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#frutti dimenticati
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Morus alba, M. nigra, M. rubra (Gelso bianco, nero, rosso): semina
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cinquecolonnemagazine · 5 months
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Contaminazioni artistiche, personaggi classici che rivivono nel gioco
Contaminazione è una parola che viene da lontano. Dal mondo greco e romano per essere precisi. Significa letteralmente “mischiare”. Ma se vicino a questa parola se ne aggiunge una, quella di arte, il risultato è completamente diverso dall’aspettativa. L’importanza della contaminazione artistica La contaminazione artistica ha reso possibile l’incrocio tra forme di arte anche tra loro molto complesse e differenti. Il risultato è stato importante in termini di profitti e di qualità. In particolare, per alcuni settori: quello del cinema e della musica, quello della letteratura e del gioco, quello delle serie televisive e dei fumetti. In questo modo ha riacquisito valore anche il concetto di vintage, che storicamente si riferisce a qualcosa di vecchio. Lo dimostra bene la recente riscoperta della pellicola di Giuseppe Tornatore: il Camorrista, discusso film degli anni ’80, tornerà sottoforma di Serie televisiva, dopo essere passato per alterne future sul grande schermo. Oggi, dopo l’esplosione del fenomeno seriale, ha tutto un senso diverso. Lo stesso si dica per quelle pellicole datate che sono state riproposte sia in definizioni migliorate sia in forma diversa. A quelle che sono in cantiere, a quelle che ci saranno. Tutto ciò è stato reso possibile dalla contaminazione. La riscoperta del classico Personaggi come Joker, Sherlock Holmes ed altri oggi rivivono sotto altre forme. Sono personaggi classici, per definizione, non passano mai di moda come avrebbe detto Calvino ma comunque hanno sulle loro spalle il peso dell’età e di tempi irrimediabilmente cambiati. Oggi è possibile ammirare la trasposizione di queste opere definibili classiche in forme moderne di intrattenimento, su tutte il gioco. Ovviamente c’è stato bisogno anche di un cambio culturale che, alla base, ha reso possibile tutto ciò. È avvenuto grazie alla tecnologia, ma anche grazie agli studi che hanno reso migliorate certe dinamiche. I dialoghi, lo storytelling, le grafiche hanno contribuito alla riscoperta di questi classici e di altri. Si pensi anche ai miti o alle storie legate al passato, o al mondo degli antichi egizi. Sono tutte dinamiche riproposte anche sotto forma di gioco, dalle console alle slot machine. Un fatto insperato ed inimmaginabile fino ad un decennio fa e che oggi rappresenta un dato di fatto, una realtà.Personaggi, stili, narrativa e modi diversi che si intrecciano e si uniscono, si ispirano a vicenda e si cambiano anche nelle loro caratteristiche di base, tra una contaminazione e l’altra, riuscendo a sorgere verso una nuova vita, sotto forme diverse e secondo i tempi che cambiano. Ecco, i tempi che cambiano non sempre danno i frutti sperati ma tante volte contribuiscono a migliorare dinamiche, situazioni e, in questi casi, personaggi altrimenti condannati all’oblio. Tutto ciò ha avuto ed ha una conseguenza evidente: le nuove generazioni scoprono, in alcuni casi riscoprono certi personaggi classici o certi mondi dimenticati forse anche prima sotto altre forme, effettuando un’opera di risalita fino alle fonti originali. Come nel caso di Star Wars, tra i titoli più giocati negli ultimi cinque anni; eppure, figlio di una leggendaria saga partita nel 1977. È tutto qui il senso ed il valore della contaminazione. Foto di 8926 da Pixabay Read the full article
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lamilanomagazine · 2 years
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Modena, appuntamento con “La frutta (quasi) dimenticata”
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Modena, appuntamento con “La frutta (quasi) dimenticata”. La frutta esisteva già ai tempi della protostoria? E i popoli dell’età del bronzo la mangiavano? Le risposte le offre l’appuntamento dedicato a "La frutta (quasi) dimenticata" in programma domenica 16 ottobre al Parco archeologico della Terramara di Montale a partire dalle 9.30. Con la guida delle botaniche Giovanna Bosi e Rossella Rinaldi, del Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica di UniMoRe, i partecipanti alle visite guidate potranno scoprire il ruolo che la frutta ha avuto nell’alimentazione nel corso del tempo. Persone e animali, infatti, consumano frutta da sempre, ma è proprio a partire dell’età del bronzo che il rapporto con questo cibo sembra trasformarsi. Le analisi di semi, frutti e pollini rinvenuti durante gli scavi alla terramara di Montale, indicano che potevano rappresentare una fonte di cibo abituale, anche se secondaria, alcune piante legnose spontanee come il corniolo, il noce, il nocciolo, la vite, il prugnolo, il pero e il melo. Mettendosi in gioco di fronte a un eccezionale allestimento ricco di varietà di frutti, i visitatori scopriranno quali potevano essere effettivamente mangiati dagli abitanti della terramara di Montale, che li raccoglievano da piante spontanee o già in parte coltivate. La conoscenza dei frutti dimenticati rappresenta oggi un elemento di grande importanza dal punto di vista educativo per far comprendere a tutti il valore del legame con il proprio territorio e il ruolo che ognuno può giocare, con i propri comportamenti, per la salvaguardia di queste preziose varietà e per la tutela dell’ambiente e della propria salute. Un laboratorio dedicato ai bambini, al termine del percorso di visita, permette letteralmente di giocare con alcuni frutti, che per le loro caratteristiche (forma, colore, bellezza) sono stati utilizzati nel corso della storia non solo per scopi alimentari, ma anche per quelli ludici o rituali. Ogni partecipante potrà realizzare ornamenti e amuleti personali e piccoli giochi adoperando materiali vegetali che esistevano anche al tempo della terramara. Al termine delle visite, i partecipanti riceveranno un omaggio per affrontare i primi freddi offerto dall’erboristeria Tasso Barbasso di Montale: un preparato per tisana dal nome evocativo, "Memorie d’autunno". Per le visite, è consigliata, anche se non obbligatoria, la prenotazione: telefonica, ai numeri 335 8136948 (dalle 9 alle 13, dal lunedì al venerdì); 059 532020 (negli orari di apertura del Parco); via mail: [email protected] (assicurandosi di ricevere conferma per le prenotazioni); con l’app ioPrenoto. Il biglietto d’ingresso, esclusa la prima domenica di ogni mese, costa 7 euro (ridotto 5 euro, gratuito fino a 5 e oltre i 65 anni). Presentando la Fidelity card del Parco di Montale, il costo del biglietto è ridotto del 50 per cento. Presentando il biglietto del MuSa, Museo della salumeria, l’ingresso al Parco è ridotto a 5 euro. Gli appuntamenti proseguono domeniche e festivi fino all’1 novembre, con dimostrazioni di archeologia sperimentale e dimostrazioni di antiche tecniche di lavorazione a corredo delle visite, che sono sempre guidate da uno staff di esperti in discipline archeologiche. Laboratori per ragazzi vengono di volta in volta organizzati in collegamento con il tema della giornata.  ... Read the full article
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asotomvini · 2 years
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Repost from @michelemontalenti • A⃣S⃣O⃣T⃣O⃣M⃣ …ɨօ ֆօռօ ɨʟ ᏆɛʀʀɨᏆօʀɨօ… 📍Castelletto Merli (AL) • ᎶℰℕℰЅℐ 2019 • …օɢռɨ ʄɨռɛ è ʊռ ɨռɨʐɨօ… 🍇 Malvasia Nera 100% ———————————— Genesi è una creazione di Tommaso, che utilizza per questa bottiglia la Malvasia Nera in purezza, vinificandola secca. Il suo scopo è di dare una nuova vita a vitigni dimenticati esaltandone le peculiarità. Questa Malvasia, di colore rosso rubino, gode di un ampio e complesso bouquet olfattivo. Piccoli frutti rossi, melagrana, note vinose e erbacee di ortica e muschio, con leggere sfumature speziate. Il sorso è secco, di buona struttura e grado alcolico con tannini fini e levigati. Discreta sapidità e acidità ben bilanciata. Questo vino è molto versatile, molto azzeccato l’abbinamento con funghi porcini freschi in diverse preparazioni. ………………………………………………………… @iampaolobeach grazie per la dritta (presso Italy) https://www.instagram.com/p/CiwiBJ3NRTe/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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kalabriatv · 2 years
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Un festival tra letteratura, teatro e musica
Un festival tra letteratura, teatro e musica
L’Ambasciata d’Italia in Georgia ha collaborato alla realizzazione della prima edizione del Festival “Serate verdi nel Viale dei Frutti dimenticati”, organizzato a Tbilisi dalla Fondazione Internazionale Tonino Guerra. La manifestazione, che ha preso il via il 26 giugno scorso, si articola in quattro giornate in cui si alternano eventi teatrali, letterari e musicali, tra cui il 28 giugno il…
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fuoridalcloro · 2 years
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Lo stringersi nelle spalle, quella carezza che ci facciamo da soli facendo finta di spostarci i capelli dal viso. Quel freddo improvviso, anche d’estate. Le braccia incrociate, lo sguardo lontano, le labbra tra i denti. Siamo i frutti del non amore anime alla ricerca di profumi umani, di sentimenti dimenticati, di gesti perduti. Siamo fiori sotto la neve timorosi, inquieti, perfetti e soli. Siamo i sacrificabili, gli invisibili, i portatori di spine. Cinti da cilici di colpe e avvolti nel sudario del dovere. Siamo quelli che l’amore lo danno a prescindere. Ci riconosci da piccoli gesti.
- Carolina Turroni - 
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Lo stringersi nelle spalle
quella carezza che ci facciamo da soli
facendo finta di spostarci i capelli dal viso
Quel freddo improvviso, anche d’estate
Le braccia incrociate, lo sguardo lontano
le labbra tra i denti.
Siamo i frutti del non amore
anime alla ricerca di profumi umani
di sentimenti dimenticati, di gesti perduti.
Siamo fiori sotto la neve
timorosi, inquieti, perfetti e soli.
Siamo i sacrificabili, gli invisibili
i portatori di spine.
Cinti da cilici di colpe e avvolti
nel sudario del dovere.
Siamo quelli che l’amore lo danno
a prescindere.
Ci riconosci da piccoli gesti.
Carolina Turroni
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Giulietta Masina, la nostra piccola Charlot
L’attrice preferita di Charlie Chaplin, soprannominata female Charlot, Giulietta Masina non era solo una first lady, ma una professionista completa, attrice drammatica e comica (di teatro, cinema, televisione e radio), cantante, ballerina, presentatrice. Il destino ha voluto che nel 1943 sposasse Federico Fellini e ne diventasse la musa ispiratrice. Il 22 febbraio ricorre il centenario della nascita, poco dopo quello di Federico, da cui la separava solo un anno di età.
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Il vero debutto cinematografico fu nel 1948 con il film Senza pietà di Lattuada, perché prima di allora aveva recitato solo una piccola parte in Paisà di Rossellini. Affiancò i più grandi attori dell’età d’oro della commedia all’italiana: Totò in Sette ore di guai, Gino Cervi in Cameriera bella presenza offresi, Sordi ne Lo scocciatore.
Ma fu ugualmente splendida nei ruoli drammatici: in Europa ’51 di Rossellini accanto a Ingrid Bergman, nel poliziesco Ai margini della metropoli di Lizzani con Massimo Girotti, in La gran vita  di Julien Duvivier; nell’episodio Purificazione del film Cento anni d’amore interpreta l’insolito ruolo di personaggio negativo, come anche in Nella città l’inferno a fianco di una Anna Magnani al massimo delle sue possibilità artistiche.
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Sempre un po’ in ombra rispetto al celebre consorte, in realtà fu protagonista di film e sceneggiati poco trasmessi in televisione e ingiustamente dimenticati, come Fortunella di Eduardo De Filippo, in cui primeggia in uno dei ruoli che le sono più congeniali, quello di una ragazza che cela la miseria della sua vita quotidiana a fianco di uno scapestrato rigattiere (Alberto Sordi) dietro illusorie fantasie di ricchezza.
Per la televisione recitò in due sceneggiati che negli anni ’70 riscossero grande successo di pubblico: Camilla di Sandro Bolchi, tratto dal romanzo di Fausta Cialente  Un inverno freddissimo, ed Eleonora. Quest’ultimo, ambientato a Milano, racconta la storia di una donna di famiglia altolocata che per amore trova il coraggio di abbandonare i suoi privilegi e di ribellarsi al rigore paterno, scegliendo di andare a vivere con un pittore scapigliato, interpretato da Giulio Brogi. Un autentico feuilleton, un’“interpretazione memorabile di donna sofferente ma d’animo forte, sempre pronta al sorriso e al riscatto” (Davinotti).
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Il duetto artistico con l’inclito consorte ha dato i frutti più conosciuti: piccole parti in Luci del varietà (1950), Lo sceicco bianco (1952) e Il bidone (1955), e la consacrazione planetaria in La strada (1954), il film che la Rai ha scelto di trasmettere il giorno della morte del regista, come quello forse più vicino al gusto popolare, certo il più lirico ed empatico.
Di questo film, uno dei preferiti di Akira Kurosawa, si è detto e scritto di tutto: definito “una metafora della condizione umana” ambientata nel mondo del circo, dei saltimbanchi, degli artisti di strada, tanto caro al regista. Si è parlato di “realismo visionario” per questa favola senza tempo che ha la sua protagonista, Gelsomina, in una sorta di folletto spaurito dagli occhi spalancati e colmi di stupore.
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Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/c/c8/La_strada.jpg
La storia della scelta del casting e delle riprese ha orami assunto i toni della leggenda (vi raccomandiamo a questo proposito una nuova acquisizione delle biblioteche: il volume di Aldo Tassone  Fellini 23 ½): accenniamo soltanto al look della Masina i cui capelli furono tagliati personalmente dal marito con una ciotola, poi intonacati col sapone per conferirle un aspetto disordinato; il viso veniva cosparso di talco per farla assomigliare a un attore kabuki e le fu fatto indossare un mantello sfilacciato risalente alla Grande Guerra.
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La colonna sonora di Nino Rota accompagna questa pellicola che pare, più che un film, una poesia per immagini: a proposito del lirismo di La strada si racconta che Luigi Rovere, produttore di Lo sceicco bianco, dopo averne letto la sceneggiatura commentò: “Un film come questo non farà guadagnare un centesimo. Non è cinema, questa è letteratura”.
In occasione delle celebrazioni che si stanno svolgendo a Milano per i 70 anni di Miracolo a Milano, vogliamo ricordare che La strada contiene un richiamo evidente a questo film nella sequenza che inquadra il pubblico sorridente davanti al tendone del circo.
Un altro gioiello fu Le notti di Cabiria (1957), in cui, di nuovo, la Masina veste i panni di una prostituta e, di nuovo, è vittima della violenza e della crudeltà degli uomini. Ma, per usare le parole stesse del regista, “Gelsomina era un personaggio più allegorico, eccezionale; Cabiria è più umana e più identificabile”. La solitudine e l’emarginazione sono ancora più dure da sopportare se agli infelici viene offerto da una parte uno specchio per contemplare tutto l’abisso della propria desolazione e, dall’altra, uno schermo per poter ammirare la dorata irraggiungibile esistenza dei privilegiati. È proprio quello che succede alla piccola Cabiria, scarrozzata per una crudele ripicca in Via Veneto su una fuoriserie guidata dall’aitante Amedeo Nazzari. Ma ancora una volta sarà l’arte, se pur rappresentata da festanti musicisti di strada, a far tornare il sorriso sulle labbra dell’ingenua Cabiria. Un film raccontato senza retorica, in cui (come ne Il bidone) sono ancora evidenti i legami con il neorealismo.
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Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/6/68/Giulietta_degli_spiriti.JPG
Per otto anni Fellini lavorò con altre attrici e poi finalmente la chiamò come protagonista assoluta (addirittura anche nel titolo) in quel curioso, onirico, indecifrabile film che è Giulietta degli spiriti (1965). Un’opera originalissima che ha dato adito ai giudizi più disparati, un film decisamente ‘felliniano’, per usare un aggettivo che, quando fu aggiunto al vocabolario della lingua italiana, suscitò grande stupore nel regista, il quale proclamò di ignorare del tutto cosa volesse esprimere. Per il suo pubblico, invece, l’aggettivo ha un significato preciso e identifica perfettamente uno stile diverso da quello di tutti gli altri ma unico nelle sue peculiarità. Comunque lo si voglia valutare, il film è sicuramente uno spettacolo che lascia il pubblico inchiodato allo schermo per tutta la sua durata.
L’ultimo lavoro realizzato dal geniale sodalizio coniugale fu Ginger e Fred (1986) accanto a Mastroianni: una feroce critica del panorama televisivo contemporaneo, “contro l’abuso sconsiderato che si fa della televisione … che intorpidisce lo spettatore, indebolendo pericolosamente le sue capacità di riflettere, di emozionarsi” (Fellini).
Un’attrice unica nel panorama cinematografico non solo italiano, un mimo, uno spiritello incantato, una piccola Charlot dall’irresistibile sorriso, consacrata persino in un’edizione di Topolino!
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Il soldato ruffanese Rocco Gnoni e le fucilazioni sommarie nella Prima Guerra Mondiale
  di Paolo Vincenti*
  Giovani soldati che verranno cancellati dal tempo
e dimenticati come cenere dispersa nel vento
figli di una terra che non vuole più tenerseli  accanto 
cosa rimane dopo un sacrificio inutile
di questa vita già finita in un istante soltanto il mio onore
il bene più importante
(Enrico Ruggeri, Il mio onore)
  Una dolorosa pagina di storia nazionale, una delle più inquietanti della Prima Guerra Mondiale, è quella delle fucilazioni sommarie, che vide alcune centinaia di soldati morti per repressione interna, ovvero uccisi sul fronte dallo stesso esercito italiano per episodi di insubordinazione o resistenza agli ordini, diserzione o altro ancora. Nella Prima Guerra Mondiale non si moriva solo di fame, di freddo, di stenti, di malattie contratte nelle trincee, o sotto i colpi dell’esercito nemico.
In migliaia di processi sommari a discapito di soldati italiani, mandati alla sbarra per futili motivi, molti di questi soldati con estrema superficialità vennero condannati. Soldati innocenti, con un banale pretesto, venivano accusati di gravi misfatti e passati alle armi, assolvendo alla funzione di capro espiatorio, secondo la più classica concezione di derivazione ebraica.
E anzi se la guerra stessa, secondo l’interpretazione antropologica abbondantemente sviluppata da Renè Girard della violenza fondatrice della nazione, sta alla base della odierna società[1], a maggior ragione, il sacrificio di un drappello di soldati, per giunta giovani, si presenta come una specie di macabra sineddoche, pars pro toto, cioè, della guerra, che è essa stessa sacrificio di massa, secondo Roger Caillois[2].  Le motivazioni spesso addotte dai tribunali erano del seguente tenore: «il tribunale non ritiene di dover concedere le attenuanti generiche nell’interesse della disciplina militare per la necessità che un salutare esempio neutralizzi i frutti della propaganda demoralizzatrice».  Ossia, le condanne venivano comminate anche «in chiave di ammonimento e di prevenzione generale», fedelmente al motto di Mao Zedong  “colpirne uno per educarne cento”, poi fatto proprio dalle Brigate Rosse italiane negli anni del terrorismo. L’arroganza del Generale Cadorna, il senso di sfiducia e di sospetto da parte del Comando Supremo nei confronti dei soldati, generato dalla consapevolezza della palese impreparazione del nostro esercito rispetto alle forze nemiche, portarono alle sanguinose repressioni di militari sui militari. Queste repressioni avvenivano per i più svariati motivi, quali diserzione, comportamenti indisciplinati, atti di autolesionismo. Quello che è peggio è che questi severi provvedimenti venivano lasciati all’arbitrio degli ufficiali sul campo, i quali erano costretti ad assumere delle decisioni fatali senza il giusto discernimento, turbati dalla grave tensione del momento o dal timore di essere essi stessi oggetto di provvedimenti disciplinari per mancato decisionismo. Il tragico conto finale delle fucilazioni è di 750 soldati con processi dei tribunali militari e oltre 300 vittime di giustizia sommaria, come approfondiremo in questa trattazione.
Il problema era anche dovuto alla vetustà della normativa militare italiana in vigore nella Prima Guerra Mondiale. Infatti, il codice penale militare risaliva al 15 febbraio 1870 e questo, a sua volta, riproduceva, con solo lievi modifiche, quello dell’esercito sardo dell’ottobre 1859. Dobbiamo le notizie che riportiamo in questo saggio a due libri fondamentali: Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, di Enzo Forcella e Alberto Montico ne[3], e Le fucilazioni sommarie nella prima guerra mondiale, di Marco Pluviano e Irene Guerrini[4].
«L’edizione del 1914 del codice penale per l’Esercito del Regno d’Italia prevedeva la pena di morte per un’ampia casistica di reati commessi in tempo di guerra, quali lo sbandamento o l’abbandono di posto in combattimento, il tradimento, la diserzione, lo spionaggio, la rivolta, le vie di fatto contro un superiore, l’insubordinazione in faccia al nemico, la mancata consegna o l’abbandono di posto da parte di vedetta o di sentinella di fronte al nemico; la sollevazione di grida allo scopo di obbligare il comandante a non impegnare un combattimento, a cessare da esso, a retrocedere o arrendersi; inoltre lo spargimento di notizie, lancio di urla per incutere spavento o provocare il disordine nelle truppe, nel principio o nel corso del combattimento. La pena capitale era riservata anche ai comandanti, per reati particolarmente gravi, quali ad esempio la resa di una fortezza senza aver esauriti gli estremi mezzi di difesa e l’abbandono di comando in faccia al nemico»[5].
E l’Italia non era nemmeno la nazione ad avere il codice penale più obsoleto, in quanto, «ad esempio, l’esercito tedesco impiegò nella Grande Guerra il codice penale militare del 20 giugno 1872, mentre quello austro-ungarico risaliva al 1868 (modificato nel 1869 e nel 1873)»[6]. Agli ufficiali era conferito il potere di emanare dei bandi, in base all’articolo 251 del codice penale militare, ai quali tutti dovevano rigidamente attenersi. Tali bandi prevedevano delle norme di comportamento draconiane e delle pene durissime per i trasgressori. Queste pene, poi, data l’ampia facoltà discrezionale dei comminatori, si potevano trasformare in definitive, capitali. Gli inferiori erano tenuti ad ubbidire senza pensare, a dimostrarsi forti, coraggiosi, sprezzanti del pericolo in ogni circostanza.
Si può capire come questi episodi contribuiscano a smontare del tutto i luoghi comuni sulla “guerra gloriosa” che l’enfasi patriottarda ha stratificato per anni nell’immaginario collettivo che sempre si alimenta di esempi edificanti quanto edulcorati. La guerra perde così qualsiasi aura di “guerra giusta”, perde ogni legame con l’aggettivo “grande”, che la pubblicistica le ha cucito addosso, per rivelarsi ai nostri occhi per quello che essa è, cioè guerra, anzi «Guerra! Guerra!», come grida la Norma di Bellini (“guerra, strage, sterminio”), maledetta, come tutte le guerre.
La dura repressione partì da una Circolare del Generale Cadorna che nel maggio 2015 stabiliva: «Il Comando Supremo vuole che, in ogni contingenza di luogo e di tempo, regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina». Per mantenerla, era scritto, «si prevenga con oculatezza e si reprima con inflessibile vigore»[7]. Nel settembre di quell’anno, venne emanata un’altra Circolare, col n. 3525, secondo la quale, al verificarsi di atti di «indisciplina individuale o collettiva nei reparti al fronte», bisognava rispondere con un immediato intervento di repressione, che prevedeva anche la fucilazione, come giustizia sul campo, sommaria, se i sintomi di tale insubordinazione fossero stati gravi[8]. Si lasciava cioè ai militari superiori, ufficiali e Regi Carabinieri, una enorme discrezionalità nelle decisioni da adottare e, in buona sostanza, il diritto di vita e di morte sui loro sottoposti. Se poi non fosse stato il caso di intervenire immediatamente con la condanna capitale, questi atti di insubordinazione sarebbero stati giudicati dai tribunali militari e ad essi deferiti i soldati che se ne fossero resi colpevoli.  «Il superiore ha il sacro diritto e dovere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi. Per chiunque riuscisse a sfuggire a questa salutare giustizia sommaria, subentrerà inesorabile quella dei tribunali militari. Ad infamia dei colpevoli e ad esempio per gli altri, le pene capitali verranno eseguite alla presenza di adeguate rappresentanze dei corpi. Anche per chi, vigliaccamente arrendendosi, riuscisse a cader vivo nelle mani del nemico, seguirà immediato il processo in contumacia e la pena di morte avrà esecuzione a guerra finita»: così il testo della Circolare[9].
Facendosi più cruente le fasi della guerra, anche l’autorità statale diventava più stringente e pervasiva; di pari passo con i poteri speciali del Comandante di Stato Maggiore Cadorna, aumentava la severità delle sue disposizioni, mentre veniva quasi esautorato il ruolo del Parlamento. Tutte le funzioni ricaddero progressivamente nella competenza dei tribunali militari e le pratiche autoritarie imposte dalla legislazione di guerra si facevano aberranti. «Al culmine dello sforzo bellico funzionavano complessivamente 117 tribunali militari in Zona di Guerra, marittimi, nel Paese e in Colonia»[10]. Tutto ciò, oltre ad indebolire lo stato democratico, «era funzionale alle sempre più forti pulsioni autoritarie che percorrevano la nazione. Queste, sostenute da larga parte della stampa e in particolare dal Corriere della Sera trovavano nel Generale Cadorna uno dei punti di riferimento più autorevoli»[11]. E non solo gli ufficiali che dovevano mantenere la disciplina venivano costretti ad essere inflessibili con i loro sottoposti, ma anche i giudici dei tribunali militari erano continuamente richiamati ad una maggiore severità nella comminazione delle condanne; il Generale Cadorna riteneva che molti di essi fossero troppo teneri e che la procedura concedesse troppe garanzie ai processati[12]. Al tempo stesso, se gli atti di insubordinazione si erano resi così frequenti, Cadorna era convinto che ciò fosse dipeso proprio dalla debolezza degli ufficiali superiori e poi dei giudici e propose di istituire un maggior numero di tribunali militari con una distribuzione capillare sul territorio, sicché essi, come si può capire, finirono con l’avocare a sé anche le competenze di quelli civili. In pratica, nulla di minimamente rilevante, sia civilmente che penalmente, in Italia, soprattutto nelle zone di guerra, poteva sfuggire alla giustizia militare[13]. Per l’effetto contrario di ogni inasprimento legislativo, però, i reati che si volevano colpire aumentavano. «Dall’analisi di Giorgio Mortara sull’operato della giustizia militare risultò che i reati più frequenti furono: diserzione volontaria per 162.563 casi, indisciplina per 24.601, cupidigia per 16.522, mutilazione volontaria per 15.636, resa o sbandamento per 5.325 e violenza per 3.510»[14].
Anche Bruna Bianchi, nel suo libro La follia e la guerra, riporta i dati dell’Ufficio Statistico del Ministero della Guerra pubblicati da Giorgio Mortara nel 1927, dai quali si evince che «le denunce per renitenza dal 24 maggio 1915 al 2 settembre 1919 furono 470.000 (di cui 370.000 italiani residenti all’estero); le denunce per diserzione furono 189.425», ma indica che «nell’arco del conflitto si conclusero 162.563 processi e furono emesse 101.685 condanne»[15].
Leggere la pubblicistica sulla materia ci fa capire come ai concetti alla base dei reati sopradetti fosse data dai tribunali militari una interpretazione estensiva, su sollecitazione del Generale Cadorna, in modo da colpire quanti più soldati possibile.
Pluviano e Guerrini spiegano come, fra le carte d’archivio, sia avvenuto il fortunoso ritrovamento della Relazione sulle fucilazioni sommarie durante la Prima Guerra Mondiale, redatta nel 1919 dall’Avvocato Generale Militare Donato Antonio Tommasi, sulla quale torneremo. Questa relazione, insieme agli Allegati, ritrovati da Giorgio Rochat (che firma la Prefazione del loro libro) il quale li ha messi a disposizione, hanno costituito la base del volume[16]. Nel mentre gli autori proseguivano nell’indefesso lavoro di ricerca negli archivi, essi hanno presentato una prima ricognizione del loro studio nella relazione Il memoriale Tommasi. Decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la Grande Guerra[17]. Prima di questi lavori, le cifre sui fucilati di guerra erano piuttosto vaghe, certamente discordanti. Gli studiosi si barcamenavano fra le cifre fornite dalla politica che indicavano le vittime della giustizia sommaria in poche centinaia e quelle fornite dal giornale socialista «L’Avanti» che parlava di più di 1000 morti. Pluviano e Guerrini si sono invece basati sulla Relazione del Generale Tommasi, integrandola con le risultanze della istituita Commissione d’inchiesta parlamentare del 1919[18], e poi con molte altre fonti emerse durante il lavoro di ricerca, fra queste anche le dichiarazioni dei parlamentari durante i lavori della Commissione.
Fra le varie fonti dirette, una delle più accreditate «è la relazione “Dati di statistica giudiziaria militare” del giugno 1925. Si tratta della statistica delle sentenze e dei procedimenti penali dei tribunali militari presso l’esercito operante e di quelli territoriali fuori e dentro la zona di guerra. Secondo questa relazione, furono comminate nel corso del conflitto 4.028 condanne a morte, delle quali 2.967 in contumacia, 311 non eseguite e 750 eseguite. Di queste ultime, 391 riguardarono il reato di diserzione, 5 la mutilazione volontaria, 164 la resa o sbandamento, 154 atti di indisciplina, 2 la cupidigia, 16 per violenza, 1 per reati sessuali, le rimanenti per reati diversi. Un’altra fonte importante ai fini della quantificazione è una tabella del Reparto disciplina, avanzamento e giustizia militare del Comando Supremo dal titolo “Specchio dei giudizi durante la campagna” datata 24 dicembre 1917 e relativa al periodo giugno 1915 – settembre 1917, conservata presso l’archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Tale tabella è importante perché è l’unica a contenere anche il dato dei giudizi sommari: 112, che coincidono in buona parte con quelli riportati da Forcella e Monticone, fino all’agosto 1917. Nel settembre 1919 il ministro della guerra Generale Albricci, in sede parlamentare, ammise 729 condanne a morte eseguite durante tutta la guerra, mentre “le tristi esecuzioni sommarie superano di poco il centinaio”»[19]. Nel maggio-giugno 1916, a seguito dell’offensiva austro-ungarica, il regime disciplinare fu inasprito con l’ordine di ricorrere alle fucilazioni sommarie con ampia libertà, fino a colpire anche gli ufficiali. Dopo lo sfondamento austro-ungarico della nostra resistenza, il Comando Supremo ordinò al comandante delle truppe operanti sull’altopiano di Asiago di prendere le più energiche ed estreme misure: «faccia fucilare, se occorre, immediatamente e senza alcun procedimento, i colpevoli di così enormi scandali, a qualunque grado appartengano. […] L’altopiano di Asiago va mantenuto a qualunque prezzo. Si deve resistere o morire sul posto»[20].  Inoltre, di fronte «alle diserzioni, che sempre più numerose si manifestavano sia presso i reparti schierati in zona di guerra che all’interno, nel dicembre 1916 il Ministero della guerra decise di togliere il sussidio economico ai famigliari dei colpevoli del grave reato, i cui nomi furono pubblicati nei loro comuni natii»[21]. La pena capitale, specie per i soldati che si erano macchiati del reato più grave, la diserzione, avveniva con fucilazione alla schiena. «Altre norme legislative emanate durante la permanenza di Cadorna alla carica di capo di Stato Maggiore dell’Esercito furono il bando del 28 luglio 1915 del Comando Supremo contro la diffusione di notizie sulla guerra e la denigrazione dell’esercito o della guerra stessa ed il decreto luogotenenziale del 19 ottobre 1916 n. 1417 per la repressione dell’autolesionismo»[22].
Di fronte al numero spropositato di esecuzioni, si avvertì l’esigenza di istituire una commissione interna che vagliasse le tante condanne comminate ed i metodi usati nella spregiudicata gestione Cadorna. Questa commissione venne affidata all’Avvocato Generale dello Stato Donato Tommasi, sul modello della già costituita “Commissione d’inchiesta sugli avvenimenti militari che hanno determinato il ripiegamento al Piave”, comunemente definita “Commissione d’inchiesta su Caporetto”, di nomina regia, istituita nel 1918, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, che era nata in seguito all’ondata di paura e malcontento generatasi dopo la clamorosa sconfitta di Caporetto[23]. Già dalla Commissione d’inchiesta «il ricorso alla decimazione[24] fu stigmatizzato … e definito “provvedimento selvaggio, che nulla può giustificare” tra l’altro per via della pena di morte così ingiustamente comminata a numerosi innocenti»[25].
Il Generale Tommasi[26] stilò una Relazione, in base alla quale i fatti vennero così suddivisi: Esecuzioni sommarie che appaiono giustificate; esecuzioni sommarie che appaiono ingiustificate; esecuzioni sommarie per le quali l’azione penale è improcedibile; esecuzioni sommarie per le quali manca nei rapporti ogni elemento di giudizio[27]. Dei vari tipi, riportiamo alcuni esempi.
Per le esecuzioni sommarie giustificate: Brigata Messina, 93°reggimento, 30 giugno 1915, numero imprecisato di vittime, diserzione in complotto al nemico; Brigata Verona, 85° reggimento, 31 ottobre 1915. 1 fucilato. Abbandono del posto in faccia al nemico; Brigata Acqui, 18° reggimento, 22 aprile 1916. 3 fucilati, rivolta; Brigata Ancona, 69° reggimento, 13 giugno 1916. 3 fucilati. Sbandamento e mancata possibile difesa: Brigata Pavia, 27° reggimento, 11 novembre 1916. 1 fucilato. Insubordinazione e omicidio; Brigata Verona, 85° reggimento, 6 agosto 1916. 1 fucilato. Abbandono del posto e rifiuto di obbedienza in presenza del nemico: Brigata Catanzaro, 141° e 142° reggimento, 16 luglio 1917, 28 fucilati, rivolta. Per le esecuzioni sommarie ingiustificate: Brigata Ravenna, 38° reggimento, 21- 22 marzo 1917, 7 fucilati, rivolta. Per le esecuzioni sommarie per le quali l’azione penale è improcedibile: Brigata Salerno, 89° reggimento, 2 luglio 1916, numero imprecisato di morti. Diserzione al nemico, 3 luglio 1916, 8 fucilati, istigazione alla diserzione. Per le esecuzioni sommarie per le quali manca ogni elemento di giudizio nei rapporti e documenti esaminati: Brigata Catanzaro, 141°reggimento, 27 maggio 1916, Altipiano d’Asiago, 12 fucilati, sbandamento di fronte al nemico; Brigata Lazio, 131° reggimento, 15 giugno 1916, basso Isonzo, 1 fucilato, minacce e vie di fatto o rifiuto di obbedienza; 14° reggimento Bersaglieri, XL battaglione,16 giugno 1916, Altipiano d’Asiago, 4 fucilati, sbandamento; 5° reggimento Genio, 31°compagnia minatori, 26 luglio 1916, luogo imprecisato, 1 fucilato, vie di fatto a mano armata contro superiore;  XLVII battaglione Bersaglieri, 5 agosto 1916, quota 85 Monfalcone, 3 fucilati, diserzione; Brigata Regina, 9° e 10° reggimento, 13 maggio 1917, vallone di Doberdò, 6 fucilazioni non confermate, diserzione; Brigata Toscana, 77° reggimento, 23 giugno 1917, retrovie di Monfalcone, 2 fucilati, rivolta. Alla fine, “caddero vittime della giustizia sommaria 262.481 soldati e di essi 170.064, cioè il 62%, subirono una condanna. Furono comminati 15.345 ergastoli, dei quali 15.096 per diserzione. Le percentuali sono impressionanti: il 6% dei mobilitati fu rinviato a giudizio e quasi il 4% subì una condanna penale. Dei 262.481 processati, 177.648 passarono dai tribunali dell’esercito operante, mentre gli altri 84.883 furono giudicati dai tribunali territoriali. Sebbene i primi fossero più severi (ritennero colpevole il 66,3% dei processati), anche i tribunali territoriali condannarono il 61,8% dei giudicati”[28].
Fra le vittime della giustizia sommaria, anche un soldato salentino. E veniamo così all’oggetto della nostra trattazione.
Rocco Gnoni, questo il suo nome, era nato a Torrepaduli, frazione di Ruffano, il 6 agosto 1888. Figlio di contadini, Rocco aveva sposato una sua compaesana di nome Giovanna Crudo; il matrimonio fu celebrato l’11 gennaio 1915. Pochi mesi dopo, il 29 maggio 1915, Rocco partì per la guerra, come riportato sul suo foglio matricolare n.31904. Dal foglio matricolare apprendiamo che Rocco Gnoni, di professione contadino, già ritenuto «rivedibile» a causa della «debole costituzione fisica», viene poi arruolato nell’11 Compagnia di Sanità (44° Divisione Sanità) e viene considerato «disperso nel fatto d’armi dell’ottobre 1917»[29].
Dopo quasi due anni di servizio al fronte, Rocco ottenne con ogni probabilità una licenza, durante la quale lui e sua moglie concepirono l’unico figlio, Donato, che venne alla luce il 19 novembre 1917. Gnoni però non poté mai conoscere il bambino, perché morì pochi giorni prima della sua nascita.
Pluviano-Guerrini riportano nel Capitolo «La Relazione Tommasi. Esecuzioni sommarie per le quali manca ogni elemento di giudizio nei rapporti e documenti esaminati»[30], un corpus molto più consistente di esempi. Fra questi, oltre a quelli sopra elencati: Brigata Ivrea, 162° reggimento, 21 febbraio 1917. 2 fucilati. Diserzione; Brigata Palermo, battaglione complementare, 20 maggio 1917. 3 fucilati. Rivolta; e poi 44° sezione di sanità, 4 novembre 1917. 1 fucilato. Accusa sconosciuta. Quest’ultima è quella che a noi interessa, perché il soldato fucilato per motivi sconosciuti è Rocco Gnoni, «un ventinovenne nato a Ruffano, provincia di Lecce. L’ordine di fucilazione fu impartito dal comando della 2°armata il 3 novembre 1917, mentre la ritirata era ancora in corso. L’esecuzione sommaria avvenne presso il Cimitero di Porcia, nel Pordenonese, alle 6.15 del 4 novembre 1917, quando i reparti italiani si apprestavano ad abbandonare la zona. Il plotone di esecuzione era composto da dodici carabinieri della 128° sezione, addetta al comando della 2° armata. La scheda compilata da Tommasi e i documenti allegati non riportano la ragione della condanna, e questo è un fatto di particolare gravità perché la fucilazione avvenne per ordine di un comando d’armata»[31]. Gli autori inoltre riportano in nota che nell’Allegato 40 sono contenute «la lettera di trasmissione del comandante dei carabinieri dell’armata al comando della 2°armata, il processo verbale dell’esecuzione sommaria, a firma del tenente dei carabinieri Nicola Crocesi, comandante del plotone di esecuzione, e l’atto di morte del soldato Gnoni, redatto dal capitano medico Ario Airaghi, sempre il 4 novembre 1917»[32].  Si apre allora una incongruenza nella ricostruzione della vita di Gnoni. L’Albo d’Oro dei caduti della Grande Guerra, infatti, dice di lui che fu disperso in battaglia il 30 ottobre, «nel ripiegamento al Piave», dopo la tragica sconfitta di Caporetto[33].  E anche il foglio matricolare, come già detto, annota «disperso» e «rilasciata dichiarazione di irreperibilità»[34]. Come tale viene ricordato nella targa commemorativa del Monumento ai Caduti del suo paese, la piccola frazione di Torrepaduli. In realtà, egli fu fucilato, come dimostrano inconfutabilmente Pluviano e Guerrini sulla base dei documenti ufficiali. Fu vittima della repressione interna, uno di quei capri espiatori, di cui si diceva all’inizio.
La storia ci insegna che la guerra, come evento straordinario, che sconvolge cioè il regolare procedere del tempo ordinario, frange prassi, codici, norme di comportamento e garanzie. Ogni guerra porta esecuzioni sommarie, decimazioni, pene di morte, e non solo scombina le regole del vivere civile ma sovente calpesta la stessa etica militare. La Prima Guerra Mondiale non fa eccezione: questa fu la grande delusione che già nel 1916 si impossessò dei ragazzi che con entusiasmo e fiducia erano partiti per il fronte.  Nihil novi sub sole è il motto tragicamente fatalistico che si potrebbe trarre. E non meno che appropriato ci appare l’aggettivo fatalistico, se pensiamo che ad una vera e propria roulette russa era affidata la vita di questi soldati, nelle parole del Generale Cadorna: «non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l’accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte»[35].
Subito dopo la guerra, ci fu molta confusione sul numero esatto delle vittime di esecuzioni sommarie. Questo numero oscillava fra 109, indicato dall’On. Vito Luciano alla Camera dei Deputati il 19 settembre 1919[36], 152, il numero avanzato dall’Avvocatura generale militare, e più di 1000, come sosteneva il giornale del Partito Socialista «L’Avanti».  Come già detto, Pluviano e Guerrini, utilizzando le due fonti di segno opposto, ossia quella ufficiale della Relazione sulle esecuzioni sommarie del Generale Tommasi e quella non ufficiale e antimilitarista dell’Avanti, integrandole con i tanti documenti rinvenuti nell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (USSME) e dalla memorialistica e dai resoconti di guerra, hanno calcolato questo numero in 750 fucilati[37].
Dopo il conflitto, la Relazione del Generale Tommasi restava la fonte più credibile sui fucilati di guerra, anche se il numero che presenta è in difetto e tende a colpevolizzare esclusivamente il Generale Cadorna facendo credere che col Generale Diaz la situazione fosse cambiata e le esecuzioni del tutto cessate (è invece dimostrato che vi fossero ancora dei casi), ma queste erano le pressioni che Tommasi aveva ricevuto dall’alto. In effetti, il Generale Cadorna nel frattempo era stato sostituito da Diaz.
Tuttavia, il destino della Commissione fu di essere insabbiata, analogamente a quella su Caporetto. Le sue risultanze vennero dimenticate e nessuno degli ufficiali colpevoli fu processato per i delitti commessi.
La linea del Parlamento italiano divenne quella di elogiare e ringraziare l’esercito e i suoi vertici per l’alto eroismo (dando avvio alla magniloquenza propagandistica che caratterizzerà tutto il dopoguerra fascista) e sostanzialmente perdonare i responsabili della carneficina, considerando quanto avvenuto come un male necessario, nonostante l’unica voce dissonante in Parlamento, quella del Partito Socialista, si alzasse contro simile conclusione. Di conseguenza, siffatti crimini contro l’umanità rimasero impuniti e un velo di oblio cadde sulla triste vicenda fino quasi ai giorni nostri[38]. Bisognerà attendere la pubblicazione dei libri di Forcella e Monticone del 1968[39] e di Procacci del 1993[40], basati sull’inchiesta del Generale Tommasi del 1919 fino ad allora segretata, per avere chiarezza. Queste ricerche hanno permesso anche di venire a conoscenza della vera fine del soldato Rocco Gnoni.
Nel 2016 è stato anche organizzato dall’Istituto Comprensivo Statale di Ruffano un incontro dal titolo    “I fucilati per mano amica nella Grande Guerra: verità e riabilitazione. La storia del soldato ruffanese Rocco Gnoni”.  Gli organizzatori di quell’incontro, in primis il prof. Roberto Molentino, referente del progetto “Cento anni fa… la Grande Guerra”, ed i docenti coinvolti, hanno voluto far luce sulle vere cause della morte di questo concittadino. Hanno ricercato il Verbale di esecuzione sommaria del soldato Gnoni Rocco, dal quale risulta che «detto militare venne fucilato il 3 novembre 1917 in Porcia per ordine del Comando della 2° Armata. Non vi è alcun accenno ai fatti che determinarono detto giudizio sommario e pertanto occorrerebbero nuove indagini per poter esaminare se l’ordine del detto Comando fu conforme alla legge». La fucilazione dunque avvenne nei pressi del cimitero di Porcia, paesino in provincia di Pordenone.          «Al soldato Rocco Gnoni furono sparati in due riprese complessivamente 12 colpi di moschetto M.1891, che lo resero all’istante cadavere»[41].  Sempre secondo il verbale, il cadavere del soldato fu seppellito all’interno del Cimitero di Porcia.
Per saperne di più, gli studenti del progetto scolastico coordinati da Molentino hanno intervistato il nipote del soldato, Gino Gnoni, il quale ha detto di essere a conoscenza del fatto, anche se non in grado di provarlo.
Gino ha sostenuto che suo padre, Donato, non voleva ricordare e non parlava mai di ciò che era accaduto a Rocco, anche se provò per tutta la vita sentimenti ostili nei confronti dell’arma dei Carabinieri[42]. Nonna Giovanna, vedova di Rocco, raccontava invece che un reduce le aveva riferito quanto accaduto al marito: sembra che mentre si trovava in un’osteria a rifocillarsi dopo le dure battaglie delle settimane precedenti, fosse stato redarguito da un superiore a cui, forse, rispose in modo irrispettoso. Questo segnò il suo destino.
Quanto scoperto trova un riscontro anche nel libro Nel vortice della grande guerra. Porcia nell’anno dell’invasione di Sergio Bigatton e Angelo Tonizzo, pubblicato dal Comune di Porcia nel 2010[43]. Il volume, incentrato sulla partecipazione della cittadina del Pordenonese alla Prima Guerra Mondiale, riporta nella seconda parte il Discorso pronunciato dal generale Umberto Pastore a Palse per l’inaugurazione del mausoleo ai Caduti in guerra, l’opera di don Francesco Cum Le memorie di un parroco dell’anno dell’invasione, e gli scritti di Antonio Forniz La prima guerra mondiale nei piccoli ricordi di un friulano adolescente. Sono riprodotti inoltre alcuni passi del diario del pittore futurista e scrittore Ardengo Soffici, scritti dal Castello di Porcia, dove soggiornò durante la ritirata di Caporetto. Infine, alcune memorie di Pietro Masutti e di Luigi Del Ben. In Appendice, sono riportati i nomi dei caduti di Porcia. Fra questi caduti non figura Rocco Gnoni, ma gli autori riferiscono un episodio che a Porcia era ben conosciuto e che ci fa chiaramente pensare al Nostro. Parlano della storia-leggenda di un povero soldato giustiziato di cui a Porcia girava insistente la voce, un «soldato italiano fucilato dai suoi al cimitero di Porcia durante la ritirata», individuato dagli autori grazie al ritrovamento di una planimetria del cimitero dove, fra i morti sepolti, viene ricordato anche un «Italiano fucilato»[44]. Ne parla con un fugace cenno il religioso Don Francesco Cum nel suo discorso (stampato a Udine nel 1920), che gli autori riportano nella seconda parte del libro[45].  Uno degli autori, Sergio Bigatton, contattato dagli organizzatori della manifestazione ruffanese, ha affermato che il soldato cui si accenna nel libro è senz’altro Rocco Gnoni. A maggior conferma, l’episodio dell’uccisione di Gnoni si potrebbe ricavare da un’altra fonte, che è il libro di Ardengo Soffici, La ritirata del Friuli. Note di un ufficiale della Seconda Armata[46], in cui il pittore e poeta futurista narra la sua esperienza nella prima guerra mondiale. Nella notte fra il 3 e il 4 novembre, scrive che, mentre era uscito con alcuni compagni a fare due passi nel paese, nel buio più fitto, avvertì dei rumori nei pressi del cimitero e fu attirato dalla luce di una lanterna. Incontrò alcuni uomini, dei carabinieri, e ai loro piedi un uomo morto, che Soffici ed i compagni scambiarono per una donna, in quanto l’uomo era acconciato in abiti femminili, probabilmente per sfuggire ai suoi assalitori. I carabinieri riferirono a Soffici e compagni che il loro superiore aveva ordinato di ammazzare sul posto quell’uomo, e loro avevano eseguito immantinente l’ordine, fucilando il malcapitato. Si trattava di una punizione esemplare. Anche se Soffici non fa il nome di Gnoni, è facile supporre che si tratti di lui[47].
Non sorprenderebbe che il soldato ruffanese si trovasse in un’osteria a sbronzarsi. Il vino e la prostituzione erano fin dall’inizio della guerra i soli due svaghi consentiti ai soldati nella terribilità del momento. Si trattava di svaghi autorizzati o meglio “istituzionalizzati” dalle autorità[48]. Il vino in trincea era un farmaco potentissimo, ne parla anche Emilio Lussu in Un anno sull’altopiano[49]. Utilizzato in quantità massicce dai soldati per fare fronte alla drammaticità della situazione, esso dava loro sollievo, potenziandone l’audacia e la bellicosità in alcuni casi, fungendo da oppiaceo e quindi anestetizzando la paura e il dolore in altri. Comunque, sia che lo usassero come coadiuvante per darsi forza e coraggio, sia come tranquillante per attutire nei fumi dell’alcol lo shock di un impatto emotivo devastante, tutti i soldati ne diventavano dipendenti. Tanto vero che anche nelle cosiddette Case del soldato[50], circoli ricreativi religiosi, creati dalla chiesa per contrastare le case di tolleranza (e fu una battaglia persa fin dall’inizio di fronte al proliferare delle case chiuse e al massiccio ricorso dei militari al sesso a pagamento), i soldati bevevano[51]. Anzi, una delle voci di spesa più alte negli acquisti delle Case del soldato era proprio quella per il vino, poiché i preti ritenevano che un consumo, sia pure moderato, della bevanda alcolica dovesse comunque essere permesso, anche per contrastare il ricorso alla prostituzione: come dire, si sceglieva il male minore[52]. Mons. Giuseppe Pellizzo, Vescovo di Padova, in una lettera affermava che avevano come unico pensiero quello di svuotare le cantine nei paesi abbandonati ed erano talmente attaccati alla bottiglia che se le montagne fossero state damigiane i soldati le avrebbero custodite meglio, essendo sempre aggrappati ad esse[53]. Questo scritto è anche più importante per quanto il prelato sostiene dopo[54], cioè che proprio a causa dell’ubriachezza, alcuni giorni prima un battaglione aveva rifiutato di andare avanti ed era stata sorteggiata una compagnia e decimata. Importante dappiù, questa lettera di Mons. Pellizzo, per la data in cui viene inviata, ossia il 31 maggio 1916, in un periodo in cui nessuno dei soldati dal fronte osava confessare tale pratica aberrante. L’alcol, dunque, veniva largamente usato nelle trincee e finanche incoraggiato dal Comando supremo. Esso costituiva proprio la benzina dei soldati, come dice Emilio Lussu.Ma poi, fuori dalle trincee, per somma incoerenza, specie con la gestione Cadorna, esso veniva proscritto, quasi demonizzato nelle Circolari del Generale che imponevano ai soldati, negli ambienti civili, assoluta sobrietà ed un severo contegno in ogni circostanza. Gnoni pagò con la vita la sua mancanza di contegno.
Nel 2015, gli Onorevoli Giorgio Zanin e Gian Piero Scanu hanno voluto proporre una legge sulla riabilitazione di questi caduti della prima guerra mondiale. In effetti, nel 2014, nell’ambito delle celebrazioni in occasione del centenario della Grande Guerra, si segnalava l’iniziativa di un gruppo di 50 intellettuali che inviavano un appello al Presidente della Repubblica per la riabilitazione dei soldati fucilati. Essi si costituirono in un Comitato nell’ambito del Ministero della Difesa. All’iniziativa di questo Comitato si unirono i deputati Gian Piero Scanu e Giorgio Zanin, rispettivamente primo firmatario e relatore alla Camera dei Deputati della proposta di legge n. 2741 finalizzata «ad attivare il procedimento per la riabilitazione dei soldati italiani condannati alla pena capitale nel triennio 1915-18, nonché per restituire l’onore militare e riconoscere la dignità di vittime di guerra a quanti furono passati per le armi senza processo con la brutale pratica della decimazione o per esecuzione immediata e diretta da parte dei superiori. Verrà così restituito l’onore militare e la dignità di vittime della guerra a quanti vennero fucilati. Infatti, una volta approvata la legge verranno inseriti nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze I caduti»[55]. Giorgio Zanin venne anche invitato a Ruffano nel già citato Convegno del 2016 e in quell’occasione si è soffermato su questa triste vicenda e ha sottolineato l’alto dovere morale e civile di riaprire una delle pagine più nere della storia d’Italia.
Nella maggior parte dei casi, i sospetti e le accuse di delazione, spionaggio, intelligenza col nemico, diserzione, di cui erano fatti oggetto taluni soldati, rimasero tali, solo frutto di menti paranoiche o soggiogate. Le fucilazioni che ne seguirono furono invece reali, come molta memorialistica conferma e certa stampa dell’epoca andava denunciando. Soprattutto nelle interviste ai reduci, nelle testimonianze orali e in tanti diari pubblicati dopo la guerra, molto vivi e brucianti i ricordi delle esecuzioni sommarie[56]. Non così invece nelle lettere, quelle inviate dal fronte, che erano sottoposte a censura[57].
Alle esecuzioni dei militari, bisogna aggiungere quelle dei civili. Le fonti dimostrano che fin dai primi giorni del conflitto il nostro esercito si macchiò di vari delitti perpetrati a danno delle popolazioni di confine, uccidendo tantissimi abitanti dei territori occupati, con esecuzioni sommarie[58].
Una certa pubblicistica antimilitarista sostiene senza indugio che i veri eroi furono proprio questi, i disertori, i ribelli, i fuoriusciti. Questa pubblicistica porta a sostegno della propria posizione un abolito articolo della Costituzione, per l’esattezza l’articolo 50, poi divenuto articolo 54 che, al secondo comma, poi cassato, recitava: «Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino»[59]. Ma al di là delle posizioni di un certo pacifismo radicale, tutto l’orientamento dell’opinione pubblica in questi ultimi anni in Italia è stato quello di riabilitare non solo i fucilati di guerra ma anche i renitenti e i disertori, considerati anch’essi vittime della sofferenza procurata dalla guerra. Un articolo pubblicato su «La Repubblica» nel 2014 dà voce al Vescovo Santo Marcianò, Ordinario Militare, il quale parla delle diserzioni come di «un fenomeno che coinvolse tutte le forze in campo, alimentato non tanto dalla paura quanto dalla nostalgia per la famiglia e odio per l’ingiustizia delle autorità militari. Le condanne furono circa centomila. Impossibile sapere con esattezza i fucilati, almeno un migliaio»[60].
Come non vedere, in questi soldati ingiustamente massacrati, come Rocco Gnoni di Ruffano, dei martiri laici? Eroi minori di una beffarda tragicommedia.
Per concludere con le parole di Ardengo Soffici: «sono forse costoro dei vinti, dei disertori, dei rivoltosi, dei traditori? O sono, diciamo la parola, dei vigliacchi? No. Basta vederli. Basta lasciare entrare la loro anima nella nostra. Sono delle vittime. Sono degli incoscienti. Sono degli illusi – e il male non è qui. … il male è nelle radici – il male è laggiù sotto di noi: nell’ignominia di chi divide, di chi baratta, di chi mente, di chi mercanteggia. Di chi abbandona. Il male è dappertutto; ma non è qui. Qui si soffre soltanto. Non è la via dell’infamia, qui. È la via della croce»[61].
* Società di Storia Patria per la Puglia, [email protected]
  Vivamente ringrazio gli amici Francesco Frisullo, che per primo ha fatto luce sulla storia del soldato Rocco Gnoni, e Roberto Molentino, che mi ha messo a disposizione alcune fonti documentarie.
  Note 
[1] R. Girard, La violenza e il sacro, Milano, Adelphi, 1980.
[2] R. Caillois, L’uomo e il sacro, Torino, Bollati-Boringhieri, 2001.
  [3] E. Forcella – A. Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, Bari, Laterza,1968, 2° ed. , 2014.
[4] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella prima guerra mondiale, Udine, Gaspari, 2004, p.12.
[5] F. Cappellano, Cadorna e le fucilazioni nell’esercito italiano (1915-1917), p.1, in  www.museodellaguerra.it/wp-content/…/09/annali_23_Cadorna-e-le-fucilazioni.pdf. L’autore si rifà al libro di Forcella e Monticone, Plotone di esecuzione cit.
[6] Ivi, p.36.
[7] Circolare n. 1 Disciplina di Guerra in data 24 maggio 1915, conservato presso l’archivio dell’USSME (Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito), repertorio L3, b. 141, fasc. 3, riportato in M. Pluviano e I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.36.
[8] Circolare n. 3525 in data 28 settembre 1915, Disciplina di guerra, USSME, Ivi, p.36.
[9] Ibidem.
[10] Ivi, p.14.
[11] Ivi, p.15.
[12] Ivi, p.20.
[13] Ivi, p.21.
[14] Ivi, p.23.
[15] Ministero della Guerra, Ufficio Statistico, Statistica dello sforzo militare italiano nella guerra mondiale. Dati sulla giustizia e disciplina militare, a cura di G. Mortara, Roma, 1927, in B. Bianchi, La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano 1915-1918, Roma, Bulzoni, 2001,
[16] Ivi, pp.1-6. Sulla copertina del libro è raffigurata un’immagine tratta dal film di Francesco Rosi Uomini contro, del 1970, ispirato al romanzo di Emilio Lussu, Un anno sull’Altipiano.
[17] Letta al convegno “Scampare la guerra”, tenuto a Fogliano  Redipuglia nel 1990. Questa relazione è poi confluita nel libro con cui si pubblicarono gli atti: 1914-1918 scampare la guerra : renitenza, autolesionismo, comportamenti individuali e collettivi di fuga e la giustizia militare nella Grande Guerra, a cura di L. Fabi, Ronchi dei Legionari, Centro culturale pubblico polivalente, 1994, pp.63-75. Guerrini – Pluviano sono anche autori di La giustizia militare, in Dizionario storico della Prima Guerra Mondiale, a cura di N. Labanca, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 137-146.
[18] Commissione d’inchiesta Dall’Isonzo al Piave. 24 ottobre-9 novembre 1917, Roma, Stabilimenti tipografici per l’amministrazione della guerra, 1919. Istituita con R.D.12 gennaio 1918, n.35.
[19] Atti parlamentari, Camera dei Deputati, legislatura XXIV, 1ª sessione, discussioni, tornata del 12 settembre 1919, in                         F. Cappellano, Cadorna e le fucilazioni nell’esercito italiano cit., p.12.
[20] Lettera in data 26 maggio 1916 del capo di Stato Maggiore dell’Esercito al Generale Clemente Lequio – USSME, in Filippo Cappellano, op. cit., p.6.
[21] Circolare n. 32800 in data 28 dicembre 1916, Conseguenze del reato di diserzione, Comando 3ª Armata. Altre conseguenze di legge del reato di diserzione erano: interdizione perpetua dei pubblici uffici, interdizione legale con la perdita di amministrazione dei propri beni, patria podestà, autorità maritale e capacità di fare testamento: fonte USSME, in F. Cappellano, op. cit., p.7.
[22] Ivi, p.11.
[23] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.41.
[24] La decimazione, che consisteva nel tirare a sorte il nome dei fucilati,come esempio di estrema disciplina militare inflitta ai soldati era una pratica già conosciuta dai Romani ma fu nella Prima Guerra Mondiale che se ne fece largo uso.
[25] Relazione della Commissione d’inchiesta, Dall’Isonzo al Piave 24 ottobre – 9 novembre 1917, vol. II, Le cause e le responsabilità degli avvenimenti, 1919, in F. Cappellano, op. cit., p.7.
[26] Il giurista Donato Antonio Tommasi (1867-1949), tarantino di nascita, era leccese. Stimato magistrato, durante la guerra ricoprì il ruolo di Avvocato Generale presso il Tribunale supremo di Guerra e di Marina e poi dell’Esercito. Fu parlamentare, eletto nelle file del Partito Popolare, negli anni Venti. Strenuo oppositore del Fascismo, in occasione della Marcia su Roma, redasse il decreto per lo stato d’assedio per conto del Presidente del Consiglio Luigi Facta che venne respinto dal Re Vittorio Emanuele III. Per questo, fu ostracizzato dal regime. Partecipò alla Seconda Guerra Mondiale e venne ferito dallo scoppio di una bomba lanciata sul centro militare clandestino che dirigeva a Roma, e fu onorato della medaglia d’argento al valor militare: M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.48.
[27] Ivi, Le fucilazioni sommarie cit., p.47.
[28] Ivi, p.19.
[29]Archivio di Stato di Lecce, Vol. 194, Ruoli matricolari soldati appartenenti alla classe 1890.
[30] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., pp.113-130.
[31] Ivi,p.125.
[32]Ivi, p.129.
[33] Albo d’Oro, Volume XVIII, Puglie, N. 902. Nell’Albo d’Oro, giusta circolare del Ministero della Guerra, 8 giugno 1926, sono inclusi tutti i militari del R. Esercito, della R. Marina, della R. Guardia di Finanza, il cui decesso o scomparsa sia avvenuta per causa di guerra dal 24 maggio 1915 al 20 ottobre 1920, data di pubblicazione della pace.
[34] Archivio di Stato di Lecce Vol. 194, Ruoli matricolari soldati appartenenti alla classe 1890. La dichiarazione di irreperibilità veniva rilasciata dal CIFAG (Centro interministeriale per la formazione degli atti giuridici) di Roma, ora soppresso.
[35] Telegramma circolare nr. 2910 del 1 novembre 1916 del Comando Supremo, in Filippo Cappellano, op.cit., p.7.
[36] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p.2.
[37] Ivi, pp.2-3.
[38] Ivi,pp.5-6.
[39] E. Forcella- A. Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale, Bari, Laterza, 1968 (poi 2014).
[40] G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra, Roma, Editori Riuniti, 1993. Sulle punizioni esemplari e le fucilazioni anche: A. Cazzullo, La guerra dei nostri nonni, Milano, Mondadori, 2014, p. 24.
[41] Si veda il Verbale della fucilazione allegato.
[42] Sul ruolo dei Regi Carabinieri: F. Angeletti, Il ruolo dell’arma dei carabinieri durante il primo conflitto mondiale: il fronte interno, in  «Eunomia. Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali», a. IV, n. 2, 2015, pp.371-386.
[43] Nel vortice della grande guerra. Porcia nell’anno dell’invasione. Documenti e memorie sulla prima Guerra mondiale, a cura di S. Bigatton e A. Tonizzo, Pordenone, Sage Print, 2010.
[44] Ivi, pp.39-40.
[45] Ivi, pp.81-107.
[46] A. Soffici, La ritirata del Friuli. Note di un ufficiale della Seconda Armata, Firenze, Vallecchi, 1919.
[47]Ivi, pp.192-193.
[48] Sulle case di tolleranza, si veda E. Franzina, I casini di guerra, Udine, Gaspari, 1999.
[49] E. Lussu, Un anno sull’altopiano,Torino, Einaudi, 1964.
[50] Don G. Minozzi, Ricordi di guerra, Amatrice, Vol. I, 1956.
[51] E. Franzina, I casini di guerra cit., p. 192. Sull’argomento, anche P. Vincenti, Tra vergogna e onore: le prostitute di guerra, in L’officina del sentimento. Voci gesti segni femminili in Terra d’Otranto davanti alla Grande Guerra (1915-1924), a cura di G. Caramuscio, in corso di stampa.
[52] M. Pluviano, Le case del soldato, in «Notiziario dell’Istituto Storico della Resistenza in Cuneo e provincia», n.36, dicembre 1989, pp.5-88.
[53]I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, a cura di A. Sciottà, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, p.73. Mons. Pellizzo, fondatore del giornale cattolico «La difesa del popolo», scrive tra il 1915 e il 1918 ben centocinquantasei lettere a Papa Benedetto XV per informarlo sul drammatico andamento della prima guerra mondiale.
[54] Pubblicato da I. Guerrini – M. Pluviano, in Il memoriale Tommasi. Decimazioni ed esecuzioni sommarie durante la grande guerra, in 1914-1918 scampare la guerra cit., pp.63-75.
[55] Disposizioni concernenti i militari italiani ai quali è stata irrogata la pena capitale durante la Prima guerra mondiale https://www.camera.it › leg18
[56] M. Pluviano – I. Guerrini, Le fucilazioni sommarie cit., p. 239.
[57]Ivi, p. 240. Le lettere dal fronte avevano degli speciali censori che erano spesso gli ufficiali austriaci e tedeschi, incaricati di leggerle, allo scopo di emendarle da eventuali informazioni poco opportune e pericolose. Fra questi ufficiali, Leo Spitzer, il filologo austriaco al quale si deve il primo studio organico di carattere linguistico sulle lettere dei soldati dal fronte. Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani: 1915–1918, a cura di L. Renzi, Torino 1976, nuova ed., Milano 2016. Si veda anche D. Octavian Cepraga, Scritture contadine e censori d’eccezione: le lettere versificate dei soldati romeni della Grande Guerra, in Memorialistica e letteratura della Grande Guerra. Parallelismi e dissonanze Atti del Convegno di studi italo-romeno Padova–Venezia, 8–9 ottobre 2015,a cura di D. Octavian Cepraga, R. Dinu e A. Firţa, Quaderni della Casa Romena di Venezia, XI-2016, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, 2016, p.189.
[58] Ivi, pp. 196 -197.
[59] https://www.nascitacostituzione.it/02p1/04t4/054/art054-011.htm
[60] P. Gallori, Grande guerra, l’ordinario Militare: “Riabilitare i disertori come Caduti”, in «La Repubblica», 6 novembre 2014
[61] A. Soffici, op. cit.,p.202.
Ringrazio gli amici Francesco Frisullo, che per primo ha fatto luce sulla storia del soldato Rocco Gnoni, e Roberto Molentino che ha messo a disposizione alcune fonti documentarie.
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lamilanomagazine · 2 years
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Modena, il Parco della Terramara apre la stagione autunnale
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Modena, il Parco della Terramara apre la stagione autunnale   Domenica 11 settembre riapre al pubblico per la stagione autunnale il Parco archeologico della Terramara di Montale che si ripresenta ai visitatori con un “nuovo” portale di legno all’ingresso monumentale e una nuova palizzata di confine. Nell’estate, infatti, sono stati ultimati gli interventi di manutenzione straordinaria avviati a primavera nel corso dei quali sono stati messi in sicurezza, con riparazioni e rinforzi statici, il portale e la palizzata all’aperto. Sono stati rifatti, inoltre, gli impianti antincendio e rinnovati gli impianti d’allarme antintrusione e videosorveglianza. Nella prima giornata della riapertura autunnale, i visitatori saranno guidati a toccare, letteralmente, con mano gli intonaci delle due case del parco ripristinati grazie al workshop che si svolge da venerdì 9 a domenica 11 settembre guidato dagli architetti di Terraepaglia, specializzati in bioedilizia e già intervenuti sul parco nel 2019. La visita guidata “Costruire senza mattoni” sarà l’occasione per presentare al pubblico la fase conclusiva del progetto, che risponde alla necessità di intervenire per ripristinare gli intonaci deteriorati, mostrando una pratica di costruzione con terra cruda e materiali vegetali che nel mondo delle terramare era dettata dalle risorse disponibili e dalle conoscenze di una comunità esperta di piccole e grandi opere, e oggi è sempre più una scelta legata al benessere dell’ambiente e delle persone. La presentazione è accompagnata, come sempre, da un laboratorio per bambini che potranno sporcarsi le mani con rami, canne, frasche e argilla per costruire pareti resistenti. Gli appuntamenti proseguono nelle domeniche e nei giorni festivi fino all’1 novembre, con dimostrazioni di archeologia sperimentale e dimostrazioni di antiche tecniche di lavorazione a corredo delle visite, che sono sempre guidate da uno staff di esperti in discipline archeologiche: il 18 settembre, avvicinandoci all’equinozio, l’attenzione punterà sui “Culti e simboli solari nell'Europa dell’età del bronzo”. Domenica 25 settembre sarà presentata l’Arte del vasaio con ingresso gratuito in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio. Ingresso gratuito anche la prima domenica di ottobre per gli esperimenti di fusione e le dimostrazioni di lavorazione di armi, utensili e ornamenti in bronzo a cura de Il Tre di spade. A ottobre un appuntamento speciale inedito, domenica 23 ottobre, con “Un filo di storia”, con il docente di Preistoria e Protostoria Andrea Cardarelli che ha curato la progettazione scientifica del Parco, e dimostrazioni di filatura. Laboratori per ragazzi (consigliati 6-11 anni) vengono di volta in volta organizzati in collegamento con il tema della giornata: dalla sperimentazione di materiali magici come l’ambra (9 ottobre) alla scoperta di frutti quasi dimenticati (16 ottobre), dal laboratorio di scavo di una terramara (30 ottobre) a quello di una necropoli con scheletri e ceneri (1 novembre). - Il Parco è aperto dalle 9.30 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 18.30 (ultimi ingressi alle 11.45 e alle 17.30). - Le visite sono guidate, con partenza ogni 45 minuti dalle 9.30. - Domenica 5 giugno, come ogni prima domenica del mese, l’ingresso è gratuito. Per informazioni e prenotazioni: 335 8136948 (dalle 9 alle 13, dal lunedì al venerdì); 059 532020 (negli orari di apertura del Parco); mail: [email protected] (assicurandosi di ricevere conferma per le prenotazioni); app ioPrenoto. Per info VISITA IL SITO DEL PARCO.... Read the full article
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scorcidipoesia · 4 years
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1
Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,
noi portiamo la brocca e sferziamo la schiena della vacca,
falciamo e non sappiamo nulla dell’inverno,
beviamo mosto e non sappiamo nulla,
presto saremo dimenticati
e i versi svaniranno come neve davanti alla casa.
Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,
volgiamo lo sguardo nel bosco come nella stalla del mondo,
mentiamo e intrecciamo cesti per mele e pere,
dormiamo mentre le intemperie consumano
davanti alla porta le nostre scarpe infangate.
Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,
non sappiamo nulla,
non sappiamo nulla del declino,
delle città sprofondate, del vortice in cui sono affogati
cavalli e uomini.
*
5
Su nei monti le stelle sorprendono la pioggia scalpitante
quando tocchi le labbra della mia miseria
e sotto il campanile
sul talamo invernale
decidi quando rintoccherà l’orologio che si sfalda.
Le bocche si beano del fiume del grano,
silenti brillano i ruscelli
nelle voci della notte di luna
che salgono da pozze abbandonate
verso mari prosciugati dalla sete.
Spargi ai gabbiani il sale dei tuoi occhi,
ma
apri ciò che hai soffocato nelle estati
mai odorate
e dissolviti nella bocca della mia ferita.
*
40
Arrivano i miei figli
quando il sole cade a pezzi con un sospiro
per vedere le arance
che pendono sotto le tegole della mia capanna
e fanno risuonare i loro volti come campane.
Dove cresce la tristezza al muro
mi canta il merlo nella pietra,
la morte lo ha mandato dai miei campi,
canta
e canta
nel nocciolo della silente notte di luglio.
Fra le travi precipitano nel mare i gabbiani
nell’allegrezza di cuori indomiti,
dai frutti dolci odo la voce dell’Oriente
di nuovo
nel sonno inquieto
che mi castiga con la luna abbandonata
e con l’acuto sibilo del serpente.
Thomas Bernhard
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nascerannofiori · 5 years
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Non volevo scrivere ancora il suo nome. Poi mi son chiesta Che differenza fa. E nessuna differenza. Proprio nessuna. Allora scrivo qualche banalità, perchè a volte serve ad arginare un poco la tristezza. Rifletto che ci sono cose che di me, lo desideri o meno, arriverano sempre prima di me stessa, agli altri. Prima ancora di una sola parola, o della persona, seppur bella, che potrei o non potrei essere. Un’idea o una parte del corpo, ed è lievemente scoraggiante, forse anche molto ingiusto, ridursi a questo. Ad una parte di qualcosa. Stasera e ieri sera, penso, mi han detto più parole le tue spalle, di quanto abbiano fatto le tue labbra, guardandomi negli occhi e giurando verità imprescindibili. Ricordi quella volta, mi hai vomitato in faccia bolle di sapone, quando mi sarebbe bastato un colpo di tosse, per allontanarmi definitivamente e lasciare andare. Eppure, poco dopo la tua vigliaccheria si è rimangiata tutti i frutti maturi. Son rimasti a terra, quelli Caduti, i Dimenticati, gli Ammaccati, quelli Spezzati a metà e che al mercato non compra nessuno. Son rimasti sul fondo della cassa, ad attendere chi avesse fame per davvero. Forse, sarebbe bastato avere un po’ più di coraggio, se solo avessi imparato a raccoglierli. Avrei potuto insegnarti come si fa. Con la paura di sbagliare, e tentare ancora, perchè la psicologa oggi mi ha detto che l’abbiamo tutti, la paura, come tutti come ogni creatura, come i grandi, come te e me.
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sciatu · 5 years
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INVERNO - Etna sotto la neve ; Cancello e paesaggio dell’istituto agricolo Cuppari a Messina, Fiumedinis da una foto di Ludovica Crocè, Spiaggia con neve di Caterina Cifalà, Campagna sopra Giampileri, Panorama di Sutera di Paolino Pardi, foto di  Petralia di luca Sabatino
INVERNO - È inverno quando i colori del mondo sono dentro di te, li tieni stretti nei tuoi ricordi, li doni ai tuoi sogni, li assaggi sulle sue labbra, li ami nei silenzi e nel gelarsi del tempo. E’ inverno quando il mare non ti parla, ma grigio attende l’azzurro e quieto riflette nuvole grigie senza speranza o si arrabbia ed urla divorando la spiaggia con schiuma rabbiosa gridando al cielo il suo esser vedovo del sole.
E’ inverno nel gocciolio della pioggia tra le foglie del bosco, nella nebbia da cui al mattino sorge un sole malato, nella la voce dei corvi che litigano nei campi vuoti, nel cercare affannato del pettirosso tra le foglie gelate nel giardino, nell’assenza di fiori, nel fermentare oscuro delle foglie morte, nella testardaggine del ficodindia che continua a dare frutti.
L’inverno è cullare in silenzio il proprio cuore, sentire nel fuoco il calore delle stagioni passate, il lievitare della prossima vita nel grembo della terra, nei tristi rami degli alberi, nel muto incedere degli animali, spauriti e rassegnati.
L’inverno è la cenere dell’estate bruciata dal fuoco dell’autunno, divorata dai suoi gialli, dagli infiniti marroni diventati ora incolori, grigiastri, gelidi residui di mai dimenticati giorni assolati. Un cimitero grigio e gelato in cui però la vita già muta e lenta ricresce, attendendo fiduciosa e invincibile la prossima primavera
WINTER - It's winter when the colors of the world are inside you, you hold them tight in your memories, you give them to your dreams, you taste them on her lips, you love them in the silences and the freezing of time. It 's winter when the sea does not speak to you, but gray awaits the blue and quiet reflects gray clouds without hope or gets angry and screams, devouring the beach with angry foam shouting in the sky its being a widower of the sun. It is winter in the rain dripping among the leaves of the forest, in the mist from which morning a sick sun rises, in the voice of the ravens fighting in empty fields, in the robed look of the robin among the frozen leaves in the garden, in the absence of flowers, in the dark ferment of dead leaves, in the stubbornness of the prickly pear which continues to bear fruit. Winter is silently cradling one's heart, feeling the heat of the past seasons in the fire, the leavening of the next life in the womb of the earth, the sad branches of the trees, the silent passing of the animals, frightened and resigned. Winter is the ashes of summer burned by the fire of autumn, devoured by its yellows, by the endless browns that have now become colorless, greyish, icy residues of never forgotten sunny days. A gray and icy graveyard where life is already dumb and slow but grows again, awaiting trusting and invincible next spring
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Lo stringersi nelle spalle
quella carezza che ci facciamo da soli
facendo finta di spostarci i capelli dal viso
Quel freddo improvviso, anche d’estate
Le braccia incrociate, lo sguardo lontano
le labbra tra i denti.
Siamo i frutti del non amore
anime alla ricerca di profumi umani
di sentimenti dimenticati, di gesti perduti.
Siamo fiori sotto la neve
timorosi, inquieti, perfetti e soli.
Siamo i sacrificabili, gli invisibili
i portatori di spine.
Cinti da cilici di colpe e avvolti
nel sudario del dovere.
Siamo quelli che l’amore lo danno
a prescindere.
Ci riconosci da piccoli gesti.
Carolina Turroni
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pillowbook76 · 6 years
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Festa dei frutti dimenticati: come morire satolli, ubriachi e felici.
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