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#Ma facciamo come se fosse una cosa normale perché siamo dei
gcorvetti · 9 months
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I Lanzichenecchi.
C'è una polemica anche un pò stupida che sta girando sui social e sui giornali con botta e risposta da parte di politici e persone varie, è quella dell'articolo di Alain Elkann (papino di Lapo e John, famiglia Agnelli, occhio) che irritato da adolescenti scrive una lettera a Repubblica e viene pubblicata. Per curiosità sono andato a leggere questa breve lettera, in poche parole nel treno Roma-Foggia il papino si è trovato circondato da adolescenti chiassosi, normale amministrazione se si pensa che in adolescenza si ha tanta di quella energia che stare fermi è una punizione, ma lui si è irritato per la voce alta, per come erano vestiti, per il linguaggio e gli argomenti, ai miei tempi si diceva "matusa" adesso si dice boomer ma il risultato non cambia. L'articolo è in effetti molto snob, da boomer appunto, Sgarbi invece difende il papino, te pareva, dice che ha ragione a lamentarsi, figuriamoci fosse stato lui i 'capre' sarebbero volati per tutto il vagone. A me è capitato in un volo, quindi non in treno dove puoi alzarti e chiedere al capo treno di cambiare posto magari su un altro vagone, in aereo non puoi, ma quel volo era già iniziato male. La donna seduta dietro di me era sul portellone d'emergenza, lo steward gentilmente le chiedeva di porre la borsa nella cappelliera perché per protocollo d'emergenza in quello specifico posto non si poteva tenere nessun oggetto in mano, soprattutto una borsa da donna voluminosa, ma la donna non ne voleva sapere e non parlava inglese ma italiano, non era italiana forse moldava, comunque mi intrometto e dico al tizio che posso tradurre, dopo che gli ho detto che la tizia non avrebbe mai lasciato la borsa, forse ha dei soldi dentro, il tipo un pò inviperito mi dice che non si decolla se la tizia non posa la borsa, al che taglio la testa al toro e dico alla tipa di cambiare di posto così può tenere la borsa, lo dico anche allo steward che mi ringrazia. Una volta in volo e spento il segnale delle cinture una ventina di ragazzi hanno iniziato a fare casino, andare da una parte all'altra del velivolo, gridare e cose che si fanno quando si è in gita. Povero steward e colleghi ho pensato, ogni 5 secondi doveva dire "go to your seat, please", ed è stata l'unica volta che ho visto uno di questi assistenti di volo incazzato e con un sorriso, devono sempre sorridere per contratto, forzatissimo, soprattutto quando sono passati con il carrello delle vivande. Una volta atterrati gli ho detto che dovevano dargli una medaglia per la pazienza, il tizio ha annuito e mi ha ringraziato ancora per lo scambio di posto, figurati gli ho risposto. I ragazzi sono ragazzi, tutti siamo stati adolescenti, tutti abbiamo fatto casino quando eravamo almeno in 3, caro papino Elkann suvvia non ti irritare, lascia che i pargoli ti rompano i coglioni :D ahhahahahhah
Volevo però dire una cosa, a parte gli addetti ai lavori che pubblicizzano i film sui social perché se le persone non vanno al cinema loro non prendono lo stipendio (ho amici/che che lavorano in alcuni cinema di CT) e diciamo che ci può anche stare, ma vi siete amminchiati con sto film di barbie? Ma veramente? Come direbbe il buon Balasso "siete dei mollicci di merda", tutti presi da sta cafonata in rosa, ho visto alcune immagini ed è inguardabile solo la foto di sti pupazzi umani con i capelli finti e l'espressione ebete, ma veramente siete presi così? Altro che papino Elkann, qua ci vorrebbe Stanley o Federico che tornano in vita e vi bruciano mentre siete in coda per vedere quella minchiata, si può definire cinema? Scorsese qualche anno fa disse che i film Marvel non sono cinema e scoppiò una polemica contro di lui che di cinema può dare lezioni. Va bene che si devono fare film per tutti i gusti, ma a me sembra che i gusti si siano ridotti a merdate di film senza nessun concetto dietro, fortuna che non tutti i film sono così e che molti registi ancora facciamo pellicole decenti. Qua, in Estonia, al cinema danno solo merdate commerciali, per guardare un film decente si deve aspettare il pirata di turno che rippa (fa la copia) il dvd e lo mette online, oppure comprare il dvd. Sono snob come Elkann? Non direi, semplicemente mi piacciono i film recitati dagli attori, con una trama decisa e magari intricata, con una regia decente e con un significato che va oltre la pellicola stessa, il cinema in una parola sola, l'arte cinematografica che non è vecchissima come le altre arti ma che ha preso piede proprio per la sua peculiarità di raccontare il mondo attraverso l'obbiettivo. Sono matusa anche io? Boh, però a un Marvel preferisco Mediterraneo, a uno spider man preferisco il Superman di Reeve senza effetti speciali un eroe umano più che alieno.
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Quella cosa che rimane immobile e ineluttabile tra cielo e terra, a Bologna la chiamiamo "la cappa".
Chi ha vissuto abbastanza a lungo in questa città sa bene che il corpo viene temprato nell'umidità più estrema, per poter sfidare agevolmente ogni clima subtropicale con i medi alzati.
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ilmerlomaschio · 3 years
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Bende E Maschere
https://raspberryripples.wordpress.com/2020/10/13/blindfolds-and-masks/
Capisco il fascino delle bende nel sesso. La prima volta che Simon mi ha bendato, è stato entusiasmante. Indossando una benda diventi vulnerabile, stai riponendo più fiducia nel tuo amante.
La benda ha tolto un senso chiave - la vista - aumentando così gli altri sensi. Naturalmente il lato più intenso di questo è stato il tocco. Ho aspettato in trepidazione chiedendomi cosa mi avrebbe fatto Simon. La scia di qualcosa che non riconoscevo lungo la parte anteriore del mio corpo nudo era esilarante. Qualunque cosa fosse, se si sentiva bene. Sapeva che mi stavo divertendo. Lo usava dove sapeva che mi piaceva particolarmente essere toccata, i miei capezzoli e la parte inferiore del mio seno. Lo sentivo accarezzare la mia figa e le mie cosce. Stuzzicava il mio collo e la mia pancia.
Non sapere cosa stava usando ha arricchito l'esperienza. Non so ancora cosa stesse usando, solo che sembrava strutturato come una spugna ma aveva una sensazione a metà tra il tessuto e la gomma. Ha tenuto segreto ciò che stava usando  sulla mia pelle. Ha cambiato lo strumento che stava usando. Ho sentito qualcosa di molto diverso, e lui stava attento a dove lo usava. Sono sensibile al dolore. Quindi era lento e gentile. Penso che fosse una girandola, ma non me l'ha mai confermato.
Mi conosceva bene. Sapeva che non mi piace il dolore. Quindi aveva discusso con me dei morsetti per capezzoli e mi aveva spiegato cosa sarebbe successo. Quando li ha applicati, sapevo a malapena che erano lì. Fu ovviamente quando li tolse che l'afflusso di sangue si sentì come un'agonia. Il dolore lasciò il posto alla sensazione della sua lingua che leccava le mie labbra e il mio clitoride finché non tremavo per l'intenso piacere.
Posso dire dal mio cuore che una benda è un grande aiuto per i preliminari. E le maschere?
Simon possedeva maschere, che potevo vedere là dove le teneva per il gioco erotico. Ma non le ha mai mostrate nel momento della nostra intimità. È stato con Ben che ho indossato una maschera per la prima volta. La prima volta che indossavo una maschera con della lingerie. Ben ha una passione per i giochi di ruolo, che è diventata una passione anche per me. Questo spesso riguarda i costumi, soprattutto per me. Pensa, infermiera birichina, segretaria impertinente, ballerina sbarazzina, cameriera dispettosa, casalinga sexy, gattina stravagante per la maggior parte. Abbiamo provato alcune altre idee ma torniamo ai nostri preferiti il ​​più delle volte. La maggior parte di quei costumi non include una maschera.
Donna, Moda, Adorabile, Sexy, Ragazza
Ma una maschera o un costume, travestirsi, è una grande mezzo per permettere alle fantasie interiori di venire a galla. Trovo che quando indosso una maschera o un costume, sono più consapevole di mettere in scena una performance. Senza la maschera facciamo pure un ottimo sesso, ma più all'interno del nostro rapporto e relazione naturale. Quando indosso una maschera o un costume, divento anche un'altra persona. Possiamo divertirci molto così. A volte la maschera o il costume richiedono che io prenda il comando, che sia il dominante. Potrei comandare a Ben o dargli ordini (che non è quello che facciamo nella vita reale e non è naturale per me).
Preferisco il contrario, preferisco interpretare il sottomesso nel gioco di ruolo. Ben è un uomo così buono. A volte mi piace permettergli di essere un cattivo ragazzo nei giochi di ruolo. A volte indossare la maschera da sola ed essere completamente nuda è il mio modo per segnalargli “ Usami ”. Potrebbe sembrare strano per alcuni. È solo che so che Ben è premuroso e che è sempre attento al modo in cui mi tratta in ogni aspetto della vita. Mi piace molto la psicologia e capisco quando Ben è in ansia per la nostra relazione. Diventa un po' più attento del solito. È più gentile, persino più gentiluomo del normale. A volte voglio fargli sapere che tra noi va tutto bene, che la fiducia è forte, che non mi dispiace che si rilassi. Non ha bisogno di essere sempre perfetto. Può essere rude. Può essere selvaggio. Può usare il mio corpo.
Quando Ben mi guarda in faccia e sorride, diventa tenero, dolce e adorabile. A volte, voglio che si dimentichi per un po' che sono la donna che gli stira le camicie, gli cucina i pasti, pulisce il bagno. Voglio che dimentichi che sono in buoni rapporti con i suoi genitori e sua sorella (non sono in buoni rapporti con suo fratello però). Voglio che dimentichi che l'ho visto di cattivo umore e mi sono lamentata quando ha usato la mia camicetta bianca preferita per asciugare il vino che aveva versato. (Che dovrei aver perdonato e dimenticato, ma ancora non capisco perché abbia deciso di prendere qualcosa dal cesto della biancheria invece di usare panni o strofinacci dalla cucina.)
Se metto una maschera e limito il contatto visivo con lui, sto dicendo: " guarda il mio corpo, desiderami, bramami, divorami ". È un semaforo verde per lui dimenticare per un momento che siamo partner nella vita, un doppio atto solidale, un duo dinamico. Ci sono volte in cui può semplicemente usare il mio corpo per soddisfare il suo desiderio sessuale. Sto bene con quello. Quel lato sfrenato, avido e selvaggio va bene in quel contesto sicuro. Non mi farà perdere il rispetto per l'uomo straordinario che ammiro e rispetto. Può essere un cattivo ragazzo e dimenticare l'intricato legame emotivo tra di noi.
Non mi piace che il lavoro di Ben me lo porti via spesso. Di solito è per un breve periodo. Deve viaggiare molto per lavoro. Quest'anno ci sono stati meno viaggi internazionali per lui, ma appena finita la quarantena deve partire per qualche giorno nel Regno Unito. Non mi unirò a lui perché l'alloggio adatto alle coppie viene organizzato solo quando un progetto dura più di due settimane. Lui e gli altri ragazzi se la caveranno. Non credo che le separazioni siano buone per una relazione. Ho intenzione di qualificare questa affermazione, per due persone con impulsi sessuali molto attivi, la separazione non è una buona idea.
So che i media metteranno regolarmente il sesso davanti a Ben. So anche che è un uomo molto attraente. Ho visto altre donne controllarlo e provare a flirtare con lui, ma allo stesso modo Ben ha visto succedere lo stesso con me. Non vado troppo ninja quando vedo che una donna ha notato che Ben è sexy. Non è colpa sua. Ho solo fatto notare con tatto la mia presenza, “ Piccola, vuoi un'altra birra? “
Ma quando non ci sono, mi piacerebbe credere che Ben abbia il suo modo di disinnescare una donna che sta cercando di flirtare con lui, nello stesso modo in cui faccio capire agli uomini che non sono disponibile. Voglio che Ben sia sicuro di poter venire da me con i suoi desideri e concupiscenze più innati o assurdi. Lo ricompenserò in ogni modo possibile per la sua lealtà ed esclusività nei miei confronti essendo tutto ciò che vuole. Non voglio che sia tentato di rivolgersi a qualcun altro che cerca di sedurlo. Sono pronto a lasciarlo depravare quando lo consuma. È tra me e lui solo.
Quale preferisco: bende o maschera? Penso che direi con gli occhi bendati. Come portatore di una benda, i miei sensi sono intensificati. Il brivido e l'attesa sono qualcosa che amo. Anche a me piacciono le maschere. Mi aiutano a mettere su un personaggio per un gioco di ruolo fantasy che ci permette di mettere momentaneamente da parte il sacro e forte legame di rispetto e apprezzamento reciproci e di essere cattivi, di essere selvaggi. Penso che sia particolarmente importante dare a Ben la possibilità di prendersi una pausa dall'essere un supereroe e lasciarlo essere rude e lussurioso.
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corneliaharris · 3 years
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Saint Valentine's Day.
« Senti ma » inizia mordicchiandosi un po` il labbro e puntando lo sguardo sui suoi anfibi che calpestano la neve « Ceh secondo te è stato strano stare lì in mezzo agli altri? » le pone così quella domanda ma non la guarda ancora in viso. « Tipo che adesso lo sanno tutti tutti » non si sa bene cosa voglia dire con questo, ma sicuramente vuole sapere cosa ne pensa lei, infatti torna pure a voltare un po` la testolina nella sua direzione per osservarla.
Quel “senti ma” la mette forse un po’ in allerta, gli occhi si posano sul profilo dell’altro e il fatto che non la stia guardando la agita un pochettino ma non dice nulla, lasciando che la domanda le venga posta. « Mh, strano… » ripete piano e poi seguono un paio di secondi di silenzio che si concede per articolare una risposta, evidentemente, con scarsi risultati visto che la prima cosa che dice è un « Non lo so » e ora è lei che distoglie lo sguardo. « Cioè io non so nemmeno cosa siamo » visto che non ne hanno mai parlato « Ma non m’interessa se lo sanno gli altri » su questo pare sicura « Anzi non m’interessa proprio degli altri, cioè che lo sappiano o meno… chissene » e quella è la loro filosofia, no? E torna pure ad alzare lo sguardo, cercando quello di Wes perché alla fine gli interessa solo di lui e infatti, dopo un po’ d’esitazione, chiede « Per te è stato strano? » e la voce esce sporcata da un velo di preoccupazione nonostante faccia di tutto per dissimulare.
Se inizialmente non trova tanto il coraggio di guardarla, alla fine il suo silenzio lo costringe a puntare di nuovo gli occhi sul suo viso per vedere la sua reazione. Resta in silenzio e la lascia parlare, i denti impegnati a mordicchiarsi un po` il labbro nervosamente e la mano che stringe un po` di più la sua. A quel "non so nemmeno cosa siano" rimane zitto, perché neanche lui lo sa e forse per ora neanche ci si è interrogato troppo. Ma sono le parole seguenti di Cornelia a fargli tirare un piccolo sospiro di sollievo, mentre al sentire quel "chissene" sul viso torna a spuntare un sorriso. Ancora non parla ma rallenta i passo, allungando l`altra mano per poggiarla sulla guancia altrui. E non risponde ancora neanche a quell`ultima domanda, preferendo allungarsi un po` con il tocco e avvicinare le labbra alle sue per stamparle un altro bacio decisamente meno sbrigativo e leggero rispetto a quello che le ha dato prima. « Chissene » le soffia sulle labbra, perché se a lei non frega nulla degli altri neanche a lui frega niente.
Parla ma l’altro non risponde e la cosa finisce per agitarla ancora di più e solo il sorriso che si allarga sul viso altrui al suo “chissene” finale ha il potere di farla tornare a respirare mentre imita lui, rallentando il passo. Il bacio non era qualcosa che si aspettava di ricevere ma lo accetta ben contenta con la mancina ancora stretta alla mano di lui e la mano destra che risale fino a poggiarsi sul collo altrui. E quel contatto ha il potere di rilassarla e quell’unica parola soffiata sulle sue labbra finisce per farla sorridere. Chissene rimane la loro filosofia.
« E non lo so che cosa siamo, so solo che ci sto bene con te » rivela allontanandosi un po` e alzando le spalle. « Però non come con gli altri » come con i suoi amici « In modo diverso » aggiunge tornando a mordicchiarsi un po` il labbro. « Però sì un po` è stato strano » alla fine risponde anche a quella domanda che aveva lasciato in sospeso. « Ma non per te, capito? » e questo ci tiene a farglielo capire, tornando a sorriderle. « E` che io ste cose non le ho mai fatte » ammette stringendosi un po` nelle spalle.
Gli rimane vicina e lascia che sia lui ad esprimersi, non lo interrompe perché la nota la difficoltà altrui, che alle fine è anche la sua e solo a quel “però non come gli altri” annuisce appena perché lo capisce, non lo sa spiegare ma sa a cosa l’altro sta facendo riferimento, probabilmente, perché prova lo stesso anche lei. E poi, alla fine, arriva anche la risposta alla sua domanda e la fronte si cruccia appena perché strano non è una bella sensazione e si preoccupa. Muove la testa in cenno d’assenso a quella domanda retorica « Lo so, ha senso » e non è ben chiaro se vuole rassicurarlo o se l’abbia capito davvero. « Nemmeno io le ho mai fatte » perché quel poco che ha avuto prima non è paragonabile « Forse è normale sentirsi strani all’inizio » ipotizza « Se vuoi.. » esita appena, distogliendo lo sguardo « quando siamo con gli altri…non so, ci comportiamo normali » ossia non come oggi « Cioè se preferisci » e nella voce non c’è nessuna inflessione strana, gli sta lasciando la scelta. E ancora non torna a guardarlo ma non ha comunque intenzione di allontanarsi.
Però quando si allontana, rimanendo comunque a pochi centimetri da lei, prova anche a rispondere a quella sua domanda. Con tutta la sincerità del mondo e mostrandogli che forse un po` per lui è stato strano. Cerca però di farle capire che quella sensazione di certo non è dovuta a lei, più che altro all`inesperienza che ha. Perché fino a qualche mese fa non si immaginava neanche minimamente di stare così con lei. « Penso di sì » concorda con lei per quanto riguarda il fatto che quella sensazione di stranezza sia dovuta forse al fatto che nessuno dei due sa bene come comportarsi. Però le parole che seguono gli fanno corrucciare un po` la fronte, gli occhi tutti su di lei mentre nota quell`espressione altrui un po` più preoccupata. « No » risponde subito togliendo la mano dall`intreccio con la sua per portare anch`essa sull`altra guancia di lei. Le alza un po` il viso guardandola più serio adesso. « Che significa normali? » chiede forse un po` stranito. « Non voglio fare così » non vuole comportarsi diversamente quando ci sono gli altri. « Se voglio stare con te o ti voglio baciare, lo voglio fare sempre » fa serio, anche con una certa enfasi. « E` stato strano sì, però abbiamo detto chissene degli altri » le ricorda, perché è stata lei la prima a tirare di nuovo fuori la loro filosofia. « Magari domani già non sarà più strano. Ci facciamo l`abitudine » torna a sorriderle, anche se un po` incerto perché quel cambio di umore altrui ora l`ha messo in allerta e ha paura di aver detto qualcosa di sbagliato.
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Ma la reazione dell’altro la stupisce e le iridi tornano sul suo viso dopo quel “no” pronunciato con una certa sicurezza, le palpebre sbatacchiano e le labbra vengono appena schiuse quando anche l’altra mano si poggia sulla sua guancia. Alza lo sguardo e cerca i suoi occhi ma non risponde a quella domanda, non subito. E le parole seguenti hanno il potere di farla sorridere, senza possibilità di controllare quel sorriso « Anch’io. » mormora ancora un po’ stranita da tutto quel discorso « A me non interessa degli altri » glielo ripete « Solo che non volevo ti sentissi a disagio a causa mia » mormora, tentando di spiegare il comportamento di poco prima « Volevo facilitarti le cose, ecco. » un po’ a disagio nel dire tutto quello ma non per questo meno sicura. E sorride anche lei « Ma se a te non importa e a me nemmeno » e sembra sia così « Allora saremo solo noi » qualsiasi cosa siano « E ci abitueremo » perché tanto chissene degli altri, no? Attenderebbe un minimo cenno di riscontro prima di farsi più vicina e sussurrargli davvero vicina alle sue labbra « E comunque ora voglio fare questo » cosa è abbastanza intuibile ma nel caso Wesley avesse bisogno di un aiutino per capire, lei un attimo dopo lo sta già provando a baciare.
Le mani sono entrambe sulle sue guance a tenerle su il viso così da poterla guardare negli occhi mentre ammette che tutto vorrebbe fare tranne che nascondersi. E solo quando la vede tornare a sorridere, si permette di rilassarsi. « No Coco » scuote un po` la testa utilizzando un tono decisamente più morbido. « Non mi fai stare a disagio » ammette sollevando le sopracciglia quasi a voler sottolineare l`assurdità della cosa. « Tutto il contrario se mai » e qua torna un po` a sorridere avvicinando il viso solo per sfiorarle il nasino con il suo. Ma una conclusione alle loro paranoie adolescenziali la trovano e lui torna a sorridere contento mentre prende ad annuire. « Solo noi va bene » perché l`importante è quello. E l`ultima frase gli fa spuntare un sorrisetto più divertito sulle labbra mentre pronuncia un « Che vuoi fare? » fintamente ingenuo. Ma non c`è tanto da rispondere dato che, mentre Cornelia si avvicina, lui fa lo stesso andandole incontro per accettare più che volentieri quel bacio.
Menomale, un attimo dopo, ci pensa Wesley ad essere chiaro e bastano quelle frasi a far sparire il peso che aveva sul petto, facendole anche nascere un sorrisone più rilassato sulle labbra, che si amplia alle precisazioni successive. « Ci credo » quasi in un sussurro « E scusa se ho detto quella cosa, solo che boh » una pausa piccolissima « non sapevo cosa fosse meglio » e poi sorride a quel dolcissimo naso contro naso « Ed è meglio così… » e quelle parole sono leggermente calcate con la voce « Non sono sicura che avrei saputo comportarmi normale » ridacchiano appena perché vabbè, è ovvio che si siano spinti troppo in là per far finta di nulla. Ma basta poco per scacciare le paturnie che entrambi hanno e dopo tutto quel parlare c’è solo una cosa che vuole fare. E no, non glielo anticipa al finto ingenuo Wesley quali sono le sue intenzioni, va invece incontro al suo viso, inclinando appena la testolina, dando finalmente vita a quel bacio particolarmente sentito, a cui concede tutto il tempo del mondo  mentre le mani sono poggiate sulla nuca altrui in un tocco leggero. E quando, per forza di cose, è costretta a separarsi dal ragazzo mormora ancora troppo vicina alle sue labbra « Ora lo sai cosa volevo fare » e sul viso ha il ghignetto furbo di una che la sa lunga mentre le ciglia sfarfallano e gli sorride. Ma un attimo dopo si fa appena appena più seria, allontanandosi un poco da lui « Cioccolata? » perché è quello che serve dopo una chiacchierata a cuore aperto ma ancora non si allontana da lui, né riprende a camminare.
Sorride a quelle scuse scuotendo la testa e lasciandole una carezzina sulla guancia con il pollice. « Così è normale » decreta alla fine perché ormai è abbastanza palese. Lo sanno loro, anche se faticano a dare un nome a tutto ciò, e lo sanno pure i loro amici. Fa il finto tonto poi quando lei ammette di voler fare una cosa, ma poi è il primo ad andarle incontro in quel bacio a cui dedicano tutto il tempo del mondo. Che è giusto così. Quando si allontanano lui fatica a togliersi il sorrisetto dalle labbra e le parole di lei gli fanno subito sbuffare una risatina. Troppo impegnati con le loro paranoie, si sono pure scordati che prima si stavano dirigendo in qualche locale per prendere qualcosa di caldo. Menomale che Cornelia glielo ricorda. « Assolutamente sì » accetta quindi allontanandosi a sua volta ma solo per tornare ad afferrarle una mano così da riprendere quella camminata verso la strada principale di Hogsmeade.
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dominicdarragh · 3 years
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“Non potevamo essere normali?”
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19.12.76, Porticato Interno
D: Gli ci vuole poco per rendersi conto della presenza di qualcuno, anche se non comprende subito di chi si tratta. È il profumo che gli arriva alle narici a fargli accendere una lampadina, lasciandolo con un solo e unico nome nella testa “Merrow”.
M: Le ci vogliono dunque parecchi istanti meditabondi prima di buttare un`occhiata in direzione del resto del porticato, cogliendo solo ora la figura di Nico che sembrava non aspettare altro che un suo sguardo: occhi che si fanno più accesi, sorriso storto che inclina verso il basso la punta della Merlino`s, ed un cenno del capo per incitarlo ad avvicinarsi. «Che hai fatto?» ciao Dom «Dove Gramo hai messo la faccia?» per essere più precisa, mentre smolla la sigaretta tra le labbra e la destra s`allungherebbe per cercare di portargli via un po` di quello sporco dal viso con il pollice delicato, lo sguardo completamente rapito dal proprio gesto.
D: «Che?» ciao anche a te Merrow. «Da nessuna parte» cosa vuoi donna? Lui non è proprio consapevole di avere quelle macchie bianche e blu sul viso, è convinto di averle tolte tutte. Ma poi la ragazza allunga la mano per portarla sul suo volto, lasciandolo un po’ sorpreso di quel gesto, come la prima volta, eppure non si scosta nemmeno di un millimetro, non come la prima volta. Solo nel ritirare l’arto noterebbe il colore rimasto a sporcare la pelle candida di Merrow, e subito la mano andrebbe a sfregare lo stesso punto su cui prima l’altra ha posato le dita, lo sguardo basso e forse anche un po’ imbarazzato. «Dannazione, pensavo di averlo levato tutto. Io e Liu ci siamo messi a colorare dei sassi che ha portato in sala comune, con dei colori commestibili e delle immagini di Natale. Poi c’è la griglia del tris, così potete giocare con i sassi a tris.» È una bella idea no? Notice me senpai. E lo sguardo laterale verrebbe anche ricambiato ad un certo punto, tramite una leggera inclinazione del capo verso di lei… «Tu vai a casa o rimani?» a giocare a tris. Mica a fare altro. 
M: Sta in silenzio, lo ascolta, aggrotta un secondo la fronte e poi mormora «Scusa, ma se sono sassi, che senso ha dipingerli con la roba commestibile? Cioè uno gioca a tris leccando la pietra?» perché no, non sembra essere in grado di capire il processo cognitivo che ha portato quei due Primini a prendere quella scelta. Torna ad inspirare, muove il capo e gli occhi verso il cortile «Non lo so ancora» sentenzia inspirando aria sta volta «Senti, ma a te farebbe piacere tornare a casa per le vacanze? O preferisci rimanere al castello?» occhiata in tralice e viso che resta immobile. 
D: «Ma che ne so io!» perché hanno fatto tutto con la vernice commestibile. «Li ha portati Liusaidh i colori! Però non credo che leccare le pedine fosse nel piano iniziale…» le sopracciglia vanno ad aggrottarsi un poco, pensierose, sulla questione. «Però se vuoi farlo… Tanto il disegno è commestibile.» Scuote anche le spalle socchiudendo gli occhi, restando però posizionato accanto a Merrow; con un’aria fin troppo tranquilla… La questione vacanze di Natale è sempre un po’ scottante per lui. E affrontarla due volte in un giorno ancora peggio. «Mhm… Mi avevano proposto una cosa…» tipo di andare da Brandon. «Però poi a picco. Quindi rimarrò al Castello.» Sia perché lo preferisce, sia perché non ci sarebbe nessuno ad aspettarlo a casa. Ma questo non lo specifica.
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M: Ascolta la cosa dei colori, almeno, questa è l`idea che si può fare Dominic, ma tanto lei continua ad alternare le labbra al filtrino in inspirate più o meno profonde, continuando ad alternare i colori della sigaretta da blu, ad indaco, ad argento, e poi di nuovo bluastro. Sembra esserci un pattern in quella ciclicità, come se fosse il giro d`un pensiero ossessivo: è un tormento, costante, non cosciente, ma che perpetrato a lungo prima o poi raggiunge il disastro sperato «Non è la risposta alla mia domanda. Bastava dire che sarebbe stato meglio qualunque posto, pur di non tornare lì.»
D: Lo sa anche lui che non è una vera e propria risposta, ma magari non voleva rispondere. Magari non voleva dare voce alla sua situazione particolare; la situazione a cui dà voce proprio la Loghain, nemmeno gli leggesse nella mente e nell’anima. «Anche se volessi tornare non sono il benvenuto.»
M: Le parole di Nico le arrivano, e lei ci mette ancora qualche istante prima di trovare la voglia di rispondere con un misero «Hm» gutturale, sbuffando via dell`argenteo fumo, dalle labbra «Volevo farti un regalo.» lo dice così «Ho vinto il premio di Casata del mese d`Ottobre. Cavalcare Abraxas sui Grampians.» dando per scontato che l`altro sappia delle creature magiche in questione «Ma per andarci non posso tornare al castello, ma dovrei tornare a casa a natale.» leggero disgusto sul viso, che dura veramente meno d`un battito di ciglia «Volevo dare a te il mio premio. Oppure portarti con me.» inspira dalla Merlino`s e tace qualche attimo, trattenendo il respiro e rilasciandolo rumorosamente assieme al profumo di mandorla amara «Ma entrambi non vogliamo tornarci, a casa, no?» e non è davvero una domanda, anche perché continua a non guardarlo, preferendo fissare il paesaggio innevato «Perché non sei il benvenuto?» chiede poi, a bruciapelo, in quella domanda che è davvero veloce come una frusta «Perché esisti?» e ridacchierebbe anche, amara, amarissima: fiele in un sorriso troppo giovane. 
D: E sta per rispondere a alla domanda retorica dell’altra, quando viene bloccato dall’ennesima, cruda espressione cinica dell’altra; e il capo va di nuovo a perdersi nel bianco paesaggio innevato, vacuo e assente ormai. «Lo sai perché non sono il benvenuto.» Glielo ha detto pure davanti al camino, tempo prima. E infatti l’altra da voce alla motivazione subito dopo. «Sì.» proprio perché esiste. Non trova davvero altre motivazioni. Ci ha provato, ma non le trova. «Abbiamo finito?» 
M: «No… Sì… No» ci ha ripensato, in un altalena d`umore che davvero sta cominciando ad infastidire anche lei «Io volevo portartici» ora sembra quasi irata, nonostante rimanga inquietantemente composta «ma facciamo così schifo che non possiamo nemmeno goderci le cose belle perché continuano ad essere contornate da una palude di me**a» sbuffa «Voglio diventare maggiorenne. Voglio andarmene. Mi sono rotta il ca**o di questa scuola, di queste persone, di questo ca**o di cognome.» oramai è un fiume in piena: magma lavico che fonde tutto ciò che trova «E tu.. e tu sei uguale» a lei, troppo simile «e la cosa mi urta terribilmente.» non spiega perché, ma solo adesso va a piantargli gli occhi addosso, con la mascella contratta e rigida «Non potevamo essere normali?» lo chiede ad un undicenne «Ma vaffa-» torna dritta, fa un mezzo giro su se stessa per voltarsi e comincia ad incamminarsi da dove è venuta.
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D: E poi. Merrow. Sbrocca. E lui la ascolta ugualmente, impassibile, andando a piantare gli occhi verdi su di lei; le sue parole che in parte lo colpiscono e rimbalzano via, in parte lo attraversano. Sono uguali? Davvero? Lo sguardo si fa un poco più duro, mentre la guarda senza paura, e anche quel pizzico di ammirazione sembra essere stato cacciato via chissà dove. Perché offeso con lei ancora non riesce ad esserlo. «Mi dispiace di urtarti terribilmente.» Atono. Non è davvero dispiaciuto. Ma nemmeno urtato o offeso. Sembra quasi un automa a ripetere quelle scuse. E poi l’altra fa quella domanda. E lo manda a quel paese. E fa anche per andarsene. Ma lui non ci sta zia. Infatti allungherebbe il braccio verso la ragazza… una ragazza di 15 anni, 20 centimetri più alta di lui, che potrebbe atterrarlo con la forza di uno sguardo. Ma lui ci prova comunque, allunga la mano e prova ad afferrarla per fermare la sua “fuga”. «No.» Che non potevano essere normali. E la voce va ad abbassarsi, facendosi profonda e poco normale per un ragazzino di 11 anni. «A quanto pare non potevamo. Ma tu non fai schifo.» A riferirsi alla parole dell’inizio del discorso di Merrow. 
M: Lo fissa con occhi sbarrati ed una frase molto simile al "non azzardarti a toccarmi" premuta tra le labbra e non espressa a voce: perché nonostante la sua furia, lo capisce che certe cose no, non può proprio dirle. Eppure è tutta un fascio di nervi, ed il suo "no" ulteriore non fa altro che farle scuotere il capo come un cavallo imbizzarrito «Fan***o» a lui? Alla situazione? A se stessa? «Cosa ne sai?! Cosa ne sai che non faccioschifo, come ca**o tipermetti di direchenonè così che nonsainiente! Dimedei miei, dicasadi qui del castello! Di quelliche se ne fo****odi quellichestraparlano. Che diconoche ci tengono e nonèvero, che diconochenoncitengono e non è vero nemmeno quello!» non alza la voce, anzi, è un sibilo pericoloso che le esce, in quella maledizione che prende corpo proprio nel momento peggiore, proprio mentre osserva il suo sguardo tradito «Perchètanto te ne andrai pure tu cometutti, che tantosei piccoloedio sono solo quella più grande e stranachenon si sa perchè aiuta i primini» schiocca la lingua al palato in un suono di disgusto «Ma checa**o ne sapete, ma chica**o telo fa fare di prenderti stasbatta. Ma cosa vuoi da me?! Cosa ti aspetti?Chenontifaccia male? Ti sbagliionefaccio sempre. A tutti, costantemente.» occhi di fuoco, con il respiro affannoso e la maledizione che finalmente cessa, lasciandola quasi con la testa che gira.
D: E non si fa problemi a toccarla. E si prende il “fanc**o” della ragazza come è abituato a prendersi tutti gli insulti e il male che la vita gli ha riservato, perché no, non è normale, come ha fatto notare la Loghain poco prima. E si becca quel Soliloquium in piena faccia, come uno schiaffo rovente, inaspettato e doloroso sì. Ma non può essere arrabbiato, non con lei, con nessuno. Perché tanto è colpa sua. Di tutto. Come al solito. E dalle sue parole si rende conto, più di prima, di cosa li accomuna veramente. E rimane lì. Fermo. Immobile. Con le braccia lungo il corpo e la testa alta, a guardarla esprimersi senza controllo, senza freni inibitori. Perché è quello che vuole; preferisce prendersi sulle spalle tutti i suoi problemi, così, piuttosto che vederla andare via senza spiegazioni. E quasi la ammira in quel fuoco che sembra avvolgerla nel suo sproloquio. Fino alla fine. Perdendo ogni traccia di astio o offesa che era prima presente nella sua espressione. «E l’hai capito tutto da sola?» cosa? Che vuole? «Che me ne andrò? Come tutti gli altri? Perché io non sono normale»…«Quando avrai capito. Che non voglio niente di più da te» niente di più di quello che lei non è già. «Sai dove sono.»
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kyda · 3 years
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Come fai quando niente suscita più il tuo interesse? come se tutto fosse indifferente e tu stai lì a guardare la tua vita scorrere tra le dita come granelli di sabbia
La mia risposta è diventata più lunga di quello che pensavo, ma eccomi qui, non ti annoiare!
Resta vigile, passa in rassegna ogni granello di sabbia che ti ritrovi fra le dita.
Ci ho pensato un po' a cosa risponderti ma non so fino a che punto le mie parole ti serviranno né se avranno un senso per te. Posso dirti che io sto sempre attenta a ciò che acccade intorno a me, anche quando vedo tutto grigio. Il grigio può avere tante sfumature. Vorrei dirti una cosa ovvia ma che ogni tanto va ricordata perché è facile che ci passi di mente: noi non siamo mai davvero indipendenti da ciò che ci sta intorno. Tutto quello che c'è intorno a te in questo momento sta influenzando i tuoi pensieri e il tuo stato d'animo, anche se ti sembra che sia tutto indifferente. Non è così, non è tutto indifferente. Cosa fa chi ti circonda? Di che parla? Cosa c'è sui muri della tua stanza? Forse ti sei abituat* a vedere sempre le stesse cose. Mettile in un altro angolo, cambia la disposizione dei mobili della stanza in cui passi più tempo durante il giorno, usa un bicchiere diverso quando bevi l'acqua la mattina
Mi sono sentita anche io una spettatrice della mia stessa vita tante volte e per periodi più o meno lunghi e ogni volta che è successo poi ne sono venuta fuori diversa. Quando poi iniziavo a superarla, già nel processo me ne accorgevo e mi dicevo che ero io, che dipendeva da me e che mi stavo impegnando a uscirne, che io avevo deciso così e avevo il totale controllo del mio umore. Una volta fuori dal buco, però, mi sono resa conto, tutte le volte, che non è mai dipeso veramente tutto solo da me e che in realtà avevo soltanto notato qualcosa muoversi e mi ero mossa di conseguenza. È molto importante che tu sia sempre apert* e in vena di accogliere e considerare qualsiasi cosa che potrebbe rappresentare una novità per te. Quando ci si sente così spenti bisogna darsi una mossa e cambiare. Puoi e devi cambiare alcune cose, sono d'accordo e ti consiglio di farlo più che puoi. Ma è anche vero che tutto quello che leggi in giro e che gli altri dicono quando ti senti bloccat* funziona in base alle circostanze e questa e una piccola parentesi che secondo me non tutti fanno presente. A volte, semplicemente, non dipende interamente da te, non puoi incolpare completamente te stess*, non puoi decidere tu di cambiare tutto e non puoi alzarti un giorno di punto in bianco e decidere che devi stravolgere ogni cosa e cambiare vita se l'ambiente intorno a te non è favorevole al cambiamento di cui senti di aver bisogno e che vuoi mettere in atto. In poche parole: non fartene una colpa se ti sembra di non riuscire a muoverti. Ti stai muovendo, tutti lo facciamo e continueremmo a farlo anche se non lo volessimo perché è nella nostra natura. Devi però renderti conto di quello che succede nella tua testa, verso dove ti stai muovendo e di cosa stai vivendo.
Basandomi sulla mia esperienza e senza conoscerti né sapere cosa succede nella tua vita ti posso dire solo di aspettare che prima o poi una fra le tante cose che si muovono intorno a te ti toccherà, noterai qualcosa che ti accenderà di nuovo, e quando questo succederà allora arriverà il momento di agire al meglio e dovrai buttarti e cogliere al volo l'occasione. Perché le cose succedono, ma tu devi stare sempre all'erta e dispost* a vederle e ad aggrapparti alla prima occasione di cambiare e poi provare a cambiare quello che puoi e come puoi. Va bene sentirsi ed essere spenti, ma mai senza speranza, perché la vita è imprevedibile, che tu decida di crederci o no in questo momento. Ogni tanto sembra tutto fermo e paradossalmente sentiamo che la vita ci stia sfuggendo di mano ed è normale, ma tu cerca di non spegnerti nel frattempo e cerca qualcosa che ti faccia sentire viv*, anche una sciocchezza, e concentrati su quella per un po'. Ti prometto che andrà bene, è difficile crederci quando si è in questa situazione che sembra non avere una via d'uscita, ma andrà bene veramente. Tu però non assopirti
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Dolci, regali e corse con tuffo (Lago Nero, 30 maggio 2076, II° anno)
In giardino, non troppo lontano dalle sponde del Lago Nero, è stata allestita una tavola, ricoperta da una tovaglia giallo acceso, sulla quale si possono trovare: cupcake al cioccolato decorati con glassa arcobaleno, tartine salate, ciambelle, biscotti, qualche brocca di succo di zucca, d’acqua e di succo alla mela. Inoltre, sparsi per tutta la tavola si possono trovare pacchetti di caramelle tutti i gusti+1 e di quelle che fanno fare i versi degli animali. Palloncini luminosi a prova di spillo di tutti i colori sono appesi in gruppetti di tre o quattro.
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Cad.: «Buon Compleanno» All’interno, quando la ragazza deciderà di aprirlo, troverà una sciarpa rossa, fatta a mano, con sopra ricamata la mannaia e la scritta che inneggia ai Wigtown Wanderers. «Come stai?» -- «Bella festa»
C: «Grazie Cad!» esclama mentre accetta il pacchetto che le viene offerto e che non è capace di non aprire immediatamente. Gli occhietti azzurri, non appena capisce il contenuto del pacco, si sgranano mentre la bocca si socchiude. «Cadel! Grazie! Wow!» il pacchetto viene poggiato a terra con poca grazia mentre la sciarpa viene sollevata e gli occhi continuano ad ammirarla in ogni dettaglio. «E’ fighissima!» commenterebbe infine guardando Cadel con gioia e anzi ora lo abbraccia pure se quello non si scansa. «Grazie grazie!» -- «Tutto benissimo, tu invece?! -- E grazie! Mi ha aiutato Gus ad organizzare!»
Seb: «Finalmente glielo diamo!» le ultime parole dette alla quintina, prima di avvicinarsi alla sorella di tassorosso e attirare la sua attenzione con un «Chloe!» -- «Abbiamo qualcosa per te! Tieni lui» e, Chloe permettendo, gli passerebbe Rospo in braccio. Prende il suo zaino e con delicatezza va ad appoggiarlo per terra. «Aprilo!» è il "pacco" migliore che hanno trovato, per un regalo del genere. E` chiaro ci sia qualcosa di quadrato, come una scatola, e una volta che Seb avrà ripreso il suo rospo Chloe sarà libera di andare a scoprire cosa sia: un topolino bianco in una gabbietta di piccole dimensioni, quadrata «Eloise ha fatto sì che fosse più piccola, ma poi può farla tornare normale. Dovevamo farla stare nel mio zaino» una scrollata di spalle. Eloise aggiunge che "non è da parte nostra", visto che Seb si stava per prendere tutto il merito «giusto, sono Log e Isa ad avercelo dato, così da consegnartelo oggi!» -- «Anche a Rospo piace, sai?» -- «e un regalo da parte mia mia» un pacco di Zonko. Dentro, un frisbee zannuto rosso.
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Niall: « Ey up » saluta così, guardandoli un po’ tutti. Guarda basso « com’è che si dice.. » per poi alzar il capo e sorridere a CHLOE « Auguri ecco » non sembra molto portato per i compleanni insomma. E poi le attrazioni sono molte, intanto il Lago e poi il cibo.. « posso? » indicando il tavolo con il mento. Ehm no mi dispiace, nessun regalo.
C: «Seb! Eloise! Eccovi!» -- «Oh!» Gli occhi si fanno molto curiosi e seguono i movimenti della sorella e del fratello accetta Rospo senza esitazione, lo accarezza pure con una mano. Poi lo scambio, Rospo torna a Seb e il pacco nelle mani della bambina che lo scarta subito. «OMMMIODDDIOO!» uno strillo di gioia nel rivelare il contenuto di quel pacchetto, un topo! «Oddio, oddio, oddio!» mentre finisce di scartarlo per bene, si avvicina la gabbietta al viso sorridendo al piccolo animaletto, che per ora sembra un po’ in ansia.
«Grazie Seb! Dovrò scrivere a mamma e papà stasera! Dopo anni finalmente me lo hanno regalato! Ma ci puoi credere?!» 
emozionata con una mano cerca di scartare il frisbee zannuto, probabilmente Seb la aiuterà perché un po’ in difficoltà. Ed è mentre sta scartando questo regalo che sente e vede arrivare NIALL, che lei trova thunderissimo nel modo di vestire così particolare e diverso dagli altri. «Hey!» -- «Grazie!» -- «Certo! Tutto quello che vuoi!»
«Secondo voi, come lo dovrei chiamare?»
Cad.: «se magari è una femmina potresti chiamarla May...oppure… magari è meglio conoscerlo meglio prima di dargli un nome »
Tris.: «Sono al cioccolato!?» si libera le labbra di un sospiro estatico, già pregustando quei cupcake dall’aria deliziosa «Ah, seh, giusto...» -- «Auguri Mac!» -- «T’ho portato `na cosa pure io... ‘spe che non la trovo...» ma disordinato com’è, potrebbe impiegarci minimo qualche minuto a ritrovare il regalino apparentemente perduto. Sta ancora rivoltando la tasca sinistra dei suoi jeans quando, errando cogli occhi sul resto dei compagni, nota la scopa di NIALL «Come mai la Thunder?» - «Ci facciamo `na gara clandestina, più tardi?»
Niall: « Oh » - « Perché sì » - « Siamo all’aperto, una scopa ci sta sempre bene » Nota poi, a scoppio decisamente ritardato il nuovo topo di CHLOE, sentendo qualche parolina in merito a un nome. « Che dimostri prima il suo valore.. » il topo eh « poi gli darai un nome » guarda il lago. « Ci facciamo il bagno? »
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C: «Sì, forse hai ragione… Magari aspetto a dargli un nome.» annuendo «Aspetta ma… che modello è?» - «Wow!» si avvicinerebbe, gabbietta ancora in mano, per dare un’occhiata da vicino a quel manico di scopa lucido ed in ottime condizioni. «TRIS! Grazie!» -- «Una gara?» -- «Valore?» - «Io ci sto!» - «Ma se giocassimo tipo a quidditch NELL’ACQUA?»
Cad.: «Oh sarebbe bellissimo» -- «Ci sto». Non approva invece più di tanto l’idea del bagno di NIALL, ma CHLOE la mette sotto un’altra luce e tutto diventa estremamente intrigante. Gli occhietti marroni brillano come il sole sull’acqua del lago e anche l’espressione di morte sparisce. Sorride divertito concludendo «Allora dobbiamo solo prendere le scope»
Tris: «Ah!» localizzata finalmente la tasca in cui aveva sistemato il regalo, quella posteriore, sfila una busta e la porge a CHLOE con aria trionfante «E` un po` stropicciato, vabbè...» - «E non è proprio quello di Terry Homley maaa `nsomma, ci sto lavorando» promette ad ogni modo con un sorriso che vorrebbe sembrare convinto. All`interno della busta spiegazzata, infatti, la TASSOROSSO troverà una fotografia animata dei Wigtown Wanderers al completo autografata dalle sue quattro Riserve. «Te vuoi stare sempre nudo, ciccio» scoppia in una risata riguardo al bagno «Sono lontane, però! Ma dobbiamo organizzarla, `sta cosa, prima della fine della scuola»
«Dai raga, tutti a fare il bagno!»
Niall:  « Thunder 3 » esclama poi, lisciando pure il manico lucido. « sì. Ogni creatura deve dimostrare di avere il proprio valore » « E’ caldo » commenta a TRISTRAN in merito al voler stare sempre nudo « che aspetti? »
C: Apre la busta e «OooooOOOOOOOOOOOOOOO» Si volta verso TRIS che andrebbe ad abbracciare quasi in corsa, se lui la lasciasse fare. 
[...] «Sì, vero! Sono lontane…» lei comunque andrà in acqua così com’è vestita, quasi. Infatti inizia a togliere solo scarpe e calzini. 
«L’ultimo in acqua è un vermicolo puzzolente!»
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lilith3218 · 3 years
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cap 1 Tu ed Io ,SilverV ita
allora eccomi qui, il primo capitolo vero e proprio della mia SilverV è pronto. Devo avvertire di un certo linguaggio esplicito e i contenuti sono forti, perciò a discrezione dei lettori, mi raccomando. Però spero che chi apprezzerà se la godrà appieno, questi due mi hanno preso il cuore e me lo hanno sbriciolato, devo sfogarmi XD La prospettiva di Johnny è davvero un must, non riesco a fare a meno di scrivere guardando le cose dai suoi occhi ;__;
“Ammetto di non essere mai stato un campione di tatto, e il fatto che io abbia cercato di ucciderla la prima volta che ci siamo incontrati lo dimostra, ma spero solo in un momento di comprensione: dopo tutto quello che avevo passato e la merda nella quale avevo nuotato fino a quel momento, l’impatto con dei sensi e ormoni non miei, la scarica di adrenalina, nervoso e rabbia che portavo durante i primi due giorni dal risveglio nella sua testa rivoltata, mi stava facendo sentire come se fossi, dalla mattina alla sera, sotto acidi tagliati con il borotalco.
E la nicotina, oddio, ora sentivo di nuovo, anche se a tratti e in non poco ritardo, la botta che mi mandava al cervello quando lei passava accanto a qualcuno con una sigaretta accesa. Mmmmm…. Non dico che la prima volta che l’ho sentita di nuovo avevo quasi il durello, ma ehi, che posso dire, sono un uomo che gode dei piccoli piaceri della vita.
La situazione comunque era un casino, e appena mi fu spiegata per bene nonostante il mio approccio diciamo poco diplomatico della prima notte, non sapevo se ridere, piangere, incazzarmi come un animale o procurarmi altre due testate termonucleari, così, giusto per.
Lei, però, davvero era l’unica cosa che non mi riusciva di capire.
Ricapitolando quindi il vecchio mi aveva rinchiuso in uno stramaledetto chip, il Relic, ok, e infilato di forza nel Mikoshi come un fottuto engramma, perfetto. V, 50 anni dopo, decide di accettare un lavoro da quel grassone infame di Dex de Shawn–mmm e qua già sarebbe da farsi un paio di domande sulla sanità mentale della tipa o se è solo affetta da galoppante stupidità- e ok, un lavoro poi che prevedeva l’infiltrarsi nella camera di Yorinobu Arasaka al Konpeki Plaza –mmmpf sto cercando di non ridere ma è dura-, rubare il chip e scappare come se niente fosse, convinta che sarebbe filato tutto liscio.
Ma sono solo io il solito rompicoglioni o già, qui, la storia sembra un delirio?
Lei e quel genio del suo choom pensavano davvero di riuscire a fare una cosa del genere solo con un bot e una mezza specie di netrunner, armati di coraggio e belle speranze, senza nemmeno un lanciagranate e per di più convinti che sarebbero entrati ed usciti come se nulla fosse? Al Konpeki. Nella suite dell’erede della più potente corporazione al mondo.
Per carità, riposino in pace, soprattutto Jackie, sembrava che per lei fosse qualcuno di importante, però dio mio, stupidi come delle mattonelle, eh.
Ma meglio non divagare, o rischio di perdere qualche dettaglio veramente succoso.
Dicevamo, infatti, come la festa sia proseguita a pieno regime dato che nel mentre si è ritrovata testimone dell’omicidio di quello che credevo un everlasting Saburo Arasaka ad opera del figlio prima che lo stesso, dovendo ricordare a tutti quali sono i metodi di famiglia, facesse in modo tale che venisse accusata proprio lei del fattaccio, piccola passera coraggiosa, -e andiamo avanti che migliora- , il tutto prima di venire silurata con un proiettile in testa da Dex che, ovviamente, a questo punto non voleva saperne più un cazzo dell’affare e di conseguenza aveva giustamente pensato di far sparire ogni prova del suo coinvolgimento nell’affare più fallimentare di tutta Night City.
Per concludere, come non citare il piccolo dettaglio che il proiettile era andato a farsi un drink nella stessa testa dove la sua mente illuminata aveva deciso di infilare il prototipo sperimentale di un chip che per fortuna l’ha riavviata, diciamo, grazie a delle nano macchine che avevano iniziato a ricostruire e adattare l’ambiente ma che al tempo stesso in ogni caso, l’avevano condannata a morte dato che non poteva rimuovere il chip o moriva seduta stante e rendevano me una specie di tumore che avrebbe fatto il lavoro dove il piombo non era arrivato.
MMMMM…
Ma nella testa di chi sono capitato.
Le cose comunque non erano cambiate, la mia occasione era arrivata, e stavolta li avrei distrutti, tanto non avevo più niente da perdere e mi sarei preso tutto quello che serviva per poter raggiungere il mio scopo, anche il suo corpo, non dovesse cooperare. Quindi meglio corciarsi le maniche, non frignare e trovare il modo per farle muovere il culo.
Certe volte era veramente testarda come un mulo e quando non mi voleva stare a sentire potevo urlare e insultarla quanto voglio maledetta joytoy mancata, tanto continuava a fare il cazzo che le pare.
Però è strano, V, anzi Valerie, -sono abbastanza certo di aver sentito qualche eco nella sua memoria chiamarla così, bel nome- non sembrava odiarmi, nonostante tutto. Anzi, quando sparavamo cazzate giusto per allentare un po’ la tensione, lei addirittura sembrava divertita, e quando sorrideva, io, io mi sentivo meno incazzato.
Decisamente, non la capivo
Le avevo detto poi di non andare all’incontro col corpo ratto, quel Takemura, era solo un altro che cercava di fotterla per riguadagnarsi i suoi begli impiantini di merda, per leccare il culo portando la sua testa come trofeo e ripulirsi il completo prima di tornare in servizio, ma niente, se non voleva stare a sentire, non sentiva. Solo perché l’aveva tirata fuori dalla discarica dove l’aveva scaricata Dex, credo sia stata convinta per un bel po’, di dovergli qualcosa, che magari fossero amici, quindi dato che lui la trattava con gentilezza, sembrava sbrodolare ogni volta che apriva bocca.
E qua avevo iniziato a dubitare, devo dire, che il problema potesse essere mio, ma non nei confronti di Takemura, nei suoi. A me non sconvolgeva l’atteggiamento del corpo merda che si vedeva stava aspettando solo il momento giusto per piantarle una lama nello sterno prima di portare, scodinzolando, l’osso in bocca ai padroni, quanto lei così, così, fottutamente ingenua. Se vivi abbastanza a lungo a Night City, la tua innocenza è solo una macchia di sangue secco sul soffitto, e quella che chiami ingenuità ha il volto della ragazzina o del ragazzino massacrato nella limousine del corporativo di turno che col sorriso stampato sul tesserino, fa versare dall’azienda, il benservito alla famiglia: quindi no, smettiamola con le cazzate, sono stanco delle favolette della buonanotte, non può essere innocente, non può esserlo.
Anche lei ha sangue sulle mani e parecchio da quello che ho potuto vedere in qualche flash dei suoi ricordi, la ragazza ha talento per uccidere, glielo devo riconoscere, quindi non diciamo cazzate.
Ma mi faceva sentire strano vederla comportarsi in questo modo, tutto lì.
Quindi, non sapendo come sfogare la frustrazione che la cosa mi procurava, volevo fare in modo tale che almeno il viaggio fino al suo appartamento dopo l’incontro, fosse veramente esilarante. Le avrei rotto le palle come poche altre cose al mondo.
“V, non ti facevo così moscetta comunque. Che cazzo stai facendo con Takemura. Ti devo ricordare che era la guardia del corpo della vecchia mummia? Cosa credi che gliene possa fregare di te? Vedi di lasciarlo perdere prima possibile, te l’ho già spiegato, troviamo il modo di rintracciare una mia vecchia amica netrunner, ma coi contro cazzi, non le mezzeseghe a cui sei abituata tu, e penserà lei a tutto. Liberare te di me così il tuo povero cervellino non finirà per friggere completamente, e aiuterà me a liberarmi di te, devastando soprattutto il Mikoshi nel mentre, il che non guasta”, le sibilai all’orecchio mentre riprendevamo la moto.
“Ah mio principe dal cromo scintillante, scusami, come ho fatto a essere così cretina. Indipendentemente dal fatto che ancora non ho la più pallida idea del come navigare nel cyberspazio per rintracciarla quindi devo procurarmi le attrezzature o ti attacchi al mio cyberware, dici che in ogni caso dovrei crederti sulla parola senza fare un fiato e non dovrei assolutamente cercare ogni strada alternativa in grado di salvarmi la vita. Sei veramente un coglione”, -ok 1 a 0, ma non ti abituare troppo ragazzina-.
“Coglione comunque e manco poco, perché indipendentemente da tutto, Takemura mi ha detto una cosa importantissima. Abbiamo in zona, anche se col culo parato dalla Kang Tao, il creatore del Relic, Hellman. Dai che se vuoi ci arrivi anche tu, fai il bravo: la tua amica sarà pure un drago di netrunner, chi cazzo se ne frega, ok, ma se permetti è normale che voglio andare a dare una ripassata al creatore della merda che ho in testa.
Meglio di lui chi potrebbe sapere come aiutarmi. Poi va bene, andiamo anche dalla tua amica e facciamo quello che ti pare, ma devo provarle tutte. Cristo è il mio il cervello che sta andando a puttane, il mio corpo che sta andando a farsi fottere... Io, io devo fare di tutto, non posso fare altrimenti, ci devo provare…”, concluse prima di calarsi il casco.
E fu lì che sentii per la prima volta qualcosa, dopo tanti anni. Nitido e spaventoso come un fulmine in mezzo all’oceano, un dolore nel petto così forte da mandarmi quasi al tappeto. Ci aveva messo poco a scomparire, ma il male che aveva fatto mi aveva ridotto quasi in lacrime. E non capivo da dove provenisse, cosa me lo avesse provocata, cazzo non c’era più un cuore da infartuare, delle vene da far esplodere o dei polmoni da perforare, per cui era assurdo un simile malore e, nonostante non ce ne fosse bisogno, mentre lei accelerava dritta verso il suo appartamento, mi strinsi a lei; avevo bisogno di non sentirmi solo.
Lì, capii. Un piccolo fantasma sensoriale attivava i suoi nervi dove tenevo le mani conducendomi con i sensi tra le sue costole su per l’aorta, di fianco la pleura e dritto al cuore: era il suo cuore, quello che aveva fatto lo scherzo qualche momento prima, non il mio. Il suo. Il chip evidentemente lavorava giorno e notte per fottere il suo sistema nervoso e rendere l’ambiente adatto a me, ma lo stava facendo ad un prezzo che non avrei mai permesso venisse pagato per colpa mia, non potevo. Io…no. Dovevo accelerare i tempi.
…Scusami V, mi dispiace, sussurrai dentro di me.
“Fai come ti pare allora, che ti devo dire. Però muoviti, il tempo scorre in fretta, il tuo tempo, non so quanto ci metterà quell’affare che hai in testa a finire il lavoro e se lo finisce, si porta dietro entrambi. Hai almeno un fixer a cui rivolgerti per chiedere aiuto? Qualcuno che ti possa procurare le armi o un minimo di squadra? Se dobbiamo andare a bussare alla Kang Tao col completino da scout, prevedo cazzi amari.”, mi ritrovai a risponderle, cercando di distrarmi dalla latente preoccupazione che mi dava sapere quanto le avesse fatto male il cuore poco prima, senza che lei avesse battuto ciglio per lamentarsene.
Tu guarda se mi doveva esser tolto anche il gusto di romperle le palle.
Ma non ricevetti risposta immediatamente, preferì rispondermi solo una volta arrivati nel suo appartamento; non era una da chiacchiere inutili, e questo mi piaceva non poco di lei, almeno avremmo lavorato bene insieme.
“Wakako Okada, va bene? Mi deve un favore e parecchi soldi dopo l’ultimo lavoro che ho fatto per lei, mi ascolterà. Ora, però, se non hai altre domande, io avrei bisogno di dormire. A parte le ore in cui Vik mi ha vegliato dopo avermi ricucita, anche se non credo che un coma si possa chiamare riposo -ma amen-, non dormo da parecchio. Ho davvero bisogno di riposare.”, concluse mentre con lo sguardo offuscato e spento, cercava di spogliarsi per mettersi a letto.
Non come prima, ma il cuore aveva ricominciato a farle male, ora potevo sentirlo chiaramente. Adesso era una fitta continua, meno dolorosa, ma continua e spaventosa; e lei continuava a non lamentarsi, reggeva il colpo.
Nuda poi, non era niente male, pensai per un attimo, prima di affrettarmi ad ammettere che forse quella era la prima buona idea che aveva da quando l’avevo conosciuta, quindi se smetteva di rompere le balle e si metteva a dormire non guastava.
Evita Johnny, non è il momento.
“Ssesse, Johnny, va bene, va bene, anche io non vivo senza di te. LETTERALMENTE. Ora, se hai finito di rompere le balle, buonanotte.”, disse prima di girarsi dall’altra parte rispetto alla finestra dove mi ero appoggiato per guardare il panorama.
Dio se mi era mancato tutto questo, pensai.
La realtà, lo smog della città, l’odore di sesso nelle zone gestite dalle Mox o addirittura la puzza di sudore delle palestre clandestine dei Tyger CLaws, le urla del mercato di Kabuki, un altro essere umano attorno da sentire, con cui interagire, per davvero poi! Non il risultato di una stramaledetta stringa di codice che mi dava il permesso di “fare cose”, immaginare di toccare anche solo per un istante, ma un vero e reale essere umano, che nemmeno sembrava odiarmi.
Vero, era un mondo di merda quello, fanatico, violento, sanguinario e crudele, ma per quel mondo ero già morto una volta e lo avrei fatto ancora e ancora fosse stato necessario, l’avrei liberato da quel cancro che era l’Arasaka e tutte quelle altre maledette corporazioni. Finché anche solo una fosse rimasta in piedi, nessuno avrebbe potuto ricordare cosa volesse dire essere davvero libero; non avevo intenzione di permetterlo quando ero ancora in vita, figuriamoci ora, continuavo a ripetermi mentre poggiato accanto alla finestra, ogni tanto mi voltavo per controllare che dormisse davvero e non ci lasciasse le penne. Quello che di buono c’era in me, era morto tanti anni prima, quando ero andato in guerra in Messico, e l’unica cosa che mi rimaneva di fare era tutto il possibile per impedire che qualcuno soffrisse quello che avevo sofferto io. Oramai sembravo un vecchio brontolone che non faceva altro che rimuginare sulla vita passata, ma quello non era un ricordo perso nel tempo se 50 anni dopo le cose ancora non solo non erano cambiate, ma si poteva dire che in qualche modo fossero pure peggiorate.
Un rumore a quel punto, mi distolse dai miei pensieri.
Un singhiozzo, leggero, delicato, quasi impercettibile, ma sentendolo istintivamente mi voltai di nuovo verso V, pensando si sentisse male: in realtà, stava piangendo. Nel sonno, oltretutto. Fisicamente minuta, sotto quella coperta rannicchiata sembrava quasi stesse cercando di scomparire, ma di sicuro ancora dormiva e non avevo la più pallida idea del cosa credo stesse sognando in quel momento tanto da portarla a piangere.
Un flash della sua vita prima di arrivare a Night City come nomade, di colpo mi travolse. All’inizio mi riuscì solo di sentire le sue urla di dolore mentre qualcuno credo la stesse picchiando selvaggiamente in quella che sembrava un’officina, poi un’immagine. Lei sembrava giovane, un adolescente credo, allo specchio di un lavandino lercio, col naso credo rotto in due punti almeno, un occhio nero, il labbro spaccato e la … dio, no.
La maglia strappata all’altezza del seno lasciava in mostra la pelle e del sangue le colava tra le gambe dagli shorts strappati. Dio no no no ti prego, non questo, non posso, ti prego, non questo.
“Mai più”, le sentii sussurrare, mentre puliva il sangue che le colava dal labbro prima di prendere un serramanico nascosto tra i tubi e, digrignando i denti, credo andare a farsi giustizia.
Rimasi con lo sguardo fisso nel vuoto per non so quanto tempo, cercando di riprendermi.
Ma che vita del cazzo devi aver passato, ragazzina, pensai.
E sperando di togliermi dalle spalle il senso di colpa per qualcosa che non avevo fatto, cazzo, io non le avevo fatto niente perché cazzo dovevano addirittura tremarmi le mani maledizione, mi appoggiai accanto a lei provando ad asciugarle quelle lacrime con una carezza, che non avrebbe potuto sentire, credo, spero anzi, ma sentivo il bisogno di provare.
Ssshhh… Va tutto bene ora, sei al sicuro. Dormi tranquilla, le sussurrai piano, cercando di non svegliarla. Forse un cuore lo avevo ancora, nonostante tutto, perché vederla in quelle condizioni mi fece salire su una morsa veramente pesante a stringere a cui ammisi di non esser stato troppo abituato; però almeno a qualcosa ero servito e con qualche carezza, vedendola più tranquilla, mi riuscì di scivolare per un po’ nel buio.
 Forse meritavo anch’io un po’ di riposo, i veri guai iniziavano solo ora.”
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Ho avuto un fidanzato una volta.
Una storia adolescenziale che mi ha insegnato tanto e che, ancora oggi, ricordo col sorriso sulle labbra.
È stato il mio primo amore e io sono stata il suo.
Ci amavamo tantissimo ed avevamo entrambi paura di perderci. Alla fine, però, ci siamo persi comunque.
Succede.
Ricordo che ogni volta che litigavamo, veniva da me col suo Liberty blu notte, si piazzava davanti il cancello di casa con della musica house ad alto volume per farmi capire che era giù ad aspettarmi.
Io sbirciavo dalle tapparelle della mia stanza pregando Dio che se ne andasse e che i miei non sentissero questo strampalato che ascoltava musica orribile.
Accendevo il cellulare - perché quando discutevamo, lo spegnevo - e gli inviavo un sms:
“Te ne devi andare.”
“No, resto qui finché non facciamo pace.”
Spegnevo di nuovo il cellulare e non mi muovevo di lì per vedere fino a quando resisteva.
Allora lui si metteva comodo con le braccia stese sul manubrio e iniziava a tenere il ritmo con la testa.
Di solito aspettavo una mezz’ora prima di scendere, ma lo facevo sempre.
Una volta, invece, dopo il mio solito messaggio, mise in moto e andò via.
Credo che in quel momento mi fosse caduto per la prima volta il mondo addosso, mi era parso addirittura di aver sentito il mio cuore spezzarsi.
Non mi aveva aspettato. Nessun altro messaggio per convincermi. Nessuno squillo insistente. Nessuna musica a tenere compagnia lui, me e i vicini. Se ne era andato sgommando.
Con rabbia lo chiamai e dissi:
“Ah, questo è tutto l’amore che provi per me? Bravo.”
Staccai senza nemmeno aspettare una risposta.
E lui non richiamò.
Cominciai a piangere e a prendermela con me stessa e con il mio stupido orgoglio.
Era una litigata che avremmo potuto evitare, ma io non evitavo mai, se non i suoi sguardi quando voleva capire cosa avessi dentro.
Avevo sempre paura che fossi un libro aperto per lui, quindi, abilmente, sapevo nascondere i miei occhi puntandoli su altro. Ma a lui non sfuggiva mai niente e quando ero particolarmente giù, ci chiudevamo in camera sua a guardare “La Bella e la Bestia”. Immancabilmente piangevo davanti la scena in cui la Bestia muore per tornare un essere umano e lui mi stringeva forte a sé. Mi sentivo protetta tra quelle braccia e quello che avevo dentro usciva fuori quasi senza accorgermene. Gliene parlavo, lui restava in silenzio ad ascoltarmi, poi, mi dava un bacio sulla testa: “Però sei scema, eh? Sei fortunata che mi piaci un casino, altrimenti, ti avrei già lasciato”, mi diceva. E insieme risolvevamo il mio nuovo dramma esistenziale.
Insieme abbiamo fatto un sacco di cose.
Con lui sono stata per la prima volta sulla neve.
Quel giorno mi disse: “Magari noi, tra qualche anno, non staremo più insieme, però, ti ricorderai sempre che sono stato il primo a portarti a fare il pupazzo di neve che tanto desideravi.”
E ogni volta che vado in montagna me lo ricordo quel pupazzo di neve grasso e basso che vestimmo con le nostre sciarpe. E ricordo anche che il giorno dopo beccammo entrambi la febbre a trentanove e non ci vedemmo per una settimana.
Lui è stato il primo che mi ha fatto battere forte il cuore.
Il primo che ho avuto paura di perdere seriamente.
Il primo di cui ero tremendamente gelosa ma, per non mostrarlo, facevo la dura e la permalosa.
Il primo che assecondava ogni mia stranezza. Davvero tutte.
Una volta, infatti, gli confessai che in estate, quando ho particolarmente caldo, mangio i cubetti di ghiaccio e mi sento subito meglio.
Quella sera andò in cucina e prese tutti i cubetti di ghiaccio che aveva nel freezer, li mise in due bicchieri di carta, tornò da me e me ne diede uno.
Si mise a sedere e iniziò a mangiare ghiaccio.
“Perché lo fai?” chiesi.
“Perché ti andava. Perché mi andava.”
Sorrisi imbarazzata.
“E mi sa che hai anche ragione. Mi sento più fresco e rilassato.”
“Non prendermi in giro.”
“Non ti prendo in giro, complessata – così mi chiamava – Mi sa che è la prima volta che non hai detto una cazzata. Mangia.”
“Io non dico cazzate.” Imbronciai.
“Ma tu le cazzate puoi dirne e farne sempre. Io ti vengo dietro. Non ti preoccupare.”
“Perché lo fai?” ripetei.
“Mi piace vederti felice. E se so che a renderti tale sono io, continuo per il resto dei miei giorni. Crea pure tutte le cazzate che vuoi. Sono pronto a viverle.”
Ne abbiamo fatte e create di cazzate.
L’ultima fu quella che lo vide andare via sgommando in sella alla sua moto.
Eravamo ragazzini, pensavamo che tutto si potesse risolvere guardando un film, ascoltando della musica orribile e mangiando ghiaccio come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
Però, da sole queste cose, ad un certo punto non sono più bastate.
Strano come le cose semplici non bastino più quando si cresce.
Domani si sposa.
Lei è una donna fortunata.
Uno così lo avrei sposato anche io.
- Martina Boselli
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Il "non finito calabrese”, le ragioni di un paesaggio ferito
“Anche quando vado nelle altre città l'unica cosa che mi piace fare è guardare le case. Che bello sarebbe un film fatto solo di case” (Nanni Moretti nel film “Caro diario”).
Mi affaccio alla finestra. C’è la piana di Gioia Tauro e le isole Eolie che galleggiano sul Tirreno. Più in là l’infinito. Ma accanto, a pochi metri da qui, c’è il non finito del mio vicino di casa: tre piani di mattoni nudi senza intonaco, l’ultimo costituito solo da colonne di cemento armato esposte alle intemperie.
Ricordo quando da bambino da quel portone vidi uscire la figlia del vicino vestita in abito da sposa. La perfezione dell’acconciatura e il candore di quel vestito contrastavano col rossiccio dei muri grezzi, che all’epoca di certo non suscitavano in me particolari sensazioni. Era normale. Anche per me.
Siamo in Calabria. E sto parlando di quello che negli ultimi anni ha preso il nome di “non finito calabrese”, una presenza ingombrante quanto costante, che fa ormai parte di questo paesaggio.
A differenza delle opere incomplete di Michelangelo, in cui l’incompiutezza dell’opera è un valore, segno di totale libertà espressiva, queste costruzioni lasciate a metà, che sfigurano il territorio, non sembrano essere frutto di una coscienza estetica consapevole.
La casa è una delle icone più facilmente rappresentabili. Bastano solo quattro linee. Un quadrato con sopra un triangolo. Forse è il primo disegno che un bambino riesce a realizzare. In Calabria però è diverso e questa figura ha spesso contorni un po’ meno definiti.
A queste latitudini la fase di costruzione può prolungarsi in maniera indefinita. La casa può essere abitata già in fase intermedia. A volte viene terminata solo in parte, mentre il resto è lasciato in sospeso. Per sempre…
Sono un calabrese che ha trascorso gli ultimi quattordici anni fuori dalla sua regione. Dopo tanto tempo lontano dalla Calabria mi sono posto delle domande su questo fenomeno a cui non mi sono ancora abituato.
Sono sempre stato incuriosito, se non ossessionato, dalle ragioni che inducono a non terminare questi edifici, spesso abitati per metà. Sono ragioni economiche? Sociali? Storiche?
È molto facile cadere nella condanna e nella rabbia per un paesaggio spesso deturpato da questo cemento. Ma vorrei andare oltre l’indignazione e cercare le radici culturali di questo fenomeno.
In questa riflessione ho cercato di ascoltare alcune persone, calabresi come me, che hanno già affrontato questo tema, secondo la loro prospettiva.
La prima persona che decido di coinvolgere è Angelo Maggio, un impiegato delle Ferrovie della Calabria con l’hobby della fotografia, che da più di venti anni immortala il non finito nostrano. Mi perdo fra le foto del suo progetto “Cemento Amato”. Trovo immediatamente che i suoi scatti siano carichi di tutta quella decadenza e contraddizione che mi affascina e ripugna allo stesso tempo. Angelo mi racconta di quella volta in cui fotografò la statua del Cristo a San Luca, in un contesto di case di cemento e mattoni. Con sua grande sorpresa quella foto piacque molto agli abitanti di quel paese. Per loro era un normale contesto urbano. È proprio questo il punto centrale: come è stato possibile assuefarsi a questo codice architettonico?
“Il problema non è tanto che quelle case sono brutte” mi dice Angelo, “quanto che sono disabitate, o abitate per metà. Buona parte di queste abitazioni è stata realizzata tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Ognuno cercava di costruire per i propri figli. Nelle culture più tradizionali si tende a non far spostare la figlia femmina dal nucleo familiare d’origine. Quindi si cerca di allargare lo spazio domestico per tenere unita la famiglia”. È forse questa la ragione che spinse a erigere questi appartamenti sovradimensionati poi rimasti in gran parte vuoti? La mentalità dei padri è stata questa: “Io intanto costruisco la struttura. Poi ognuno se la finirà per i fatti suoi”.
Scopro che anche il mio amico architetto Vincenzo Bernardi si è occupato di questo tema. Un altro calabrese emigrato, che lavora prevalentemente all’estero. Con lui iniziamo a parlare di viaggi, del fatto che se hai la possibilità di spostarti un po', riesci a vedere le cose con un altro occhio. Per Vincenzo “il non finito non è da bollare semplicisticamente come una vergogna, ma è un fenomeno da comprendere. Rappresenta una speranza. O almeno l’ha rappresentata. Sull’onda del boom economico si è cominciato a costruire con l’illusione di chissà quale chimera”.
Vincenzo mette l’accento sulla precarietà, in tutti i sensi, del territorio calabrese. “Un territorio spesso poco ospitale e che nel corso della storia è stato periodicamente devastato da terremoti e alluvioni”. È come se in Calabria si fosse storicizzata questa sfiducia, questa attitudine a non costruire “bene”, perché comunque prima o poi qualcosa renderà tutto vano.
Tramite Vincenzo, finisco per conoscere anche il punto di vista più antropologico di Angela Sposato. “Sono luoghi di drammaturgia che però esprimono il nostro essere calabresi. Prima che estetico è un problema dell’ethos. Siamo tutti un po’ dei non finiti, approssimativi, procrastinatori, tendiamo all’attesa. L’attesa è incantesimo, è delirio. Attesa di un avvento che non ci sarà mai”.
Un aspetto da considerare è tuttavia che in questi spazi disabitati ci sono piccoli segni di vita. Il non finito viene in qualche modo “goduto”. Diventa uno spazio in cui si mettono i pomodori a seccare, si fa la conserva, si stendono i panni. Spesso sono i cani a beneficiare di queste aree inutilizzate. Li senti abbaiare minacciosi verso i passanti dai piani alti. A volte diventano persino luoghi di divertimento. “Non dimentico quella festa di 18 anni in una casa non finita (il piano superiore finito nei minimi particolari ed il piano terra in mattonato). Fecero la festa al piano terra, in mezzo alle colonne di cemento armato con luci psichedeliche, buffet di tutto punto. Il contrasto era molto forte”.
Ma allora, che cosa ce ne facciamo di tutto questo non finito, che è un po’ l’estetica dominante del paesaggio calabrese? Bisogna abbatterlo? È una delle domande che rivolgo ad Emilio Salvatore Leo, architetto ed imprenditore. “Innanzitutto bisognerebbe indagare il fenomeno costruendo una tassonomia dei casi. Il non finito è un po’ questo sogno tradito di poter continuare a costruire i propri castelli. È opportuno considerare che una-due generazioni hanno investito le loro energie finanziarie (e non solo) per costruire tutta questa carica di bruttura. Alcuni di questi manufatti, all’interno di una nuova progettazione, potrebbero diventare dei “contenitori pubblici”, dei luoghi che, opportunamente trasformati, restituiscano questa dimensione della spazialità, dell’architettura come ricucitura del sogno collettivo.
Bisogna però spostare l’asset dall’autocostruzione ad una serie di professionisti che hanno gli strumenti culturali per rendere questa complessità non precaria, che la convertano in linguaggio che sia sovversivo e contemporaneo e che includano i moderni concetti dell’abitabilità”.
L’ultima persona con cui mi confronto è Vincenzo Filosa, un fumettista che è riuscito a coniugare il mondo dei manga con la Calabria. L’architettura calabrese finisce spesso nei suoi disegni. Vincenzo pone giustamente l’attenzione sul fatto che il non finito può essere “finito” dall’osservatore, con la fantasia. Può essere potenzialmente ancora tante cose. “Sono degli spazi vuoti su cui si può inventare qualsiasi tipo di storia. Crescendo ti rendi conto però che quei palazzi sono così perché l’emigrazione li ha svuotati, anzi ha fatto in modo che non venissero mai riempiti. Quelli sono gli edifici che la nostra generazione avrebbe dovuto abitare, ma che non occuperà mai”.
In Calabria ogni giovane si trova prima o poi di fronte ad una difficile, spesso dolorosa, scelta: rimanere o partire, cercare di sbarcare il lunario qui, fra mille difficoltà ma godendo di un territorio di grande bellezza, o cercare fortuna altrove, in luoghi più favorevoli allo sviluppo e alla valorizzazione del proprio talento.
Oggi questi edifici sono il segno tangibile di un abbandono, di un’assenza. È una delle sfaccettature, forse la più visibile, della famigerata e complessa “questione meridionale”.
La complessità è grande, soprattutto da un punto di vista antropologico. Il non finito oggi è paesaggio. Ci rappresenta. Fa parte della Calabria. È una categoria non facile da decifrare perché i mondi che richiama non sono solo estetici.
Il non finito spesso assume i tratti di una tensione verso il cielo, un’estensione dello spazio privato, di una sospensione del tempo. Questi totem di cemento che spuntano dai solai sembrano quasi fungere da congiunzione fra il finito e l’infinito, fra il privato e il pubblico, fra il dentro e il fuori.
Da bambino ero solito giocare nella casa dei miei vicini. Ricordo benissimo quei mattoni forati, la sensazione che mi davano al tatto quando mi appoggiavo al muro. Tra un mattone e l’altro si intravedeva il cemento. C’erano degli spazi segreti in quei muri. Delle fessure in cui un bambino poteva nascondere le sue cose più preziose.
E ricordo l’ultimo piano, senza pareti, sempre molto ventilato, che nel corso degli anni ha assunto le funzioni più disparate. Anche quella di pollaio. Oggi mi pare sia adibito a sola lavanderia. Eppure il piano del mio vicino di casa doveva essere diverso. La figlia avrebbe dovuto completare ed occupare quello spazio, invece vive in Valle d’Aosta e torna con i suoi figli solo in estate.
Oggi vedo questi ragazzini, dall’accento nordico, in vacanza aggirarsi per casa. Una casa che è loro. Ma loro forse non lo sanno.
Foto di Angelo Maggio (progetto “Cemento Amato”)
(presso Calabria)
https://www.instagram.com/p/CFHlq0jI5uZ/?igshid=1evw7pfw6rwx1
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HOW I MET THE GIRLS
Fandom: How I met your mother + Sex and the city
Cosa succederebbe se a un party dell’Upper East Side Ted e Barney incontrassero il quartetto di amiche più famoso di New York? Situato all’inizio della quinta stagione di ‘Sex and the city’ e due anni prima di ‘HIMYM’... Un crossover leggendario XD!
"Una sola cosa non capisco papà: è stata solo la proposta di matrimonio di zio Marshall a zia Lily a farti venire voglia di trovare l’anima gemella?"
"Bè, in realtà ho sempre sognato di trovare l'anima gemella. Fin da piccolo sono sempre stato molto romantico e pensavo che sarebbe stato bello trovare qualcuno con cui condividere il resto della vita... Ma hai ragione Penny: non fu soltanto il fidanzamento tra zio Marshall e zia Lily a convincermi a dare una scossa alla mia vita sentimentale; fu determinante anche l'incontro con una donna, una donna che come me sognava il grande amore. Il suo nome era Charlotte... Diavolo, non mi ricordo il suo cognome... Comunque, questa è la storia di Charlotte la gallerista!
 Era un normale pomeriggio del marzo 2003. Me ne stavo seduto sul divano a fare zapping alla tele preparandomi ad un sabato sera casalingo, quando la porta di casa si spalancò e comparve lo zio Barney.
"Ted, ti dò cinque minuti per lavarti, vestirti e metterti la giacca... Perché stasera si va all'Upper East Side!"
"Barney, grazie ma oggi no, non ho propria voglia di uscire..."
"... Oh no, no, no, no, Ted: tu stasera uscirai con il tuo migliore amico Barney e dopo una settimana di duro lavoro ti rimetterai in sesto con due belle coppe di champagne... E non sto parlando di bicchieri!"
"E dove vorresti andare di così esaltante nell'Upper East Side?" chiesi allora divertito.
"Oh, niente di che, un galà di beneficenza per la raccolta fondi per le malattie genetiche, ma quello che conta è chi ci sarà a quel galà... Donne, Ted, ci saranno tante donne: mogli annoiate dell'Upper East Side, costrette a passare la giornata tra casa, estetiste e locali all'ultima moda che non aspettano altro che due giovani ragazzi del popolo pronti a farle scendere dai piani alti e farle raggiungere il cielo con un dito... Dammi il cinque!"
Glielo diedi: oramai erano due anni che ci conoscevamo e nonostante s'inventasse un sacco di castronate, tutte le volte che ero uscito con lui mi ero davvero divertito, perciò decisi di accettare... Ma non volevo dargliela immediatamente vinta: "Mi hai quasi convinto, solo che vorrei essere davvero sicuro di trovare una donna interessante..."
"...Ci sono un sacco di appassionate d'arte e di architettura!"
"... Dammi dieci minuti!" 
Uscimmo di casa e chiamammo un taxi, diretti all'Upper East Side. Peccato che ignorassi un dettaglio molto importante di quell'evento, dimostrazione che Lily faceva sempre bene a fare domande ogni volta che Barney proponeva di andare in qualche posto: perché fu proprio all'entrata del galà che realizzai... 
"Bisogna essere sulla lista per entrare? Barney, noi non frequentiamo gli ambienti dell'Upper East Side, come facciamo ad entrare?"
"Ted, Ted, Ted... Rilassati. Sei col vecchio Barney, entreremo in quel galà utilizzando uno di quei vecchi trucchi che funzionano sempre!"
"Cosa vuoi dire?"
"Lascia fare a me e mostrati sicuro" e detto questo, s'incamminò verso l'entrata del gigantesco locale che ospitava l'evento e saltando a lunga fila senza provare alcun rimorso, si rivolse al buttafuori che spuntava i nomi sulla lista degli invitati: "Salve! Io sono Barney Stinson e lui è il mio amico Ted Mosby: non siamo in lista, ma la nostra amica che ha organizzato l'evento, Samantha Jones, ha detto che bastava fare il suo nome e saremmo potuti entrare…"
"Come no, se vi manda Samantha entrate pure!"  e ci fece spazio per farci passare. Dopo averlo ringraziato, mi rivolsi al mio amico ancora esterefatto,
"Conosci l'organizzatrice dell'evento?"
"So solo che è una PR molto famosa in città e che spesso basta fare il suo nome per entrare agli eventi che organizza... Oh, andiamo Ted, non guardami così, non sono l'unico a sapere tutti i nomi e cognomi dei PR a New York per entrare di sfroso in ogni dove!"
"Ma almeno sai che aspetto ha?"
"No purtroppo... Ma mi hanno detto" disse avvicinandomi per non farsi sentire: "che a letto è una vera pantera e se dovesse scoprirmi stasera, bè... Sono più che disposto a farmi punire da lei!".
Il tempo di aver espresso il suo desiderio e ci ritrovammo abbagliati da un centinaio di migliaio di luci. Ci trovavamo in un salone amplissimo, dal cui soffitto pendeva un lampadario che poteva benissimo competere con quelli di Versailles e che poi scoprii essere stato fatto a Murano... Ma non era solo il lampadario ad emanare luce: le pareti erano di un bianco quasi accecante, per non parlare delle finte colonne in stile ionico decorate in oro che circondavano le finestre gigantesche in stile inglese..."
 "... Papà, fermati: lo sai che ci piace quando ti metti a parlare di architettura, soprattutto a me, ma non stasera: non possiamo fare tardi alla partita!"
 "Hai ragione, hai ragione Penny, perdonami... Dunque, dov'ero rimasto? Ah sì… Io e lo zio Barney eravamo appena entrati in quel salone ed eravamo circondati dalla crème della crème dell'Upper East Side, tutti in tiro per l'ennesimo evento di gala a cui erano tenuti a partecipare... Fortuna che neanche noi sfiguravamo nei completi che ci eravamo messi: dopo aver accettato da un cameriere dei bicchieri di champagne e aver brindato alla buona riuscita della serata, sentimmo una voce femminile alle nostre spalle.
"Barney!"
Ci girammo contemporaneamente. Una splendida ragazza coi capelli ricci fissava il mio amico con uno sguardo che mi suggerì immediatamente il loro legame.
"Heather... Che bello trovarti qui! Ma d'altronde, come aspirante dottoressa..."
"Perché non mi ha richiamata?"
"Ma quella non è Lucy Liu? Vorrei complimentarmi per ‘Kill Bill’..."
"Ted, non mi lasciare qui..." mi disse Barney tra i denti. Qualche goccia di sudore aveva iniziato a formarglisi sulla sua fronte per la tensione. E io che pensavo di aver finito di affrontare l’ennesima conquista di Barney offesa dal suo comportamento.
"Ecco, è che... Il mio amico Ted ha avuto un problema ed essendo stata una lunga faccenda..." 
"Vedi di farti perdonare utilizzando la lingua in un altro modo!" esclamò prendendolo per la cravatta e portandoselo verso i bagni.
Barney rischiò di venir soffocato, anche se la paura di morire venne presto sostituita dall’eccitazione per la prospettiva di poter godere un'ultima volta delle grazie di Heather. Mi fece il segno dell'ok mentre veniva trascinato via e io gli augurai buona fortuna alzando il bicchiere. Ritrovatomi solo, mi guardai intorno cercando di capire quale fra quelle affascinanti signore dell'Upper East Side fosse appassionata di arte e architettura. E nel momento in cui mi avvicinai al tavolo del buffet, mi capitò di ascoltare la conversazione di due donne vicine a me. Una era bassina, con indosso dei tacchi vertiginosi e i capelli corti, ricci e biondi; l'altra era alta, coi capelli rossi e corti e un lungo vestito nero.
"Miranda, stai tranquilla: Magda se la caverà benissimo con Brady..." diceva la bassina alla rossa. 
"Non è che non mi fidi di Magda: insomma, lei è fantastica, mi affido completamente a lei per le faccende di casa, ma accudire un bambino non è la stessa cosa! Come farò quando dovrò tornare a lavorare..."
"Bè, per quando tornerà a lavorare potrà mandare suo figlio al ‘Johnson's kindergarten’, il miglior asilo di New York: migliore perché... Ci lavora la mia amica Lily!" 
Le due donne si voltarono verso di me.
"Fantastico: Brady non ha neanche un anno e già mi hai messo l'ansia sulla scelta della scuola materna in cui mandarlo!" sbottò la rossa e s'allontanò più nervosa che mai col suo bicchiere di champagne in mano.
"Perdonala, questa è la prima volta che lascia di sera suo figlio" si scusò per lei la sua amica.
"Oh, non fa niente... Comunque, sono Ted Mosby!" 
"Carrie Bradahaw, molto piacere!""
 "Aspetta un attimo... Hai incontrato Carrie Bradshaw?"
 "Proprio così, Penny,
"Un momento... Non sarai mica QUELLA Carrie Bradshaw che scrive sul New York Star..."
"... La rubrica ‘Sex and the city’? Sono io!"
"Wow, allora sono ancora più felice di conoscerti! La mia amica Lily, quella che lavora all'asilo, legge spesso la tua rubrica... Ti dispiacerebbe farle un autografo? Mi ucciderebbe se sapesse che ti ho incontrato e non te l'ho chiesto!" 
"Ma certo, non ti preoccupare... Può andare questo?" e prese dal tavolo un tovagliolino bianco: "Bene... Ops: sono una scrittrice e non ho una penna con me!"
"Oh, a quello ci penso io" e tirai fuori dalla tasca interna della giacca una biro nera.
"Grazie mille, Ted" mi rispose abbassando un po' lo sguardo e con un sorriso seducente: "Allora: a Lily, affezionata lettrice, con amore, Carrie Bradshaw... Ecco a te!" disse porgendomi il tovagliolino: "Ora perdonami, ma devo andare a salvare un'amica in piena crisi da neo mamma: è stato un piacere!"
 "Aspetta..."
Se da quel poco che mi ricordavo dai riassunti di Lily dei suoi articoli, ero quasi certo che conoscesse più della metà degli invitati a quel galà.
"Che c'è?" rispose lei voltando la testa.
"Questo è il mio primo galà all'Upper East Side... Sapresti indicarmi qualche ragazza a cui piace l'arte in tutte le sue forme?" 
Gli occhi di Carrie si illuminarono: "Ma certo!" 
E mi indicò col bicchiere una donna mora, sulla trentina, con un vestito rosso che le arrivava fino alle ginocchia che guardava fuori da una di quelle finestre gigantesche: "Lei è una mia cara amica, Charlotte... Ed è una gallerista!" 
Fece per andarsene, quando tornò di un passo indietro e avvicinandosi a me, mi disse: "I primi galà fanno sempre un po' paura... Ma col tempo ti ci abituerai!"
E dopo avermi lanciato un altro dei suoi incantevoli sorrisi, corse via sulle sue Manolo Blahnik. Stavo per dirigermi verso Charlotte la gallerista, quando Barney mi raggiunse lanciandomi una manata pesante sulla spalla.
"Ted, Ted... Non hai idea di cos’è successo in bagno!"
"Una mezza idea ce l'avrei..." 
"Eh, eh, eh, lo so che ce l'hai... Ma non è tutto: ero rinchiuso in un gabinetto con Heather e avevamo appena finito di darci dentro quando...
“Direi che questo è un addio come si dove!”
“Già...”
“Samantha Jones!”
“Ha detto Samantha Jones?”
“Perché la conosci?”
“Shhh... Non facciamoci sentire!”
“Sì, Caitlin? Il galà sta procedendo come avevi desiderato, presumo...”
“Tesoro, non mi sono rivolta a te se non fossi stata sicura che avresti fatto un bel lavoro... Peccato solo che non mi piace quando inviti persone di tua conoscenza ai miei galà!”
“Ma di che cosa stai parlando?”
“Ho appena scoperto che Paul ha fatto entrare due ragazzi perché erano amici tuoi... E tu sai come la penso sugli imbucati, Sammy cara! Fuori di qua puoi scoparti chi ti pare, ma non darti appuntamento con i tuoi amichetti ai miei galà, intesi?”
“Caitlin, sai bene che cerco di non mischiare la sfera privata con quella lavorativa e stasera non ho invitato nessuno che non fosse presente sulla lista: ma ti assicuro che troverò gli imbucati e li caccerò a calci in culo!"
"Ahia...”
"Ma non capisci, Ted? Samantha Jones ci sta cercando e se le cose vanno per il verso giusto, stasera potrei fare una fantastica doppietta!" 
"Prima di farla però assicurati che ci faccia restare ancora un po' qui perché... Penso di aver trovato qualcuno" e gli indicai con la testa Charlotte la gallerista.
"Mmm... Niente male, T-bello, vedi che a uscire con il vecchio Barney ti fa bene? Buona fortuna!"
E sfrecciò via, in cerca di Samantha, mentre finalmente potei raggiungere quella ragazza che guardava con sguardo triste l'edificio simbolo di New York.
"Bello l'Empire State Building... Peccato che quando venne aperto, si era in piena depressione e i suoi uffici erano totalmente vuoti: allora per evitare che la gente lo scoprisse, tenevano accese le luci tutto il giorno, ma il trucco venne scoperto e iniziarono a chiamarlo Empty State Builiding!". 
Avevo scelto bene il mio aneddoto su Empy per attirare l'attenzione: subito quella Charlotte si voltò verso di me e mi ritrovai puntati addosso due occhioni da cerbiatta e un sorriso sorpreso: "Di tutte le cose che sapevo sull'Empire State Building questa proprio mi mancava!"
"Bè, non per vantarmi, ma conosco abbastanza bene tutta la storia dei principali edifici di New York... Sono un architetto: piacere, Ted Mosby!"
"Charlotte MacDougal... No, scusa, Charlotte – nah, il cognome non me lo ricordo -, gallerista: mi sono appena separata e sto cercando di riutilizzare il mio cognome da nubile!" 
Carrie però questo dettaglio l'aveva tralasciato. Perlomeno non avrei rischiato di venire inseguito da qualche marito geloso dell'Upper East Side
"Non ti preoccupare, capita... Dunque, sei una gallerista: dove lavori?"
Non era ancora passata mezz'ora da quando avevo cominciato a parlare con lei, che oltre ai dettagli del suo lavoro sapevo anche tutti i dettagli del suo matrimonio fallito.
"Perdonami, se ho parlato fino adesso, penserai che sono noiosa... "
"No, al contrario: è bello trovare qualcun altro appassionato di arte..."
"...Non mi riferivo a quello, ma al fatto che in un modo o nell'altro ho trovato il modo di parlare di Trey: le mie amiche non mi sopportano più..."
"Ma figurati! Hai tutto il diritto di sfogarti: il tuo ex marito ti ha trattato malissimo dopo che tu hai sudato sette camice per far funzionare il vostro matrimonio: e se ti viene voglia di andare a raccontare a tutta New York che era impotente ti posso aiutare nell'impresa!" 
Charlotte scoppiò a ridere e finalmente quel velo di tristezza che avevo intravisto quando le avevo rivolto per la prima volta la parola scomparve del tutto: stavo facendo colpo, quando qualcuno ci interruppe... Di nuovo.
"Ted, possiamo restare qui per un'altra mezz'ora!" 
"Hai incontrato..."
"Esattamente lei, Samantha Jones!"
"Oh, no, no: perdona la mia intrusione, ma se credi che Samantha sia interessata a una relazione hai proprio sbagliato persona!" disse Charlotte con l'aria più innocente del mondo...
"Ahahahah... Lo sapevo che avrebbe detto questo! E chi parla di relazione? So per cosa è famosa Samantha Jones e volevo verificare se le voci fossero veritiere oppure false!"
Charlotte quindi distolse lo sguardo di Barney e assunse uno sguardo di disapprovazione. Non avrei saputo dire se fosse rivolto al mio amico o a quella Samantha.
"Dunque, Ted, ti stavo dicendo... La stavo cercando basandomi sugli unici indizi che avevo sul suo aspetto fisico, ovvero che era bionda e abbastanza alta, quando...
“Sei tu Barney Stinson?”
"Lei ha trovato te?"
"Già..."
“Samantha Jones?”
“In persona: mi è giunta voce che te e il tuo amichetto vi siete imbucati a questo galà: ti do cinque minuti per recuperarlo e uscire subito di qui!”
“Oh, per favore, miss Jones, è tutta la vita che sogno di partecipare a un galà dell’Upper East Side e non me ne rimane ancora molta...”
“… Risparmiati le bugie: sono a New York dagli anni ’80, non l’ennesima bionda sui vent’anni un po' svampita che cerchi di portarti a letto con l’ennesima storia strampalata!”
“E tu come fai a saperlo?”
“Il mio lavoro mi permette di conoscere quasi tutti qui a Manhattan e ho sentito molto parlare di te, Barney Stinson!”
“Oh, bè, si dà il caso che anch’io abbia sentito molto parlare di te, Samantha Jones...”
“Si dice che tu sia parecchio bravo... Giusto poco fa ho sentito una delle nostre giovani dottoresse dire di aver appena avuto la scopata migliore della sua vita!”
“Se la cosa può interessarti, non vado solo con ragazze più giovani di me...”
“... Facciamo così: concederò a te e al tuo amico una mezz’oretta in più al galà... Ma tu dovrai dimostrarmi di essertela meritata!”
“Oh, griderai di piacere come mai hai fatto finora!”
“Un momento: è il tuo amico il ragazzo che sta parlando con la donna in rosso alla finestra?”
“È il mio migliore amico, Ted Mosby, che a quanto pare si sta dando da fare...”
“Mi dispiace per lui: Charlotte è l’ultima donna al mondo che si concederebbe dopo la prima sera!”
“Stai scherzando?”
“Lo giuro: ogni uomo che trova vagamente attraente deve aspettare settimane perché chiunque potrebbe essere quello giusto e ‘la prima volta dev’essere importante’...”
“Omioddio, mi sembra di sentire il mio amico Ted: anche lui spera un giorno di trovare l’anima gemella... Meno male che ha incontrato me prima di trovarsi sposato e in trappola!”
“Non capisco perché la gente abbia così tanta voglia di sposarsi: insomma, a essere liberi ci si diverte di più...”
“...Non sei costretto a dover rendere noto tutto quello che fai...”
“...Sei libero di sperimentare tutto quello che vuoi, con chi vuoi...”
“...Ogni serata può essere leggendaria...”
“...Se sei single, il mondo è il tuo buffet personale!”
“Bella questa! Me la presti?”
“Certamente: sai, è confortante sapere che c’è qualcuno che la pensa come te! Un brindisi?”
“All’essere liberi!”
“Tornando a noi, Barney Stinson... La mezz’ora scatta da adesso: avverti il tuo amico quanto avete ancora a disposizione e poi raggiungimi nell’ufficio del receptionist: vorrei tanto dare una scossa a questa serata così noiosa e ho fiducia che tu possa procurarmela...”
Ehhh?”
Guardai Barney con un mezzo sorriso. Una parte di me voleva biasimarlo, però era anche vero che quella sera non aveva raccontato di avere un fratello sordo o di stare lavorando a un progetto top secret del governo: aveva trovato la sua versione femminile e se in cambio delle sue prestazioni fisiche, avrei ottenuto tempo in più per parlare con l’affascinante Charlotte York – York, ecco qual era il suo cognome! – gli auguri non glieli negava a nessuno! 
"Buona fortuna, amico!” gli dissi dandogli una pacca sulla spalla.
Barney mi rispose sollevando entrambi i pollici per poi scappare dritto verso la reception.
“... E lui è Barney!” dissi alla mia dama che stava tornando ad avere un’espressione più rilassata... Nonostante quello che mi aveva appena rivelato Barney.
“Comunque, non c’è nulla di male ad aspettare prima di concedersi a qualcuno, è un modo per dirgli che lo reputi speciale e farlo sentire importante!”
Qualche anno più tardi avrei rimpianto di aver detto queste parole…
Charlotte abbassò lo sguardo imbarazzata e rispose: “Come se fossi l’unica... Ma Samantha e io non la pensiamo allo stesso modo sul fronte 'amore', 'sesso' e tutto ciò che vi è legato...”
“Bè, mica devi sposartela! Ops, scusami, non volevo, non ci ho pensato...”
“Oh, non fa niente, davvero: sto cercando di andar avanti, nonostante tutto...”
“E’ la cosa migliore che puoi fare...”
“... Però potrai pensare che il fatto che sia andata male a me significa che potrebbe andare male a te: insomma, anche tu sei un romantico!”
“Bè, a dire la verità, al momento ho un po’ lasciato stare la ricerca dell’anima gemella...Voglio divertirmi, insomma, sono ancora giovane, ho 25 anni, ho tutta la vita davanti per cercare la donna con cui sposarmi e avere dei bambini!”.
Ma Charlotte aveva letto tra le righe
“La tua ultima relazione non è andata bene come speravi, vero?”
Quegli enormi occhi da cerbiatto mi obbligarono a fare sì con la testa ripensando a Karen - ve ne parlerò più avanti -.
“Trovare la propria metà non è mai stata una cosa facile. Ma se c’è qualcosa di cui sono assolutamente convinta è che NE VALE LA PENA. Tutti quegli appuntamenti andati a vuoto, le storie finite male e il matrimonio non esattamente delle favole... Mi hanno solo resa più forte di quanto non fossi prima. Ogni ostacolo che supererai ti farà diventare una persona migliore... Quella stessa persona di cui un giorno qualcuno si innamorerà follemente!” 
Quanto ha avuto ragione: ma all’epoca non ci badai più di tanto e spostai la conversazione su argomenti più leggeri. Fu tre anni dopo che quelle parole mi tornarono in mente, sulla terrazza, dopo che io e zia Robin decidemmo di rimanere solo amici. E da quel momento, ogni volta che mi sentivo giù, facevo affidamento su di loro.
Quella sera non fu l’ultima volta in cui incontrai Charlotte. Ero appena uscito da una relazione importante quando la vidi da lontano fare jogging - per fortuna si ricordava ancora di me -. La sua fede in un futuro migliore alla fine l’aveva premiata, dal momento che si era risposata e aveva due bambine, una delle quali in viaggio... E quando scoprì quello che mi era successo con Stella, ribadì ancora una volta quello che mi aveva detto quella sera: “Abbi fede, Ted, e non mollare mai!”. 
E questa è la storia del secondo motivo che mi spinse a cercare vostra madre, ora per tornare alla storia principale...”
 “Aspetta papà... Ma alla fine com'è andata a finire tra lo zio Barney e la PR?”
“Bè Luke, conosci lo zio Barney... A giudicare da come commentò una volta che ci ritrovammo fuori...
 “E’ stato leggen... Non  ti muovere... Dario, leggendario!”
 Deduco che sia andata bene!"
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PROGRESSO ETICAMENTE SOSTENIBILE
CONTRAPPASSO
Ad un tratto la vita si blocca ….Tutto si ferma. Ci rinchiudiamo in casa per sfuggire al Virus. Sembra quasi la pena del contrappasso afflitta da Dante nell’Inferno ai suoi dannati. Abbiamo vissuto le nostre vite pensando a noi stessi. Giorno dopo giorno, ci siamo assuefatti a vedere immagini di guerre, di paesi distrutti, di bambini affamati, di periferie luride, di uomini costretti, magari dietro l’angolo di casa nostra, a vivere stipati in baracche, di nuovi schiavi costretti a lavorare 12 ore al giorno per uno stipendio da fame senza che tutto questo ci distogliesse dai nostri programmi, dalla nostra comoda vita. Non erano i nostri bambini, non erano le nostre case, non era un nostro problema. La risposta della vita non si fa attendere: abbiamo lavorato per la nostra casa, per la nostra famiglia e la vita ci rinchiude nelle nostre case con la nostra famiglia e ci priva degli altri. Le nostre comode case sono diventate ampolle a prova di virus, ampolle asettiche e sterili, in tutti i sensi.
NORMALITÀ
Vogliamo tornare alla “normalità” ma non possiamo considerare normale il mondo di prima. Non è normale un mondo che lascia nelle mani di un bambino un Kalashnikov, un mondo sordo alla voce della coscienza, ciecamente ubbidiente solo alle richieste del profitto. Vogliamo e dobbiamo tornare ad una normalità che si rifaccia ad una norma più umana e che la pandemia ci ha mostrato diversa, una NORMALITÀ ETICAMENTE SOSTENIBILE. È normale un mondo in cui non esistono i miei problemi e i problemi degli altri ma i problemi nostri; è normale credere di poter fermare la corsa del progresso; è normale non voler rinunciare ad una carezza, ad un abbraccio vero; è normale pensare che andare a villeggiare sulla luna sia meno importante che giocare con gli altri sulla nostra Terra.
PROGRESSO ETICAMENTE SOSTENIBILE
Se è normale tutto questo allora crediamo in un progresso diverso, un progresso più umano, fatto dagli uomini per gli uomini, un progresso che sia anche sviluppo morale, come voleva Pasolini. Crediamo in un liberismo che non sia esasperatamente individualista. Se come dice Adam Smith, nella società liberista, “quando l’uomo agisce per il proprio interesse, è spinto da una mano invisibile a promuovere un fine che non era stato previsto dalle sue intenzioni: il bene dell’umanità intera”, io non posso trasformare gli altri in “carne da macello” per il mio profitto. Roosevelt, il Presidente degli Stati Uniti, in un discorso del 1932, in piena crisi economica, parlando dell’individualismo americano, affermava: “Io credo che i singoli dovrebbero avere intera libertà d’azione (. . . ) ma non credo che nel nome di quella parola sacra “individualismo”, un limitato numero di potenti interessi debbano avere il permesso di fare carne per il cannone industriale con la metà della popolazione degli Stati Uniti(….) Dobbiamo ritornare ai principi primi; dobbiamo far sì che l’individualismo americano sia ciò che si supponeva fosse: l’opportunità di lavoro e di successo offerta a tutti, il diritto di sfruttamento negato a chiunque”.
RESPONSABILITÀ
Riappropriamoci della nostra responsabilità. Essere responsabili significa rispondere di ciò che possiamo cambiare. Riappropriamoci di ciò che possiamo cambiare. Abbiamo sempre pensato di dover fare qualcosa di grande per poter cambiare le cose. Cambiamo prospettiva, pensiamo a qualcosa di piccolo ma che impegni le nostre vite nella quotidianità di ogni giorno, quando facciamo la spesa, quando cambiamo il nostro smartphone, quando ci affidiamo ad una banca. Anche una scatola di pomodori può fare la differenza. Acquistiamo solo prodotti capaci di garantire che dietro la loro produzione non ci sia lo sfruttamento di un uomo, non ci sia un caporale, non ci sia il disinteresse per l’ambiente. Pretendiamo che per il profitto economico delle industrie diventi rilevante la sostenibilità etica.
Non si sfruttano gli uomini o i bambini perché i nostri centri commerciali si rimpinguino di merce, non si uccide l’ambiente. Parliamo tanto di diritti dell’infanzia e mai come in questo periodo firmiamo Carte che elencano i diritti dei bambini, ma passiamo freneticamente da un cellulare ad un altro di ultima generazione senza pensare che in Congo centinaia di bambini abbandonano la scuola, lavorano come schiavi, sotto il controllo dell’esercito senza nessuna protezione per le mani e le vie respiratorie, per l’estrazione del coltan che serve per produrre i nostri cellulari. Si stima che per ogni chilo di coltan estratto muoiano due bambini. Perché ci rendiamo complici di questo? Spezziamo questa asocial catena! Diamo un messaggio chiaro all’economia ma anche alla finanza che consideriamo padrona assoluta e incontrollabile. È ora di finirla con le speculazioni finanziarie dove i soldi si inseguono per produrre altri soldi, senza saper né come né a che prezzo. Quali produzioni vengono sostenute dalle nostre banche? Quali traffici vengono alimentati? Pretendiamo aziende e banche al servizio dell’umanità, non sacrifichiamo l’umanità alle leggi dell’economia e della finanza.
LA NOSTRA STELLA POLARE
Lasciamoci ispirare da grandi ideali, volgiamo lo sguardo lontano, verso nobili orizzonti, non guardiamo sempre solo a terra, vicino al nostro orticello. Crediamo nella nostra democrazia, crediamo in un uomo che senta il bisogno prepotente di partecipare alla vita politica per il bene della casa comune. Perché dobbiamo rassegnarci ad un uomo massificato, inetto, incapace di giudicare e di capire? Crediamo in un uomo diverso. Non lasciamo che altri prendano decisioni che possiamo prendere solo insieme. È vero la politica, a volte, insegue i dati della scienza e la scienza non è democratica ma lo scienziato, nella società del futuro, deve essere un uomo democratico, un uomo che crede che la razionalità della scienza sia tale da poter dar conto di sé e persuadere anche i più “cretini”. Se come dice il fisico Carlo Rovelli “la realtà non è come ci appare”, lo scienziato per essere scopritore di nuove realtà non deve temere il confronto ma anzi deve accoglierlo come occasione di un dubbio fecondo.
Gli scienziati dovrebbero essere un esempio da seguire, per quello che dicono ma soprattutto per come lo dicono, perché capaci, più degli altri, di realizzare quell’ideale della ricerca associata tanto cara a Socrate, quell’unione amorosa tra anime che insegnano e apprendono, attratti unicamente dalla forza della verità. Crediamo, nel nostro futuro, che si possa essere liberi solo tra uomini liberi e che la libertà autentica sia solo plurale. Rafforziamo quella che Martha Nusbaum definisce “immaginazione narrativa”, la capacità di immaginarci nei panni di un'altra persona, di capire la sua storia personale, di intuire le sue emozioni, i suoi desideri e le sue speranze, per riconoscerci.
Crediamo nelle nostre radici perché come dice una canzone dei Sud Sound System, molto conosciuta tra i giovani del Sud: Se nu te scierri mai de le radici ca tieni Rispetti puru quiddre de li paisi luntani Crediamo nella giustizia sempre, comunque e ad ogni costo perché non possiamo più rimanere indifferenti a milioni di esseri umani esclusi dai nostri paradisi democratici, a popolazioni civili bombardate dalle nostre guerre combattute in difesa dei loro diritti. Battiamoci perché si affermi un diritto internazionale che ci permetta di superare il caos della legge del più forte, se non per il pungolo della nostra coscienza per l’evidenza della nostra ragione che oggi più che mai ha compreso come la legge del più forte non giova alla lunga neanche al più forte perché crea incertezza e precarietà e perché, come dice Hobbes, “il più debole ha forza sufficiente per uccidere il più forte”. Del resto, sappiamo bene che, a volte, basta un minuscolo virus.
Abbiamo scoperto, più che mai, in questi giorni, che per nostri figli la cosa più bella è stare insieme agli altri, nella stessa casa, sullo stesso campo di calcio, a lavoro, in strada, a piedi nudi sulla nuda terra, sulla sabbia del mare, sotto il sole. Allora facciamo in modo che, giorno dopo giorno, sentano il puzzo del compromesso e sappiano sempre da che parte stare, inseguendo quel “fresco profumo di libertà” che ci indicava il giudice Borsellino, sicuri che non possa esserci libertà per alcuno senza giustizia per tutti.
_ Ornella Bleve - Fonte LaPresse
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paoloxl · 4 years
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Diffondiamo alcune testimonianze operaie che danno bene l'idea di cosa sta succedendo nelle fabbriche e nei posti di lavoro del nostro paese:
Testimonianze operaie al tempo del Coronavirus
Carmagnola, 14/3
Ciao a tutti.
Sono un operaio del gruppo FCA, lavoro in una fonderia a Carmagnola (To) da circa 4 anni.
Come tutti voi sapete in questi giorni non si parla d'altro che di #quarantena, sicurezza e problemi gravi alla nostra sanità a causa del #COVID19 che ormai da più di un mese ha minacciato il nostro paese portandolo quasi alla chiusura totale di tutte le attività lavorative, eccetto ovviamente strutture sanitarie, alimentari e grandi realtà come l'azienda in cui lavoro.
Premetto che da qualche anno a questa parte, le aziende sotto FCA con gli ultimi contratti (tipo tutele crescenti) ha dato la possibilità alle stesse di farci lavorare su turni massacranti con sabati e domeniche pagati come giorni feriali, senza mai avere le spalle coperte dai sindacati che ormai lavorano in maniera palese in accordo con l'azienda.
Ma c'è di peggio, in questi giorni mi trovo costretto nonostante la grande emergenza #CORONAVIRUS a lavorare in un luogo di circa mille persone; a cambiarmi in uno spogliatoio con quattro persone affianco a me in pochi metri di distanza, non rispettando cosi nemmeno la distanza di sicurezza. Per non parlare di guanti e mascherine che non sono mai esistite e gli igienizzanti per mani che anzichè aumentare sono diminuiti.
L' azienda qualche giorno fa aveva comunicato che avrebbe provveduto a misurare la temperatura corporea ad ogni operaio all'ingresso e regolato il flusso negli spogliatoi (cose che non hanno mai fatto).
Inoltre ieri mattina é stata evacuata l'azienda intera per una "disinfezione" per poi scoprire tramite LA STAMPA che co sono due positivi al virus in uno dei tanti reparti; in tutto questo i capi sono a casa tranquilli.
Detto ciò, secondo l'ultimo comunicato aziendale noi dovremmo rientrare Martedi come se nulla fosse successo? Dove sono i sindacati adesso? Siamo schiavi delle multinazionali in questo momento.
Ringrazio il gruppo del Centro Sociale Askatasuna per rendere pubblico tutto questo.
Un operaio.
Provincia di Torino, 12/3 sempre da Centro Sociale Askatasuna
Ciao a tutti e tutte, fino a Martedi era tutto normale, facevano finta di nulla. Alle 16 sono stati chiusi spogliatoi, mensa, caffè. L' accesso al magazzino è consentito ad una persona alla volta e qui va ancora "bene" che lo stabilimento è interamente automatizzato e si riescono ad applicare le misure di sicurezza, che comunque sono un palliativo.
Altri lavoratori come noi si trovano in stabilimenti dove ci sono vere e proprie linee di produzione e li è impossibile.
Qui da noi il personale è, come dicevo, stato ridotto ma, da Lunedi, molti hanno deciso di stare a casa. Siamo cresciuti in officina e comprendiamo quei nostri colleghi che con trasferta e ore viaggio fanno quadrare i conti, non li critichiamo…
Qui i paesi (vivo in provincia) sono controllati solo da ieri dalle guardie e ci chiediamo a cosa cazzo servano visto che in giro non c' è nessuno (il contagio è ovviamente arrivato anche qui nella zona).
Qui, comunque, ci si sta anche organizzando. Una signora che è infermiera a Savigliano lavora ininterrottamente dalle 7 alle 21.00 e ci ha raccontato che ieri è scoppiato un mezzo casino perché lavorano senza protezione (non bastano per tutti gli ospedalieri).
Qui va bene che non siamo in città e stiamo cercando, nei nostri paesi, di darci una mano.
Un saluto a tutti i lavoratori, un abbraccio solidale e complice, a chi non può stare a casa perché non ha un tetto sulla testa.
Un lavoratore metalmeccanico.
 
Pisa, 13/3 da Riscatto
 
“Evitiamo di ammalarci”. Sciopero totale degli operai Piaggio e Ceva
“Sono dieci giorni che in fabbrica la tensione è a mille. Che nella pentola a pressione l’acqua ribolle”. La molla è stata la proclamazione ufficiale dello stato di “pandemia” causata dall’espansione del coronavirus e il discorso di Conte che annunciava il nuovo decreto “ritoccato” da Confindustria sulla chiusura dei negozi, ma non delle fabbriche. Migliaia di donne e uomini, rinchiusi a forza sulle linee di montaggio o tra i corridoi dei magazzini industriali di Pontedera, hanno rifiutato questo piano governativo.
La notizia di qualche giorno fa di un lavoratore di un reparto della grande multinazionale di Pontedera risultato positivo al tampone di Coronavirus ha prodotto la quarantena per una ventina di colleghi… per gli altri 2480 operai invece… qualche mascherina e un pò di gel igienizzante sulle mani. Alla Ceva, grande centro ricambi Piaggio, i 200 operai da lunedì aspettano tutti gli stessi materiali per l’igiene, mascherine, guanti, gel. Le così tanto importanti condizioni di sicurezza valgono per tutti, dice Conte, meno che per gli operai. Così giovedì mattina i RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) di Ceva e Piaggio chiedono ufficialmente ai responsabili di fare andare a casa gli operai, di chiudere gli stabilimenti, di mettere tutti in sicurezza. In Piaggio attivano la teleconferenza con gli alti vertici di Colaninno… rispondono dopo un’ora.
Per loro è tutto a posto! Le condizioni di sicurezza in fabbrica sono conformi a quanto dichiarato nel decreto di Conte.
Nemmeno il tempo di finire la frase… i delegati di Fiom, Usb, Si Cobas si trovano già a comunicare a una marea montante di operai lo sciopero per l’intera giornata di giovedì e venerdì. Ma questa volta è uno sciopero diverso, anche in Ceva. Vengono fuori tutti, anche i capetti, i capoturno. Solo i dirigenti rimangono barricati nei loro uffici. Tutti hanno paura di ammalarsi, tutti vogliono evitare di contagiare i propri cari. La volontà di continuare a produrre da parte aziendale non conta molto in realtà… il senso comune e l’opinione generale operaia è che il gioco (il lavoro), non vale la candela (la salute). Escono tutti.
Nei corridoi prendono forma le ovvie rivendicazioni “non si fa mica il Pane, facciamo le vespe, non sono beni di prima necessità”. “Guarda là, pensano che siamo scemi, fanno finta di metterci in sicurezza, mettendo le sedie distanti una dall’altra a mensa, cambiando la disposizione dei tavoli, facendo casino coi turni e con le pause.. tutto per continuare a farci lavorare. Ma siamo in catena e i bagni fanno schifo… qui c’è da rimanere a casa”. La contraddizione tra il #restiamoacasa e il “continuiamo a lavorare” è troppo grande. Tra i duecento ragazzi neoassunti dalla Piaggio con le agenzie interinali ce n’è qualcuno, giovanissimo, che racconta dei conflitti familiari. “Il mi babbo mi ha detto, ma cosa fai, hanno trovato uno positivo al coronavirus e continui ad andare a lavoro? Cosi ci ammali tutti!” Gli fa eco un operaio vicino al pensionamento.. “Mia moglie mi tiene fuori casa se continuo a venire in questo focolaio”
Solo a quel punto, con gli operai Ceva e Piaggio già fuori, arriva la disperata presa d’atto della Direzione Aziendale, portata per bocca dei sindacati confederali di Cisl e Uil. “Domani tutti a casa, in permesso retribuito. E fino a lunedì procederemo con una sanificazione straordinaria dei locali… ci vediamo lunedì.” così chiedono di sospendere lo sciopero agli operai. Che puntualmente rifiutano. Lo sciopero rimane attivo. “Da qui a lunedì si vedrà se il governo cambia idea e smette di considerarci carne da macello. Altrimenti rimarremo tutti a casa”! Commentano dal piazzale di Pontedera.
Fa impressione vedere il banale senso di protezione per sè e per la propria famiglia, rimbalzare di fronte alla stupidità di queste Direzioni, interessate solo ai soldi. Questa volta però anche i tradizionali sistemi di controllo e gestione della forza lavoro non funzionano, i sindacati compiacenti con le Aziende sono soli, e inutili. E’ una marea montante che mischia paura, coraggio, senso di responsabilità e la consapevolezza che non sia possibile continuare ad essere letteralmente strizzati sulle catene di montaggio in questa situazione pandemica… Rimbalzano le parole da un video che gira su facebook di un’infermiera “gli ospedali sono pieni, fatelo per noi operatori ospedalieri, operai state a casa per non aumentare il contagio!”. C’è la sensazione di una “conta” tra chi salvare e chi no, tra chi avrà tutte le cure e chi sarà sacrificato.
Per non contribuire al collasso della sanità pubblica, a Pontedera gli operai Piaggio e Ceva decidono di rimanere a casa.
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xx-fra-xx-blog · 5 years
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Buon compleanno amore mio♥️🔥
Il 𝟛𝟘 𝔾𝕚𝕦𝕘𝕟𝕠 𝟚𝟘𝟘𝟞 sei nata tu, una delle persone più importanti della mia vita, non so cosa farei senza di te perché mi sentirei persa o confusa. Appena entrata nella mia vita subito ho notato che non eri una ragazza come le altre, eri diversa, eri -VERA- non falsa come le altre. Sei fantastica, meravigliosa,semplice, naturale, energica, una ragazza bellissima, solare senza filtri, che ci si può fidare e con il bellissimo carattere, ci sono più di 100000 parole per descriverti, anche se so che non bastano sei straordinaria!!! Subito ho capito che saresti diventata la mia migliore amica, la mia compagna di di avventura, la ragazza con cui fare figure di merda e poi scappare ridendo, fare foto, video e parlare di segreti. Come farei senza di te? E come avrei fatto se non ti avrei conosciuto? Sei stata sempre al mio fianco anche nei momenti in cui tutti mi hanno mollato e rimanervi tu sempre con me. Grazie a te ho capito davvero cosa significhi la parola amicizia e ho imparato i valori più importanti della vita. Vorrei essere con te oggi, come ieri e come domani. In fondo le ricorrenze servono a far sentire ancora più vicine le persone vicine e lontane le persone lontane, ma io lontano da te non ci volgio stare. Ho voluto farti questa lettera per quando nei momenti bui tu possa leggere questo tirati su e sentirti importante è nei momenti felici di ricordarti che io ci sarò sempre e per sempre. Vedo molte persone che dicono che non si lasceranno mai e poi perdersi per nulla, invece noi rimarremo per sempre perché la nostra amicizia è vera. Prima di incontrare te non avrei mai pensato di trovare una persona che mi capisse o a farmi sorridere con una chiamata o un messaggio. Ci siamo conosciute da molto piccole ma per davvero non sapevamo che saremo diventate migliori amiche. Beh ho notate che in alcune amicizie l'amicizia di conti per anni e si facciano ~mesiversari~ e ~anniversari~ e cagata così, per noi non è così, perché non ci rendiamo conto del tempo che si passa insieme. << Ah io la conosco da quando avevo 11 anni>> non gli anni, non i mesi e manco i giorni, solo l'età e il bello di noi è che non c'è ne facciamo caso. Ci son stati momenti belli e momenti brutti, momenti di sclero e momenti di incazzatura, momenti di pianti e momenti di gioie, momenti di sfogo e momenti di puro relax, qualunque momento che abbiamo passato l'abbiamo passato insieme fianco a fianco. Molte amicizie sono come come "castelli di sabbia" sono belli ma non possono durare per sempre, ma la nostra si che durerà per sempre
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Mi ricordo quando ti ho conosciuto la prima volta, e credimi non dimenticherò mai quella volta perché fu proprio da quel momento che i miei occhi iniziarono a guardarti come se fossi la cosa più bella di questo modo. Come sai non sono brava a fare i poemi dolci strappa lacrime ma se mi ci metto sono carina anche io dai. Dovrei stare qui a scriverti mille parole, perché si sa che quando si fanno gli auguri di solito si devono scrivere tante cose carine, qualche sdolcinatezza scontata, parole messe un po’ a caso quasi perché sembra giusto fare così. Nel tuo caso però ne basterebbe solo una: grazie con la “G” maiuscola. Grazie per essere il mio punto di riferimento. Grazie per essere la mia eroina. Grazie per spingermi sempre a dare il meglio di me. Per avermi insegnato a non accontentarmi del mio minimo, e neanche del mio massimo. Grazie per credere in me, anche quando io non riesco a farlo. Grazie per avermi reso la persona che sono oggi. Grazie per le chiacchierate notturne, per la compagnia durante le notti d'insonnia. Grazie per tutti quei momenti nostri, che non ci porterà via nessuno. Grazie per i consigli, per le prediche, per le critiche. Grazie per capirmi con uno sguardo. Grazie per essere l'amica di cui ho bisogno. Ti auguro ogni bene, ogni gioia, ogni sorriso, perché è tutto ciò che tu hai regalato a me.. Da quel giorno in qui ci siamo parlate a quanto pare avevamo già capito che saremo state buone macché ottime amiche. Hai un carattere strano ma stupendo allo stesso momento che boh certe volte ti strozzerei, ma in fondo sei anche comprensiva, solare, UNICA, insostituibile, spacca palle, sincera che mi permette di essere me stessa PAZZAAA, bipolare e fragile.
Ti ricordi quante ne abbiamo passate insieme? Eggià sono duri da dimenticare i pomeriggi passati a parlare di cose serie, stupidaggini, e di amori infranti, sbagliati o addirittura futuri (letteralmente immaginari ah ah).
Sono seria da quando ti ho conosciuta sono cambiata. Con te sono stata sincera fin dal primo momento. mi dicevi i miei sbagli, i miei errori, sgridandomi peggio di mia madre, mi tenevi solo la mano e mi abbracciavi per farmi capire che c'eri che eri li con me nonostante tutto.
voglio esserci quando vedi le candeline, esprimi un desiderio e soffi,voglio esserci quando piangi, essere quella spalla, quella che ci sarà sempre, voglio esserci quando sorridi e ridi con le lacrime agli occhi.
Ci faremo il primo tatuaggio assieme, e poi ci tingeremo i capelli di blu, biondi a mo pulcino, rosa, e poi ritorneremo dinuovo more per poi ricambiare colore. Ci faremo tante foto insieme, le più pazze. Andremo al cinema e io ti ruberò tutti i popcorn e commenterò ogni battuta (come se fosse difficile per me ah ah). Compreremo i vestiti insieme e ti metterai a ridere quando mi vedrai camminare sui tacchi (cadendo). Sceglieremo i regali di Natale insieme, e faremo gli scherzi più bastardi in giro (e ci sappiamo fare eh😏). Andremo in giro con la pioggia e coi tuoni che spaccano l'asfalto, io e te, e tenedoci per il braccio ci metteremo a correre in mezzo al traffico per non bagnarci. Andremo al Mc e ci abbufferemo come pazze, staremo in macchina col volume della musica al massimo a cantare a squarciagola. Guarderemo il sabato sera puntate su puntate di serie tv per addormentarci col pc addosso. E noi aspetteremo, no? Per tutto questo, no? Perché, noi ne valiamo la pena, ricordi? Io con te e tu con me.
Sto pensando ai nostri momenti, non a tutti i singoli momenti passati insieme, sarebbero troppi. Solo alle cose più belle, più significative. Tipo il giorno in cui ci siamo conosciute, il primo sguardo, la prima risata. La prima volta in cui ci siamo confidate per davvero, quando abbiamo capito di esserci trovate, di essere fatte per essere amiche. 
I sorrisi più veri, i viaggi che sogniamo di fare insieme, le ore passate al cellulare. Gli abbracci stretti fortissimi, quelli che riescono a salvarci da qualunque problema, quelli che ci donano la consapevolezza di sapere che il “Noi” c'è sempre, nonostante le liti, nonostante i pareri diversi o le incomprensioni. La prima volta in cui ho pianto davanti a te e ho capito quanto la sola tua presenza bastasse a consolarmi. Forse è semplicemente questo una amica, anzi il “tutto”. Una persona che ti rende felice, che ti permette di andare avanti nonostante tutto, e che per farlo non ha bisogno di grandi gesti o dimostrazioni strane. Qualcuno che riesca a salvarti da tutto, anche semplicemente standoti affianco. E a volte siamo tutte portate a darla per scontato, a considerarla una cosa normale, ma non lo è affatto. Avere una persona che ti capisce senza le parole e che sa farti sorridere solo con la sua presenza, è la cosa migliore del mondo.
Non sono un'amica perfetta lo ammetto, so che sembro stare altrove a volte,
capitano a tutti le giornate storte e a me molto spesso ah ah ma Ma tu sei diversa da tutte le altre, nel senso positivo, in pochissimi mesi mi hai travolto come uno tsunami e mi hai cambiata…
Non ci conosciamo ma allo stesso tempo si, sei fantastica.
Come dice Ligabue, eri solo da incontrare ma ci sei sempre stata,
Cavolo se è vero…
Prometto che io per te ci sarò sempre, perché sono sicura che noi due siamo qualcosa di particolare e unico che non verra mai rovinato.
Si, forse sono paranoica e non vedi l'ora che finisca sto poema ma volevo farti capire quello che forse in questi anni non sono riuscita a dimostrarti, cioè che ti considero più di una semplice amica, tu sei complessa ed è forse solo per questo che mi capisci e comprendi.
AUGURI VITA MIA, LUCE DEI MIEI OCCHI, ARIA DEI MIEI POLMONI E ROTTURA DEI MIEI COGLIONI..TI AMO IMMENSAMENTE SCASSACAZZO CHE NON SEI ALTRO…ah ah il mio stile non manca maiii!
Beh Buon Compleanno!
Non dirò 12 anni fa è nata la perfezione,
perchè tu sei un disastro, uno dei più belli al mondo.
Grazie per ascoltarmi sempre, grazie per avermi dato la possibilità di esserti amica, grazie per le attenzioni che mi dai. Per tutte le volte che sei riuscita a capirmi, per tutte quelle volte che mi hai regalato un sorriso, per tutte quelle volte che sei riuscita a farmi sentire importante, per tutte quelle volte che mi sei stata vicina, per tutte quelle volte che avrei voluto dirti tante cose, che tu hai compreso senza che io aprissi bocca, grazie perché con te ho imparato che esistono davvero le persone che non ti cambiano solo la giornata ma la vita. GRAZIE!!
Ci saranno ancora tante cose di cui ridere, tanti pomeriggi per uscire, tante ore da passare al telefono o a messaggiare, e tante ore da passare al tuo fianco.
Siamo ancora qui, nonostante c'è chi vuole dividerci;
Nonostante le incomprensioni;
Nonostante i litigi;
Nonostante gli stili di vita diversi;
Nonostante i nostri caratteri differenti;
Nonostante il tempo che passa velocemente; Nonostante la gelosia disinteressata;
Nonostante le altre persone che tentano di conquistarci e farci allontanare;
Nonostante i pettegolezzi;
Nonostante le nostre “lune storte”;
Nonostante io ti faccia sempre arrabbiare; Nonostante tu, a volte, mi faccia perdere la testa ; Nonostante tutto e tutti, noi siamo ancora qua. “Insieme”.non ti auguro la felicità perché é troppo facile fin troppo facile da dire ti auguro di saper trovarla in ciò che ti circonda! Non ti auguro il meglio perché è troppo relativo ti auguro di saper trarre il meglio da ogni situazione in cui ti troverai..Non ti auguro di non sbagliare mai perché è impossibile anzi inpossibilissimo cioè cazzo,ma ti auguro di avere sempre una seconda opportunità per rimediare…Non ti auguro di non cadere mai troppo da falsi ti auguro di avere la forza di rialzarti quella forza che dovrebbero avere tutti ma che pochi anno… e una mano che ti aiuti a farlo e la mia ci sarà sempre
Te lo prometto…
Non ti auguro di non avere paura troppo difficile ti auguro di avere il coraggio di vivere fino in fondo la tua vita…
Non ti auguro semplicemente l'amore troppo banale 🙄so che è difficile farlo ma ti auguro di saperlo riconoscere quando ce l'avrai davanti e di vivere finalmente la tua favola.
Ti auguro una vita vissuta intensamente, fatta di dolori e di gioie che li cancellino il dolore ,di sorrisi rubati e di lacrime nascoste, di arrivi e addii, di sentimenti veri, di paure e di coraggio, di piccoli gesti che colmano grandi vuoti, di occhi sereni, di parole piene di significato, di sguardi intensi, di follie e di normalità, di sbagli e di perdoni, di ritorni, di bravate con gli amici che se vorrai fare sappi che son qua a seguirti ovunque😉, di passeggiate al tramonto o al chiaro di luna, di viste mozzafiato, di amora …. insomma una vita non monotona non uguale… Una vita piena, vissuta sempre al massimo, piena di odori, di sapori, di colori… 
Ti augureranno sicuramente di avere ogni cosa che tu voglia,io ti auguro di sapere quello che vuoi perchè solo allora lo otterrai!
Ripeto per l ennesima volta Semmai avessi bisogno di me anche solo per stare in silenzio, sai che ci sarò sempre.Una spalla su cui piangere. Una mente comprensibile, leale. Un sorriso complice, simile con cui ridere e sdrammatizzare… Una mano su cui contare. Due braccia che non si stancheranno mai di abbracciarmi se avrò bisogno. Una persona al mio fianco che forse non è così tanto lontana dal mio essere. Lo sai non avrei mai pensato che potessi diventare l'amica più importante… forse non ci speravo nemmeno, non credevo, non immaginavo… infondo gli amici io già li avevo… eppure zitte zitte anche solo sentendoci ci iniziammo ad avvicinare l'una all'altra. Se ci pensi non era tutto poi così normale. Io e te ci conoscevamo davvero da poco e fin da subito non riuscivamo a smettere di sentirci ci siamo sempre trovate bene. Iniziò per caso, parlando del più e del meno ma il resto è inutile che io te lo stia a raccontare sai bene come sono andate le cose. Da quel giorno la mia vita è cambiata, è migliorata. Abbiamo condiviso cosi tante cose, abbiamo pianto così tante volte, riso, quanti dei nostri discorsi ci siamo ideate l'una per l'altra, per sentire un giorno pesante un po’ meno sulla schiena. Abbiamo attraversato molti momenti difficili rendendoli un po’ meno tremendi e altrettanti momenti belli sottolineando ogni parte indimenticabile. La cosa migliore e che ogni cosa che abbiamo fatto l'abbiamo condivisa insieme. Ogni particolare è arrivato dentro di noi come se fossimo una cosa sola. La cosa maggiormente bella è che stiamo crescendo insieme, piano piano, attraverso esperienze e delusioni. Stiamo crescendo mano a mano insieme, riempiendo questo immenso puzzle della nostra vita. Raccogliamo delusioni. raccogliamo momenti che purtroppo non possiamo più rivivere, impariamo dai nostri errori e se stiamo per risbagliare c'è sempre l'altra che si ricorda dei precedenti e aiuta a non sbagliare più. Cresciamo, cresciamo ogni giorno, viviamo tante emozioni e le nostre menti sono come un libro. Il nostro libro perché tu mi completi e sei il mio equilibrio. Sei la mia migliore amica, potessi ti vorrei accanto per tutta la vita. Sappi che se dovremmo perderci non ti dimentichi mai, perché tu fai parte me, ogni cosa sa di te, ogni volta che mi accade qualcosa sei il mio primo pensiero, sempre dentro la mia testa scatta quel campanellino: “Non vedo l'ora di raccontarlo a “BEST” persona, a no scusa BEST UNICORNO. Sei insostituibile e spero che sia sempre lo stesso per te. Maturando e durante le mie ultime esperienze mi sto rendendo conto che io non tengo veramente a niente, sono sempre superficiale, tu sei la differenza dentro a milioni di “tanto non mi interessa”. lo a te non farei mai del male, nemmeno sotto tortura, nemmeno per sbaglio. Ho un carattere difficile, a volte so di portarti al limite della pazienza e ti ringrazio per non essertene mai andata, per avere il coraggio di mettere l'orgoglio da parte e aspettarmi sulla strada della ragione a braccia aperte. Siamo due adolescenti che al limite della ragione, ogni giorno, speriamo ancora nell'impossibile. Pensiamo a quel punto che nella nostra testa purtroppo non se n'è mai andato, ci facciamo del male, ci laceriamo il cuore, anche per delle piccolezze e teste di cazzo come siamo non so se smetteremo mai. So che ti faccio arrabbiare spesso, parlandoti di Mariangelo , e che molto spesso sono gelosa, ma sono gelosa perché tu sei MIA e non vorrei mai pederti💕🥺. Le nostra prima uscita, fu per il mio compleanno, ci sentivamo già prima ma non eravamo del tutto migliori amiche. Poi il giorno di Natale hahahah come dimenticarsi quel giorno? Rimandando sempre l'orario di ritorno ai nostri genitori per rimanere il più tempo possibile insieme, poi le nostre foto tutte strane coi pali, i nostri video ecc. Poi San Valentino; la festa degli innamorati, beh io lo passata con te, che sei la cosa più bella del mondo, l'ho passata al meglio perché c'eri tu con me. I nostri anelli, (perché noi siamo sposate) le figure di merda con crush. Detto questo auguri amore mio💕🧸🖇🌸
Preso spunto da altri post♥️
#auguri #bff #buoncompleanno #italy
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gloriabourne · 5 years
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The one where Ermal takes a break
"Sei sicuro di questa decisione?"
Fabrizio gli aveva posto la domanda con tono preoccupato.
Quando Ermal gli aveva comunicato la sua intenzione di prendersi una pausa per poter lavorare con calma al suo prossimo album, Fabrizio lo aveva lasciato parlare senza dire nulla.
Non era la prima volta che Ermal parlava di prendersi una pausa, ma poi finiva sempre per ripensarci.
Aveva parlato per mesi di un anno sabbatico che in realtà sembrava non iniziare mai, quindi quando Ermal disse a Fabrizio che era davvero intenzionato a fare un ultimo concerto e poi prendersi un po' di tempo per sé stesso, Fabrizio non gli aveva creduto.
Ma quando Ermal aveva comunicato la notizia sui social, Fabrizio aveva capito che questa volta la pausa ci sarebbe stata davvero. E così - mentre se ne stava accasciato sul divano di casa sua, a guardare i bambini che aprivano i dolci trovati nelle calze della Befana - aveva preso il telefono, lo aveva chiamato e con tono preoccupato gli aveva chiesto se fosse davvero certo della sua scelta.
"Sì, Bizio. Ho bisogno di riposarmi un po'. Sono esausto e allo stesso tempo non voglio fermarmi, ma se non mi prendo una pausa va a finire che impazzisco" disse Ermal.
"Non sei in grado di stare lontano dal palco per troppo tempo" gli fece notare Fabrizio.
"Lo so" disse Ermal sospirando.
La musica, il palco, i suoi fan erano la sua vita. Sarebbe stato difficile prendersi una pausa, ma doveva farlo.
Si sentiva come se negli ultimi tre anni fosse invecchiato più velocemente che in tutto il resto della sua vita e non poteva continuare così. Doveva fermarsi, riprendere fiato, concentrarsi sulle altre cose importanti della sua vita: la sua famiglia - che ormai vedeva fin troppo di rado -, il nuovo album, e Fabrizio.
Fabrizio era il pensiero che lo assillava maggiormente.
Le cose tra loro avevano iniziato a prendere una piega diversa a Lisbona.
Ermal non ricordava nemmeno bene come fosse successo, semplicemente una sera si erano ritrovati a baciarsi nella sua stanza come due ragazzini ed Ermal si era sentito così bene che aveva capito che Fabrizio era quello giusto.
Era la persona che lo avrebbe sempre accettato, nonostante tutto. Era la persona su cui avrebbe potuto appoggiarsi nei momenti difficili, che lo avrebbe salvato quando ne avrebbe avuto bisogno.
Ma il loro lavoro, il fatto che abitassero in città diverse e soprattutto le paure di entrambi - che non sapevano come affrontare una situazione simile senza creare troppo scalpore - li avevano frenati, spingendoli a godere dei piccoli momenti che riuscivano a ritagliarsi ma senza mai andare troppo oltre.
Non avevano mai detto di stare insieme, anche se facevano tutto ciò che avrebbe fatto una coppia. Non avevano mai detto di amarsi. Non avevano mai fatto progetti che includessero la loro vita privata.
E ad Ermal quella situazione iniziava a stare stretta.
Prendersi una pausa avrebbe significato avere più tempo, avere la possibilità di ritagliarsi più momenti per stare con Fabrizio, riuscire a fare dei progetti e magari riuscire a farsi passare le paure.
Perché - Ermal ne era certo - se avesse passato più tempo con Fabrizio, si sarebbe reso conto di cosa si stava perdendo e le paure sarebbero passate in secondo piano.
Quindi era anche - forse soprattutto - per Fabrizio che Ermal aveva preso quella decisione. E sapeva benissimo che sarebbe stata dura, ma per Fabrizio, per stare anche solo un po' di più insieme a lui, avrebbe fatto qualsiasi cosa.
  La sera del 19 aprile, la casa di Ermal era diventata il luogo di ritrovo della band.
Beh, la band più Fabrizio, che a differenza degli altri ospiti previsti per il concerto del giorno successivo era arrivato a Milano con un giorno di anticipo.
Marco aveva insistito per vedersi quella sera e aspettare la mezzanotte insieme per festeggiare il compleanno di Ermal, visto che il giorno seguente sarebbe stata una giornata pesante per tutti e probabilmente non avrebbero avuto modo nemmeno di bere qualcosa insieme con calma.
Ermal avrebbe preferito di gran lunga passare la serata da solo con Fabrizio, visto che non si vedevano da parecchio tempo, ma nessuno dei suoi amici era a conoscenza di quale fosse davvero la situazione tra loro due quindi non aveva potuto tirarsi indietro.
Così, appena dopo cena - e fortunatamente dopo che Fabrizio aveva avuto l'accortezza di infilarsi qualcosa addosso e di smettere di girare per l'appartamento di Ermal in mutande - i ragazzi della band si erano fiondati lì, carichi di birre.
E anche se all'inizio Ermal aveva immaginato di passare la serata a recuperare il tempo perso con Fabrizio, dovette ammettere che era felice che i suoi amici fossero lì.
Si sentiva leggero e sapeva che non era merito delle birre che aveva bevuto.
Semplicemente era felice di stare con i suoi amici e con Fabrizio, era felice di vedere come Fabrizio si sentisse a suo agio con la sua band e gli sembrò, per la prima volta, di vivere una vita normale in cui per avere una bella serata bastava restare a casa insieme ai suoi amici e al suo fidanzato.
Si voltò verso Fabrizio, seduto alla sua sinistra, e sorrise vedendolo chiacchierare tranquillamente con Andrea.
"Scusa, ma che dovrei vedere? Io non vedo un cazzo!" disse Fabrizio a un certo punto, mentre stava guardando un video sul cellulare di Andrea.
"E certo, sei vecchio! E con la vecchiaia, la vista peggiora" disse Ermal, non perdendo l'occasione di prenderlo un po' in giro.
Fabrizio si voltò verso di lui e disse: "Non sei tanto più giovane di me."
"Giovane quanto basta per non avere problemi di vista. Tu, alla mia età, già li avevi!"
"Hai sempre detto che sono carino con gli occhiali!" rispose Fabrizio fingendosi offeso.
Ermal sorrise. "È vero. È una delle tante cose che mi ha fatto innamorare di te."
Poi, come se non fosse successo niente, come se non avesse appena confessato a tutti di essere innamorato di Fabrizio, si alzò e si diresse verso la cucina per prendere un'altra birra.
Fabrizio rimase immobile a fissare il punto in cui un momento prima era seduto Ermal.
Non gli aveva mai detto di essere innamorato di lui. Non se l'era mai lasciato sfuggire nemmeno mentre facevano l'amore.
Fabrizio non pensava nemmeno che la provasse, una cosa del genere. In fondo, Ermal non aveva mai dato segno di voler ufficializzare la loro relazione - ammesso che il loro rapporto potesse essere definito in quel modo - o di volerne parlare con le persone a lui care.
Sollevò lo sguardo notando lo stesso stupore sulle facce dei ragazzi della band.
"Ci siamo persi qualcosa?" chiese Dino a un certo punto.
Fabrizio non fece in tempo a rispondere che Ermal tornò a sedersi accanto a lui, come se niente fosse.
"Che succede?" chiese Ermal notando tutti gli sguardi dei presenti su di sé.
"C'è qualcosa di cui vuoi parlarci?" chiese Marco.
Poi Andrea aggiunse: "O magari qualcosa di cui non vorresti parlare, ma che ormai sei obbligato a dirci."
Ermal si voltò verso Fabrizio, cercando di capire di cosa stessero parlando, ma lui teneva lo sguardo basso e sembrava voler evitare di guardarlo.
Il fatto era che Fabrizio aveva paura. Anzi, era spaventato a morte!
Ermal non gli aveva mai detto di essere innamorato di lui e non poteva credere che lo avesse fatto per la prima volta nel bel mezzo di una battuta, quindi si era convinto che fosse una di quelle frasi dette così, tanto per scherzare. Temeva che se i ragazzi avessero fatto altre domande, Ermal si sarebbe giustificato dicendo che stava solo scherzando. E temeva che a quel punto la delusione nei suoi occhi sarebbe stata impossibile da nascondere.
Lui era innamorato di Ermal dalla prima volta che si erano baciati - una sera di maggio a Lisbona - e da lì non aveva smesso di amarlo nemmeno per un secondo.
Ma non glielo aveva mai detto perché sapeva che per Ermal era una situazione nuova, che non aveva mai provato attrazione per un uomo prima di lui. All'inizio semplicemente non voleva complicare le cose e poi, quando ormai si frequentavano da un po', avevano raggiunto un equilibrio che Fabrizio non avrebbe voluto rovinare per niente al mondo. Nemmeno per i suoi stessi sentimenti.
"Ma di che state parlando?" chiese Ermal, riportando lo sguardo sui suoi amici.
"Non ti sei accorto di quello che hai detto?" chiese Dino, ovviamente conoscendo già la risposta. Se Ermal si fosse reso conto di ciò che era uscito dalla sua bocca, di certo in quel momento non sarebbe stato così tranquillo.
Ermal continuava a guardarli perplesso. "Ma quando?"
"Ermal, hai detto che sei innamorato di Fabrizio" disse Emiliano.
Ermal spalancò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento di aver detto una cosa simile.
Gli era semplicemente sfuggito. Quel pensiero si era formato nella sua testa ed era uscito dalle sue labbra in maniera così naturale che nemmeno se n'era accorto.
Fabrizio si voltò verso Ermal e, vedendo che tardava a rispondere, ingoiò il nodo che gli si era formato in gola e disse: "Dai, mi pare ovvio che stava scherzando. Allora, facciamo una partita a carte?"
Gli altri, seppur non convinti che quella di Ermal fosse una battuta, annuirono e lasciarono cadere il discorso.
Nessuno parlò di ciò che era successo per il resto della serata, ma quando poco dopo l'una i ragazzi iniziarono a dire che si stava facendo tardi e che sarebbe stato meglio andare a dormire, Ermal capì che non poteva continuare a scappare. Poteva evitare l'argomento con i suoi amici, ma non con Fabrizio.
Appena i ragazzi uscirono dall'appartamento, Ermal sospirò e raggiunse Fabrizio - che stava riordinando la cucina - con l'intenzione di riprendere il discorso di qualche ora prima. Ma Fabrizio continuava a evitarlo, cercando di tenersi impegnato e di non rivolgergli nemmeno uno sguardo.
"Bizio..." lo richiamò Ermal.
"Vai pure a dormire, io finisco di rimettere a posto qui" rispose Fabrizio senza nemmeno sollevare lo sguardo.
Ermal gli tolse dalle mani una bottiglia vuota di birra e la appoggiò sul tavolo, costringendo Fabrizio a prestargli un minimo di attenzione.
"Dobbiamo parlare, Bizio."
Fabrizio scosse la testa. "Non c'è niente da dire. È tutto ok."
Cercò di allontanarsi da lui, di sfuggire da quella conversazione che lo stava mettendo con le spalle al muro, ma Ermal lo trattenne per un polso.
"Ti amo" sussurrò Ermal.
Sentì il battito di Fabrizio accelerare di colpo e vide i suoi occhi spalancarsi sorpresi.
Sorrise e poi ripeté: "Ti amo, Bizio. Non so per quale motivo non te l'ho mai detto. Forse perché avevo paura. Ma questa sera c'è stato un attimo in cui mi sono sentito così bene che i miei sentimenti sono semplicemente usciti, senza che io potessi controllarli. E so che farti sapere che sono innamorato di te dicendolo davanti a tutti non è proprio il massimo, ma è una cosa talmente naturale, amarti è una cosa così semplice, che nemmeno mi sono accorto di averlo detto."
"Quando gli altri hanno chiesto spiegazioni e tu sei rimasto in silenzio, ho pensato davvero che lo avessi detto per scherzo" disse Fabrizio.
Ermal scosse la testa. "No, è solo che non ne abbiamo mai parlato e non sapevo se tu saresti stato d'accordo a dirglielo oppure no. Non sapevo come reagire."
"Sono i tuoi amici. Se vuoi dirgli di noi, per me va bene" disse Fabrizio.
"Allora c'è un noi" disse Ermal sorridendo.
"C'è sempre stato" disse Fabrizio prima di baciarlo. Poi si allontanò per un attimo e disse: "Ah, comunque ti amo anch'io."
  Il giorno seguente, stare vicino ad Ermal era impossibile.
Era un fascio di nervi e ogni cosa sembrava andare storta.
Prima se l'era presa con la sveglia che non aveva suonato, spingendolo ad insultare il suo cellulare come se servisse a fare miracolosamente tornare indietro il tempo.
Poi se l'era presa con Fabrizio, incolpandolo di averlo fatto andare a dormire tardi e proprio per quel motivo le sue occhiaie erano più profonde del solito.
Fabrizio aveva cercato di ironizzare, facendogli notare che erano andati a dormire tardi perché avevano passato la notte a fare l'amore a sussurrarsi che si amavano come due ragazzini. A quel punto, la cosa era peggiorata ulteriormente, Ermal si era innervosito ancora di più e aveva detto: "Ecco, forse sarebbe stato meglio se tu fossi arrivato solo per il concerto."
Fabrizio non aveva replicato - consapevole che Ermal avesse parlato senza riflettere e che in realtà non pensasse davvero quelle cose - ed era rimasto in silenzio per quasi tutto il giorno, proprio per evitare di peggiorare le cose.
Ermal aveva iniziato a calmarsi solo quando erano arrivati al Forum.
Per quanto fosse visibilmente agitato, stare sul quel palco - anche solo per le prove - gli dava un senso di tranquillità e di pace.
Fabrizio lo aveva guardato per tutto il tempo, godendosi la sua espressione felice e il suo sorriso.
Nel frattempo, al Forum erano arrivati gli altri ospiti della serata ed Ermal - grazie alla presenza di tutte quelle persone, che non solo erano suoi colleghi ma soprattutto erano suoi amici - aveva iniziato sentirsi meno teso.
Non vedeva l'ora di salire sul palco, di cantare con loro e di salutare il suo pubblico.
"Visto che è il compleanno di Ermal, io proporrei un brindisi" disse ad un certo punto J-Ax, afferrando una bottiglia di vino e dei bicchieri di plastica.
Elisa lo aiutò a riempire i bicchieri e a distribuirli ai presenti, fino a quando tutti si ritrovarono con un bicchiere pieno tra le mani in attesa che il festeggiato parlasse.
"Credo di non avere niente da dire, se non: grazie. Davvero, grazie a tutti. Non solo perché siete degli ottimi colleghi, ma soprattutto perché siete dei buoni amici" disse Ermal. Poi si voltò verso Fabrizio, che era in piedi accanto a lui, e aggiunse: "Qualcuno è anche più di un amico."
Fabrizio sorrise mentre faceva scivolare una mano in quella di Ermal e intrecciava le dita con le sue.
Tutti notarono lo scambio di sguardi e le loro mani che si univano, ma nessuno disse nulla. Forse perché in fondo tutti avevano sempre saputo che tra Ermal e Fabrizio c'era qualcosa.
Forse alcuni di loro lo sapevano da prima che se ne rendessero conto loro stessi.
"Buon compleanno" disse Elisa alzando il bicchiere, seguita subito dopo da tutti i presenti.
Ermal sorrise e, mentre tutti bevevano e riprendevano a chiacchierare tra loro, si voltò di nuovo verso Fabrizio.
Il più grande non gli aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un attimo e, anche in quel momento, continuava a guardarlo con il sorriso sulle labbra.
"Buon compleanno" mormorò a un certo punto.
"È il compleanno migliore di sempre" disse Ermal. Poi si avvicinò a Fabrizio e lo baciò, senza preoccuparsi degli sguardi degli altri.
Era il suo compleanno, aveva accanto la persona che amava e stava per festeggiare cantando davanti ai suoi fan. Tutto il resto non aveva importanza.
  "Non sei preoccupato?"
"Per cosa?" chiese Ermal voltandosi curioso verso Marco.
"Per quello che dirà la gente."
"Ma di che parli?"
"Lo so io di che parla" disse J-Ax accasciandosi malamente sul divano di Ermal.
Dopo il concerto, Ermal aveva invitato tutti a casa sua per passare ancora un po' di tempo insieme. L'adrenalina continuava a scorrergli nelle vene e non si sentiva nemmeno lontanamente stanco.
"Cioè?" chiese ancora Ermal, cercando di capire quale fosse il problema.
"Credo che tutti si siano accorti che nel nostro pezzo hai detto lui invece di lei" disse J-Ax.
Ermal sospirò.
Non sapeva nemmeno lui per quale motivo lo avesse fatto.
In parte, forse, era perché ora che i suoi amici sapevano tutto gli sembrava più semplice uscire allo scoperto. In parte, semplicemente aveva cantato con il cuore e il suo cuore ormai era di Fabrizio.
"Lui, lei... non c'è poi molto differenza, cambia solo una vocale. Se qualcuno dirà qualcosa, potrei sempre dire che hanno capito male" rispose Ermal.
"Potresti. Ma la vera domanda è: lo farai?" chiese Andrea.
Ermal si voltò verso Fabrizio, che sembrava totalmente preso da ciò che gli stava dicendo Elisa, e disse: "No, non lo farò."
Fabrizio era uno dei motivi per cui aveva deciso di prendersi una pausa.
Non gli importava di ciò che avrebbe detto la gente, non gli importava se le persone avrebbero capito perché aveva deciso di cambiare il testo e se questa cosa gli avrebbe portato delle conseguenze.
In quel momento non gli importava di nient'altro se non di Fabrizio e della loro storia. E un po' anche del suo nuovo album, che sicuramente sarebbe stato pieno di riferimenti a quell'uomo fantastico che aveva la fortuna di avere al suo fianco.
"Sei ancora sicuro della tua decisione?" gli chiese Fabrizio qualche minuto più tardi, sedendosi accanto a lui e facendogli di nuovo quella domanda che gli aveva posto poco più di tre mesi prima.
Nella mente di Ermal si formarono le immagini di tutto ciò che avrebbe potuto avere in quel periodo di pausa.
Più tempo per stare con la sua famiglia, più tempo per scrivere, più tempo per stare con Fabrizio.
Sorrise e, con una sicurezza che non aveva mai avuto prima quando si parlava di quell'argomento, disse: "Sì, sono sicuro."
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thecatcherinthemind · 5 years
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Una storia senza titolo
Quarta parte
“Ero partito di giovedì per risparmiare sul volo” iniziò il ragazzo “perché pensavo di fare una scelta furba. Quando poi mi accorsi che dal sito chiedevano il doppio del costo del biglietto in tasse mi ero sentito un idiota. Però dovevo per forza partire, perché un mio amico si sarebbe laureato in medicina e ci aveva invitati. Io mi sentivo a disagio perché ero l’unico rimasto che doveva ancora laurearsi, sai no, quella sensazione di essere indietro rispetto a tutti quelli che ti circondano?”
“Sì, ho presente” rispose Liz “anche se nel mio caso sono stata io la prima a dare inizio al ciclo delle lauree”
“Ah bene, eri l’amica infame. Il primo a laurearsi è sempre un po’ invidiato e detestato dal gruppo, mi spiace darti questa notizia Liz”
“Lo immaginavo già, caro tizio di cui non conosco il nome perché continua a fare il misterioso” rispose lei “però mi fa piacere che tu ricordi il mio”.
“Mi chiamo Joe” disse lui “ma puoi anche dimenticarlo e chiamarmi come vuoi, tanto non mi fa molta differenza” aggiunse con fare disinvolto e un po’ altezzoso.
“Okay allora procedi, Jennifer” lo sfidò Liz. Se cercava di mostrarsi un uomo al di sopra dei concetti sociali o delle norme del buon costume, stava sbagliano target. Lei era sempre riuscita a cavare sangue da una rapa e a farsi rispettare da tutti, specialmente da coloro che partivano coi peggiori auspici nei suoi confronti.
Joe rise alla risposta della ragazza, apprezzava quel tipo di sarcasmo. “E in cosa ti saresti laureata? Sentiamo”
“Stai insinuando che io stia mentendo? Che motivo avrei di farlo?”
“No no stai serena, non insinuo nulla. Ero solo curioso”
“Ingegneria aerospaziale, al politecnico. Laurea con lode e bacio accademico”
“Veramente?” chiese Joe, strabuzzando gli occhi. Non pensava di avere al suo fianco un genio dell’ingegneria “è per questo che eri così interessata alla storia di mio padre e dei voli?”
“No, assolutamente, io sono una frana in matematica e in analisi. Sono laureata in Lettere classiche con specialistica da bibliotecaria” lo spiazzò Liz. “E comunque volevo sapere di tuo padre solo perché cercavo il nesso col mio computer, cosa che tra l’altro mi aspetto da questa storia della valigia”
Joe era rimasto sconvolto, però era molto divertito “Sei strana...” accennò, poi proseguì. “In pratica avevo messo in valigia i vestiti per la cerimonia di laurea ed ero partito con addosso una maglia e un paio di jeans”
“Che armadio variegato! Indossi i jeans pure ora” lo interruppe Liz “almeno erano jeans diversi?”, ormai si sentiva abbastanza in confidenza.
“No, li ho tenuti sempre addosso per ricordo. Sia mai che una sconosciuta su un volo mi chiedesse questa cosa e io non avessi addosso il mio costume di scena”. La sua risposta rivelava che fosse avvezzo al sarcasmo. “Ad ogni modo” continuò “mi avevano perso la valigia con dentro i vestiti per la cerimonia e io ero andato in crisi. All’inizio non volevo crederci perché queste cose capitano sempre agli altri”
“Capitano sempre a quelli seduti al tuo fianco...”
“Allora mi sa che oggi tocca a te” rispose lui. A quelle parole Liz si fece preoccupata in volto “No aspetta” cercò di rimediare Joe “facciamo oggi che tocca al tipo accanto a me”
“Ma accanto a te non c’è nessuno”
“Appunto, è un giorno fortunato oggi”
“Quindi che è successo? Cioè come l’hai recuperata?”
“Con l’amarezza addosso e con centosettanta euro in meno in tasca”
“Costa così tanto far recuperare una valigia?!”
“No, costa così tanto procurarsi un vestito elegante ed un paio di scarpe per una cerimonia di laurea in Spagna, ecco cosa. E mi sono persino accontentato di un vestito grigio, quando è un colore che considero deprimente e triste. So che è strano, ma in molti abbiamo un colore che odiamo profondamente”
Liz sorrise, pensando al proprio odio per il colore verde. Era strano trovare qualcun altro che la pensasse come lei, solitamente le persone hanno il colore preferito, ma lui era diverso dagli altri e loro due erano fin troppo simili. Un brivido le percosse la schiena, ma lasciò spazio alla curiosità.
“Ecco, il mio arcinemico è il grigio. Che schifezza quel completo, se ci penso avrei preferito che perdessero me in aeroporto anziché i vestiti”
“Ma poi come è andata a finire?”
“Sono riuscito a recuperarla, ma la parte assurda è che dentro mancava una scarpa. Io sono sicurissimo di averla messa, perché ho avvolto le scarpe in due tessuti protettivi separatamente, ma ricordo di averle sistemate con le suole che si toccavano, sotto un asciugamano e accanto al beauty case”
“Viaggi col beauty case? Io lo trovo scomodissimo, come fai?”
“Basta metterlo nella valigia, come fai tu a trovarlo scomodo?”
“Non c’è mai posto, il beauty implica di dover trovare uno spazio fisso perché è grosso”
“E scusa, dove metti le cose che ti servono?”
“In valigia” rispose Liz, esprimendo in volto l’ovvietà della risposta.
“In valigia sparse?”
“No, nelle tasche interne”
“Tasche interne? Ma che valigie usi?”
“Valigie normalissime, che significa che valigie usi? Mica devo avere piccole valigette nella valigia grande, altrimenti mi porto in giro una matriosca, non un bagaglio”
“E come trovi le cose, scusa?”
“Aprendo le cerniere”
“Tu sei strana forte...” disse Joe scuotendo la testa.
“Ah io sono strana? Non tu che imbarchi una scarpa sola?” disse Liz ridendo.
“Ma te l’ho detto, io ho messo il paio in valigia, me ne hanno rubata solo una!”
“E questa sarebbe la storia incredibile?”
“Ti sembra normale che io apra una valigia e ci ritrovi una sola scarpa? Cioè il fermacravatta era ancora lì ma la scarpa no”
“Il fermacravatta?!” esclamò Liz  “Ma dove vivi? E soprattutto quando? In che epoca?”
“Nella stessa in cui evidentemente era più appetibile una scarpa sinistra, che ti devo dire?” rispose con voce rassegnata ma divertita.
La voce del comandante avvertì della velocità di volo e della quota. Mancava meno di un quarto d’ora all’arrivo e dovevano prepararsi all’atterraggio.
“Che fortuna, nessuna turbolenza!” esternò una signora dietro di loro.
“Signora stia zitta che qui porta sfiga a tutti” rispose da davanti un uomo, con la voce forte e ben udibile. Ci furono risate generali, qualcuno esclamò “ecco, adesso cadiamo!”, un altro rispose “ma cadesse tua sorella” e in poco tempo si sentì un vociare generale, seguito da urla e fischi.
La ragazza dagli occhi di ghiaccio dovette intervenire per calmare gli animi, spiegando che la situazione fosse più che sicura e che il pilota avesse decennale esperienza,ma qualcuno pensò bene di affidare le sue speranze a chi poteva garantire più salvezza del giovane uomo alla guida: “Padre nostro” iniziò un uomo seduto dietro Joe “che sei nei cieli” aggiunse la moglie al suo fianco; la preghiera continuò nell’alternanza di battute tra i coniugi, come se stessero recitando una parte in un telefilm.
Nel frattempo LIz e Joe cercavano di non ridere, ma erano visibilmente divertiti. Si scambiavano occhiate di complicità e con dei gesti, il più possibile segreti al resto dei viaggiatori, indicavano le persone più assurde che prendevano parola. Un uomo iniziò persino a criticare il governo per le manovre sull’educazione, ma i due erano troppo presi dalle proprie risate per capire da dove quel discorso fosse partito. 
“Ma è sempre così viaggiare soli in aereo?” chiese Liz, appena il caos fu placato.
“Che ne so” Joe stava ancora ridendo ”io di solito metto la musica o leggo, è la prima volta che mi ritrovo con le orecchie libere”
“Seriamente hai sempre la musica nelle orecchie?”
“Sì, è una mia deformazione professionale”
“Ma senti come parli, manco fossi un bassista di fama mondiale” iniziò a schernirlo Liz “Un progetto underground, una cosa tra amici. Ma cammina, che ancora un po’ parli solo di musica”. Joe sembrava divertito da quelle parole, lei continuò “e poi, vorrei capire, oltre a giudicare la gente dall’ordine della valigia e ad ascoltare musica cosa fai nella vita?”
“Assolutamente nulla di interessante, dottoressa. Dopo la laurea in economia pensavo di continuare gli studi magistrali in economia bancaria, ma ho lasciato perdere e ho cercato un lavoro”
“Beh ottimo, che lavoro fai?”
“Sono disoccupato, altrimenti non sarei su questo aereo”
Liz non capiva, quindi chiese ulteriori chiarimenti “Cioè siamo tutti disoccupati qui sopra? Mi stai dicendo che siamo stati selezionati per un folle reality show sulla gente che va in crisi in aereo per cose random?” aggiunse, cercando di portare il discorso su un argomento divertente.
“No” rispose lui serio “intendo dire che sto andando a un colloquio di lavoro, perché il mio curriculum sembrava interessante per un’azienda che mi ha selezionato online. Ho passato la selezione, superato i primi step e il colloquio conoscitivo su internet e adesso vogliono vedermi”
“Su internet?”
“Adesso si usano tantissimo le piattaforme, anche per il lavoro”
“Ed eri vestito come adesso? Cioè jeans e maglione sgualcito?”
“No, avevo la giacca. Infatti in valigia ho messo il cambio...”
“Sempre che arrivi tutto a destinazione stavolta” aggiunse Liz.
“Stavolta mi sono fatto furbo e ho legato le scarpe insieme, avvolgendole in un sacchetto di stoffa. Almeno se devono prenderne solo una, avranno vita difficile”
“Il fermacravatta l’hai messo?”
“Spiritosa...”
“No, davvero. Ad un colloquio ha senso, sempre che tu non stia facendo domanda per fare il cuoco o il cameriere, a quel punto tienilo solo come portafortuna in tasca”
“Sicuro con una laurea in economia non mi sposto in aereo per fare un colloquio da cameriere” disse Joe. Poi sospirò e aggiunse “ancora non sono arrivato a tanto e posso permettermi di evitarlo, per ora”.
Il segnale delle cinture si accese e l’aereo iniziò la fase di atterraggio. Erano trascorse oltre due ore, ma sembravano passati pochi minuti talmente il viaggio era stato piacevole. Liz osservò la terraferma dal finestrino, ammirando l’immensità di un lago che ricopriva gran parte del paesaggio, la bellezza dei grattacieli che sembravano piccoli quadrati su una cartina geografica; sentiva il cambiamento di pressione, che le faceva percepire il mondo come ovattato.
Una volta atterrati, i due rimasero seduti e lasciarono defluire la massa. Joe recuperò lo zaino e prese il bagaglio di Liz, aiutandola a uscire dal suo posto in fondo alla fila; furono gli ultimi a scendere dall’aereo. Continuarono a parlare per qualche minuto finché non passarono davanti alla toilette. “Perdonami” disse Liz “ma devo andare assolutamente in bagno e mi sembra scortese dirti di aspettarmi. Direi che ci dobbiamo salutare”. 
“Se il tuo problema è farmi aspettare, non preoccuparti; se invece vuoi che ci salutiamo, apprezzo la tua gentilezza nel non mandarmi a quel paese e accetto di buongrado il tuo addio”
“No no figurati” cercò di giustificarsi lei “anzi, mi farebbe piacere fare ancora due chiacchiere. Se non ti sembra assurdo attendere fuori dal bagno, allora ti chiedo qualche minuto di pazienza”
“Allora ne approfitto e vado anche io. Ci vediamo qui fuori a breve”
“Perfetto”
(fine quarta parte)
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