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#Luce Sposa
kirstysdreams · 1 month
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kirstydreaming · 2 years
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BTS Luce Sposa Catwalk 2021 (Anastasia Smerechevskaya in reflection)
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diceriadelluntore · 1 year
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Inversamente
L'altro giorno @hope-now-and-live aveva chiesto, in maniera ironica ma molto interessante, quante volte ci si è chiesti perchè Orfeo si gira a guardare se Euridice lo segua, nella sua catabasi (nel mondo greco, la discesa dell'anima nell'oltretomba), perdendo definitivamente la sua amata, ritenendolo per questo uno stolto. Il Mito è famosissimo, ed è uno dei più potenti racconti sulla proibizione simbolica.
Nel chiacchierare con lei, mi è venuto in mente che Robert Browning, poeta, scrittore e drammaturgo britannico dell'età vittoriana, si ispirò a questo quadro di Frederic Leighton, Orfeo e Euridice (1864)
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dove è chiaro come sia Euridice che cerca "di farsi guardare" da Orfeo, che tiene disperatamente gli occhi chiusi, per scrivere questi versi:
Sì, dammi la bocca, gli occhi, la fronte, e insieme mi prendano ancora – un solo sguardo ora mi avvolgerà per sempre per non uscire mai dalla sua luce, anche se fuori è tenebra. Tienimi sicura, avvinta al tuo sguardo eterno. Le pene d’un tempo, dimenticate, e il terrore futuro, sfidato – non è mio il passato né il futuro – guardami! Robert Browning, Eurydice to Orpheus, da Dramatis Personæ , 1864
Per chi non lo ricorda, il Mito è diverso: Orfeo s’innamora, ricambiato, della ninfa Euridice, e la sposa. Come racconta Virgilio nelle Georgiche, di Euridice s’invaghisce anche il pastore Aristeo, che l’insegue per farla sua e, mentre scappa, Euridice è morsa fatalmente da un serpente. Nelle Metamorfosi Ovidio sceglie di eliminare dalla scena Aristeo: Euridice è spensierata, in compagnia di una schiera di ninfe, quando viene morsa al tallone dal rettile. Appena Orfeo apprende la notizia, piange la sposa e con coraggio decide di recarsi negli inferi per riaverla. Scende fino allo Stige, vince ogni ostacolo grazie alla lira e si presenta a Persefone e a Ade, i signori dell’oltretomba. Canta il suo amore per Euridice e chiede che gli venga data la possibilità di continuare a vivere con lei. Tale è la forza del suo amore e del suo canto che Persefone, Ade, il cane Cerbero e perfino le implacabili Furie si commuovono. Gli viene quindi accordato di portare con sé Euridice, ma a un patto: lui andrà avanti, lei lo seguirà, e Orfeo non potrà mai girarsi indietro, perché altrimenti Euridice tornerà per sempre tra le ombre dei defunti. Nella risalita, infatti, mentre i due amanti sono quasi arrivati alla luce, Orfeo non resiste alla tentazione e si volta per controllare che la sua amata sia veramente con lui. Nel tempo di un attimo Euridice scompare per sempre nell’abisso. Distrutto e impietrito, Orfeo non trova più pace e vaga per la terra, sublimando nel canto un passato che non può più tornare. Continua a emozionare, sì, ma rifiuta la vita e l’amore delle altre donne; per questo le Menadi – o Baccanti – si vendicano di lui, che pure era legato a Dioniso, e lo fanno a pezzi gettandone i resti nel fiume Ebro. Tutti lo piangono, uccelli, alberi, sassi, ma Orfeo potrà tornare a riabbracciare la sua Euridice.
Molti nel '900 riprenderanno il Mito, soprattutto dal punto di vista di Euridice. Il magnifico Orfeo, Euridice, Hermes di Rainer Maria Rilke, aggiunge la figura del dio dal piede alato che è messaggero delle anime (Psicopompo, uno dei suoi più famosi attributi), con Euridice che non riconosce più Orfeo:
E quando a un tratto il dio la trattenne e con voce di dolore pronunciò le parole: si è voltato –, lei non comprese e disse piano: Chi?
Ma avanti, scuro sulla chiara porta, stava qualcuno il cui viso non era da distinguere. Immobile guardava come sull’orma di un sentiero erboso il dio delle ambasciate mestamente si volgesse in silenzio per seguire lei che tornava sulla stessa via, turbato il passo dalle bende funebri, malcerta, mite nella sua pazienza.
Giganti si sono cimentati con questa storia (tra gli altri, Campana, Pavese, Yourcenar, Magris, Calvino) ma cito Gesualdo Bufalino, che in un racconto beffardo, Il ritorno di Euridice (1986), fa dire alla Ninfa:
L’aria non li aveva ancora divisi che già la sua voce baldamente intonava “Che farò senza Euridice?”, e non sembrava che improvvisasse, ma che a lungo avesse studiato davanti a uno specchio quei vocalizzi e filature, tutto già bell’e pronto, da esibire al pubblico, ai battimani, ai riflettori della ribalta.
In pratica, l'aveva fatto apposta!
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sydmorrisonblog · 1 year
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Negli Himba della Namibia la data di nascita di un bambino è fissata non dal momento del suo arrivo al mondo, né dal suo concepimento, ma dal momento in cui il bambino viene pensato dallo spirito di sua madre. Quando una donna decide di rimanere incinta, si siede sotto un albero e ascolta la natura fino a quando non sente la canzone del bambino che darà alla luce. Dopo averla sentita, torna dall’uomo che ha scelto per diventare il padre del bambino per insegnargliela. Quando fanno l’amore, per concepire fisicamente il bambino, cantano quella canzone per poterlo invitare a raggiungere il grembo della madre. Quando la madre rimane finalmente incinta, insegna il canto di questo bambino alle ostetriche e alle donne adulte del villaggio. Durante il parto, tutte le donne presenti cantano per accogliere il pargolo. Man mano che il bambino cresce tutto il villaggio impara la sua canzone. Cosicché appena il piccolo cade, o si fa male, ha sempre qualcuno nelle vicinanze per fargli sentire il calore di casa, cantando per lui. Stessa cosa quando attraversa i riti di iniziazione con successo e quando si sposa. Quando, una volta diventato vecchio, è sul letto di morte tutti si riuniscono intorno a lui e gli cantano la sua canzone per l’ultima volta.
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quandolarte · 27 days
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Un momento di pura magia si rivela.
La sposa, in un abbraccio di luce e amore, nutre il suo bambino, nel giorno in cui celebra l’amore eterno e la dedizione materna.
Questo scatto cattura non solo la bellezza esteriore di un giorno speciale, ma anche l’intimità vibrante di legami invisibili che si rafforzano. Un frammento di tempo dove l’amore si manifesta nella sua forma più tenera.
@vitalichia
#fotografomatrimoniosicilia #reportageweddingphotographer #weddingphotographer #weddingplanner #sicilyweddingplanner #sposa2024
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sciatu · 3 months
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MADAM EFFIE E L’AMORE DI SALVO
MADAM EFFIE E L’AMORE DI SALVO
Camminava a testa bassa da quasi venti minuti, la borsa di Furla tenuta per i manici nella destra e la sinistra nella tasca del soprabito nocciola di Cavalli. Si fermò e alzò gli occhi per capire dov’era. Si accorse stupita che era in via Palermo. Si guardò intorno. Vide che era vicino a quello che sua nonna chiamava “Il palazzo dei morti” e continuava dicendole che in quel palazzo trasandato e banale, passato e futuro si annodavano e nel loro esatto centro c’era Madame Effie,
“A rigina di mavari – e continuava con un filo di voce – si n’hai bisognu, vacci …. Ammia mi canusci”
Si fermò davanti al portone osservandolo. Con un sorriso amaro commentò che forse era il momento giusto di andare a vedere se Madam fosse ancora viva perché la nonna le aveva detto che già allora era più vecchia di lei.
Ci fu uno scatto metallico e il portone si aprì, anzi si spalancò e restò così aperto, quasi aspettando. Lei lo guardò stupita. Guardò l’orologio. Le dieci e trenta, mancava un ora alla messa per il funerale.
“ Ma si, …. Proviamo, tanto peggio di così …”
Si disse ed entrò nell’atrio che aveva su i suoi due lati opposti, due corridoi immersi nell’oscurità.  Si chiese in quali dei due dovesse andare.
Il corridoio di destra si illuminò.
Si incamminò nel corridoio che dopo un angolo finiva davanti ad una porta. Stava cercando il campanello che la porta si aprì ed una vecchina dai capelli bianchi apparve.
“Venga, venga, è in ritardo”
Entrò in una sala d’aspetto dove quasi tutte le sedie erano occupate. Esitò per un attimo.
“È sicura Signora? Non vorrei prendere il posto di qualchedun altro?”
La signora dai capelli bianchi l’osservò sorridendo.
“È la signora Sutera, no? ”
“Si certo …”
“Madam mi ha detto di farla entrare appena arrivava. Doveva entrare cinque minuti fa…”
“Ah, mi scusi….”
E si avviò in un corridoio posto dietro una porta che dava sulla sala, mentre le persone in attesa commentavano sul fatto che una signora, a cui non mancavano i mezzi, dovesse visitare Madam Effie per trovare la pace o la felicità.
Attraversò il corridoio velocemente perché non voleva fare tardi alla messa. Entrò in una stanza buia, che dava la sensazione che fosse immensa. In un angolo c’era una grande scrivania dove alla luce di alcune candele si distingueva appena una signora in un saio di taffetà scuro dai riflessi viola e azzurri.
“Vieni Silvia, ti aspettavo”
La signora Sutera avanzò nella penombra e si sedette davanti all’enorme scrivania.
“Mi aspettava?”
“Si, tua nonna anni fa, mi ha parlato di te e mi ha chiesto di proteggerti”
“Davvero?”
“Ti voleva molto bene visto che porti il suo stesso nome. Guarda, per farmi restare sempre in contatto con te mi ha dato questo tuo disegno.”
Le passò un foglio a quadretti grossi su cui era disegnata, come una bambina di cinque anni poteva fare, una sposa con un lungo velo azzurro. Trasalì a rivedere quel disegno che aveva regalato alla nonna quando era piccolissima. Già dal disegno si intuiva che voleva già fare il lavoro di sua madre: disegnare abiti da sposa
“Nonna è sempre stata molto protettiva con me. È stata lei a dirmi di venire se avessi avuto bisogno.”
“Infatti e mi ha parlato spesso di te. Per lei ti ho fatto molte volte le carte. Mi ha sempre chiesto di usare i tarocchi di Marsiglia perché diceva che i tarocchi siciliani erano troppo paesani. I tarocchi francesi non sono eguali a quelli locali: alcuni trionfi hanno significati diversi, altri  non sono presenti. Tutte le volte che ti facevo le carte però uscivano  sempre gli stessi arcani: l’Arcano senza nome, l’Appeso, il Diavolo. Per questo lei era sempre preoccupata.”
“L’Arcano senza nome?”
“La morte. – rispose Madam e vedendo la faccia spaventata di Silvia continuò - Ma ora dimmi cosa ti ha spinto a venire a chiedere il mio aiuto? Raccontami tutto dall’inizio.”
Silvia mise la borsa sulle ginocchia e appoggiandovi sopra le mani incominciò a parlare.
“Ecco, io e mio fratello abbiamo preso in mano il negozio dei miei genitori quando avevamo meno di vent’anni. Mio padre era morto improvvisamente e mia madre non riusciva a gestirlo, così dopo la morte di papà, fu presto piena di debiti. Vendiamo, confezionandoli o comprandoli da grandi ditte specializzate, abiti da sposa che adattiamo con aggiunte nostre o a seconda dei capricci delle clienti. Con mio fratello abbiamo lavorato giorno e notte, litigando con i fornitori, andando a riscuotere presso i tanti clienti morosi e finalmente abbiamo salvato l’azienda incominciando a fare qualche soldino. Mio fratello si è sposato con una nostra commessa che è rimasta in negozio aiutandoci a farlo crescere e dandogli due bellissimi bambini. Io, che sono la maggiore, sono sempre stata impegnata nel negozio e con il rapporto con le clienti. Ho avuto qualche storia sentimentale importante, ma alla fine se ne andavano via tutti, arrabbiati perché messi sempre da parte rispetto ai veli, all’organza o ai ricami delle mie spose. Ho raggiunto una buona sicurezza economica, conoscenze altolocate, amicizie importanti come grandi stilisti, giudici, primari, ma anche una enorme solitudine. Fino a poco fa, non ci ho mai pensato. I miei nipoti, mio fratello con sua moglie, le mie amiche che ho da quando ero ragazza, sono la mia famiglia e mi bastavano. Più di un mese fa la mia amica Olga, che per me era una sorella, ha organizzato una specie di festa. Doveva raccogliere giocattoli per i bambini dei carcerati ed io le ho dato una mano. Era una festa un po' caotica, molti conoscenti andavano e venivano portando qualche giocattolo spesso già usato. Qualche volontario li incartava mentre io Olga e altri amici intrattenevamo gli ospiti. C’era una banda musicale con dei bei ragazzi che suonavano, un buffè pieno di cibo da spiluzzicare e un enorme quantità di bottiglie da bere. Io avevo attaccato bottone con alcune signore che chiedevano consigli per i matrimoni dei figli. Era il mio modo di fare marketing. La sera tornai a casa ed ero molto contenta, forse per qualche bicchiere di troppo. Mi coricai felice perché avevo conosciuto tanta gente nuova che neanche ricordavo. Incominciai a sognare di essere ancora alla festa e una volta finita, sognai che dei ragazzi propongono a me e a Olga di andare in una discoteca. In verità io ed Olga il tempo delle discoteche lo abbiamo passato da tempo. Alla nostra età è già tanto un the o una tisana e sembreremmo ridicole in discoteca come quelle mamme che accompagnano le figlie a ballare. Ma c’era qualcosa di nuovo e straordinario in quella serata e in quel sogno ed io trovavo tutto naturale. Tra tutti quei ragazzi sentivo che c’era qualcuno che mi era sempre vicino. Non lo vedo dettagliatamente come spesso accade nei sogni, lo “sento” lì accanto a me e questo mi intrigava, mi rendeva quasi sfacciata e mi esaltava l’idea che avrei incontrato qualcuno, qualcuno per cui ero importante. Arriviamo alla discoteca ma la folla di chi doveva entrare era enorme. Premiamo per entrare ma veniamo spinti indietro. Mentre procedo all’indietro con la folla che mi spinge, le mie dita sfiorano quelle del ragazzo che mi seguiva ed allora le stringo e lo trascino via dalla folla. Corriamo via, felici, come se avessimo marinato la scuola e stavamo fuggendo via liberi da tutti i problemi del mondo. Arriviamo sotto un grande albero e ridendo ci fermiamo. Io mi volto e l’osservo curiosa perché fino ad allora non l’avevo visto. È un bel ragazzo. Alto, con i capelli neri, mossi, quasi ricci, gli occhi intensi, espressivi, il naso dritto, le labbra belle, come quelle di una donna, un neo sotto il labbro a destra e un altro piccolissimo a metà tra il primo e le basette. Gli sorrido, chiedendogli il nome e lui mi risponde con una sola parola
“Salvo”
“Tutti i ragazzi che ho amato si chiamavano Salvo”
Sorride felice e dice solo
“Lo so, per questo mi chiamo così – allunga la mano e mi dice - Vieni”
E corriamo mano nella mano verso una spiaggia lì vicino. Il sogno è durato a lungo, con noi due che camminavamo sul bagnasciuga dicendoci cose che ci piacevano o parlando di viaggi. Il mattino dopo mi sveglio felice, pensando a Salvo come se avessi dovuto incontrarlo da un momento con l’altro. Tutto il giorno mi sento come se il mondo fosse il paradiso tanto che mio fratello mi chiede se alla festa avessi conosciuto qualcuno di particolare. La sera quando vado a dormire sogno di essere in negozio e che quando esco per andare a casa trovo Salvo di fronte la porta.
“Posso accompagnarti?”
Mi fa timidamente. Rispondo di sì e andiamo verso piazza Cairoli. Non so perché, visto che sono molto pudica, ma mi viene voglia di baciarlo forse perché so che è un sogno e che sono libera di fare tutto quello che desidero. Appena la strada è vuota lo tiro in un portone e lo bacio con voglia e intensità. Lui mi risponde con ancora più voglia ed intensità. Ha delle labbra morbide, tenere e malgrado sia alto e atletico,  mi sembra soffice. Delicato.  Quando ci stacchiamo mi fa ridendo
“Ora siamo ziti”
“siamo strani come ziti: potrei essere la sorella di tua madre
“È un sogno … nessuno saprà mai nulla”
Mi ripete ridendo. Si, era un sogno, ma a me piaceva avere quel ragazzo contro questo mio corpo tutto tondo che si gonfia anche se non mangio, Da allora, ogni notte l’ho sognato. Camminavamo per Messina immersa in un tramonto infinito, non ancora buio ma con ancora angoli di luce e un cielo dalle nuvole rosa. Una città popolata da gente strana, animali inverosimili, alberi dei tropici, palazzi come quelli di Manhattan o Parigi. Messina è una città particolare, provinciale e caotica, ma nei sogni era il posto adatto per baciarsi salendo su a Cristo Re ed avendo le luci dello stretto ai nostri piedi, oppure per fare l’amore in posti assurdi, come dietro la Chiesa dei Catalani. Era un fare l’amore fatto di sensazioni, come capita nei sogni, ma era bellissimo, come se la mia memoria inconscia avesse conservato, in un forziere nascosto della mia mente, tutto il piacere che avevo provato con i miei amanti, e di cui solo Salvo  aveva la magica chiave, perché solo lui sapeva restituirmi la gioia che il tempo aveva cancellato.
Salvo aveva sempre cose da dire, posti dove andare come al Faro o a Milazzo. Mi portava sempre in campetti di periferia a giocare a basket,  o spesso mi proponeva cose assurde come buttarci da una scogliera, cose normali per la sua età, ma esagerate per la mia. Io gli rispondevo “perché no? È un’idea originale, ma potremmo farci del male” e lui capiva che quanto proponeva poteva essere per me pericoloso. Capiva anche, e questo gli dava piacere, che in ogni caso, io l’avrei seguito e che eravamo sempre un “noi”. Allora mi rispondeva con frasi particolari, come “sei
l’unico papavero rosso di saggezza, nell’immenso campo di grano giallo allucinato della mia follia”, “se tu non esistessi sarebbe come non essere nato”. A me queste frasi facevano morire perché era la poesia ingenua della giovinezza, quella che non avevo mai vissuto persa dietro a spose capricciose e fatture da pagare.”
Si fermò e guardò le sue mani appoggiate sulla borsa
“Lo confesso, per me la realtà era diventata quella dei miei sogni. Quando mi svegliavo, la prima cosa che provavo era l’essere sola, il non avere vicino a me, qualcuno con cui far parlare la mia anima o i miei sensi. Nessuno da abbracciare, coccolare, baciare, ascoltare, contraddire, perdonare …  amare. La vita che facevo quando mi svegliavo era solo l’attesa, noiosa e seccante, di quando sarei tornata nelle braccia di Salvo. Ed ogni sera vi tornavo, sempre più innamorata di lui e sempre più felice in quel mondo irreale, in quello strano luna park notturno che era diventata Messina”.
Restò qualche secondo in silenzio
“Questo durò circa un mese, poi d’improvviso tutto finì. Andavo a dormire ma non riuscivo ad addormentarmi e se dormivo, non sognavo nulla. Il mio sonno era come la morte. I primi giorni mi dissi che forse la mia assenza di sogni era dovuta a problemi del momento, una cattiva digestione, un raffreddore. Poi però la mia insonnia continuò. Dopo qualche giorno, la settimana scorsa, decisi di parlarne con Olga perché forse vi era qualche risvolto psicologico e lei, che era psicologa, poteva darmi qualche indicazione. Quando chiamai non mi rispose. La cercai al centro sociale dove prestava servizio e mi dissero che aveva avuto un incidente sulla Messina-Palermo e che era morta.”
Restò a fissare il vuoto in silenzio.
“Per me è stato un colpo terribile. “
Apri la borsa nervosamente e prese un fazzoletto con cui si soffiò il naso
“Mi scusi – disse quando finì riponendo il fazzoletto – sono ancora sotto shock. Tutto sembra crollarmi addosso, anche quella poca felicità che mi ero inventata. Tra circa mezzora dovrebbe esserci il funerale di Olga. Ero andata in chiesa ma mi sono sentita soffocare, sono dovuta uscire e mi sono messa a camminare per le strade fino a che non sono arrivata qui e sono venuta a chiedere aiuto a lei perché non so più cosa pensare. Incontrerò mai Salvo? Lo sognerò ancora? Ed è giusto pensare al mio supposto amore, alla mia felicità, quando la persona che mi ha sempre aiutato e considerato, non c’è più, è morta? Sono così egoista e cattiva? Non lo so. Non ho più la forza neanche di pensare”
Madam l’osservò mentre si asciugava le lacrime.
“Un’amicizia è un amore minore, non può finire a meno che uno dei due non tradisca, e, per quanto hai detto, nessuno di voi due ha tradito. Chi amiamo non muore mai dentro di noi. Cercala nei tuoi pensieri, nei tuoi ricordi, lei ti risponderà”
Prese una carta che insieme ad altre aveva disposto sulla scrivania.
“Questa è una carta che per te esce sempre: l’Appeso. Può sembrare una brutta carta, analogo all’arcano dell’impiccato delle carte siciliane ma ha un significato diverso. L’Appeso è attaccato da una gamba e vede il mondo dal basso all’alto, vuol dire “vedere le cose in modo diverso”. Guarda il tuo costoso orologio: che ora è?”
Silvia lo guardò e restò stupita
“Segna ancora le dieci e trenta…- Portò l’orologio vicino all’orecchio - e non è rotto. Eppure è più di mezzora che parlo”
“Guarda le cose in modo diverso. Qui il tempo scorre in modo impercettibile e non domina la realtà in cui siamo. Abbiamo il tempo che serve per parlare. Ora dimmi, nei tuoi sogni hai visitato posti che conoscevi?”
“No, erano tutti posti dove Salvo mi portava”
“E quando eri nel tuo negozio, era arredato?”
“Non ricordo, non credo, dentro era buio, solo fuori c’era luce”
“E tutto questo cosa vuol dire?”
“Non capisco”
“quello non era un tuo sogno, ma quello di Salvo. Tu eri presente perché lui ti desidera moltissimo ed è per questo che ti sogna”
“Ma questo vuol dire che Salvo esiste!”
“Sicuramente”
“E perché non mi ha sognato più?”
“Perché è successo qualcosa che lo ha riportato alla realtà. Questo può non essere un male, l’obbliga a incontrarti”
“Vuol dire che mi verrà a cercare?”
“Sicuramente. Condividere i sogni è qualcosa che capita solo alle anime affini, quelle in cui l’amore è una forza indissolubile perché è la loro stessa vita. Capita quando in altre vite, o in altre forme, ci si è amati moltissimo e la morte non può cancellare l’amore avuto. Voi siete predestinati a ritrovarvi e ad amarvi ancora perché siete come una unica vita divisa in due parti che si cercano, per tornare ad essere quell’unica vita da cui derivano, quell’ unico essere che sono. Ora però veniamo alla seconda carta: l’Arcano senza nome. Non spaventarti, non è il male, ma è il cambiamento, il lasciare una vita per un'altra. Se vuoi Salvo, dovrai fare una scelta importante. Una scelta non semplice, una rivoluzione.”
“Oh mio Dio, sono sempre stata un eterna indecisa”
“e poi c’ è un'altra carta che le carte siciliane non hanno: il Diavolo, la carta della passione sensuale, della lussuria! Con ai piedi, legati dalle catene, due amanti”
“Ma io non sono una che vive di sesso?”
“Il sesso non è un fine, è un mezzo e per due anime come le vostre, per cui l’eternità ha già scritto che si ameranno per sempre, il sesso è un modo per riunirvi. Ora ricordati dell’Appeso, vedi le cose da un altro punto di vista: chi è Salvo?”
“Un bel ragazzo!”
Madam sorrise
“No, non in quel senso, perché lo hai chiamato Salvo?”
Restò qualche secondo in silenzio
“Salvo era un bambino che veniva con me all’asilo. Giocavamo sempre insieme così che le maestre alla fine dicevano che eravamo due ziti. Mi voleva molto bene: al mio arrivo mi abbracciava e mi baciava. Lo stesso faceva quando uscivamo. L’anno dopo non venne più all’asilo e a me restò sempre questo senso di vuoto di qualcuno che mi amava e che poi è scomparso. Forse per questo, quando non sognavo più Salvo, mi è venuta l’angoscia Lo stesso mi è successo alle superiori, con un altro Salvo, l’ho incontrato, ci siamo amati e poi l’ho perso, e con l’ultimo mio innamorato di Catania. Alla fine,  mia madre chiamava ogni ragazzo che mi piaceva “Salvo” e questo nome mi è rimasto come sinonimo dell’amore.”
“Per te è sinonimo di amore assoluto e perfetto: questo era nei tuoi sogni chi amavi, ed era per questo che anche tu l’amavi. Salvo non è solo un nome ma l’idea stessa di amore che hai dentro di te. Salvo è quanto unisce le vostre due anime che si cercano e si attirano. Il ragazzo dei sogni rispettava appieno questa tua idea e non poteva non essere Salvo. Nel momento del cambiamento non giudicare la persona, giudica il suo amore perché ognuno di noi può mostrarsi come non è, ma non riusciamo mai a non essere per com’è il nostro amore. La lussuria con il piacere che promette, è una droga, non le interessa la verità, vive di immaginazione, di fantasie da rubare. L’amore invece conosce la verità senza inganni, rivela le bugie, perché l’amore è il seme della fiducia, del credere in una persona, o in un Dio:  sarà lui che ti indicherà cosa fare! Credi in lui! Non esitare: essere amati ed amare è la luce della vita”
“Vuol dire che lo incontrerò”
“Si ed anche molto presto e fai tesoro di quanto ti ha mostrato nei suoi sogni. Ora puoi andare: il tempo deve tornare a scorrere perché il tuo destino si compia. “
Uscì dal Palazzo dei Morti frastornata. Quelli che pensava i suoi sogni erano in verità quelli di Salvo. Lei era un’intrusa che aveva approfittato dell’amore di uno sconosciuto per sentirsi amata. Ma non erano sconosciuti, si amavano già prima che il loro tempo iniziasse. Tutto questo, le sembrava naturale, normale, e la prova era nei sogni che aveva fatto. Quanto l’amava Salvo per sognarla ogni sera per un mese? Quanto aveva bisogno di lei per non stancarsi mai di cercarla ogni notte e di avvolgerla dentro i suoi sogni per darle l’amore che provava. Eppure, di tutto quell’amore che anche  lei aveva provato, lui non ne sapeva nulla. Non conosceva la felicità che provava nel vederlo, la gioia che sentiva quando la portava in giro, il gusto dei loro baci all’ombra di una barca al mare, il sapore di sale della sua pelle dopo i tuffi in acqua, lo splendore del suo corpo che il sole al tramonto colorava d’oro. Tutto questo e mille altre cose che le mancavano e che avrebbe voluto riavere, l’amore puro chiamato Salvo, ancora non le sapeva.
E cosa volevano dire quei tre orribili Tarocchi? Olga le avrebbe spiegato tutto perché lei queste cose le aveva studiate e sapeva come ogni anima, pur nella sua unicità seguiva sempre regole elementari comuni a tutti. Ma Olga ora non c’era più.
Arrivò in chiesa confusa e inquieta. In una panca vide le sue amiche e si accomodò tra di loro
“Dove eri ti abbiamo cercato dovunque?”
“A stare qui mi sono sentita male, avevo bisogno di aria.”
Non dissero altro mentre seguivano la funzione
Silvia si sentì osservata e si girò cercando tra la folla. Molti erano pazienti di Olga, altri conoscenti. Vi era una nutrita pattuglia di bambini e ragazzi a cui Olga aveva portato regali per anni. Tornò a fissare la bara in mogano.
“Olga, c’è anche Salvo – le disse ad un certo punto – sento i suoi occhi su di me.”
La sentì risponderle dentro di se così come aveva detto Madam
“È qui perché non ha messo davanti ai suoi sentimenti il dovere, come hai fatto tu che hai pensato solo a realizzare i sogni dei tuoi genitori senza vivere completamente la tua creatività, la tua vita”
Si mortificò. Era questo quello che le aveva detto quando il suo ultimo zito di Catania, l’ultimo Salvo a cui aveva voluto bene,  l’aveva lasciata pochi anni prima. Fissò ancora Olga
“Olga, hai ragione. Ma cosa devo fare? tu dicevi che se non vi fosse l’amore, la morte sarebbe l’unico evento importante di ogni persona in un mondo di anime sole. Per questo voglio trovare Salvo, non voglio vivere solo per i sogni degli altri o nell’attesa di dover morire. Salvo mi donerà l’eternità, mi darà un motivo per vivere le mie aspirazioni trasformando i miei giorni, in un paradiso, con la sua passione, la sua poesia, il suo fare l’amore. Madam dice che ci siamo sempre amati. Dentro di me sento che è così , che potrò finalmente amare solo Salvo e per sempre”
Quando la cerimonia finì si avviarono verso il carro funebre aspettando che la bara uscisse. La gente riempiva tutta la strada ed incominciò a muoversi attorno al carro ma i bambini, e le loro madri tatuate, avevano circondato il mezzo e non permettevano a nessuno di avvicinarsi. Volevano essere loro a salutare e custodire la loro “Dutturissa” come chiamavano Olga. Quando la bara uscì vi fu un grande applauso mentre la folla incominciò a muoversi per avvicinarsi alla barra e salutarla,  ma le madri dei bambini, ed i loro compagni, la spinsero indietro, in malo modo. Nessuno avrebbe potuto vincere il rispetto che volevano mostrare ad Olga scortandola fino all’ultima dimora. Nell’ondeggiare della folla Silvia venne spinta indietro e perse ogni contatto con le amiche, preoccupata com’era di non cadere e di non farsi travolgere. Indietreggiava con la borsa in spalla stretta da un braccio e l’altro proteso all’indietro per evitare di finire contro una macchina. Sentì un dito che sfiorava le sue dita.
“Salvo”
Si disse con un tuffo al cuore. Era lo stesso dito che in sogno l’aveva sfiorata quando aveva incontrato Salvo. Lo strinse e senza vedere afferrò poi la mano stringendola. Si sentì tirare indietro mentre qualcuno spostava la gente dietro di lei per farla passare nel mezzo del vociare e delle grida. Si girò per vedere chi la stesse portando via e vide di schiena una figura alta, con le spalle larghe, una chioma fatta di ricci e vestita con una tuta sportiva. Seguì la figura fino al marciapiede sul lato opposto della strada dove la folla era diradata. Arrivata si voltò a veder partire Olga mentre la sua mano stringeva forte quella di Salvo che in quel momento non vedeva. Il carro funebre si mosse e tutti i bambini incominciarono a lanciargli fiori. Erano rose bianche, quelle che Olga preferiva. Sentì una goccia sulla sua mano. La guardò, era una lacrima. Salvo stava piangendo.
“Non piangere, Olga diceva che aveva scelto il suo lavoro per non far più piangere nessuno”
“Le lacrime portano via il dolore più velocemente del tempo”
“Solo Salvo può dire queste frasi.”
Si voltò felice per poterlo finalmente rivedere.
Restò senza parole
I capelli erano quelli di Salvo, come gli occhi intensi, le labbra carnose i due nei sotto il labbro e lungo la guancia, ma il suo corpo era quello di una donna. Un corpo asciutto, tonico, con le spalle larghe e una tuta aperta da cui spuntava una maglietta bianca a disegnare un seno presente ma non importante. Guardò stupita quel corpo che le sembrava noto, conosciuto in ogni sua parte eppure estraneo, alieno. Ecco quale era il senso delle tre carte. Un'altra prospettiva, un cambiamento, una invincibile passione.
“Mi chiamo Santina, piacere di conoscerti signora Sutera.”
Sorrise.
Era il sorriso di Salvo, bello come il sole e gli occhi ancora umidi di lacrime erano due perle nere.
Le venne voglia di abbracciare quel corpo e baciare quelle labbra ritrovate anche se le sembrava un peccato mortale, qualcosa di osceno e sporco,  da non fare assolutamente.
Ma lei era Salvo, lo sentiva.  Era l’amore perfetto che aveva sognato ed era venuto a cercarla,  perché era il suo Salvo e non poteva giudicarlo con gli occhi di sempre, doveva ritrovarlo con l’amore che aveva dentro di se, come diceva Madam.
“Ah piacere”
disse con un filo di voce.
“Ti senti bene? Mi sembri come spaventata.”
Disse Salvo preoccupato.
“Eh che la morte di Olga mi ha scioccato  – pensò velocemente e decise che doveva sapere di più – perché non ci sediamo al bar e ci conosciamo meglio? Devo bere un the, mi sento mancare. Vieni”
E se la tiro dietro stringendo ancora la sua mano
Salvo la guardò e sorrise andandole dietro
“Dobbiamo per forza tenerci per mano?”
“Ho paura di perderti – disse con il suo tono preoccupato voltandosi a guardarla negli occhi – ho bisogno di te.”
gli occhi neri di Salvo la guardavano, persi di piacere nell’azzurro dei suoi. Sull’estremità della sua bocca apparve quello che apparentemente era un ghigno, mentre lei riconobbe il modo con cui Salvo dimostrava la sua gioia
“Anch’io”
commentò semplicemente Salvo
E lei senti la sua mano stringere più forte.
“Allora dimmi cosa fai nella vita?”
“Niente lavoro in un supermercato e gioco a basket in una squadra di Barcellona Pozzo di Gotto.”
“Ah in quale? Una volta ci hanno proposto di sponsorizzarne una”
“Nell’Atlas Pozzo, siamo primi in classifica”
“No non la conosco e in che ruolo gioco”
“Sono il playmaker e il capitano”
“Davvero? – fece con stupore esagerato e sedendosi ad un tavolino di un bar vicino la chiesa – è una grossa responsabilità e come mai conoscevi Olga?”
“Ero una sua paziente”
“E per caso c’eri anche tu alla raccolta dei giochi.”
Chiese mentre indicava al cameriere due the
“Si Olga mi ha chiesto di partecipare all’evento per socializzare, perché a stare sempre in campo avrei perso il contatto con la realtà”
“Mi sembrava di ricordarti”
“Bhe sono venuta diverse volte a chiederti cosa volevi bere”
Silvia la guardò attentamente. Era vero. Ora si ricordava che le girava intorno con una falsa indifferenza. Pensava che volesse informazioni su i suoi abiti da sposa che, chi indossa una tuta sportiva non poteva sicuramente comprare. L’aveva però colpita per quel suo corpo androgino e quel sorriso quasi di sfida, eppure puro ed innocente.
L’osservò meglio
“Si mi ricordo, ti avevo detto la prima volta che non bevevo, ma tu sei tornata portandomi un aranciata”
“volevo vederti da vicino e starti accanto”
Fece sporgendosi in avanti sul tavolino ed osservando i suoi lunghi capelli biondi e la pelle curata e bianchissima. Aspetto che il cameriere se ne andasse
“Perché eri in cura da Olga?”
Sbuffo e tornò indietro a sdraiarsi sulla spalliera della sedia
“Un idea del mio allenatore per risolvere dei conflitti caratteriali con qualche avversario sportivo”
La guardò da sopra la tazza di the
“Posso chiederti che conflitti?”
“Quando si è in partita, qualcuno gioca duro per intimorirti e fare quello che vuole. Quando le avversarie facevano il gioco duro con le mie compagne io reagivo come un lupo capo branco, punivo chi aveva fatto del male alle mie compagne. Gli arbitri mi espellevano e noi perdevamo. Il mister mi ha mandato da Olga per controllare il mio carattere ed evitare di rompere nasi e denti appena qualcuno giocava con troppo agonismo. Lei ha lavorato molto su di me e mi ha fatto capire che la logica del capo branco deve essere adattata al contesto in cui il branco si muove. Ma mi ha fatto anche capire chi sono, perché sono sempre stata una dominante, competitiva, irregolare in campo e nella vita. Le devo molto. Da quando ho incominciato a parlarle sono cambiata.”
Silvia finì di bere lentamente e mentre metteva giù la tazza,  chiese a bassa voce
“Quando dici “irregolare nella vita”? Vuoi dire che giri attorno alle signore per conoscerle”
Si fece seria
“intendo dire che sono cresciuta per strada imparando a difendermi e a sopravvivere. Intendo dire che ho le mie regole e che seguo solo quelle. Quello a cui alludi  è che sono omosessuale, e in questo non trovo nulla di irregolare, io lo sono e per me è una cosa normale”
“Ed era per questo che mi stavi attorno?”
“Si, tra tutte quelle mummie eri l’unica che brillava di luce propria”
“Ah, ero la più bella del reparto di geriatria: bel complimento”
sorrise
“no, sai bene che non volevo dire questo. Quando i miei occhi hanno incontrato i tuoi è stato come quando ho fatto il canestro all’ultimo secondo nella partita che abbiamo vinto per un solo punto per il passaggio di categoria. Ho sentito lo stesso brivido, la stessa gioia immensa, la stessa forza e sono rimasta senza parole. Prima di te l’amore era solo una delle tante frasi delle   canzoni o delle poesie, un sinonimo di sesso noioso e spesso ipocrita. Il ragazzo che avevo,  mi chiamava sempre “amore”. Però quando gli ho detto che lo lasciavo perché preferivo le ragazze è passato dall’amore alla violenza dicendo che gli facevo fare una brutta figura. Per fortuna so come difendermi, altrimenti forse non sarei più qui, ma da allora con l’amore avevo chiuso. Con le mie partner occasionali, si fa come per le partire: si gioca, ci si diverte, poi, si vince o si perde, ognuno a casa sua. Con te però è stato tutto diverso, già dall’inizio. Ti osservavo durante la festa ed era come se ti avessi sempre conosciuta. Come se ti sapessi in ogni minima cosa. Come ridevi, come parlavi, come giocavi con i bambini o ascoltavi le loro madri parlarti in dialetto stretto. Eri sempre a posto, sempre perfetta, sempre bellissima. Guardavo i tuoi capelli, le tue mani, il modo come sorridevi e mi sentivo senza forze, senza voglia di pensare. Olga mi ha spiegato che era l’effetto dell’amore …. perché in quel momento stesso in cui ti ho visto, ho incominciato ad amarti”
Si fermò a guardare la tazza del the.
Bevve un sorso e guardò Silvia con l’aria di chi voleva capire che effetto aveva fatto quello  che aveva detto.
“E da allora ti fai viva adesso? Un gran sentimento vedo”
Salvo si fece seria
“No, ero impegnata per delle gare in Sicilia e fuori. Però ti ho sognato moltissimo”
“A si? E cosa facevamo nei tuoi sogni”
“Di tutto , andavamo in giro, vedevamo posti e cose del genere. La prima volta andavamo in giro per Messina, senza fare nulla di particolare, come due ragazze che avevano marinato la scuola. La sera dopo mi sono detta che dovevo baciarti invece d’improvviso, mentre camminavamo per strada,  mi hai preso, schiacciato in un angolo e mi hai baciato. Il tuo corpo che premeva sul mio, la tua lingua che circondava la mia, i tuoi occhi che brillavano dentro di me: è stato il bacio più bello di tutta la mia vita, mi sono svegliata tutta eccitata, ho dovuto fare  cento flessioni per calmarmi e da allora la solitudine ha incominciato a farmi male .”
“allora, nei sogni, … mi amavi”
Salvo si fece serio
“Anche adesso ti amo”
La guardò. Era sincera. Era veramente innamorata, era veramente Salvo.
“Anche adesso mi sogni?”
“No. Ad un certo punto, quando ho avuto un minuto di tranquillità sono andata da Olga a parlagliene”
“E lei?”
“Si è arrabbiata, ha detto che ero rimasta prigioniera dei miei sogni, che volevo fuggire la realtà, che mi ero costruita un mondo alternativo per fare quello che il mio ego voleva. Ma non era così, nei miei sogni eri esattamente come sei qui adesso, non ti inventavo per come volevo”
“Capisco … e di me Olga, non ti ha detto niente”
“Ha detto che eri sola e che stavi dimenticando cosa era l’amore ma che eri l’unica persona che lei sentiva veramente amica. Mi ha detto che dovevo incontrarti e parlarti di quello che sentivo”
“Ma non sei venuta a parlarmi”
“Sono arrivata fino al tuo negozio e dalla vetrina ti ho visto muoverti attorno a una ragazza con un vestito da sposa che sembrava una balenottera bianca e parlavi a una signora che era un arancino chi pedi. Mi sono immaginata di entrare dentro e dirti che ti amavo. Io, la mia vita l’ho scelta perché è la mia storia, la mia natura, ma non posso imporla a qualcuno. Tu nel negozio eri troppo bella, troppo perfetta, troppo regolare. Eri la partita in cui io non potevo giocare perché non ero all’altezza e nessuno mi aveva insegnato come far girare la palla in quell’ambiente  così diverso dalla baracca dove sono cresciuta. Mi sono detta che eri solo un illusione.  Non pensavo che mi avresti preso per mano per portarmi a farmi parlare di me, così come parlavo con Olga”
Si fece seria
“Dopo che ero venuta a cercarti   volevo dimenticarti …”
Esitò, come se nella furia di dire, avesse preso una strada sbagliata. Restò zitta qualche secondo.
“Sei andata con un'altra?”
Guardò le sue mani senza rispondere
“Comunque non è servito. Non riesco a dimenticarti a non pensarti. Eri diventata la mia droga, quella che mi faceva credere in un mondo migliore, quella che faceva volare o piangere la mia anima. Anche adesso sono felice di vederti qui vicino a me, ma ho le mani che mi tremano dall’emozione che provo. Se mi guardi mi sento la febbre, se non ci sei, distruggerei il mondo per trovarti. – si fermò guardandosi intorno con la bocca semi aperta come se soffocasse – lo vedi? Sto continuando a parlarti pur di restarti vicina, pur di non farti andare via, e non provo nessuna  vergogna ad essere  qui ed elemosinare un po' della tua considerazione”
Cercò di finire il thè per spezzare il nervosismo.
Silvia pensava a come avrebbe reagito se Salvo fosse entrato in negozio. L’avrebbe cacciata via. Avrebbe guardato la tuta sportiva, le scarpe da ginnastica, il fatto che era una donna. Non avrebbe giudicato il suo amore, quello con cui, per oltre un mese, anche lei si era nutrita e drogata per fuggire la realtà. Quella realtà in cui contava solo avere la borsetta dello stesso colore delle scarpe e i capelli appena fatti dal parrucchiere. Se Santina era . suo Salvo, lei era il Salvo di Santina e per quanto tutto fosse contro di loro, non sarebbero mai riuscite a lasciarsi o dimenticarsi perché provavano le stesse emozioni.  Perchè se le mani di Salvo tremavano, le sue non erano da meno. Olga, aveva ragione: aveva dimenticato l’amore. Quello vero, quello che trasforma gli attimi in estasi ed un corpo in un paradiso, quello che ferma il tempo e ti sazia di vita. I tre tarocchi avevano ormai mostrato il loro domino sulla casualità umana, ora toccava al suo libero arbitrio fare la sua scelta, se mettere al passato tutte le notti d’amore che aveva avuto e navigare verso il nulla che si era divorato Olga, o vedere tutto differentemente, rinascere con una ragazza, non per legarsi nel semplice piacere, ma per amore. Perché lei, a quel Salvo che aveva sognato, con la sua giovinezza, la sua gentilezza, le sue voglie e le sue mani calde che scivolavano sul suo corpo maturo, lei, la signora attempata di bell’aspetto, a Salvo, quel ragazzo atletico, poetico, ora determinato ed ora insicuro, lei l’amava veramente, e non perché  metà del suo letto di notte era fredda e aveva bisogno che qualcuno la scaldasse. Piuttosto perché le donava la luce della vita, il miele del tempo, il calore del cuore sul cuore. La vita vera era lui. Tutto il resto era una recita, un cerimoniale vuoto che l’Arcano senza nome osservava ironico dall’alto, come un bambino guarda un formicaio prima di calpestarlo.
Aprì la borsa e prese il suo portafoglio rosso Valentino. Scelse una banconota da venti euro e la mise sul tavolino. Ripose il portafoglio, chiuse la borsetta, si alzò e chiuse il soprabito. Mise la borsetta al braccio sinistro, si sistemò i capelli e guardò Salvo.
Salvo l’osservava stupito per tutto quel movimento improvviso.
Silvia allungò la mano destra verso Salvo come a salutarla e lei la guardò come se con essa fosse arrivata una condanna a morte
“Dai, andiamo!”
Le disse invece e Salvo la guardò sorpresa prese la sua mano, si alzò e la seguì.
“Hai una bella struttura ossea, hai mai pensato di fare la modella? Sei alta e slanciata, con le spalle larghe, il seno giusto, faresti un figurone con i vestiti lunghi a tubino. Gli abiti da sposa a tubo non vanno! troppo aderenti, si vede la pancia, il sedere e non tutte ne hanno il coraggio. Ma su di te sarebbero perfetti.”
Guardò la mano di Salvo stretta alla sua
“Però devi sistemarti queste unghie, le hai rovinate tutte”
“Lavorando e giocando è inutile curarle”
“No, devi fare qualcosa, hai mani grandi, da uomo, devi ingentilirle, aggraziarle un po'… vieni”
Concluse facendola entrare nel portone di un vecchio palazzo
“Ciao Josè – fece passando davanti alla guardiola del custode, e continuò sottovoce – In realtà non si chiama Josè ma ha un nome impronunciabile. Però è una brava persona.”
Si fermò davanti ad un vecchio ascensore e premette il bottone di richiamo. Si voltò verso Salvo e la vide imbronciata
“Ti ho detto che ti ho sognata per un mese, che ti amo, che non riesco a levarti dalla testa e tu mi parli di unghie, di Josè e di stronzate simili. Perché ho la sensazione che non mi ascolti?  - si guardò intorno – e qui dove siamo?”
Chiese incazzata
“Stiamo salendo a casa mia”
Il suo volto si fece ancora più scuro
“Se è per prendere un altro thè o vendermi un abito o mettere una storia su Instagram, lascia stare.  Non sono venuta a cercarti, per diventare un ricordo inutile. Ho detto che ti amo, forse non capisci o non vuoi capire o è inutile che tu capisca?”
E, arrabbiata, lascio la sua mano.
Silvia guardò i suoi occhi furiosi e pensò che lei era così, una leonessa sempre pronta a colpire per nascondere la sua anima da agnello e soprattutto notò che arrabbiata, così com’era,  era bellissima e questa scoperta la sconvolse perché adesso non ci trovava nulla di male, anzi...
La guardò cercando nei suoi occhi quella rabbia che la faceva brillare come una stella
“L’amore non si elemosina, si conquista. Devi sedurmi, affascinarmi, bruciarmi con la tua passione. Oppure ti sedurrò io, ti riempirò di promesse per farti sognare e di tradimenti per umiliarti e farmi riconquistare. –  sorrise perché pensò che certe cose del cuore non possono essere spiegate solo a parole -  La nostra partita è già iniziata e tu non te ne sei neanche accorta”
La strinse lentamente a se, e la baciò. Intensamente, vogliosamente, schiacciando contro la griglia dell’ascensore il suo corpo atletico con il suo di donna matura, perché lo sentisse e lo desiderasse, perché si ricordasse quel primo bacio che si erano date in sogno e capisse che era tempo di vivere la loro realtà, non quella dei sogni, ne quella del mondo.
Stacco le labbra e apri gli occhi fissando le labbra umide di Salvo
“ma con me la partita non durerà una notte, e non sarà  per soddisfare un capriccio o una curiosità  come con le altre. ”
Si stacco da lei prese un fazzolettino di carta e levò il rossetto lasciato sulle sue labbra .
“Io non so come si ama una donna, ma sono una donna e voglio essere sedotta con parole dolci e baci appassionati e ti sedurrò con una peccaminosa passione e una bruciante innocenza come scrivono i poeti perché il nostro amore sarà poesia, solo banale ma bellissima poesia. – si fermò guardandola negli occhi e con le dita le sfiorò le labbra quasi a  voler accarezzare tutti i baci che quelle labbra le avrebbero dato - Se mi hai sognato, se ti ho sognato, ora non conta più niente.  C’è solo l’adesso, questo eterno “adesso”  che si chiama amore e che dobbiamo vivere  sinceramente, insieme”
Mise il fazzoletto in tasca e, presa nuovamente la mano di Salvo, entrò in ascensore.
L’ascensore era stretto ed erano attaccate l’una con l’altra. Salvo la guardava cercando di capire come d’improvviso l’avesse travolta con la sua passione, tanto che  la sua anima di guerriera si sentiva chiamata alla battaglia che più preferiva, mentre si sentiva bruciare il corpo ed i suoi desideri, le sue voglie urlavano dentro le gabbie della decenza a pretendere ancora, e di più
“Sei più pazza di me che mi faccio portare mano nella mano come se fossi un aquilone fatto volare da una bambina”
“Non ti preoccupare, è un effetto collaterale dell’amore.”
Rispose Silvia con non curanza guardandola dritta negli occhi.
Salvo le sbottono il soprabito mise le sue braccia intorno ai suoi fianchi, stringendola e guardandola negli occhi.
“Ti amo, perché se sono un aquilone, tu sei l’azzurro in cui volo, perché con il tuo cinguettare di parole, sai spegnere le mie ansie, perché  riempi di gioia ogni vuoto della mia vita. Perché ti ho sognata così e tu  così sei: passione, saggezza, eleganza e bellezza”
la baciò di nuovo, semplicemente, cercando anche in quel bacio il profumo, il sapore, l’ebrezza del suo corpo.
“Stai solo amando una donna più vecchia, più ricca e più capricciosa di te…”
“… E più elegante, più affascinante, capace di parlare alla mia anima con semplicità e naturalezza. -  la guardò negli occhi stupita che dentro di loro vi fosse tutto il suo universo -
Tu dai un senso alla parola amore.”
Arrivarono al piano e Silvia usci dall’ascensore tirandosi dietro Salvo, così come lei aveva detto: come una bambina che trascina nell’azzurro del cielo un aquilone.
“Levati le scarpe “
Le disse una volta entrata a casa.
“Questi sono tutti tappeti persiani antichi. Questo è un kermanshah, quello è un Isfahan, costano moltissimo. Ecco, questo è il salotto, i mobili vengono da una villa francese dell’800 tengo le persiane semichiuse perché il sole potrebbe rovinarli. Il tappeto è un Kashan di inizio secolo, i quadri sono di alcuni amici pittori, qui vedi ci sono le foto della mia vita. Questa è una foto della mia classe alle superiori. C’è Olga e le mie amiche. Questo qui è … Salvo, il mio primo amore, ci volevamo bene. Poi è andato a studiare a Milano, io lavoravo già nell’ atelier di mia madre. Ci siamo un po' persi e quando mi hanno detto che si era fidanzato, ho pianto tutto il giorno”
Guardò la foto come se le parlasse. Salvo gliela prese delicatamente dalle mani e  facendo attenzione,  l’adagiò al suo posto sulla tovaglia in pizzo del tavolino.
Silvia la guardò
“Erano altri giorni, ormai sono passati, non ci riguardano più. Ora conta l’eterno “adesso” di cui mi hai parlato – le spiegò Salvo cercano nei suoi occhi quel lampo di tristezza che aveva attraversato la sua anima  –  io, non ti farò piangere mai, te lo prometto. Mai!”
E le baciò la mano con cui  la stava portando dentro i fermo-immagine della sua vita.
Silvia  guardò ogni dettaglio del suo volto come se riassumesse tutte la bellezza con cui si era circondata durante tutta la sua vita
“ Lo so, tu sei l’amore perfetto, e non puoi dare ne lacrime ne dolore – disse con un filo di voce, poi continuò con la voce indebolita dall’emozione - queste sono le foto che ho fatto con i vari stilisti, in questa in particolare c’è la firma di Domenico Dolce, che mi ringrazia per aver fatto ricamare dalle mie ricamatrici  un loro abito. Qui ci sono i miei nipoti, non sono bellissimi? Lei poi assomiglia a me da piccola. Vieni”
Salvo la guardava, complice in quell’intimo denudarsi da ogni difesa, di ogni convenzione per rivelarsi a lei per com’era semplicemente,  serenamente.
“Questo il mio studio. Qui disegno, creo i vari abiti. Guarda questo bozzetto: è un abito lungo che a te starebbe benissimo, promettimi che se lo faccio lo indosserai. Sarai uno splendore magari aggiustiamo i capelli che sembra ti sei pettinata con i mortaretti. A vederti mi vengono in mente nuovi modelli da fare – la guardò mentre la faceva ruotare su se stessa – per te disegnerei ogni giorno un abito diverso, è come se tu fossi la primavera della mia creatività. Guarda quest’altro, l’ho disegnato per una principessa austriaca che si sposerà a Palermo tu lo renderesti ancora più bello. Di qua si va nella camera da letto, vieni. Ho unito due stanze, volevo stare comoda. I mobili vengono da una villa a Como. Aiutami a levarmi la collana per favore, ecco qui sul comò, guarda, questa è la foto del matrimonio di mamma. Aspetta che metto qui gli orecchini. L’abito l’ha disegnato papà e lei l’ha ricamato. Hai visto che bello?”
Si levò la giacca del tailleur e incominciò a sbottonarsi la camicia avvicinandosi a Salvo. L’abbracciò
“Ora siamo nel centro esatto del mio cuore. Ti ho portato fino al mio mondo mano nella mano, ora tocca al tuo cuore  portare il mio dove il cielo finisce, dove potremo vivere tutti i nostri sogni.”
Salvo la guardò felice negli occhi e fu capace solo di sussurrarle
“Vicino a te, non ho più bisogno di sognare”
e la baciò con la stessa intensità che Silvia le aveva donato mentre aspettavano l’ascensore, poi le sue labbra si spostarono sul suo collo, lasciandole una scia di piacere. Le sue mani grandi e ruvide diventarono di velluto, violarono la sua camicia e aggirarono la sottoveste per raggiungere la sua pelle. Un brivido intenso di piacere corse lungo tutto il corpo di Silvia e l’obbligò a chiudere gli occhi.
Apri gli occhi e osservò i riccioli di Salvo. La sua testa era appoggiata sul suo petto e il suo corpo nudo stringeva il suo quasi fosse un naufrago attaccato ad un relitto in mezzo al mare. La stanza era illuminata dalla piccola abbaju del comodino accanto al letto mentre nella penombra arrivavano soffusi i rumori che nascevano in strada nel tardo pomeriggio.
“Che ora è”
Chiese Salvo senza aprire gli occhi
“Forse le cinque”
“Devo andare, ho gli allenamenti, ma non ho voglia”
“Sei il capitano, devi dare l’esempio”
Salvo sbuffò annoiata
“Cosa fai dopo gli allenamenti? “
“Faccio la doccia e di solito vado a mangiare una pizza con la squadra”
Silvia si immaginò lei tutta nuda nel mezzo di un harem di donne nude dentro una doccia piccolissima.
“Pensavo che mangiavamo insieme”
Salvo restò qualche secondo in silenzio
“Allora faccio la doccia e vengo”
“Non vuoi farla qui?”
Alzò la testa fissandola negli occhi
“Perché devo fare la doccia qui?”
“Perché la faresti con me: voglio sapere che gusto ha la tua pelle sudata”
rispose con falsa lascivia
Salvo sorrise e  sdraiò di nuovo la chioma sul suo petto.
“Va bene, allora puzzolente e attaccaticcia, finiti gli allenamenti con i vestiti tutti sporchi, vengo qui a farmi la doccia, per calmare la tua gelosia. Ma sarà solo per questa volta. Un capitano deve stare nello spogliatoio”
Nel rispondere, cercò di mostrarsi seccata
Silvia appoggiò la testa sui suoi riccioli chiudendo gli occhi
“non  arrabbiarti se ho paura di perderti, amami e io sarò certa che non  vuoi lasciami ”
Salvo si accoccolò ancor di più tra le sue braccia e restò qualche secondo in silenzio.
“Non te lo sto chiedendo, perché quando mi sei vicina, non so pensare a nient’altro e mi allenerei da schifo, ma se ti chiedessi di accompagnarmi agli allenamenti, tu ci verresti?”
“Si, perché se me lo chiedi, vuol dire che per tè è importante”
“Anche se poi tutto il tuo mondo incomincerebbe e pettegolare?”
“Tu chi ami? Me o tutto il mio mondo?”
“ lo amo e amerò sempre solo te”
“allora tu vieni prima del mio mondo e devo preoccuparmi solo di quello che ti potrebbe rendere felice”
Restò in silenzio accarezzando il braccio di Silvia fino a raggiungere la sua mano e a intrecciare le dita con le sue.
“Posso dormire qui stanotte?”
“Devi!”
penso Silvia dentro di se
“Decidi tu, io oggi ho già deciso tante cose per noi due”
Rispose con voce stanca ed attendendo con ansia nascosta la sua reazione.
Salvo restò immobile e in silenzio, come se la decisione, per un cane sciolto come lui, abituato ai soli rapporti provvisori, fosse veramente difficile.
“Allora passo da casa e mi prendo un ricambio”
Restò ancora in silenzio
“Ogni notte senza di te era un incubo: dove non ci sei tu, inizia la solitudine, quella cattiva ed io mi perdo in lei come se fossi in un deserto e faccio solo minchiate”
alzò la testa e la guardò felice
“Grazie”
“Per cosa?”
“Per la tua saggezza e per tutto il tuo amore”
E la baciò ancora, delicatamente, come se ancora fosse il loro primo ed unico bacio.
Silvia cercò di far durare quel bacio più a lungo che poteva, perché, nei sogni e nella realtà, non era mai stata baciata cosi. Nei sogni e nella realtà nessuno le aveva mai detto grazie per l’amore che dava e che fino ad allora tutti avevano preso per scontato e dovuto. Fu felice di aver ritrovato finalmente, dopo  chissà quante altre vite in cui si erano cercate,  l’amore di Salvo.
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canesenzafissadimora · 5 months
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Chiedo perdono, ma a vent’anni con le scarpe da tennis nuove e l’arroganza di chi sa che in quel punto esatto non passerà mai più, ho sognato anch’io un figlio maschio. Nel sogno era scuro di capelli e lo davo alla luce faticosamente, ché a vent’anni i drammi sono tutti desiderabili, il dolore è un belletto vitale che regala fascino, e le lacrime lo spalmano sulle guance rendendoti fatale come una Turandot.
Nella mia testa quel parto scenografico è avvenuto mille volte, e la sofferenza era una forma di eleganza, la sfumatura più elevata di una maternità verace.
Non c’era un uomo a far da padre, non ne serve uno per partorire con dolore.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, l’unico padre pronunciabile era il Padre Nostro, pregato con la fiducia incosciente di chi ancora non si è sentito chiedere niente da sacrificare.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, io credevo di essere nata con una sola cosa intera per le mani: l’istinto materno, la vocazione all’essere ventre, come le brocche d’olio in magazzino.
Nel mondo in frantumi dei miei vent’anni, non dovevo cercare alcun perché all’esistere, mi sarebbe bastato trovare un per chi. Sposa di qualcuno, madre di chiunque, io non sapevo cosa fosse la vocazione ad essere me.
Ma quando i vent’anni passano, un figlio smette di essere materiale da sogno, e diventa un atto sovversivo. Dopo i trent’anni siamo tutti dei sopravvissuti, e i figli dei sopravvissuti sono gravidanze a rischio anche quando non li fai, anche quando li pensi e basta, perché non c’è pensiero che possa ancora dirsi innocente. Quando si comprende che orizzonte è solo un altro nome per chiamare il limite, ogni possibilità diventa rischiosa tensione all’utopia.
A quello stadio, se ancora figlio deve essere, non può più essere maschio.
Sarà femmina, e non avrà occhi facili. Vorrà sapere.
Seduta sulle mie ginocchia, mi chiederà chi è e chi siamo, e le mie risposte non uccideranno le sue domande. Perché non le venga la malattia dei figli unici, credersi la sola misura di se stessi, partorirò per lei i ricordi del futuro e le profezie del passato, in un tempo senza scarti, dove poter già essere quel che saremo. Mia figlia diventerà ricordo prima di essere progetto, e accoglierà il presente come fosse un seme ricevuto.
Non si addormenterà con i cartoni animati, no. Io le canterò una ninna nanna per stare sveglia, una ninna nanna per non chiudere gli occhi, perché abbiamo già dormito tanto e troppo, mentre altri plasmavano i nostri sogni in incubi di realtà.
Michela Murgia
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garland-on-thy-brow · 10 months
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Saprò d’ogn’alma audace domar l’orgoglio altero: il dilatar l’Impero serbato è al mio valor. Ma lungi, in sì bel giorno, ogni pensier molesto: a respirare in questo m’invita un dolce amor. Felice appien son io vicino a te, ben mio, a te ch’adoro, e sei luce degli occhi miei, vita di questo cor.
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(a Calfurnia) Rasserena i mesti rai, non temere, amata sposa. Più tranquilla ormai riposa: già la sorte è a mio favor. (ad Antonio) Ah, voi date almen conforto del suo affanno al grave eccesso. (Parto… Resto… Obblio me stesso nel lasciarla in tal martir.) (a Calfurnia) T’assicura, ti consola: pochi istanti resti sola. Ritornar poi mi vedrai con più gloria e pien d’onor.
Raffaele Pé recorded two of Caesar's arias from La morte di Cesare!
In case embedded videos do not work, adding direct Youtube links: Saprò d’ogn’alma audace ; Rasserena i mesti rai.
This gives me hope that someone will eventually record the arias of Cassius, Porcia, and Brutus from the same opera, their conspiratorial terzetto con coro, and the temple-at-Lupercalia ensemble.
@lifeisyetfair
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
IL SENTIMENTO STRUGGENTE
La scultura ha il potere di ammaliare forse più della pittura: il tutto tondo sembra cogliere un’essenza nascosta di umano spirito, una presenza viva, una dignità silenziosa. Mi rimarranno per sempre impresse certe figure umanissime scaturite dalla sensibilità di Giovanni Pisano. Ma esiste qualcosa capace di suscitare un sussulto di sentimenti altrettanto memorabile: il monumento funebre a Ilaria del Carretto, realizzato tra il 1406 e il 1408 da Jacopo della Quercia (1374 – 1438), conservato a Lucca, nell’area del transetto nord nella Cattedrale di San Martino. Dall’opera emerge la fragilità del corpo in sonno, reso morbido dal leggero adagiarsi dei panneggi sulle membra colte nell’istante dell’ultimo palpito rimasto miracolosamente integro sullo scalpello dell’artista senese. Mi colloco tra gli ultimi di una lunghissima sequela di ammiratori. Versi sono sorti dall’anima di grandi poeti per raccontare la tenerezza, la commozione, persino l’amore per Ilaria, morta giovanissima nel dare la luce ad una figlia. Eppure, a costo banalizzare e mettermi in fila tra modesti nessuno, non posso fare a meno di lasciare in queste pagine il segno di quella fugace percezione. Promana, da questa scultura, un’emozione antica, antichissima, l’unica che possa attribuire all’arte un riconoscimento incontestabile: l’emozione della memoria. Ilaria del Carretto, nobile genovese andata in sposa a Paolo Guinigi, signore di Lucca, non è più nel mondo dal 1404. Tuttavia, grazie a Jacopo della Quercia ed a colui che volle questo monumento, il consorte innamorato, ella non è scomparsa più di seicento anni fa. Si è trasformata. Lasciando di sé la forma che la natura le ha concesso, quella stessa forma nella quale la condizione umana si sostanzia, quella forma ridotta al nulla e che solo l’arte ha il potere di restituire alla relazione con i sensi. Certo, Ilaria non vede, non sente, non è corrotta dal dinamismo vitale. Ma esisterà finché gli uomini e le donne di tutti tempi avranno cura di conservarne l’essenza ormai eterna. L’essenza che è forma ma è anche spirito. Che è possanza dei sentimenti immediatamente manifesti al volgere dello sguardo su quel viso, risparmiato dall’oltraggio che la morte, schiva dal plagiare in una smorfia di doloroso panico, ha accarezzato in un afflato di affettuosa, delicata cura.
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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vefa321 · 2 years
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𝗦𝗲𝗺𝗯𝗿𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗻𝗼𝘁𝘁𝗲, 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶𝗲𝗻𝗲 𝗶𝗹 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗱𝗮𝗹 𝘀𝗼𝗿𝗴𝗲𝗿𝗲.
🍂Il silenzio innanzitutto,
forte e prepotente, interrotto solo dai sospiri del sonno, dal movimento leggero dell'aria che si respira.
La luce, timida e fredda, un pianto bianco velato nel grigio fumo di un blu notte.
🍂Sembra ancora ieri,
Ieri che non rinunce a ricordarsi
A diventare memoria.
🍂I sogni ancora presenti nelle menti dei dormienti
Notte come una luce rimasta accesa sul comodino.
🍂Le stelle nascoste ma sempre pregne di desideri
Notte ancora notte,
come una sposa che tarda ad arrivare, suo strascico fermo sulla navata,
Una via lattea di una nebulosa che nega le promesse.
Sembra un lungo pasto senza pane, un fuoco lento di ciocchi verdi, di legno fresco, di legno ancora vivo.
🍂Notte lunga, notte invadente
Una giornata imbastita col filo logico del tempo, cucita addosso agli eventi, abbottonata su stessa.
🍂Sembra invece di essere,
un giorno di un ottobre profumato di mosto,
Mentre si prega ancora agosto
Intento a bearsi delle proprie vittorie,
Di non spegnere i fuochi di paglia
Di amare l'autunno come un amore senza tempo solo un po' attempato.
Un matrimonio tra l'alba ed il tramonto, tra il filo dell'orizzonte e la tela di una Penelope ancora innamorata.
🍂🍂𝗨𝗻𝗮 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝘁𝗮 𝘁𝗲𝘀𝘀𝘂𝘁𝗮 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗲 𝗹𝗲 𝗯𝘂𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗻𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶.
J.D
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kirstysdreams · 1 month
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thebeautycove · 1 year
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Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti, 1787-93. Parigi Louvre.
Nel corso della sua carriera, Canova affrontò più volte il tema dell’amore, trasfigurandolo nel mito. In particolare, amò la vicenda di Amore e Psiche, alla quale dedicò alcuni gruppi scultorei. Il più celebre presenta le figure dei due amanti giacenti e oggi si trova al Louvre. Il soggetto è tratto da una favola dello scrittore latino Lucio Apuleio (125-170 d.C. circa), che nelle sue Metamorfosi raccontò di come Amore (altro nome con cui è conosciuto Cupido, Eros per i Greci) si fosse perdutamente innamorato della mortale Psiche, una principessa talmente bella da suscitare l’invidia e la gelosia della stessa Venere.
Psiche, legata ad Amore da un appassionato sentimento, aveva l’ordine di non guardare mai in volto il giovane dio, che incontrava soltanto al buio. Ma la donna, spinta dalla sua curiosità, volle invece contemplare l’amato alla luce di una lanterna e per questo fu condannata da Venere a superare alcune prove, tra le quali far visita a Proserpina negli Inferi, dove cadde in un sonno profondo. Amore, non resistendo al desiderio di riunirsi alla sua amata, la svegliò pungendola con una delle sue saette. Alla fine, Zeus, mosso a compassione, donò a Psiche l’immortalità, concedendole di vivere per sempre accanto ad Amore che la fece sua sposa e dall’unione nacque una figlia, Voluptas, dea del piacere fisico e sensuale.
Il capolavoro di Canova illustra uno dei momenti più lirici del mito. Amore si china a baciare l’adorata Psiche, dopo averla risvegliata dal sonno mortale in cui questa era caduta; la donna alza le braccia, in un gesto elegante e leggero, sfiorando con le dita i capelli dell’amato. Le loro labbra si avvicinano ma non si uniscono. I corpi adolescenziali, dalle forme perfette (secondo un principio di bellezza spirituale e assoluta), si accostano ma non si stringono. Il desiderio, testimoniato dalla mano di Amore che sfiora il seno di Psiche, è palpabile ma non espresso.
Canova ha saputo fermare l’azione dei due amanti in un attimo eternamente sospeso. I due giovani rimangono rapiti uno nella bellezza dell’altra. Tutta la scena è pervasa da un sottilissimo e raffinato erotismo, che contraddice l’idea, assai diffusa, che la scultura neoclassica sia incapace di rappresentare i sentimenti. Che Amore e Psiche si amino e si desiderino è invece qui mostrato in modo chiarissimo: soltanto che Canova non è interessato a rappresentare la passione incontenibile, l’impeto incontrollabile.
Non è questo il compito dell’arte neoclassica che mira ad altro scopo; sicché, il travolgimento dei sensi viene sciolto nella tenerezza, lo slancio amoroso viene sfumato nel perenne incanto della contemplazione. L’opera, insomma, rispetta pienamente i canoni dell’estetica neoclassica e celebra prima di tutto il tema della bellezza ideale.
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aryiae · 11 months
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Tramonto. Socchiudo gli occhi. Al confine tra il cielo ed il mondo, un’armoniosa e calda luce sposa i girasoli al loro sole*
Aryiae
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stillucestore · 8 months
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Taraxacum 88, il lampadario che rivoluziona il classico chandelier.
Un lampadario unico nel suo genere, nato dall'estro dei Fratelli Castiglioni. La sua struttura è composta da 20 triangoli equilateri, interconnessi per formare un icosaedro, la forma platonica più vicina a una sfera.
La luce è diffusa uniformemente in tutto l'ambiente, creando un'atmosfera calda e accogliente. Taraxacum 88 è disponibile in due diverse dimensioni anche a plafone, si sposa perfettamente a qualsiasi tipo di ambiente.
Il design essenziale e moderno di Taraxacum 88 lo rende perfetto per sostituire il classico chandelier ornamentale. Con questo lampadario, i Castiglioni hanno voluto creare un oggetto che fosse allo stesso tempo bello e funzionale.
Con Taraxacum 88 e tutta la collezione Flos puoi aggiungere al tuo carrello HAPPYSTORE - Ultimi giorni! Affrettati 🍀
La Casa comincia dalla Luce.
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goodbearblind · 1 year
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Storie dell’Africa, Soumaila Diawara
"Negli Himba della Namibia la data di nascita di un bambino è fissata non dal momento del suo arrivo al mondo, né dal suo concepimento, ma dal momento in cui il bambino viene pensato dallo spirito di sua madre.
Quando una donna decide di rimanere incinta, si siede sotto un albero e ascolta la natura fino a quando non sente la canzone del bambino che darà alla luce.
Dopo averla sentita, torna dall’uomo che ha scelto per diventare il padre del bambino per insegnargliela.
Quando fanno l’amore, per concepire fisicamente il bambino, cantano quella canzone per poterlo invitare a raggiungere il grembo della madre.
Quando la madre rimane finalmente incinta, insegna il canto di questo bambino alle ostetriche e alle donne adulte del villaggio.
Durante il parto, tutte le donne presenti cantano per accogliere il pargolo.
Man mano che il bambino cresce tutto il villaggio impara la sua canzone. Cosicché appena il piccolo cade, o si fa male, ha sempre qualcuno nelle vicinanze per fargli sentire il calore di casa, cantando per lui.
Stessa cosa quando attraversa i riti di iniziazione con successo e quando si sposa.
Quando, una volta diventato vecchio, è sul letto di morte tutti si riuniscono intorno a lui e gli cantano la sua canzone per l’ultima volta."
#himba #soumailadiawara #namibia
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canesenzafissadimora · 5 months
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Quando farò l’amore con te
avrò la pelle scolpita
come frange d’alabastro
per spargerti luce ebbra.
Quando farò l’amore con te
sarò bellissima nuda
tra le tue mani
e come foglia carezzata dal vento
tremerò plasmata d’amore.
Quando farò l’amore con te
avrò grazie puerili
tra la stupida illusione
come l’abbagliante ingenuità
del primo amore.
Quando farò l’amore con te
sarò ubriaca viva
nel disordine della stanza
come vampa d’agosto
e mio malgrado
avrò un grido nel cuore.
Quando farò l’amore con te
sarò più bella di una sposa
calda
fragile
languida
tenera
ardita
alla sua prima notte di nozze.
Quando farò l’amore con te
stringimi tra le tue braccia
e tutte le stelle di vetro
diverranno fuoco di gioia
e non sarà mai notte.
Dovessi attenderti mille anni
e poi mille
quando farò l’amore con te
sarà la prima volta.
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Lucia Ferrara
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