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#pillole di filosofia
il-gufetto · 2 years
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Peirce è noto soprattutto per il suo interesse per la logica e nel 1878 cercò di chiarire la differenza tra:
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Deduzione
-TUTTI i fagioli in questo sacco sono bianchi
-Questi fagioli sono presi da questo sacco
-Questi fagioli sono TUTTI bianchi
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Induzione
-QUESTI fagioli sono di questo sacco
-Questi fagioli sono bianchi
-TUTTI i fagioli di questo sacco sono bianchi
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Ipotesi (o #abduzione) ossia il metodo di procedere della logica
-TUTTI i fagioli di questo sacco sono bianchi
-Questi fagioli sono bianchi
-Questi fagioli sono di questo sacco
Foto di Monstera presa dal sito di pexels
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situazionespinoza · 3 months
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La scorsa settimana una delle mie clienti, insegnante di Pilates bravissima sul tappetino ma con l'abilità comunicativa di una bavosa, mi ha detto che in call che le sarebbe piaciuto riallocare il budget per il mio lavoro di copywriter social e community manager nella scrittura di articoli per il suo blog.
Peccato che le sue scarse abilità di linguaggio, probabilmente sterminate dalla lettura di troppi libri di autoaiuto e poesie di Gio Evan, non le facciano capire che riallocare è un sinonimo di spostare e che spostare significa destinare a uno spazio nuovo qualcosa nella sua interezza.
Ecco, il risicato patrimonio lessicale della Maestra di Pilates voleva tradurre un effettivo dimezzamento del mio onorario. Quindi da €300 euro mensili prenderò la bellezza di €160.
E questo incide sul mio bilancio mensile, visto che a malapena riesco a superare la soglia della povertà assoluta quando metto insieme tutte le commissioni corrisposte dagli altri clienti.
Sto cercando di prenderla con filosofia, almeno per dare un senso esistenziale alla mia laurea, convincendomi che il tempo che risparmierò dalla gestione dei post di questa persona egoriferita e deficiente potrò riallocarlo nella creazione di un mio sito web, nell'arricchimento della pagina IG che ho creato per parlare di libri, nella formazione.
Ma nonostante i miei titoli da filosofa davvero non riesco a scendere a patti con questa cosa, nonostante non si tratti di un fallimento.
Perché non è un fallimento: io so scrivere e questa idiota funzionale se n'è accorta. Perché i miei testi hanno un senso, un'armonia di lettura, sono privi di ripetizioni e tautologie, intrattengono e informano occupando meno di 2200 caratteri - spazi inclusi.
La mia rabbia deriva dal discorso pretenzioso e supponente che questa persona mi ha propinato durante la famosa call. Un discorso fatto di questo è il mio lavoro, la gente mi deve pagare in risposta al mio consiglio di non chiedermi di inserire marchette del cazzo dentro degli articoli blog perché rovinano l'esperienza utente.
Non so, forse se avessi avuto una laurea alla IULM o al San Raffaele, forse se avessi fatto la gavetta con stage sottopagati sull'asse Roma-Milano potendo contare sulla borsetta di mammà, forse se avessi preso un Master con l'ennesima realtà chs propina corsi di formazione inutili a prezzi modici, ecco forse la Maestra di Pilates mi avrebbe dato ascolto e io mi sarei risparmiata la geremiade sul valore monetario dei suoi esercizi del cazzo.
Invece ho sgobbato 4 anni in un pub del cazzo per pagarmi gli studi e un letto, il cibo e la luce e il riscaldamento. Quindi posso solo vantare la mia laurea in Filosofia nel classico Ateneo dimenticato da Cristo nel Sud Italia.
E forse sarà un limite mio, ma a 27 anni l'idea di spendere soldi per un master mi fa salire il vomito.
Quindi il senso di fallimento non è dovuto a questa deficiente illitterata, ma alle scelte che non ho avuto la libertà di compiere.
Per questo, forse, in queste ultime settimane ho riaperto il cassetto del mio Piano Infallibile In Caso Di Fallimento Totale e Conto In Rosso.
In questo cassetto ci sono due blister di pillole sublinguali, circa 20 pasticche in tutto.
Quanto vorrei poter rivelare alla Maestra di Pilates che la persona che traduce in post i suoi deliri sulla consapevolezza e sul vivere il presente ha pronte 20 pillole per farla finita.
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vincentp17 · 4 years
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Qualcosa da dire
Per aprire una porta bisogna trovare la giusta chiave per azionare la serratura e far' scattare il chiavistello. Come dire, basta usare un po' di materia grigia per risolvere un problema, invece della forza bruta.
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Non si insegue chi sa dove trovarci.
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parolerandagie · 3 years
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QCS, QCVE, QCSE
Quel che siamo (per brevità qcs), quello che vorremmo essere (per brevità qcve), quello che sembriamo essere (per brevità qcse): con una semplificazione feroce, le nostre identità, potrebbero essere riassunte tutte in una descrizione dettagliata dei tre componenti appena citati e con un’attribuzione di peso (di pondero, se mi permettete di inforcare gli occhialetti da professorino supplente di statistica) a ciascuno di loro, per poi comporre tramite somma il cento per cento.
QCS, quello che siamo, è una inconfutabile oggettività, perché età peso, altezza, storia passata, esperienze avute ed esperienze mancate, ferite, successi, per citarne solo alcuni, sono dati incontrovertibili e non più modificabili che ci hanno buttato qui ed ora nella forma che abbiamo.
Una forma che (per fortuna o purtroppo) spesso non ci va bene, non ci piace, ed ecco che entra in gioco il QCVE, quello che vorremmo essere, ovvero uno splendido elemento motivazionale che ci spinge a smetterla di stare in abiti sociali/culturali/fisici che sentiamo limitati e limitanti ed ad andare verso l’immagine che a nostro parere ci renderà la migliore versione di noi stessi.
Nulla è impossibile, o quasi: alimentazione da variare, esercizio fisico da fare, libri da leggere, film da guardare, viaggi da fare, persone con cui confrontarsi, sono strade che ci portano esattamente là dove (appunto) vorremmo essere...sì, ma che fatica, anzi, proprio minchia che fatica...a fare sta roba qui ci vuole tempo, energia, impegno e, tra l’altro, i risultati, chi sa quando li vedremo, perchè non è che se decido che la filosofia sarà la mia vita e Kant il mio pastore, allora dormo abbracciato alla Critica della Ragion Pura e mi sveglio Umbertoeco, o, se decido che è il fisico da atleta che voglio mi caratterizzi, che prendo tre pillole e vualà misterolìmpia scànsate...eh no...ed è questo il momento esatto in cui, come in un film della saga di Guerre Stellari, iniziamo a subire il fascino del lato oscuro della forza e ci facciamo, sottovoce pianopiano, la domanda più pericolosa del Mondo: e se, invece di essere [inserire aggettivo a piacere], lo sembrassi solo?
E dall’ombra di un angolo che lo aveva celato fino a quel momento, ecco che appare il QCSE, che ci saluta con un sorriso sornione.
Certo, non che a sembrare qualcosa non si faccia fatica, ma facendo attenzione ad evitare il confronto con la realtà o, nel caso, ridurlo allo stretto necessario, utilizzando perfette armi di apparenza quali sono i tatuaggi, gli status di whatsapp, le citazioni d’effetto, gli aforismi di superficiale profondità (ah, gli ossimori!) e magnifico qualunquismo, i filtri di instagram, è un attimo che sembrare la versione laureata in filologia di Vin Diesel, con la sensibilità di Robert Smith di The Cure, è questione di poche mosse.
Pensateci e provate a smentirmi: buona parte del successo dei social è che li sopra, con uno sforzo ragionevole, si può sembrare chi si vuole! E la pandemia, il lockdown, lo smartworking, riducendo la nostra esistenza nella vita reale, hanno solo reso questo fenomeno ancora più estremo.
Il risultato è l’aggirarsi individui dove, per tornare al punto iniziale, il mix tra qcs-qce-qcse racconta di un 10%-10%-80%, con realtà e velleità ridotte ad un mero apparato ispirazionale che sappia nutrire il sembrare e l’apparire.
Freedom and Istinct tatuato sull’avambraccio, che sembri che io paura non ne ho, braccialetto di caucciù di qualche centro fitness, al polso, che così passa il messaggio che io ci tengo al fisico, snìchers colorate che mica m’arrendo ai miei quarant’anni suonati, ti lascio il numero ed il mio status di uozàp è una frase fantastica di oascaruàild, o forse di àinstàin, ma vabè ci siamo capiti.
Tutto bene, ma, il pericolo è uno: meno frequentiamo la realtà, meno inseguiamo davvero i nostri sogni, meno sviluppiamo progetti mettendo a budget la fatica per portarli a termine e meno saremo, nel senso più esistenziale del verbo, meno avremo capacità, volontà e diritto di stare dove le cose accadono (e ci accadono) per davvero, e finiremo per sparire, come uno stato whatsapp, dopo 24 ore di esposizione ed apparenza ed una manciata di visualizzazioni.
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profumodicaramella · 7 years
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Pensiamo sempre che noi un giorno saremo felici. Noi avremo quell’auto, quel lavoro o arriverà l’anima gemella che risolve tutto. Ma la felicità è uno stato d’animo. E’ un modo di essere non un traguardo. E’ come la stanchezza o la fame, non è durevole, va e viene. Funziona così. E se le persone la pensassero in questo modo sarebbero felici molto più spesso.
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il-gufetto · 1 year
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La fede, per Marx, scaturisce dalla consolazione dinanzi alla sofferenza umana. Sofferenza che, durante questo periodo, si è accentuata con l'industrializzazione. Infatti una celebre frase del filosofo è:
"La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di situazioni in cui lo spirito è assente. Essa è l'oppio dei popoli"
Foto di Pedro Figueras presa dal sito web di Pexels
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Ci sarà sempre qualcuno che tenterà di spezzarti le ali, ma tu vola lo stesso.
- @ilragazzodagliocchisinceri
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daenerys-starbucks · 5 years
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Non faccio spesso post in italiano, ma oggi mi andava quindi ecco una lista di momenti indimenticabili vissuti a scuola che dimostra quanto il nostro sistema scolastico assuma professori chiaramente problematici
- La mia prof di francese mi ha detto per due volte che sembravo "autistica" solo perché stavo saltellando tra le righe del pavimento mentre aspettavo di andare al bagno
- Avevamo una prof di storia talmente cattiva che un giorno una ragazza durante l'interrogazione si è messa a piangere e pregare Dio dalla disperazione. La prof l'ha mandata dalla preside.
- Detta prof era così stronza che una volta mi ha messo 4 solo perché non avevo sottolineato il libro la Coscienza di Zeno (600 pagine)
- Sempre detta prof ci umiliava durante le interrogazioni dicendoci cose umilianti. Alcune mie compagne prendevano pillole contro l'ansia prima di avere lezione con lei.
- La mia prof di inglese sapeva che amavo il trono di spade. Un giorno durante una verifica arriva alle mie spalle e mi sussurra "Quindi hai visto l'ultima puntata?". Prof io qui starei facendo il compito...
- Il prof di filosofia si era innamorato della mia migliore amica e ad ogni lezione veniva al nostro banco a chiederle come stava e a farle complimenti
- Sempre detto prof una volta ha perso un'intera ora di lezione a farsi consigliare modelli di smartphone perché doveva prendere un telefono nuovo
- La prof di letteratura aveva i voti fissi. Se eri un sette rimanevi un sette a prescindere dalle tue prestazioni. A volte interrogava con i tappi nelle orecchie. Nei temi le mie compagne prendevano sempre 6. Io ero la sua preferita e prendevo sette o otto.
- In seconda liceo avevamo una prof di inglese che veniva a scuola in minigonna, si drogava e passava ore a parlarci dei suoi viaggi in India
- Sempre detta prof una volta ci ha fatto scrivere sul diario il nome della nostra crush per poi passare a controllare
- Sempre detta prof, In gita a Venezia, ha scelto un ostello con annessa discoteca perché voleva che andassimo tutti a ballare dopo una giornata di cammino continuo tra le vie veneziane. Mi ha obbligata a truccarmi prima di andare a cena minacciandomi di abbassarmi i voti.
- In quinta volevamo cambiare prof di storia perché era troppo cattiva e dittatrice. La preside si è rifiutata perché erano migliori amiche e non voleva levarcela. Sei compagne hanno cambiato scuola in quinta per non averla più.
- La prof di spagnolo, dopo averci portato in gita in terza, ha iniziato ad odiarci con la scusa che non ci era piaciuta la gita. Ci aveva confuso con la quarta che era venuta in gita con noi. Da quel momento, non ci ha più insegnato niente e in classe guardavamo solo film.
Se mi vengono in mente altri aneddoti aggiorneró. Sentitevi liberi di rispondere con i vostri ricordi più vividi della vostra esperienza a scuola!
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I Molteplici Vantaggi Della Marijuana Medica
Ogni giorno diventa più difficile negare i benefici di marijuana medica. Chiedete a chiunque lo abbia usato per la gestione del dolore in relazione a una malattia che altera la vita - Cancro, AIDS, glaucoma, sclerosi multipla e malattia di Croon, tra gli altri - e vi diranno come sono cambiate le loro vite.
Come ha fumato o ingerito un'erba naturale il loro dolore e gli effetti collaterali una rivelazione. Che rispetto a qualsiasi varietà di prodotti farmaceutici arricchiti chimicamente, le piccole pillole bianche semplicemente non si misurano.
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Prendi gli effetti collaterali, per esempio. La maggior parte dei farmaci da prescrizione venire con un pilota multi-pagina di possibili cose brutte che potrebbero accadere con un uso regolare - il danno epatico è quasi sinonimo di uso a lungo termine. Confrontalo con la marijuana, che gli studi mostrano non hanno quasi nessun danno permanente con l'uso a lungo termine, e molti pazienti scelgono di non fumare. Prodotti da forno, burri, oli e altri mezzi naturali rendono la marijuana la medicina più facile da inghiottire.
La marijuana medica non solo avvantaggia le malattie debilitanti. È stato anche trovato per alleviare il disagio che circonda l'artrite, il dolore cronico e la nausea. Molte donne riportano il successo quando usano la marijuana per curare i crampi mestruali e le donne in menopausa hanno riscontrato un grande successo nell'uso della marijuana per combattere vampate di calore, sbalzi d'umore e brividi. Attualmente ci sono studi in corso che indicano che la marijuana medica potrebbe avere un effetto positivo sulla depressione e altri disturbi legati all'ansia.
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Lo stereotipo del "grappolo di stoner" ha seguito per troppo tempo utenti di marijuana responsabili. Come qualsiasi altro farmaco benefico, la marijuana può essere abusata. A differenza di tutti gli altri farmaci prescritti là fuori, è praticamente impossibile "overdose" sulla marijuana. Classificare la marijuana come una droga pericolosa in primo luogo è un po 'come mettere al bando il cohosh nero o il ginseng o una qualsiasi delle altre erbe abitualmente utilizzate in diverse culture per la cura e la gestione del dolore. È un corso di medicina alternativa, legittimo quanto la medicina chiropratica, e spesso usato mano nella mano per ottenere grandi risultati. La filosofia chiropratica si allinea perfettamente con quella della marijuana medica: il tuo corpo e la natura hanno il potere di guarire.
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ammumtobeg · 2 years
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Pillole di Filosofia: Protagora - YouTube http://dlvr.it/SPXYNt
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...capolavoro della filosofia rinascimentale...quasi un libro d'evasione,attualissimo e spassoso...quanto ahimè, travisato. La follia elogia se stessa, ma essendo folle... non può che dire cose insensate. Quanto insensato è il comportamento di un'umanità completamente folle. Con un po' di acume e di senso critico e leggendo tra le righe, il gioco di Erasmo risulta palese. Un libro che andrebbe letto "alla rovescia". A partire dal sottile sottinteso del titolo. Erasmo che elogia la follia? O piuttosto la follia che elogia i propri seguaci? Peccato che la grande percentuale dei lettori lo abbia preso così com'è, pensando che si tratti davvero di un panegirico della demenza. E qui si trova anche il doppio fondo di questa scatola magica. Erasmo lo sapeva: in un'epoca di deficienti...tragicomicamente, non è cambiato assolutamente nulla da cinquecento anni a questa parte, le parole della follia non possono fare altro che esser prese per pillole di saggezza. Un classico assolutamente da leggere...#instabook #igersravenna #ig_books #libri #instaravenna #consiglidilettura #bookstagram #booklovers #domenicaaperto #classici #erasmodarotterdam (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/Cc4dYjWo76l/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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il-gufetto · 2 years
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Nell'ultimo periodo mi son sentito rivolgere un detto molto in voga che recita "La filosofia è quella cosa con e senza la quale si rimane tale e quale". Ritengo che, tale filastrocca considerata da taluni divertente o irriverente, nasca dall'errata concezione di reputare la filosofia come una disciplina, al pari di tante altre, che assimila materiale. Per me, però, la filosofia non ha rappresentato questo: la filosofia è stata come un viaggio alla scoperta di idee, concezioni ed opinioni differenti. Un viaggio in cui, ogni differente filosofo incontrato, non rappresentava un mattoncino di conoscenze da aggiungere ma un modo per confrontarsi con certe questioni, affrontarle in maniera critica e pensare ad argomenti a cui altrimenti non avrei mai pensato. Non è un semplice apprendimento e, soprattutto, una volta studiata non si rimane tali e quali a prima perché cambiamo noi ed il nostro modo di vedere la realtà. Cambia l'intera percezione delle cose e, cambiando ciò, cambia, di conseguenza ed inevitabilmente, tutto quanto ci circonda (valori, opinioni, talvolta anche metodi e scienze). Dunque, nulla rimane più tale e quale
foto di Subin presa dal sitoWeb di Pexels
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lucianopagano · 3 years
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Il sosia e il tremendo. Su «Disturbo della quiete pubblica» di Richard Yates.
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Borg, allertato da Janice Wilder, sulla situazione del marito di lei, John, lo va a recuperare in un bar. L’uomo è appena tornato a New York da Chicago, ha telefonato alla moglie manifestando i segni del proprio squilibrio, dicendo di non voler tornare a casa, di aver dormito pochissimo, un paio d’ore in tutto, nell’ultima settimana, di averla tradita, di non voler tornare a casa per non rischiare di ammazzare sia lei che il loro figlio, Tommy. L’inizio del romanzo è già un abisso, ci mette subito dinanzi alla situazione di John, presentandolo come qualcosa che già in questi termini si è potuto manifestare in passato. John Wilder non sta bene, la sua psiche è labile, ha bisogno di essere internato per avere un attimo di riposo, per distendere i nervi e riprendersi. John Wilder si risveglierà nel corridoio dell’Istituto Psichiatrico di Bellevue, tra altri centodiciassette pazienti, nella dimensione del limbo, di chi fa ingresso in un luogo che crede non appartenergli. Noi sappiamo che è stato internato e sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio perché la sera prima al telefono ha raccontato delle cose turpi alla moglie; sappiamo che quando Borg è andato a prenderlo nel bar lui era già alticcio, e ha continuato a bere. Il romanzo inizia con l’espressione del disagio di John, quindi ci aspettiamo che questo non sia un evento episodico, e che John sia ormai soggetto a questo tipo di escandescenze. Siamo negli anni ‘70, il romanzo di Richard Yates è “Disturbo della quiete pubblica”, traduzione dell’originale “Disturbing the peace”. John è stato internato al settimo piano del reparto psichiatrico, il peggiore di tutti, quello riservato ai criminali e violenti, ragion per cui c’è un poliziotto di guardia nel corridoio. A colloquio con un dottore John si tranquillizza, Spivack sembra essere un interlocutore meno folle rispetto ai pazienti, che sono seduti uno al fianco dell’altro, nel corridoio, si masturbano. John stringe amicizia con Spivack, un medico psichiatra che è divenuto pazzo, e con Charlie, l’inserviente che somministra ai pazienti i medicinali giornalieri e le sigarette. Borg e Janice, la moglie di John, lo vanno a trovare. Gli portano una stecca di sigarette. Passa una settimana, finalmente John viene ascoltato e interrogato dall’equipe di medici che dovrà decidere se spostarlo di reparto oppure metterlo in Riabilitazione, ovvero sia dimetterlo. John viene dimesso, e anche il lettore ne esce rassicurato dalle stesse motivazioni che adduce l’uomo, cioè che l’episodio scatenante della settimana precedente, quello che lo ha portato a essere internato, non era altro che l’eruzione di una somma di fattori spiacevoli, lo stress da lavoro, il mancato sonno, la lontananza da casa, l’alcool, John dovrà uscire sotto custodia dell’amici Borg, ma uscirà. Qualche giorno dopo la famiglia Wilder raggiunge il bungalow di proprietà, vicino a un laghetto non molto distante dal fiume Hudson. Una tranquilla situazione di villeggiatura, a settembre, fine dell’estate. John gioca a catch col figlio Tommy, tra i cespugli e gli sterpi. Poi i tre vanno a nuotare nel laghetto, John ha sempre odiato nuotare, ci sono molte persone, stanno godendosi gli ultimi sprazzi d’estate. John viene attratto da una giovane ragazza in bikini, viene preso dalla fantasia di avvicinarla, per scambiare qualche battuta e magari invitarla nel pied-a-terrè che condivide con Borg, a New York. Accidenti, il suo amico Borg, quello che lo tiene in custodia e che fa da spalla alla moglie di John in questa situazione, condivide con lui un’alcova. Il pensiero di John nei confronti della ragazza in bikini resta tale, la ragazza nuotando raggiunge le sue cose e torna al suo bungalow. John si consola col bourbon, anche se Janice gli dice che forse è un po’ presto per bere a quell’ora del giorno. Lui, seduto sulla poltrona, si accorge di provare un moto di forte ira, guardandola, l’ira è dovuta al fatto che la moglie, sullo sgabello dove è seduta, gli sembra avere lo stesso atteggiamento e la stessa postura del
poliziotto nel reparto psichiatrico. John immagina di buttare tutto all’aria, aggredirla, andarsene, ma non fa nulla di ciò e resta a borbottare sulla poltrona.
C’è un’energia che John non riesce a contenere, un’energia psichica che lo porta a pensare di fare cose terribili, violente. La carica esplosiva, repressa, presente nella sua mente è elevata, ed è chiaro che dovremo attenderci qualcosa, un’esplosione, uno scoppio inatteso. Dopo una riunione familiare con la moglie e Borg, John acconsente a iniziare un percorso psicoterapico, smettendo di bere, frequentando gli Alcolisti Anonimi. La psicoterapia è noiosa, John racconta gli episodi della sua vita, soffermandosi sui conflitti caratteriali in seno alla sua famiglia, sulle aspettative dei suoi genitori, puntualmente tradite. Le riunioni con gli Alcolisti Anonimi sono curiose, John ci va come si va ad assistere alle prove aperte di uno spettacolo teatrale, non prende mai la parola, né viene chiamato a parlare. Quando gli capita di parlare, l’evento coincide con la volta in cui ha deciso di presenziare alla riunione del gruppo insieme alla moglie.
Fino a questo punto “Disturbo della quiete pubblica” di Richard Yates (Disturbing the peace) ha presentato John fino al momento in cui avrà più o meno cercato un modo per uscire dai postumi del suo crollo nervoso, quello con cui si è aperto il romanzo. Il lavoro e le giornate proseguono, finché un giorno il rischio di vedere svanire i suoi affari, con la perdita degli spazi pubblicitari venduti per la rivista American Scientist, non gli fa incontrare Pamela, giovane ventunenne che lavora presso l’agenzia di pubblicità che ha sostituito quella che si occupava degli stessi spazi pubblicitari, venduti da John in predecenza. Pamela, figlia di un ricco banchiere, è una giovane brillante. John se ne invaghisce, anche lei di lui, i due si frequentano. Condividono passioni comuni, specie quella per la cinematografia. John avrebbe voluto fare il regista o il produttore, da ragazzo aveva studiato per questo. Purtroppo la vita era andata diversamente e l’uomo dovette abbandonare i suoi sogni. Una sera, in confidenza, John racconta a Pamela della clinica di Bellevue e del suo internamento di una settimana. La ragazza crede che non solo questa storia somigli a un film e sembri fatta apposta per diventarlo, ma che addirittura quando John stava vivendo quegli eventi era come se stesse, in un certo senso, recitando. L’entusiasmo della ragazza è tale da convincere un gruppo di suoi colleghi universitari, uno scrittore e uno regista, insieme a altri attori, scenografi, etc., a mettere in piedi tutto ciò che serve, sceneggiatura, scenografia, regia, per realizzare IL FILM di John. John riesce a farsi concedere due settimane di vacanze, chiedendole al suo capo, nelle quali si recherà nel Vermont, presso il college dove è stato allestito il set cinematografico del FILM. L’uomo farà conoscenza del professor Epstein, decano della facoltà, idolatrato dagli studenti di filosofia alla stregua di un Dio. “Dio” è il nomignolo che gli affibiano tutti, non dichiaratamente.
John Wilder sta attraversando uno stato di grazia. È opportuno a questo punto della storia elencare i sinonimi di SELVAGGIO/WILD: selvaggio, selvatico, folle, feroce, sfrenato, scatenato, pazzo, furioso, incolto, violento, agitato, primitivo, disordinato, furibondo, tempestoso, sgangherato. Fino a questo momento non ve n’è uno solo che non possa non essere riferito a uno degli stadi di umore o comportamento tenuti da John Wilder fino a questo momento. Chiusa parentesi. Dopo due crolli nervosi, diviene difficile anche se non impossibile fare ritorno alla normalità. John Wilder viene indirizzato verso un nuovo medico che cura le malattie e i disturbi psichiatrici con un dosaggio di farmaci e pillole ad hoc per ogni paziente, un luminare del jet-set. Dottor Brink. John si riavvicina a Janis, per essere più vicino al figlio Tommy, che ha problemi di comportamento a scuola, ed è stato affidato a sua volta all’aiuto dello psichiatra scolastico. Vedersi di più con la moglie e il figlio porterà John ad allontanarsi da Pamela, fino alla rottura, quando lei gli comunicherà che sta per trasferirsi a Washington, dove le hanno offerto un impiego nel Ministero della Giustizia. Pamela ha avviato una relazione con uno scrittore brillante e alcolizzato, Chester Pratt. Le vicende di “Disturbo della quiete pubblica” (Disturbing the peace), ciò che accade a John Wilder, è inesorabile. Proprio quando si è rassegnato a ritornare sui suoi passi, nell’alveo familiare, gli arriva una chiamata da Pamela. Il figlio Tommy è stato promosso nella ‘settima’, superando tutti i deficit che aveva accumulato, il loro rapporto stava migliorando, così come stava migliorando l’intesa con Janis, anche a livello affettivo. Ma Pamela, torna. Si incontra con John e gli racconta del suo anno speso appresso a Chester Pratt, praticamente dedito all’alcolismo. Gli racconta anche che da quando il padre ha scoperto che suo fratello Mark è omosessuale, ha deciso di dirigere su lei tutte le sue attenzioni, fingendo che il fratello sia inesistente, anzi, mai esistito. Il ricco banchiere ha chiesto alla figlia che cosa desidera fare “Da Grande”, e lei gli ha detto, dopo averci riflettuto un giorno intero, che vuole fare la produttrice cinematografica. Così lui le ha messo in mano un assegno da cinquantamila dollari e l’ha indirizzata a Hollywood, da un amico regista/produttore. Il fatto è che Pamela, lì, deve andarci con John, perché loro due hanno un FILM IN COMUNE, una storia già scritta e filmata “Bellevue”, che non attende altro che divenire una pellicola di (discreto? eccezionale?) successo. Così John lascia una carriere al suo apice, così come dice il suo capo/amico Taylor, in un lavoro che però non gli è mai veramente piaciuto. Così John lascia la moglie e il figlio, e va a Hollywood con Pamela. A questo punto possiamo uscire da questo libro, prendere una boccata d’aria. Oppure far finta di nulla. Oppure no, perché dobbiamo leggere “La campana di vetro” di Sylvia Plath, “Giorni perduti” di Charles R. Jackson, e “Jukebox all’idrogeno” di Allen Ginsberg.
Nuovo crollo, ricovero definitivo. Tema del sosia. Il folle è un uomo che viene sostituito da qualcun altro che ha le stesse doti di intelligenza, ma è più docile, sa stare al suo posto; così Chester starà con Pamela, e Paul Borg con Janice, la moglie di John. Il Sostituito. Nonostante le conoscenze e il denaro la strada a Hollywood, per i due neoaspiranti produttori cinematografici, è irta di ostacoli. Il primo regista che John e Pamela incontrano non è stato per nulla colpito dalla storia e della sceneggiatura di “Bellevue”. Il secondo, Munchin, proporrà delle modifiche alla sceneggiatura, per rendere il film un prodotto più consono al mercato commerciale, e non solo ai circuiti indipendenti di New York, San Francisco, o addirittura dei festival europei. All’inizio John e Pamela ci stanno, poi formano con Munchin la società di produzione e John deve anche ingoiare il rospo che lo sceneggiatore sarà Chester Pratt, l’ex-amante di Pamela. Prima di partire per Hollywood John Wilder aveva fatto scorta delle sue pillole, il dottor Brink gli aveva lasciato tre flaconi da utilizzare solo per emergenza, se si fosse sentito vicino a un crollo.
Il crollo giunge.
Pamela comincia a essere stufa di condurre quel tipo di vita, in giro ad attendere, senza fare sostanzialmente nulla, vagando da un bar all’altro, da un bourbon all’altro, da una bottiglia di bourbon a un’altra, cenando e pranzando in ristoranti di classe o nelle case dei produttori, ospiti delle feste dei produttori. Un giorno decide che lei e John andranno a fare la spesa in un supermarket, dove John si sente spaesato, entrando in stato confusionale. La scintilla scoppia quando l’uomo si trova davanti a un girevole della marca di cioccolatini dell’azienda di famiglia, trattiene a stento l’impulso di sferrare un pugno contro l’espositore, ma poi, per un falso movimento del corpo, scivola col carrello e ripara proprio sulla colonnina girevole, mandandola a terra in mille pezzi, spargendo cioccolatini sul pavimento. È la goccia finale. John prende Pamela per un braccio e i due scappano via come ladri, lasciando il carrello nel mezzo della corsia. Pamela ha già deciso che lascerà John per l’ultima volta. Vanno in un ristorante a cena, litigano, attirano gli sguardi di tutti e le reprimende del capo cameriere, che a un certo punto è costretto a fare allontanare John con la forza. Pamela ha già trovato un altro appartamento, John è solo. Preda del delirio e delle allucinazioni, degli scatti d’ira e dell’autolesionismo alcolico. Verrà portato in ospedale dal proprietario del condominio, una volta dimesso tornerà a casa e si scuserà con tutti. Chiamerà Borg, il suo amico, e alla fine verrà internato in un ospedale psichiatrico. Pamela tornerà con Chester, Janice si sposerà con Borg, che nel frattempo ha lasciato sua moglie. Il sosia. Il folle è un uomo che viene sostituito da qualcuno che ha le stesse doti di intelligenza, ma è più docile e equilibrato, sa stare al suo posto. Chester è alcolizzato come John, una spugna, due spugne insieme, lo troveremo con Pamela e anche lui frequenterà le riunioni degli Alcolisti Anonimi, anche il suo “padrino” degli incontri è Costello, lo stesso di John, ma Chester riesce a mantenersi ‘sulla linea’, come direbbe Johnny Cash. Lo stesso dicasi per Paul Borg, anche lui tradisce la moglie, condivide con John lo stesso pied-à-terre, e alla fine diviene il suo sostituto domestico-familiare. John viene stritolato dalla sua fragilità, dall’incapacità di resistere all’alcool, forse dalla fiducia riposta in chi gli ha dato un po’ di ammirazione, o fatto i complimenti. Nessuno dei personaggi che incontra, anche il ‘filosofo’ Epstein, cerca di squarciare il velo del suo disagio con gli strumenti dell’introspezione, dell’amicizia, dell’empatia. Il refrain ‘ti senti bene? C’è qualcosa che non va John?’, è l’unico segno di preoccupazione che si manifesta prima della chiamata ai sanitari negli anni in cui John subisce i tre crolli nervosi che lo porteranno ad accettare la quiete dell’isolamento dal mondo.
Nel 1959 Allen Ginsberg scrisse un breve intervento poetico, quattro pagine in tutto, dal titolo: “Poesia, violenza e gli agnelli tremanti”, nel quale scriveva: “L’America ha una crisi di nervi”. Una crisi di nervi che attraversa il secolo fino ai giorni nostri, lasciando segni sulle persone e tracce nelle opere di letteratura e arte. La scissione tra desiderio e realtà, il desiderio è quello di sfuggire a un’omologazione di massa, l’America è un paese che vive apparecchiando la guerra, chi si sottrae al gioco viene vilipeso, ridicolizzato, messo ai margini della società, perseguitato; il modello deve perpetuare il modello. Sono trascorsi una sessantina d’anni perché le parole di Allen Ginsberg suonino ancora attualissime. Indagare la crisi di nervi, l’ansia del sosia, la necessità di sostituirsi o farsi sostituire per reggere il crollo nervoso. Il tema del sosia tornerà in un romanzo del 1998, Glamorama, scritto da Bret Easton Ellis. Uno specchio di sé, creato o imposto, nel quale acquietare la propria disperazione.
(Disturbo della quiete pubblica è stato ripubblicato da Minimum Fax nel 2004, per la traduzione di Mirella Miotti; io l'ho letto nella versione pubblicata da Bompiani nel 1977).
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s0dinonsapere · 3 years
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CONOSCERE SÉ STESSI IN 3 DOMANDE
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Ti è mai capitato di pensare «quest’attività non fa proprio al caso mio»? E in effetti, conoscere sé stessi significa analizzare le attitudini, la personalità e i talenti che ogni individuo custodisce dentro di sé. Se sei in un periodo della tua vita in cui ti svegli al mattino di malumore, consapevole di non essere realizzato nello studio o nel lavoro, è giunto il momento di fare chiarezza per comprendere cosa (e perché) ti rende davvero felice. In questo articolo voglio consigliarti 3 domande salvavita a cui rispondere in modo spontaneo e onesto. Procurati carta e penna, e lascia andare i pensieri negativi: conoscere sé stessi è il motto di tutti coloro che intendono condurre un’esistenza piena e appagante.
“Scopri chi sei e non avere paura di esserlo.”
MAHATMA GANDHI
01 – Conoscere sé stessi per lasciare il segno
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prima domanda che voglio sottoporti è la seguente: «per cosa vorrai essere ricordato quando non ci sarai più?». L’idea è contenuta nel libro di Stephen Covey Le 7 regole per avere successo. Insomma, se non sai ancora cosa fare della tua vita … potresti partire dalla fine! Cerca di comprendere quali sono le emozioni che intendi lasciare nel cuore delle persone che ami di più, quali le piccole imprese quotidiane a cui vuoi dedicare anima e corpo. Lo sport? La scrittura? Il design? Lo studio della letteratura e della poesia? Analizzare le tue priorità in modo introspettivo è il modo migliore per capire cosa ti soddisfa al 100%, cioè quale attitudine personale ha un forte potere liberatorio. Il vantaggio? Potrai sostituire le cattive abitudini e costruire una routine incentrata sulle tue passioni. Non male, vero?
02 – Conoscere sé stessi significa affrontare le paure
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Per conoscere sé stessi, gli individui devono fare i conti con timori e speranze radicate in profondità. Ma non preoccuparti, non avrai bisogno di stenderti sul lettino del vecchio Sigmund Freud! Sarà sufficiente scrivere su carta quali sono le paure che ti tengono con il fiato sospeso. Fatto? In secondo luogo, prova a immaginare chi potresti diventare se non fossi governato da questa tendenza all’autosabotaggio. La visualizzazione creativa è una fedele alleata per familiarizzare con lati della tua personalità che non sapevi neppure di possedere. Pronto a metterti in gioco?
03 – Conoscere sé stessi per aiutare il prossimo
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Gli individui che hanno il coraggio di conoscere sé stessi sanno quanto sia importante aiutare gli altri ad esprimere il loro potenziale. Fare del bene a un collega in ufficio, a un partner o a un amico di vecchia data non soltanto ti farà sentire utile e gratificato, ma anche soddisfatto della persona che sei diventato. Per conoscere sé stessi non è necessario ricorrere a un viaggio in Tibet alla ricerca di chissà quale filosofia di vita; esistono migliaia di occasioni “locali” in cui rivoluzionare il nostro comportamento e lasciare un segno positivo nella comunità che ci circonda. La domanda a cui trovare risposta è, dunque, la seguente: «in che modo potresti renderti utile agli altri?»
Mio caro lettore, conoscere sé stessi è un percorso senza fine. Per questo motivo, ti suggerisco di iscriverti alla newsletter di So di Non Sapere per restare aggiornato su nuove pillole di self-help e crescita personale; ci sono tante novità in arrivo per un autunno con i fiocchi.
Cosa aspetti?
Diventa la migliore versione di te stesso.
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