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#il silenzio del cigno
sciatu · 8 months
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IL CUORE DI ORTIGIA DI NOTTE
Finiamo di cenare e ci incamminiamo verso il cuore di Ortigia, passando accanto a vicoli con costellazioni di stelle sopra i piccoli tavoli dei ristoranti, austere chiese che abbracciano nelle loro piazzette i soliti ristoranti dal profumo di pasta alle vongole, o col piccante aroma di cozze alla tarantina. Dovremo sentirci offesi scandalizzati da questo turbinio di candido barocco e di pasta alle sarde. Ma è la vita che aleggia a mezzaria tra i vecchi palazzi baronali e i cortili barocchi, è la vita portata dalle infinite lingue dei turisti che si perde tra i vicoli e le lampade gialle, tra i B&B e le case vuote, è la loro curiosità, il loro stupore per il bello che vi trovano che fa pulsare il cuore di Ortigia. Arriviamo nella grande piazza colma di gente, di voci e di musica, circondata dai palazzi nobiliari dagli imponenti portoni dove i turisti si aggirano affascinati dal tempo fermato nella bianca pietra di Siracusa, cristallizzato nelle colonne e balconi in ferro battuto a collo di cigno, nel barocco mischiato con le colonne dei templi greci della cattedrale dalle perfette forme, nella purezza dell’acqua della fontana di Aretusa, in prospettive scenografiche disegnate dalla luce giallognola dei lampioni. I sogni diventano reali e le notti si vestono di ricordi soffici e dolciastri, Ortigia è come un enorme palcoscenico dove si recita l’eleganza e la creatività del silenzio nelle sue forme più intime e moderne. I turisti dal noioso vociare sono solo le comparse di un eternità recitata dalla bellezza di queste pietre. Tutto è un passato che racconta di tragedie greche, di guerre sanguinose tra saraceni e normanni, di Principi alla Gattopardo e di arte immortale lungo le strade a misura d’uomo, tra i palazzi nobili o nelle povere case che nel buio sembrano aspettare austere e compite quel sole che di giorno le fa brillare di luce, incastonate in un mare fraterno e cristallino.
We finish dinner and walk towards the heart of Ortigia, passing by alleys with constellations of stars above the small restaurant tables, austere churches that embrace in their squares the usual restaurants with the scent of pasta with clams, or with the spicy aroma of mussels alla tarantina. We will have to feel offended and scandalized by this swirl of candid Baroque and pasta with sardines. But it is the life that hovers in the air between the old baronial palaces and the baroque courtyards, it is the life brought by the infinite languages of the tourists that gets lost in the alleys and the yellow lamps, between the B&Bs and the empty houses, it is their curiosity, their amazement at the beauty they find there makes the heart of Ortigia beat. We arrive in the large square full of people, voices and music, surrounded by noble palaces with imposing gates where tourists wander around fascinated by time stopped in the white stone of Syracuse, crystallized in the swan-neck wrought iron columns and balconies, in the baroque mixed with the columns of the Greek temples of the cathedral with perfect shapes, in the purity of the water of the fountain of Arethusa, in scenographic perspectives drawn by the yellowish light of the street lamps. Dreams come true and the nights are dressed in soft and sweet memories. Ortigia is like a huge stage where the elegance and creativity of silence is played out in its most intimate and modern forms. The boring shouting tourists are just the extras of an eternity played out by the beauty of these stones. Everything is a past that tells of Greek tragedies, of bloody wars between Saracens and Normans, of Gattopardo Princes and of immortal art along the streets on a human scale, among the noble palaces or in the poor houses that in the dark seem to wait austere and fulfill that sun which during the day makes them shine with light, set in a fraternal and crystalline sea.
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micro961 · 3 months
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Falcone “Porte Di Silenzio”
E’ il nuovo singolo della cantautrice
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La cantautrice lombarda torna col suo stile tendente all’immaginario e incentrato sulla ricerca di testi e musiche sempre più maturi e consapevoli.
“Le Porte di Silenzio” (Maionese Project/Matilde Dischi) sono tutti quegli attimi sospesi, inconclusi, dove non c'è ragione, torto o motivo. Sono le porte delle gabbie del subconscio. È la descrizione di un mood, dell’ambiente, delle sensazioni che si riflettono e risuonano come la pioggia che scroscia sull’asfalto o batte forte contro i vetri, mentre ti ricorda che sei solo apparentemente spento, ma che lontano, col tempo, in qualche modo puoi continuare a vivere e a riprenderti quella meritata importanza. Il testo e la musica sono di Valentina Falcone, l’arrangiamento e la produzione sono curati insieme alla Costellazione del Cigno.
On-line anche il videoclip che descrive le storie parallele di alcuni personaggi in diverse circostanze, tutte legate alla sensazione del brano che diventa una vera e propria colonna sonora. Le varie storie sono quindi associate all’atmosfera della canzone, al freddo, alla notte, alla pioggia, ai momenti di riflessione con noi stessi. La narrazione, senza essere legata ad un classico racconto, vuole arrivare in maniera immaginaria e percettiva a diventare quasi un gioco di interpretazione personale, dove ognuno può immedesimarsi nelle scene e farne una propria storia.
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Falcone è la somma di molte sperimentazioni musicali che spaziano dall’acustico al Dark Rock elettronico, cercando sempre una chiave di lettura inedita, personale e interpretativa. La cantautrice cura i propri testi e le musiche, ma anche la grafica e lo stile del progetto. Utilizza la musica come vera e propria psicoterapia nei momenti più riflessivi o di maggiore tensione, la incanala come valvola di sfogo essendo caratterialmente chiusa e introversa. Non ama fare cover o esercizi di stile, ma preferisce confrontarsi e migliorarsi con l’ascolto di molta musica, anche di vario genere. Quando scrive non ha un metodo preciso né utilizza tematiche prestabilite, ma fonde pensieri e idee legandole e vestendole di suggestioni, spesso e volentieri anche cinematografiche.
Falcone, alias Valentina Falcone è una cantautrice nata a Busto Arsizio (Va) classe ’80. Scrive da quando è poco più che ragazzina poesie e testi che presto si trasformano in collaborazioni musicali. Da sempre alla ricerca di una propria identità artistica, sperimenta molteplici progetti, ma resta sempre fedele al mood che più l’affascina: l’introspezione legata all’ambient atmosferico che spazia dal pop all’acustica, dal rock all’elettronica/noise. Nel corso degli anni è stata finalista all’Accademia della Canzone di Sanremo (ora Area Sanremo), a Rock Targato Italia, a Brand New Talent (MTV) ed ha ricevuto il “Premio speciale Giovani” al Mei di Faenza, entrando nel circuito di My Chance e Meet’in Radio, e ottenendo passaggi televisivi su “Uzone” nel programma di Mediaset Italia 2. E’ rimasta per un anno al secondo posto nella classifica web di UnoTv/CommusiK, ricevendo molti consensi e recensioni positive da testate di rilievo e dagli addetti ai lavori.
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notizieoggi2023 · 4 months
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Mes: la freddezza del Quirinale e il silenzio della Banca d’Italia sul sorprendente No della Meloni Per un Paese altamente indebitato come l’Italia, che deve ogni giorno sperare nella benevolenza dei mercati finanziari e dei partner occidentali per finanziare il proprio debito pubblico, rifiutare lo scudo protettivo del Mes è autolesionismo puro e dilettantesco infantilismo. Incrociare le dita nella speranza che non ci capiti addosso una crisi finanziaria o bancaria è il meno che si possa fare ma, anche se non arrivasse tra di noi un nuovo cigno nero, con la sorprendente bocciatura del Mes abbiamo offerto il petto alla speculazione che ha buon gioco a individuare nell’Italia il punto debole del sistema finanziario internazionale. Le banche italiane, per quanto siano solide, hanno qualche ragione in più di preoccuparsi e per convincersi che il Governo Meloni, in aggiunta allo scivolone di luglio sull’extratassa sui profitti bancari, è a tutti gli effetti un Governo anti-mercato. Quando scatta il combinato disposto sovranista Salvini-Meloni arriva sempre qualche guaio: finanziario ma anche politico ed istituzionale. Sono in molti a pensare, e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo ha preannunciato, che la sciocca furbata sul Mes la pagheremo cara. Non solo perché siamo nel mirino dei mercati ma perché ci siamo rivelati inaffidabili agli occhi dei nostri partner europei, Francia e Germania in testa, che non ci faranno sconti su tutti i prossimi dossier comunitari. Questa preoccupazione è forte nell’establishment italiano e ai vertici delle nostre istituzioni e due elementi la simboleggiano più di altri: la freddezza del Quirinale verso la premier Giorgia Meloni e il silenzio della Banca d’Italia. La freddezza del Quirinale nasce dagli atteggiamenti irriguardosi di Meloni che il No al Mes enfatizza La collaborazione istituzionale tra il Presidente Sergio Mattarella e la premier Giorgia Meloni era nata sotto i migliori auspici ed è durata per tutta la prima parte dell’esperienza del Governo di destra-centro, ma si è inceppata dall’estate scorsa e da quando la Presidente del Consiglio ha cominciato a collezionare passi falsi e atteggiamenti irriguardosi verso il Quirinale. A partire dal suo viaggio ferragostano a Tirana e dal controverso accordo di trasferimento di migranti dall’Italia i canali della comunicazione tra Quirinale e Palazzo Chigi si sono raffreddati. Il Presidente Mattarella ha saputo solo a cose fatte dell’accordo Italia-Albania, così come a cose fatte ha saputo dell’intenzione del Governo di non onorare il trattato internazionale sul Mes. Ma il gelo è calato anche dopo le ripetute bugie della Meloni sul premierato e sui conseguenti effetti della riforma costituzionale sulle prerogative e sulle funzioni del Presidente della Repubblica. Meloni non perde occasione per rassicurazione sulla difesa del ruolo di garanzia istituzionale del Capo dello Stato, ma è la prima a sapere che, nella forma attuale, la proposta di premierato lede i poteri del Presidente della Repubblica, non fosse altro perché si immagina il futuro premier eletto dal popolo e il Capo dello Stato no. Gli scomposti attacchi del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, a Mattarella hanno fatto il resto. Il Capo dello Stato è persona estremamente corretta e non interferirà nel gioco politico ma di sicuro non lascerà che si offuschi il ruolo della Presidenza della Repubblica, almeno finché non verrà realmente approvata la confusa riforma costituzionale del Governo. Ma negli ultimi giorni è stato ed è soprattutto l’isolamento europeo dell’Italia con il No al Mes ad allarmare il Quirinale e ora tutti aspettano, con ancora maggior curiosità del solito, il messaggio televisivo di fine anno del Presidente. Pur con tutto il garbo istituzionale che gli è proprio, nella sera del 31 dicembre Mattarella ne accennerà? No al Mes: il silenzio della Banca d’Italia non è sinonimo di assenso. Attesa per lil pronunciamento di Panetta La preoccupazione per i pericoli di isolamento europeo ed internazionale dell’Italia e per l’indebolimento delle difese del Paese rispetto a eventuali crisi finanziarie e bancarie è anche della Banca d’Italia. Tutti sanno che il nuovo Governatore Fabio Panetta è amico della premier Giorgia Meloni, ma che è anche un fervido europeista, come ha dimostrato nel board della Bce, e aspettano di mettere alla prova la sua indipendenza dal potere politico. La prassi istituzionale non prevede che il nuovo Governatore insorga all’improvviso contro il No al Mes del Governo ma tutti pensano che Panetta saprà trovare il modo, l’occasione e le parole giuste per segnalare i pericoli ai quali la mancata adesione al Mes espone l’Italia sia sul piano finanziario che su quello bancario. L’occasione giusta potrebbe essere quella del debutto di Panetta al Forex di Genova dove dovrà intervenire il prossimo 10 febbraio. Ma non è detto che il nuovo Governatore non trovi il modo per pronunciarsi sul rifiuto del Mes anche prima. Di certo il provvisorio silenzio di via Nazionale sul voltafaccia dell’Italia sul Mes non è un segnale di assenso.
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tempi-dispari · 1 year
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Cigno: psicanalisi sonora della società
Disturbante e, per questo, efficace. Questo l’ultimo lavoro di il Cigno, all’anagrafe Diego Cignotti. Un lavoro che definire complesso è riduttivo. Come da stessa affermazione dell’artista, il disco rifiuta e rifugge in ogni sua espressione la forma canonica di canzone. Un po’ sulla scia degli Area. Il nostro però accentua la sperimentazione. Nel disco non c’è una, dicasi, una, sola canzone. I brani sono insiemi, esperienze. Sono inquiete e inquietanti. Cacofoniche alle volte, caotiche. Non si può neppure dire che raccolgano influenze diverse perché sono fatte di sensazioni.
Clangori industriali lasciano il posto a percussioni tribali, suono di sitar, cantilene mefistofeliche. Un mix apparentemente senza senso di suoni e rumori. Apparentemente perché, come è giusto che sia, ogni brano è espressione di un concetto ben preciso. E sono concetti non facili da digerire. Per trovare il primo spiraglio di ‘melodia’ si deve arrivare alla quarta canzone, Y en el monte. Più che una canzone, un canto folkloristico tra musica russa, mediorientale, cori nostrani.
Non esiste un accompagnamento che sia tale. La base è data dal battere ritmico delle mani, dal sitar, dall’oud, dalle percussioni. Un’esperienza, un viaggio nel vero senso della parola. Non mancano poi avventure nel campo dell’elettronica. Quella più dura, più hardcore miscelata a suoni space. Si ascolti Antèchrist per avere un’idea dell’utilizzo dei campionatori. Cassa dritta a 200 bpm si infrange su muri industriali potentissimi e pesantissimi, senza fermarsi fio a metà brano. Qui subentra lo scorcio di recitato di una messa con tanto di coro delle perpetue.
Il brano poi riprende a pieno ritmo fino alla fine dove rallenta e sfuma. In Pax invece è il basso a dominare. Basso iterante come iterante è il suono di un timpano che l’accompagna. L’ipnosi diventa più forte con l’ingresso dei cori. Con questi strumenti ad arco doppiano il basso. Orchestrazioni dissonanti fanno capolino qua e là. L’idea che cresce con seguendo il brano è quella di un film muto sul periodo romano. Il battito iterante rappresenta i passi degli schiavi con la caviglie legate. Le tastiere indicano l’arrivo dei centurioni che li frustano per parli muovere.
Lenti, emaciati, rassegnati gli uomini proseguono il loro cammino senza la minima energia. Fino al silenzio finale. SI torna su terreni che dire accidentati è poco, con Ogochukwu. Brano scritto in memoria di Alika Ogochukwu, 39venne disabile nigeriano ucciso a Civitanova Marche. Si prosegue con la sperimentazione con A frate dolcino vengono amputati naso e pene. I rumori richiamano il dolore che deve aver sofferto il torturato in quel preciso frangente.
Si arriva poi al singolo cui è legato anche un video che segue lo stile della musica. Censure e torture, Stefano Cucchi tra le fiamme. Il martellare della cassa, acustica, un organo in sottofondo, rumori di vario genere, portano ad una svolta più industriale. Questa è caratterizzata da suoni distorti, dissonanti. Il battere di un qualche elemneto resta in sottofondo a mo di battito del cuore. Le due parti si alternano fino alla risoluzione finale in crescendo.
Lamentazioni mediterranee è l’ultimo brano. Sono proprio le suggestioni della musica del mare nostrum a farla da padrone. Sitar greco, cori solo con vocalizzi, suono di onde, percussioni accompagnano in modo inquietante tra i flutti. I cori non sono melodici. Sembrano voci provenienti dagli abissi che chiedono aiuto. Il tutto senza una riga di testo.
La parte riguardante la voce e i testi è stata volutamente lasciata per ultima. Come si può descrivere un contato che non c’è? Per lo più i testi, caustici, di denuncia, abrasivi, in italiano e dialetto, sono recitati secondo quella che è stata la lezione di Pierpaolo Capovilla. Non c’è uno stralcio di melodia. E anche quando è presente è utilizzata in modo completamente inusuale, assolutamente poco consono.
Concludendo. Nulla esprime meglio il concetto di questo disco come le parole stesse dell’autore Cigno:
‘Una psicanalisi sonora della società contemporanea, una soundtrack sotto acido di un canto dantesco, un esorcismo al contrario‘.
E così è, ne più e ne meno. Un disco consigliabile? Sicuramente, ma con riserva. Nel senso che prima di affrontarlo è bene sapere a cosa sta andando in contro. Si deve essere pronti a rivedere se stessi nelle contraddizioni, nelle dissonanze, nei fastidiosi suoni industriali. Si deve essere sicuri di volersi guardare allo specchio sapendo che ciò che vedremo non ci piacerà affatto.
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Mamma Meris non ha osato cucinare pennuti! Mi ha guardato e mi ha detto:” non vorrei mai che qualcuno possa scrivere che mi hai fatto cucinare Pippo il povero cigno del laghetto di Salsomaggiore morto dopo 40 anni” 🥶🥶🥶 Silenzio in cucina! Ancora silenzio… Zuppa di pane e cipolla gratinata al forno. Uno dei piatti più povero è più buono del mondo. Buona domenica a tutti. (presso Fidenza, Italy) https://www.instagram.com/p/CoSA2gTtcv0/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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jetaime03 · 2 years
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Io se mi paleso mi paleso con il mio volto: -secondo chi mi ha cresciuto-ho gli occhi di mio padre e la passione di mia madre in lotta sul mio viso. E come una mezza punta sarò delicato sul tuo cuore: immobile e dolce come le mie labbra carnose e rosse sulla fronte e i miei capelli biondi. Ho più di un cuore: il mio e quelli delle persone che ho amato e sono morte o andate via per tutti i motivi del mondo. Sarò quel ragazzo che conta come la seconda scelta davanti a te, sono quello che ti tende una mano quando lo stronzo di turno ti fa colare il rimmel più costoso che hai messo per evitare di piangere. Sono quel ragazzo che o ami o odi, oppure quello stronzo che ti regalerà una brutta storia e ti lascia un mondo su come è fatto il mondo. Sono quello che sa andare avanti con un filo d'erba calpestato come sentiero. Quello che ama circondarsi di pochi ma buoni, quello che darebbe la vita per chi ama. Sono quello che si osserva e si meraviglia. Quello che ama semplicemente dentro sé stesso e che sa stare lontano da chi ama e usare questo sentimento come un faro nella notte: in quella dell'anima e il resto? Il mio cuore è nero pece ma con le stelle a brillare. E se ti avessi incontrato una seconda volta ti assicuro che sarebbe andata bene, saremmo stati noi. Sono quello che legge e che studia, quello che ti toglie i vestiti dopo la parola se si sente di farlo. Sono quello che si mangia l'orgoglio a colazione dopo una litigata e chiede scusa in silenzio. Sono quello delle mille mani tese, sono quello che sloggia dopo un segnale di disturbo, sono quello che ha smesso di parlare perché il mondo non lo vuole sentire più e vice versa. Sono quello che dentro sé stesso ha il canto di un cigno che non vuole morire, ma vuole volare e amarti da dentro senza divorarti col cuore. Sono quello che non ha bisogno di nessuno: ci devo essere io per gli altri non gli altri per me. E solo le altre parti di me possono vedermi vulnerabile. Ho smesso di credere nel mondo quando la gente ha iniziato a chiudersi, me compreso: covo tutto all'interno, a meno che non mi trovi a piangere: anche il dolore insegna, Infatti da quando ho sei anni è un compagno fidato che non mi lascia e che sopporto in silenzio. Sarò in quelle sigarette e canne fugaci mentre si disintegrano sotto il mio aspirare perché anche sentirsi reali è uno scavo interiore per quelli come noi: un po' fottuti un po' con la voglia di riprendersi. Quelli che non ti aspetteresti mai, quelli che hanno conosciuto il dolore per il disagio della diversità. Quello che è piombo e gomma piuma. Quello che ti guarda torvo se dici il suo nome e poi ti bacia la fronte prima di andare a dormire. Sono quello che non dovrebbe scrivere tutte queste cose, ma che se le tiene dentro e le dice in ogni abbraccio dato alla sorella di notte, o nei gesti spontanei. Sono quello che si nasconde dietro i trucchi. Sono quello che va a fondo e ti trascina senza volere e poi ti toglie dalla merda: mi basta un bacio e mi riprendo. Sono quello che vive sé stesso con ardua solennità, nel suo piccolo. Quello che le botte le ha prese ed è maturato. Quello che non accetti i forse ed è o si o no, e non ha paura di niente o che se la tiene per sé. Quello che ti tende una mano e l'altra pure dopo aver posto l'altra guancia. Ma al tempo stesso col cazzo che lo fa. Quello che ha il fiato in gola ora che sono nelle mani di un altro. E anche se avrai camminato mille miglia non riuscirai a non ricordare. Quindi ecco a te il mio cuore desolato nella speranza di avere altri che lo abitino. Io me e me stesso, è ciò che ho imparato dopo essere caduto nel burrone, sputato, denigrato e infamato.
Attenendo l'altra parte del cigno: questo per ora sono solo io.-Mikail
Tratto da una storiellina che sto scrivendo/ scrivevo.
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opheliablackmoon · 2 years
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ       ᴀʙᴏᴜᴛ ᴛʜᴇ ᴘʀᴇsᴇɴᴛ  ❚  manhattan, ny        new update  ﹫  mr x & mr y         h. 18.23, september 17th, 2022             ❪      🌑      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Un odore di chiuso, a tratti maleodorante cominciò ad aleggiare in quello scantinato situato chissà dove sotto le strade trafficate di New York. Il rumore delle macchine sopra la loro testa era un continuo ricordare il tempo che trascorreva, lento ed inesorabile mentre il fischio della metropolitana in lontananza segnava i rintocchi come un orologio a pendolo. Lo sentiva nelle ossa, l'uomo, il tempo quello che aveva sempre avuto a sua disposizione mentre il suo secondo lo osservava con circospezione. Lo osservava con timore, con quell'apprensione di chi sapeva che bastava un unico passo falso per mettere a repentaglio la sua vita. L'uomo dai capelli corvini lasciava che fosse il coltello che teneva in mano a parlare per lui. Il suo sguardo, freddo e glaciale, era concentrato su quella lama che pungeva il polpastrello dell'indice sinistro prima di farlo ruotare lentamente. Solo quando il fischio della metropolitana, il secondo uomo, più rozzo e probabilmente più stupido prese la parola.   ᴍʀ ʏ  « Ancora non ho capito perché hai atteso tutto questo tempo. Potevi dare fuoco all'appartamento mesi fa, eppure l'hai fatto quando era in vacanza, non ha senso. »   ᴍʀ x  « Davvero sei così tanto stupido da non arrivarci? » Silenzio si propagò quando quest'ultimo alzò lo sguardo sull'uomo ed osservò con disgusto l'essere che gli stava accanto. Aveva bisogno di una seconda persona per continuare il suo piano, un complice che avrebbe potuto sfruttare fino all'ultima di ucciderl0 eppure, più lo guardava, più credeva che fosse stupido.   ᴍʀ ʏ  « La principessa è ancora in Europa, abbiamo seguito tutti i suoi spostamenti, le carte perfino sembrano essere prive di disponibilità ma noi stiamo qui ad aspettare. Consegnare i fiori morti con quei vermi non è stato abbastanza. Voglio agire, adesso. »   ᴍʀ x  « La vendetta è un piatto che va servito freddo, idiota. Abbiamo tutto il tempo dalla nostra parte, e la fretta non è altro che cattiva consigliera. C'è la polizia che sta indagando, non è rimasto più nulla del suo appartamento, e le indagini sono ancora in corso. Ha più guardie del corpo di questa estate, e quel dannato Fleming sembra starle sempre addosso, entrambi i Fleming. »   ᴍʀ ʏ  « Potremmo divertirci se tu mi dessi il permesso. Non facciamo altro che aspettare e aspettare. » L'uomo rimase in silenzio, osservò la mano dell'altro che scalpitava muovendosi repentinamente sul tavolo in legno intagliato, mentre la muoveva così velocemente qui e là da renderlo ancor più nervoso. Con un movimento rapido e repentino fermò il gioco con il coltello e trafisse il dorso della mano del suo complice inchiodandola al tavolo. Un urlo sordo si udì, lacrime di un uomo che non si poteva dire di avere gli attributi e un altro che osservava compiaciuto la scena.   ᴍʀ x  « Forse non sono stato abbastanza chiaro, sono io che do gli ordini. Io decido e tu esegui, e credo che questa mano ti serva ancora. Se non altro per farti le seg*e, razza di imbecil*e. Ho altro in mente per la principessa, qualcosa che di certo non si aspetterà e né il suo futuro sposo, né quello che si scop* potranno fare nulla... Se non posso averla io, non l'avrà nessuno. » Lasciò il suo secondo agognante mentre poggiava di fronte a sé un origami a forma di cigno. Come se fosse una firma, aveva imparato in carcere, un modo per rilassarsi, ma solamente quando afferrò la biancheria intima della donna, prelevata dall'appartamento prima di appiccare l'incendio, si sentì accanto alla donna che lo aveva rapito e che continuava a tormentare i suoi più oscuri sogni. Portò il tessuto alle labbra, al naso, ne inspirò la consistenza, così femminile, così donna da mandarlo in estasi, stringendolo e pensando al suo prossimo passo. Era sempre più vicino al suo obiettivo, e lo avrebbe fatto in un caso o nell'altro.
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klimt7 · 2 years
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L'alba
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L'alba è un cigno
che attraversa il lago
La luna in cielo che gioca
fra rami imbiancati dalla prima neve
La musica del silenzio
a risuonare dentro di noi.
Noi ? Strumenti di quella musica
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ninoelesirene · 3 years
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Oggi, passeggiando tra "Legionari di Cristo", "Benedettine di Tutzing", "Suore Di S. Anna Della Provvidenza" et similia disseminati in zona Aurelia, mi sono imbattuto nell'Istituto Servi Del Cuore Immacolato di Maria, una struttura che somiglia molto alla dimora dei Missionari Saveriani dove ho fatto il ritiro spirituale prima della Cresima, e ho improvvisamente capito che la chiesa odia i timidi. 
Eh sì, perché alla fine di quel ritiro comunitario, in cui si erano riuniti i cresimandi di varie zone della città, era previsto, come premio, un pomeriggio di giochi di squadra regolati tutti da un principio costitutivo fondamentale: le squadre dovevano essere formate da ragazzi delle varie parrocchie, per facilitare la socializzazione e, nel facilitarla, torturare mortalmente i timidi. Ricordo lo strazio di dover sopportare in sequenza e in silenzio:
- lo sport in quanto tale;
- lo sport in quanto tale, non essendo io competitivo, in mezzo a belve competitive;
- lo sport in quanto tale, non essendo io competitivo, in mezzo a belve competitive che non conoscevo.
Considerato il Calvario che fu e il ricordo che ne serbo, suppongo che il ritiro spirituale possa ancora ritenersi un successo nel mio caso.
Ma non è l'unica testimonianza, perché il disprezzo della Chiesa per i timidi innerva i suoi rituali, si nasconde in umide aule di catechismo al piano -1 della parrocchia, si esprime in precisi momenti della messa pensati perché i timidi possano autocomburere nel fuoco della loro ansia. Vogliamo ad esempio parlare dello "scambiatevi un segno di pace"? Ricordo come fosse ieri il senso di oppressione in mezzo a tutti quegli estranei apparentemente così coesi, rammento con esattezza il panico che permeava i secondi subito precedenti alla stretta maledetta, di cui non riuscivo mai a modulare numero, intensità, durata, specie con le mani ‘percentuale umidità 0-100 in 60 secondi’. 
E che dire della prima volta da chierichetto? Un'esperienza vissuta tipo rito d'iniziazione di una confraternita americana e "no, non lo voglio fare il chierichetto", non voglio preoccuparmi del campanello, non voglio vestirmi come Marina Abramović a Palazzo Strozzi, ma niente: un'esitazione e Don Sauro te trattava come se fossi l'Anticristo. 
Tuttavia l'ingegno multiforme di Don Sauro, che da questo momento ribattezziamo Don Sauron, non si fermava qui, perché l'oscuro persecutore andava scovando timidi anche nelle precedenti generazioni, ché la mela timida non cade lontano dall'albero timido. Sempre nei giorni a ridosso della Cresima era prevista infatti una sessione di preghiera alla Basilica di Loreto, accompagnati dai parenti, che per l'occasione furono mia madre e mia nonna. La faccenda si prospettava abbastanza indolore: avevo scampato il turno delle letture e si trattava solo di partecipare a una messa nella cripta, con i parenti seduti e noi ragazzi assiepati in fondo, in piedi. Dalla mia postazione nelle retrovie, riuscivo a vedere le mie donne in terza fila, mia madre in un posto corridoio, con il piede destro già orientato alle ore 2, segno di una certa impazienza. Mancavano pochi minuti all'inizio delle celebrazioni ed evidentemente serviva un congiunto che declamasse le sacre scritture. Con il suo potere oscuro, Don Sauron lanciò un conico sguardo sulla platea. La mamma di Silvia? No, scelta scontata. Il papà di Mario? No, voce attufata. Il fratello maggiore di Marco? Lenisce troppo le occlusive palatali sorde. Lo spietato scandaglio continuò qualche altro secondo finché lo sguardo del male non si posò su una donna mora, occhiale scuro irremovibile anche in zona abissopelagica, dritta sulla panca come un fuso, in silenzio. Dal fondo della cripta vedo Don Sauron puntare il suo mirino su di lei, mi pare persino di percepire un lieve movimento tellurico. Il prevt' si avvicina, un passo dopo l'altro raggiunge il posto corridoio con il piede alle ore 14. Già preoccupato, non riesco a sentire lo scambio, ma intuisco che Sauron insiste nel proporre qualcosa. Nefertari prega Anubi, non la Madonnina nera di Loreto; ma lui non capisce e insiste, insiste nonostante il sempre più rigido, benché ancora composto, diniego. Sauron si ostina ancora e ancora, cieco alle avvisaglie di sventura: MAI, MAI abusare della pazienza di un timido. A un tratto l'aria si ferma, la misura è colma. Mi sembra di vedere dispiegarsi alle spalle di mia madre due ali piumate, nere come la notte dei tempi. Cigno Nero is out. Gli occhiali della farmacia per leggere da vicino di Sauron vibrano. Mi sento impotente: l'esperienza mi ha insegnato, dopo anni di cassiere del supermercato maleducate ridotte in meschini cumuli di cenere, che la fase successiva a Nina Black Swan è Jean Grey di X-Men. Le colonne della cripta saranno spazzate via come case prefabbricate della Louisiana. Mi spiace ragazzi. Farei un segno della croce, ma pare brutto. Mi dico: "è finita, Don Sauron sta per espiare una volta per tutte le sue colpe, la sua mancanza di empatia, simpatia, telepatia!", quando, a un tratto, simile a un raggio di luce che squarcia le nubi, simile allo spotlight che illumina improvvisamente Liza sullo sgabello, vedo il braccio di mia nonna disegnare una sacra parabola nell'etere e posarsi sulla coscia di mia madre. Sauron ne segue il percorso, mesmerizzato e con il cuore incastonato in un istante eterno: "Leggo io" mi pare gli stia dicendo, "la lettura la faccio io". Per un attimo, l'intera cripta sembra sospesa nel vuoto: Sauron e i suoi evidenti problemi ponderali fluttuano leggeri come fluttua chi è rimasto chiuso in bagno e non è salito su un Boeing difettoso. Un attimo dopo, domata la meravigliosa fiera, Miris si avvia con passo sicuro verso il pulpito, immune alla timidezza, donna, madre, moglie, amica, suora laica col tacchetto delle scarpe di un metro cubo, se serve. Sauron è salvo, ma non sarà più lo stesso. 
Ma ho divagato e mi preme aggiungere ancora una riflessione. La Chiesa odia i timidi anche quando li premia: cosa credi, catechista Maria, che per me fosse un divertimento interpretare la parte di Gesù ogni santa volta che dovevamo leggere un capitolo del Vangelo solo perché non me scalmanavo come un folpo e stavo zitto e quindi parevo sempre in odore di santità? Ero timido! Solo timido! E volevo essere lasciato in pace, non essere messo in croce e dire Eli Eli Lama Sabachthani in quella cella frigorifera 'ndo ce moralizzavi (devo ammettere con una certa grazia)! 
Ecco, ora l'ho detto, sto meglio e comunque è vero che camminare e prendere aria schiarisce le idee.
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florence-castle · 3 years
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Florence Castle's HEROES OF CYBERTRON - Episodio Speciale 01: DINOBOT
Buon compleanno Beast Wars ma - soprattutto - buon compleanno anche a me, poiché entrambi quest'anno compiamo ben 25 anni. Perciò festeggeremo tutti insieme con questo speciale che tratterà l'icona numero uno di questa serie TF "bestiale"...
NOTA: Alcune immagini non sono mie, ma vengono dal sito DeviantArt. Articolo scritto da me, con l'approvazione di @jazzluca.
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SPECIALE 1: DINOBOT, l'onore di un guerriero
«Forse ho trovato la risposta alla domanda che mi assillava da tempo: il futuro non può essere mutato, siamo noi che decidiamo le nostre scelte. Ma, ironia della sorte, soltanto ora scopro di non poter scegliere affatto. Io sono un guerriero... e il mio destino è combattere!».
Con questa bellissima e commovente citazione tratta dalla serie TF che quest’anno spegnerà venticinque candeline, introduciamo un’altra stella del firmamento robottiano che ha segnato profondamente i nostri cuori fino alle lacrime (per alcuni letteralmente!). Da non confondersi con l’omonima squadra Autobot dall’altmode sauresco, DINOBOT è indiscutibilmente il beniamino delle masse per il suo acuto senso dell’onore e quel carisma tale che morirebbe gloriosamente in battaglia pur di proteggere chi ama; il tutto armato dei suoi inconfondibili spada e scudo rotanti e uno sguardo laser à la Superman per gli attacchi a lunga distanza.
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È impossibile non ricordare quel velociraptor Predacon che crede nella ricerca di una gloria imperitura, e che già all'inizio della serie Beast Wars inizia a mettere in dubbio i metodi di Megatron accusandolo di aver condotto il resto della ciurma su un pianeta sbagliato dopo il furto del Disco d'Oro, una preziosissima reliquia di Cybertron. Verrà quindi scacciato da disertore e si unirà successivamente ai Maximal nonostante il suo tentativo fallito di “spodestare” Optimus Primal dal ruolo di leader, ed è per questo che si distingue dai suoi neocompagni proprio per la sua famigerata lealtà ballerina: un Predacon resta pur sempre un Predacon, dopotutto, ma – parafrasando Nightmare before Christmas, uscito al cinema tre anni prima di ciò che in Italia conoscevamo come “Biocombat” – ti decanterà Shakespeare a memoria!
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Ebbene sì: Dinobot viene dipinto come un guerriero romantico, nell’accezione di tragico, un antieroe che lotta disperatamente per la sua libertà e sempre contro l’inevitabilità del destino; esattamente come fanno gli shakespeariani Macbeth («Ahimè, povero Tarantulas! Lo conoscevo, Cheetor...») e Amleto (il celeberrimo «Essere o non essere, questo è il dilemma...», oppure quel «Il resto è silenzio...» detto in punto di morte), entrambi in perenne lotta contro la natura “bene di madre e di voler matrigna”. E come tutti gli eroi tragici di questo genere, anche il nostro ha amiconi del cuore che lo rispettano, come quel Rattrap con cui condivide una divertente rivalità per i motivi di cui sopra.
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Il suo canto del cigno avviene nella Stagione 2, nel memorabile episodio Un Grande Eroe, in cui lo vediamo affrontare l’intero entourage di Megatron tutto da solo fino alla fine delle sue forze – arriva persino a mettere KO lo spietato capo Predacon con una rudimentale ascia. E quando i suoi compagni Maximal arrivano troppo tardi a vedere cos'è successo, Dinobot ha già abbracciato il suo destino e chiede umilmente loro di raccontare la sua storia ai posteri, poiché “non c’è nulla da recriminare” nell’aver salvato la valletta da cui nascerà la razza umana: «Dite loro la verità. – egli dice – I miei tradimenti e anche le mie imprese... e lasciate che mi giudichino di conseguenza. Ora lasciatemi in pace...». Questa è la fine di Dinobot, “vissuto da guerriero e morto da eroe”, ma non per quel mostro di Megatron sempre volenteroso di manipolare le menti dei nostri amici Biocombat con le sue intricatissime trame.
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Nella Stagione 3 infatti, grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia Transmetal 2, egli resuscita il caro e vecchio guerriero fondendo il DNA di questi e un frammento della Scintilla di Rampage, dando vita a un grottesco pseudo zombie/clone/mostro di Frankenstein. Con questa nuova veste, quindi, “Dinobot secondo” torna all’ovile dei Predacon nel tentativo di Megatron di avere tra le fila un soldato fedele e obbediente da controllare a piacimento, anche se il fantasma dei ricordi della vita precedente è sempre dietro l’angolo. La serie non ce lo spiega esplicitamente, ma si pensa che Rattrap abbia giocato un ruolo chiave per recuperare il “vecchio” Dinobot quasi in maniera analoga di Blackarachnia nei confronti di Tarantulas. Il suo sacrificio nel finale di serie lascia intendere che, seppur sia stato manipolato e riprogrammato contro la propria volontà, Dinobot è sempre disposto a tutto per andare fino in fondo e dignitosamente. Purtroppo, non sono mai state (finora) segnalate altre sue apparizioni in serie esterne alle Biocombat – esclusi i fumetti e l'omaggio nella recente War for Cybertron: Il Regno, in cui i Maxmal e i Predacon si contrano con i Cybertroniani G1 in un crossover non così brillante ma al tempo stesso un ottimo modo per festeggiare i venticinque anni delle Guerre Animali. Comunque, pare che l’anima di Dinobot si sia reincarnata in personaggi non così diversi dall’originale; i decani ricorderanno sicuramente la figura di Starscream concepita in Armada, ma il più vicino di tutti è forse il Decepticon Dreadwing della serie TRANSFORMERS: Prime, di cui abbiamo già discusso nella Puntata 4.
***
Per quanto sia stato un personaggio radicato esclusivamente nell’universo Beast Wars, Dinobot è divenuto popolarissimo e amato da pubblico anche attraverso i numerosi modellini susseguitisi negli anni. Primo tra tutti il Deluxe del 1996, che come tutti i colleghi di ondata aveva la gimmik della “testa mutante” – cioè una maschera con fattezze bestiali che segnava la transizione dalla forma animale a quella robotica. I colori della variante Hasbro non erano così eccezionali (il raptor era troppo rosa!) e il viso del Bot era appena abbozzato, mentre la variante Takara cercava allora come oggi di rimanere il più possibile fedele alla controparte animata. E ovviamente non mancano delle piccole variazioni, come il remold in Grimlock o la ricolorazione celebrativa del decennale della serie – il Deluxe del 2006, con parti dipinte con bei colori metallizzati e una valida alternativa al predecessore Takara.
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Doveroso menzionare l’aggiornamento – se possiamo definirlo tale – in Dinobot Transmetal 2 del 1999, anche questo un Deluxe ed è tuttora una rarità della sua categoria dato che la distribuzione dei Beast Wars iniziò ad interrompersi coi primissimi Transmetal 2. Un Deluxe, dicevo, che da una parte da un senso di continuità, ma dall’altra cozza con la versione nel cartone, che già il primo Dinobot era secondo solo a Megatron come altezza, quindi dovevano farlo minimo come Mega o Voyager, occasione perduta qui nella sua incarnazione TM2, senza però contare che altre versioni di personaggi della prima ora come Cybershark e Blackarachnia ricevettero un upgrade di stazza da Deluxe proprio nei rispettivi Mega Transmetal 2, ma sono dettagli.
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Ma un personaggio così popolare non potrebbe mai avere la possibilità di riapparire in modelli aggiornati negli anni successivi? Naturalmente sì, e così ecco un bell’Universe del 2008/09 nei panni di un velociraptor ispirato a Jurassic Park con una forma robotica più fedele alla controparte animata e con proporzioni più antropomorfe – oltre a una colorazione show-accurate se si prende l’omonimo Takara. Certo l’iconico scudo non ruota più, ma in compenso può sparare un missile che è anche l’altrettanto celebre spada. Il fascino delle Biocombat, però, si esaurisce in fretta e da quell’anno non se ne sente più parlare, a parte il Dinobot con altmode veicolare per la Timeline 2006 che purtroppo era solo il remold di Cybertron Longrack.
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Quasi nel tentativo di aggiungere una pezza all’aspetto goffo e troppo poco fedele alla controparte animata dei modellini di cui sopra, nel 2018 anche Dinobot appare tra i Masterpiece e finalmente con le giuste proporzioni e altezza – o almeno, insieme agli altri personaggi della sottocategoria Beast Wars della linea. Tra le chicche di questo Dinobot spiccano dettagli stampati e la verniciatura antigraffio, rendendolo quindi molto più resistente. Certo, è dettagliatissimo e fedelissimo al cartone animato, ma può spaventare i giunti delle articolazioni alle spalle del Bot, troppo duri e fragili – difettino corretto con le copie successive, per fortuna.
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Se proprio il Masterpiece è economicamente proibitivo, tre anni dopo arriva da War for Cybertron: Il Regno della macro-famiglia Generations un Voyager discreto e accettabile. È effettivamente un Masterpiece in miniatura e ci viene presentato come Predacon (ricordandoci che all’inizio della serie originale apparteneva a tale schieramento prima di disertare), ciononostante è anche un valido sostituto che manda definitivamente in soffitta il vecchio modello degli anni ‘90.
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CONCLUSIONE
Poiché come le Beast Wars sono nata nel ’96, mi vedo costretta essere di parte: una serie animata che ha avuto il coraggio di nascere in computer grafica, tecnologia all’epoca pionieristica e sconosciuta all’infuori dei pochi cartoni che conosco, per esempio della neonata Pixar Animation Studios. Scelte audaci a parte, l’idea di avere Transformer con altmode bestiali era già presente nella G1 – come i Predacon e i Terrorcon – ma una serie che sia interamente sulle “guerre animali” è stata una vera e propria rivoluzione. E che ci abbia regalato trame accattivanti dei personaggi memorabili come il nostro Dinobot o Blackarachnia è un altro punto a suo favore. Grazie di tutto, Guerriero!
Arrivederci alla prossima puntata! 😘
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weirdesplinder · 3 years
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Romance con elementi fantasy: il romantasy anni ‘80
Negli anni ‘80 il fantasy conobbe un grande successo, soprattutto in America. Stiamo parlando dell’epoca dei film di Conan per intenderci e in quel periodo elementi fansy si introdussero anche nel genere romance dell’epoca, quello che oggi di solito chiamano ‘bodice rippers’, dove l’eroe è sempre molto alfa e indaffarato in una missione, molto chiuso ed enigamtico e terribilmente muscoloso e virile, e le protagoniste femminili sono invece quasi sempre bellissime, virginali e cadono come pere cotte ai piedi di lui. Più o meno.Il connubio di questi due generi cre�� un ibrido che oggi considereremmo piuttosto strano e kitsch, che io amo chiamare romantasy.
Il romantasy puro è solo anni ‘80, massimo primi anni ‘90 ed è di solito ambientato in terre mistiche e fatate, vallate nascoste o pianeti misteriosi e vergini, dove la magia permea ogni cosa, i fiori sbocciano tutto l’anno, la natura è rigogliosa, cavalcano gli unicorni e di solito vive da sola e isolata una soave fanciulla stupenda, inconsciamente sensualissima e vergine. A rompere l’idillio di quei luoghi arriva di solito il maschio alfa intento in qualche missione che spesso finirà per creare problemi a quel posto (tipo dare la caccia agli unicorni) e per far fremere per la prima volta la ragazza che non ha mai visto un uomo prima, ma quando lo vede va comunque subito in brodo di giuggiole. Il protagonista maschile rimane leggermente meno spaesato di lei dall’attrazione tra di loro, ma comunque interrompe la missione vitale pur di sondare le acque di lei. Diciamo così.
Vale la pena, vi chiederete voi, di dedicare un post a questo genere così di nicchia, praticamente estinto e parecchio di cattivo gusto a volte?
Secondo me sì, perchè è giusto sapere che questi libri esistono, gli unicorni negli anni passati andavano tanto di moda e comunque leggendoli oggi questi libri in fondo fanno sorridere e possono essere fonte di divertimento con le loro assurde trovate.
Perciò oggi ho deciso di elencarvi qualche titolo di questo genere:
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Iniziamo con la Serie Paradise di Johanna Hailey, il cui primo libro fu pubblicato anche in italiano, mentre i due seguiti no:
1. ENCHANTED PARADISE Titolo italiano: PARADISO INCANTATO
https://amzn.to/3nwIZ0F   Aurora sapeva di non appartanere al popolo elfico che l'aveva cresciuta, ma era felice di vivere tra le gentili creature della radura. E visse cosi finché non incontrò Frayne e capì che il suo destino era legato a lui. Frayne aveva ben poco tempo per ogni altra cosa che non fosse la ricerca dell'unicorno e della sua magia, ma davanti alla bellezza di Aurora riuscì a trovare il tempo per una pausa.
2. CRYSTAL PARADISE Inedito in Italia 
https://amzn.to/3nv1in0
Trama: Aurora credeva di avere trovato la felicità nelle braccia del suo amato, ma la sua gioia è di breve di durata poichè il suo amante Frayne deve lasciarla per continuare la sua avventura. Stavolta deve trovare la perfetta rosa di cristallo. …
3. BELOVED PARADISE Inedito in Italia  
https://amzn.to/3u3VlA1
Trama: Perduta e sola in una terra incantata Aurora cerca la sua vera identità e proprio quando crede di aver perso ogni speranza vede appartire dalle nebbia Frayne….Stavolta la missione del guerriero non è trovare un unicorno o una rosa, ma aiutare la sua amata nella ricerca delle sue origini.
Proseguiamo con la trilogia Swan Maiden di Betina Lindsey, che invece mi risulta inedita in italiano ed è composta dai libri:
1. Swan bride
https://amzn.to/3u3VzqR
Moria è cresciuta nel reame di Myr, dove non esistono uomini, ma un giorno deve infine attraversare il cerchio di pietre che conduce al mondo dei mortali e andare incontro al suo destino...
2. Swan witch
A causa del suo voto di silenzio, Eithene non riesce ad avvertire del pericolo il cavaliere che in cerca della mitica dama del cigno che si suppone possa guarire ogni ferita, entra nel reame di Rath Morna, segnando per sempre il suo destino.
3.Swan Star
La dama del cigno Arrah è prigioniera del guerriero che le ha rubato il mantello magico ed il cuore.
Ritorniamo ai nostri cari unicorni con la Serie unicorn di Claire Delacroix, il cuo primo libro se non sbaglio era stato pubblicato anche in italiano, mentre i due seguiti no.  
1. La dama e l'unicorno (Unicorn bride)
https://amzn.to/3xyGz6A
For generazioni le leggende hanno parlato della fortezza di Montsalvat e dei suoi signori. Si dice che i padroni del castello possano trasformarsi in feroci bestie di giorno, e siano umani solo la notte...e ora Alienor de Perpignan è finita in sposa proprio al loro ultimo discendente.
2. Pearl Beyond Price (1995) 3. Unicorn Vengeance (1995)
Altra serie stavolta completamente disponibile in italiano è IL LAGO INCANTATO di Ruth Langan, volume unico che raccoglie i tre romanzi della serie Sorelle Drummond.
https://amzn.to/3vsjsZl
Trama: Scozia, 1559 - 1561. Quando Nola Drummond scompare dalla sua casa insieme alle tre giovani figlie, tra gli abitanti del villaggio prevale la convinzione che per sfuggire alla caccia alle streghe le donne si siano rifugiate in una leggendaria terra nelle Highlands che per lungo tempo è stata la dimora del loro clan: una terra incantata, dove chi possiede dei doni speciali è libero di usarli, lontano dagli sguardi ostili degli scettici. Sono storie fantastiche, antiche credenze popolari a cui Merrick MacAndrew, Grant MacCallum e il tenebroso laird del clan Ross si rifiutano ostinatamente di credere. Finché il destino non li pone di fronte alla necessità di accettare l'impossibile per ritrovare le sorelle Drummond. Perché soltanto Allegra, Kylia e Gwenellen possono restituire loro la felicità.
Concludiamo la carrellata di titoli romantasy con due romanzi autoconclusivi non facenti parte di serie, che però non sono mai stati pubblicati in italiano, almeno che io sappia. Se mi sbaglio fatemelo sapere:
- Summer of the Unicorn di Kay Hooper
https://amzn.to/3t3LZTi
Siri è una sacerdotessa guerriera guardiana di unicorni, Hunter è il cacciatore che è giunto sul suo pianeta per catturare un unicorno. Dovrebbero odiarsi, ma appena si vedono si desiderano e si distraggano talmente tanto che il cattivo della situazione ha vita facile nel rovinare i loro piani.
- Sea treasure di Johanna Hailey
https://amzn.to/3nw3XwI
Quando un capitano di mare viene salvato dalla morte da una sirena, crede di stare sognando. Ma quando si rende conto che lei è reale quanto lui e i due si innmamorano, i problemi non solo non si risolvono, ma si moltiplicano. Spinti verso le coste dei Caraibi i due amanti, provenienti da due mondi lontani, dovranno mettere in gioco la vita per salvare il loro amore.
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ma-pi-ma · 4 years
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Quanta, quanta pula
per un granello di grano:
che affanno.
Quanta, quanta rugiada
per fare una fragola:
una sola.
Quante, quante parole
per dire che amo
che t’amo.
Si placa il mare
nel silenzio del sale:
non muore.
.
Raffaele Carrieri, Dare e avere, da Il cigno lanciere, Schwarz, 1955
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paoloxl · 4 years
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Mentre il governo impone di rimanere in casa e limitare al minimo gli spostamenti in migliaia si rivoltano nelle carceri, nei quartieri le persone sono abbandonate a sé stesse, le misure di prevenzione non vengono applicate per i lavoratori, gli sfratti continuano ad essere eseguiti, chi viene pagato a prestazione (in nero, con la partita iva o con qualsiasi altra forma contrattuale) rimane senza stipendio a tempo indeterminato dovendo continuare a pagare per l’affitto, per i farmaci, per il cibo, per l’amuchina, le mascherine e i guanti.
#Rimaniamoacasa ma non rimaniamo in silenzio
L’emergenza sta funzionando come il letto di Procuste: chi è troppo corto o troppo lungo per le misure di prevenzione contro il coronavirus viene stirato o mutilato. Una tortura colpevolizzante per chi non entra preciso nel letto del torturatore. Stiamo assistendo a una violenza senza precedenti di cui il discorso di ieri sera del primo ministro a reti unificate è la rivendicazione esplicita. Nelle parole di Conte non esistono le migliaia di detenuti in rivolta nelle carceri italiane, più di dieci morti, le centinaia di feriti. Persone a cui tutti i giorni la tv ricorda di non frequentare luoghi affollati costrette in celle sovraffollate, persone che se si ammalano non vengono neanche portate in ospedale ma spostate in isolamento, persone a cui viene chiesto di ammalarsi in silenzio senza poter avere comunicazioni neanche con i propri parenti. Persone che stanno venendo massacrate, persone che semplicemente non esistono.
Di una generazione di baristi, fisioterapisti, guide turistiche, supplenti nelle scuole, pizzaioli, logopedisti, istruttori di palestra rimasti da un giorno all’altro senza stipendio, costretti a pagare affitti, a continuare a curarsi, a continuare a consumare, l’unica descrizione che viene fatta è quella del popolo della movida. Le uniche parole che li riguardano sono gli inviti a non fare gli aperitivi. Genitori che non possono più affidare i figli ai nonni ma devono continuare a lavorare. Anche loro non esistono.
Dei lavoratori spremuti peggio di prima, senza alcuna misura di prevenzione, che rispettano le regole in casa loro e poi sono esposti al rischio di contagio in magazzino, in fabbrica o in ufficio non c’è traccia. Semplicemente non esistono. Ieri mattina siamo stati davanti la fabbrica della Peroni a Tor Sapienza gli operai erano in sciopero per chiedere l’applicazione del contratto nazionale di categoria, il padrone ha provato a far assumere crumiri approfittando della limitazione all’attività sindacale imposta dall’emergenza. Alla fine gli operai sono riusciti a imporre un accordo ma hanno dovuto mettersi a rischio, adunarsi, organizzare un presidio: prendere in poche parole la drammatica scelta tra rischiare di essere licenziati e rischiare di estendere il contagio.
Lo sciacallo che gli ha imposto questo probabilmente beneficerà degli sgravi fiscali del governo, lui nel discorso del premier Conte è ben rappresentato, è tra quelli che vanno aiutati di quelli per cui il letto di Procuste è stato disegnato su misura.
Stiamo organizzando la solidarietà nel nostro quartiere, distribuendo amuchina, mettendoci a disposizione per fare la spesa agli anziani, cercando di non lasciare solo nessuno come sta facendo la parte migliore di questo paese: scala per scala, lotto per lotto. Ma il mutualismo non può bastare dobbiamo trovare il modo di prendere parola. Non siamo in grado di costruire comunità autosufficienti, neanche vogliamo, dobbiamo iniziare a porci il problema di come rispondere a questa violenza.
Rispettare le misure di prevenzione è nell’interesse di ciascuno di noi, dobbiamo trovare il modo di non rimanere zitti senza poter uscire di casa. Ogni abbiamo provato con una “lenzuolata”: abbiamo esposto lenzuoli bianchi fuori dalle finestre di casa nostra, come stanno facendo i detenuti fuori dalle gabbie in cui sono chiusi per chiedere un’amnistia subito. Cerchiamo altri modi, aguzziamo l’ingegno.
I compagni di Bagnoli hanno prodotto questo decalogo per impedire che la crisi sanitaria diventi anche crisi sociale, lo facciamo nostro, lo diffonderemo in quartiere nei prossimi giorni:
1. Illegittimità del licenziamento se la motivazione è collegata all’emergenza coronavirus. Mantenimento della retribuzione e del salario per tutti/e lavoratori e lavoratrici
2. Mantenimento delle misure di sicurezza su tutti i posti di lavoro. In caso di positività di colleghi al Covid, chiusura immediata delle aziende e mantenimento degli stipendi a salario pieno
3. Non solo sgravi alle imprese: creazione immediata di ammortizzatori sociali per sostenere lavoratori e lavoratrici. Istituzione di un reddito senza vincoli per supportare chi era legato a lavori a nero o a lavori saltuari
4. Assunzione di nuovi medici e sblocco delle graduatorie per infermieri e OSS
5. Amnistia o misure alternative per tutti i detenuti, è impossibile garantire la salute all’interno di queste carceri
6. Distribuzione gratuita quartiere per quartiere di mascherine, disinfettanti e informazioni sulla prevenzione
7. Blocco immediato degli sfratti e sospensione del pagamento degli affitti e dei mutui, sospensione del pagamento di tutte le bollette per le utenze
8. Maggiore chiarezza su misure di sicurezza, sulle possibilità di spostamento e sulle forme di contagio
9. Ripuliamo l’informazione: aumentiamo l’informazione scientifica. Basta incompetenti e speculatori che creano panico e allarmismo o sottovalutano l’epidemia
10. Stop a qualunque forma di razzismo e discriminazione: la malattia ha colpito e può colpire chiunque tra noi
Dall’inizio di questa epidemia abbiamo ripassato il copione di libri e film apocalittici o distopici: abbiamo tirato fuori dai cassetti Saramago e Resident evil, Artificial kid e Il cigno nero. Forse bastava guardare al senso politico di un filmaccio della nostra adolescenza: se la nave affonda le scialuppe ci sono solo per chi ha potuto pagare la prima classe.
Quarticciolo Ribelle
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k-erelle · 4 years
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UN FIUME CHIAMATO ERACLITO
Eraclito se ne fregava delle feste di stato. A lui piaceva il fiume. Dall'alto del ponte il fiume era bello. Veniva voglia di buttarsi giù. Che me ne faccio della bellezza se non posso averla, pensò Eraclito. Allora scese lungo la sponda ma inciampò su un frammento di water nascosto nell'erba folta. Bestemmiò in greco poiché greco era. Il cammino verso la bellezza è irto di ostacoli, si disse, questa me la devo segnare. All'ombra di un salice si sedette in riva al fiume. Infilò un piede nella corrente d'acqua. Cazzo se è fredda! esclamò. Lo tirò fuori scosso dai brividi. Per accedere alla bellezza si ha da soffrire, anche questa me la devo segnare. Allora si fece coraggio e infilò entrambi i piedi. Nel mentre che soffriva in silenzio, sbucò una grossa zoccola , un topo enorme. Per Zeus, disse,che razza di creature strane ci sono in prossimità della bellezza. Poi si addormentò per una mezz'oretta. Al risveglio si ricordò di aver sognato che il fiume gli aveva parlato. Fu così che inventò il divenire.
Ma essendosi fatta una certa , vuoi la fame, vuoi che il sogno gli aveva messo addosso un vaga tristezza, tirò fuori il cellulare e chiamò Artemide. La dea gli piaceva molto. Anche lei disdegnava la compagnia degli uomini e se ne fotteva di onori e ricompense.
Si misero d'accordo per un pic nic nel bosco dietro casa di Eraclito. Lui portava da bere , lei da mangiare. Cosa vuoi mangiare?, chiese Artemide. Fai tu , disse lui, sei tu la dea della caccia.
Sazi e ubriachi, i due centellinavano una grappetta fatta in casa , gentile regalo della madre di Empedocle, seduti davanti al laghetto di Eraclito. La luna , un cigno , due papere
Vuoi scopare? chiese Atemide
No , disse Eraclito
Ti faccio un pompino?
No, grazie
Ti adoro per questo. Te ne freghi di uomini e dei. Vieni qui, almeno un bacetto.
Non ci riesco.
Perché sei triste?
Ho inventato il divenire ,Artemide, non sarò mai più lo stesso
Tutto qui? Non ci abbiamo capito un cazzo della vita noi che siamo dei, figurati tu.
Artemide si alzò dall'erba, si spogliò . Nuda era ancora più bella. Si tuffò nel laghetto e il cigno le si avvicinò. Insieme giravano in cerchi ora vicini ora lontani. Sembrava una danza.
Forse la malinconia è tutto ciò che rimane della bellezza di un fiume, pensò Eraclito. No, questa non me la segno.
Si spogliò e si tuffò nel laghetto anche lui. Artemide gli faceva segno con la mano e rideva con la sua bella risata da dea. Eraclito si immerse nell'acqua scura e capì. Da domani chiamatemi l'Oscuro , pensò, prima di mettere una mano sul culo di Artemide.
Kerelle
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instabileatrofia · 4 years
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Detonazioni incontrollate
Ora che si compie il cammino, che emergo forte nei miei colori così come nelle monocromie del caso, trovo il senso dell’aver leccato la polvere al suolo, all’essermi trovato le fauci secche e senza la saliva necessaria ad urlare.
Rotolo libero assecondando la gravità del mio stesso centro, infrangendo vetri da teca non da me installati e dietro a cui, in qualche modo, risiedevo cristallizzato, costringendo la mia stessa voce ad echi nell’io.
Ora che non m’importa più nulla dell’essere quel che dovrei essere, sono.
C’era un tempo in cui avrei dovuto suonare, ma ora la mia musica giunge agli occhi in una sinestesia meravigliosa che si compie anche nella totalità di un silenzio o di una solitudine o di una moltitudine, non ha importanza. 
Compio alchimie per me possibili, lo erano sempre state, con consapevolezze che indosso incurante dei daltonismi ricorrenti, circondanti ed onnipresenti.
Per qualche strano caso del destino, sono nato nella poesia di un qualcosa fuori posto, senza le appartenenze necessarie a far da cassa di risonanza, a dare la spinta della fiducia che serve a partire.
Ora so, ora grido, non urlo e per me, tutto questo non è il mio canto del cigno.
Ho aperto lo scrigno.
I.S.A.
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pangeanews · 5 years
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Sarah Kane è stata una stella cometa: 20 anni dopo, elogio della figlia di Antonin Artaud che ha portato il disagio in platea
“Per favore, aprite le tende”. Era tiepida e irriconoscibile. In una parola: consumata. La vita non era stata cortese con lei quando quel lembo di stoffa si è accostato ai lati – velluto vermiglio come il sangue coagulato – e mi è apparsa la sua lapide. “Spoon river” è il luogo della memoria, la collina (e Longiano, il “Petrella” di Longiano, è in alto: un Golgota apocrifo e micidiale, che ti costringe a guardare) della rottura. Dentro la testa. S’era rotto qualcosa, o qualcosa non era più oliato. Una fiume lento, dentro la testa. Un fiume che piano piano si prosciuga, che ha meno acqua, e che fa riemergere i fantasmi.
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Il suo arrivo era capitato in vistoso ritardo: il treno di sola andata era già partito. E alla stazione romagnola – anche se Longiano la stazione forse non ce l’ha – erano in tanti a salutare “chi per un poco portò il non amore nel Paese”.
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Un uragano. Sarah (hurri) Kane aveva la tempesta nella testa, una pioggia che spossava. Un breve tragitto – da Brentwood, dove era nata nel 1971 a Londra, dove nel 1999, il 20 febbraio del 1999, ha matericizzato il significato del nome della sua città natale, “Burnt Wood” (in inglese “Foresta bruciata”) – percorso in 28 anni per allungare una mano verso l’abisso, con le cinque dita, una per ogni opera teatrale che ha scritto, protese in silenzio per chiedere un aiuto.
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A 17 anni Sarah Kane prese la decisione consapevole di rifiutare Dio. Come Antonin Artaud (“Per farla finita col giudizio di Dio”). Tutti e due, padre e figlia, nel Kursaal saviniano della follia: internati in un ospedale psichiatrico. Una condanna che sbriciola e dilata il tempo, lo fa scendere granello dopo granello, sino al momento in cui l’ampolla è vuota. Sarah Kane ha scelto di dedicare l’ultimo omaggio a quei piedi che l’hanno fatta camminare da Brentwood a Londra: si è impiccata con i lacci delle scarpe.
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A Longiano Sarah Kane ci è arrivata dopo la morte, a notte fonda. Poco prima delle cinque del mattino, l’ora in cui la mano protesa, l’arto, diventa arte per recitare un lungo addio, il canto del cigno che ha deciso di smettere.
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Nel 2003 giravano in Italia ben cinque le edizioni del suo “4.48 Psychosis”. Una è arrivata a Longiano. Forse quella di Valentina Capone, “Psicosi 4:48/Cantico”. Forse.
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Sarah Kane è stata una stella cometa che ha preso fuoco e che ha diffuso le sue fiamme. Una donna che si è bruciata senza fuoco e senza ossigeno. Una penna che, nel caldo della malattia della mente, ha incendiato involontariamente il mondo.
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“Ho scritto sempre e solo per sfuggire all’inferno e non ha mai funzionato; tuttavia quando ti siedi a guardare qualcosa e ti ritrovi a pensare che sia la migliore espressione possibile di quell’inferno, allora, in quel preciso momento, scopri che forse ne valeva la pena”.
Sarah Kane, Royal Holloway College, London, 3/11/1998.
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Raccontare la vita nella consapevolezza di rifiutarla. Le erano familiari la solitudine gli psicofarmaci, gli stupri e le sevizie. Sarah stupiva e toccava, ma pochi hanno capito che le provocazioni volevano essere la voce di un assoluto desiderio di amore.
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L’effetto uragano si è acquietato. I cani che brancolano sulla collina di “Spoon river” hanno smesso di abbaiare: gli attori, dopo aver surfato l’onda corta dell’immediata commozione collettiva, l’hanno piano piano abbandonata. Come ha fatto la vita con lei. Come un cane senza padrone.
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Vedere in scena un testo di Sarah Kane significa assistere a un piccolo ed enorme processo di rigenerazione drammaturgica: sul palco le parole dette non sono dell’autrice ma della persona. Un miracolo pagano di rinnovamento.
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Sarah ha saputo portare alla tracimazione l’in-yer-face-theatre attraverso i suoi temi-cardine: gli stupri, la violenza fisica e psicologica, il disagio interiore, la malattia mentale, il suicidio, il sesso. Creare disagio nella platea. Esasperare le nuance della notte, il buio più nero della mente.
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Ha ragione Denis Brandani quando scrive che “La vita non può sempre difendersi dall’arte, qualche volta ne muore”.
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Sarah Kane ha messo in scena definitivamente Antonin Artaud. Il linguaggio metaforico che Howard Barker definisce “bellezza e terrore” in lei si compie. Sino alla chiusura del sipario.
Alessandro Carli
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