Tumgik
#magari poi cancello
stranomavero-o · 4 months
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Oggi ho realizzato che una delle cose che mi rende così spiacevole andare in ufficio 3 giorni a settimana è la mancanza di altre colleghe donne nel team a parte una stagista che tra pochi mesi se ne va. Ho iniziato a rifletterci perché la nostra giovane stagista a volte prova a intavolare una discussione coi miei colleghi su tematiche sociali e a fargli capire che i loro commenti o certe frasi sono fuori luogo e francamente fanno schifo, e questi over 50 con le abilità sociali di un comodino riducono tutto a una discussione maschi contro femmine che era già ridicola anche in seconda media. Ma loro da lì non si sono mai mossi, non hanno sviluppato nessun livello di empatia verso chi è “altro” rispetto a loro (donne, gay, pelle di colori diversi ecc), come ha ben detto Zerocalcare sono fermi al vittimismo piagnone. Un esempio: tema della violenza sulle donne, la risposta è stata “e allora gli uomini vittime di violenza?”. Voglio dire, ma che senso ha provare a intavolare una discussione con sta gente? A lavoro poi, dove già mi gira il cazzo per mille altri motivi e dove mi tocca stare 8 ore al giorno circondata da sti personaggi. Io me ne lavo le mani, non voglio educare un figlio figurati se posso aver voglia di educare un bamboccione prossimo alla pensione, cazzi della sua famiglia. Io sono stanca, io non ne ho voglia, io ho dato forfait.
Però questo mi ha fatto riflettere, e ho capito che una delle fonti del malessere da ufficio è il costante flusso di discorsi e commenti sessisti, le battutine, le frasi che non si rendono nemmeno conto di quanto fanno salire lo schifo alle poche donne che li circondano, gli sguardi da laidi di merda… questi pensano di essere intelligenti, simpatici, dei brillantoni di grande successo. Vorrei alzarmi in piedi sulla scrivania e urlargli “Fate schifoooooo”. Ma non posso, quindi metto in atto meccanismi di difesa, li tengo a distanza, non gli parlo dei cazzi miei, cambio discorso quando si parla di temi caldi, mi isolo nella mia bolla guardando il cellulare. Ma è tutto uno sforzo, una fatica, un impegno extra che durante il giorno mi consuma energie.
E non è solo quello, mi sono resa conto che è anche proprio l’ambiente troppo maschile che mi fa male. Questi passano il tempo a urlare, discutere, litigare, fare a chi ce l’ha più grosso… se la sentono ceo di stocazzo in carriera. Ma vivi sereno che quando te ne vai in pensione finalmente nessuno si ricorderà di te, sarai solo l’ennesimo che è passato di là. Pensa a fare meno schifo con la tua famiglia, pensa a fare meno schifo nella vita, sviluppa empatia ed educazione.
Ah e questi sono tutto sommato brave persone, sono al 99% sicura che non farebbero mai male a una mosca fisicamente e che il comportamento derivi in buona parte da loro insicurezze e dal mondo in cui sono cresciuti, ma il fatto che non ammazzerebbero la moglie non cambia il fatto che, purtroppo per me, fanno schifo.
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petalididonna · 5 months
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Avrei voglia di mandarti un messaggio. Sai?
Ne avrei voglia. Ne ho voglia.
Prendo il telefono in mano, lo sblocco e vado su whatsapp, cerco il tuo nome. Guardo quella riga vuota che aspetta le mie parole per te. Quel tasto che aspetta la mia voce, per te.
Penso a cosa potrei scriverti, magari anche solo una cosa così. "Una cosa così". Che non impegni, che non ti faccia preoccupare e chiedere "cosa vuole? Perché mi scrive?"
Inizio; "mi sei venuta in mente". "Scusami, ma ti sto pensando".
Ma forse è già troppo, non capiresti e avresti ragione a non capire.
Potrei scrivere solo "buon pomeriggio, come stai?". Cancello.
A cosa servirebbe, se non a vestire di educata ipocrisia la realtà? Ti sto pensando, vorrei che tu lo sapessi, questa è la verità.
Chiudo Whatsapp, poso il telefono. Rimango lì, a guardare lo schermo che si affievolisce, poi diventa scuro.
Avrei voglia di mandarti un messaggio. Ho voglia di farlo, e mi chiedo se magari non è la stessa voglia che avresti tu, che hai tu, che come me ti chiedi le stesse cose e poi - come me - non fai niente.
Quanti messaggi, quanti pensieri, che rimangono lì, silenziosi e senza parole, per la paura che abbiamo di esprimerli.
Marco.Proietti.Mancini©
Buon weekend 😘
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gelatostracciatella · 2 months
Note
Prima metti foto poi togli porcodiooo
Oh no stavi con il cazzo in mano, hai aperto il mio profilo, non hai trovato le foto (perché si, le ho cancello quando voglio io) e allora sei rimasto sconvolto che la tua pippetta del lunedì pomeriggio sia stata interrotta e ostacolata da una catastrofe del genere (causata da me che in questo caso sono la cattiva).
*immaginatemi con i lampi dietro sullo sfondo, gli occhi rossi e i denti aguzzi mentre cancello le mie foto con una grassa risata malefica.
Allora mi hai fatto questo commento anonimo dove sfoghi la tua ira (perche probabilmente non hai autocontrollo, che cosa sexy!) poverino, gli ho rovinato una seghetta, vero?🥺 che uomo virile, un cavernicolo con la clava. Anzi, masturbati sulla signora dei Flintstones che lei magari potrebbe starci con te (perchè io non te la darei nemmeno se fossi ľultimo uomo sulla terra) ☺️
Ps. Inizierò a fare una sorta di raccolta dai così riunisco tutti voi anonimi che siete così carini con me🥰
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libero-de-mente · 2 months
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LA LAVATRICE
«Nel mezzo di un programma di lavaggio mi ritrovai con fradici panni scuri, ché la centrifuga era smarrita»
Dopo anni di onorata carriera la lavatrice si è congedata, nel pieno di una centrifuga è partito un assolo di batteria, degno del peggior metal estremo dal vivo. Mi è bastato sentire il ritmo per capire che tutto, lì dentro, era andato a ramengo. Anche il display ha dato l'ultimo saluto con la scritta "game over".
Così di gran carriera mi sono recato al più vicino punto vendita di elettrodomestici, uno di quelli che spesso viene citato nelle pubblicità in televisione. Nonostante questo non ero sicuro di aver scelto il negozio giusto.
Forse dovevo scegliere quello dove gli esperti sono loro, magari quello dove non ci sono paragoni, oppure quelli dove batte forte sempre, magari quelli fatti apposta per me. Dubbi.
Così decido, prima di entrare, di usare la mia famosissima tecnica da medio man. Ovvero quello di non fare nulla di particolare, vi giuro che come passo inosservato io tra la gente. Nessuno. Anche se fossi l'ultimo esemplare di uomo in un pianeta di sole donne. Zero.
Entro e come nel peggior incubo ecco che subito un commesso mi punta, sta nella corsia dei ferri da stiro. Io faccio finta di nulla e mi avvio al reparto degli aspirapolvere; ma è solo per depistarlo e con in brusco cambio di direzione, passando attraverso la corsia delle lavastoviglie, arrivo in quella delle lavatrici.
Ma il commesso è già sul posto. Maledizione alle corsie con gli espositori bassi, ad altezza ragazzino.
"Le posso essere d'aiuto" - mi dice mentre con gli occhi guarda le persone dentro il negozio, come a controllarle.
"Guardi" - rispondo con voce sommessa - "Sono qui per valutare le lavatrici, sto pensando di cambiarla. Ma senza fretta" (bugiardo, bugiardo, bugiardo).
"Va bene" - mi risponde sempre guardando altre persone - "Io resto nei paraggi signore".
Continuo la mia perlustrazione tra le lavatrici esposte, ogni tanto alzo lo sguardo e lui è lì. Il commesso sta a tre/quattro corsie dalla mia fissandomi. Come un ghepardo pronto a ghermire la sua preda. Me lo immagino come i gatti, quando prima di lanciarsi in un agguato sculettano per prendere lo slancio. Avete presente vero?
Continuo a passi lenti la Via Crucis delle centrifughe, dei giri al minuto, delle classi A, B e AB qualche cosa... mi fermo, forse ho trovato quella che cerco. Credo di essermi fermato da un secondo quando alle mie spalle sento il suo fiato: "Le interessa questo modello?" - il commessopardo vuole catturarmi.
"Ehm, si"
"Ottima scelta... bla, bla... milioni di giri al secondo... bla, bla... crea vortici spazio temporali... bla, bla e bla"
"Quindi lei me la consiglia?"
"Tutta la vita"
"E questa?" - indicandogli la lavatrice a fianco.
"Questa poi... bla, bla... non le perderà mai i calzini... bla, bla... anzi le appaierà quelli persi dal 1998... bla, bla e bla"
"Quindi mi consiglia anche questa?"
"Tutta la vita"
"Mi scusi ma allora quest'altra?"
"Modello figo... bla, bla... stile Hollywood... bla, bla... potrebbe trovarci dentro un'attrice talmente è hollywoodiana... bla, bla e bla"
Così dopo altri tre modelli e altrettante assicurazioni di "Tutta la vita", scelgo quella che sarà la mia nuova lavatrice.
Arriva il giorno della consegna, mi squilla il telefono:
"Pronto?"
"El señor TomaSSeli?"
"Si sono io"
"Le dovemo conSSegnare una lavatrisie"
"Si bene, le hanno detto che la consegna dovrà essere fatta a mano fino al mio piano?"
"Si señor no es un problema"
"Le hanno detto che c'è anche il ritiro della vecchia lavatrice?"
"Si señor no es un problema"
Al cancello d'ingresso si presentano in due, padre e figlio vedendo la somiglianza. Sono sudamericani. Boliviani credo, hanno quel non so che di eredità degli inca, o forse degli aymara. In silenzio e con fatica fanno quello per cui sono pagati. Niente carrelli saliscale, tutto a mano con forza delle braccia e volontà.
Il padre è cordiale, il figlio con uno sguardo cupo non parla mai e tiene la testa bassa. Incazzoso.
Chiedo se posso dare una mano, mi sono tenuto libero proprio per aiutarli. Mi sono svegliato presto questa mattina con il pensiero della fatica che avrebbero fatto, salendo le rampe delle scale. Mi dispiaceva.
Con una tuta improvvisata, il pezzo sopra diverso da quello sotto e come una ballerino imbolsito del Bolshoi, una specie di Roberto Bolle ma più Bolla, mi agito con braccia e gambe per aiutare. Ma il padre sempre in maniera autoritaria mi dice "No te preocupes, no es tu problema" - con un sorriso.
Credo di pietà, nei miei confronti, mentre saltello con la stessa grazia di un bufalo con gli attacchi di coliche renali.
Finito la consegna mi ostino nel far parlare il figlio musone, gli chiedo: "È tanto che fai questo lavoro di fatica?"
"Toda la vida" - mi risponde secco con uno sguardo dimesso.
Se ne vanno.
Spero che questa lavatrice mi duri tanto, spero un bel po'. Almeno quanto... tutta la vita.
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ps ho scelto il modello hollywoodiano, speravo di trovarci Jennifer Aniston... mi è andata male.
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arreton · 3 months
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La nuova casetta in provincia di Bergamo è buttata in una valle in mezzo alle montagne: apri la finestra e puoi fare lo yodel, la gente giù nella zona residenziale ti sentirà e risponderà a pieni polmoni. È grande e luminosa ed io mi sento già scomparire in mezzo a tutta quella luce. I mobili sono brutti, c'è troppo legno e sento l'odore di vecchio già a guardare le foto, ma c'è un orologio a pendolo che mi piace: mi ricorda l'orologio che vedevo a casa della mia prozia, il ticchettio costante e l'oscillazione ipnotizzante del pendolo e il brusco risveglio dall'ipnosi dato dal suono che faceva ogni tot. Mi vedo girare scalza per la casa silenziosa, quando non c'è nessuno, e guardarmi intorno dicendomi: forse ho esagerato quando dicevo che mi sarei rintanata in una casa sul cocuzzolo di una montagna. Certo che, se ci penso, passare dal mare alla montagna è veramente radicale come scelta, mi sorprendevo l'anno scorso quando mi giravo intorno a vedevo solo montagne quando io ho sempre visto solo mare acqua e spiaggia. Saranno solo un paio di mesi – chissàchissà – ma quella casa già è mia: immagino librerie lungo tutte le pareti nel salone, un tavolinetto con un paio di sedie sul balcone; angolo ufficio e angolo trucchi nella camera da letto, cameretta adibita a stanza per il computer; planetaria, macchinette per il caffè, forno, forno a microonde in cucina, col bancone per preparare il cibo separato dai fuochi e dal lavello; vedo tanti tappeti per la casa e me che lavo a terra perché tra tutte le faccende domestiche che in generale odio e schifo lavare a terra è l'unica che mi rilassa e mi diverte. Il padrone di casa dice che c'è un cane lì nel cortile, dice che non entra mai in casa e che è una pecorella talmente è buono, allora mi immagino che torno da lavoro io che apro il cancello e vedo un cane pastore grosso e mansueto battermi la coda e farmi le feste. Sono pensieri felici, forse un po' illusi, mi sembra quando da bambina mi mettevo a fantasticare robe talmente assurde che sembravano reali e fattibili. Ma a far venire i pensieri intrusivi ci vuole un attimo, d'altronde da piccola le mie fantasticherie venivano in poco tempo buttate giù ed infangate: i primi tempi mi sa dalle persone a me vicine, in poco tempo poi imparai a farlo da sola. Ad esempio, se mi fermo un attimo, penso che mi fa paura questo cambiamento: temo di rimanere sola abbandonata a me stessa e di non sapermi gestire. Questo perché questa notte ho sognato letteralmente di impazzire: avevo gli occhi furiosi, un odio che partiva dal petto e saliva in gola, gridavo ma di un grido grosso e feroce, mi sentivo quasi posseduta come quella volta che gridai nel sonno terrorizzata perché mi sentivo posseduta. In questi giorni poi sono tornata a fare sogni nervosi, dove litigo con la gente, addirittura con dei miei ex colleghi della pizzeria coi quali invece non ho mai avuto problemi. Guardo le mie reazioni inconsce e mi spavento all'idea di rimanere da sola in un posto così lontano. Però guardo anche le foto, vedo tutta quella luce e penso che sarà ottima per fare le foto e allora penso che mi servirà un cavalletto e altre cianfrusaglie varie. Chissà, magari un giorno realizzerò anche il sogno di mio padre di avere un telescopio. Intanto però mi dico che: se passati questi due mesi sarò costretta a ritornare giù al sud, sarà la volta buona che impazzirò definitivamente.
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ossicodone · 11 months
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Ho circa settecentodiciotto note sul telefono, di cui almeno trentadue liste di cose che amo, quattordici di cose che odio, una ventina di titoli di canzoni che devo assolutamente ricordare, una piccola lista della spesa di tre mesi fa che non so perché non cancello e tredici parole che per me hanno un bel suono. Ho centoventuno note di un amore in cui credo fortemente e vorrei ci credessero tutti, perché secondo me con la scusa che tanto esiste solo nei film ci siamo messi seduti a non fare più un cazzo, ma io vi dico, con estrema convinzione, che esiste persino l’amore per cui ad un certo punto smetti pure di scrivere di lei perché ti viene da dire ai lettori “madonna ragazzi non so più come rendere l’idea”, che poi secondo me è il punto più alto che si possa raggiungere nell’amore, il non sapere più come descriverlo intendo, quando lasci sui sampietrini carta e penna e vai semplicemente verso di lei e te la spupazzi tutta, davanti a circa cinquantatré turisti intenti a fotografare un tramonto dal giardino degli aranci e tu pensi che dovrebbero proprio smetterla e baciarsi tutti incondizionatamente, e fare pace se hanno discusso, ed essere più gentili ogni giorno, provare ad essere migliori, ecco, secondo me questi sono un po’ degli effetti collaterali dell’amore, oltre ovviamente a scrivere senza mettere più nemmeno un punto perché ti viene da mettere solo virgole su virgole, che non sia mai che poi mi tocca andare a capo e magari lì non ti trovo.
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klimt7 · 8 months
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UN CONTRIBUTO PER CAPIRE
CHE IL PROBLEMA È
SOPRATTUTTO CULTURALE.
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"Drogate e stuprate: succederà ancora"
A cura di Ilaria Maria Dondi
Essere drogate e stuprate: è una storia vera, che si moltiplica per tutte le donne cui è successo o accadrà in futuro.
'21h - Les détails' è il corto, sceneggiato dalla scrittrice Nadia Busato e interpretato dall'attrice Sveva Alviti che fa parte di 'H24 - 24 heures dans la vie d’une femme', un progetto corale internazionale ispirato a 24 storie vere di donne, scritte, interpretate e dirette da donne.
“Avevo 19 anni, una patente fresca di rilascio e la voglia matta di godermi l’ultima estate prima dell’università. Con l’amica di sempre aspettavamo elettrizzate l’inizio del festival rock più grosso della provincia. Finalmente, abbiamo passato il cancello e ci siamo fermate a bere un bicchiere, poco oltre l’ingresso.
Abbiamo brindato, ci siamo avvicinate al palco, abbiamo iniziato a cantare il primo pezzo e …bum!
Nessuna di noi ricorda nulla della serata finché, ore più tardi, siamo ritornate in noi stesse. In più di vent’anni abbiamo provato più volte a rimettere insieme la memoria di quella sera, ma tutto è cancellato, scomparso.
Agli inizi del millennio non c’erano né i social né il Me-too.
Erano gli anni dell’uomo che non deve chiedere mai. Famiglia, scuola, televisione insegnavano a noi ragazze di ogni età, che quando ci succede qualcosa di inquietante, brutto, violento, la colpa è nostra: ce la siamo andata a cercare; che è diritto di ogni uomo usare i corpi delle donne come meglio crede; ed è parimenti suo diritto non avere seccature inutili, come il consenso esplicito.
Se lei dice no, intende sì: quante volte l’abbiamo letto, sentito, detto ridendo?
Ripenso spesso a quella notte. Io e la mia amica, insieme, non pesavamo quanto un uomo adulto. Io anoressica, lei longilinea per costituzione: saranno bastate poche gocce.
Sarei davvero curiosa di sapere cos’era.
Le più famose sono le Ghb, Gbl e Bd, si trovano anche in medicinali che, ciclicamente, vengono ritirati dal commercio e poi re-immessi in altre formulazioni, per altre patologie.
Si chiamano droghe da stupro perché succede quello che è successo a noi: dopo non ricordi nulla.
Ci sono voluti diversi anni perché avessi almeno un nome da dare a quello che ci è capitato.
Chissà se chi l’ha fatto si è limitato a noi, quella sera. Se avesse voluto farlo ad altre ragazze, niente l’ha fermato. Magari l’ha fatto per tutta l’estate e le estati seguenti, magari lo fa ancora oggi. Immagino lo trovi divertente e, all’occorrenza, utile.
Quando Valérie Urrea e Nathalie Masduraud mi hanno chiesto di sceneggiare questo episodio di H24 ci ho messo dentro quello che succede a me, che da più di vent’anni cerco di rimettere insieme i ricordi e cerco gli indizi.
Esattamente come la protagonista di questa storia (che è tratta da una storia vera), tutto ciò che ricordo davvero era la banalità della serata: nessun segnale di pericolo, una normale sera d’estate tra amiche.
Esattamente come la protagonista (interpretata dalla bravissima Sveva Alviti) anche io mi sono sentita dire che sono stata fortunata: nessuna gravidanza, nessuna MST, nessun segno evidente di abuso, nessuna memoria, l’opportunità di dimenticare e riderci su.
Paradossale che qualcuno provi a consolarti ricordandoti che ci sono certamente donne a cui va molto molto molto peggio di te.
Quindi: allegria, dai, basta pensarci, mettitela via.
A noi, che abbiamo assecondato questo sistema educativo per intere generazioni.
A noi, che abbiamo sempre incolpato le ragazze ovunque, in pubblico e in privato.
A noi, che abbiamo guardato Fedro Francioni nella casa del Grande Fratello raccontare di aver stuprato un’amica incapace di reagire senza andare a distruggere gli studi di Cinecittà.
A noi, che leggiamo gli articoli assolutori su Alberto Genovese dando un colpetto annoiato di spalle perché le modelle e le attrici, come ci hanno più volte spiegato in TV, molti alti esperti, medici, opinionisti, politici e giornalisti, sono prostitute a caccia di tornaconto.
A noi, che sentiamo dire frasi come:
“…però lo sa che funziona così; cosa si aspettava?; ha avuto anche lei i suoi vantaggi;… e se lo ricorda dopo tanti anni?; bisognerebbe sentire la versione di lui; a me non sembra uno stupratore; lei è una facile; chissà chi c’è dietro”
e preferiamo non iniziare nemmeno una discussione.
A noi, che in un paese dove il cattolicesimo sostituisce lo stato di diritto sui corpi delle donne, ci stupiamo genuinamente dei numeri della violenza e dei femminicidi.
A noi, che chiamiamo la polizia se sentiamo il rumore di un furto ma non ci intromettiamo nella casa del vicino che picchia da anni moglie e figli.
A noi, che il femminismo bianco è sempre moderato e sorridere è meglio che alzare la voce.
A noi, che ormai questi uomini non li cambi più ed è meglio sperare nel futuro.
A noi , che voi vi lamentate ma siete fortunate.
A noi, che… e io che ci posso fare?”
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gcorvetti · 2 hours
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Primavera.
Lo so che è da un pezzo che in Italia è arrivata la primavera, c'ero, ma sembra che qua sia arrivata in questi giorni, almeno per ora. Con questa scusa abbiamo iniziato dei lavori straordinari, cambio della parte frontale della casa, ovvero sostituire siepe e staccionata con alberelli e ... non abbiamo ancora deciso tra uno steccato nuovo, anche se non ci va tanto perché necessita di manutenzione, oppure rete metallica; in ogni caso cambiamo il cancello e lo mettiamo automatico e vaffaQ. Quindi con l'aiuto di mio figlio intanto in questi giorni abbiamo eliminato la siepe e alcuni alberelli che stavano all'angolo che mi sono sempre stati sulle palle perché spingevano il cancello, segati di brutto tiè. Il fine settimana prossimo viene il tizio con la scavatrice così diamo sta siepe ad una collega di lei del teatro. Domani parte la trafila del taglio dell'erba, che come sapete è un classicone del bel tempo. Nel frattempo venerdì ho fatto una prova in cucina in un ristorante che avevo rifiutato 2 anni fa, perché all'epoca l'head chef mi disse "Noi paghiamo il minimo", ero appena uscito da twitter e onestamente un salto indietro di stipendio non me l'accollavo, col senno di poi avrei accettato. Fatto sta che ho passato ste 10 ore con sto tizio che piano piano ho scoperto che conosce parecchie persone non cui ho lavorato, alcuni addirittura sono grandi amici suoi, quindi sul finale abbiamo parlato e sembra che non ci siano dubbi per lui il lavoro è mio, mentre comunque devo aspettare il giudizio dello chef capo, quindi ancora non è tutto definito, penso che potrebbe decidere nei prossimi due giorni, anche perché poi scatta il nuovo mese.
In tutto questo oggi sono riuscito anche a suonare un pò che ci stava proprio, mi sono venute alcune cose niente male, magari ci faccio su qualche brano e ve lo posto, ma per ora è tutto e mi vado a docciare..
youtube
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io-pentesilea · 2 years
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I peggiori sono quelli che ti scrivono in privato.
Poi magari cancellano la chat, non so se a causa della presenza di mogli o fidanzate, e quando ti ricontattano a distanza di tempo, ti fanno le stesse domande.
Visto che io invece non cancello mai, mo faccio gli screenshot così mi evito la fatica di rispondere.
Barbara
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danilacobain · 1 year
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Selvatica - 31. La bellezza salverà il mondo
Corinna scese dalla macchina e si spostò sul marciapiede, dal lato di Ante. Lui la guardava con curiosità, pieno di aspettative. Lei era tesa, aveva paura che il posto potesse non piacergli, che potesse trovarla troppo noiosa e magari troppo sentimentale.
Aveva un legame particolare con quel posto, aveva avvertito una connessione speciale sin dal primo momento in cui vi aveva messo piede ed era diventato il luogo dove si rifugiava quando aveva bisogno di calmare i pensieri, quando le preoccupazioni e le ansie cominciavano a schiacciarla.
Non era stato piacevole vedere Ante e Federica parlare da soli come se avessero chissà quale segreto da custodire. Si era sentita improvvisamente esclusa ed era rimasta immobile quando aveva visto lei seguire Ante in bagno. Ma poi non ce l'aveva fatta più a sostenere lo sguardo curioso di tutti su di sé e li aveva raggiunti, anche a costo di fare la figura della ragazza gelosa che non lasciava libero il fidanzato di avere delle amiche.
Non credeva che tra loro non ci fosse stato niente in passato ma del passato non le interessava, d'altronde era l'ultima persona a poter fare una predica a Ante perché le stava nascondendo delle cose. Si trattava di sciocchezze in confronto a quello che nascondeva lei.
Intrecciò le dita a quelle di lui e lo guidò verso un cancelletto mal ridotto, coperto da una pianta rampicante che lo faceva passare quasi inosservato.
Ante la guardò mentre armeggiava con la serratura e forzava il lucchetto arrugginito dal tempo.
«Stiamo entrando in una proprietà privata?»
Lei sollevò lo sguardo. «Più o meno.»
«Cazzo, sei proprio una ragazzaccia.»
«Non ti preoccupare, non ci vedrà nessuno.»
«Quindi sei una scassinatrice abituale di lucchetti? Quante doti nascoste hai.»
Il cancello fece una piccola resistenza poi si aprì. Corinna entrò seguita da Ante. Rischiarato dalla luce della luna e dalle luci della città, davanti a loro si apriva un giardino, che conservava intatta tutta la magia e il fascino degli anni in cui era stato realizzato. Lei si voltò a scrutare il volto di Ante, nella penombra i suoi occhi erano scuri ma riusciva a scorgere un luccichio divertito.
«Siamo in una villa?»
«È un posto pubblico, non siamo a casa di nessuno, anche se in questo momento è chiuso ai visitatori.»
«Non per te, piccola Lupin. Dove siamo?»
«Alla Vigna di Leonardo.»
«E chi è Leonardo?»
«Leonardo Da Vinci.»
Ante l'abbracciò da dietro e sorrise, dandole un bacio sulla testa. «Avrei dovuto immaginarlo. Siamo nei giardini di un museo, quindi?»
«Una specie.»
Fecero alcuni passi sulla ghiaia, attraversando il giardino per andare a sedersi dietro una siepe che faceva da base a tre statue logorate dal tempo. Un minuscolo faretto ne illuminava la base nella parte davanti, rami di rose rampicanti le stringevano in un abbraccio perpetuo. Si sedette sull'erba fresca e rasata e invitò Ante a fare lo stesso. Lui dapprima si sedette al suo fianco, poi si distese, poggiando la testa sulle gambe incrociate di Corinna. Afferrò una ciocca dei suoi riccioli lunghi e cominciò a giocarci. Corinna accarezzò i suoi capelli e la barbetta corta.
Per un po' rimasero senza dire niente, facendosi cullare dalla quiete della sera, dai rumori della città che giungevano distanti, come se quel luogo si trovasse in un'altra dimensione.
Ante accarezzò il braccio di Corinna. «Quando smetterai di studiare vorrai lavorare in un museo?»
«In una galleria d'arte, come curatrice di mostre. Mi piacerebbe molto anche occuparmi di restauri.»
L'aria profumava di fiori primaverili ed era dolce, quasi tiepida. L'erba era umida sotto le gambe ma lei non se ne curava. Le era sempre piaciuto quel punto particolare del prato, esposto al sole di giorno ma riservato, il luogo perfetto in cui potersene stare da soli senza essere disturbati. «Ti piace questo posto?»
«Si sta molto bene. Ci vieni spesso qui?»
«Ci vengo quando ho bisogno di pace.»
Ante afferrò le dita di Corinna che giocavano con la sua barba e se le portò alle labbra. «Mi dispiace per stasera.»
Lei accennò un sorriso. «Non è successo niente.»
«Però se mi hai portato qui vuol dire che avevi bisogno di pace.»
«Ti ho portato qui perché prima hai detto che volevi conoscere tutto di me. Questo posto è una parte di me, è uno dei miei luoghi del cuore, il posto in cui vengo per ritrovare la pace e per ritrovare me stessa.»
Ante le cinse la vita e affondò la testa nella sua pancia. «Grazie.»
«Ha un che di magico, non ti sembra? Non ci ero mai venuta di notte.»
Corinna spostò lo sguardo tutt'intorno per poi riportarlo su di lui. Le labbra perfette erano incurvate in un sorriso, gli occhi luccicavano. Tutto era ancora più magico perché c'era lui. C'era Ante che le faceva battere forte il cuore e le faceva agitare lo stomaco come se volesse esplodere da un momento all'altro e tracimare felicità.
«Quindi sono io che ti porto sulla cattiva strada.»
Corinna sorrise e si chinò per baciarlo. «La prima volta ci sono venuta con papà, alla prima riapertura al pubblico dopo i lavori di restauro.»
Ante le accarezzò la guancia con le dita. «È stato lui a trasmetterti la passione per l'arte?»
«Credo di averla sempre avuta, lui l'ha solo assecondata.» Sospirò, avvertì una lieve stretta al petto e un senso di malinconia. Era con suo padre che andava sempre a vedere le mostre, con lui restava ore intere davanti a un dipinto senza dire niente, in silenzio ad ammirare la bellezza. «Tu invece, quando hai capito che volevi fare il calciatore?»
«Da quando ho iniziato a stare in piedi.» Attorcigliò le dita attorno ai suoi riccioli. «Ho sempre saputo che sarei diventato un calciatore. Tu vedi la bellezza nelle statue e nei quadri, io la vedo nell'erbetta del campo di calcio e in un pallone.»
Sorrise e fece sorridere anche lei, immaginando cosa potesse significare per un bambino sognare di diventare un calciatore e poi arrivare a realizzare il proprio sogno. «Sai cosa diceva Dostoevskij? La bellezza salverà il mondo. E io credo che sia così. Se tutti noi ci fermassimo per un secondo ad ammirare la bellezza di quello che ci circonda, a emozionarci di fronte ad essa, saremmo delle persone migliori.» Ante la guardava come rapito e lei non poté fare a meno di rimanere intrappolata in quello sguardo che sapeva arrivarle dritto al cuore e fargli fare le capriole. «La bellezza salverà il mondo» ripeté.
«Sicuramente l'ha detto pensando a te.»
Corinna accarezzò i lineamenti di quel viso perfetto. «Solo perché non aveva ancora visto te» sussurrò, in preda a un'emozione forte, simile a quella che provava quando veniva catturata dalla bellezza di un dipinto.
Ante si tirò su avventandosi sulle sue labbra. La baciò con una passione che non aveva mai mostrato, era diversa, era impetuosa e carica di sentimento, il sentimento che lei stessa stava provando in quel momento, un sentimento che andava a unirsi al desiderio di essere un tutt'uno.
Ante la spinse a terra e lei ridacchiò. Le dita di lui scivolarono verso la scollatura del top.
«Voglio vedere la mia sorpresa.»
«Che fai? Siamo in un parco pubblico.» Ma non lo fermò, non poteva rinunciare alle sue mani sulla propria pelle.
«Non c'è nessuno, lo hai detto tu. Non vorresti farlo proprio qui, adesso?» Ante le sollevò la maglietta e poggiò le labbra calde sulla pancia. Le dita armeggiarono con il bottone dei jeans.
«Ante...»
Il rumore di una porta che veniva sbattuta li fece immobilizzare, seguito da passi sulla ghiaia e un fischiettio. Ante si sollevò sulle ginocchia per sbirciare oltre la siepe. Corinna afferrò la borsa.
«È il custode, porca miseria! Dobbiamo andare, Ante. Se ci scopre è un casino.»
Ante non sembrava preoccupato come lei, sembrava calmo e distaccato. Le prese la mano. «Al mio tre corri più veloce che puoi.»
Si spostarono carponi verso il limitare della siepe. «Sei pronta?»
Lei annuì, col cuore a mille e le mani che cominciavano a sudarle.
«Uno. Due. Tre!»
Ante scattò in piedi e se la trascinò dietro.
«Ehi! Chi c'è? Fermi, fermi!»
La voce del custode li rincorse mentre attraversavano il giardino in un lampo. Ante strattonò il cancello che cedette e si aprì con facilità. Poi se lo rischiuse velocemente alle spalle e corse con lei lungo la strada fino a raggiungere l'angolo e fermarsi a riprendere fiato. Corinna si piegò in due.
«Corinna, però se vuoi continuare con le violazioni di proprietà privata devi allenarti. Ti ho dovuto trascinare come un peso morto.»
Lei alzò lo sguardo. Ante aveva le mani sui fianchi e sembrava avesse solamente passeggiato. Si affacciò sulla strada, sbirciando verso il cancello. Corinna scoppiò a ridere. Rideva e non riusciva a fermarsi, la paura che aveva provato in quegli attimi stava lasciando il posto a una folle euforia. Ante rise con lei e la abbracciò.
«Ti è piaciuto, vero?»
Corinna gli prese il viso tra le mani, i loro occhi si mescolarono. «Sono felice, Ante.»
Le labbra si trovarono con veemenza, si strinsero come a volersi fondere e diventare un'unica entità, dimentichi di stare su un marciapiede nel centro di Milano.
Solo loro due, mani che si cercavano, anime che si accarezzavano.
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Poi cancello ma purtroppo credo talmente tanto di valere nulla e riconosco talmente poco il mio valore da non riuscire proprio a credere che magari qualcuno potrebbe preferirmi ad altre persone e mi sento bloccata tanto tanto tanto perché mi sento minuscola e insignificante
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ferrugnonudo · 1 year
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La cosa più rilevante di questi ultimi giorni è stata ieri pomeriggio passato sul divano a leggere tutta la guida di NY, pagina dopo pagina. Non che debba andare a breve, magari, ma solo avevo voglia di non sentire i miei diavoli per tutto il giorno dirmi cose infamanti. Ho uno scaffale dedicato alle guide turistiche. Guide e biografie se la giocano nel primato assoluto a distogliermi dal pensiero circolare. Mi colpiscono di questa lettura alcune cose. L'estrema precisione geometrica dei quartieri di NY. Un puzzle di pezzi che si incastrano perfettamente: destra sinistra alto basso. L'assenza o quasi di piazze vere e proprie e quando ci sono, in alcuni di questi quartieri, la meritata conquista della famosa aria da Vecchio Continente. La presenza di un parco pubblico/privato, unico in tutta la città, con le chiavi a disposizione dei residenti solo di quel quartiere. Una specie di cittadinanza a sé all'interno di una cittadinanza più estesa. Questa cosa delle chiavi del parco mi fa tornare in mente un mio vecchio progetto mai realizzato, solo pensato, di una casa indipendente con il cancello che dava su un parco pubblico. E poi Central Park. Un rettangolo oblungo che costituisce un quartiere a sé.
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madonnaaaddolorata · 2 years
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manterrai gli onlyfans?
non lo so perché qualcun* ha cercato di farmi passare per una poco di buono, venendomi a stalkerare qui, cosa che mi turba abbastanza. l’idea è stata sempre quella di riuscire a comprare rullini cosa che è andata in secondo piano perché poi ho solo pensato di donarli al rifugio hope (nel caso posso fornire prove a riguardo e anzi vi consiglio di donare anche poco perché fanno un lavoro enorme e salvano tanti animali). trovo non ci sia niente di male nell’avere un lato “porno”, ma non sono una creator professionista come molte altre di cui ho stima totale e che lo fanno come vero lavoro. sono passati dei messaggi che qui erano ironici come cose molto degradanti (tipo i dick rating, perché poi non far pagare agli uomini dato che ne ricevo gratis senza consenso? Valerio Lundini che ripete ma è un gioco è un giocooo), senza capire nulla della spettro della sessualità, tanta ignoranza e cattiveria (non che mi aspettassi altro da questo personaggio). su of ho persone strette che mi conoscono anche di persona, quindi manco a dire chissà che. non so sono turbata. per ora resta lì, non lo cancello. allo stesso tempo mi sono confrontata su questa faccenda in gruppi dedicati e ho trovato grande sostegno soprattutto dalle donne, ma stare in ufficio e dover fare cose di lavoro che già mi stanno togliendo la vita e superare anche sta cosa è stato pesantino.
scusa la pippa te magari la pippa volevi solo fartela ahah.
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condividiamolavita · 2 years
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stavo proprio per dire "come si sta bene da soli in casa..."
ed ecco che arriva Giulia
(che poi avevo chiuso la porta di casa a chiave, perché mi sento più tranquilla. Sono un po' paranoica. Apro a Giulia che mi fa "queste sono cose da non fare", ma che cazzo vuoi?! Potevo anche non aprirti e fare la stronza. Ma che poi, se torni a quest'ora magari avvisa con un messaggino così non mi piglia il panico dei ladri)
{se vogliamo dirla tutta quando c'è lei in casa la porta di casa è sempre spalancata [perché pesa aprirla e chiuderla ogni volta che si esce a fumare] per fortuna abbiamo il cancello che si chiude bene però che cazzo, vi sembra normale} (a me no)
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luigifurone · 3 months
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11. (La rovina della casa dei Pappher)
È così strana l’eco degli odori sul mio spirito. Sono così strane le parole … sensazioni, spirito? ma che vogliono dire in realtà? Questo è un odore. Direi l’odore di una stoffa. Forse un tappeto. Un tappeto di una certa età, che avrà ricevuto trattamenti, il tocco delle mani, ma tanto, troppo tempo fa. Eppure è strano come questo odore ecciti i miei nervi. Ecco. Immagini. Sono un bambino, ed anche un ragazzo. Di fronte ad una qualche somma prova. Sono un uomo. Impaurito, teso, come stessi per trovarmi di fronte al patibolo. Gli occhi della gente su di me, la lama, il tempo che si stacca dal resto e si fa imponente. Forse è l’odore del tappeto, della sua decrepitezza; delle sue stagioni passate, lunghe per gli uomini, ma strette alfine anche per loro.
“Ti ringrazio per l’invito. Temo di doverlo rifiutare. Sono così lontano dalla comunanza con gli uomini da non meritarne la grazia. Ma, visto che hai manifestato l’intenzione, trovandoti così vicino, di venirmi a trovare, sarei lieto di poterti ospitare. Non credo di poter essere un compagno di un qualche interesse. Pure, tale è la forza del ricordo della tua gentilezza, che mi sarebbe insopportabile non poterla onorare. Lean Pappher.”
Lean era stato un ottimo compagno di scuola, per me. Un aristocratico. Persino nella scelta di frequentare una scuola normale, quale era quella che frequentavo io, invece di quelle affatto esclusive a cui lo destinava la sua posizione. Scelta tra l’altro da lui imposta, chissà come, data la sua giovane età, ai propri genitori. Già da allora non si vedeva in lui alcuno snobismo, alcuna affettazione. C’era piuttosto un certo rigore, un semplice, potente rigore. Ed io … come ero io, allora? Di certo non uno che ambisse ad essere ricordato per qualche superiorità e neppure per qualche prepotenza. L’unica cosa che potevo vantare era la mia modestia, alimentata, almeno così mi consolavo, dalla miseria e dai sacrifici della mia famiglia. Sacrifici che parevano essere un tutt’uno con l’origine dei miei avi. Forse per questo Lean m’aveva preso a benvolere. Indifferente allo scherno che l’aveva via via circondato, condivideva con me i sorrisi che offriva al gran palco del mondo.
“Certo. Abita sulla collina. Da qualche mese ha mandato via la servitù, due sole persone, in verità, e c’è solo un fattore che gli lascia la roba fuori del cancello. E sì, certo … strano lo è sempre stato … neppure i suoi genitori erano così contenti di lui, ma si sa … una persona così è una di quelle persone di cui alla gente piace parlare, anche se … insomma, pare che ora stia proprio uscendo di senno. Mah … se sta bene a lui … finché non tira un colpo a qualcuno …”
 Mi sarebbe piaciuto rivedere i miei compagni. Ecco: più che “piaciuto” direi meglio che  m’avrebbe incuriosito. Tanti anni passati lontano, una posizione fortunatamente molto più solida di quella che m’aveva regalato la nascita, il desiderio di risentire quell’aria di casa, di feste, di quegli affetti, quelle emozioni che nessun’altro posto al mondo avrebbe potuto ricreare. Quelle di cui profumano gli anni dello stupore e della meraviglia, gli anni di prima che si diventi uomini. Con Lean, poi, era diverso. Lui non era solo una maschera, un ritratto. Con lui c’era anche il piacere, la voglia sincera di ritrovare l’amico e l’uomo.
“Eccola. La vedi? Ma certo che la vedi, sciocco che sono. Questo ritratto le fu fatto all’età di ventotto anni. Sullo sfondo si nota il profilo di questa villa, ma non mi è dato sapere se la villa stessa fosse solo un dettaglio casuale del paesaggio o magari un particolare più significativo. Forse che tra lei e questa casa ci siano mai stati dei legami? Quasi le fosse stata assegnata dal destino, oltre che dalla tela? Mi resta poi di lei una incisione, in un volumetto dell’epoca, edito più di cent’anni fa. Ho ritrovato alcune sue lettere, di quand’era ancora più giovane. E poi c’è il grande ritratto nel salone, quello che mi tiene compagnia nelle serate più fredde.”
M’aveva accolto con un sorriso stanco. Maturo, più che invecchiato. Sempre elegante nei gesti, nei movimenti pacati. Gli interni della casa si restringevano sulla poca luce che veniva dalle lampade. Intorno c’era l’ombra che pareva pronta ad assorbire il tutto, lentamente, inesorabilmente. E c’era anche l’odore. Non un odore sgradevole. Piuttosto un odore pieno di nostalgia, di vita che scompariva assieme alla luce. Come quello del tappeto. O dei muri freddi, non più scaldati a dovere, belle prede di muffe e infiorescenze ghiotte d’umido. Il sorriso di Lean sembrava non temere il buio.
“Lo so, lo so. Non posso dirlo. Forse il mio desiderio è tale - a volte è così intenso - che mi pare di poterla raggiungere. Così dolorosamente intenso. Non so di preciso quando sia nato. Quando si sia messo nella mia carne. Era come una musica. Guardare i suoi lineamenti, leggere le sue parole … è stato quello il seme? O è stato un pretesto? Era lei che mi aspettava?”
Lean non mi sembrava pazzo. Avevo dei pazzi una immagine più furiosa, o più malvagia. Forse era triste. Sembrava fosse tanto disincantato da subire, più forte che mai, la malia di quel supremo incanto. Tra l’altro, questo suo racconto così delicato mi faceva quasi dimenticare che stesse in effetti parlando di un fantasma. Fatto non trascurabile. Non avevo alcun problema ad ammettere l’esistenza dei fantasmi. Non me ne sarei fatto condizionare, certo, ma perché negarne la possibilità? Perché negare che il peso dei secoli e di tanti racconti non potesse avere una qualche realtà? Mi era successo di pensare che persino le fiabe avessero una verità superiore a quella contenuta, ad esempio, nella sentenza di un medico. Forse si trattava soltanto di due storie diverse. E la fiaba era, se non altro, meno arrogante.
“Sono sceso dalla corsa del mondo. Non mi ha mai attratto, in verità, né per passione e neppure per convinzione. Non chiedo che di poter occupare il mio posto. Lo conosco il tuo sorriso. È un sorriso buono, è quello che hai sempre avuto. Ti stai chiedendo se il mio posto non sia fuori di qui, da queste mura. Ma te l’ho detto, io non chiedo nulla. Lei è una scia luminosa, una munifica lucciola: è più reale lei e quello che mi offre delle onde che il mondo crede di inseguire e che invece lo prendono per offrirlo alla clemenza degli dei degli abissi.”
Quella sera non potei fare a meno di pensare a quei due amanti, di tanti anni nati separati. Ma chissà che non si fossero davvero incontrati. Immaginavo Lean seguire di notte la figura di lei che s’aggirava per le stanze della villa, avvolta da un’aura leggera di luce, con piccole faci che se ne staccavano, gocce di vita che la morte non sarebbe mai riuscita a trattenere.
M’ero steso da qualche minuto quando sentii un rumore, dal corridoio. M’alzai nel letto di soprassalto. Appena dopo un attimo, risi del mio spavento. Troppi pensieri e sullo stesso tema, evidentemente. Ma il rumore, inequivocabilmente, continuava: pareva trascinarsi, là fuori, oltre la soglia. Mi alzai del tutto, fu più forte di me. Corsi alla porta, la aprii, girai il capo da una parte e dall’altra.
Sulla mia sinistra, nell’oscurità, a circa dieci passi di distanza, s’allontanava la sagoma di Lean, lenta, tranquilla. Spostai subito l’occhio davanti a lui, e ancora più avanti, ma … nulla, nulla fino a dove il corridoio svoltava ancora. Lì colsi un bagliore che subito svanì … o forse era un chiarore che la finestra aveva lanciato sul muro. Avrei voluto mettermi sulle tracce di Lean, inseguire nel corridoio i due amanti, o le loro ombre: o l’ombra della verità. Ma mi prese un insondabile pudore, come se, seguendo quella scia, stessi commettendo un atto riprovevole, indiscreto fino ad essermi intollerabile. Così mi ritirai nella stanza, chiusi la porta nel maggior silenzio possibile e m’addormentai molto dopo, rigirandomi tra i dubbi e le poche smarrite certezze.
Al mattino Lean non c’era. M’aveva lasciato un biglietto, scusandosi di doversi allontanare senza preavviso, e del resto io dovevo ripartire, non avrei potuto aspettarlo. Meglio. Mi ripromisi che al nostro prossimo incontro avremmo parlato di quella strana notte: ne avremmo riso, magari, oppure il tempo avrebbe reso ragione dei nostri sogni, come il giorno fa con le suggestioni del buio.
Epperò non ho più rivisto Lean. La crescente fortuna degli affari mi portò ancora lontano, per altri anni. Lean morì prima del mio ritorno, senza che si riuscisse a stabilire per quale causa. Lo trovarono seduto su una poltrona del salone, come si fosse addormentato. La bella lo guardava dal ritratto. La casa andò venduta e finì distrutta in un incendio, poco prima che i nuovi proprietari ci andassero ad abitare.
Il bagliore che quella notte mi parve d’aver intravisto mi tornò sempre in mente, negli anni a venire. Così pure sempre tornai a chiedermi se Lean non avesse trovato, in ogni modo, una specie di … felicità, una felicità più grande, più vera, di quella che a volte ci sembra di toccare.
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jack-01-blog-tumbrl · 5 months
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"Vorrei scriverti che mi manchi e che ti
penso, ma non ti scrivo neanche ciao come stai?
Ora che facciamo finta sia passato
tutto, anche se sai che no, non passerà mai.
Quanto vorrei trovare la forza per cercarti,
non sai quante volte ti scrivo messaggi,
che poi non trovo mai il coraggio di inviarti,
se li cancello non è come cancellarti.
E in fondo sai,
che fa male far finta di niente,
dopottutto quello che c'è stato, dimenticare tutte le promesse,
i momenti più belli fra di noi;
e aspetto che ritorni,
ma tu sei forte e riesci,
a starmi lontano anche se in fondo
è solo l'opposto di ciò che vorresti.
Siamo passati dallo stare bene,
ad essere delusi,
noi perfetti insieme,
perfetti sconosciuti,
e sai che tutto questo non ci andava bene, ora siamo cresciuti,
noi perfetti insieme,
perfetti sconosciuti.
E ci ho provato a dimenticarti,
ma non è facile se io ti cerco in mezzo agli altri,
ora che non stiamo bene,
siamo pure distanti,
non lo ammetto, ma vorrei mancarti,
ora che viviamo un film da
protagonisti, abbiamo scelto noi il nostro copione,
E del far finta di non esserci mai visti
forse è bene che non sono un buon attore;
e lo sai che mi manchi,
che ti penso,
e per orgoglio quante cose che non ti ho detto,
e torno negli stessi posti dove andavamo
così magari se ti incontro ci ripresentiamo;
Ma in fondo so che tanto poi non torni,
perché sei forte e riesci, a starmi lontano anche
se in fondo è solo l'opposto di ciò che vorresti.
Siamo passati dallo stare bene, ad essere delusi,
noi perfetti insieme,
perfetti sconosciuti,
e sai, che tutto questo non ci andava bene, ora siamo cresciuti,
noi perfetti insieme,
perfetti sconosciuti.
Se ti chiedo di noi,
non ci conosciamo,
ma se ancora lo vuoi,
poi ci ripresentiamo.
Siamo passati dallo stare bene,
ad essere delusi,
noi perfetti insieme,
perfetti sconosciuti,
e sai, che tutto questo non ci andava bene,
ora siamo cresciuti,
noi perfetti insieme,
perfetti sconosciuti.
Perfetti sconosciuti
Se ti chiedo di noi,
Perfetti sconosciuti."
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