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#giovanni falcone
ilblogdellestorie · 11 months
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“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola.”
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rosaleona · 11 months
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Vorrei ricordare a tutti quelli che si battono per l'abolizione del 41-bis che per coerenza dovrebbero astenersi dal commemorare la strage di Capaci, visto che l'ergastolo duro per i mafiosi è stato ideato da Giovanni Falcone.
Come presa per i fondelli basta già l'annuale passerella di politici, evitate di percularci anche voi, grazie.
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playitagin · 11 months
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1992 – Capaci bombing
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Italy's most prominent anti-mafia judge Giovanni Falcone, his wife and three body guards are killed by the Corleonesi clan with a half-ton bomb near Capaci, Sicily.
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His friend and colleague Paolo Borsellino will be assassinated less than two months later, making 1992 a turning point in the history of Italian Mafia prosecutions.
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mccek · 1 year
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Fabrizio Moro - Pensa (live Palermo)❤️
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gregor-samsung · 11 months
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“ Il metodo Falcone
«Nemico numero uno della mafia», l'etichetta gli resterà attaccata per sempre. Circondato da un alone leggendario di combattente senza macchia e senza paura, il giudice Giovanni Falcone, cinquantadue anni, ne ha trascorsi undici nell'ufficio bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo a far la guerra a Cosa Nostra. Queste pagine ne costituiscono la testimonianza. Non si tratta né di un testamento né di un tentativo di tenere la lezione e ancor meno di atteggiarsi a eroe. «Non sono Robin Hood,» commenta in tono scherzoso «né un kamikaze e tantomeno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium». Si tratta dunque piuttosto di un momento di riflessione, del tentativo di fare un bilancio nell'intervallo tra vecchi e nuovi incarichi: il 13 marzo 1991 il giudice Giovanni Falcone è stato nominato direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia a Roma.
Lontano da Palermo.
La partenza dal capoluogo siciliano, il distacco da una vita che si alternava tra auto blindate, dall'atmosfera soffocante del Palazzo di Giustizia, dalle lunghe notti a leggere e rileggere le deposizioni dei pentiti dietro le pesanti tende di una stanza superprotetta, dai tragitti tortuosi con la scorta delle auto della polizia a sirene spiegate sono forse stati una specie di sollievo. Ma Falcone non si fa illusioni, non dimentica il mancato attentato del 21 giugno 1989. cinquanta candelotti di tritolo nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa dove trascorre le vacanze: «È vero, non mi hanno ancora fatto fuori… ma il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò solo con la mia morte, naturale o meno». Tommaso Buscetta, il superpentito della mafia, lo aveva messo in guardia fin dall'inizio delle sue confessioni: «Prima cercheranno di uccidere me, ma poi verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno!».
Roma è soltanto in apparenza una sede più tranquilla di Palermo; ormai da tempo i grandi boss mafiosi l'hanno eletta a loro domicilio. La feroce «famiglia» palermitana di Santa Maria di Gesù vi ha installato antenne potenti. Senza contare la rete creata dal cosiddetto «cassiere» Pippo Calò, con il suo contorno di mafiosi, gangster e uomini politici. Le ragioni per le quali Falcone ha scelto Roma come nuova sede di lavoro sono diverse: nella capitale di Cosa Nostra non poteva più disporre dei mezzi necessari alle sue inchieste e il frazionamento delle istruttorie aveva paralizzato i giudici del pool anti-mafia. Era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata. Conscio di non essere più in grado di inventare nuove strategie, l'uomo del maxiprocesso, che aveva trascinato in tribunale i grandi capimafia, non poteva rassegnarsi a rimanere inerte. Ha scelto di andarsene. Le informazioni da lui raccolte possono essere utilizzate con profitto anche lontano da Palermo. Certo, non dovrà più svolgere personalmente le indagini, dovrà invece creare condizioni tali per cui le indagini future possano essere portate a termine più rapidamente e in modo più incisivo, dando vita a stabili strutture di coordinamento tra i diversi magistrati. Il clima nel capoluogo siciliano è cambiato: è spenta l'euforia degli anni 1984-87, finita la fioritura dei pentiti, lontano il tempo del pool antimafia, dei processi contro la Cupola istruiti magistralmente. In questa città impenetrabile e misteriosa, dove il bene e il male si esprimono in modo ugualmente eccessivo, si respira un senso di stanchezza, il desiderio di ritornare alla normalità. Mafiosi regolarmente condannati sono tornati in libertà per questioni procedurali, alcune facce fin troppo note ricompaiono nei ristoranti più alla moda. Le forze dell'ordine non hanno più lo smalto di un tempo. I pool di magistrati sono ormai svuotati di potere, il fronte ha smobilitato. Cosa Nostra dal canto suo ha rinunciato all'apparente immobilità. La pax mafiosa seguita alle pesanti condanne del maxiprocesso, da un lato, e al dominio dittatoriale dei «Corleonesi» sull'organizzazione, dall'altro, non è più salda come prima. Si moltiplicano i segnali di un progetto di rivincita delle «famiglie» palermitane per riconquistare l'egemonia perduta nel 1982 a favore della «famiglia» di Corleone, i cui capi, latitanti, si chiamano Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Luciano Leggio, quest'ultimo in carcere. La mafia sta attraversando una fase critica: deve riacquistare credibilità interna e rifarsi una immagine di facciata, in quanto entrambe gravemente compromesse. «Abbiamo poco tempo per sfruttare le conoscenze acquisite,» ripete instancabilmente Falcone «poco tempo per riprendere il lavoro di gruppo e riaffermare la nostra professionalità. Dopodiché, tutto sarà dimenticato, di nuovo scenderà la nebbia. Perché le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati.». “
Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani, Cose Di Cosa Nostra, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli. Prima edizione: 13 novembre 1991.
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nochkoroleva · 2 years
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Ogni anno, il 23 Maggio, noi tutti ricordiamo la morte di Giovanni Falcone. Quest'anno, per i trentanni di anniversario, vorrei ricordare maggiormente un'altra figura che è stata protagonista, insieme alla scorta, di quel drammatico momento.
Ricordiamo Francesca Morvillo, la prima e unica magistrata a essere assassinata dalla mafia. A Capaci è stata uccisa una magistrata prima che una moglie, la prima e unica nell’Italia delle stragi. E' stata una delle prime italiane a vincere il concorso in magistratura nel 1968, ha avuto una carriera brillante molto prima di conoscere Giovanni Falcone. Vinto il concorso in magistratura, diventa giudice presso il Tribunale di Agrigento, poi Sostituta procuratrice presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, poi consigliera di Corte d’appello. Conosce Falcone a casa di amici nel 1979, entrambi sposati, si innamorano e lasciano i loro compagni. Francesca sa molto bene cosa fa. Sa che non sarà facile, che lui non è un uomo come tanti. E Giovanni, dal canto suo, sa che solo una collega che si batte con passione per la giustizia come Francesca può sopportare tutto quello che gli anni insieme riserveranno a entrambi. Quando il 23 maggio del 1992, alle 17.58, una carica di cinque quintali di tritolo fece saltare in aria un pezzo dell’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, vicino a Palermo, uccidendo il giudice Giovanni Falcone insieme alla sua scorta, e alla moglie Francesca, la morte di lei non fu per caso. Non fu un inciampo. Lei era lì perché lo aveva scelto. Francesca Morvillo è stata luce, è stata la degna compagna di un uomo non certo comune. Forse è stata più coraggiosa, più caparbia perché sapeva che non sarebbe stata ricordata quanto lui, ma lo ha fatto per amore, amore di lui e amore di giustizia.
Ricordiamo Francesca Morvillo, quindi, la prima e unica magistrata a essere assassinata dalla mafia.
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stregamorganablog · 2 years
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𝐔𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐩𝐩𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐚𝐧𝐠𝐮𝐞
𝐔𝐧'𝐚𝐬𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐩𝐩𝐚𝐫𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐞𝐧𝐚...
30 anni dalla strage di Capaci: noi non dimentichiamo!
«Giovanni ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte:
“Ci sono tante teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello.
O quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero.
Ma oggi signori e signore, davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è il più testa di minchia di tutti: Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge..." »
[Paolo Borsellino a Giovanni Falcone]
Capaci di ricordare.
Capaci di combattere.
Capaci di cambiare.
"A questa città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali, continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini."
- Giovanni Falcone -
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giovafr-blog · 11 months
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ilblogdellestorie · 11 months
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“Si muore perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.”
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scogito · 2 years
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verso-sera · 11 months
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La memoria storica va esercitata nelle azioni, deve essere ciò che nutre il compimento della libertà, della giustizia, dell’uguaglianza.
Il 23 maggio é ogni giorno.
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mccek · 2 years
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Ricordare come andarono le cose un quarto di secolo fa è fondamentale per orientarsi nelle vicende politiche più attuali, che vedono l'Italia oggi come allora in bilico tra speranze di cambiamento e minacce di restaurazione.
Invece tanti che avrebbero dovuto raccontare questa storia l'hanno taciuta.
E hanno lasciato soli i pochi che hanno osato parlarne, in un paese dove si vive di sole mezze verità, dove lo Stato è sceso a patti con il nemico diventando carnefice e colpevole della morte dei suoi servitori, dove l'impotenza viene imposta prima del coraggio, dove il desiderio di verità diventa quasi una utopia con il passare degli anni e dove troppo spesso si dimentica.
L'importanza del ricordo è la chiave di questa domanda posta a Borsellino.
Un uomo di una grandezza tale che le parole non basterebbero per descriverlo.
Nonostante non abbia vissuto direttamente gli anni delle stragi essendo nato diversi anni dopo, sento il bisogno di sdebitarmi verso coloro che hanno reso destinatari di una eredità così importante noi giovani, che spesso non siamo a conoscenza dei fatti e ci dimentichiamo dello spessore che questi uomini e donne hanno avuto.
Con questa semplice domanda, grezza, privo di tecnicismi, c’è l’intenzione di suscitare in qualcuno lo stesso coraggio, amore e devozione che Paolo Borsellino, con i sorrisi e i suoi occhi di ''miele e mestizia'' ha suscitato in me, dandomi una nuova consapevolezza e nuovi valori sui cui potrò fare sempre affidamento.
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intpatypical · 1 year
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Mi rimane comunque una buona dose di scetticismo, non però alla maniera di Leonardo Sciascia, che sentiva il bisogno di Stato, ma nello Stato non aveva fiducia. Il mio scetticismo, piuttosto che una diffidenza sospettosa, è quel dubbio metodico che finisce col rinsaldare le convinzioni. Io credo nello Stato, e ritengo che sia proprio la mancanza di senso dello Stato, di Stato come valore interiorizzato, a generare quelle distorsioni presenti nell'animo siciliano: il dualismo tra società e Stato; il ripiegamento sulla famiglia, sul gruppo, sul clan; la ricerca di un alibi che permetta a ciascuno di vivere e lavorare in perfetta armonia, senza alcun riferimento a regole di vita collettiva. Che cosa se non il miscuglio di armonia e violenza primitiva è all'origine della mafia? Quella mafia che essenzialmente, a pensarci bene, non è altro che espressione di un bisogno di ordine e quindi di Stato.
Giovanni Falcone e Marcelle Padovani - Cose di Cosa Nostra
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valentina-photo · 2 years
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I resti dell'auto dell'attentato a Giovanni falcone
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