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#non se ne scendono proprio
queerbaitesque · 1 year
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io questi due non li sopporto non ce la faccio per me sono nella stessa categoria di albano
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Tutti che mi chiedono ossessivamente cosa voglio fare, come occupo il mio tempo, cosa desidero
Ecco io in realtà non lo so cosa voglio fare, mi sento completamente incapace di decidere quale sia la mia strada, ho il terrore di sbagliare, di non essere in grado di fare cose che si danno per scontato che tutti sappiano fare come dare il resto, portare un piatto appena uscito dalla cucina di un ristorante, saper interloquire con il cliente... E se poi sbaglio? Mamma mi risponde «Buttati, tanto cos'hai da perdere?» Ma il mondo del lavoro prevede responsabilità e conseguenze, o almeno così ho studiato e questo mi spaventa, pertanto appena sento mia mamma parlare di concorsi e quindi di eventuali posti in ambienti dove la responsabilità del proprio operato è un masso in bilico sopra la propria testa per tutto il tempo pronto a crollarti addosso al primo errore, beh storcio il naso.
Poi mi vedo messa in continuazione in paragone con altri, banalmente «Hai visto come è brava quella commessa nel suo lavoro, ecco così bisogna essere, svelti!» oppure «Hai sentito sta facendo la magistrale, studia lingue, si è laureata con il massimo dei voti, ha preso 30 e lode a quell'esame» Istintivamente rispondo con: «Cosa vorresti dire scusa?» Cioè mi sento in continuazione con il dito puntato contro, tutti in attesa di vedere quale sarà il mio passo, tutti in attesa di dire la propria su qualsiasi passo farò, nessuno che consideri come un primo passo il fatto che sto realmente scrivendo un libro, che ho sogni piccoli ma per me giganteschi legati a quel libro, che in quel libro ci sto mettendo tutta me stessa in tutti i sensi perché in quel libro è raccontata la versione di me che sogno e immagino da quando ero bambina, ma c'è anche la me di ora che non sa davvero cosa vuole, che non sa decidere e che prende decisioni sempre o spinta da ciò che la famiglia pensa sia giusto per lei o che comunque trovano il sostegno nella famiglia, un "va bene te lo concedo", quindi niente che li possa deludere, niente che possa essere effettivamente ciò che vuole ma ritenuto dalla famiglia un non-lavoro o un lavoro non serio, non importante, non dignitoso, non ai loro standard.
Nessuno che si renda davvero conto di quanto tutto questo sentirmi bloccata mi faccia male, ai loro occhi sono solo una scansafatiche che sta rimandando sempre più in là quella decisione che sia iniziare la scuola guida, che sia iniziare un lavoro e dopo che aspetteranno che mi accaso con un ragazzo, che metto su famiglia e che altro?! Ma scusate è la mia vita o è solamente un copione già scritto da dover seguire alla lettera e nei tempi stabiliti dalla società, dalla famiglia, dal pensiero degli altri?! «Se resti in casa come le incontri le persone? Mica ti vengono a bussare alla porta!» Eppure quando esco di casa non mi pare ci sia la fila di gente che mi voglia conoscere eh anzi mi ignorano tutti nonostante io sia quella che sorride agli sconosciuti per regalare un piccolo raggio di gioia nelle loro giornate, in tutta risposta mi ritrovo sguardi infastiditi e perfino disgustati... Sono io sbagliata per questa società e questa epoca in cui se si è buoni e gentili si viene solo sfruttati, ghostati, insomma te la prendi nel culo sempre. Io quella che sorride fuori ed è un fiume di lacrime dentro che spesso fuoriescono ma chissà come mai quasi sempre di nascosto nel buio della mia cameretta, lontano dallo sguardo di tutti, tanto chi conosce o ormai conosceva davvero i miei crolli li considerava appunto crolli, semplicemente un momento continuo in cui bum essere fragili, piagnucoloni, fare i capricci e cercare attenzioni, abbracci e affetto... Eppure io non recito, quelle lacrime che scendono lungo le mie guance solo io so davvero quanto bruciano e quante ne reprimo. Solo io conosco quella sensazione che non mi abbandona mai e che al massimo resta nello sfondo qualche volta di quel vuoto nel petto, conosco il punto preciso in cui sento quel vuoto è proprio al centro del petto, è una voragine interiore circondata da tutte quelle ferite interiori mai davvero totalmente cicatrizzate: delusioni, bugie, doppiogiochisti, approfittatori, paure, quella parolina che urla dentro senza sosta "non abbastanza", mancanze, promesse infrante, "per sempre" diventati addii, rimpianti e rimorsi. In una parola dolore. Un vuoto circondato da dolore, eppure sorrido, eppure regalo affetto a destra e a manca, eppure ingenuamente continuo a mantenere viva una speranza, eppure cerco di vedere sempre il buono in ogni cosa, eppure eppure sono viva e respiro la vita, tocco la vita, sento la vita attraverso la musica, guardo la vita attraverso un cielo dipinto di azzurro o nelle stelle che brillano e mi ricordano che non sono sola anche se mi ci sento tanto, anche se proprio quelle stelle mi ricordano persone che sono diventate mancanze. Guardo la vita nella natura anche nella frenesia della città e di una società in cui tutto è scandito, in cui sembra proprio di seguire un copione e giammai fermarsi per beh banalmente vivere per davvero.
Quindi ritornando alle domande iniziali manca da rispondere all'ultima: cosa desidero? Io in realtà l'unica cosa che desidero è riuscire a sentire di meno questo vuoto interiore invece che ritrovarmi ad alimentarlo in continuazione, non voglio diventare il mio demone interiore ma non voglio lottare tutto il tempo, io desidero vivere per davvero e non limitarmi a sopravvivere... Ma ahimè non esistono manuali o istruzioni su come si vive, come affrontare la vita senza distruggersi.
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susieporta · 6 months
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E poi c'è Moulaye Niang che ha preferito la vita lenta di Murano. Perché se non hai il silenzio dentro e intorno a te non vivi. Dice: «A Murano ho ritrovato la vita lenta della mia Africa, i ritmi indolenti del villaggio. Non ci sono grattacieli, il cielo si lascia guardare. C’è acqua attorno alle botteghe, nessuna automobile. All’alba gli uccelli annunciano il risveglio, le campane delle chiese sostituiscono il canto del muezzin che ascoltavo da bambino. E poi c’è il vetro. Richiede un passo di lavorazione pacato, che è proprio degli artigiani della mia terra d’origine. Non puoi accelerarne il tempo di fusione, devi adeguarti, imparare ad aspettare».
Primo maestro vetraio africano riconosciuto dai maestri veneziani, Moulaye Niang si sente un artista. E a vedere le sue composizioni, perle di vetro create a lume, arrivano conferme. Cresce a Parigi, ma ogni estate da bambino la trascorre coi genitori, artigiani nel campo dei gioielli e dei tessuti, a Casamance, una regione nel sud del Senegal dove la natura, fra sentieri di sabbia rossa che dalle montagne scendono al mare, è incontaminata. La bellezza l’accompagna da sempre, della bellezza ne ha fatto un mestiere: «Amo il bello – confida –, anche spirituale: cerco di trattenere solo il positivo di ciò che ho attorno, al brutto non faccio caso. E così è il bello che cresce, il resto svapora».
Non è stata una passeggiata la vita di Moulaye. A Casamance lo chiamavano “il piccolo francese”. A Venezia il Muranero, prendendolo in giro. «L’ho preso come un complimento – confida –. Tanto che Muranero è diventato il nome della mia attività. Non ho mai cercato di essere accolto dai muranesi, piuttosto apprezzato. Fin dall’inizio ho voluto dare a Murano qualcosa, la mia arte, piuttosto che attendere qualcosa. Ho creduto che tutto il resto sarebbe potuto venire da sé. E di doni ne ho ricevuti. Un lavoro che amo in un luogo a misura d’uomo. La mia famiglia, una moglie italiana, due figlie. L’Africa era la foresta. Parigi la giungla. Murano il mio Eden».
Di Moulaye Niang ho scritto martedì su Corriere Buone Notizie con cui ho iniziato una collaborazione. Ci sono storie che non fanno rumore ma che meritano di essere raccontate. Quella di Moulaye Niang è una di queste.
Paolo Rodari
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enkeynetwork · 1 year
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4 -Il galeotto e la luna piena
Era una calda estate romana. In casa non si respirava. Luca arriva subito dopo cena. Non ce la sentiamo di stare in casa, pertanto decidemmo di vederci con altri amici. L’ora era un po’ tarda, ma era una bella serata per farci un giro nella periferia della capitale.
Paddy Pub, arriviamo. Dopo una bella birra, si parte per lo scherzo della serata.
Assegnati i ruoli via verso l’ignoto a bordo della Uno bianca di Beppe e l’alfa 33 di Luca.
Gira e rigira ci ritroviamo sulla via Prenestina all’altezza dell’uscita del G.R.A., luogo abitualmente frequentato da prostitute.
Manco a farlo apposta, becchiamo una Uno rossa che ne sta caricando una.
Scatta l’azione, ci caliamo nella parte, Luca il brigadiere, Beppe l’appuntato, Antonio il Maresciallo.
Tutti carabinieri ovviamente finti, attori ma molto ben preparati.
La uno rossa si sposta poco più in là, spegne il motore ed ecco che comincia la giostra.
Dalla nostra postazione si vedeva un enorme culone bianco che si muoveva in modo sussultorio, illuminato dalla luna piena, dall’abbondante peluria, si capiva che tale culone era sicuramente maschile.
Scatta l’operazione. Le nostre auto si avvicinano alla Uno rossa. Tutti a terra in un baleno, < fermi tutti >.
Gli occupanti dall’auto scendono come si trovavano.
Davanti ai nostri occhi si prospetta una scena terrificante. Una donna piuttosto in là con gli anni, con abiti propri del mestiere, minigonna, scarpa alta, trucco pesante, capelli lunghi scuri e unghie mal curate.
Brutta, ma brutta che solo uno che non vede una donna da tantissimo tempo, poteva pensare anche solo di avvicinarla, figuriamoci a toccarla.
Lui un uomo di media statura, con gran pancia, pantaloncini corti e maglietta sul giro panza, barba incolta, infradito e ciliegina sulla torta neanche a farlo a posta uscito da poco di galera, si proprio così, un ex galeotto. Per noi era come servici il pranzo sul piatto d’argento, ci guardiamo in viso e come un branco di lupi con l’acquolina alla bocca, incominciamo la nostra interpretazione.
<Bene signori vogliano favorire i documenti brigadiere prenda nota, appuntato guardi nell’auto.
Allora signora cosa stava facendo? E lei non si vergogna?>
<A marescià so appena uscito de galera e invece de sta a casa a famme na pippa, so uscito pe famme na scopata.> <Lei cosa ha da dire signora?><E che ve devo di, che qui nun se batte chiodo, pe na vorta che ciò un cliente,  voi mo me fate fa nottata.> Lo sforzo di trattenere le risate fu immane.
Io facendo finta di parlare alla radio mi nascondo in macchina per ridere.
Dopo varie domande di rito e le minacce di portarli entrambi in caserma, li lasciamo andare assicurandoci che non tornino a…consumare. Finiamo la serata con qualche altro giro ma serata fiacca e allora ci avviamo verso casa, ripromettendoci di riprendere il pattugliamento la sera dopo.
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scienza-magia · 1 year
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Svegliato il vulcano dormiente delle isole Hawaii
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Alle Hawaii si è svegliato il Mauna Loa, il più grande vulcano attivo della Terra. Dopo un "letargo" di quasi 40 anni il Mauna Loa, il più grande vulcano attivo del Pianeta, che si trova nelle isole Hawaii, è tornato in eruzione. L'allerta è ai massimi livelli. Il Mauna Loa delle isole Hawaii, il più grande vulcano attivo del Pianeta (che in passato ha ospitato anche simulazioni di missioni... marziane), è tornato a eruttare dopo quasi 40 anni dall'ultima eruzione. L'allerta sull'isola è al livello massimo. Al momento i flussi di lava sono rimasti in prossimità dell'enorme caldera, ma l'eruzione potrebbe ben presto scendere verso aree residenziali. «La lava molto fluida è in grado di cambiare velocemente la propria strada», ha fatto sapere il servizio geologico statunitense (che ha pubblicato il video che segue) e dunque per i residenti del luogo è necessario rimanere pronti all'evacuazione. Sharing with you this evening, video from #MaunaLoa's NE Rift Zone. At ~11 am on Nov 29, 2022, the lava fountains were measured at 35-40 meters (115-148 ft) in height. The second video shows an ‘a‘ā lava flow several meters (yards) thick, moving to the northeast. #MaunaLoaErupts pic.twitter.com/OoOK9kl2y5 — USGS Volcanoes🌋 (@USGSVolcanoes) November 30, 2022 Rischio anche dai gas. Pericolosi sono anche i gas che fuoriescono dalla bocca centrale che, trasportati dal vento, possono ricadere su vaste aree dell'isola. Spiega Robin George Andrews, vulcanologo dell'USGS: «Questo vulcano erutta da decine di anni, ma dal 1984 si è preso una pausa che è la più lunga della storia registrata. Per questo motivo va tenuto sotto particolare controllo».
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Lingue di lava che scendono dalla bocca principale del vulcano Mauna Loa. USGS Il magma che si è addensato nella camera magmatica, infatti, potrebbe essere tale da produrre un'eruzione di lunga durata. Il Mauna Loa, così come tutte le Isole Hawaii, è un vulcano da "punto caldo". Ciò significa che le sue lave arrivano direttamente dal mantello profondo. Stando ad alcune ricerche potrebbero arrivare addirittura da oltre 2.500 chilometri di profondità, proprio dal confine tra il mantello e il nucleo della Terra. Che numeri. Per questo motivo le lave sono generalmente fluide e non danno origine a eruzioni esplosive (tipo Vesuvio), ma ad eruzioni effusive che possono durare anche molto a lungo. Il Mauna Loa sorge dalle profondità dell'Oceano Pacifico e si innalza per 4.169 metri sul livello del mare. Se si considera anche la parte che scende sotto l'oceano, la sua altezza complessiva supera gli 11.000 metri: con queste premesse, risulta la montagna più alta del Pianeta. Complessivamente, da quando ha iniziato ad esistere circa 5 milioni di anni fa, ha eruttato circa 75.000 chilometri cubi di lava. Le più grandi esplosioni di sempre Read the full article
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freestylemanagement · 2 years
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Una azienda, una organizzazione, un dipartimento, un programma, un team ... tutto funziona quando i livelli di management sono adeguati alla situazione e ricoperti da persone che comprendono quali sono i loro obiettivi, relativi al ruolo.
Le persone responsabili ad ogni livello manageriale e decisionale raccolgono gli input dei livelli inferiori, che si suppongono veritieri (anche qui ci sarà un altro post) e, basandosi sulla capacità di sintesi, sulle competenze, sull'esperienza e sulla conoscenza della situazione "a livello superiore", queste persone prendono decisioni e decidono le strategie adeguate.
Se non è possibile decidere, allora si rivolge al livello superiore che dovrebbe, in modo ricorsivo, agire nello stesso modo.
Semplice.
Secondo voi va così?
Spesso i manager "scendono di livello" perchè è più "confortevole" agire al livello più basso (o semplicemente non hanno le competenze). Così facendo perdono quantomeno la visione di sintesi.
Spesso le informazioni che arrivano sono altamente imprecise (e passate per nascondere o esaltare parti specifiche) e dunque la sintesi che ne consegue è sbagliata.
Già qui il danno che si rischia è elevato, se poi a questo aggiungiamo spesso l'incapacità conclamata (citata sopra) di agire e decidere al proprio livello, la spiegazione del perchè le cose vanno in vacca è relativamente semplice.
cosa fare?
La risposta è tanto semplice quanto difficile da realizzare: impariamo a mettere le persone giuste al posto giusto e non a far ricoprire ruoli a personaggi quantomeno inadatti (se non incapaci). Non diamo un ruolo perchè "promesso" o perchè "se no se ne va", non forziamo le persone a ricoprire dei ruoli sbagliati, confrontiamoci con i nostri pari prima di prendere decisioni sulle persone.
Sembra così semplice, ma raramente viene fatto.
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virginialunare · 2 years
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In Friuli-Venezia Giulia si studia il futuro delle costruzioni.
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In una terra di confine tra l’asprezza delle montagne che scendono al mare attraversando una cortina di colline dolci e profumate, in un territorio che da sempre fa della contaminazione tra diverse culture una delle sue peculiarità esiste, anche se raro, un esempio di dialogo tra mondo delle costruzioni e mondo della ricerca.
Vorrei parlarvi di una collaborazione tra ANCE Friuli-Venezia Giulia e l’Area Science Park di Trieste che ha dato vita ad un laboratorio di ricerca sul tema dell’edilizia in un orizzonte temporale proiettato nei prossimi 20 anni. LiCoF – Laboratorio dell’immaginazione delle Costruzioni future – unisce in sé tradizione e visione verso un futuro prossimo che bisogna essere pronti ad affrontare: un termine che in triestino significa l’usanza di celebrare la copertura del tetto di un edificio con un brindisi con tutti gli attori del cantiere.
Da questo connubio tra tradizione e innovazione nasce un esperimento di ricerca e di analisi che per la prima volta applica i metodi della previsione sociale e dei sistemi anticipanti al settore delle costruzioni per indagare quali possano essere gli impatti della digital age sui possibili futuri modelli di business.
Le domande da cui tutti gli stakeholder coinvolti nel progetto sono partiti sono semplici e complesse al tempo stesso. Quale sarà il ruolo delle case nel futuro? Quale sarà il ruolo delle città? E soprattutto, la sfida dell’innovazione verrà interpretata come una minaccia o un’opportunità? Una volta provato a dare risposte a questi interrogativi nasce spontaneo il quesito su come i veri protagonisti della catena del valore nel settore delle costruzioni dovranno adattare i propri modelli di business per dare una risposta in grado di soddisfare questa domanda.
L’urgenza di disegnare scenari in grado di anticipare il futuro è in parte dovuto al fatto che il settore delle costruzioni e del real estate nel loro complesso negli ultimi anni hanno fatto proprio l’assunto che è necessario pensare un prodotto immobiliare che andrà, nella migliore delle ipotesi, a soddisfare una domanda in un futuro prossimo di circa 5 anni.
Il lavoro di analisi, che ha combinato interviste qualitative e metodi scientifici di scenario planning, ha fornito un’indicazione su quelli che saranno i fattori importanti ma con carattere incerto (driver) e gli elementi per i quali si ha una ragionevole certezza e che diamo per assunti già ora per il futuro (given).
Il driver scelto è quello della sostenibilità intesa nel suo più ampio raggio: ambientale, economica, sociale e umana. Per i given, invece, è stata stilata una lista di dieci fattori che già oggi rappresentano un elemento di preoccupazione che spaziano dalla tematica demografica alla considerevole manutenzione richiesta dal nostro patrimonio immobiliare passando, tra l’latro, per la preoccupante carenza di manodopera e di competenze per finire con la scarsità delle materie prime rispetto alla domanda.
Da questa analisi sono usciti quattro scenari differenti: il primo definito della “casa bunker” è quello che vede nelle case un rifugio dal caos di una città percepita come disordinata e pericolosa. In questo scenario, il settore delle costruzioni incontrerà le difficoltà che nel corso degli ultimi anni ne hanno rallentato, almeno nella generalità dei casi, il progresso e la crescita. Il secondo scenario, quello della casa nido, vedrà una scarsa attenzione alla sostenibilità sociale ed ambientale e l’innovazione tecnologica costituirà un vantaggio per le imprese di costruzioni ma non si tradurrà in un effettivo beneficio per il prodotto immobiliare. Nel terzo scenario, quello della casa bicicletta, l’attenzione dell’attenzione ai cambiamenti climatici darà vita a prodotti immobiliari come macchine perfette. Infine, nel quarto scenario, quello della casa “shuttle” modelli di business disruptive consentiranno al settore nel suo complesso di essere protagonista dell’economia circolare e la casa sarà sempre più vitale, intelligente e incentrata sulla persona e sulle sue necessità.
È proprio quest’ultimo lo scenario che alcuni attori del settore delle costruzioni e del real estate stanno cercando di interpretare e mettere a terra con progetti ambiziosi e sfidanti che coniugano tradizione e innovazione.
La sintesi di questo stimolante lavoro di analisi, di ricerca e di collaborazione è nelle parole del direttore di Ance Friuli-Venezia Giulia, Fabio Millevoi che ha voluto così sintetizzare i risultati di questa ricerca.
“Come ha detto il famoso scrittore di fantascienza William Gibson, il futuro è già qui, solo che non è distribuito in modo uniforme. E i segnali di futuro sono tutt’intorno a noi, possono essere fatti strani, ai margini della nostra quotidianità, possono essere una tecnologia come un prodotto ma chiediamoci sempre perché hanno attirato la nostra attenzione e, soprattutto, non dobbiamo cadere nell'errore di fermarci alle onde, a ciò che si vede in superficie ma cercare di capire le maree, le forze più profonde sotto le onde.
Comunque non sappiamo, in questo momento, quale dei quattro scenari risulterà vincente. Dobbiamo, monitorare la situazione: i megatrend, i given, i driver e appena avremo qualche indicazione sullo scenario/i che si stanno realizzando puntare su quello/i muovendosi, quando le circostanze lo suggeriranno, velocemente sull’asse decisionale che, in parte, abbiamo già strutturato, preparato, pianificato.”
A LiCoF e ai suoi promotori va riconosciuta quindi la capacità di guardare oltre, cercando di interpretare in modo più moderno il mondo delle costruzioni e dell’architettura con la consapevolezza che non c’è niente di più sostenibile del passato letto e riletto con gli occhiali del futuro.
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ma-come-mai · 2 years
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"Caro Lorenzo,
non so se esiste qualcuno al mondo che ti ami quanto ti amo io. Ok, dai, ho esagerato: sicuramente c’è. Fatto sta che è da trent’anni che ti seguo, ti ascolto, vengo ai tuoi concerti, leggo i libri che scrivi, guardo le tue interviste.
Cioè parliamone: io sono uno di quei pazzi che si esalta ancora a sentire SEI COME LA MIA MOTO.
Faccio parte di quel club esclusivo di squilibrati che, ancora oggi, quando sente qualcuno dire “Ostia”, poi in testa prosegue con “Fregene, Rimini Riccione, un’altra abbronzatura ed un’altra canzone”.
Insomma: qui hai di fronte un fanatico, non un fan. Ecco perché mi è così difficile scrivere queste parole.
Credo nemmeno tu sappia quanto sei un’ispirazione: per milioni di giovani di oggi, e di giovanotti di ieri.
Il mio amore per te è un grattacielo altissimo, di quelli che bucano le nuvole e non si sa dove finiscono.
Proprio salendo su all’ultimo piano di questo amore vengo a scriverti queste parole, sapendo che da lassù poi sarà un dolore buttarle giù: e che faranno male proprio perché arriveranno da così in alto.
Non so a te: a me di sicuro.
La tua idea è stupenda. Dai, diciamolo: ti sei inventato qualcosa di immenso e irripetibile, di magico, secondo me di storico perfino. Hai preso l’estate che hai nel cuore e l’hai regalata a centinaia di migliaia di persone. Chiunque venga ai JBP torna con una carica che non si spegne, e se la porta dentro per settimane.
Chiunque ci sia stato racconta di brividi che non smettono neanche a distanza di giorni. Famiglie con bambini, adolescenti, fidanzati che si sposano sul tuo palco.
E poi gli ospiti, come se ogni volta fosse un festival, non una festa.
Però c’è un però.
Questa cosa sarebbe perfetta, di quelle troppo belle per essere vere, se fosse il 1992. O anche il 2000, forse. Ma oggi c’è un rumore di fondo che solo pochi di quelli che scendono a piedi nudi in spiaggia a ballare con te riescono a sentire. Oggi c’è qualcosa che sporca la gioia che regali: qualcosa che rende la tua festa un gesto bellissimo, tanto meraviglioso quanto meravigliosamente sbagliato.
Anacronistico, come fumare negli ospedali o girare in macchina senza cinture, come l’olio di palma.
Perché non è possibile che tu non sappia quali sono le conseguenze di questi concerti meravigliosi. O magari ci sei talmente dentro che non te ne rendi conto. Ti piace così tanto quell’adrenalina – e come potrebbe non? – da accecare ogni pensiero lucido e imparziale.
Però, sai.
L’ambiente che da quel palco esorti a difendere, i buoni propositi e le buone intenzioni, tutto questo diventa vuota parola quando la musica finisce e gli amici se ne vanno, lasciando davanti al mare un mare di sporcizia, una biodiversità modificata, fragili equilibri messi ancora più in crisi: e l’ombelico del mondo si trasforma in un ombelico che ti fermi a guardare, mentre il mondo si ammala sempre più – e tu diventi proprio come tutti gli altri.
Quelli che prima il profitto. Quelli che “prima io, poi vediamo”. Quelli che chi se ne frega, ci penserà qualcun altro.
Quelli che bastano tante belle parole, se poi i fatti sono diversi non importa: nessuno se ne accorgerà.
Ecco: tu non sei come gli altri. Non lo sei mai stato. O almeno: io ti ho sempre sentito così.
E proprio per questo sarebbe qualcosa di grande, un gesto davvero coraggioso di un coraggio infinito, di quello che solo certi grandi: dire ok, ho sbagliato.
Dire: scusate, io mi fermo qui. Non è più tempo per queste cose.
Guardare in faccia la realtà e ammettere che quello che stai facendo – questa cosa immensa che ti sei inventato – fa male al pianeta che hai sempre cantato come riserva di bellezza, come parentesi di meraviglia nel cuore dello spazio infinito.
Non oso nemmeno immaginare quanto può essere difficile far smettere questa musica, specie se tu sei al centro della festa, cuore pulsante di tutta la gioia che sprigioni.
Ma sarebbe il gesto che farebbe di te davvero uguale al mito che abbiamo sempre amato.
Sarebbe ciò che ti renderebbe unico, diverso da tutti gli altri.
Quello che sei sempre stato, per me."
Enrico Galiano
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roberta-marcello · 2 years
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L'amore è più forte di ogni paura
Cap 2 Rivelazioni e preoccupazioni
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È successo qualcosa di grave. 
Sì, ma cosa? Meno di due ore prima, al telefono, Gloria gli era sembrata strana, certo. Strana ma in ottima salute. Possibile che avesse avuto un malore di  gravità tale da spiegare la sua assenza alle nozze e la disperazione di Ezio?
 La signorina Moreau è forse… morta o gravemente malata? Proprio ora che Stefania… Una lacrima scende piano piano sulla sua guancia di Marco. 
Non posso piangere. Non quando Stefania ha così tanto bisogno di me.
No, non è un malore. È qualcos'altro. Qualcos'altro di altrettanto spaventoso. Ma cosa? La telefonata, in fondo, si era rivelata piuttosto strana. Cosa stava passando in quei momenti nella testa della sua futura suocera? 
Pensa, Marco. Pensa. Indagare è il tuo pane quotidiano.  Quando, però, sono coinvolte le persone che ami non è semplice. Marco chiude gli occhi. Delle goccioline di sudore gli scendono sulla fronte. 
Devi scoprire la verità.
La verità che per Stefania è la cosa più importante e che anche lui merita. La merita perché di sicuro quello che è accaduto a Gloria, di qualsiasi cosa si tratti, è legato agli eventi del giorno  precedente.
Ieri Stefania ha rifiutato l'anello di fidanzamento e oggi è corsa da me. Cosa è cambiato?
Dopo aver respirato in profondità per un'ultima volta, si avvicina a Ezio e Stefania, che sono ancora lì,  uniti in un abbraccio. 
«Che cosa è successo a sua moglie?» domanda. 
Ezio si stacca per un attimo dal caldo abbraccio della figlia e i suoi occhi, lucidi e spalancati, si posano su Marco, anche se sembrano trapassarlo come se fosse un fantasma e non un ragazzo in carne e ossa. 
«È stata arrestata.» risponde, stringendo di nuovo a sé la figlia, che però lo allontana. 
Stefania si stringe il corpo tra le braccia.
«Non è possibile. Non può averla denunciata.»
I singhiozzi la scuotono.
Marco corre da lei, l'abbraccia e la tiene stretta a sé, mentre  le bacia i capelli. 
«Si risolverà tutto, te lo prometto». Le sussurra all'orecchio, accarezzando una ciocca della chioma scura della Venere.
Una voce femminile lo distoglie dalla bolla in  cui è racchiuso insieme a Stefania. Una bolla da ciò è escluso perfino lo stesso Ezio.
«Che cosa sarà successo a quella ragazza? Assomiglia a una delle Veneri del Paradiso.» dice la voce.
Marco torna con i piedi per terra. È lui che deve farlo per tutti. Devono formare uno strano quadretto. 
Una ragazza in abito da cerimonia, un signore distinto in lacrime e un giovane uomo che tenta di consolarli. Alcune signore, accompagnate dai loro mariti, hanno distolto lo sguardo dalla vetrina e dalla collezione primaverile di Flora Gentile per puntarlo su quello spettacolo, di sicuro più interessante, che loro tre stanno offrendo gratuitamente.
Guardandosi intorno, prende sottobraccio Ezio e con il braccio libero stringe a sé Stefania. 
« Andiamo a casa delle ragazze. Saremo lì in pochi minuti e così potrete scambiarvi tutte le spiegazioni di cui avete bisogno.»
Mentre Colombo raggiunge la sua Topolino,  con passo sicuro Marco guida la fidanzata verso la sua macchina.
Ce la farai a fare i conti con questa verità, amore mio, pensa.
Armando Ferraris vaga avanti e indietro, davanti alla porta del piccolo ristorante che Anna e Salvatore hanno scelto per il loro ricevimento. Nemmeno i suoi occhi sembrano trovare pace: lo sguardo si sposta prima a sinistra e poi a destra, pronto a scrutare ogni angolo della minuscola via al centro di Milano.
«Ma che cosa hai, Armando? Non hai mangiato nulla e ora te ne stai qui, in ansia, come un padre a cui sta per nascere un bambino.»
La voce di Agnese lo fa sussultare. Come vorrebbe poterle raccontare tutto. Chiederle un consiglio. Quelli, però, sono i segreti di un'altra persona e lui non può tradire un'amica.
«Sono preoccupato per la signorina Gloria. Non si è vista nemmeno in chiesa e ora è scomparsa anche Stefania.» Gli occhi di Armando non riescono a staccarsi dalla strada, praticamente deserta.
«Per Stefania non devi preoccuparti. Irene mi ha detto che è andata via con Marco di Sant'Erasmo, subito dopo la cerimonia. Sono contenta per quella ragazza. Sempre sfortunata e sola. Si merita di essere felice». 
«E Gloria che fine ha fatto?» domanda Ferraris, alzando un po' il tono della voce.
«Avrà avuto un impegno improvviso. Devo ingelosirmi?» 
«Sai che esisti solo te per me, Agnese. Ma sono un amico di Gloria e ho un brutto presentimento.» Armando fissa per un'ultima volta la via. È deserta. Non c'è nessuna traccia della Moreau.
Stasera andrò a trovare Stefania. Saprà dirmi qualcosa.
Con un sospiro l'uomo entra all'interno del locale.
Non appena la figlia apre la porta, Ezio inciampa su un vaso di fiori, che Irene aveva lasciato a terra, tra l'uscio e l'angolo cottura. 
Un  vaso che ricorda a Marco la tragica proposta del giorno prima, quando aveva riempito l'appartamento delle ragazze di fiori, desideroso di creare un'atmosfera romantica. 
Deciso a lasciarsi alle spalle, almeno per il momento, quell'evento catastrofico del giorno prima, Sant'Erasmo afferra il futuro suocero prima che finisca a terra per colpa della Cipriani e di un mazzo di tulipani.
Ezio non si accorge di nulla, si siede insieme alla figlia davanti al tavolo della cucina.  Stefania ha bisogno di risposte. Durante il breve tragitto in automobile lei aveva fissato la strada davanti a sé,  in silenzio. Il giovane sa che la fidanzata desidera solo conoscere la verità.  È sempre stata una grande sostenitrice delle verità scomode. Saprà accettarla? Marco non è in grado di rispondere a questa domanda. Vorrebbe fuggire con lei e impedirle di soffrire. Invece può solo sedersi vicino a lei e stringerle forte la mano.
Stefania scuote la testa.
«Non posso credere che lei sia andata a denunciare mia madre.»
Quello della ragazza è un sussurro. Le lacrime ormai scorrono sulle guance della Venere senza che lei possa fare nulla per fermarle 
Ezio smette di fissare il vuoto per concentrare la propria attenzione sulla figlia. 
«Tua madre si è costituita. È stata lei a consegnarsi ai Carabinieri.»
Stefania non sa cosa dire. Ricambia lo sguardo del padre. I Colombo sono immersi in una bolla tutta loro.
Marco, allora, stringe più forte la mano della fidanzata.
«Perché eri sicura che tua madre era stata denunciata? Chi avrebbe dovuto farlo?» le chiede.
La risposta è per il giovane terribile e sconvolgente  come  una doccia fredda in pieno inverno. 
«Gemma. Lei mi ha ricattato. Stefania si è tolta finalmente un peso. Un peso, però, che è destinato a schiacciare Ezio, che fissa la figlia con gli occhi e la bocca spalancati.
«Mi dispiace, papà. Ma non posso più tacere, nemmeno per proteggere te.» mormora Stefania.
Fine Seconda parte.
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corallorosso · 2 years
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Quando il 9 gennaio del 1950 la polizia fece strage di operai a Modena Il 9 gennaio 1950 (anno Santo) a Modena è Bloody Monday, lunedì di sangue: alle Fonderie riunite scatta la repressione militare di uno sciopero in risposta al licenziamento di numerosi lavoratori legati al sindacato e ai partiti progressisti e dopo una serrata padronale della fabbrica durata tre giorni. La proprietà delle fonderie non vuole sentir parlare di diritti dei lavoratori, ora costituzionalmente garantiti (articolo 39, sulle libertà sindacali; articolo 40, sul diritto di sciopero) e semmai punta a darsi carta bianca nel subordinare il salario alla produttività, facendo largo uso dei premi di produzione differenziati e cancellando il cottimo collettivo. Viene persino annunciato il licenziamento di tutti quanti i 565 lavoratori per riassumerne solo 230, i meno sindacalizzati e politicizzati, soppiantando i congedati con forza lavoro malleabile reclutata nelle campagne venete da preti e Cisl, il sindacato filo-democristiano. E dire che la fabbrica non è in crisi: la produttività è aumentata (da 1.800 a 2.500 quintali di ghisa al mese) così come i profitti (nell’anno 1949 l’aumento è stato di 222 milioni di lire di allora, equivalenti a più di 4 milioni in euro odierni), a fronte di un ammontare complessivo delle retribuzioni in netto ribasso. La risposta a questa epurazione che va ben oltre l’atteggiamento antisindacale sono gli scioperi, i picchetti e una decisa conflittualità. Si è ormai prossimi all’occupazione della fabbrica e il padrone conte Adolfo Orsi Mangelli – che ne aveva disposto la momentanea serrata – d’accordo con Confindustria chiama in soccorso le forze dell’ordine del ministro Mario Scelba, e quel giorno per qualche ora i poliziotti e i carabinieri avranno licenza di uccidere: «abbiamo tanta forza da sterminarvi tutti», minaccia il prefetto Giovanni Battista Laura nel negare la piazza ai manifestanti; «Sarà un macello, faremo un macello, faremo piazza pulita», promette il questore Arturo Nusco prefigurando quanto poi avverr��. Strage premeditata? Nuova provocazione al Pci per indurlo a reagire e così metterlo al bando? Nervi non proprio saldissimi in qualche irresponsabile in doppiopetto o con la divisa? Ad ogni buon conto, a Modena scendono 1.500 tra poliziotti e carabinieri armati rispettivamente di mitra Mab e di moschetto, a presidiare quella piazza e quella fabbrica fianco a fianco a tredici autoblindo da combattimento T17 Staghound. E la mattina del 9 gennaio il questore Nusco avverte che «se entro 10 minuti non sarà sgomberata [la zona prossima alla fabbrica] sarà una strage». Dai terrazzi della fabbrica i Carabinieri cominciano a mitragliare i lavoratori e chi li sostiene. Sparano ad altezza d’uomo anche dai blindati e il bilancio si fa pesante: 6 morti, più di 50 feriti e 34 arrestati. Muore l’ex partigiano Angelo Appiani, 30 anni, colpito al petto da un colpo di pistola sparato a bruciapelo da un carabiniere. Muoiono lo spazzino disoccupato Arturo Chiappelli, 43 anni, e Arturo Malagoli, 21 anni, sono entrambi ex partigiani, colpiti da raffiche di mitra. Muore l’ex partigiano Roberto Rovatti, 36 anni, che ha il torto di portare al collo una sciarpa rossa e per questo motivo viene brutalizzato con il calcio dei fucili e poi gettato cadavere in un fossato. Muore il carrettiere Ennio Garagnani, 21 anni, colpito dal fuoco delle autoblindo. E muore l’operaio metallurgico Renzo Bersani, 21 anni, preso a fucilate nei pressi della fabbrica. Il giorno dopo la strage in molte città italiane è sciopero generale (la Cisl si defilerà) e a Roma più di centomila lavoratori manifestano in piazza dei Santi Apostoli. Ad una riunione modenese di partito, il comunista Umberto Terracini parla esplicitamente di «omicidi premeditati, eseguiti a sangue freddo». A Montecitorio la deputata modenese Gina Borellini (che ha perso una gamba nella guerra di Liberazione) getta le fotografie dei morti in faccia al presidente del Consiglio De Gasperi. (...) Il 12 gennaio 1950 il quinto Governo De Gasperi si dimette. Il primo ministro subentrerà a sé stesso il 28 gennaio: confermata la coalizione – composta da democristiani, socialdemocratici, liberali e repubblicani; confermati nei posti chiave i ministri di prima. (...) Seguirà un processo, ma alla sbarra sono 34 operai, ipocritamente accusati di «resistenza a pubblico ufficiale, partecipazione a manifestazione sediziosa non autorizzata e attentato alle libere istituzioni per sovvertire l’ordine pubblico e abbattere lo Stato democratico» («non luogo a procedere» per questore e prefetto). Una alla volta le accuse cadranno e gli imputati verranno tutti assolti con formula piena. (...) Per l’eccidio di Modena nessuno pagherà, ma il bilancio degli ultimi due anni di dura repressione scelbiana contro la sinistra non ammette risarcimenti: 62 lavoratori ammazzati di cui 48 comunisti; 3.126 feriti di cui 2.367 comunisti; 92.169 arrestati di cui 73.870 comunisti. Senza scordare che tra il 1945 e il 1953 nel modenese vengono arrestati 1.967 partigiani, di cui 1.439 comunisti. Sono cifre che parlano da sole. (...) di Giovanni Giovannetti
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manyinwonderland · 3 years
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I cappelletti, in Emilia, li mangiamo nei giorni di festa. Magari adesso li mangiamo anche nei feriali, soprattutto quando in casa hai ancora una nonna che fa una sfoglia da venticinque uova e per finire tutti i cappelletti che ne vengon fuori ci metti qualche mese; ma comunque, una volta, quando c’era della povertà, i cappelletti li mangiavano solo nei giorni di festa, come Natale, per esempio, o il Primo maggio. Il fascismo lo aveva abolito, il Primo maggio, e qui in Emilia, come raccontava sempre mio nonno Corrado, giravano delle squadre che all’ora di pranzo irrompevano nelle case per vedere se qualcuno stava mangiando dei cappelletti. Quando trovavano una famiglia che li mangiava, sbaraccavano la tavola e picchiavano e bastonavano i malcapitati. Gli emiliani antifascisti, durante il fascismo, il Primo maggio si erano abituati a mangiare i cappelletti di nascosto. Per degli anni, io e Grushenka, e anche il Miny, da quando c’è, il Primo maggio andavamo a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove era costume mettere delle gran tavolate sotto ai portici della piazza e tutti insieme fare una bella mangiata di cappelletti. Una volta si chiamavano proprio “i cappelletti antifascisti”, e solo ultimamente, con l’aria di moderazione che c’è in giro, li avevano ribattezzati socialdemocraticamente “i cappelletti scendono in piazza”. Oggi, al tempo del coronavirus, a Correggio non ci possiamo ancora tornare. L’anno scorso avevamo comprato i cappelletti in gastronomia e il cappone per il brodo in macelleria, e li avevamo mangiati a casa nostra; quest’anno siamo andati a mangiare i cappelletti di mia mamma, che comunque è un bel passo avanti, nell’economia delle cose. E quindi, niente, continuiamo a festeggiare così, sempre in casa, come si faceva una volta. Anche se non dobbiamo più nasconderci. Per ora. Per fortuna. Buon Primo maggio. (presso Novi di Modena, Italy)
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mccek · 3 years
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Che meravigliosia infanzia che mi hai regalato mamma.
Fin da piccolo hai sempre fatto di tutto per me, non mi hai mai fatto mancare una cosa che fosse una, sono stato davvero fortunato, ricordo tutti i tuoi sorrisi, dal primo all’ultimo.
Le nostre lunghe passeggiate in passeggino, le tue coccole e i grattini che tanto adoravo sulla schiena, le tue sgridate di cui mi lamentavo tanto e tenevo il broncio per una giornata intera, che poi qualche anno più in là mi sarebbero servite a diventare in parte quello che sono oggi.
Mi hai sempre educato al rispetto, mi hai sempre trattato come un figlio normale, senza mai esaltarmi, come quando tante volte sentivo le altre mamme elogiare i propri figli come migliori e te rispondevi loro che io invece spesso facevo i dispetti ed ero già all’epoca sofisticato.
Mamma mi hai aperto gli occhi fin da piccolo, dicendomi che avrei potuto fare tutto quello che volevo lì fuori ma ricordandomi che poi le conseguenze me sarei assunte io, non te o papà.
Sai quasi mi scendono le lacrime a ricordare quelle scene di quando eravamo al mare e avevo la passione di raccogliere i paguri e i granchi, e poi alla fine la voglia tremenda di portarli a casa...e quante quante risate assieme al papà perché ero proprio convinto che poi avrei potuto portarli a casa.
Ricordo tutte quelle notti passate a dormire con te, con il piedino sempre vicino al tuo perché avevo paura che te ne andassi, ho sempre avuto paura di perderti e sempre l’avrò.
Te sei il delfino che porto nel nome, quello che mi hai dato da tenere in tasca in qualsiasi parte andassi senza te, perché se non ti trovavo tu eri lì, io guardavo il delfino e smettevo di piangere, se ci penso ancora mi vengono i brividi mamma.
Se qualcuno mi dicesse qual è la soluzione al tuo dolore?
Risponderei sempre te.
Nessuno sa calmarmi come te, ne medicine, ne riti, te, nella tua semplicità poi assoluta.
Mi spiace per le tue enormi lotte che tutt’ora stai passando contro quelle malattie infami, e la tua voglia di continuare a lavorare, di dimostrare non tanto agli altri ma a te stessa che non ti ferma nulla, quella forza che solo poche donne come te possono avere.
Mi hai sempre colpito quando non volevi mai parlare di quello che stai affrontando, delle tue lotte con le due malattie, mi hai sempre detto che c’è di peggio, che anche se ti manca essere quella di un tempo che stava bene, tu vuoi guardare avanti, perché sei tu che metti i limiti alla malattia non è lei che li mette a te.
Grazie di tutto Mamma.❤️🐬
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dark-rah · 2 years
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Ho fatto dei sogni
saltando su un trampolino
mi lanciavo in aria
e non atterravo mai, fluttuavo lì
mentre guardo su
improvvisamente il cielo erutta
le fiamme scendono sugli alberi
si diffondono tanto da far cadere le foglie
adesso sono proprio su di me
PUBBLICITÀ
Aspetta, se sono in fiamme
come mai sono così profondamente innamorato?
quando sogno di morire
non mi sento mai così amato
Ho fatto dei sogni
mi tuffavo in una corrente estiva
inciampavo e ci cadevo dentro
volevo accadesse
il mio corpo che si trasforma in ghiaccio
il peso schiacciante del paradiso
un solido blocco d'oro
che se ne sta lì al freddo
mi sento bene a casa
Aspetta, se sono in fiamme
come mai sono così profondamente innamorato?
quando sogno di morire
non mi sento mai così amato
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passeggio lungo questa città gelida,il freddo entra sotto la gonna e nelle maniche della mia felpa lasciandomi un brivido di freddo tremante. Mi guardo attorno e vedo una ragazza ridere affianco al suo amato, mentre percorrono la piazza attorno ai pali della luce natalizi. Bambine e bambini giocano rincorrendosi mentre i genitori li sgridano di far attenzione che si scivola lungo il marmo ghiacciato. D'un tratto il cielo si tinge di piccoli fiocchi bianchi, che scendono limpidi e leggeri sui volti sorridenti di quei bambini spensierati e allegri. Li osservo e fra me e me sorrido, ricordando la mia breve infanzia da bambina spensierata; mi accendo una sigaretta per potermi riscaldare, o almeno per riscaldare il mio cuore, ghiacciato non solo in quel momento ma ormai da sempre. Ma nessuna sigaretta può scaldarti, può al massimo ammazzarti i polmoni, ma alla fine rimane pur sempre un buon pretesto per fumare. A riscaldare il mio cuore sono gli abbracci, gli abbracci dei ricordi che compaiono in testa; percorrono la via del cuore, cercando di scaldarlo dal suo ghiaccio creato come scudo. E il cuore si trattiene dalle lacrime, ansima, trema, ma non cede, non si fa lasciare andare, anzi non si è mai fatto lasciare andare, da quando se ne è andato via, per sempre, senza motivo. Da quel momento decise che nessuno avrebbe potuto scioglierlo , nessuno ci sarebbe riuscito; ma proprio quella sera, qualcosa cambiò: quella sera ritornò e il cuore per la prima volta, si fece stringere dall'amore per la prima volta dopo tanto.
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i-am-a-polpetta · 3 years
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Io non mi ritengo una bella persona eppure tu mi dici sempre che io la sono e credo che tu sia una dei pochi in grado di farmelo credere davvero. No anzi, non è che me lo fai credere, mi ci fai proprio sentire, come se quello che facessi avesse una rilevanza più grande di una semplice presenza o di un semplice conforto.
Eppure io non sono quel genere di persona che ti rialza da terra quando cadi, nemmeno quella che ti tira su di morale quando sei triste. Io sono più quel tipo di persona che se cadi si sdraia sul pavimento insieme a te per vedere le cose da quella prospettiva che non avevamo considerato. Quel tipo di persona che se sei triste ti fa vivere quel momento ma con consapevolezza perché anche la tristezza è un sentimento che richiede di essere vissuto e non ignorato. Però poi alla fine sì, ti farò comunque ridere perché io non riesco a prendermi mai troppo sul serio. Perciò potrebbe capitare che una sera qualsiasi della tua vita tu ti possa ritrovare per terra con me di fianco che non solo ti passo i fazzolettini catturando le goccioline che ti scendono dagli occhi prima che diventino vere e proprie lacrime ma che poi dica anche stronzate per farti ridere.
Stasera però sul pavimento ci sono solo io, come da un po' di giorni a questa parte e pensavo che vorrei essere arrabbiata ma non ho la forza di essere anche arrabbiata. Non oggi.
Non oggi perché il 18 di dicembre di un anno fa entravo nella tua vita, fondamentalmente per rovinartela perché io purtroppo sono un po' un danno e sono state fin troppe le volte in cui ti ho fatto del male o ti ho fatta stare in pensiero o ti ho fatta incazzare da brutto per tutta una serie di motivazioni, piuttosto che quelle in cui ti ho fatta sentire felice davvero.
Come ho scritto ieri sera io sono un po' una finzione tipo le scatole dei biscotti e purtroppo quello che c'è dentro non è niente di buono.
Eppure il 18 di dicembre di trecentosessantasei giorni fa capitava una canzone degli zen che probabilmente doveva capitare in quel momento. Perché forse a volte le cose capitano e basta senza un perché preciso. Forse perché doveva andare così e anche volendo, non avremmo potuto fare niente per impedirlo.
Be' ho fatto incidere lo spettro sonoro di quella canzone sul braccialetto che ti ho regalato ma non ti ho mai detto come è nata l'idea: era il 31 di Luglio ed era venerdì e mi ricordo che ero giù in Biblioteca a cercare qualche libro che ti fosse utile fino a quando non ne ho trovato uno sui Beatles che mia mamma regalò a mio papà quando ancora erano fidanzati.
Era il 1981.
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Quel "questo ora è unico".
E ho pensato che anche tu avresti dovuto avere qualcosa di unico.
Quella notte non avevo praticamente dormito ma questa non è una novità e avevo cercato qualcosa che potesse davvero essere solo nostro. Una scritta, un simbolo, una frase.
Avevo pensato di scriverci "mi ritrovi dove sai" che è la frase che mi dici sempre anche se poi io sono una stronza del cazzo e me ne vado accecata dall'idea che io non debba parlarti del mio dolore perché non voglio che tu sappia che esiste. Ragionamento stupido considerato il fatto che probabilmente lo conosci anche meglio di me. Così come conosci "questa malinconia che mi sale dentro al cuore quando entro a casa mia". Probabilmente sapevi già tutto quanto nonostante io non ti avessi detto ancora niente.
Se non fosse stato per gli zen e per quel vivi si muore probabilmente non sarei nemmeno qui a scrivere questo stupido post. E nonostante tutti i casini che ho fatto, perché ne ho fatti proprio tanti e nonostante tutte le delusioni che ti ho dato, non smetterò mai di pensarti quando ci sarà quella frase, così come non smetterò di metterti dentro ad ogni pensiero positivo che mi porta a voler bene alla mia vita piuttosto che a schifarla.
E, come ti ho detto qualche giorno fa, nonostante io sia destinata a diventare completamente cieca da un occhio sono felice di aver passato questi trecentosessantasei giorni insieme a te, in cui comunque c'eri anche quando io non ero più io. E anche se il mondo diventerà a metà, se ci sei tu, è come se fosse sempre intero.
E avevi ragione sai, il giallo è davvero un colore bellissimo 🥺💘
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