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#letteratura degli anni '70
gregor-samsung · 2 years
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“ «Chi sono i Padri Ignoti e che cosa vogliono?» attaccò Maksim. Ci fu un brusio generale, evidentemente non se l'aspettavano. «I Padri Ignoti» rispose il Dottore «sono un gruppo anonimo di abilissimi intriganti, quel che resta del partito dei golpisti dopo una lotta ventennale per il potere che ha visto sfidarsi militari, politici e finanzieri. Hanno due scopi, uno principale, l'altro fondamentale. Quello principale è mantenere il potere. Quello fondamentale è trarre dal potere la massima soddisfazione. Tra di loro ci sono anche persone non cattive a cui piace credersi benefattori del popolo, ma la maggioranza è composta da arraffoni, sibariti, sadici, tutti egualmente avidi di potere... Le basta?». «No» disse Maksim. «Lei mi ha spiegato semplicemente che si tratta di tiranni. Questo lo sospettavo anch'io... Ma il loro programma economico? La loro ideologia? La base su cui poggiano?». Tutti tornarono a scambiarsi un'occhiata. Tagliaboschi fissava Maksim a bocca aperta. «Il programma economico...» rispose il Dottore. «Lei pretende troppo da noi. Noi siamo più per la pratica che per la teoria... Ma quello su cui poggiano glielo posso dire. Sulle baionette. Sull'ignoranza. Sulla stanchezza del Paese. Una società più giusta non la costruiranno, non ci pensano nemmeno... E non hanno alcun programma economico, non hanno niente, a parte le baionette, e non vogliono nulla, eccetto il potere... Per noi conta soltanto che ci vogliano annientare. In realtà, lottiamo per la nostra vita...». E si mise a caricare la pipa, irritato. «Non volevo offendere nessuno» disse Maksim. «Volevo semplicemente capire. La tirannia, l'avidità di potere... di per sé significano poco». Avrebbe illustrato volentieri al Dottore i fondamenti della teoria della consequenzialità storica, ma non gli bastavano le parole. “
Arkadij e Boris Strugackij, L'isola abitata, con una postfazione di Boris Strugackij, traduzione e saggio critico di Valentina Parisi, Carbonio editore (collana Cielo stellato n° 42), 2021¹; pp. 140-141.
[1ª Edizione originale: Обитаемый остров, versione censurata sulla rivista letteraria sovietica Neva nel 1969, numeri 3, 4 e 5]
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cinquecolonnemagazine · 7 months
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Romanzi italiani del 900: racconti di un secolo di cambiamenti
I romanzi italiani del 900 hanno saputo catturare le sfumature della società, la politica, la cultura e le emozioni di un Paese che ha vissuto due guerre mondiali, profonde trasformazioni sociali e una rapida modernizzazione. Per questo motivo la letteratura italiana nel Novecento è un affascinante mosaico di stili, voci e storie che riflettono il tumultuoso periodo storico attraversato dall'Italia durante quel secolo. I primi anni del 900: il Futurismo Gli inizi del Novecento italiano hanno visto emergere il movimento futurista, che ha cercato di abbracciare il cambiamento e l'innovazione nella letteratura, nell'arte e nella società. Un esempio notevole di romanzi futuristi è "Zang Tumb Tumb" di Filippo Tommaso Marinetti, un'opera che sperimenta con la forma e il suono delle parole per esprimere l'entusiasmo per la modernità e la tecnologia. Questo movimento ha contribuito a gettare le basi per il modernismo letterario in Italia. I romanzi italiani del 900 e la Seconda Guerra Mondiale La Seconda Guerra Mondiale è stata un'incredibile fonte di ispirazione per gli scrittori italiani dell'epoca. - "Il giardino dei Finzi-Contini" (1962) di Giorgio Bassani narra la triste pagina della persecuzione degli ebrei. - "La casa in collina (1948) di Cesare Pavese analizza la guerra in quanto impegno storico e civile. - "Il sentiero dei nidi di ragno" (1947) è uno dei più bei romanzi sulla Resistenza. - "La ciociara" (1957) di Alberto Moravia rappresenta un'altra tragica pagina del conflitto: lo sbarco degli alleati Il dopoguerra, con tutte le difficoltà della ripresa economica, ha ispirato, invece, la nascita di una vera e propria corrente letteraria che ha coinvolto la letteratura e il cinema: il neorealismo. I romanzi neorealisti più emblematici sono: - "Ragazzi di vita" (1955) di Pier Paolo Pasolini; - "Una questione privata" (1963) di Beppe Fenoglio; - "Se questo è un uomo" (1947) di Primo Levi; - "La romana" (1947) di Alberto Moravia. I romanzi postmoderni Gli anni '60 hanno portato una nuova onda di romanzi italiani che riflettevano i cambiamenti sociali e culturali in corso. "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato postumo nel 1958, ha catturato l'atmosfera di una società aristocratica in declino. Altro autore esemplare di questo periodo fu Leonardo Sciascia che con i suoi romanzi accese un faro sulla Sicilia e sul fenomeno della mafia. Ricordiamo "Il giorno della civetta", "A ciascuno il suo", "Il caso Majorana". Negli anni '70 e '80, l'Italia ha assistito a una rinascita letteraria con l'emergere di autori postmoderni come Umberto Eco, che ha scritto "Il nome della rosa" (1980), un romanzo che mescola storia, mistero e teologia. I romanzi che in una certa misura hanno segnato gli anni Novanta del Novecento sono "Castelli di rabbia" (1991), "Oceano mare" (1993), "Seta" (1996) di Alessandro Baricco. In copertina foto di Priscilla Du Preez 🇨🇦 su Unsplash Read the full article
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lamilanomagazine · 4 months
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Vicenza: "POP /BEAT, Italia 1960-1979. Liberi di Sognare", da marzo in Basilica palladiana
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Vicenza: "POP /BEAT, Italia 1960-1979. Liberi di Sognare", da marzo in Basilica palladiana. "Una mostra viva, comprensibile, popolare, che riporti nella collettività la leggerezza e la propositività sociale di quegli anni, attualizzando quella 'Libertà di sognare' che oggi può rivelarsi salvifica dopo le costrizioni del lockdown. Un progetto sul 'sentire comune' di artisti, letterati, musicisti di un ventennio cruciale del nostro Paese, superando le barriere strettamente storiografiche, le rispettive rivendicazioni tematiche individuali, le stesse classificazioni Pop e Beat in gran parte nemmeno condivisedagli stessi artisti che han finito col farne parte." E' questo - nelle parole del curatore - il progetto di pittura, scultura, video e letteratura, inedito per l'Italia, che l'artista Roberto Floreani ha ideato e curato per il Comune di Vicenza e Silvana Editoriale, che ne hanno assunto la coproduzione, per i prestigiosi spazi della Basilica Palladiana dal 2 marzo al 30 giugno, con opere provenienti dai principali musei, gallerie e collezioni private d'Italia. Questa mattina la mostra, un'assoluta novità per Vicenza, è stata annunciata dal sindaco Giacomo Possamai e dall'assessore alla cultura, al turismo e all'attrattività della città Ilaria Fantin insieme al curatore Roberto Floreani e a Michele Pizzi, direttore generale di Silvana Editoriale. «La prima grande mostra della nostra amministrazione - ha detto il sindaco Giacomo Possamai - è un progetto davvero inedito in Italia perché presenta gli Anni '60 e '70, raramente raccontanti all'interno di eventi espositivi. Con l'intento di rendere la Basilica palladiana un'agorà costantemente aperta ai vicentini e ai visitatori, abbiamo scelto questa innovativa tematica in collaborazione conun partner di spessore nazionale come Silvana Editoriale, che investe sulla nostra città riconoscendone il fermento e la capacità attrattiva». «Questa sarà una mostra di grande valenza scientifica e di ricerca – ha aggiunto l'assessore Ilaria Fantin - ma con il suo bellissimo sottotitolo "Liberi di sognare" sarà anche una mostra Pop, cioè capace di arrivare a tutti. La declineremo attraverso le sue numerose opere e con una serie di attività performative realizzate insieme alle realtà culturali della città per permettere ai visitatori, in particolare ai più giovani, di scoprire questo particolare periodo della storia artistica e sociale del nostro Paese pieno di colore e di energia». Per la prima volta vengono raccontate ed esposte insieme le generazioni Pop e Beat italiane, testimoni di un sentire comune di quegli anni, legato a una visione ottimistica del futuro e all'impegno movimentista del Sessantotto, rendendosi quindi originali e autonome dalle suggestioni Pop e Beat americane, per troppi anni indicate come determinanti. Sarà messa in evidenza l'unicità propositiva e la statura assoluta della Pop italiana in Europa, nonché le differenze sostanziali e l'autonomia dei suoi artisti rispetto a quelli americani. In Italia si alimenterà infatti una frequentazione dal basso, sensibile alla tradizione artistica nazionale, al paesaggio, all'avanguardia futurista, che sarà protagonista dei mutamenti sociali, politici e culturali nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nelle università: istanze diventate oggetto di gran parte delle opere e dei documenti esposti. Distanti quindi da quelle degli artisti e letterati americani, presto vezzeggiati in ambito mercantile e universitario, spesso ricevuti come autentiche star e orientati all'evidenza dei prodotti di consumo della società di massa amplificati dalla pubblicità. La sezione Pop, con quasi un centinaio di opere selezionate di 35 artisti, privilegerà i grandi formati che verranno spettacolarizzati da un'ampia sezione di sculture. Le Opere Saranno presenti opere di Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianni Bertini, Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Pietro Gallina, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Elio Marchegiani, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi, Emilio Tadini. La temperatura Beat in mostra sarà garantita dalla musica di quegli anni, diffusa in loop e rappresentata dai rari documenti originali di Gianni Milano, mentore di un'intera generazione, Aldo Piromalli, Andrea d'Anna, Gianni De Martino, Pietro Tartamella, Eros Alesi, Vincenzo Parrella e molti altri, nonché della vicenda artistica militante dell'Antigruppo siciliano. Alla generazione Beat, fino ad oggi conosciuta (poco) per i fermenti a Milano e Torino, verrà finalmente riconosciuta un'identità nazionale, considerando la generosa e meno nota esperienza proprio dell'Antigruppo siciliano, guidato dalla figura carismatica di Nat Scammacca, di cui saranno esposte le pubblicazioni fondative, relative alla sua Estetica Filosofica Populista. Antigruppo in chiara polemica con la Beat salottiera ed egemonica del Gruppo '63, legato all'influenza dei grandi editori del nord e dei concorsi letterari, e molto meno attento alle pulsioni popolari. Antigruppo che merita quindi un'attenta rivalutazione per la sua attività artistica e sociale meritoria, spontanea, instancabile. Il progetto di Floreani ricontestualizzerà la stessa natura della Pop e della Beat italiane, dando priorità a ciò che gli artisti stessi dichiaravano circa la loro ricerca, spesso non sentendosi affatto etichettabili come Pop, proprio per l'originalità del loro punto di vista rispetto agli americani, nonché percorrendo un tragitto che dalla Libertà di sognare, approderà fatalmente alla Fine del sogno degli anni di piombo, della disillusione e della diffusione delle droghe pesanti, messe in scena in tutta la loro crudezza al Festival di Castelporziano, nel 1979. Vicenza, grazie anche all'impegno dell'assessorato alla cultura al turismo e all'attrattività della città e dell'assessoratro all'istruzione, diventerà dal 2 marzo al 30 giugno 2024 un autentico laboratorio. Eventi collaterali ad hoc saranno proposti in alcuni dei principali luoghi monumentali della città, in collaborazione con la Biblioteca civica Bertoliana, il festival New Conversations – Vicenza Jazz, il Cinema Odeon, il Festival di poesia contemporanea e musica Poetry Vicenza, il Centro di produzione teatrale La Piccionaia, l'Associazione culturale Theama Teatro e il Conservatorio di musica di Vicenza Arrigo Pedrollo. Anche le scuole saranno coinvolte, a partire da una specifica sezione didattica allestita al piano terra della Basilica Palladiana, nel Salone degli Zavatteri. Sarà, quindi, una grande festa collettiva, dove tutti saranno Liberi di sognare. La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, a cura di Roberto Floreani, con testi di Roberto Floreani, Gaspare Luigi Marcone, Alessandro Manca.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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ilcontroverso · 8 months
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Pavese: il "vizio assurdo" e gli amori sofferti
Nell'anniversario della morte di Cesare Pavese, Biagio Riccio analizza la figura dello scrittore attraverso il suo "vizio assurdo" ed i suoi sofferti amori dipingendo il quadro di uno degli autori più importanti della letteratura italiana. #IlControVerso
Tutta la vita di Cesare Pavese è stata dominata da un vizio coltivato fino alla fine: il “vizio assurdo” di suicidarsi, di togliersela. E così avvenne 70 anni fa, il 27 agosto del 1950, quando fu trovato morto nell’albergo “Roma” a Torino, per aver ingerito a dismisura bustine di sonniferi. Pavese era un tenero malinconico, aveva una rigorosa conoscenza della letteratura classica ed americana,…
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scienza-magia · 1 year
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Le curiosità della vita che Albert Einstein ci ha lasciato
Albert Einstein: la storia e le frasi dell’uomo che rivoluzionò la fisica. Chi era Albert Einstein, lo scienziato eccentrico che ha rivoluzionato l'intero modo di pensare non solo nella fisica Scienziato curioso ed eccentrico, filosofo, fisico geniale e premio Nobel. Albert Einstein e, intimamente legata a lui la sua teoria della relatività (pubblicata esattamente il 20 marzo del 1916), è uno dei più importanti studiosi e pensatori del XX secolo. A lui sono stati dedicati l’elemento chimico einsteinio, la Medaglia Albert Einstein, un premio, un asteroide, un cratere sulla luna, una unità di misura per l’energia raggiante e un numero infinito di istituti e università. Ma chi era Albert Einstein? E qual è stata la sua vera rivoluzione? Se il premio Nobel per la fisica gli fu assegnato “per i contributi alla fisica teorica, in particolare per la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico”, la sua fama è stata di contro sempre e indissolubilmente allacciata alla “teoria della relatività”: la teoria della relatività ristretta, in primo luogo, che precedette di circa dieci anni quella della relatività generale.
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Il suo nome è legato a parecchie curiosità e ad altrettanti racconti. Quel che è certo è che Albert Einstein fu uno scienziato dal successo spropositato, di cui lui stesso era consapevole al punto di esprimere verbalmente il desiderio di mettere il proprio corpo a disposizione della scienza una volta morto. Collezionò, nel corso della sua vita, parecchie lauree ad honorem in scienze, medicina e filosofia da molte università europee e americane. Durante gli anni ’20 tenne lezioni in Europa, in America e in Estremo Oriente ed ebbe borse di studio o incarichi onorari nelle principali accademie scientifiche di tutto il mondo. Oltre al Nobel, ottenne numerosi premi in riconoscimento del suo lavoro, tra cui la Medaglia di Copley della Royal Society di Londra nel 1925 e la Medaglia di Franklin dell’Istituto Franklin nel 1935. Albert Einstein, la storia Nacque a Ulm, nel Württemberg, in Germania, il 14 marzo 1879, da una benestante famiglia ebraica. Il padre, Hermann Einstein, era proprietario di una piccola azienda che produceva macchinari elettrici. Poco tempo dopo, la famiglia si trasferì a Monaco, dove il padre aprì insieme con il fratello Jacob una piccola officina elettrotecnica. Qui Albert iniziò la sua scuola presso la Luitpold Gymnasium. Ancora dopo gli Einstein si trasferirono in Italia, ma Albert continuò la sua formazione a Aarau, in Svizzera e nel 1896 entrò nella Politecnico Federale Politecnico di Zurigo per essere addestrato come insegnante di fisica e matematica. Nel 1901, anno in cui conseguì il diploma, acquisì la cittadinanza svizzera e, non trovando un posto di insegnamento, accettò una posizione di assistente tecnico all’Ufficio Brevetti svizzero. Nel 1905 si laureò.
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1905: l’annus mirabilis di Albert Einstein Fu il 1905 il cosiddetto “annus mirabilis”, quello in cui ci fu una svolta nella vita di Einstein e nella storia della fisica. In pochi mesi, pubblicò sei lavori: - un articolo che spiegava l’effetto fotoelettrico in base alla composizione della radiazione elettromagnetica di quanti discreti di energia (poi denominati fotoni), secondo il concetto di quanto che era stato ipotizzato nel 1900 da Max Planck. Questo studio gli valse il Premio Nobel per la fisica del 1921 - la tesi di dottorato sul tema “Nuova determinazione delle dimensioni molecolari“, che è poi diventato lo scritto di Einstein più citato nella letteratura scientifica degli anni ‘70 - un articolo sul moto browniano prima memoria, in data 30 giugno, dal titolo Zur Elektrodynamik bewegter Körper (Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento) che aveva come oggetto l’interazione tra corpi carichi in movimento e il campo elettromagnetico vista da diversi osservatori in stati di moto differenti. È la teoria nota successivamente con il nome di Relatività ristretta (o speciale) - un’altra memoria sulla relatività ristretta che conteneva la nota formula E=mc² - un altro articolo sul moto browniano
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L’anno dopo, nel 1906, Einstein ottenne il dottorato e cominciò a insegnare a Berna. Nel 1911 si trasferì a Praga e nel 1914 fu nominato direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Berlino, dove rimase fino al 1933. Divorziò dalla sua prima moglie Mileva e sposò in seconde nozze la cugina Elsa. Furono questi gli anni in cui effettuò alcune ricerche sulla meccanica statistica e sulla teoria della radiazione. Albert Einstein: la teoria della relatività generale Era il 1915 quando Einstein formulò la teoria della relatività generale, secondo cui lo spazio e il tempo non sono concetti separati ma fanno parte di uno stessa dimensione: lo spaziotempo. Secondo Einstein la forza di gravità non è l’interazione di due corpi in funzione delle loro masse, come diceva Newton, ma l’effetto di una massa che curva lo spaziotempo stesso. Per questo quando un’astronave si trova in prossimità di un grosso corpo celeste viene attratto come da una grossa calamita.
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Come c’era da aspettarsi alla sua pubblicazione, la teoria venne accolta scetticamente da parte della comunità scientifica. Ma la prima dimostrazione arrivò con l’eclissi totale di sole del 1919: alcuni scienziati videro nel buio una stella che secondo loro doveva essere oscurata dal sole perché era posizionata dietro di esso, ma la grande massa del sole incurvando lo spaziotempo permetteva alla luce della stella di compiere una traiettoria deformata quindi visibile dalla terra. Le osservazioni ebbero luogo il 29 maggio del 1919 a Sobral, in Brasile, e nell’isola di Príncipe, nello Stato di São Tomé e Príncipe e passarono alla storia come l’esperimento Einstein-Eddington. Nel 1917 mostrò il legame tra la legge di Bohr e la formula di Planck dell’irraggiamento del corpo nero ed introdusse la nozione di emissione stimolata, che sarebbe poi stata applicata alla concezione del laser. Max Planck non capiva nulla di fisica, perché durante l’eclissi del 1919 è rimasto in piedi tutta la notte per vedere se fosse stata confermata la curvatura della luce dovuta al campo gravitazionale. Se avesse capito la teoria, avrebbe fatto come me, e sarebbe andato a letto.(Archivio Einstein) Da quel momento, degli esperimenti sempre più precisi hanno confermato le predizioni della teoria, prevalentemente nell’ambito dell’astronomia (precessione del perielio di Mercurio e lenti gravitazionali). Albert Einstein, il Nobel e gli ultimi anni Nel 1921 ottenne il Premio Nobel per la Fisica per il suo lavoro risalente al 1905 sulla spiegazione dell’effetto fotoelettrico. In quegli anni cominciò a dedicarsi anche alla ricerca di teorie di campo unificate e in seguito, nel 1927, venne invitato dal governo italiano a partecipare al Congresso internazionale dei Fisici, che si svolgeva a Como in occasione del centenario dalla morte di Alessandro Volta, ma fu l’unico a declinare l’invito per la sua opposizione al regime di Mussolini.
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Con l’ascesa di Hitler, nel 1933 venne promulgata la “Legge della Restaurazione del Servizio Civile“, per la quale tutti i professori universitari di origine ebraica furono licenziati. Einstein decise così di trasferirsi negli Stati Uniti. Qui gli venne offerta una cattedra all’Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey. Il 17 aprile del 1955 fu colpito da un’emorragia causata dalla rottura di un aneurisma dell’aorta addominale. Ricoverato all’ospedale di Princeton, morì il giorno dopo a 76 anni. Prima di morire, espresse la volontà di mettere il proprio corpo a disposizione della scienza e Thomas Stoltz Harvey, il patologo che effettuò l’autopsia, rimosse il cervello e lo conservò a casa propria immerso nella formalina in un barattolo sottovuoto per molti anni. Il resto del corpo fu cremato. Una parte del cervello oggi è esposta al Mutter Museum di Philadelphia.
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10 curiosità su Albert Einstein - Iniziò a parlare tardissimo - Era appassionato di vela e di musica classica - Si definiva un agnostico più che un ateo - Suonava il violino - Gli fu offerto il titolo di Presidente di Israele, ma rifiutò - Nel 1930 brevettò un frigorifero che non fu messo in commercio - Fu uno dei 5mila firmatari della petizione per richiedere alla Germania la revoca del bando contro gli omosessuali - Fu sospettato di essere una spia sovietica dal Direttore dell’FBI, J. Edgar Hoover - Gli occhi e le rughe di Einstein ispirarono la fisionomia del personaggio Yoda di Star Wars - La linguaccia, fu Arthur Sasse l’autore della foto più conosciuta di Albert Einstein, immagine probabilmente immortalata dopo una sua festa di compleanno. La foto non gli dispiacque affatto, tanto che due anni dopo ne acquistò nove copie da inviare agli amici e nel retro di una di queste, indirizzata a Howard K. Smith, scrisse: Questo gesto vi piace, perché si rivolge a tutta l’umanità. Un civile può permettersi di fare ciò che non oserebbe un diplomatico. Il vostro fedele e riconoscente ascoltatore. (Albert Einstein ’53) Albert Einstein, 10 frasi celebri “Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi” “Impara dal passato, vivi nel presente, spera nel futuro. L’importante è non smettere mai di farsi delle domande” “Non cercare di diventare una persona di successo, tenta di diventare una persona di valore” “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido” “Io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana” “Il mondo è il prodotto del nostro pensiero e dunque non può cambiare se prima non modifichiamo il nostro modo di pensare” “Lo studio e la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui ci è permesso rimanere bambini per tutta la vita” “Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta facendo” “Un uomo è vecchio solo quando i rimpianti, in lui, superano i sogni” “Per ogni minuto che passi arrabbiato, perdi 60 secondi di felicità” Read the full article
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londranotizie24 · 1 year
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Change Evolution and Disruption: all’Iic di Londra la conferenza annuale dell’Asmi
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Di Simone Platania @ItalyinLDN @ICCIUK @ItalyinUk @inigoinLND Change Evolution and Disruption è il titolo della conferenza annuale dell’Asmi dedicata all'Italia moderna e contemporanea. Change Evolution and Disruption: questi i temi della conferenza annuale Asmi all'Iic di Londra La storia, la cultura, la politica che hanno segnato l’Italia moderna e contemporanea. Dall’800 fino al collasso del Fascismo, dalle politiche internazionali fino all’avanguardia femminista romana degli anni ‘70. L'obiettivo dell'Asmi (Association for the Study of Modern Italy) è quello di promuovere lo studio e la conoscenza della storia, della politica, della cultura e della società italiana dal XVIII al XXI secolo. Da qui Change, Evolution e Disruption, il titolo della conferenza annuale dell’Asmi che si svolgerà tra venerdì 2 e sabato 3 dicembre all’Istituto Italiano di Cultura a Belgrave Square e che include un ciclo di conferenze dedicato alla storia moderna e contemporanea italiana.  Il comitato organizzativo, formato da Maria Stella Chiaruttini (Università di Vienna) e Vanda Wilcox (Università John Cabot, Roma), darà il benvenuto agli ospiti alle ore 9.15. In ogni sessione di un'ora e mezza circa interverranno dai due ai tre ospiti su diversi temi. Tra coloro che interverranno sono attesi studiosi, professori e ricercatori provenienti da un'ampia gamma di contesti disciplinari tra cui storia, scienze politiche, lingue, geografia, letteratura e antropologia. Le tematiche trattate nei due giorni di conferenze sono molteplici e diversificate. Si spazia dal rapporto tra la Chiesa cattolica e lo Stato, al colonialismo italiano e le eredità post-coloniali. Ma anche il lascito culturale del fascismo e dell'antifascismo, il cinema e le trasformazioni degli anni '60. Fino ad arrivare al cambiamento sociale nell'Italia del Dopoguerra passando per i punti di svolta economici e politici nel panorama italiano. E molto altro. Il programma completo è consultabile qui. Invece, i biglietti possono essere acquistati qui. Al termine delle conferenze di venerdì sono attese una wine reception e una conference dinner. ... Continua a leggere su www. Read the full article
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vaillantmedia · 2 years
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Libri, comfort ed emissioni a impatto (quasi) zero. Ecco la nuova casa di Vaillant Group Italia.
Milano, 19 luglio 2022 - Il nuovo headquarter di Vaillant Group Italia a Milano, rappresenta uno straordinario progetto di riqualificazione, efficientamento energetico, sostenibilità e cultura umanistica. Un building completamente rinnovato negli ambienti e nell’anima, all’interno del quale progetti aziendali ambiziosi trovano perfetta collocazione secondo le più innovative ridefinizioni di impiantistica, space planning, luoghi di lavoro, di socialità e cultura. 
Mentre l’edificio storico - affacciato sulla Via Benigno Crespi e progettato dal noto esponente dell’architettura italiana Ignazio Gardella alla fine degli anni ’50 - vedrà il completamento dei lavori di ristrutturazione a fine 2023, la nuova Torre con eliporto risalente agli anni ’70 è stata inaugurata il 19 luglio 2022 in occasione di un evento celebrativo alla presenza della stampa e degli oltre 140 dipendenti di Vaillant Group Italia.
Una nuova, bellissima casa dà così oggi il benvenuto a collaboratori, clienti, fornitori e partner Vaillant sotto l’egida di un importante denominatore comune, un approccio che lo stesso AD Gherardo Magri perfettamente racchiude nell’evocativa espressione di ‘nuovo umanesimo aziendale’. Un approccio orientato innanzitutto agli aspetti umani quindi, e che ha visto una riprogettazione degli spazi della Torre secondo criteri pragmatici, con l’intento di soddisfare un modo nuovo di lavorare e in grado di privilegiare gli aspetti relazionali a modalità più individuali tipiche del passato.
Open space moderni e innovativi, aree condivise di coworking, postazioni di lavoro mobili, spazi ricreativi e addirittura una biblioteca aziendale - adiacente all’Aula Magna - che occupa un intero piano del nuovo edificio ed è in grado di contenere fino a tremila volumi. Volumi che, molto presto, saranno arricchiti di una web app per agevolare il booksharing tra dipendenti. Questo perché, come testimonia con orgoglio lo stesso Magri, “Cultura e business devono stare insieme. Non si tratta esclusivamente di libri di marketing, management o pubblicazioni aziendali. Parliamo delle cento opere fondamentali della letteratura, ossia i classici che dovremmo, a parer mio, aver letto tutti almeno una volta nella vita”.
Un nuovo impianto ibrido a emissioni ridotte Tra i fiori all’occhiello della nuova Torre di Vaillant Group Italia, la scrupolosa attenzione alla sostenibilità ambientale, alla riduzione dei consumi energetici e a una riqualificazione impiantistica eseguita nel rispetto del massimo efficientamento energetico possibile - questi alcuni dei principali obiettivi che l’azienda porta avanti da anni attraverso azioni concrete. Secondo simulazioni effettuate da Vaillant Group Italia, la nuova soluzione impiantistica implementata per la Torre è oggi in grado di abbattere di circa il 40% le emissioni di anidride carbonica e del 45% il consumo di energia primaria rispetto al sistema precedentemente installato.
Sul tetto della nuova Torre, 14 pompe di calore aroTHERM plus di Vaillant - ciascuna da 15 kW e combinate ‘in cascata’ - rappresentano uno degli strumenti più efficaci per produrre un’immediata accelerazione verso il raggiungimento degli obiettivi posti dall’Unione Europea di riduzione delle emissioni e conseguimento della neutralità climatica. Una scelta impiantistica oggi indispensabile per il miglioramento dell’aria delle nostre città, a cui si aggiunge la presenza di un impianto costituito da 336 moduli fotovoltaici monocristallini da 327W con una potenza da 110kWp e preposto all’integrazione di una fornitura di energia proveniente da fonti 100% rinnovabili.
Pompe di calore aria/acqua di ultima generazione e dal minor impatto ambientale sul mercato, le nuove aroTHERM plus di Vaillant sono state selezionate dalla Master Division e dal progettista per via delle massime prestazioni garantite in termini di efficienza, affidabilità, silenziosità e sostenibilità, quest’ultima resa possibile anche grazie all’impiego del gas refrigerante naturale R290. Caratterizzato da un potenziale di riscaldamento globale molto basso (GWP=3), il gas R290 è perfettamente in linea con le ultime proposte della Commissione Europea, che chiede a gran voce una svolta verso gas refrigeranti di questo tipo. Apparecchi full-electric monoblocco in grado di fornire in un unico sistema riscaldamento, raffrescamento e produzione d'acqua calda, le 14 aroTHERM plus installate in cascata assicurano massima solidità in classe A+++.
Nel riprogettare l’impianto di distribuzione, emissione e generazione di calore della Torre nel suo complesso e nell’identificazione della combinazione più efficace possibile rispetto al ciclo delle stagioni e alla zona climatica in cui si colloca la città di Milano, si è scelto di realizzare due gruppi di pompe di calore, ciascuno composto da sette aroTHERM plus in cascata e integrate, solo al bisogno, da caldaie a condensazione di recente installazione. Durante la stagione estiva, tutte le 14 pompe di calore lavorano in stretta sinergia con l’impianto fotovoltaico, con l’ottenimento dei massimi livelli di efficienza green dell’intero building. Nel corso dell’inverno, invece, è a regime un solo gruppo, coadiuvato in parte dai pannelli solari fotovoltaici e supportato al bisogno dalla centrale termica a condensazione posta nel basamento della Torre. Completamente rinnovata nel 2014, la centrale termica a gas rappresentava già il massimo grado di efficientamento rispetto all’utilizzo del gas metano ed è stata pertanto una scelta voluta, sostenibile e imperniata sulla massima attenzione all’efficienza, quella di non sostituirla, in quanto altamente performante e bilanciata nel supportare il sistema delle pompe di calore in presenza di picchi di fabbisogno termico invernale.
A controllo dei due gruppi di aroTHERM plus, due centraline climatiche sensoCOMFORT 720 che, secondo logiche precise, fanno lavorare una o più macchine alla volta - seguendo i carichi termici necessari e invertendo le sequenze se una macchina sta lavorando eccessivamente - sempre con l’obiettivo di minimizzare eventuali sprechi di energia e aumentando l’affidabilità del sistema.
Riprogettazione del comfort Quando si parla di open space, come nel caso dei nuovi spazi realizzati nell’opera di riqualificazione, è cruciale saper gestire sapientemente le temperature. Ogni piano del building costituisce una macro zona e l’intelligenza dell’impianto consente di controllare ogni singola zona e ciascun piano con la massima attenzione al comfort. Comfort da assicurare non solo agli spazi lavorativi, ma anche agli aspetti relazionali. Se per gli ambienti preposti al lavoro da desk è necessario infatti garantire il massimo comfort con temperature sempre gradevoli e adeguate nel rispetto dei giorni e delle ore lavorative, si è invece optato di controllare quello di alcuni spazi on demand - come nel caso dell’Aula Magna - al fine di ridurre ulteriormente gli sprechi di energia. In tutti gli spazi interni sono state inoltre sostituite le soluzioni antecedenti con nuovi ventilconvettori per l’emissione di aria calda/fredda, ognuno con il proprio diffusore per aumentare ulteriormente il comfort ambientale e in grado di consentire un rapido raggiungimento delle temperature desiderate in ambiente.
Fare la differenza Un progetto molto ambizioso e sfidante quindi, avviato in piena pandemia a inizio 2020 e la cui fase progettuale si è risolta nel giro di pochi mesi. Al di là delle importanti opere strutturali, architettoniche, tecnologiche e di interior design, che rendono oggi la nuova Torre di Vaillant un building unico nel suo genere, la parte impiantistica è da considerarsi un caso di successo progettuale ed ecosostenibile, a testimonianza di come l’innovazione tecnologica di Vaillant sia davvero in grado di fare la differenza nel rispetto dello splendido Pianeta che amorevolmente ci ospita da millenni.
“In molti conoscono la nostra strategia climatica a livello di corporation”, conclude l’AD Gherardo Magri. “Ci siamo impegnati a dimezzare le emissioni di CO₂ generate dalle nostre attività commerciali entro il 2030 e abbiamo l’obiettivo di diventare una zero emission company entro il 2050”.
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carmenvicinanza · 2 years
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Biancamaria Frabotta
https://www.unadonnalgiorno.it/biancamaria-frabotta/
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Ero considerata troppo donna, troppo femminista, troppo intelligente, troppo viscerale, troppo accademica, troppo poco accademica, troppo bella, perfino troppo alta. Insomma ero «troppo» tutto, per essere «solo» poeta.
Biancamaria Frabotta è stata scrittrice, poeta, traduttrice, giornalista, accademica e un’importante rappresentante del femminismo separatista.
Il suo impegno si è focalizzato soprattutto sulle rivendicazioni femminili e la lotta di classe.
Nata l’11 giugno 1946 a Roma, dal padre aveva appreso l’amore per i libri, che aveva iniziato  a leggere sin da piccolissima. Al liceo si era appassionata al pensiero di Marx che l’ha portata a militare nel Movimento Studentesco del ’68. Si è laureata in Lettere con una tesi su Carlo Cattaneo, è stata assistente di Walter Binni con cui ha collaborato all’antologia Ideologie politiche del Risorgimento italiano.
Dai primi anni ’70 ha fatto parte del Movimento delle Donne, a cui ha apportato preziosi contributi.
È stata anche molto attiva nel Partito di Unità Proletaria.
È stata autrice di una ventina di libri di poesia, ma anche di saggi sulla letteratura e di atti unici per il teatro.
Nel 1976 ha pubblicato Donne in poesia, con la prefazione di Dacia Maraini in cui sono antologizzate ventisei autrici, alcune già famose come Amelia Rosselli e altre agli esordi come Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. Il libro, che aveva suscitato un vivace dibattito, tratta il tema della specificità del linguaggio poetico femminile, ripreso e ampliato in Letteratura al femminile, del 1980, che indaga le tracce del femminile anche nella letteratura maschile.
Nel 1989 ha pubblicato il romanzo, Velocità di fuga, vincitore del Premio Tropea.
È stata docente di Letteratura Moderna e Contemporanea a La Sapienza di Roma.
Nel 1994 ha condotto un ciclo di trasmissioni Rai dedicato al Canzoniere di Petrarca. Ha fatto parte degli Amici della Domenica per l’attribuzione del Premio Strega e ha scritto, per il teatro, una serie di atti unici raccolti in Trittico dell’obbedienza del 1996.
Ha collaborato, tra gli altri, con Il Manifesto e  L’Orsaminore, mensile di cultura e politica nato nel 1981 nel contesto dei collettivi femministi romani.
Nel 2013 è stata nominata socia onoraria della Società Italiana delle Letterate.
Il 31 maggio 2016 ha tenuto la sua ultima lezione universitaria alla Sapienza.
Nel 2018 è uscita la raccolta Tutte le poesie 1971-2017 di Biancamaria Frabotta che raccoglie quasi cinquant’anni della sua attività poetica.
La sua poesia si è distinta, fin dagli esordi, per una peculiare limpidezza dello sguardo e un’acutissima capacità di osservazione.
Un linguaggio poetico che si addentra nella contemporaneità, cogliendone luci e ombre nel tentativo di farsi voce attiva, civile, narrando le ragioni individuali e collettive di un intero Paese.
Nei suoi versi sembra raccogliere il dono offerto dalla natura e anche il suo limite mortale.
Si è spenta il 2 maggio 2022 a Roma.
Di lei colpisce la sensibile determinazione di chi ha vissuto con limpidezza le scelte e le circostanze, con un perenne stupore della vita.  La sua opera le ha coinciso.
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belladecasa · 3 years
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Adri mi ha detto: lui non sarà mai come Giorgio, ed è vero. Nessuno sarà mai come te; e forse lo sai, ti rendi conto della tua unicità, della tua coscienza inesauribile, della tua ideologia e moralità che rasentano l'assoluto, la purezza, lontane da ogni retorica, da ogni minimo conformismo o bigottismo. Dire che io non ti merito è un luogo comune, ma il problema dei luoghi comuni è che sono veri: l'ha detto David Foster Wallace e questo mi legittima a credere che davvero non sono abbastanza per tutto quello che sei, posso al massimo brillare della tua luce riflessa ma io non ho fiamma. Sono in caduta libera ma non nel vuoto, sempre nel pieno, nei milioni di immagini di tutto ciò che siamo stati.
Oggi ho assistito ad una delle scene più strazianti della mia vita: un uomo sull'autobus singhiozzava disperato, portava una borsa frigo con delle birre dentro, ogni tanto faceva qualche sorso. Ad un certo punto, dal nulla, ha cominciato a spiegare alla signora seduta sul sedile parallelo al suo che piangeva perché aveva perso suo figlio di 22 anni. Ha ricominciato a singhiozzare. Dopo un po' si è rivolto di nuovo alla stessa signora e le ha mostrato la foto del figlio. Ha detto: "era tutta la vita mia".
Di me in quel momento era rimasta solo la coda dell'occhio con cui captavo tutto questo, non mi sentivo più il corpo e le braccia. Stavo rileggendo Ragazzi di vita e mi vergognavo dei miei occhiali, del mio libretto, della mia integrità psicofisica, di mia madre che sarebbe venuta a prendermi alla stazione, dei miei 24 anni, della mia utopia che la letteratura davvero possa spiegarci qualcosa del perché di tutto questo dolore. Eppure io credo che c'entri con Pasolini quell'uomo che in quel momento soffriva, dialettale, il dolore più intenso dell'umanità, e l'alienazione degli altri passeggeri, la spocchia di una signora piccolo - borghese che reclamava il decoro segnalando alla conducente un uomo che beve e si soffia il naso, si asciuga il naso sul sedile!!! La conducente, che per tutto il viaggio aveva continuato a sbraitare contro chiunque - forse convinta di poter supplire all'assurdità di essere un'autista donna con l'aggressività - lo ha cacciato dall'autobus intimandogli di non toccarla. È una lotta tra esclusi in cui perdono comunque gli esclusi.
Lui è sceso, senza opporre resistenza, non ha provato a difendersi se non negando che stesse bevendo. L'ho visto sedersi sul marciapiede, le mani sulla faccia, sempre con la coda dell'occhio. Potevo dire qualcosa ma non ho detto nulla: con la mia empatia sterile sono parte del problema. Ho guardato poi negli occhi una ragazza seduta sul sedile parallelo al mio, pensando fosse indignata come me, e invece poi l'ho sentita dire all'amica che una volta tornata a casa avrebbe dovuto lavarsi con l'acido muriatico, (perché era seduta davanti a quell'uomo).
L'ho raccontato a mia madre e lei ha commentato: è questa società, ognuno pensa a non immischiarsi, a non correre il rischio, a pensare alla propria pelle. In tutto questo c'era Pasolini, che 70 anni fa aveva già capito il tarlo dell'individualismo, del paternalismo piccolo - borghese di questa società, e sì, della mia coda dell'occhio.
Avrei voluto raccontarti di tutto questo, perché tu avresti capito la mia disperazione, il mio immobilismo; tu così pasoliniano, non credo che saresti stato vigliacco. Come ho potuto allontanarmi dalla tua fiamma.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Helena mi riposava dalla fatica che mi costano tutti gli altri, amici e conoscenti, ai quali sono costretto ad affiancarmi per undici mesi all'anno, elastico, rotondo, attento a rimbalzare al minimo attrito, angosciato se mi convinco di averne urtato qualcuno involontariamente. È un lavoro gratuito, nel senso che mi spreco in tanti riguardi senza nessuno scopo utilitario, che non sia quello di prevenire una sofferenza; l'antipatia infatti, o la freddezza, mi recano danno alla salute, e più se a dimostrarmela sono i conoscenti e gli estranei, che non gli amici. Di questa gente avventizia non m'importa, alla fine, un bel niente; ma se uno di loro mi guarda storto o mi rimprovera una distrazione nel dare e avere dei rapporti sociali, ho subito delle difficoltà nella digestione e devo prendere due pillole di sonnifero invece di una. Dopo un anno di sorrisi a cinquanta o cento persone, verso le quali non mi sembra mai di essere gentile quanto dovrei, finisco col sentirmi intossicato; rispondo al telefono con un crampo nel braccio, sforzo la voce a una rauca festosità. Fanno eccezione gli amici, le persone come Quiroga, o meglio come Cuca, con la quale riesco a essere affettuoso; non sono molte, cinque o sei in tutto. “
Renato Ghiotto, Adiós, Rizzoli, 1971¹; pp. 96-97.
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Milano indaga
Si è appena conclusa l’iniziativa Milano in giallo e noi vogliamo tracciare una sintetica panoramica degli autori più noti. “Milano come Chicago“: titolava così il 29 novembre 1976 la prima pagina de «La Notte», storico giornale milanese poi chiuso negli anni Novanta. Ecco spiegata la moltiplicazione di libri (e film) gialli e, di conseguenza, di ispettori, detective, commissari che hanno popolato e tuttora investigano nella nostra città.
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In realtà la ‘predisposizione’ di Milano ad essere terreno fertile per indagini criminali risale più indietro nel tempo, a quello che è considerato il padre di questo genere letterario, Augusto de Angelis: noto antifascista e giallista in un’epoca in cui il Minculpop aveva disposto il sequestro “di tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita”, innamorato di una donna ebrea, incarcerato e poi picchiato da un fascista: morì in seguito alle ferite riportate a soli 56 anni. Il suo eroe, il commissario De Vincenzi, egregiamente interpretato da Paolo Stoppa in una serie di sceneggiati Rai, opera prevalentemente nella nostra città. 
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Forse anche l’atmosfera, soprattutto invernale, fatta di nebbia e cieli plumbei, ha favorito lo sviluppo di questo tipo di letteratura: un misterioso delitto nella caligine notturna di Palestro apre le pagine di Motivo d’allarme di Eric Ambler, ambientato durante gli anni del ventennio. 
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Al dopoguerra si ispira Dario Crapanzano: “Mario Arrigoni, capocomissario di Porta Venezia (che è come dire arcimilanese, meneghino al quadrato), si muove in una Milano impegnata a ricostruire ma non ancora toccata dalla febbre dal boom, dove insieme a fabbriche e uffici riaprono anche i teatri, come il Piccolo di Strehler; dove le auto sono poche e ci si sposta in tramvai, tutt’al più in Vespa; dove brunch e happy hour non sono stati ancora inventati e al massimo nelle fumose osterie si può mangiare un panino, anzi, un ‘sanguis’, traslitterazione milanese della parola sandwich”. 
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Dal dopoguerra la città si è ingrandita a dismisura, la periferia “ha fagocitato cascine, campi coltivati e borghi storici, e si è ritrovata, senza rendersene conto, una metropoli” (così scrive Michele Turazzi nell’utile volumetto Milano di carta). Sono gli anni del boom economico “di una società approdata al consumismo senza aver davvero capito di essere uscita dalla povertà”, e l’equazione ricchezza = criminalità dà i suoi risultati nella cronaca nera come nelle pagine dei romanzi gialli. Dalla vecchia ligera locale “malavita estrosa e un po’ scalcagnata” che quasi mai uccideva (quella cantata da Jannacci e Gaber, per intenderci) si passa alla delinquenza efferata con cui si trova a combattere l’investigatore Duca Lamberti (protagonista anche di alcuni film) creato dalla veloce penna di Giorgio Scerbanenco. Sono gli anni della famigerata ‘banda Cavallero’ (che ha ispirato il film di Lizzani Banditi a Milano, con Gian Maria Volonté), di Francis Turatello e di Vallanzasca.
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La mala degli anni ’60-70 è descritta da Paolo Roversi in Milano criminale, prequel di Solo il tempo di morire, ambientato tra il 1972 e il 1984, ancora prima della cosiddetta ‘Milano da bere’.
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Al 1978 risale il l’esordio di Renato Olivieri. Ecco come Andrea Camilleri (nella prefazione di Il romanzo poliziesco di Yves Reuter) descrive il suo eroe: “Il commissario Giulio Ambrosio, innamorato stendhalianamente della sua Milano, è un uomo colto, dalle abitudini borghesi, sostanzialmente malinconico”. Ricordiamo anche il bellissimo film I giorni del commissario Ambrosio con Ugo Tognazzi.
“Ma l’eredità maggiore di Scerbanenco si ritrova in tutti quei commissari, vicequestori e detective improvvisati che hanno invaso gli scaffali delle librerie nell’ultimo mezzo secolo, rendendo Milano la città d’elezione per le indagini letterarie nel nostro Paese. Questi investigatori agiscono ovunque, in qualsiasi quartiere di una città che, dal punto di vista del crimine, non conosce pace”. 
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È la Milano degli anni Ottanta quella di Piero Colaprico, il giornalista che ha coniato il termine ‘tangentopoli’ (la sua esperienza in tema di criminalità milanese gli ha dettato il saggio di recente pubblicazione Manager calibro 9), nonché padre, insieme a Pietro Valpreda, del maresciallo Binda “un investigatore che si inserisce perfettamente nella tradizione del giallo. Classico per la meticolosità dei suoi ragionamenti, moderno per la sua abilità nel districarsi nei vari strati sociali di una Milano colma di divergenze, Binda risulta un personaggio con il quale non si può non simpatizzare. Padre e marito modello, imperturbabile, ma con un profondo lato malinconico, quasi dark, che bilancia una certa dose di sana ironia. Un anziano ex carabiniere che vive una seconda giovinezza proprio grazie all’attività di investigatore privato”. 
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Si tratta di un vero proliferare (cui si può offrire solo un rapido cenno), che non sembra attenuarsi, forse perché la narrativa è più vera e accattivante se agganciata al territorio, e la Milano buia, nebbiosa, tentacolare, sovrappopolata ben si presta ad un immaginario di tipo poliziesco. 
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I più recenti: Il mistero di Chinatown di Mario Mazzanti, la prima indagine dell’anatomopatologo Tommy Davis e dell’amico Gualtiero Abisso; La disciplina di Penelope di Gianrico Carofiglio: “La protagonista, brillante magistrato dei tempi che furono, è impegnata in un’investigazione tra le vie di Milano, avvolta nei ricordi e in un intrico da svelare”; a proposito di nebbia, è appena uscito Una giornata di nebbia a Milano di Enrico Vanzina: “È una giornata di nebbia a Milano, una di quelle che sembravano non esistere più, come se fosse uscita da un romanzo di un altro tempo, da una ballata di giorni lontani. Luca Restelli sta andando al giornale per cui lavora, per le pagine di cultura, quelle che non considera nessuno. Non ha ancora quarant’anni, ma anche i suoi gusti sono ‘passati’, come la nebbia di quella mattina: vive di riferimenti letterari e cinematografici, tra insicurezze e un po’ di superbo disprezzo per il mondo indolente e arrivista che lo circonda. All’improvviso arriva una notizia, un omicidio in Corso Vercelli, un uomo è stato ucciso con un colpo di pistola, è stata arrestata una donna. Restelli si propone, la cronaca nera gli è sempre piaciuta. Dopo aver raccontato la città eterna, Vanzina racconta l’altra capitale italiana. Il risultato è un giallo straordinario, elegante, irriverente, geniale e inaspettato”; Nella luce di un’alba più fredda di Hans Tuzzi: nuove indagini per il commissario Norberto Melis; Un colpo al cuore di Piergiorgio Pulixi, ambientato tra la Sardegna e Milano è la storia di “un serial killer che ha deciso di riparare i torti del sistema giudiziario”; e poi le indagini del commissario Caronte di Alessandro Reali. 
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Ambientato sempre a Milano (ma questa volta in estate!) l’ultimo bestseller di Alessandro Robecchi, Flora, di cui abbiamo già parlato: “Storia di un Pigmalione ai tempi della televisione che cerca di convertire la sua pupilla e le masse al culto della poesia, tramite il toccante esempio del surrealista Robert Desnos. Storia di un rapimento sui generis in cui il lettore è dalla parte dei malviventi, e ben presto lo sarà anche la vittima. Scritto in piena pandemia, ne riporta qualche velata eco”.
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Addirittura una magliaia è stata promossa all’invidiabile ruolo di investigatrice: si tratta di Delia, la protagonista dei gialli di Mauro Biagini.
Come dice Turazzi, “la lista è quasi inesauribile”. Per la fortuna di noi appassionati lettori, ci viene da aggiungere...
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e-ste-tica · 3 years
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Che libri consiglieresti per studiare il femminismo ed essere migliori femministe?
Ho letto per ora solo "una donna" di Sibilla aleramo e anche il libricino "dovremmo tutti essere femministi" (forse ho sbagliato un po' i titoli ma non ho i libri sottomano)
Se ti interessa una panoramica (stringata ma ben fatta) dal 1300 ad oggi ti consiglio “Donna. Storia e critica di un concetto polemico” di Paola Rudan. In 184 pagine vengono riassunte le principali linee di lotta mostrando che no, le donne non si sono magicamente svegliate nel ‘900.
Sempre per l’ambito storico c’è “Sputiamo su Hegel”, una raccolta di saggi degli anni ‘70 di Carla Lonzi e del collettivo Rivolta Femminile. Alcune considerazioni sono superate e non condivisibili, ma ci sono delle riflessioni tutt’ora valide che hanno fatto la storia del femminismo italiano (sia in bene che in male). Ce l’ho in pdf se ti interessa. 
Considerandomi transfemminista, credo che un discorso sul genere come performance debba necessariamente partire da una riflessione sul corpo. Il piccolo pamphlet “Mostruositrans” di Filomena Sottile è una perla, e se bazzichi l’inglese fondamentale è il “Transfeminist manifesto” di Emi Koyama (questo lo trovi in pdf). Se parliamo di corpo un’uscita recente - che non ho ancora letto, ma è stato accolto con lacrime di gioia dall’ambito femminista - è “Il corpo elettrico” di Jennifer Guerra. 
Per quanto riguarda la “pratica” c’è il “Manuale per ragazze rivoluzionarie” della meravigliosa Giulia Blasi (che da poco ha pubblicato “Rivoluzione Z”, perché qualcuna ha capito che la nuova generazione non è fatta da debosciat ). Un libro che potrebbe non sembrare femminista è “Creiamo cultura insieme” di Irene Facheris ma l’ascolto è una pratica femminista basilare!
Di libri ce ne sono a migliaia di qualsiasi genere: letteratura (vedi M. Murgia e T. Morrison - consiglio “Amatissima” e “L’origine degli altri”), filosofia, teologia, critica e storia dell’arte...!  Un’altra cosa che puoi fare per approfondire tematiche e pratiche femministe è seguire sui social Irene Facheris, Carlotta Vagnoli, Attilio Palmieri, Belledifaccia, Djarah Kan, Benedetta Lo Zito e anche qui ci sarebbe da fare una lista infinita ma vedrai: una volta che inizi scopri mille percorsi e ti perdi in ognuno di questi!
La cosa più importante che posso consigliarti è quella di aprirti alla scoperta di qualcosa che può davvero rivoluzionare il tuo sguardo sul mondo!  Spero di esserti stata utile, bacetti furetti
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lamilanomagazine · 7 months
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Presentata in regione l'undicesima edizione del festival del giornalismo culturale di Urbino
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Presentata in regione l'undicesima edizione del festival del giornalismo culturale di Urbino. Palazzo Ducale e l’Aula Magna dell’Università di Urbino ‘Carlo Bo’ si preparano ad accogliere l’11ma edizione del Festival del Giornalismo Culturale. Dal 5 all’8 ottobre nella Città patrimonio dell’UNESCO si terrà la tre giorni con al centro il tema ‘Leggere per – Il futuro del giornalismo nell’era degli schermi’. L’asterisco serve a declinare l’attività del leggere utile per qualunque mestiere e professione della vita quotidiana. Sarà il pubblico a dargli significato. Il Festival è organizzato dall’Istituto per la formazione al giornalismo e dall’Università di Urbino in collaborazione con la Galleria Nazionale delle Marche e con il patrocinio della Regione Marche. Un’edizione che spiegherà nel dettaglio i grandi cambiamenti avvenuti nel mondo della lettura, un ribaltamento totale che oggi ci porta a fruire dei contenuti per mezzo degli schermi, tra smartphone, tablet, pc e Smart Tv. Sempre più spesso infatti la formazione e l’informazione passano dalle immagini. Nel corso di questa edizione, come nelle passate, grande attenzione verrà rivolta al mondo dei giovani lettori che sono portati a leggere i libri ‘con le orecchie’ nella modalità podcast. Il punto di partenza del Festival del Giornalismo Culturale 2023 sarà rappresentato da una ricerca originale sulla lettura, passando poi a un’analisi dettagliata sul dove e come leggiamo le notizie culturali. Nella tre giorni di Urbino giornalisti, studiosi e scrittori forniranno delle risposte su tanti temi: Cosa cambia se non si legge più su carta ma su schermo? Quanto tempo si passa su video informativi e cosa si deposita rispetto alla lettura tradizionale? Dove e come si informano i giovani e con quali conseguenze per la loro formazione? Cosa leggono e su quali supporti i giornalisti, i mediatori, cioè coloro che fanno informazione e in particolare informazione culturale? “La serie di interrogativi che pone questa edizione del Festival – dichiara l’assessore a Cultura e Istruzione della Regione Marche, Chiara Biondi – permette di riflettere su questioni cruciali del nostro tempo nelle sue repentine trasformazioni che coinvolgono ciascuno di noi e, in particolare, le giovani generazioni. Al centro l’importanza della lettura, in ogni sua forma e con qualsiasi mezzo e la crescita della società grazie alla cultura. La Direzione del Festival riesce a riunire ogni anno esperti, giornalisti, intellettuali, scrittori, intorno a temi destinati a costruire il futuro. Insieme per dibattere e cercare risposte a quesiti e interrogativi decisivi per la costruzione di un’opinione pubblica informata e dotata di spirito critico”. "L’undicesima edizione del Festival del Giornalismo Culturale - spiega Lella Mazzoli, direttrice del Festival del Giornalismo Culturale - si occuperà della lettura, una nobile attività. Il titolo che abbiamo scelto Leggere per ha un asterisco per indicare che leggere serve a tanto e il nostro invito è di sostituire l’asterisco con quel che più ci piace. Tanti i temi: letteratura, notizie, approfondimenti, serie tv, arte e architettura e molto altro verrà discusso nei tanti panel e lectio, con i numerosi autori (circa 70) che hanno aderito alla iniziativa. In particolare il Festival si occuperà della lettura della generazione Z, alla quale appartengono le ragazze e i ragazzi fra i 14 e i 19 anni. Presenteremo i dati di una ricerca che mette in evidenza che quei ragazzi e ragazze non leggono meno degli adulti, lo fanno però in modo diverso e su device diversi. Leggono su carta e su schermi e usano tanti strumenti a seconda dei contenuti. Amano i booktoker e li riconoscono come ‘consiglieri’ competenti. Molti i dati e le riflessioni su un tema che ci auguriamo possa contribuire a promuovere la lettura, a promuovere la cultura". Anche quest’anno sono previsti spettacoli, concorsi e letture pubbliche. Il Festival si aprirà nella serata di giovedì 5 ottobre al Cinema Nuova Luce con la presentazione del romanzo di Emanuele Coen ‘La figlia del Vesuvio’. Da venerdì 6 ottobre a Palazzo Ducale si entrerà nel vivo dell’evento con tanti panel di interesse per addetti ai lavori e appassionati, a iniziare dal ruolo dell’Intelligenza Artificiale nel contesto culturale. Nella serata di venerdì 6 ottobre ci sarà spazio per il Premio Fenice CONAI per il giornalismo ambientale giovane mentre sabato 7 ottobre tra i principali appuntamenti quello dal titolo ‘L’informazione e il pensiero critico. La democrazia informata’, con gli interventi di Annalisa Bruchi, Piero Dorfles e Agnese Pini, integrati dalla lectio affidata a Vittorio Emanuele Parsi. Domenica 8 ottobre l’attenzione si sposterà sul ‘fare informazione’ e ‘fare informazione culturale’. Il programma completo al link: https://www.festivalgiornalismoculturale.it/  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Viaggio alle radici del folkhorror italiano in occasione dell’uscita di A Classic Horror Story
L’estate è, tradizionalmente, un periodo fatto di sole, bagni al mare (o escursioni in montagna), giochi all’aria aperta. Ma è anche una stagione particolarmente fertile per tutto ciò che ha a che fare con l’orrore, declinato in mille modi e maniere differenti, accomunati, chiaramente, dalla sensazione di una paura più opprimente della proverbiale canicola estiva.
Ed è proprio in piena estate che, su Netflix, arriva A Classic Horror Story, il “film di paura” di Roberto De Feo e Paolo Strippoli. Se avete visto il full trailer approdato online qualche settimana fa, avrete probabilmente notato che vengono citate in maniera diretta, esplicita, tre figure folkloriche collegate alla nascita della ‘ndrangheta e della malavita più in generale: Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Figure magari conosciute da chi ha una certa dimestichezza con certi luoghi, con certe “fole esoteriche di campagna”, per citare Pupi Avati, ma ignorate dai più. Quegli stessi “più” che, invece, potrebbero conoscere altre storie crepuscolari, notturne che non hanno nulla a che vedere con Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e che, proprio come la storia dei fondatori delle società criminali italiane, hanno radici profonde, che scavano in un terreno, quello dello stivale, il cui humus è formato dalla putrescente decomposizione di popolazioni le cui tradizioni, dall’epoca pre-romana in poi, sono più o meno trasversalmente arrivate anche ai giorni nostri.
Nonostante l’Impero romano e la sua caduta. Nonostante il Vaticano. Nonostante il realismo marxista.
Ne abbiamo discusso a lungo insieme a Fabio Camiletti, marchigiano come il sottoscritto, professore associato di letteratura italiana presso l’Università di Warwick in Inghilterra. Camilletti, che ha già all’attivo svariate pubblicazioni sull’argomento, è da poco tornato nelle librerie – virtuali e non – con “Almanacco dell’orrore popolare. Folk Horror e immaginario italiano”, realizzato insieme a Fabrizio Foni. La prima parte di questa articolata chiacchierata è tutta dedicata al concetto stesso di folkhorror e al rapporto che, nello stivale, c’è con esso. Un qualcosa che sembra essere costantemente, ciclicamente rimosso e riscoperto in Italia, dove la relazione con questo vissuto che – volenti o nolenti – fa parte del nostro DNA, ha avuto una storia differente da quella riscontrabile nei paesi di lingua inglese, Inghilterra in primis. La seconda parte sarà invece un vero e proprio viaggio, da Nord a Sud, in quattro storie di folklore horror che potrebbero essere perfette per un film. Così come quella di Osso, Mastrosso e Carcagnosso si è rivelata particolarmente adatta per A Classic Horror Story per ragioni che non staremo qua a spoilerarvi.
Come nasce il tuo interesse verso il folklore italiano a tinte horror? Quali sono le ispirazioni del tuo nuovo Almanacco?
Nel libro si parla esplicitamente del folk horror che, da qualche anno, è un’etichetta ricorrente con una certa frequenza, perlomeno da una decina d’anni da quando Mark Gatiss l’ha usato come termine. Anche se, in realtà, esisteva già e veniva usato negli anni ’80 e negli anni ’70 per indicare una corrente di produzione cinematografica come ad esempio The Wicker Man di Robin Hardy e tutto ciò che aveva a che fare con una produzione di storie esterne al contesto delle città. Da lì è nata la voglia di indagare questo fenomeno in Italia dove comunque esistevano definizioni come quella di gotico pagano impiegata da Pupi Avati o gotico rurale impiegata da Eraldo Bandini. Da qui, insieme all’altro curatore del libro, Fabrizio Foni, abbiamo deciso di optare per una forma, quella dell’Almanacco, che richiamasse anche quella classica degli Almanacchi Bonelli di primi anni novanta, fine anni ottanta, quella forma miscellanea molto libera nell’inserimento dei temi e degli autori. Dall’altro c’era la volontà di giocare con quell’ambiguità che il termine popolare consente in italiano al contrario di quello che avviene in inglese, dove i concetti di “pop” e “folk” sono distinti in maniera netta. In Inghilterra viene naturale accostare la parola “pop” a un contesto urbano – l’etimologia stessa è latina no? “populus” – una cultura calata dall’alto per un pubblico urbano, di cittadini, mentre invece “folk” è un termine d’origine germanica che richiama da subito gli spazi extra-urbani dove l’influenza di Roma – o della Chiesa – non arriva e permangono forme estranee alla città. In Italia è tutto un po’ diverso: basti pensare al rapporto fra città e contado, siamo entrambi marchigiani, pensa al modello della Mezzadria che ha stimolato una osmosi fra il dentro e il fuori. In italiano il rapporto fra il concetto di “pop” e di “folk” è più sfumato e abbiamo deciso di sfruttarlo come una ricchezza. Per quanto riguarda l’interesse personale c’è, chiaramente, quello accademico, però si tratta di un qualcosa che è arrivato dopo, negli anni dell’Università, ma era un territorio, quello del folklore horror, che avevo già iniziato a percorrere perché ho avuto la fortuna di appartenere a quella generazione che ha visto l’ultima fiammata dei fumetti italiani horror splatter, la generazione della Dylan Dog Horror Fest, forse l’ultima generazione che ha conosciuto un certo tipo di libertà creativa di un mondo editoriale che poi è un po’ esploso su sé stesso.
Anche io, nonostante una conoscenza di massima di quelle che potevano essere o non essere le storie del folklore marchigiano, ricordo di aver scoperto molta aneddotica collegata all’orrore popolare italiano grazie gli Almanacchi Bonelli. La prima volta che ho letto del Parco dei Mostri di Bomarzo, la prima volta che ho appreso della sua esistenza è stato proprio tramite un Almanacco di Dylan Dog in anni in cui nessuno lo conosceva e le statue stesse neanche erano posizionate come nel percorso attuale. Adesso se “sbagli il giorno” in cui andare a Bomarzo trovi più fila che a Gardaland. Comunque, rispetto ad esempio al mondo anglosassone – andando in luoghi del Regno Unito puoi quasi toccare con mano l’intima connessione fra la dimensione fantastica del folklore e la geografia stessa dei posti che visiti – quali sono le peculiarità del nostro folk?
Chiaramente in Gran Bretagna c’è stata una vera e propria industria culturale da questo punto di vista. Fin dal dal XIX secolo c’è stata una notevole insistenza su certi temi che sono stati sdoganati anche a livello culturale. C’è stata una riflessione a 360° da parte dei folkloristi, degli scrittori “del mondo della cultura” che ha lasciato tracce molto forti nell’iconografia. Inizialmente, se pensi anche al romanzo gotico non esisteva neanche un’equazione che accostava necessariamente le isole britanniche a quel genere di storie, tanto che, se ci rifletti, Ann Radcliffe e Horace Walpole hanno ambientato le loro opere in Italia o, in generale, nell’Europa del Sud. È stata un’operazione culturale sul lungo termine che ha poi creato questa identità fra certi temi e certi luoghi d’Inghilterra. In Italia è stato tutto un po’ diverso: gli stessi studi di folklore e sul folklore nel corso del XIX secolo, anche sulla base di quelli inglesi, hanno preso una piega molto più storicistica. Non dobbiamo dimenticare il problema dell’unità nazionale e quelle che sono delle componenti ideologiche diverse: autonomismo versus centralismo, il filofrancesismo che tendeva a sopprimere le identità locali in funzione del razionalismo costruito sostanzialmente da zero. Ci sono spesso stati dei problemi di carattere politico e, indirettamente, anche culturale che hanno fatto sì che questi lavori producessero degli influssi più che altro sotterranei e meno visibile rispetto ad altri contesti. L’effetto di ciò – che mi hai confermato anche tu citando Bomarzo – è che si è creata questa narrazione per cui comunque esiste questa che io chiamo “Italia lunare”, seguendo un’intuizione di Ornella Volta enunciata in un articolo del 1971, che è come una specie di mondo “diverso” che soggiace all’Italia ai suoi miti più visibili, quell’Italia che scopriamo sbagliando l’uscita del casello autostradale trovandoci in un angolo impensato, quell’Italia che scopriamo da guide un tempo meno diffuse di oggi e decisamente più eretiche, quell’Italia che scopriamo svoltando un angolo senza saperlo. L’Italia di Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci in cui la morte della Maciara di Florinda Bolkan avviene a pochi metri dall’autostrada attraversata dalle macchine dei vacanzieri, che vanno al Sud da cartolina propagandato dai media dell’Italia del boom economico ignorando che, a pochi metri, esiste un’altra realtà, periferica e lunare, che mette in crisi proprio quel modello.
È una mia impressione o c’era davvero un maggiore distacco quasi razionale da queste tematiche in Italia rispetto alla già citata Inghilterra?
Attenzione però. Non a caso di ho parlato di narrazione, una narrazione diversa. Una narrazione qualitativa, più che quantitativa. Sono sempre molto diffidente verso chi dice che in Italia di queste cose non si parla e non vengono considerate dall’establishment culturale però poi, andando a scavare, troviamo che già gli scapigliati parlavano di certi temi e che esistevano alcune tradizioni ben precise. Ecco, io ritengo che il problema risieda nell’avversativa: è solo un modo diverso di raccontarle, ma in realtà è sempre presente, solo che noi è come se avessimo la necessità ricorrente di dirci che la stiamo riscoprendo. Ed è una cosa che avviene ciclicamente. Pensa ai reportage alla ricerca dell’Italia Misteriosa che – anno dopo anno – continuano a comparire. Pitigrilli, alla fine degli anni cinquanta, pubblicava “Gusto per il mistero”, poi c’è Dino Buzzati che lo fa nel 1965 con I misteri d’Italia, poi nel 1966 tocca alla Guida all’Italia leggendaria misteriosa insolita fantastica, negli anni settanta tocca alle inchieste di Gente, a Leo Talamonti con Gente di Frontiera, negli anni ottanta arriva un ‘inchiesta dell’allora nota come Fininvest, poi gli Almanacchi… Insomma, non è che le cose non ci sono è che, ciclicamente, bisogna dire “sembrerebbe che non ci sono, però in realtà ci sono”. Sai, basta avere un’infarinatura di Freud per capire che anche questo discorso qui nasconde qualcosa: la gioia del riscoprire quello che si sa esserci già. Anche questo è un meccanismo che dà piacere e c’è un ciclico riscoprire che l’Italia non è solo il paese del realismo più o meno neo.
Vero, però sai, parlando del settore dell’intrattenimento, una certa ritrosia si avverte, tanto che quando qualcuno si dedica a storie del genere, in cui sicuramente rientra anche A Classic Horror Story, c’è sempre uno stupore di fondo. Questa ritrosia può essere collegata alla presenza forte dell’elemento cattolico, dello Stato Vaticano e – di converso – alla forte componente di razionalismo marxista, queste due forze opposte che sono finite per avere questo effetto comune?
Sicuramente queste forze hanno avuto un loro peso nel far sì che, ad esempio, un certo tipo d’industria dell’intrattenimento venisse marginalizzata. Ma non dimentichiamo che ci sono stati anni in cui Dylan Dog piazzava 600k copie al mese, o un decennio in cui il cinema italiano era al top per il thriller parapsicologico e l’horror puro. Al netto di tutto ciò, il ruolo della Chiesa cattolica da un lato e del marxismo dall’altro, senza dimenticare il ventennio fascista e il lungo lascito dell’idealismo crociano e gentiliano, sono stati tutti agenti che, in un certo senso, hanno contribuito a una marginalizzazione che, comunque, ha avuto come effetto quello di una corporativizzazione. E ci ritroviamo con un pensatore come Ernesto de Martino che, partendo da premesse strettamente crociane, le mescola con l’interesse per lo spiritismo maturato nella sua giovinezza e in due libri come Il Mondo Magico e Morte e pianto rituale nel mondo antico riesce a fare qualcosa con il folklore e la ricerca parapsicologica che non ha precedenti, neanche in altri contesti compreso quello angloamericano. Per quel che riguarda il comunismo c’è un bellissimo libro di Francesco Dimitri di circa una ventina di anni fa intitolato Il comunismo magico in cui parla sia dei paesi del comunismo reale che in quelli influenzati da esso, dalla sua onda lunga, di come anche il materialismo dialettico e storico sia infestato da fantasmi di vario genere e abbia prodotto i suoi frutti impuri, magari irriconoscibili secondo le categorie del gotico ottocentesco, ma comunque esistenti. Anche autori del “gotico italiano” come Dario Argento, Lucio Fulci, che si dichiarava esplicitamente comunista, Gianfranco Manfredi che militava nella sinistra extra parlamentare, gente che arriva all’horror non “nonostante” la militanza politica, ma attraverso di essa. Il discorso cattolico, specie poi in zone come le Marche che sono appartenute allo Stato Pontificio, ha contribuito a far sì che si sviluppasse una ritrosia per un certo tipo di realtà, quell’incredulità che aumenta quanto più ti avvicini al cuore stesso del potere Vaticano. Però, al tempo stesso, molto del folklore più autenticamente perturbante in Italia non è che lo si trova tanto nelle credenze relative a fantasmi e case infestate e compagnia bella, ma lo troviamo nelle narrazioni dei ritorni dal Purgatorio, che è una cosa su cui la Chiesa stessa non picchia più dopo il Concilio Vaticano II ma per le generazioni dei nostri nonni, e forse anche dei nostri genitori, i resoconti sulle anime del purgatorio facevano parte del pane quotidiano quando si andava al catechismo. O delle apparizioni del diavolo. Quelle sono le nostre storie di fantasmi. In Italia le cose come queste devi cercarle in contesti diversi. Nelle storie del catechismo, nei prontuari dei predicatori, ma anche nell’editoria maggiore senza che queste robe venissero in qualche modo segnalate in copertina con la scritta “romanzo gotico o di fantasmi”, ma in realtà quello erano. Penso a certe opere di Mario Soldati, o anche a un romanzo come Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani che si legge tranquillamente al ginnasio. Sembra una storia sulla guerra e le leggi razziali ma propone una delle descrizioni più efficaci di una seduta fatta con la tavoletta Ouija che ci siano nella letteratura italiana. Una seduta spiritica sta al centro del Fu Mattia Pascal di Pirandello. Nella Coscienza di Zeno. Nel Giornalino di Gianburrasca.
Però appunto, e parlo da amante di questi argomenti da sempre, nelle mie memorie di studente del classico, ricordo bene lo stupore provato nel leggere certe cose nelle opere di autori da cui non me le sarei mai e poi mai aspettate. Non ero mentalmente preparato come quando leggevo le opere di un Conan Doyle, che sapevo essere uno spiritista.
Sì, ed è più efficace, no?
Assolutamente sì.
Perché poi se pensi alle convenzioni del genere, anche alle stesse copertine, all’apparato editoriale che dovrebbe prepararti quando ti avvicini a un opera… E invece quando leggi Il fu Mattia Pascal niente ti prepara a quello. Soprattutto niente ti prepara alla presa di coscienza che, a un certo punto in quella seduta che viene comunque descritta con tutti i toni farseschi e ironici del caso, che quasi si fa beffa dello spiritismo, però a un certo punto qualcosa succede. E quel qualcosa resta senza spiegazione.
La sinossi ufficiale di A Classic Horror Story:
Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c’è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l’incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l’uno dell’altro per cercare di uscire dall’incubo in cui sono rimasti intrappolati?
Girato in Puglia e a Roma e prodotto da Colorado film, A Classic Horror Story è “una classica storia dell’orrore”, come suggerisce il titolo: un omaggio alla tradizione di genere italiana che, partendo da riferimenti classici, arriva a creare qualcosa di completamente nuovo.
A Classic Horror Story è diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli e uscirà su Netflix il 14 luglio.
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weirdesplinder · 3 years
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Libri vintage che spopolavano negli anni 70' e 80'
Continua le mia esplorazione nelle librerie di mia cugina, che, causa trasloco, deve svuotare casa e vende alcuni libri della sua vasta collezione. Oggi vi illustro le mie ultime scoperte sulla letteratura che andava di moda negli anni 70′ e 80′.
Iniziamo con dei ROMANZI OTTOCENTESCHI di autori francesi che probabilmente mia cugina scoprì o dovette scoprire sui banchi di scuola.
Titolo: Graziella
Autore:  Alphonse de Lamartine, famoso poeta, scrittore e politico francese nato alla fine del 1700.  
Trama: Il giovane scrittore francese Alphonse de Lamartine durante un viaggio in Italia, resta colpito dalle belle terre del golfo di Napoli ed, in particolare, dell'isola di Procida. Alphonse ne ammira la particolarità, la semplicità della sua gente e s'innamora di una giovane fanciulla dagli occhi neri e dalle lunghe trecce: Graziella. Graziella, figlia di pescatori procidani, corrisponde quel tenero amore che ben presto viene interrotto dalla partenza di immprovvisa di lui per la Francia. Alphonse lascia la sua amata Graziella con una promessa:sarebbe ritornato presto da lei. Alphonse non mantiene la promessa e Graziella, nella vana attesa, si ammala. Prima di morire, la giovane spedisce ad Alfonso una lettera contenente una treccia dei suoi capelli. Alphonse conserverà per tutta la vita quella lettera, quella treccia insieme col ricordo di quell'amore che non riuscirà più a trovare in nessun'altra donna.
Da questo romanzo nel 1961 in Italia fu tratto uno sceneggiato televisivo dallo stesso titolo, con protagionista il celebre e amatissimo attore Corrado Pani. Non ho trovato un video di questo sceneggiato, ma su internet è disponibile l’audio delle 4 puntate, sul sito raiteche.
Link: http://www.teche.rai.it/1953/10/graziella-i-puntata/
Tirolo: Selvaggia
Autore:  Raoul de Navery, nome di penna di   Eugénie-Caroline Saffray, scrittrice francese molto famosa e amata che dal 1860 in poi creò molti romanzi che combinavano un’eccellente scrittura, ad un gusto romantico avventuroso in grado di catturare il lettore. I suoi romanzi riflettono la morale borghese ottocentesca e hanno al centro della trama l’importanza della fede nella vita dei personaggi.
Trama: La parte più pittoresca dell'Isola del  Rey era occupata da una vasta dimora a un solo piano, ornata da fiori  rampicanti lungo una veranda e circondata da una folta siepe viva di  cactus.Legni costosi, mobilie rare, stuoie finissime, tutte le ricchezze  che possono accumularsi in una signoria di proprietari vicini ai paesi  dell'oro, sui quali avevano dominato i Pancasi, si adunavano in copia  nella casa del conte Umberto de Flessigny. Accanto alle curiosità  archeologiche, si trovavano i saggi di un'arte perduta, della quale i  padroni del Perù adornavano quei celebri giardini d'oro, dove ogni  pianta, ogni fiore di metallo rappresentavano le forme ricopiate dalla  natura per mano di valenti artefici. Si parlava su tutta la costiera  di quella dimora come di una meraviglia, e non v'era capitano di nave  straniera che facesse scalo all'Isola del Rey, che non volesse chiedere  al gentiluomo milionario il permesso di visitare le rarità accumulate  nella sua dimora; permesso che sempre veniva concesso con amorevole  cortesia. Quando poi il capitano della nave era francese, i coniugi  de Flessigny non mancavano mai di offrirgli una ospitalità principesca." 
Proseguiamo con i ROMANZI ANNI 70′- 80′ che invece andavano di moda tra i giovani e non solo, sbancavano anche ai botteghini dei cinema o spopolavano in tv
Titolo: Menzogne (Secrets)
Autore: Danielle Steele
Trama:  Sofisticato e avvincente, con una schiera di personaggi indimenticabili,  questo romanzo esplora l'effervescente mondo della televisione,  scoprendo i drammi, le invidie e le passioni nascoste dietro la  realizzazione di una serie tv di vasto seguito intitolata ‘Manhattan’. Lo show rappresenta  per ogni persona che vi lavora un'occasione irripetibile per giungere  finalmente al successo e alla fama, ma il prezzo di tutto ciò è una  fitta rete di menzogne con le quali ciascuno cerca di celare un  inconfessabile e lacerante segreto...
Da questo libro è stato tratto un film del 1992 intitolato appunto Secrets (titolo originale del romanzo), e credo che tale film sia andato in onda col titolo Il segreto anche in Italia in tv  sempre negli anni 90′, ma non ho trovato un video della versione italiana solo di quella americana (se trovate la versione italiana fatemelo sapere).
Link:  https://www.youtube.com/watch?v=qaBfmF9_rE4
Titolo: Love story
Autore: Erich Segal
Trama:  Lui è Oliver Barrett IV e  lei Jenny Cavilleri. Lui è ricco, lei povera. Lui fa sport, lei suona  il pianoforte. Discutono, litigano... e s'innamorano follemente.  Decidono di sposarsi e di andare a vivere insieme senza contare  sull'aiuto di nessuno. Cavarsela da soli è dura, ma loro sono pieni di  entusiasmo e hanno tanti progetti per il futuro. Finché si rendono conto  di non avere molto più tempo davanti... Un bestseller internazionale  che ha commosso milioni di lettori, il romanzo che meglio di ogni altro  ha raccontato com'è l'amore a vent'anni, con parole che vanno dritte al  cuore e ancora oggi hanno la freschezza e la forza dei sentimenti veri,  quelli che non muoiono mai.
Chi non conosce o non ha mai visto il film tratto da questo bestseller? Credo nessuno. Un film e un libro che hanno fatto storia e commosso milioni di persone.
Link: https://www.youtube.com/watch?v=GkRdOmhiws0
Titolo: Another love. Storia di Oliver (Oliver’s story)
Autore: Erich Segal
Trama:  Seguito del libro Love Story. Si dice che nella vita  di ognuno ci sia un unico grande amore. Per Oliver Barrett, quell'amore  si chiamava Jennifer. Il tempo trascorso insieme è stato troppo breve,  prima che il destino gliela portasse via, ma così intenso e speciale da  valere una vita intera. Oliver ha poco più di vent'anni, tutti gli  dicono che deve andare avanti e ricominciare a vivere, ma lui è convinto  che non sia possibile, che non sia giusto. Non gli importa di uscire,  vedere gli amici o fare nuove conoscenze. Il suo rifugio sono il lavoro e  la corsa, per immergersi a capofitto nel presente e attutire l'eco del  passato. Fino a quando incontra una ragazza così affascinante e  misteriosa da attirarlo fuori da quel vortice di buio in cui è piombato.  Con lei sembra rinascere qualcosa che sembrava essersi incrinato per  sempre. E il futuro assume contorni inattesi. Perché solo l'amore può  guarire le ferite di un cuore spezzato.
Anche dal seguito di Love story fu tratto un film con protagonista lo stesso attore del primo film giustamente, ma non ebbe purtroppo lo stesso successo.
Link: https://www.youtube.com/watch?v=G_2PNOH_j6A
TItolo: Un uomo, una donna, un bambino
Autore: Erich Segal
Trama:  La migliore amica di Bob Bekwith è Sheila,sua moglie: per quattordici  anni hanno vissuto e affrontato tutto insieme, in costante adorazione  l'uno dell'altro. Completano le loro vite le figlie, Paula e Jessica.  L'anno accademico è appena finito e Bob ha presenziato all'ultima  riunione della facoltà e Cape Cod li attende per una lunga estate. Ma  una telefonata basta a sconvolgere la loro esistenza. Quando  Jean-Claude, un bambino di dieci anni, arriva per passare le vacanze con  loro, ecco che Bob e Sheila, infelici e travagliati, vivono ormai come  entità separate le loro rispettive tragedie. Persino Paula e Jessica,  felici di quel nuovo compagno di giochi non riescono a sfuggire del  tutto dalla bufera. Tutti fanno del loro meglio affinché la pace  domestica venga ristabilita. Ma solo una persona può far si che il  miracolo si compia.
Anche da questo libro di Segal fu tratto un film piuttosto famoso con Martin Sheen, che arrivò anche in Italia.
Link: https://www.youtube.com/watch?v=WRTXuKzkQ7A
Un amore senza fine
Autore: Scott Spencer
Trama: La quindicenne Jade e il diciassettenne David si conoscono e si  innamorano. Il loro amore però è ostacolato dalle rispettive famiglie,  soprattutto dal padre di lei, che allontana David per permettere alla  figlia di terminare gli studi con tranquillità. Ma la grande passione di  David lo porta a dar fuoco alla casa della sua amata, reato per il  quale viene condannato a cinque anni in manicomio. Uscito dopo soli due  anni per buona condotta, parte per New York  alla ricerca di Jade, andando contro le disposizioni di legge che lo  costringono a non lasciare la città. Una volta in città viene  riconosciuto da Hugh, il padre di Jade, che nell'inseguirlo perde la  vita in un incidente. Ma quando i due amanti si rincontrano e il loro  amore riaffiora, a ostacolarli, stavolta, sono i fratelli di lei, che  accusano il ragazzo della morte del padre. David finisce in carcere e a  Jade non resta che aspettare il suo amore senza fine.      
Da questo libro bestseller sono stati tratti   diversi film, tra cui uno di Zeffirelli con Brooke Shields e Martin Hewitt.
Link:https://www.youtube.com/watch?v=vSFYZIZSEEU
Titolo: Uccelli di rovo
Autore: Colleen McCullough
Trama: La storia della famiglia Cleary, proprietaria di un grande ranch in Australia, e  del peccaminoso amore tra un alto prelato, Padre Ralph de Bricassart, e  la parrocchiana Maggie, la più giovane di casa Cleary.  
Da questo romanzo bestseller è stata tratta una miniserie televisiva di enorme successo internazionale con protagonista  Richard Chamberlain  nei panni di padre Ralph
Link:https://www.youtube.com/watch?v=G248w9ZNoDw
TItolo: L’altro nome dell’amore
Autore: Colleen McCullough  
Trama: Settembre 1945: la guerra è finita e in un 'ospedale militare autraliano si attende  la smobilitazione. Proprio allora arriva dal fronte il sergente Michael  Wilson, che ha aggredito un  superiore, edi è stato giudicato psichicamente instabile. L'accoglienza di  dell’infermiera Langtry è  molto amichevole nei suoi confronti; non così quella degli altri pazienti, tutti con supposti problemi mentali, e tutti o quasi invaghiti della donna.
Da questo libro pure nel 1985 fu tratto un film An Indecent Obsession con  Wendy Hughes e Gary Sweet.  Non so se uscì anche in italia.
Link:https://www.youtube.com/watch?v=PlJWKvYayc8
Titolo: Shogun
Autore: James Clavell
Trama:  Partito alla volta dell'Oriente per il monopolio olandese del commercio  con Cina e Giappone, John Blackthorne, comandante dell'Erasmus, si  ritrova costretto da una tremenda tempesta al naufragio in un villaggio  di pescatori nel Giappone feudale del XV secolo. In un mondo sconosciuto  e lontano, Blackthorne deve trovare il modo di sopravvivere. Grazie al  suo coraggio, che lo condurrà sulla via dei samurai, con il soprannome  di Anjin (il navigatore) diventerà il fido aiutante dello Shogun e nella  sua ascesa al potere conoscerà l'amore impossibile per la bella e  ambigua Mariko.        
Da questo romanzo bestseller fu tratta nel 1980 una miniserie televisiva diretta da Jerry London ed interpretata da Richard Chamberlain e Toshirō Mifune. Chamberlain era un attore molto famoso e amato negli anni 80′ e la serie fu seguitissima. Non ho trovato online la versione doppiata in italiano (se voi la trovate fatemelo sapere), ma quella in inglese sì:    
Link: https://www.youtube.com/watch?v=D_U1Gupe6iY
Titolo: Abissi
Autore: Peter Benchley (già autore del romanzo da cui fu tratto il film LO Squalo)
Trama:  Una coppia si reca  in luna di miele alle Bermuda. Durante un’immersione subacquea scoprono i  resti di un tesoro e delle fiale che contengono una misteriosa  sostanza. Comincia di qui, tra minacce e violenze, apparizioni di  mostri marini e incidenti provocati da una banda di mafiosi,  un’avventura che cambia la vita innocente di entrambi.
Anche da questo libro di Benchley fu tratto un film adrenalinico che però ebbe un po’ meno successo di Lo squalo, con protagonisti  Jacqueline Bisset e Nick Nolte.
Link: https://www.youtube.com/watch?v=wcn9PXZC1s4
Titolo: Selvagge
Autore: Shirley Conran
Trama: romanzo del genere catastrofico, che  racconta la storia di cinque donne che assistono all’assalto e  all’uccisione dei loro mariti, trucidati da commandos polinesiani. La  loro sorte è segnata. Le donne si salvano invece con la fuga, consapevoli di non conoscere  nulla del mondo che le circonda. Dovranno diventare selvagge e  difendersi dai nemici. Silvana, la madre del gruppo è forse la più fragile, Carey la più forte  fisicamente ma la meno amata. Suzy la bambola sexy, che maturerà nel  corso del romanzo, Anne e la sua amica sono meno delineate. Intorno a  loro solo uomini che le cercano e chissà se le troveranno.
Warner Bros ne detiene i diritti cinematografici ma non ne ha mai tratto un film.
Altri libri facenti parte la collezione di mia cugina, e in vendita:
- Collana Romanzi Harmony
J. Evans, Collega… e poi?
S. Craven, L’arcano svelato
C. Moore, La strada verso l’amore
G. Green, Il corteggiatore di Laura
C. Spencer, Dolci parole sussurrate
- Signorsì, di Liala
- Un abisso chiamato amore, di Liala
- Le briglie d’oro, di Liala
- Lalla che torna, di Liala
- Settecorna, di Liala
- Per ritrovare quel bacio, di Liala
- La più cara sei tu, di Liala  
Conoscevate già questi libri? Vi hanno incuriosito? Se vi inteessa comprarli contattatemi pure qui o su facebook.
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noneun · 4 years
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Disclaimer dichiarazioni Tarro su Covid - 19
Della Società Italiana di Immunologia, Immunologia clinica e Allergologia: http://www.siica.org/siica/sites/default/files/news/Tarro_0.pdf
Fellini, oppresso dalla volgarità dei nostri tempi terminò “la voce della luna” con uno splendido “ ci vorrebbe un po’ di silenzio”.
Sarebbe il commento più adatto al bailamme mediatico che accompagna il dramma epocale di COVID-19, bailamme che non si è privato della comparsa di Giulio Tarro, scienziato di modestissima caratura, autoproclamatosi candidato al premio Nobel per scoperte ignote alla comunità scientifica, falso esperto che ha ad esempio infilato nella trasmissione “Non è l’arena” una serie di opinioni personali fra sciacallaggio e becero ottimismo.
Chi cita le sue opinioni o lo interpella avrebbe il dovere di controllare il suo curriculum scientifico o almeno Wikipedia, dai quali sarebbe venuto a conoscenza che buona parte di quanto abbia detto risulta essere falso in tempi normali, ma “notitiae criminis” nel dramma che il paese vive!
Avrebbe appreso che Tarro, pur “allievo” dello scienziato Albert Bruce Sabin (che ha sviluppato uno dei vaccini contro il virus della poliomielite), e con cui ha condiviso quattro lavori scientifici all’inizio degli anni 70, ha pubblicato 68 lavori scientifici, molti dei quali su riviste italiane non “peer- reviewed”, con un totale di 447 citazioni e un indice di Hirsch di 10. Questi indici bibliometrici sono appropriati per un ricercatore all’inizio del suo percorso scientifico, non certo per un senior autoproclamatosi candidato al Nobel. Ad esempio molti membri della nostra Società Scientifica hanno decine di migliaia di citazioni nella letteratura scientifica internazionale e indici H superiori a 50 o 100. Con semplici verifiche avrebbe anche appreso che Giulio Tarro, negli anni recenti, ha partecipato solo a quelle che nella letteratura scientifica internazionale sono definite “predatory conferences” e ha ricevuto “predatory prizes”, l’equivalente insomma delle “fake news” in rete. Avrebbe anche appreso che Tarro ha sostenuto cure senza fondamento scientifico.
Per questa sua dubbia reputazione e scarsa rigorosita’ scientifica, già negli anni 80, Giulio Tarro è stato espulso dalla Società Italiana di Immunologia, allora Gruppo di Cooperazione in Immunologia.
Il “caso Tarro” è un’occasione per sottolineare ora come non mai, nell’emergenza COVID-19, quanto sia necessario che chi ha la responsabilità della comunicazione nei media verifichi l’affidabilità e correttezza della fonte, la correttezza delle affiliazioni e dei crediti scientifici, a salvaguardia del pubblico, dei pazienti, dei ricercatori e del personale sanitario in prima linea.
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