Lobosco, ora in libreria con una nuova avventura della marescialla Chicca Lopez in L’angelo di Castelforte alle prese con un mistero in stile Agatha Christie (Rizzoli); lo scrittore e critico letterario Silvio Perrella con un’intervista impossibile a Italo Calvino e accompagnata da letture a due voci, con Lea Durante; la giovanissima Sara Ciafardoni, bookstagrammer (@lasarabooks) e autrice di La ragazza che scrive, edito da Mondadori Electa (primo titolo di Electa Young, nuova collana dedicata agli adolescenti e scritta da adolescenti); Cristina Cassar Scalia, dal 27 giugno in libreria con la vicequestore Vanina Guarrasi, per la nuova avventura noir in La banda dei Carusi (Einaudi); lo scrittore Fabio Genovesi, che ha appena pubblicato il romanzo Oro puro (Mondadori), in cui narra la navigazione di Cristoforo Colombo come una grande avventura umana, esistenziale e sentimentale; il Premio Andersen Arianna Papini con letture, animazioni e laboratori per bambine e bambini; la presentazione della rivista Arab Pop (Tau Edizioni). L’ex Mercato del Pesce e Spazio Murat saranno il quartier generale degli incontri organizzati da APE - Associazione Pugliesi Editori, nei tre giorni di Lungomare di libri, dalle ore 18 alle ore 24: 39 case editrici del territorio si racconteranno attraverso le loro autrici e i loro autori e le tante novità editoriali. Lo spazio accoglierà anche laboratori e attività per bambini, grazie alla presenza del dipartimento Educazione del Castello di Rivoli e di Bari Social Book - assessorato al Welfare del Comune di Bari. In particolare si ricordano i laboratori venerdì 1 e sabato 2 luglio, proposti dal Premio Andersen Arianna Papini, illustratrice ospite di questa edizione, autrice oltre quaranta titoli, pubblicati con diversi editori di libri per l’infanzia, come Kalandraka, Fatatrac, Lapis, Uovonero, Donzelli, Coccole e Caccole. Saranno occasioni speciali affinché i più piccoli possano imparare a coltivare la fantasia, a lasciare che le idee fluiscano libere e si trasformino in storie. Novità di quest’anno sarà il dopoLungomare, tra musica e letteratura, grazie alla presenza della conduttrice Margherita Schirmacher con il suo camper letterario Ticket to Read, già apprezzato da lettrici e lettori al Salone Internazionale del Libro di Torino (in collaborazione con Chausson Italia). Ogni sera, a partire dalle ore 23, si esplorerà, insieme a ospiti dal mondo del cantautorato contemporaneo, un lato meno conosciuto di Italo Calvino, quello di autore di canzoni, grazie all’esperienza di Cantacronache, progetto musicale di Emilio Jona, Sergio Liberovici, Michele Straniero, Margot, cui collaborarono anche, tra gli altri, Umberto Eco, Franco Fortini e Gianni Rodari, che lanciò la canzone d’autore italiana. Il 30 giugno sarà ospite Pino Marino, il 1 luglio Carlo Valente e il 2 luglio Lorenzo Lepore. Il 30 giugno e il 1 luglio si unirà la giornalista musicale Laura Rizzo. Grazie alla partnership con il Regionale di Trenitalia, i viaggiatori che arriveranno a Bari in treno, per partecipare a Lungomare di libri, potranno ricevere in omaggio un romanzo tra quelli editi dal Salone del libro per il progetto Un libro tante scuole (La peste di Albert Camus con introduzione di Alessandro Piperno e L’isola di Arturo di Elsa Morante con introduzione di Dacia Maraini), a fronte dell’esibizione del biglietto di viaggio con destinazione Bari nei giorni della manifestazione (i libri sono a disposizione per i primi 300 viaggiatori che si presenteranno all’infopoint della manifestazione situato allo Spazio Murat dalle ore 18 alle 20). Info dettagliate su trenitalia.com. Al Museo Civico di Bari dal 23 giugno al 3 settembre Lungomare di libri accoglie la mostra collettiva dedicata a Raffaella Carrà dal titolo Raffaella icona dell’arte che celebra, attraverso le opere di venti artisti, “la più amata dagli italiani”. È organizzata da Informacittà, l’arte di comunicare – Firenze e Museo Civico di Bari, a cura di Maria Paternostro e Silvia Minelli, con la direzione artistica di Francesco Carofiglio. In esposizione i lavori di: Vauro, Lediesis, Alex Laben, Carla Bruttini, Audace.socialclub, simon_thegraphic, Il Grande Flagello, @stefano menicagli, Gabriel Ebensperger, @ Kelly Kantanoleon, Daria Derakhshan, Zelda Bomba, Giancarlo Covino, Donald Soffritti, Steo Disney, Andrea Mattiello, @miss quark, @elisabetta raineri, Michele Volpicella, Andrea Giacopuzzi. Info: museocivicobari.it.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 1 year
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John Fante, nella California degli emigranti
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Lo scrittore che raccontò il lato inedito della California… John Fante nacque a Denver, in Colorado, l’8 aprile 1909 da una povera famiglia d’origini italiane.  Il padre, Nick, un muratore di Torricella Peligna, nell’Abruzzo meridionale, era emigrato  negli Stati Uniti nei primi anni del Novecento, dove sposò Mary Capolungo, italoamericana, nata a Chicago, figlia di un sarto lucano. Il piccolo John, primo dei quattro figli, visse la sua infanzia a Boulder e nel 1927 si diplomò al Regis High School di Denver, dai Gesuiti, poi iniziò a frequentare l’Università del Colorado senza mai ultimare gli studi. Negli anni Trenta, ventenne, Fante si trasferì in California, a Wilmington, nei pressi del porto di Los Angeles, dove seguì alcuni corsi di scrittura all’Università di Long Beach, per diventare scrittore. In questo periodo, H. L. Mencken, uno dei critici più autorevoli, lo incoraggiò a scrivere e pubblicò alcuni dei suoi racconti sulla nota rivista The American Mercury, tra cui Chierichetto. A Los Angeles, Fante alterò il mestiere di  scrittore a lavori come il  lavapiatti, il fattorino d’albergo, l’operaio nelle fabbriche di scatolame di pesce. Negli anni Trenta, Nick e Mary si trasferirono a Rosenville, una tranquilla cittadina californiana dove John conobbe la moglie, Joyce Smart, una delle prime donne laureate alla Stanford University. La famiglia Smart, costituita da ricchi proprietari terrieri anglosassoni, non vide di buon occhio la relazione della figlia con il giovane scrittore e il 31 luglio 1937 i due innamorati decisero di sposarsi in segreto a Reno, nel Nevada, e di trasferirsi a Los Angeles, dove ebbero quattro figli. Dopo la stesura del suo primo romanzo,  La strada per Los Angeles, poi uscito postumo, Fante pubblicò nel 1938   Aspetta primavera, Bandini,  considerato dalla critica americana tra i migliori libri dell’anno. Nel 1939 fu la volta di Chiedi alla polvere, il suo capolavoro, tradotto anche in Italia e un ’anno dopo, la casa editrice Viking di New York diede alla stampa la sua prima raccolta di racconti, Dago Red. Parallelamente a quella di scrittore, Fante intraprese la professione di sceneggiatore, collaborando con registi del calibro di Edward Dmytryk e Orson Welles. Alla fine degli anni Trenta, Fante si dedicò ad un progetto che considerava decisivo per la sua carriera di scrittore, sugli emigrati filippini della California per il quale firmò un nuovo contratto con Pascal Covici della Viking, il quale però, dopo avere letto alcune stesure del romanzo, rifiutò di pubblicarlo. Amareggiato, Fante per dieci anni si concentrò esclusivamente sul suo lavoro di sceneggiatore e in una vita di eccessi, dedita al gioco d’azzardo, al golf e all’alcool. Bisogna aspettare gli anni Cinquanta per il romanzo Full of Life, che uscì nel 1952 e diventa subito un best-seller tradotto in numerosi paesi, che si trasformò in un film, diretto da Richard Quine, che diede Fante un’ulteriore opportunità economica. Nel 1957 e nel 1960 John andò in Italia per lavorare con il produttore italiano Dino De Laurentiis e li scrisse il film  Il re di Poggioreale, diretto da Diulio Coletti. In quegli anni Fante scrisse La confraternita dell’uva, romanzo sulla figura del padre tra i più belli della letteratura mondiale secondo il critico Francesco Durante,  pubblicato solo nel 1977, mentre Un anno terribile e  Il mio cane stupido usciranno postumi. Anche se era afflitto da una grave forma di diabete che lo ha rese cieco e disabile, nel 1979 John decise di scrivere un nuovo romanzo e iniziò a dettare alla moglie quello che fu il suo ultimo romanzo,  Sogni di Bunker Hill, pubblicato dalla Black Sparrow nel 1982. John Fante morì l’8 maggio 1983, qualche mese dopo la ristampa di Aspetta Primavera, Bandini. Read the full article
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Pianeta Terra, 2023.
Oggi il mondo è diverso. Tremendamente diverso, ed è in continua evoluzione.
La società va veloce, il consumismo dilaga, ma la noia pure…
Certe cose sembrano essersi perse per sempre, altre dimenticate senza possibilità di recupero mentre per altre c’è un disperato bisogno di ritorno dal passato….
E’ proprio sulle ultime che ci sono grandi possibilità nel marketing di oggi.
Ma una cosa è certa: il prodotto ha stancato di brutto.
Che noia, che barba, che barba, che noia! citando la mitica Sandra Mondaini: che noia voi col vostro migliore frullatore dell'anno in corso, voi con l’auto più comoda del mondo, voi che usate le migliori materie prime per il vostro ristorante, voi con la carne più buona che c’è in giro e le farine migliori per le vostre pizze…
Il prodotto ha rotto!
Vediamo perché.
La storia di un declino: i giorni migliori (e peggiori) dei prodotti nel commercio, dal ‘900 a oggi.
Siamo nella metà del Novecento col nel primo marketing 1.0 del boom commerciale. Per capirsi le prime pubblicità, in cui si incentrava tutto sul prodotto: in altre parole raccontiamo perché è bellissimo, cosa ha di speciale e quanto è straordinario quello che vendiamo.
La necessità era massimizzare i profitti e arrivare primi, sgomitando il più possibile fino a consumare la pazienza.
Si capisce agilmente quanto questo tipo di approccio abbia ben presto stancato e abbia reso saturo il mercato di ''scegli me! scegli me!''.
Nel marketing 2.0, impostosi con forza negli ultimi anni del Novecento, avviene un cambio di rotta drastico: dal focus tutto sul prodotto si passa al focus sul consumatore, il vero e unico utente finale di tutto lo sforzo di pubblicitari e addetti ai lavori (anche il mio).
‘’Tu consumatore adorato sei al centro, tu con la tua vita, i tuoi sogni, le tue speranze, le tue paure, dimmi di cosa hai bisogno e io ti accontenterò! Ma, naturalmente, sappi che il mio prodotto può migliorarti le cose in modo consistente’’.
Attenzione: il prodotto ora entro solo dalla porta di servizio e non da quella principale.
Per fare questo, nasce un’arma potente: lo storytelling, la pistola che ogni copywriter, ovvero l’esperto di scrittura sul web, ha nella cintura (anche io).
E come se non bastasse, la visione commerciale fortemente antropocentrica fa sviluppare anche una scienza, il neuromarketing, che studia il cervello per colpirne i punti deboli, proprio con la pubblicità e i contenuti audio/video.
Sta diventando angosciante, vero? Io che l’ho studiato confermo: è tanto potente quanto angosciante, ma esiste.
Ma è con l’avvento di internet e l’inaugurazione del marketing 3.0 alle soglie del Duemila che si spalancano le porte di infinite possibilità, ma anche di pericolosi strumenti a doppio taglio.
Infatti, la nascita del world wide web (www) e la sempre maggiore condivisione di esperienze, feedback e recensioni sono ora in grado di far volare o precipitare qualunque azienda con un click.
Dal 2010 ad oggi, il marketing 4.0 diventa emozionale. Ed è quello che cavalchiamo oggi.
Il prodotto quasi non esiste più.
Oggi puntiamo alla suggestione del pubblico, alle emozioni, attraverso tecniche testate e studiate, aggiornate continuamente, di cui l’utente è inconsapevolmente vittima più volte al giorno.
Rispondere creando forti connessioni con il branding.
Oggi, le aziende che vogliono sopravvivere non possono più fare da sole ma si devono affidare a un esperto della materia che sappia dove mettere le mani.
‘’Ma io ho il prodotto migliore del mondo, maledizione!’’ puoi replicare.
Cattive notizie. Hai almeno un altro competitor che ti darà sempre filo da torcere, che arriverà ad avere il tuo stesso prodotto nel giro di pochi anni o addirittura migliore.
Sei un ristoratore e hai il pesce più fresco del territorio?
Cattive notizie anche per te: non basta più per essere il primo locale dove la gente verrà a mangiare, non basta più per essere veramente competitivi.
Sei un libero professionista e offri un servizio a un prezzo che reputi giusto?
Bad news anche per te: altri mille competitors ti stanno già copiando, aggiungendo anche qualcosa in più che ti soffierà sotto il naso i clienti, anche quelli più affezionati.
Quindi come fare se il prodotto non basta più?
Con una forte attività di branding, tanto per cominciare, di cui mi posso occupare in quanto Social Media Manager. E con altre tecniche di marketing più moderno, molto sottili, dall'aspetto innocuo, che però colpiscono profondamente la mente del consumatore.
I consumatori sono cambiati. E noi dobbiamo stare al passo.
Quando ho cominciato a studiare per fare il SMM, sono rimasta affascinata dagli studi che ci sono dietro le persone per fare il mio lavoro. E le mie esperienze nel turismo e nel commercio mi avevano già messo sotto gli occhi importanti indizi.
Oggi l’utente è:
decisamente impaziente
molto attento
molto più esigente di prima.
Oggi, il consumatore:
non ha più tempo da perdere
ha mille possibilità di scelta per lo stesso identico prodotto e servizio
decine di prezzi allettanti e offerte ovunque
una confusione maledetta in testa.
Già, perché oggi l’enorme disponibilità di scelta che ognuno di noi ha dalla semplice scelta di un biscotto per la colazione a quella di un albergo per le vacanze, ci ha confuso tantissimo, mandandoci in qualche caso alla disperazione.
E soprattutto, il consumatore non dà seconde chances: bisogna sapersi giocare bene la prima e poi coltivare la sua fidelizzazione, con la pazienza e la dedizione dell’agricoltore con le piantine dell’orto.
Oggi, non importa quanto sia nato con cura e dedizione, il tuo prodotto non interessa più....
...perchè ora ai consumatori interessano dei perché, e tutti molto validi, per scegliere la tua attività da ristoratore, il tuo marchio da produttore, la tua consulenza da libero professionista.
E qui entro in gioco io, che do loro quello che vogliono: dei motivi e tutti molto validi, utilizzando le mie conoscenze unite a degli strumenti potenti di cui si ignorano ancora le potenzialità nel business: i social media.
Il mio lavoro è quello di sgombrare le nuvole della confusione e indicare la via, che è quella dell’azienda con cui lavoro. Quella è la scelta.
Il mio lavoro è dare loro tutti quegli ottimi motivi per scegliere te, la tua attività, i tuoi servizi.
E di non andare più da nessun altro.
La fidelizzazione passa anche dai social, le qualità del tuo prodotto non bastano più e bisogna correre ai ripari.
Vuoi capire come potremmo fare per la tua attività?
Contattami per parlarne.
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levysoft · 1 year
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Dobbiamo prestare tanta attenzione ad un pesce piuttosto simile all’orata, ma che in realtà può provocare effetti allucinogeni: si chiama Sarpa salma o salpa, nota anche con il nome di ‘pesce dei sogni’. La salpa è uno sparide appartenente al Genere Sarpa, vive nell’Oceano Atlantico Orientale e nel Mar Mediterraneo, di solito nei primi 20 metri d’acqua. Si nutre di invertebrati, quando è piccola, e principalmente di lattuga di mare, quando è adulta.
Sappiamo molto bene che nutrirsi di pesce fa molto bene al nostro organismo, in quanto è ricco di proteine, omega 3, fosforo, selenio e vitamine. Ma è molto importante sapere che, se ingeriamo la salpa, potremmo avere allucinazioni sia visive che uditive. Eppure, malgrado questo, viene comunque servito in vari ristoranti della Costa Azzurra. Ad ogni modo, tali allucinazioni la maggior parte delle volte non si presentano al 100% se viene mangiata una salpa, ma vi sono stati alcuni casi di persone che l’hanno ingerita e avuto questi effetti tremendi.
Il tipo di intossicazione alimentare che provoca la salpa prende il nome di ittioalleinotossismo, si presenta poche ore dopo averla mangiata. Pare anche che non tutte le parti del corpo del pesce causino le suddette allucinazioni. Un preciso caso risale al 1982 a Marsiglia, in Francia, quando una famiglia dopo aver ingerito il pesce, avrebbe iniziato ad avere visioni di animali aggressivi. Gli effetti allucinogeni sarebbero durati per circa dieci ore. Insomma, è opportuno prestare attenzione.
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houseofdaena · 1 year
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Cuore profondo
Fermaglio dorato
Un fermaglio il cui colore è stato cancellato dalla salsedine portata dal vento. Anche un uomo che vaga tra le onde dell’ocean possiede degli oggetti e dei ricordi preziosi.
La grande nave da guerra levò l’ancora e prese il largo, e il primo ufficiale lasciò ancora una volta il porto con il comandante. Per l’assurda ricerca del comandante e per i suoi stessi ricordi annebbiati, il primo ufficiale canticchiò una scadente ballata marinara da lui composta, accompagnato dal suono delle onde e delle balene.
“Il mascalzone che rinunciò al nome di famiglia e la strega che gli diede la caccia (mai) raggiunsero il mare!”
“Il saggio fratellastro che non poteva essere erede divenne finalmente capo (ma davvero lo si può affermare?)”
“Parole che non possono essere cantate... Anch’io ho sostituito la verità con le illusioni?”
“Perdere e rinunciare a tutto, per poi affondare tra le onde...”
“...Forse questa non è la fine peggiore, dopotutto. Ahahahah!”
Brezza nostalgica
Una piuma rossa è un cattivo presagio, forse addirittura di morte. Un giorno giunse a riva insieme alla carcassa di una grande creatura marina.
Il cinico primo ufficiale non era originario di Liyue. Veniva da una terra grigia governata da un’aristocrazia. Tutti dicevano che anche lui un tempo fosse un nobile, ma che doveva essere stato cacciato per aver disonorato la propria casata. Tuttavia, questa non era altro che una diceria infondata, poiché quando arrivò al porto per la prima volta, non portava altro che una spada sottile e una piccola piuma blu zaffiro appuntata sul mantello.
In seguito, il nomade si sarebbe unito al comandante e avrebbe preso il largo, affrontando grandi onde e creature marine. Anche quella piuma, un tempo azzurra, si sarebbe macchiata di sangue e del sale del grande oceano.
Nei suoi ultimi istanti, ricordò chiaramente quei giorni ora affogati nel bere. Come un tesoro nella sabbia portato alla luce dallo sciabordio delle onde...
Bussola di rame
Una bussola di rame usata da un marinaio. In una vita errabonda e continuamente in agitazione, indica la direzione in cui batte il cuore del suo proprietario.
Un tempo, il rude comandante usava questa bussola per guidare la sua enorme nave, attraversando infide rotte oceaniche e superando imponenti vortici marini. La bussola guidava anche colui il cuo odio profondo si celava dietro una risata disinvolta e che, perso e avvilito, anelava morte e alcol...
“La canzone parla di un ladro che non è riuscito a evitare la forca, non è così?”
“Finché si ha un posto a cui si appartiene, persino finire nella pancia di un pesce non è un problema...”
“Ehi, non hai firmato un contratto con questa nave una volta a bordo?”
“Il vino te l’avrà fatto dimenticare, non è vero?
“Bene, allora... È il momento di adempiere al tuo contratto.”
“È così...? Beh, va bene. Non ha più importanza ormai...”
Calice degli abissi
Una coppa di vino sbiadita ma finemente lavorata, erosa dalle sabbie nelle profondità del mare.
La raffinata coppa cadde dalla mano del primo ufficiale, dando vita a delle piccole increspature quando colpì la superficie dell’oceano. Cosa aveva visto tra i banchi di pesci nella luce morente? Cosa aveva trovato tra i vicoli silenziosi, davanti alle sbarre delle finestre intarsiate di fiori di un incontro segreto? La scura coppa dorata affondò sempre di più, nei sogni del mostro marino e in quelli del primo ufficiale...
“Un giorno ti restituirò il favore per il segno di questa umiliazione.” La luce lunare illuminò gli occhi di zaffiro e quell’impressionante cicatrice. Nei suoi ricordi, il suo volto divenne più luminoso, bello, freddo e fiero, ma aveva dimenticato ciò che aveva detto all’epoca, e di conseguenza si era improvvisamente avvilito.
“Ora che ci penso, quante volte ho dimenticato il passato?”
“Ah, ha davvero importanza come si racconta il passato?”
“Tutte le morti sono vane. È impossibile salvare ciò che è già affondato.”
Tricorno macchiato di vino
Un cappello a tricorno pregno dell’odore di alcol. La sua forma e la sua fattura simboleggiano lo status del suo proprietario.
Il primo ufficiale alcolizzato era perso nei suoi pensieri da sbronzo dal mattino alla sera, e raramente era sobrio. Puzzava di alcol e biascicava spesso ricordi confusi. Tuttavia, l’allegro comandante non lo rimproverava, anzi, continuava ad affidargli importanti responsabilità.
“Beh, siamo entrambi persone che non hanno nulla da perdere, eh?  Ahahah!”
“Il tricorno inzuppato di vino fu spinto da una tempesta in cielo, e poi portato via dal fluttuare delle onde.”
“Coloro che sono destinati a perdere la propria patria si lanciano in battaglie disperate.”
“Ciò che hanno perso nel mare della memoria, hanno cercato di recuperarlo dalle profondità.”
“Il vento e le onde sono favorevoli. L’abbiamo trovata.”
“Quella creatura gigante che mi perseguita e mi consuma anche nei miei sogni...”
“È giunta l’ora della vendetta. Salpiamo!”
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lucidiparole · 1 year
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Che poi ci avrei immaginati così In torbidi pomeriggi ad andare a pescare Sul lago di acqua dolce Perché di salato c’era stato troppo, per troppo tempo. Avremmo fatto uno dei nostri discorsi filosofici sulla vita, sul modo di intendere il rapporto Sorridendoci con la consapevolezza di aver capito Mentre l’amo ancora ci ingannava E ci costringeva ad alzarci per controllare se qualche pesce avesse abboccato. Ci avrei immaginati cosi, Invecchiando con le nostre paure, Ma mai con la voglia di tenerci. C’è stato un tempo, Di cui non ignoro l’importanza, Che le tue spalle erano la mia tela E la nostra casetta in giardino Il posto in cui custodire i sogni, Di estate o di inverno non importava Perché tanto tu avevi sempre freddo. Ed anche se hai paura dell’abbandono Tutto questo per girarmi e dirti: «Esiste un posto dove non esistono gli addii, Questo qui, Accanto a me.» #lucidiparole (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CnRuRMrrPjO/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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magicnightfall · 1 year
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ONCE UPON A MIDNIGHT DREARY, WHILE I PONDERED, WEAK AND WEARY
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Mezzanotte. C’è un orario più suggestivo? È un varco, la soglia tra ciò che è stato e ciò che sarà; l’ora in cui termina l’incantesimo della fata madrina di Cenerentola; l’ora dei baci di cui il Quartetto Cetra metteva in guardia; l’ora in cui si attiva l’assicurazione dell’auto e quella dopo la quale è consigliabile non dar da mangiare ai gremlin, ed è l’ora che se c’è qualche evento che ti interessa non sai di preciso in quale giorno scriverlo in agenda. Tutte cose che sarebbero prive della stessa suggestione se accadessero, che ne so, alle ore dieci, ore due, un quarto alle tre, tour jeté, doppia piroetta, contropiroetta, pas de deux, figura della teiera, caricamento finale ed eccola che vola!
La mezzanotte è anche l’ora in cui Edgar Allan Poe meditava stanco e affaticato sopra un raro codice obliato, e si può dire che Taylor Swift abbia fatto più o meno la stessa cosa, ma coi gatti sul letto in luogo del corvo appollaiato sul busto di Atena.
Per sua stessa definizione, Midnights, il suo decimo album, è infatti “una raccolta di musica scritta nel cuore della notte, un viaggio tra terrori e dolci sogni. I pavimenti su cui camminiamo avanti indietro e i demoni che affrontiamo.”
Un “concept album”, insomma, che ha ad oggetto quel che la tiene sveglia la notte, tra dubbi, sensi di colpa, desideri di rivalsa, tragedie, amore e sguardi speranzosi al futuro.
Direi a buon diritto una ponderazione, di chi, insonne, cerca se stesso e spera di trovarsi allo scoccare delle dodici. Speculazioni, perfino, di cosa avrebbe potuto e dovuto essere, in un ricorso alle ipotesi che si trova non solo nel titolo della sesta traccia dell’edizione 3am, Would’ve, Could’ve, Should’ve, ma anche nei ritornelli di Bigger Than The Whole Sky.
L’album raccoglie riflessioni che originano in vari periodi della sua vita, remoti e recenti, e musicalmente e testualmente è pieno di richiami (qualcuno più palese di altri) alle ere passate (su tutti: quel’”I remember”, seppur distorto, di Question…? è lo stesso di Out Of The Woods), come se una sorta di filo invisibile legasse tutte queste canzoni a quelle precedenti. 
In effetti, la prima cosa che ha attirato la mia attenzione è stato il sound, nuovo ma al contempo in buona misura familiare, un sound che per forza di cose ha trovato una sua originalità e individualità con il progredire degli ascolti, ma che di primo acchito mi ha fatto pensare a 1989 e a Lover. 
D’altronde, per quanto Taylor sia solita sperimentare, non si può dire che vi sia mai stata una cesura così netta o cambi di rotta così drastici da disancorarla dalla sua consolidata poetica. La sua carriera potrebbe dirsi un albero che per quanto presenti ramificazioni e innesti e grovigli, comunque per forza poggia su un tronco portante, a sua volta radicato a un concetto di base; se vogliamo un vero e proprio fulcro: l’attingere al proprio vissuto, mettendo in scena il personale con una notevole dose di schiettezza, nell’incessante ricerca della catarsi. E non è, questo, un mero marchio di fabbrica della Taylor cantautrice: è proprio la sua filigrana, sia che si tratti della Taylor “campagnola” del debutto o di quella accademicadellacrusca del duo folklore/evermore.
Sennonché la catarsi, pur nascendo nell’intimità di una singola persona, smette quasi subito di essere purificazione individuale e sublima in universale, diventando patrimonio di chiunque le sue canzoni le ascolti, che abbia o no vissuto esperienze analoghe o almeno assimilabili. A volte — perlomeno è così per me — è semplicemente il suo modo di vedere le cose o di interpretare la vita che mi fa partire per la tangente e mi consente di ragionare sulle mie questioni, che con le sue sono affini tanto quanto un pesce è affine a una bicicletta. Per esempio io, a forza di ascoltare it’s time go e a farmi certi piantoni nel parcheggio, ho raggiunto l’illuminazione come Buddha (ancora non c’era l’inflazione energetica) e ho trovato il coraggio di cancellarmi dall’albo degli avvocati. No, per dire.
In questo caso specifico è stata You’re On Your Own, Kid a mandarmi il cervello in ebollizione, e chissà quale altre drastiche decisioni mi attendono in futuro “solo perché me l’ha detto Taylor Swift”. Madò, manco fossi entrata in Scientology.
Ora, fatte queste dovute premesse, direi che è il caso di tuffarsi senza ulteriori indugi nella mia personalissima esegesi di ‘sto fracco di canzoni (ventuno, mortaccisua, qua c’è gente che ha stipendi da guadagnare e telefilm da guardare), continuando una tradizione che ha compiuto dieci anni proprio questo ottobre, inaugurata col tomone su Red.
Ma vi devo avvertire: non vi piacerà proprio tutto tutto quello che troverete scritto qui di seguito. Perciò accendete le torce e affilate i forconi, e in caso venitemi a cercare che facciamo a botte sulle divergenze dogmatiche che ci separano. Prima, però, dear reader(s), beccatevi
il Tomone 7.0.™ MIDNIGHTS BECOME MY AFTERNOONS
Lavender Haze
[Taylor Swift, Jack Antonoff, Zoë Kravitz, Mark Spears, Jahaan Sweet, Sam Dew]
“Lavender haze” è un’espressione degli anni ’50 del Novecento usata per descrivere l’essere innamorati. E uno dice, vabbè, sticazzi. E infatti non è tanto questo ad avermi colpito, ma che sia andata a pescarla da un telefilm, Mad Man. È un po’ come se io scrivessi una canzone e la chiamassi “Scrocchiazzeppi”, che è una parola che ho sentito in Distretto di Polizia.
Di tutto il cucuzzaro, questa è tra le canzoni che mi piacciono di meno, anche se in effetti farei prima a elencare quelle che mi piacciono. Ecco, si doveva dire e si è detto.
Ignoro addirittura quante volte abbia dovuto ascoltarla per scriverci sopra due righe visto che la trovo così poco memorabile che ogni volta che arrivavo alla fine non mi ricordavo nemmeno di averla fatta iniziare, e dovevo — Iddio me ne scampi e liberi — sorbirmela daccapo (poffare! Volano parole mordaci!).
Di più: è la traccia di apertura, su cui grava la responsabilità di fare strada a tutte quelle che seguono, è quella che indirizza il primo (quantunque acerbo) giudizio sul resto del disco. Ecco, a me quel primo giudizio veicolato da Lavender Haze è stato di noia tendente a "maccheèstammerda" "mmh, bruttino". Sì, per carità, un pregiudizio che ha avuto modo di evolvere e in parte ribaltarsi man mano che ho approfondito gli ascolti, ma di cui Lavender Haze è abbastanza responsabile. È pur vero che se come traccia di apertura ci fosse stata Midnight Rain avrei tirato il disco dalla finestra ancora prima di arrivare alla numero due.
Tematicamente, la canzone riprende concetti che già presenti in reputation: i versi “I’ve been under scrutiny / You handle it beautifully” e “They're bringing up my history / But you weren't even listening” sono speculari a “My baby's fly like a jet stream / High above the whole scene” di Call It What You Want e “And here's to my baby / He ain't reading what they call me lately” di This Is Why We Can’t Have Nice Things, e in essi emerge tutta la gratitudine di avere al proprio fianco una persona che se ne frega del delirio che le ruota intorno, tra media ossessionati, haters squinternati e fan sciroccati.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 4 (shit)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “I'm damned if I do give a damn what people say” Maroon
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Dal (color) lavanda si passa al rosso. Rectius: a cinquanta sfumature di rosso (su per giù). Alcune sono menzionate per il tramite di aggettivi: rosé (rosato, qui sostantivato a indicare il vino), burgundy (borgogna), scarlet (scarlatto), maroon (granata); altre invece a mezzo di sostantivi indicanti cose che hanno in comune il colore nelle sue gradazioni: blood (sangue), rust (ruggine), carnations (garofani), roses (rose), rubies (rubini).
Il rosso è un colore caro alla poetica swiftiana, a partire dall’album eponimo, Red, ed è il colore che per eccellenza individua la passione, quello che rappresenta un sentimento acceso, dirompente, eclatante, sia nel bene sia nel male. E infatti in quell’album le sue esperienze e l’amore vengono raccontati con aggettivi perentori (burning, sad, beautiful, tragic, happy, free, confused, lonely, treacherous, reckless). Se mi passate la metafora starwarsiana, la Taylor del 2012 era un Sith che viveva di assoluti.
In questa canzone, invece, quel che colpisce sono le tonalità con cui il sentimento è descritto: si abbandonano i termini categorici e si ammette e riconosce che l’amore vive diversi gradi di intensità: dalla leggerezza del rosato al parossismo dello scarlatto, dal livido del borgogna alla ricchezza del rubino, e tutto il resto del cucuzzaro che passa in mezzo. E può accadere, come qui è accaduto, che quei colori affievoliscano insieme al sentimento stesso: un po’ come il sangue, che dapprima sgorga rosso intenso ma poi si ossida e diventa marrone. Qui non soltanto ci viene esplicitamente detto che la relazione è in qualche modo finita (“And I lost you”; “And I wake with your memory over me”) ma ci viene anche visivamente suggerito con l’eloquente immagine della ruggine sui telefoni (tanto a livello cromatico, un bruno rossastro non certo vivido, quanto a livello squisitamente simbolico, di corrosione e indice di poca “manutenzione”). Anche i garofani scambiati per rose potrebbero essere sintomatici di qualche problema: sebbene entrambi i fiori rappresentino e significhino l’amore in vario modo, di certo confonderli tra loro potrebbe voler alludere a qualche sorta di inganno, o di equivoco, o di illusione. Peraltro, “Garofani rossi per te / ho comprato stasera” suona proprio male.
#AlcoholicCount: 2 (rosé, wine)
#CurseWordsCount: 5 (cheap-ass, shit, fuckin’ x2)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “And I wake with your memory over me / That's a real fuckin' legacy, legacy” Anti-hero
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Nelle narrazioni, l’antieroe è un personaggio archetipico frequentemente confuso con l’antagonista, il cattivo, qualcuno che svolge la sua funzione narrativa in aperta opposizione all’eroe (colui che muove la storia), ostacolandone i tentativi di quello di raggiungere gli obiettivi che si è dato. Normalmente l’antagonista si pone in contrasto con le caratteristiche e le istanze positive che fanno capo a quest’ultimo, in una sorta di dialettica hegeliana. 
Ecco, l’antieroe non è nulla di tutto questo: non è l’opposto dell’eroe ma un suo tipo particolare, in un rapporto di genus e species. Christopher Vogler, nel suo “Il viaggio dell’eroe” (Dino Audino Editore, 2017, pag. 43) suddivide l’archetipo in due categorie: da una parte, “personaggi che si comportano come eroi convenzionali ma hanno una forte impronta cinica”; dall’altra personaggi tragici, “figure centrali di una storia che potrebbero non piacere e non essere ammirate e le cui azioni potrebbero persino essere biasimate”. In particolare, questi ultimi “non sconfiggono i loro demoni interiori e ne sono colpiti e distrutti”.
L’“anti-hero” con cui si identifica Taylor in questa canzone rientra evidentemente nella seconda categoria: l’invecchiare senza contestualmente maturare (“I have this thing where I get older, but just never wiser”), il complottare (“my scheming”), il darsi alla macchia con le persone (“All of the people I've ghosted stand there in the room”), il narcisismo dissimulato e travestito da altruismo (“Did you hear my covert narcissism / I disguise as altruism like some kind of congressman?”), sono tutti comportamenti o difetti che ben si attagliano all’archetipo di cui si sta cantando. Peraltro, se Vogler ritiene che questo archetipo sia spesso incapace di vincere i propri demoni, ecco che in qualche modo Taylor conferma la teoria quando mette in bocca ai propri immaginari parenti la frase “She's laughing up at us from hell!”. E sì, per quanto le lamentele dei familiari delusi dal de cuius durante la lettura del testamento lascino il tempo che trovano, la possibilità — anche solo remota — che sia finita all’inferno non depone certo a favore di qualcuno che abbia superato i propri difetti.
L’antieroe è, anche per questo, una figura con la quale si tende a empatizzare. Ritengo che il picco dell’empatia qui avvenga nella seconda strofa: con pochi versi suggestivi e visivamente evocativi — un “mostro” impossibile da uccidere e troppo grande (direi nel senso di “impegnativo”) da frequentare, che dalla collina barcolla in direzione della città pronto a distruggere tutto sul suo cammino — ci viene spiegato cosa si prova a perdere il controllo della propria immagine e di come l’idea che gli altri (i media soprattutto) hanno di lei prende il sopravvento e travolge (o rischi di travolgere) tutto quanto: la sua vita, la sua relazione, le sue amicizie, la sua stessa personalità.
Questa canzone per me vince il jackpot. È la mia preferita a mani basse, bassissime. Così basse che posso quasi dare il cinque a Taylor all’inferno.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 1
#FavLyrics: “I have this thing where I get older, but just never wiser / Midnights become my afternoons” Snow On The Beach feat. Lana Del Rey
[Taylor Swift, Jack Antonoff, Lana Del Rey]
Servizio catering Del Rey & co., disponibili per compleanni, cerimonie civili e religiose e cene aziendali. No, perché è un po’ così che mi immagino il contributo di Lana Del Rey a questa canzone: l’aver portato i cappuccini in studio di registrazione. Ochèi, ochèi, in realtà la si nota (con delle belle cuffie) nell’armonizzazione delle due voci, impalpabile e fuggevole… come neve sulla spiaggia.
La canzone racconta di un innamoramento simultaneo di due persone, un’esperienza ritenuta bizzarra ma bellissima come quando nevica al mare (evento atmosferico voluto dalla lobby dei ristoratori marittimi che così possono appendere la foto sulla parete vicino a quella col vip della tv che era entrato per usare il bagno una volta), descritto con l’uso sapiente di uno stesso verbo — to fall — che ha due significati: cadere (la neve, appunto) ma anche innamorarsi.
Ora, devo ammettere che su questa canzone non riesco a decidermi: non la trovo necessariamente brutta, al più noiosa, ma in ogni caso — sia che piaccia sia che non piaccia — penso che saremo tutti concordi nell’ammettere che abbia il peggior bridge di sempre, ancora peggiore di quello di Cuernavaca, Messico, che è crollato il giorno dell’inaugurazione facendo precipitare nel fiume sindaco e giornalisti. ¡Ay, caramba! 
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 3 (fuckin’)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Life is emotionally abusive” You're On Your Own, Kid
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Anti-hero è la mia preferita ma vince su questa davvero di pochissime lunghezze; perfino con la moviola sarebbe difficile stabilirne il primato.
You're On Your Own, Kid è un ottimo esempio per spiegare quello che intendevo nell’introduzione, quando dicevo che non importa quanto le mie esperienze di vita c’entrino un cactus con le sue, perché bene o male c’è sempre, in uno dei suoi versi, qualcosa che mi illumina sulla via di Damasco. Per esempio, che c’entro io con lo struggermi romanticamente per qualcuno che non mi nota (“I wait patiently / he's gonna notice me / It's okay, we're the best of friends), o a cui non frega proprio nulla (“Just to learn that you never cared”), o coi disturbi del comportamento alimentare (“I search the party of better bodies”; “I hosted parties and starved my body”)? Zero, zip, zilch, nada, niente. Eppure questa canzone mi fa partire per la tangente, perché quell’“you’re on your own, kid” mi apre un intero universo di consapevolezza che va ben oltre la narrazione della sua vita che fa nella canzone.
Anche nel suo discorso per la sua laurea honoris causa all’New York University (io me sò laureata a quella de Macerata, altro che Grande Mela, e ho pure dovuto studiarci sopra, vedete che siamo proprio agli antipodi?) aveva utilizzato questa stessa espressione. Lì prendeva le mosse da un discorso di venti minuti (tra i più belli che abbia mai ascoltato) rivolto a chi aveva appena raggiunto quel traguardo davanti al quale si spalanca quella vita adulta di cui finalmente si può prendere le redini (per quanto spaventoso possa essere): “The scary news is, you’re own your own, now. But the cool news is, you’re own your own, now!”.
Qui la medesima saggezza origina da un luogo diverso, e sebbene parta da altre premesse, altre esperienze, altri presupposti, in ogni caso è carica della medesima accezione positiva che echeggia nel discorso di laurea. Il brano, che attraversa emozioni come la speranza (nelle prime due strofe) e la disillusione (in tutto il resto eccettuato il finale), da ultimo lascia cadere il velo di Maya di schopenhaueriana memoria e arriva a una realizzazione potentissima (“And I saw something they can't take away”) che ribalta il significato — di sconforto dato dal sentirsi soli e abbandonati, di non avere altro che se stessi nel senso più negativo possibile — di tutti quegli “you’re own your own, kid” cantati fino a quel momento: è un invito a essere demiurghi del proprio destino, una volta capito che in qualcosa di perso può celarsi qualcosa di guadagnato, o che in un capitolo che si chiude si nasconde la possibilità di un rinnovamento positivo (“'Cause there were pages turned with the bridges burned / Everything you lose is a step you take”). E, quel che è più importante, non c’è motivo di avere paura perché… sei per conto tuo. 
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “From sprinkler splashes to fireplace ashes / I called a taxi to take me there / I search the party of better bodies / Just to learn that my dreams aren't rare” Midnight Rain
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Midnight Rain ha lo stesso problema di Lavender Haze: non ha nulla che me la renda memorabile. A differenza dell’altra, però, che almeno è orecchiabile, questa per me è lacunosa anche in quel dipartimento. Manca senza dubbio di un climax (e il paragone con You're On Your Own, Kid, che la precede, è inevitabile) e sebbene parecchie altre canzoni in questo album non siano necessariamente dirompenti nei bridge e nelle variazioni, questa qui è monotona e incolore nella sua interezza. E non è nemmeno anticlimatica, perché l’anticlimax implicherebbe una digradazione da un punto alto a uno più basso, cosa possibile solo se c’è effettivamente un punto alto da cui scendere: qui è elettroencefalogramma piatto dall’inizio alla fine. Onestamente non credo che mi capiterà di ascoltarla anche solo un’altra volta in un futuro prossimo, in uno remoto e in tutti i futuri che stanno in mezzo.
(Taccio sulla voce distorta perché a questo punto sarebbe come sparare sulla Croce Rossa).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 1 (il mio, e questa canzone è l’arma del delitto)
#FavLyrics: “My town was a wasteland / Full of cages, full of fences / Pageant queens and big pretenders” Question...?
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Questa canzone parla di due persone precedentemente coinvolte in una relazione amorosa che hanno preso strade diverse; ma una delle due (e ti pare che non era la gattara) è ferma a rimuginare e chiede all’altro se con la sua nuova fiamma abbia già vissuto quanto vissuto con lei.
Oltre all’“I remember” di Out Of The Woods, c’è un verso (“Painted all my nights / A color I have searched for since”) che richiama quanto già espresso in uno di illicit affairs (“You showed me colors you know I can't see with anyone else”).
#AlcoholicCount: inquantificabile (one drink after another)
#CurseWordsCount: 3 (fuckin’ x2, dickhead)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Painted all my nights / A color I have searched for since” Vigilante Shit
[Taylor Swift]
Una canzone dalle vibes fortemente noir, tanto nel testo e nel modo in cui è cantato (lento, deliberato), quanto nella melodia. E visto che me l’hanno inopinatamente cancellata, fingerò che valga come terza stagione di Why Women Kill.
Il brano ricorda per forza di cose no body, no crime, dove Taylor si era incaricata di farsi giustizia da sé — e infatti qui dice che è “on my vigilante shit again”. Tuttavia, se là era giudice, giuria e, soprattutto, boia, qui si limita alla delazione: tanto all’FBI, a cui vengono spifferati crimini da colletto bianco dell’uomo di cui intende vendicarsi, quanto alla moglie di quest’ultimo, la quale, al termine di un bel divorzio, alla fine si becca casa, figli e Mercedes.
In effetti, sembra anche — e forse lo è davvero — il prosieguo e la conclusione di mad woman: lì infatti si dichiara che, nonostante la società disapprovi le donne arrabbiate, non si dimenticheranno i torti subiti e prima o poi si reagirà (“Does a scorpion sting when fighting back? / They strike to kill and you know I will”; “My cannons all firing at your yacht / They say «move on» / But you know I won’t”; “And you'll poke that bear 'til her claws come out”). E in Vigilante Shit, spiffera di qua e spiffera di là, si è senz’altro agito. Di più, in entrambe le canzoni si menziona una moglie tradita (probabilmente sempre la stessa, e vien da pensare a quella di Scooter Braun, peraltro con un giudizio pendente a suo carico per qualche imbroglio su dei fondi di investimento). Insomma, due più due fa quattro e i conti tornano perfino a me che al liceo sono uscita con tre in matematica. 
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 4 (shit)
#MurderCount: nessuno, ma dice che potrebbe provare, e pertanto risponderebbe di delitto tentato qualora compisse atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, se l’azione non si compie e o l’evento non si verifica.
#FavLyrics: “And I don't dress for villains / Or for innocents / I’m on my vigilante shit again” Bejeweled
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
«Cosa? Che cosa? È un’ora che ti aspetto! Non è possibile, tu non sei al lavoro! Ma come non vieni? Ah sì? E io sai cosa ti dico? Adesso esco e vado col primo che incontro!» «Buonaseeera!»
L’avreste mai detto che lo spot del 2001 della Fiat Punto avrebbe anticipato una canzone di Taylor Swift? Qui siamo ben oltre le previsioni fatte dai Simpson; persino Nostradamus e Beda il Venerabile impallidiscono in confronto.
Perché proprio come la ragazza della pubblicità, anche Taylor lamenta un evidente mancanza di interesse da parte del suo “baby boy”: di più, si rende proprio conto di non essere una priorità per l’altra persona (“Putting someone first only works when you're in their top five”; “Don't put me in the basement / When I want the penthouse of your heart”), mentre per lei è l’esatto contrario (“Did all the extra credit then got graded on a curve”; “I made you my world / Have you heard?”). 
Soprattutto, capisce anche che è ingiusto lasciarsi offuscare quando in realtà si dovrebbe brillare (“And I miss you / But I miss sparkling”), perché brillante è proprio ciò che si è (“What's a girl gonna do? / A diamond's gotta shine”; “Best believe I'm still bejeweled / When I walk in the room / I can still make the whole place shimmer”). Una dichiarazione ontologica, quella, già presente in All Too Well (10 Minute Version) (Taylor's Version) (From The Vault) (“The idea you had of me, who was she? / A never-needy, ever-lovely jewel whose shine reflects on you”) e in mirrorball (“Drunk as they watch my shattered edges glisten”).
E allora sai cosa? E allora sticazzi, “I’m going out tonight” e, a seconda di come mi gira, deciderò se ricordarmi o no di te (“And when I meet the band / They ask, ‘Do you have a man?’ / I could still say, ‘I don't remember’” — e da uno smaliziato ma piuttosto innocente “non mi ricordo” al ben più drastico e già rodato “ho scordato che tu sia mai esistito” il passo è breve).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Sapphire tears on my face / Sadness became my whole sky” Labyrinth
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Taylor, gattara pazza de mi corazón, perché, perché ancora con ‘sta voce distorta che me pare quando te se scaricavano le batterie del walkman?
Ora, se sia per caso o per complotto non lo saprei dire, ma tutto quello che ho detto per Midnight Rain vale anche per questa canzone, e anche qui ogni volta che arrivo alla fine mi viene da pensare “Bene, e quindi? Finisce così? Addirittura quattro minuti per non dire assolutamente niente?”. 
Questa, però, nonostante tutto mi piaciucchia, di sicuro più di Midnight Rain, ma ogni volta che penso “Ochèi, forse l’ho giudicata male, in effetti è bellina” arriva quella orribile distorsione che pare che a parlare sia un pentito di mafia a cui hanno camuffato la voce per non farlo riconoscere dai sicari del boss ed ecco che se ne va il beneficio del dubbio.
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#MurderCount: 0
#FavLyrics: “I thought the plane was going down / How'd you turn it right around?” Karma
[Taylor Swift, Jack Antonoff, Mark Spears, Jahaan Sweet, Keanu Torres]
Stavo lì a sforzarmi di ricordare se abbia mai visto il karma in azione in prima persona e mi sono ricordata di quando una macchina sulla strada per Macerata (che è tremenda, tutta curve e saliscendi e trattori che vanno a due ed è un attimo che finisci dentro a un campo) correva e sorpassava come chi ha appena mangiato il pesce crudo a Gubbio e cerca disperatamente di raggiungere il cesso più vicino, salvo poi venir fermata dai Carabinieri che stavano appostati in fondo alla discesa. Non so se conti come allineamento karmico, però è stato un momento piuttosto soddisfacente.
A naso, credo che TS non abbia scritto questa canzone in riferimento ai sorpassi selvaggi, ma d’altronde, come dicevo, io e lei abbiamo esperienze di vita ben poco paragonabili. Il concetto di base che tratta la canzone — vedere con soddisfazione che chi ha seminato vento finalmente raccoglie tempesta — però, arriva forte e chiaro. 
L’idea del karma non è estranea a Taylor, che già lo menzionava espressamente in Look What You Made Do: “The world moves on, another day, another drama, drama / But not for me, not for me, all I think about is karma”. In questo brano, però, non lo si cita soltanto di sfuggita ma lo si sviscera, in quello che è e in quello che rappresenta. Intanto, lo si descrive attraverso una lunga serie di metafore: un fidanzato, un dio, una brezza, un pensiero rilassante (immagino che infonda una certa tranquillità la convinzione che prima o poi chi ci ha fatto un torto verrà ripagato con la sua stessa moneta), un tuono, una regina e finanche un gatto che le fa le fusa in grembo; e ancora con un paio di similitudini: un acrobata e un cacciatore di taglie.
Volendo, anche Vigilante Shit si può interpretare in senso karmico (perché il cattivo ha avuto quel che si meritava), tuttavia lì c’è un invito a essere concreta parte attiva nel ripristino dell’equilibrio universale (“Don’t get sad, get even”), che mal si concilia con l’idea stessa di karma, basata sull’attesa passiva — ci viene solo richiesto di comportarci rettamente — dell’agire di qualche forza arcana.
Comunque, dal modo in cui si parla del karma in questa canzone, è evidente che lo si ritiene un’entità dai feeenomenali poteri cosmici (tanto che tra i sostantivi che lo descrivono troviamo “dio”, “regina” e “tuono”), implacabile persino (“Karma's on your scent like a bounty hunter / Karma's gonna track you down / Step by step from town to town”), e appunto sarebbe bene evitare di trovarsi sul suo cammino e prenderlo dritto in faccia come un 38 barrato qualsiasi. Ecco perché Taylor dice di tenere pulito il suo lato della strada (“And I keep my side of the street clean”): cioè si comporta in modo che il karma non abbia nulla da rimproverarle. Che è la versione un po’ più igienica del cospargere di sangue d’agnello lo stipite della porta così che l’angelo sterminatore passi oltre e vada a uccidere i primogeniti di qualcun altro. Perché se ci pensate, se pure regolarmente le piove un bel po’ di merda addosso (penso, tra le altre cose, alla famigerata telefonata tagliata e cucita da Kim Kardashian, o a tutta la questione dei diritti dei master), alla fine, poffare!, si scopre sempre che erano gli altri nel torto, non lei. Perché loro, a differenza sua, non sanno cosa voglia dire tenere le strade pulite (“You wouldn't know what I mean”). Mi domando: c’è mica qualche Comune disposto a farla assessora con delega alla nettezza urbana?
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#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Ask me what I learned from all those years / Ask me what I earned from all those tears / Ask me why so many fade but I'm still here” Sweet Nothing
[Taylor Swift, William Bowery]
Contro il logorio della vita moderna o ti fai un Cinar o ti metti al tuo fianco una persona che da te non pretende altro che uno “sweet nothing”, qualcuno che mentre gli altri fuori sgomitano e spingono se ne sta in cucina a canticchiare.
Quello che più colpisce di questo brano è il bridge, costruito tutto sull’allitterazione delle lettere d, s, r, t (“Industry disruptors and soul deconstructors / And smooth-talking hucksters out glad-handing each other”) suoni di per sé piuttosto duri ma che con la voce delicata di Taylor fanno un bel contrasto, e sembrano quasi una dolce filastrocca. 
Il bridge prosegue poi con “And the voices that implore / «You should be doing more»” , e potrebbe riferirsi alla vita di Taylor posta sotto il costante scrutinio degli altri in quanto personaggio pubblico, della serie che se dovesse fare una donazione a un rifugio per pinguini vittime di incidenti stradali ci sarà sempre qualcuno che si chiederà perché mai non abbia fatto una donazione anche al centro di recupero per dromedari afflitti da ludopatia.
In generale, per chi non è un personaggio pubblico, in ogni caso è facile interpretare quei versi, come anche il ritornello, nell’ottica di un mondo in cui tutti sono in competizione e cercano di prevaricare, in cui lo “sweet nothing” viene demonizzato, con conseguente senso di colpa se non sei produttivo quanto gli altri (“«You should be doing more»”).
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#FavLyrics: “Industry disrupters and soul deconstructors / And smooth-talking hucksters / Out glad-handing each other / And the voices that implore / «You should be doing more»" Mastermind
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
“Precisamente tra diciotto anni i pianeti si allineeranno senza affanni…” “Ahi, in versi, ahi.” “Di tempo per agire ne avrai a iosa; sguinzaglia i titani, la tua banda mostruosa.”
Una volta anche a me è successo di trovarmi nella stessa stanza con una persona che dici “wow” per via di un raro allineamento planetario, solo che non era una stanza ma un autobus urbano a Milano, e non era per un raro allineamento planetario ma per un ordinario ritardo mostruoso del Frecciarossa su cui avevo viaggiato. Uh, e la persona che dici “wow” era Emanuela Pacotto, e racconterò questa storia fin sul letto di morte, mio ma anche di chiunque altro (con mia madre, sull’autobus con me che “Ma chi conosci a Milano? Era una tua amica di scuola forense?”).
Questa canzone riprende la confessione che Taylor ha già fatto in Anti-hero di essere una persona che pianifica ogni mossa, ogni dettaglio, che nulla di quello che accade e la riguarda è accidentale ma frutto di qualche suo machiavellico complotto. Un po’ la Flintheart Glomgold de noantri, ma senza l’accento scozzese.
Mastermind è la traccia di chiusura dell’album e, come quella di apertura, è sciapa allo stesso modo. È simpatica, ochèi, e parecchio orecchiabile, ma di sicuro nulla di più di questo.
#AlcoholicCount: 2 (liquor, cocktails)
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#MurderCount: 0
#FavLyrics: “No one wanted to play with me as a little kid / So I've been scheming like a criminal ever since” Hits Different [Target deluxe edition]
[Taylor Swift, Aaron Dessner, Jack Antonoff]
Come Ponzio Pilato, anche Taylor “se ne lava le mani”, salvo poi trascorrere i successivi tre minuti e cinquanta secondi a rimuginarci sopra. “Moving on was always easy / for me to do”, dice. Seee, lallero. Tuttavia questa è una delle canzoni più riuscite di tutto il cucuzzaro mezzanottiano — accattivante, con un bridge travolgente, orecchiabile all’ennesima potenza — quindi chi si lamenta; al più mi lamento che non l’abbiano inserita nell’edizione standard. È frequente che le sue canzoni deluxe siano dei gran pezzoni, basti pensare a Ours, Wonderland, the lakes, right where you left me, it’s time to go; tuttavia gli album di cui quelle sono il complemento (Speak Now, 1989, folklore ed evermore) sono già perfetti così come sono, mentre Midnights avrebbe tratto giovamento da scelte più oculate in termini di tracce: dentro questa e via Snow On The Beach, per esempio, o via Midnight Rain (in realtà Midnight Rain via proprio in generale da ogni piano dell’esistenza). 
#AlcoholicCount:  0
#CurseWordsCount: 5 (shit x3; asshole)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Oh my, love is a lie / Shit my friends say to get me by / It hits different / It hits different this time” The Great War [3am edition]
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
And today we're all brothers Tonight we're all friends A moment of peace in a war that never ends Today we're all brothers We drink and unite Now Christmas has arrived and the snow turns the ground white - Sabaton, “Christmas Truce”
Io sono fissata con la storia, la amo quanto amo i gatti, persino i romanzi che leggo devono essere ambientati almeno dagli anni ’50 del Novecento in giù, altrimenti non mi diverto. E non succederà mai, e dico mai, ne sono consapevole, ma se per caso dovesse accadere che Taylor scriva una canzone che parli effettivamente di un evento storico, uno qualsiasi, cadrei morta stecchita all’istante. Mmmh, Didn’t They? conta? Vabbè. Per ora, comunque, mi dovrò fare una ragione che questa canzone rimandi solo col titolo (o forse no? *wink wink nudge nudge*) alla prima guerra mondiale e non ne racconti in effetti gli accadimenti, come a suo tempo me la sono fatta per la “corsa all’oro” in evermore che era tutt’altra cosa rispetto quella del Klondike di Zio Paperone e di Jack London; ma d’altronde ho due interi album dei Sabaton che soddisfano il mio bisogno di avere musicata la Grande Guerra (Alexa, play “Versailles”).
Ora, questa traccia di apertura dell’edizione 3am fa impallidire Lavender Haze, e non posso fare a meno di pensare a quanto avrebbe potuto cambiare l’intera percezione iniziale che ho avuto di Midnigths se questo brano fosse stato presente all’inizio dell’edizione standard, e invece ecco qua come stiamo, con il mio post più critico di un suo album da dieci anni a questa parte.
Ed è curioso che sia proprio Lavender Haze a tornare in causa, e non tanto perché con The Great War condivide l’essere una traccia di apertura (solo che una è bella e un’altra no), ma perché tematicamente sono in netto contrasto: la prima racconta di quella fase della relazione amorosa in cui tutto è meraviglioso, nella seconda invece la relazione si è trasformata in una guerra e Taylor attinge da un vocabolario specifico, utilizzando termini tipicamente associati ai conflitti e alla morte: la tomba (“Spineless in my tomb of silence”) e anche la cripta (“Screaming from the crypt”), la caduta dei vessilli del nemico (“Tore your banners down”) lo spargimento di sangue (“All that bloodshed”), le bombe (“the bombs were closer”), i soldati caduti (“Soldier down on that icy ground”), le truppe (“So I called off the troops”). 
Sebbene siano numerose nelle sue canzoni le occorrenze per “war”, guerra (la si trova in Innocent, Safe & Sound, Clean, You Are In Love, ivy e long story short), ad oggi in un solo altro caso Taylor aveva fatto uso metaforico dell’immaginario bellico: nelle prime due strofe e nei ritornelli di epiphany. The Great War, invece, è metafora dall’inizio alla fine, proprio come è Miss Americana & The Heartbreak Prince, e per questo è efficacissima nel pennellare un quadro terribile, ben lontano da quella sensazione di pacata contentezza di Lavender Haze.
Ma come tutte le guerre reali, anche quelle metaforiche a un certo punto terminano. La prima guerra mondiale con l’armistizio di Compiègne, quella swiftiana con la realizzazione che il proseguire delle ostilità avrebbe condotto alla perdita definitiva dell’altra persona (“So I called off the troops / That was the night I nearly lost you / I really thought I'd lost you”).
Giunge quindi il momento, come d’altronde è successo anche nella realtà, in cui si giura che non si permetterà mai più che qualcosa di simile accada ancora (“It was war, it wasn't fair / And we will never go back to that”). Se non fosse che la storia è, o dovrebbe essere, magistra vitae: sappiamo bene come “la guerra che porrà fine a tutte le guerre” in questo abbia miseramente fallito e, anzi, le condizioni della resa tedesca e la depressione che ne conseguì portarono infine al collasso della Repubblica di Weimar e all’ascesa del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, con a capo Adolf Hitler, e non serve ricordare cosa sia accaduto dopo. Insomma, visti i precedenti, io comunque andrei cauta nel dire che non si arriverà mai più a una guerra (quand’anche metaforica) simile. Certo, se servisse ad avere un’altra canzone così allora daje Taylor, spara a tutti gli arciduchi che vuoi.
Dicevo che il riferimento alla Grande Guerra potrebbe trovarsi non solo nel titolo. Nell’ultima strofa, infatti, si menziona il papavero (“Place a poppy in my hair”): ora, non so se sia una buffa coincidenza o sia stato inserito consapevolmente (e in questo caso chapeau, anche perché mmmh, di tutti i fiori proprio a quello mi va a pensare?), ma il papavero riveste un ruolo importante nell’iconografia del primo conflitto mondiale. Compare per la prima volta in senso simbolico nella poesia “In Flanders Field”, scritta nel 1915 dal tenente colonnello canadese John McCrae in ricordo di un commilitone caduto nella seconda battaglia di Ypres, in Belgio: “In Flanders fields, the poppies blow”; “We shall not sleep, though poppies grow”. La poesia acquisì ben presto una tale popolarità da ispirare il “remembrance poppy”, un papavero artificiale da appuntare agli abiti che, al termine della prima guerra mondiale, servì a onorare i caduti inglesi e americani, e tutt’ora lo si usa come simbolo commemorativo nelle nazioni del Commonwealth nelle cerimonie del “Giorno della memoria”, che cade l’11 novembre. Vedi a forza di ascoltare i Sabaton la roba che si impara? Alexa, play “In Flanders Field”.
#AlcoholicCount:  0
#CurseWordsCount:  0
#MurderCount: in questa canzone nessuno, ma la prima guerra mondiale ha causato almeno sedici milioni di morti.
#FavLyrics: “All that bloodshed, crimson clover / Uh-huh, the bombs were closer / My hand was the one you reached for / All throughout the Great War” Bigger Than The Whole Sky [3am edition]
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
La peculiarità di questa canzone è quella di essere plasmabile, di adattarsi alla singola, unica, specifica esperienza di chi la ascolta. È una tela bianca, di cui Taylor, che ci ha messo in mano i pennelli, ha solo definito il fulcro: il dolore, la perdita. A cosa si riferisca questo dolore, in cosa consista questa perdita, tuttavia, sta a noi stabilirlo in base al nostro vissuto, lei non ce lo dice. Per questo c’è chi ci ha visto la narrazione di un aborto spontaneo, chi la fine di una relazione (ma per me sarebbe una banalizzazione eccessiva), chi addirittura la perdita della propria identità.
Quale che sia il caso specifico di cui Taylor ha scritto — magari non necessariamente in riferimento a una sua esperienza ma, come nel caso di happiness, a quella di qualcuno a lei vicino — la canzone origina da un retroterra luttuoso secondo me piuttosto evidente. È un racconto tragico, e lo si intuisce già dal primo verso, con la parola “aftermath” — che per definizione riguarda l’indomani di un disastro o di una calamità — posta alla fine della frase a garanzia di maggior enfasi. È accaduto qualcosa di così devastante da averla lasciata senza parole (“No words appear before me in the aftermath”); lei, che, be’, con le parole ci campa. E la tragedia è così totalizzante che la tristezza va a informare ogni singola cosa che Taylor tocca (“Every single thing I touch becomes sick with sadness”).
La seconda strofa, invece, accosta due diverse — e contrastanti — idee di “consequenzialità”: il battito d’ali di una farfalla in Asia (che secondo la teoria del caos porterebbe un tornado in un’altra parte del mondo) e il non aver pregato. In entrambi i casi c’è un rapporto di causa ed effetto, ma se la prima circostanza menzionata esula dal controllo, e per questo ha un respiro “assolutorio” perché nessuno avrebbe potuto farci nulla, la seconda invece si tramuta in devastante senso di colpa. Certo, pregare Dio conduce allo stesso risultato di assoluta inconcludenza che pregare Superman, Topo Gigio, tutte le evoluzioni di Eevee o non pregare affatto, quindi è irragionevole farsi logorare dal rimorso di essere stati manchevoli. Eppure qualcuno potrebbe dire “Ho fatto anche quello. Non è servito a un cazzo [ma va!], ma almeno posso dire di averle provate tutte e non posso rimproverarmi di niente”. Per esempio, in Soon You’ll Get Better dice “Desperate people find faith, so now I pray to Jesus too” perché oh, vedi mai, alla fine cosa mi costa? Qui, invece, ci si rimprovera eccome, forse perché incolparci di una nostra supposta mancanza, qualcosa che se ci fosse stata avrebbe fatto la differenza, allontana da noi l’idea spaventosa che la vita sfugge a ogni nostro tentativo di domarla o di indirizzarla, e che la tragedia che ci ha colpiti sia solo il frutto di un mero tiro di dadi del destino.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Every single thing I touch becomes sick with sadness / ‘Cause it's all over now, all out to sea” Paris [3am edition]
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Avete presente quando in Blank Space mezzo internet aveva capito che un verso facesse “All the lonely Starbucks lovers” anziché “Got a long list of ex-lovers”? Ecco, io qua irrimediabilmente sento “We were in some wharehouse” anziché “We were somewhere else” e mi sfuggiva la ragione per cui avrebbe dovuto trovarsi in un magazzino. Insomma, avrei capito se la canzone si fosse intitolata, che ne so, “Brembate di Sopra”, ma siccome si intitola “Paris” i conti proprio non mi tornavano.
Un’altra cosa che non mi torna, ma stavolta sul serio, è il vino economico, di cui anche in Maroon: perché, con tutti i soldi che ha, questa me beve il Tavernello?
#AlcoholicCount: 5 (wine x2, champagne x3)
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Sit quiet by my side in the shade / And not the kind that's thrown / I mean, the kind under where a tree has grown” High Infidelity [3am edition]
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Fedeltà: qualcosa che puoi ricercare in un cane, in un Carabiniere, eventualmente in un cane Carabiniere ma anche in un Carabiniere cane (il primo in senso cinofilo, l’altro in senso cialtrone), in un marine, in un impianto stereo e nella tessera punti del supermercato, ma non in una canzone di Taylor Swift. Infatti la fedeltà, o, meglio, la sua carenza, è un tema che è già stato sviluppato — vuoi in modo approfondito, vuoi soltanto en passant — in parecchi suoi brani: dalla ormai remotissima Should’ve Said No fino ad arrivare al blocco indie di august; betty; illicit affairs; mad woman; no body, no crime; ivy, passando per Better Than Revenge e Girl At Home.
High Infidelity, come già illicit affairs, è esplicita del tema fin dal titolo, ma se in illicit affairs è evidente il senso di colpa che permea l’intera canzone per un comportamento che si sa sbagliato, qui il tradimento invece è vissuto come qualcosa di inevitabile in una relazione ormai danneggiata (“Lock broken / Slur spoken / Wound open”; “Your picket fence is sharp as knives”), salvifico addirittura (“Do I really have to tell you how he brought me back to life?”).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: nei fatti nessuno, però potrebbe essere un campanello d’allarme il fatto che rifletta sui modi in cui si può uccidere una persona amata, quindi la gattara potrebbe essere destinataria di una misura di sicurezza praeter delictum.
#FavLyrics: “You know there's many different ways that you can kill the one you love / The slowest way is never loving them enough” Glitch [3am edition]
[Taylor Swift, Jack Antonoff, Sam Dew, Mark Anthony Spears]
Questa canzone sconfessa quanto detto in Mastermind: se là l’amore sbocciato era frutto di una macchinazione, qui invece è il risultato di un errore imprevedibile del sistema TS, di un comportamento anomalo del programma (“We were supposed to be just friends”; “I was supposed to sweat you out”; “I think there's been a glitch”). In questo senso, quindi, è simile a Paper Rings quando dice “I hate accidents except when we went from friends to this”.
Comunque, te guarda la vita quanto è balorda: io quest’estate, per un glitch del sistema, nella domanda di partecipazione a un concorso pubblico mi sono vista sparire il campo compilato relativo al possesso della laurea, titolo che dava due punti secchi, il che ha portato, cinque giorni prima dell’orale, all’invio di una pec impanicata a mezzanotte (almeno io e TS triboliamo agli stessi orari) in cui dimostravo in tutti i modi la sussistenza del requisito (“Ce l’ho la laurea, ce l’ho, me ne sono pentita ma ce l’hoooo”); quest’altra, invece, per un glitch del sistema, trova l’amore. Come disse Scarlet Witch, it doesn’t seem fair.
(comunque poi i punti me li hanno riconosciuti) (e da quella graduatoria poi sono stata pure assunta)
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#FavLyrics: “In search of glorious happenings of happenstance on someone else's playground” Would’ve, Could’ve, Should’ve [3am edition]
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Il proverbiale senno di poi di cui sono piene le fosse, che ai comuni mortali consente una ponderazione sulle scelte passate, e a Taylor Swift pure, ma a lei, in aggiunta, consente anche di scrivere canzoni che definire spettacolari è dire poco. Io, purtroppo, faccio parte della prima categoria, perché sennò sai quante hit avrei sfornato sul senno di poi dell’aver fatto giurisprudenza.
Con questa canzone andiamo lontano, lontanissimo nel tempo, a qualcosina meno di tre lustri fa, perché a quel “nineteen” i nostri sensi di ragno si allertano e la mente corre subito a Dear John (“Don't you think nineteen's too young to be played / By your dark twisted games?”) e a quella relazione sbilanciata e manipolatoria. Da una parte, infatti, abbiamo lei, ancora troppo giovane (“a child”, “nineteen”) e di conseguenza ancora priva degli strumenti per difendersi; dall’altra lui, un “grown man” che ha omesso di prendersi la responsabilità dei suoi comportamenti (“[…] did it matter / If you got to wash your hands?”).
Ora, se vogliamo, anche in Dear John c’è un embrionale senno di poi (“I should’ve known”), ma lì le vicende sono ancora troppo fresche per poterle esaminare con il dovuto distacco, cosa che è invece possibile fare in Would’ve, Could’ve, Should’ve, stanti i molti anni passati. Si badi, e in effetti trattandosi di Taylor sarebbe strano il contrario, che “analisi distaccata” è diversa da “asettica”, perché la canzone è vibrante di emozione, di trasporto, di passione (nel senso proprio etimologico, dal latino pati, cioè “patire, soffrire”). Infatti, nonostante il tempo trascorso, vediamo bene come quel rapporto ancora la perseguiti (“The tomb won’t close”; “I regret you all the time”; “I can't let this go / I fight with you in my sleep / The wound won't close”, “If clarity's in death, then why won't this die?”), ma non perché ne abbia nostalgia o si sia pentita del fatto che sia naufragato, ma perché l’ha resa una persona diversa e a lei manca quella che era prima (“I miss who I used to be”), e le manca un’adolescenza che non le ridarà più nessuno (“Give me back my girlhood, it was mine first”).
Il bridge di questa canzone (Snow On The Beach, te possino ciaccà, prendi appunti) è il mio preferito di tutto l’album (forse addirittura nella mia top five di tutta la sua discografia) e introduce un’ulteriore variazione che mi fa altrettanto impazzire. Strutturalmente quindi manca la solita alternanza standard tra strofe, ritornelli, bridge, ritornello, e lo stesso bridge in questo brano svolge la doppia funzione di “collegamento” e di chiusura, con la sua ripetizione due volte di seguito nel finale. La parte migliore, peraltro, è il modo in cui dapprima prende velocità e poi a un tratto si frena (quando arriva a “Stained glass windows in my mind” e “I keep on waiting for a sign”) per ricominciare veloce. L’equivalente musicale delle montagne russe. Tra l’altro mi ha ricordato a una cover di “Whiskey In The Jar”che ho ascoltato tanti anni fa in un pub a Lisbona: il ragazzo che cantava faceva più o meno lo stesso giochetto, aumentando e diminuendo la velocità del ritornello e, inutile dirlo, quella è una delle cover più riuscite che abbia mai ascoltato in vita mia.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “God rest my soul / I miss who I used to be / The tomb won't close / Stained glass windows in my mind / I regret you all the time” Dear Reader [3am edition]
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Come già Snow On The Beach, anche Dear Reader mi lascia combattuta, perché pure questa non la ritengo necessariamente brutta, ma mi annoia allo stesso modo. Rispetto all’altra, tuttavia, a livello di testo ci sono cose interessanti, con alcuni versi latori di verità universali che può essere utile tenere a mente (“If it feels like a trap/ You're already in one”; “Bend when you can / Snap when you have to”; “You don't have to answer / Just 'cause they asked you”), un po’ come già in marjorie. Il problema più che altro risiede nella parte finale, totalmente sbrodolata nell’esecuzione, che infatti appare disordinata (e di nuovo la voce distorta, diocrisantemo, io giuro che la denuncio).
#AlcoholicCount: 4 (my fourth drink)
#CurseWordsCount: 0
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#FavLyrics: “Never take advice from someone who's falling apart" IT MUST BE EXHAUSTING ALWAYS ROOTING FOR THE ANTI-HERO
Una premessa e due confessioni: è sempre affascinante trascorrere un po’ di tempo a cercare di capire cosa passi nel cervello di Taylor Swift, ma scrivere questo post è stata una gran fatica. Per prima cosa, perché da qualche anno a questa parte faccio fatica in ogni aspetto della vita; poi perché mi ero intrippata a vedere The Crown e per un mese è stato il mio solo e unico interesse; poi ancora per mancanza di tempo, mica come quando dovevo trovare il modo di passare quelle cinque ore di scuola forense ogni lunedì (avendo fatto voto di non ascoltare una singola parola di lezione, ma obbligata a frequentare pena invalidamento del semestre di pratica); infine, e presumo sia la ragione principale, le altre suonano più come scuse: perché quest’album, come il cheddar a Kuzco, no me gusta.
O, comunque, non del tutto.
Forse, più esattamente, la sensazione che mi dà questo disco l’ha spiegata bene uno degli sceneggiatori cialtroni di Occhi del Cuore, prima di intortare René con il monologo sulla locura: “per funzionare funziona, ma rischi di non convincere”.
Ecco, allora: Midnights non mi convince.
Al primo ascolto l’ho bocciato interamente, con solo Anti-hero e You're On Your Own, Kid a tenere in piedi la baracca. E ne sono rimasta sorpresa come restano sorpresi i vicini di casa alla notizia dell’inquilino del piano di sotto che ha sventrato come un gamberetto l’intera famiglia usando il coltello a mandorla del Grana Padano: “Salutava sempre, ferst riacscion sciòk”.
Ma è comunque Taylor Swift, perciò gli ho dato il beneficio del dubbio: forse il problema non era che fosse un album poco ispirato, ma ero io dell’umore sbagliato per apprezzarlo in modo adeguato (venivo da un periodo di merda, e ora mi trovo in una benvenuta fase di tregua tra quello e il prossimo periodo di merda che di sicuro mi aspetta dietro l’angolo): un “It’s me, hi, I’m the problem, it’s me” da manuale. Insomma, ero più che disposta ad andare a Canossa. Ebbene, trascorso poco più di un mese, credo che — per prendere in prestito una frase da happiness — siano vere entrambe le cose.
Peraltro ho anche avuto modo di notare una certa polarizzazione nelle opinioni, e non mi pare ci sia stato il consenso generalizzato e unanime che hanno avuto folklore ed evermore. Non che ciò sia dirimente, sintomatico o rappresentativo di alcunché ma, e torno a parlare per me, confesso ogni assenza di folgorazione: né all’inizio (come con Speak Now, Red, 1989 e folklore), né durante, né dopo (come con evermore); nessuna discesa su di me della fiammella della Verità come lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste o quello che diavolo era, che io al catechismo prestavo meno attenzione che a scuola forense.
Per quanto Midnights presenti tante belle canzoni (qualcuna molto più che solo bella), in realtà mi è difficile immaginarlo svettare in una discografia che contiene titoli come Speak Now, Red, 1989, reputation, folklore ed evermore, ognuno in qualche misura iconico, se non proprio autorevole; due cose che secondo me è incapace di essere Midnights. Se fosse un cartello stradale non sarebbe uno stop ma un semplice dare precedenza: qualcosa che ti fa rallentare ma non necessariamente fermare, e quando vedi che la strada è libera pigi sull’acceleratore, già concentrato sui segnali che verranno e dimentico di quelli che hai superato.
Ho spulciato la Treccani per cercare un termine che descriva la sensazione che mi dà Midnights, e quel termine è “anodino”: “senza carattere, insignificante; o che non prende posizione decisa, che non esprime un parere netto”. È proprio quella mancanza di decisione che mi perseguita. Perché nonostante sia un “concept album”, il cui filo conduttore sono le notti insonni passate a rimuginare sull’esistenza, in ogni caso l’esecuzione mi pare frammentata e il tema disorganico, con tanti picchi, senza dubbio, ma anche altrettante banalità.
L’edizione “standard”, che di base è il vero Midnitghs, suona atipicamente ordinaria, scialba addirittura; non sono nemmeno sicura che lo si potrebbe considerare un buon album di debutto se fosse di un qualsiasi artista a caso, ma di certo per essere il decimo di Taylor Swift è ben poco persuasivo. Raga, sia chiaro, chiarissimo: è più che concesso, a ‘sta pora crista, di non fare gol a ogni tiro in porta, va bene pure se ogni tanto prende la traversa o spara la palla sulle tribune, perché se esiste qualcuno, in tutto il mondo mondiale, che si è guadagnato il diritto di non dover dimostrare più niente a nessuno, quel qualcuno è proprio lei.
Magari, toh, lei e Alberto Angela. Ma soprattutto lei.
Quanto all’edizione 3am, con le sue The Great War, Bigger Than The Whole Sky, High Infidelity, Would’ve, Could’ve, Should’ve da una parte e Paris, Glitch, Dear Reader dall’altra sembra mantenere l’equilibrio tra pezzi riusciti e no, anche se in proporzione e per mera questione di quantità, rispetto alla standard qui i pezzi davvero riusciti sono di più. Ed è anche questo il problema: mi resta difficile considerare Midnights come un unicum e non come due entità separate, di cui una che funziona meglio dell’altra.
E tutte le belle canzoni che pure ci sono paiono non servire un disegno unitario — l’album, appunto, col suo tema dichiarato — ma restano splendide in modo fine a se stesse, un arcipelago di isolotti con palmizi rigogliosi e lambiti da acque cristalline ma senza un istmo di terra che li unisca, o almeno un traghetto della Grimaldi Lines che li colleghi.
Potreste obiettare, e forse in parte avreste anche ragione, che non potrebbe essere altrimenti, non trattandosi di un concept album duro e puro che racconta una singola storia a capitoli come un romanzo in musica (come quelli dei Rhapsody of Fire, che hanno dato vita a vere e proprie saghe fantasy, o quelli degli Avantasia dei primi anni), e nemmeno un concept album che è espressione del modo di vedere il mondo del suo protagonista fittizio (come American Idiot dei Green Day), ma di un concept album che si sviluppa soltanto intorno a un’idea di base, a un tema e non a una trama, le cui canzoni restano slegate per forza di cose (per di più raccontando randomici pezzi di vita sparsi negli anni). Ora, anche i due album dei Sabaton a cui accennavo (The Great War e The War To End All Wars), che raccontano la prima guerra mondiale, sono composti di tanti tasselli separati — una canzone parla del Barone Rosso, una di Lawrence d’Arabia, una della tregua di Natale, un’altra ancora del trattato di Versailles e via dicendo. Ecco, nonostante ciò, entrambi gli album appaiono coesi, unitari, focalizzati, armonici. Invece Midnights mi pare disgregato.
Sbaglierò di poco se preconizzo qui e ora che, una volta placatasi la normale e fisiologica eccitazione che è corollario immancabile di ogni nuovo album di TS, Midnights passerà decisamente in sordina. Ma mi importa? In realtà no, perché potrebbe fare un album di soli borborigmi e ci sarà lo stesso almeno un paio di canzoni per cui griderò al capolavoro, di cui mi farò portavoce indefessa della loro necessarietà in riguardo al progresso della civiltà umana, e per quelle due canzoni varrà comunque la pena di star dietro, sempre e comunque, nei secoli dei secoli, a Taylor Swift.
P.S. se, stante questa mia intemerata, ci sarà qualcuno, in questo fandom di sbullonati, che mi augurerà di non trovare il biglietto per il concerto o mi accuserà di lesa maestà, ecco, io a quel qualcuno dirò: “A proposito di maestà, bravo che me l’hai ricordato, è ora di farsi un tè e di bingiare daccapo The Crown. Toodle-oo!”)
***
Per chi di voi si fosse sintonizzato soltanto adesso, ecco gli altri tomoni:
Red dead revolution
‘Cause she’s still preoccupied with 19… 19… 1989
(Frankly, me dear, I do and I don’t give a damn about my bad) reputation
(If you wanna be my) lover
That’s all folk(lore)
Quoth the raven, “evermore”
Cicero pro domo sua: giacché ho perorato la mia causa di scribacchina, ne approfitto per segnalare anche i miei due romanzi: Zugzwang - Il dilemma del pistolero e il suo sequel Sicilian Defense, editi da Nativi Digitali Edizioni. Tra i personaggi principali c’è una ragazza bionda, ma non è Taylor Swift.
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grid-0 · 2 years
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HELLDECOR
Helldecor nasce fra i sogni di una calda estate, su una chat bollente. Quasi niente era chiaro di quello che sarebbe stato, solo idee vaghe e desolanti, tipiche privatrici del sonno, solite arrivare alle 00.01 a.m.
Volevamo metterci gli anni degli studi universitari alle spalle, seppellirli nel bel mezzo del niente, dopo aver camminato dritto nel deserto per migliaia di chilometri. Ed eccoci finalmente li, in una notte di stelle cadenti e Gif iridescenti a voler fare il falò ultimo. Era stata un'idea ossessionante che ci aveva perseguitato probabilmente dall’alba dei tempi, l’ornamento.
Per poter discutere cosa sia l’ornamento servono sicuramente anni di studi e letture interminabili che abbiamo più che abbondantemente effettuato prima di renderci conto che bisognava renderlo soggetto di studio. Era quindi necessario iniziare un processo di ricerca e di conoscenza, quindi ci siamo presentate. Eccoci noi siamo le Solar Queen Bizantine. Qui per affrontare impervie quanto inutili imprese, regnanti delle buone conversazioni e punitrici di silenzi imbarazzanti. Abitiamo salotti e sale da té, Limousine dagli interni rosa pavone come i peggiori privé della scena House dei primi 2000, aneliamo alla roulotte della nostra madre spirituale Moira Orfei.
Abbiamo quindi deciso di avvicinarci al suddetto tema come ci approcciamo a tutto quello che facciamo nella vita: dal espletare le più semplici necessità biologiche al eseguire le più complesse inutilità della vita domestica come per esempio apparecchiare la tavola. Era quindi nostro intento viverlo, nel proprio presente, in quella piega del lenzuolo spazio tempo che ci troviamo ad essere. Ma è possibile vivere l’ornamento?
Fortissime nelle nostre incertezze e ponendo in forma affermativa i nostri dubbi abbandonammo quella notte, le pretese di far finta di capire qualcosa e ci lanciammo in un frenetico scambio di figurine. Figurine che avevamo collezionato nelle svariate gite di piacere concesseci negli anni. Insegne, rotonde e statue. Baraccopoli, periferie, case e interni di negozi. Parchi, vasi e giardini: con nani, con alci, con gatti. Vestiti, tende, cappelli e scritte. Scritte tridimensionali, lisce e opache. Oggetti misteriosi, perturbanti, silenziosi, astuti o innocenti. Superfici aggiunte, appiccicate, ruvide, trasparenti e cangianti ed ancora sculture gonfiabili, posaceneri, orli e merletti. Oggetti rituali, festoni, scenografie da camera. Lucine colorate, luci bianche, lampadari. Continuavamo a mandarci vagonate di immagini che si accumulavano infinite nei, chissà dove locati, database. A quel punto ci domandiamo cosa avremmo dovuto fare, come comportarsi: setacciare, escludere, continuare ad accumulare? Come procedere?
Quale sarebbe stato il metodo migliore per mappare il concetto di ornamento a noi contemporaneo, non lo sapevamo ma forse lo scopo della nostra ricerca si stava finalmente mostrando, anche se di sfuggita, un inafferrabile, impalpabile guizzo, come la coda di un pesce che balza fuori dal fiume mentre non stai guardando.
Unica certezza continuare ad aprire, non ci potevamo -ne possiamo tuttora mentre scriviamo- permettere di chiudere. È stato quello il nostro primo Nord, avevamo intuito che non sarebbe stato possibile arrivare ad una conclusione quindi abbiamo scelto la bussola e abbozzato una destinazione. Il lavoro che stavamo cominciando non era possibile darlo a priori, avremmo dovuto osservarlo nel suo sviluppo, avremmo capito solo nelle varie restituzioni, nel momento di trasformazione, di messa in posa, di travaso e quindi di apparizione sotto forma di nuova interfaccia quello che andavamo cercando. In itinere, insomma niente di più spaventoso per noi signore d’altri tempi e sicure solo nelle certezze, ciecamente venerate. Si trattava quindi di una missione, necessaria alla nostra generazione, comprendere i meccanismi di progettazione della bellezza ai tempi della post produzione digitale e della ri-postazione del desiderio. Dentro l’evoluzione del consumismo e nei tempi della quarantena globale era sempre più evidente a noi che la società spingeva ad un ultra polluzione del prodotto. Compra offerta e riproduci domanda, compra la riproduzione della domanda e ri-posta reclame. SPAM! Mangia, documenta, condividi. Rigurgita spam, brandizza, autoproduciti, auto(ri)produciti. Diventa SPAM. Acquista per postare, posta per acquistare: consenso, ricchezza, autorità. Ma in tutto questo ti sei dimenticato dell’ornamento, che cosa è l’ornamento?
Grazie ai nostri poteri di Solar Queen, quali la perfetta sintonizzazione sul dove ci si trova nel punto del discorso, ci chiedemmo all’unisono cosa significasse contemporaneo? In quanto triumvirato acefalo stabilire i confini, i termini e il vocabolario è sempre fonte di discussioni, spesso infinite e che portano, senza motivo, alla deriva, senza la preoccupazione, però, di non produrre senso, perchè un significato lo si raggiunge lo stesso, quindi finita questa piccola nota sul metodo di ricerca: contemporaneo è ciò che puoi fotografare nel tuo ora, anche, mentre stai correndo per andare ad un appuntamento, anche mentre torni dal fare la spesa, anche mentre passeggi in un esotica località di mare. Un qualcosa che è stato salvato in uno di quei grandi archivi che sono le gallerie dei nostri telefoni. In pratica delle informazioni che non sono ancora state storicizzate.
Un archivio digitale. Ecco cosa sarebbe stato nella sua prima fase. Avremmo incrociato le immagini a delle coordinate spazio temporali. Facendo orbitare quindi la nostra storia, rileggendola come degli scontrini che galleggiano nell’etere e collegati in maniera multidimensionale attraverso nodi, che possono funzionare da gancio. Facilmente immaginabili come hypertext multiversali. Una chimera fra l’Atlas di Aby Warburg e il Musée d’art moderne – Département des Aigles di Marcel Broodthaers. Un omaggio al Teatro della Memoria di Giulio Camillo, un richiamo al utopistico Mundaneum o una restituzione grafica della Biblioteca di Babele di Borges. Oppure l’atteggiamento di Ugo la Pietra nelle sue visite lagunari:
«Pago il biglietto, entro, faccio un giro delle cose da vedere, quindi esco: questo è il tempo a Venezia, un tempo uguale a quello che ognuno di noi utilizza quando entra in un museo che “conserva” opere»
Le nostre immagini, dunque, non dovevano avere delle necessità estetiche, dovevano essere dei documenti e come tali andavano lette.
Adesso il tema della lettura di un immagine è impervio e si srotola fin dagli inizi della nostra cultura. Pare che fin dai tempi delle prime comunità la società umana abbia avuto la necessità di produrre immagini. Molto tempo prima di sapere cosa fosse la scrittura. Questo inciso non vuole essere una lezione, affidabile e sicura, lungi da noi voler partorire consapevolezze o conoscenze sterili.
*Quali sono state le prime forme di comunicazione sulla terra? come comunicavano gli uomini primitivi? le prime comunità umane producevano immagini? esistono culture che non producono immagini? Sono solo alcune delle domande che vogliamo proporre.
Aperte e varcate le porte dell’immaginazione ci vogliamo lanciare in speculazioni attendibili quanto l’oroscopo e con lo stesso margine d’errore di una teoria scientifica. Certe come una legge matematica affermiamo che la donna ha generato immagini prima di chiedersi come scrivere quello che comunicava e che abbia piuttosto affidato ai fonemi, fin da subito, l’arduo compito di trasportare i suoi messaggi più profondi (proverbio, antico detto, usanza, tipico, caratteristico, vernacolare, senza autore, fiabe, dialetti).
Ipotizziamo ora, tolta la scrittura, a cosa potesse essere affidata la comunicazione: fonemi, disegni, indumenti, oggetti.
(Approfondendo la questione dell’oggetto, la cosa, lo strumento, l’utensile, l’apparecchio)
La materia tramite il disegno, viene informata. I primi rudimentali strumenti, utensili, armi, indumenti sono dunque portatori sani di forma e trasmettono a noi, oggi, delle informazioni quanto delle intenzioni. Dall’inizio della sua storia la forma ha sviluppato una duplice faccia: funzionale e rappresentativa. Anche questa è una buona occasione per aprire infiniti interrogativi, è valido scindere funzione e rappresentazione? Non si tratta forse della stessa cosa? Che la forma non segua necessariamente la funzione non è già stato ampiamente dimostrato da un'infinità di esempi?
Cosa succede se la funzione di un oggetto cambia o viene dimenticata. O come spiegare il form follow function nelle cose che hanno forme non adatte ad espletare la loro funzione o che non ne hanno alcuna, basti pensare all’infinito ciarpame, cianfrusaglie, ciapapuer, che invade le nostre case.
Il caso del souvenir è molto interessante perché porta con sé riflessioni sull’inutilità dell’utile. Il souvenir non serve a niente nel senso funzionale, pratico, cioè non aiuta a svolgere nessuna azione fisica della vita umana. Però è in grado di svolgere mansioni immateriali, richiamando ricordi, aiutando la memoria, diviene un vero e proprio ponte spazio temporale per rivivere nella loro quasi totalità esperienze del passato e questa non è forse una funzione da poco? Parlando di utilità si cade sempre nella rete del nostro tempo e quello che nella società del momento viene ritenuto più o meno importante, scivolando in un paragone del mondo economico, il valore cambia, come è testimone il sale, che oggi usiamo per cucinare e troviamo a meno di un euro al kg nel supermercato.
Nel Camp possiamo ritrovare invece esempio di oggetti portatori sani di un'identità culturale, non volendo avvicinare i due termini andrebbe, indagato qui, anche il folklore nella sua oggettistica. È nostra opinione che spesso quando di parla di oggetti folkloristici lo si faccia con un'accezione di inutilità di base, mentre da sempre nella cultura popolare si fa di necessità virtù, rendendoci impossibile il pensiero che ci sia qualcosa che non serva. Del maiale si mangia tutto e via dicendo.
Stiamo indagando qui il rapporto fra Rappresentazione e Funzione nella fruizione e se è possibile immaginare un cammino parallelo delle due nello sviluppo dell’ umanità.
Come è successo che il bastone che veniva utilizzato per cacciare o combattere sia diventato un monile, o il simbolo del capo? da materiale inerte ad investitore di poteri altri, intangibili, degno rappresentante di costrutti umani. Per poi passare a opera da museo, chiuso in una teca e conservato, trasportato e restaurato trasmettendo nuovi significati ed infine divenire immagine bidimensionale, fotografato, è divenuto documento! Stampato a colori, in bianco e nero, spedito come cartolina. Meme, post, sfondo per un video di Beyoncé. Ritwittato, screenshottato e messo come sfondo del cellulare. Insomma in queste matrici si susseguono leggi e regole, comportamentali, sociali, politiche e religiose che si sviluppano nel vivere collettivo.
Ci sono casi nel quale la collettività non abbia richiesto di produrre oggetti che rappresentassero ideali? Simboli, simulacri. Portatori di qualcosa oltre il regno materiale. Indumenti, monili, utensili per la casa non sono forse i primi oggetti che univano, dentro se stessi, rappresentazione e funzione? Svolgendo durante la vita un compito materiale ed assumendo un valore spirituale per la vita dopo la morte attraverso riti che demarcano il passaggio. Il cambio di stato. Da bastone a scettro attraverso l’intaglio, l’aggiunta di altri materiali, pietre o preziosi, ossa o tessuti.
Interessante potrebbe essere affrontare il tema dell’ornamento attraverso il mito, la leggenda o semplicemente la storia dello sviluppo della colonna. Che ricordiamo aver trovato dentro il più antico testo a noi pervenuto, anche se con molte difficoltà e molti possibili tradimenti e altrettante interpretazioni, De architettura di Vitruvio. Dove viene raccontata l’evoluzione della colonna da dorica, ionica a corinzia. Dove la dorica viene associata ai Dori, dai caratteri più maschili ricordati da una proporzione più tozza e robusta di 1 a 7. La colonna ionica che viene narrata come desunta dalle forme femminili, più slanciate nella proporzione di 1 a 8, le scanalature del fusto a riportare le pieghe del vestito e le volute del capitello somiglianti alla capigliatura. Fino ad arrivare ad una vera e propria metamorfosi in pietra di una storia di una fanciulla che depose una cesta poi avvolta dalle crescenti foglie di acanto.
Le colonne, come la ben nota Colonna Traiana, il famoso Obelisco di Luxor o la Stele di Rosetta, sono spesso state utilizzate per esporre una storia o quantomeno una versione di quella storia. Anche il bassorilievo sembra nascere da quella esigenza, come nel caso delle metope del Partenone nelle quali sono illustrate la centauromachia, l’amazzonomachia e la gigantomachia. Nel fregio del Partenone viene raccontato quello che Camille Paglia interpreta come la rappresentazione di un rito di pulizia, un bagno di purificazione delle divinità dalle loro parti bestiali, che vede l’ascesa degli dei sul Monte Olimpo come divinità dall’aspetto umano. Per la storica dell’arte, in quel bassorilievo è raccontata una storia diversa da quella che probabilmente avevano in mente gli scultori mentre la producevano, per lei vi è presentata la nascita dell’occhio occidentale, punto di inizio dello sviluppo della cultura visiva nella quale oggi siamo immersi, basata interamente sul senso della vista. Una cultura che ha deterso la bestialità e il terreno in favore del raziocinio, del chiaro e del retto. Quello che ci dicono i riallocati e ribattezzati Marmi di Elgin è più di una semplice e testuale narrazione, mettono in scena un vero e proprio dramma che attraversa il tempo e lo spazio ed ha tanti volti quanti spettatori. L'indagine da noi compiuta vuole ripensare il rapporto fra scrittura e architettura. Sradicare l’idea dell’architettura come libro in pietra. Quanto siamo stati influenzati dal ragionamento implicito della scrittura nella lettura di quelle che erano storie raccontate per immagini? Esiste un modo di raccontare la storia oggettivo? Non si è sempre vittima delle lenti di chi la racconta o dal contesto nel quale si trova sia l’osservatore che l’osservato? Ci domandiamo se i musei, soprattutto quelli nazionali, usciranno mai dal veicolare concetti ottocenteschi dal sapore assolutistico mentre osserviamo che la scrittura viene utilizzata come ornamento. In effetti anche L’Alberti propone per il più sublime decoro del tempio, scritte in lettere capitali per il fregio. (Lapidario, tipografia, font)
Anche nell’interpretazione della colonna ci sono svariate proposte, c’è chi vede nelle colonne il ricordo di vecchie liturgie, sacrifici alle divinità, dove la testa, il capitello, rimane a ricordare le offerte come carcasse di animali, pellame o tributi floreali. Non meno interessante la vestizione che avviene delle colonne nei giorni di festa all'interno di alcune chiese, pratica oggi rara ma che fu molto in voga nel passato. L’Alberti vede la colonna invece come elemento di base della sua teoria architettonica e la definisce come primo ornamento.
Provando a riassumere sembrerebbe che l’ornamento è legato alla vita domestica, alle liturgie (al sacro, allo spirituale, alla religione -le metto fra parentesi perchè non mi dispiacerebbe arrivare a definirle come conseguenze o meglio come un qualcosa che accade perché chi ha capito il meccanismo della rappresentazione, dell’ornamento, l’abbia utilizzato per creare delle masse, per manipolarle e sottometterle nello stesso modo dell'anello di Tolkien), alla narrazione, il racconto, il superamento della morte, l’immortalità, la generazione di un'identità, di comunità, di un nucleo che si stringe intorno ad uno stesso ideale, alla protezione quanto alla prosperità, alla buona sorte, al profitto, al guadagno, alla ricchezza. Alla matematica quanto all'infinita varietà e vastità del mondo. Alla festa, al centro commerciale, al teatro e al cinema. Alla natura, all’uomo, alla donna. Alla cosmesi, al rivestimento, al travestimento. Alla mimesi, alla riproduzione e all’educazione.
Si inizia a definire che l’ornamento è qualcosa in grado di trascrivere, trasmettere, investire, riversare poteri magici, politici, religiosi, economici ad un oggetto. Che l’ornamento può essere letto come un pacchetto di informazioni che vengono aggiunte ad un qualcosa di comune. L’ornamento divide il comune dal raro, racconta qualcosa sul come costruire una personalità, la vita di una singolarità, scinde quello che è semplice materia da quello che diventa un prezioso, un antico, un potente, un monumentale, un sacro, un leggendario. L’ornamento riveste doni degli dei, oggetti posseduti da re, regine, imperatori o esseri umani considerati delle divinità. Trasforma mucchi di pietre nelle dimore delle divinità, è la capacità che Le Corbusier riconosce alla luce «far di pietre inerti un dramma». Ed è forse qui che potremmo aprire un’ulteriore scissione, natura o cultura, natura o artificio. Sintetizzando brutalmente i ragionamenti dell’Alberti sull’ornamento: la bellezza sarebbe prerogativa della Natura, dunque l’ornamento risulterebbe essere quello che l'uomo può fare per avvicinarsi ad essa -desiderare- qualora voglia perfezionare, sottolineare, abbellire qualcosa che per sua natura non lo sia. Si tratterebbe quindi di un Costrutto, un’altra idea di bellezza, questa volta umana, che segue l’idee delle varie società e dei loro momenti storici, l’ornamento si comporterebbe come quell’idea di bellezza oggettiva, costruita da istituzioni, personalità, eventi.
Come in una boccia per pesci, eravamo sicure, le immagini si sarebbero guardate, scontrate, incrociate o divorate evitando a noi il duro compito della selezione. Visto che comunque la scelta era già stata fatta a priori, quando il nostro occhio, a mente distratta, era stato catturato da qualcosa che per il nostro sistema di codici stonava, emergeva, pungeva.
Queste immagini, andavano poi lette e descritte, ci siamo interrogate molto prima di arrivare alla conclusione che 1+1+1 era meglio di una somma che portasse a qualche risultato, quindi di nuovo l’unica possibilità era quella di continuare ad accatastare una cosa sull’altra. Abbiamo quindi lasciato all’inglese il compito di nominare, dall’alto, le foto con un titolo sintetico, pubblicitario e concettuale che potesse portare direttamente nel ragionamento commerciale della faccenda. Prodotti. Brand. Spam!
Ad accompagnare la stringa anglofona ci divertiva una spiegazione, più emotiva, storicizzante in rigoroso e autoironico italiano. Una pista contorta che portasse a sperdere ma lasciando frammenti di noci ed altre delizie. Avremmo costruito dei testi torrone! Appiccicosi e pieni di frutta secca tenuta insieme da una sostanza a metà strada fra il liquido ed il solido, inglobante.
A questo punto la prima parte risultava terminata.
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lamilanomagazine · 11 months
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Bari: Dal 30 giugno al 2 luglio "LUNGOMARE DI LIBRI".
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Bari: Dal 30 giugno al 2 luglio "LUNGOMARE DI LIBRI". Giunge quest’anno alla terza edizione “Lungomare di libri” a Bari, la manifestazione letteraria che trasforma il capoluogo pugliese in una grande libreria a cielo aperto, grazie alla presenza di librai ed editori del territorio - e in un crocevia di incontri con autrici e autori da tutta Italia, nei luoghi simbolo della città: nel borgo storico e lungo la Muraglia, da Largo Vito Maurogiovanni al Fortino Sant’Antonio, fino a Piazza del Ferrarese, al Mercato del pesce e allo Spazio Murat. Lungomare di libri si svolgerà da venerdì 30 a domenica 2 luglio 2023 attorno al tema “La fantasia è un posto dove ci piove dentro”, per esplorare insieme il grande potere dell’immaginazione e per rendere omaggio a Italo Calvino a cent’anni dalla nascita, attraverso le suggestioni che scaturiscono da questa sua citazione, tratta dalle Lezioni americane. Ma anche per proseguire la riflessione iniziata al Salone Internazionale del Libro di Torino (con il tema “Attraverso lo specchio”) sulla necessità di immaginare nuovi mondi e nuove realtà, per meglio affrontare e superare un’epoca caratterizzata da conflitti sociali, politici ed economici. Consapevoli che la creatività porti con sé il potere di sperimentare vie e strade originali, per guidarci in un mondo più libero da limiti, convenzioni, arricchendo vite, sogni, prospettive. Presentazioni editoriali, lezioni magistrali, convegni, momenti di approfondimento, azioni pittoriche, attività per bambine e bambini, consigli di lettura e reading si alterneranno nell’arco di tre giorni dal pomeriggio alla sera, per dare slancio alla fantasia attraverso la lettura e i tanti linguaggi della scrittura, dai romanzi ai saggi, dai libri per ragazze e ragazzi, passando per le serie televisive e i podcast. I temi affrontati: l’accoglienza e la solidarietà, le biblioteche come cuori pulsanti di cultura e aggregazione, i meccanismi del potere governativo, il rilancio dell’economia, la precarietà non solo economica, ma anche sociale, sanitaria e geopolitica, l’impegno civile, la rinascita personale, le sfide verso l’ignoto e il coraggio di superare i propri limiti. La terza edizione di Lungomare di libri è promossa dal Comune di Bari - Assessorato alla Cultura e dall’associazione I Presìdi del libro, con il sostegno della Regione Puglia – Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio, ed è organizzata dal Salone Internazionale del Libro di Torino, insieme ai librai di Bari e provincia, alle case editrici pugliesi con l’organizzazione dell’APE-Associazione Pugliese Editori; Partner Fondazione Puglia. Un progetto di promozione del libro e della lettura ispirato alla fortunata formula di Portici di Carta a Torino, che passa attraverso la promozione turistica dei centri storici cittadini e il coinvolgimento delle fertili realtà territoriali della filiera editoriale, come le librerie indipendenti, le biblioteche e gli editori locali. La presentazione della manifestazione si è tenuta questa mattina, a Palazzo di Città, alla presenza di Antonio Decaro, sindaco di Bari, Ines Pierucci, assessora alle Culture e al Turismo del Comune di Bari, Aldo Patruno, direttore dipartimento Turismo, Economia della cultura e Valorizzazione del territorio della Regione Puglia, Grazia Di Bari, consigliera delegata per le Politiche culturali della Regione Puglia, Marco Pautasso, segretario generale del Salone Internazionale del Libro di Torino, Orietta Limitone, presidente associazione I Presìdi del Libro, Rocco Pinto, coordinatore delle librerie per Lungomare di libri e Livio Muci, editore Besa Muci e presidente APE. PROGRAMMA: Quasi 50 ospiti in tre giornate per più di 30 appuntamenti dedicati ai grandi e ai più piccoli: sulla Muraglia, nel tratto compreso tra piazza del Ferrarese e largo Vito Maurogiovanni, torna il caratteristico serpentone con 35 casette complessive, che ospitano 23 librerie di Bari e della Città Metropolitana e 36 editori pugliesi associati ad APE. Per la prima volta Lungomare di libri sarà anticipata da un’anteprima speciale, grazie alla nuova collaborazione con Umana e Confindustria Puglia. Mercoledì 21 giugno alle ore 21 al Castello Svevo di Bari il pubblico potrà incontrare i finalisti della sessantunesima edizione del Premio Campiello: Silvia Ballestra con La Sibilla. Vita di Joyce Lussu (Laterza); Marta Cai con "Centomilioni" (Einaudi); Tommaso Pincio con Diario di un'estate marziana (G. Perrone Editore); Benedetta Tobagi con La Resistenza delle donne (Einaudi); Filippo Tuena con In cerca di Pan (Nottetempo). La serata sarà ad entrata libera su registrazione (link: https://www.umana.it/campiello-2023/), fino a esaurimento posti, e trasmessa in diretta streaming sul canale di Umana https://www.umana.it/diretta-premio-campiello-2023. Sempre come anteprima di avvicinamento a Lungomare, giovedì 29 giugno lo Spazio Murat (piazza del Ferrarese) ospita alle ore 21 la performance Sussurra Luce, con Francesco Cavaliere e Spencer Clark, un progetto di Fantom che esplora le relazioni tra suono, parola, voce, media e tecnologia. La manifestazione prende il via venerdì 30 giugno alle ore 18 in piazza Ferrarese con la grande azione di pittura collettiva VisibileInvisibile. Skyline, a cura del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli in collaborazione con Salone Internazionale del Libro di Torino e Bari Social Book, ispirata all’immaginario delle Città invisibili di Italo Calvino. Linee, forme e colori, sulla vasta superficie pittorica, daranno vita a un inedito skyline ottenuto componendo, su un’unica linea d’orizzonte visivo, tra realtà e immaginazione letteraria, anche gli edifici e i monumenti più suggestivi di Bari, città che ospita l’evento, e di Torino, da anni capitale internazionale del libro. Tra gli ospiti attesi di venerdì 30 giugno: Antonella Agnoli, tra le massime esperte di progettazione di biblioteche in Italia, con una lezione tratta dal suo nuovo saggio La casa di tutti. Città e biblioteche (Laterza); l’autore per bambine e bambine Gianluca Caporaso con Il signor Conchiglia (Salani), fiaba poetica ispirata alla storia di Aylan Kurdi, il bimbo profugo ritrovato sulla spiaggia di Bodrum; la giornalista Anna Puricella con il suo nuovo thriller Monteruga (Fandango), ambientato in Salento; lo storico e grecista Luciano Canfora, che, partendo dal suo ultimo lavoro Sovranità limitata (Laterza, 2023), proporrà un ritratto della politica attuale italiana e una riflessione sulle scelte atlantiste in politica estera; l’esordiente Beatrice Salvioni, caso letterario dell’anno, non solo italiano, con La malnata (Einaudi), già tradotto in più di trenta Paesi e in procinto di diventare una serie televisiva; i librai di Lungomare di Libri, coordinati da Rocco Pinto, con i loro consigli di lettura. Tra le autrici e gli autori in programma sabato 1 luglio: il Premio Andersen Arianna Papini con letture, animazioni e laboratori per bambine e bambini; l’economista Gianfranco Viesti, che si interrogherà su una domanda attuale e strategica: Riuscirà il PNRR a rilanciare l'Italia? (Donzelli); il critico musicale e conduttore radiofonico di Radio Due Rai Gino Castaldo, in occasione dell’uscita di Il cielo bruciava di stelle. La stagione magica dei cantautori italiani (Mondadori), che si apre con il giorno in cui furono rapiti Fabrizio De André e Dori Ghezzi; Marino Sinibaldi, già direttore di Rai Radio Tre e ora presidente del Cepell-Centro per il libro e la lettura, che presenterà il settimo numero della rivista da lui diretta Sotto il vulcano (Feltrinelli), intitolato Sopravvissuti e curato da Paolo Giordano, e il suo nuovo podcast Timbuctu prodotto da Il Post, in dialogo con Gaetano Prisciantelli; l’economista Carlo Cottarelli, ora in libreria con Chimere. Sogni e fallimenti dell'economia (Feltrinelli), in cui analizza le forze economiche che governano la vita di tutti i giorni, esaminando sette grandi sogni e altrettanti fallimenti; la scrittrice Claudia Durastanti, che attraverso una lectio magistralis racconterà la figura di Rocco Scotellaro, a cento anni dalla sua nascita, poeta e scrittore lucano, dal grande impegno civile e sociale e dalla poetica impregnata di cultura contadina; Silvia Cassioli con Il capro (Il Saggiatore), romanzo sull’orrore incomprensibile che fu la serie di delitti del Mostro di Firenze; i librai di Lungomare di libri, coordinati da Rocco Pinto, con i loro consigli di lettura. Previsto anche un momento musicale al Teatro Comunale Piccinni con il concerto Napul è, dedicato alla canzone napoletana contemporanea, per un omaggio ai cantautori come Gigi Finizio, Enzo Gragnaniello e Pino Daniele, con l’Orchestra Sinfonica della Città Metropolitana di Bari di 46 elementi, la voce di Emilia Zamuner, la direzione e gli arrangiamenti di Alfonso Girardo. Domenica 2 luglio sono attesi: Domenico Scarpa con il nuovo libro Calvino fa la conchiglia. La costruzione di uno scrittore (Hoepli), frutto di una ricerca ventennale e scavi d'archivio, che restituisce tutti gli Italo Calvino che si sono presentati al lettore in forme sempre diverse; Gabriella Genisi, scrittrice amatissima come la protagonista dei suoi gialli Lolita Lobosco, ora in libreria con una nuova avventura della marescialla Chicca Lopez in L’angelo di Castelforte alle prese con un mistero in stile Agatha Christie (Rizzoli); lo scrittore e critico letterario Silvio Perrella con un’intervista impossibile a Italo Calvino e accompagnata da letture a due voci; la giovanissima Sara Ciafardoni, bookstagrammer (@lasarabooks) e autrice di La ragazza che scrive, edito da Mondadori Electa (primo titolo di Electa Young, nuova collana dedicata agli adolescenti e scritta da adolescenti); Cristina Cassar Scalia, autrice dei bestseller con Lolita Lobosco, dal 27 giugno in libreria con la vicequestore Vanina Guarrasi, per la nuova avventura noir in La banda dei Carusi (Einaudi); lo scrittore Fabio Genovesi, che ha appena pubblicato il romanzo Oro puro (Mondadori), in cui narra la navigazione di Cristoforo Colombo come una grande avventura umana, esistenziale e sentimentale; il Premio Andersen Arianna Papini con letture, animazioni e laboratori per bambine e bambini; la Presentazione della rivista Arab Pop (Tau Edizioni). Il Mercato del pesce sarà il quartier generale degli incontri organizzati da APE - Associazione Pugliesi Editori, nei tre giorni di Lungomare di libri, dalle ore 18 alle ore 24: più di 30 case editrici del territorio si racconteranno attraverso le loro autrici e i loro autori e le ante novità editoriali. Lo spazio accoglierà anche laboratori e attività per bambini, grazie alla presenza del Dipartimento Educazione del Castelo di Rivoli e di Bari Social Book. In particolare si ricordano i laboratori venerdì 1 e sabato 2 luglio, proposti dal Premio Andersen Arianna Papini, illustratrice ospite di questa edizione, autrice oltre quaranta titoli, pubblicati con diversi editori di libri per l’infanzia, come Kalandraka, Fatatrac, Lapis, Uovonero, Donzelli, Coccole e Caccole. Saranno occasioni speciali, affinché i più piccoli possano imparare a coltivare la fantasia, a lasciare che le idee fluiscano libere e si trasformino in storie. Novità di quest’anno sarà il dopoLungomare, tra musica e letteratura, grazie alla presenza della conduttrice Margherita Schirmacher con il suo camper letterario Ticket to Read, già apprezzato da lettrici e lettori al Salone Internazionale del Libro di Torino (in collaborazione con Chausson Italia). Ogni sera, a partire dalle ore 23, si esplorerà, insieme a ospiti dal mondo del cantautorato contemporaneo, un lato meno conosciuto di Italo Calvino, quello di autore di canzoni, grazie all’esperienza di Cantacronache, progetto musicale di Emilio Jona, Sergio Liberovici, Michele Straniero, Margot, cui collaborarono anche, tra gli altri, Umberto Eco, Franco Fortini e Gianni Rodari, che lanciò la canzone d'autore italiana. Il 30 giugno sarà ospite Pino Marino, il 1 luglio Carlo Valente e il 2 luglio Lorenzo Lepore. Al Museo Civico di Bari dal 23 giugno al 3 settembre Lungomare di libri accoglie la mostra collettiva dedicata a Raffaella Carrà dal titolo “Raffaella icona dell’arte” che celebra, attraverso le opere di venti artisti “la più amata dagli italiani”. È organizzata da Informacittà, l’arte di comunicare - Firenze e Museo Civico di Bari, a cura di Maria Paternostro e Silvia Minelli, con la direzione artistica di Francesco Carofiglio. In esposizione i lavori di: Vauro, Lediesis, Alex Laben, Carla Bruttini, Audace.socialclub, simon_thegraphic, Il Grande Flagello, @stefano menicagli, Gabriel Ebensperger, @ Kelly Kantanoleon, Daria Derakhshan, Zelda Bomba, Giancarlo Covino, Donald Soffritti, Steo Disney, Andrea Mattiello, @miss quark, @elisabetta raineri, Michele Volpicella, Andrea Giacopuzzi. Info: museocivicobari. it. Tutti gli incontri sono a ingresso libero e gratuito, fino a esaurimento posti. Il programma completo con ospiti, editori, librai e incontri è consultabile sui siti comune.bari.it e salonelibro.it e sui canali social del Salone Internazionale del Libro di Torino. Dichiarazioni: «Giunto alla sua terza edizione, Lungomare di Libri è un appuntamento che in questi anni ha saputo farsi strada e diventare un punto di riferimento nel panorama variegato degli eventi culturali pugliesi. Una libreria a cielo aperto che si arricchisce di importanti testimonianze letterarie, locali e nazionali, per raccontare il mondo attraverso l’arte della scrittura. Siamo orgogliosi del programma ideato quest’anno, che non avrebbe potuto trovare ispirazione migliore se non nelle pagine di uno dei più grandi autori italiani di tutti i tempi, Italo Calvino, che ha ispirato milioni di scrittori e lettori in tutto il mondo. Anche quest’anno Lungomare di libri si arricchirà della presenza e del lavoro dei librai e delle case editrici del territorio che quotidianamente rappresentano un presidio di cultura nelle nostre città. Era importante per noi realizzare questa manifestazione con il loro contributo perché siamo fermamente convinti che la crescita di una comunità passi anche attraverso la valorizzazione dell’impresa culturale che per noi è un settore strategico per lo sviluppo dell’intero Paese». Antonio Decaro, Sindaco di Bari «La terza edizione di Lungomare di libri è un traguardo importante, se pensiamo che si tratta di un’avventura cominciata in piena pandemia, mentre era ancora in vigore il coprifuoco. È una sfida nella quale abbiamo fortemente creduto e in cui hanno creduto, sin dall’inizio, la Regione Puglia e il Salone internazionale del Libro di Torino, che ringrazio di cuore. In questi anni abbiamo acquisito la collaborazione dei Presidi del libro, e nel 2023 al nostro fianco torna anche Confindustria con l’anteprima dei finalisti del Premio Campiello, mentre resta confermato il sostegno di Fondazione Puglia. Con i librai, i veri protagonisti della manifestazione, ancora più numerosi in questa edizione, abbiamo scelto il tema, gli autori e il programma, con importanti riflessioni sul ruolo delle librerie. Siamo particolarmente soddisfatti anche per la grande partecipazione degli editori, quest’anno accolti nel Mercato del pesce con le attività rivolte ai più piccoli con Bari Social Book e Castello di Rivoli. Lungomare di libri è per noi un laboratorio prezioso che auspichiamo cresca sempre più all’insegna della promozione del libro, della lettura e delle professioni che vi ruotano attorno. È una grande festa per chi vi partecipa e, insieme, un’occasione per fare rete tra i professionisti del settore. È la manifestazione che valorizza la lettura sul nostro splendido lungomare, nella cui poesia Calvino avrebbe trovato la sua settima lezione americana». Ines Pierucci, Assessora alle Culture, Turismo e Marketing Territoriale del Comune di Bari «Il successo delle due edizioni di Lungomare di libri non poteva che spronarci a realizzare anche questa terza edizione, sostenendo l'entusiasmo e la professionalità dei veri protagonisti della rassegna, i librai, gli editori e i lettori pugliesi. La rete virtuosa costruita con l'assessorato alle Culture del Comune di Bari, il Salone del Libro di Torino, Portici di Carta, Teatro Pubblico Pugliese, i Presìdi del Libro e il sistema dell’editoria pugliese si inquadrano alla perfezione nella strategia culturale della Regione Puglia per la promozione della lettura e il welfare culturale. In più, Lungomare di Libri ha un inevitabile e forte appeal turistico, collocandosi all'inizio della stagione estiva e in uno dei luoghi più iconici del capoluogo regionale. Così confermando la straordinaria efficacia del connubio Cultura e Turismo per il posizionamento della destinazione Bari, sempre più ispirato a qualità e proiezione internazionale». Aldo Patruno, Direttore Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio della Regione Puglia. «Lungomare di libri è giunto alla sua terza edizione e anche quest'anno siamo certi della risposta positiva dei baresi e dei tanti turisti che affollano la città. Parliamo di una manifestazione importante perché promuove il confronto con librai e case editrici, così da poter dar vita a nuove proposte. Vogliamo valorizzare la rete degli editori pugliesi che svolgono un lavoro prezioso per la comunità. Iniziative come queste arricchiscono l'offerta culturale della nostra regione, facendo vivere ai turisti esperienze che non dimenticheranno. La Regione Puglia riconosce nel lettore e nella lettrice delle figure di alto valore culturale e sociale e promuove la lettura come forma di welfare della conoscenza. La lettura è fondamentale per la crescita culturale e sociale del Paese e rappresenta uno strumento essenziale per la circolazione del sapere. Sviluppare progetti e idee per promuoverla è un dovere per le istituzioni». Grazia Di Bari, Consigliera delegata per le Politiche Culturali della Regione Puglia «Abbiamo sentito la necessità di legare il tema di quest’anno a una ricorrenza molto significativa per la letteratura italiana, quella del centenario di Italo Calvino, dalle cui parole abbiamo tratto lo spunto per ragionare in termini di fantasia, immaginazione e scoperta. È in arrivo, infatti, un’edizione sull’onda della creatività, una terza edizione che sancisce il successo di un progetto nato dall’idea originaria di promuovere il libro e la lettura attraverso la valorizzazione delle eccellenze del territorio. Siamo felici di questo scatto in avanti di Lungomare di libri, caratterizzato da più appuntamenti, più editori, più librai, a riprova della vitalità che ruota attorno al libro in Puglia e non solo». Marco Pautasso, Segretario generale del Salone Internazionale del Libro di Torino «La terza edizione di Lungomare di Libri ha un tema molto evocativo che è un auspicio, più che una citazione dalle Lezioni americane. Vorremmo che la fantasia sprigionasse in ognuno il desiderio di varcare la soglia del consueto, per esplorare i mondi del possibile e dell’immaginario. Lì ogni cosa può essere vera, esattamente come il suo contrario, e ciascuno abiterà lo spazio che è capace di inventarsi. L’Associazione Presìdi del libro, che da vent’anni promuove la lettura con i suoi 112 gruppi distribuiti su tutto il territorio nazionale, crede moltissimo nella capacità rigenerativa dei libri e della letteratura che non smette di considerare imprescindibili nella crescita umana e culturale di ogni individuo». Orietta Limitone, Presidente Associazione I Presìdi del Libro «Lungomare di libri porta in riva al mare il prezioso lavoro che le librerie fanno tutto l'anno nei loro territori interagendo con i luoghi della lettura, scuole e biblioteche, e con quanti a vario titoli si occupano di libri e lettura . E anche un'occasione di incontro con tutta la filiera del libro. Dal 2020 una legge ha riconosciuto alle librerie il loro ruolo di presìdi culturali oltre che commerciali». Rocco... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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