Tumgik
#non mi sono ancora ripreso e mai lo farò
mimmonenazionale · 4 months
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la LORO frase
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papesatan · 8 months
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Pugliese doc, per sempre, ti amo
Le relazioni mi son sempre state ferale sconquasso di grande angoscia. Stare con una donna significa temere costantemente di ferirla, sgretolandola brutale fra le fauci, chiedersi ogni giorno: e se domani incontrassi l’amor eterno? Cosa potrei fare allora? Aver orrore di sbagliare strada e non poter tornare indietro, perché non sempre si può far inversione a costo zero. Anzi, quasi mai. Ma non voglio più ferire, tradire, esser causa d’ulteriori sofferenze. E così schivo l’impegno finché posso, convinto d’esser libero, di poter gestire il terrore della scelta, la paura di perdersi qualcosa di meglio che ancora non c’è. Una simile inquietudine m’accade con la pizza. Cerco da sempre la pizza della vita e qualche mese fa, casualmente, m’è capitato d’incontrarla: rossa di pomodoro, mozzarella, pomodori secchi, ricotta forte e basilico, bassa, digeribile, perfetta. Da quando l’ho assaggiata, non ho più voluto tentarne altre, sto bene, mi sono assestato e sono felice, perché il sabato, quando so che lei m’aspetta, godo già dal pomeriggio nell’attesa di vederla. Ora, entusiasta della scoperta, ne ho raccontato subito la gioia alla mia ex psicoterapeuta, evidenziandovi il nesso con la mia fifa dei legami e quello che mi pareva, forse, uno spiraglio di salvezza, la speranza di non esser condannato all’insoddisfazione eterna. Ma, invece di congratularsi per l’inaspettata rivelazione, lei ha preso a dirmi: “Così però ti neghi la possibilità di sperimentare nuove pizze. Potrebbe essercene una ancor più buona, ma tu così non lo saprai mai”. Ma dico, cazzo, da che parte stai? Faccio tanto per uscire da questo cazzo di loop, ti dico che forse ho trovato una risposta e tu ti metti lì a tentarmi? “Allora, Giuseppe, come esercizio per la prossima volta ti do il compito di provare una nuova pizza sabato”. Sì, convinta. Lo farò sicuramente. Il sabato, com’è ovvio, ho tenuto il punto e ho ripreso, fedele, la mia stupenda amata pugliese doc. Come se non bastasse, però, son giunti a canzonarmi anche il buon Angelo e la cameriera del locale (!!!!), spronandomi a cambiare ché “la monotonia è noiosa” ed “è come vivere coi paraocchi”. OK, alla fine esausto, ho promesso un cambiamento. Ci sono ricascato. Ho ceduto. Ho tradito la mia pizza. Ieri sera ne ho tentata un’altra, apparentemente buona, esteticamente magica, e m’ha fatto schifo, dio, schifo, tanto che devo ancora digerirla. A cos’è valso il tentativo, allora? Avevo ancora bisogno di provare? A fine serata Angelo ha capito e m’ha chiesto scusa. Ha capito e ho capito anch’io d’esser finalmente sulla buona strada.
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intotheclash · 5 months
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“Che c'è, Pietro, non sai cosa dire?”
“No.” Risposi con una vocetta appena udibile. Davvero non sapevo cosa cazzo dire. Guardai anche mia sorella, in cerca di una qualche illuminazione, di un appiglio qualsiasi, mi sarei aggrappato a tutto, pur di uscire indenne da quella pericolosa e niente affatto chiara situazione, ma lei rispose picche. Si voltò verso il televisore e mi lasciò solo contro tutti. Non voleva immischiarsi e non si sarebbe immischiata. Se se la prendevano con me, avrebbero lasciato in pace lei; la legge della giungla. Schifosa di un'egoista! Ma, alla prima occasione, me l'avrebbe pagata. Come si suona si balla.
“Allora, visto che non sai cosa dire,” Iniziò mio padre, “Lo faccio io per te. Ti racconto la mia parte di storia, quella che ho dovuto ascoltare stasera, prima di cena. Dopodiché sarai tu a raccontare la tua e bada bene di raccontarla tutta. E soprattutto precisa. Se mi accorgo che mi stai fregando, o soltanto me lo fai pensare, ti darò una di quelle strigliate che te la ricorderai finché campi. E potrai anche dire addio ai tuoi amici per tutta l'estate, visto che non ti farò più uscire di casa. Ci siamo intesi?” Dovetti acconsentire. Non è che fossi poi tanto d'accordo, ma cosa potevo farci? Avevo solo tredici anni. Comandava lui! Lui prendeva le decisioni e io le subivo. Non avevo alternativa. Per quanto riguarda il dove volesse andare a parare era ancora buio totale. Dovevo pazientare.
“Stasera, prima di venire a cena,” Iniziò, “mi sono incontrato al bar con Mario, il papà del tuo amico Sergio, abbiamo deciso di giocarci l'aperitivo a scopa. Una partita secca, chi perde paga, naturalmente. Consuetudine, lo facciano sempre. Ad un certo punto entra nel bar quella gran testa di cazzo dell'avvocato Terenzi…”
Quel cognome mi scoppiò in testa come una bomba a mano. Ora si che era tutto chiaro. Riuscivo a vedere solo disgrazie. Pensai al sangue che zampillava dal naso di Alberto Maria, il figlio dell'avvocato, pensai… Oh no! Peloroscio! Sembrava che si fosse ripreso, che stesse meglio quando lo avevamo lasciato al campo. Invece… Invece doveva essere morto, porco cane! Ecco perché mio padre era incazzato nero! Era finita! Sarei stato sbattuto in prigione per tutta la mia miserabile vita.  Probabilmente anche i carabinieri sapevano già tutto e stavano venendo a prendermi. Forse i miei amici li avevano già rinchiusi. Ero disperato, avevo voglia di piangere. Gli occhi mi si arrossarono e iniziò a tremarmi il labbro inferiore. Era finita! Il vecchio se ne accorse, fece un mezzo sorriso di vittoria e proseguì: “Vedo che non sei del tutto stupido, che stai iniziando a riflettere. Ma non è ancora il tuo turno di parlare, prima devo finire io. Dicevo: entra nel bar l'avvocato Terenzi. Un fatto strano, perché quel figlio di una puzzola è tirchio come un genovese di origini ebraiche e, là dentro, non ci mette mai piede, neanche per un caffè. La cosa ancor più strana, però, è stata che, appena entrato, si è diretto deciso verso il nostro tavolo. Sputava fiamme come un drago. Prima ci ha vomitato addosso una catasta di insulti, almeno dal tono sembravano insulti,  le parole non si capivano bene, quel borioso idiota parla una lingua che solo lui capisce. Ed è stata la sua fortuna, altrimenti sarei tornato a casa con una collana fatta con i suoi denti. Ma quando ha deciso di farsi capire, si è fatto capire bene e ci ha raccontato una storia. Una storia che tu dovresti conoscere bene e che, tra poco, sarai costretto anche tu a raccontare. L'avvocato ha detto che, giù al campo sportivo, tu e i tuoi amici siete saltati addosso a quel bastardo del suo adorato figliolo, lo avete caricato di botte e, non contenti, gli avete pure fregato il pallone. Adesso sta all'ospedale di Civita Castellana con il naso rotto e tutto gonfio. Un bel lavoro, non c'è che dire. Ha detto anche vi denuncerà tutti e a noi ci toccherà pagare una barca di soldi. Il Bastardo!”
Le lacrime trovarono finalmente la strada e sciamarono fuori. Un torrente di montagna dopo mesi di pioggia intensa. Portava con se un sacco di detriti, paura, rabbia, ma anche sollievo. A pensarci bene, soprattutto sollievo. Peloroscio non era morto e, per la seconda ed ultima volta nella mia vita, ne fui felice. Ero scampato di nuovo alla prigione. Subito dopo venne la rabbia. Ci mise un attimo a prendere il sopravvento.
“Non è vero!” Urlai “E’ un bugiardo! Bugiardo lui e bugiardo suo figlio! Il pallone era mio. Quello che mi hai regalato tu, quello di cuoio. Noi stavamo già giocando, poi è arrivato il figlio dell'avvocato, insieme a Peloroscio e a Ringhio, mi hanno gettato in terra e mi hanno fregato il pallone. Il mio pallone, non il suo!
"Se le cose stanno in questo modo, allora avete fatto bene a suonargliele. Domani mi sente quel lurido verme! Erano pure in tre i figli di bagascia. E tutti più grandi di voi.” Vidi lo sguardo del mio vecchio e capii che stava rispolverando l'idea della collana fatta con i denti dell'avvocato Terenzi. La cosa non mi dispiaceva affatto.
“Veramente, papà, non siamo stati noi a dargliele…”
“Ascolta, stronzetto, ho detto niente bugie! Cosa vorresti farmi credere? Che si sono picchiati tra di loro? Che il naso a quel prepotente figlio di prepotenti lo hanno rotto i suoi compari?”
“Non dico bugie! E non ho detto neanche questo! Il naso all'avvocatino lo ha rotto Pietro il Maremmano. E le ha suonate anche ai suoi amici. Anzi, solo a Peloroscio, perché Ringhio se l'è fatta sotto ed è rimasto paralizzato dalla paura.” Dissi tutto d'un fiato.
Mio padre non ci stava capendo più un cazzo. Guardò prima me, poi mia madre, che lo mise al corrente su chi fosse questo Maremmano, che lui non aveva mai sentito nominare, né aveva idea di chi fosse figlio, o dove abitasse. Volse ancora una volta lo sguardo verso di me e, con una calma che proprio non gli riconoscevo, disse: “Ascolta, piccolo, raccontami di nuovo tutto daccapo, senza tralasciare nulla. Poi deciderò il da farsi.” Ed io raccontai. Daccapo. Con dovizia di particolari. Dalla mattina. Raccontai delle biciclette, del pranzo, della partita e infine dello scontro. Il vecchio non mi interruppe mai. Si limitò a seguire il racconto, accompagnandolo con cenni di approvazione, o di disapprovazione, a seconda dell'evolversi degli eventi. Alla fine ero stremato. Stremato ma sollevato. Mi sentivo stranamente leggero. La paura era scomparsa. Mi sentivo bene.
La risata di mio padre piombò giù dalla cima del monte, come una valanga, con lo stesso frastuono e la stessa forza dirompente. Dapprima, io, mia madre e mia sorella, restammo pietrificati, poi ci lasciammo contagiare e fu risata liberatoria per tutta la famiglia. Non capivo bene cosa ci fosse tanto da ridere, ma me ne guardai bene dal protestare; poi era bello ridere tutti insieme. Non riuscivamo più a smettere e papà era quello che rideva più forte. Come suo solito, rideva e piangeva e menava delle manate sul tavolo e sulle mie spalle, facendomi anche male, ma non protestai.
“Certo che questo ragazzino deve essere un bel fenomeno!” Disse quando si fu calmato, “Hai detto che ha la tua stessa età, vero?”
“Si.”
“E ha lisciato il pelo a tre ragazzi più grandi di lui?”
“Si.”
“Davvero un bel fenomeno. Solo mi sfugge una cosa: nel frattempo, tu e quegli altri stronzetti dei tuoi amici, cosa facevate? Non gli avete dato una mano? Anche se, da quanto ho capito, non è che ce ne fosse bisogno. Casomai potevate darla a quegli altri tre perdigiorno!” E giù un'altra mitragliata di risate.
“No.” Risposi molto timidamente.
“No? E perché no? Se le avesse buscate?” Era di nuovo serio.
“Perché avevamo paura! Lui non è di qui. Lui non sa come vanno le cose. Quelli erano più grandi e quelli grandi si approfittano sempre dei piccoli. Guai a protestare. Non era la prima volta che ci fregavano il pallone. Lo fanno sempre. E se ti azzardi a protestare, giù botte.”
Aveva capito. Fece segno di si con la testa. Sicuramente anche quando era un ragazzino lui funzionava così. “Capisco, ci sono passato anch'io. E’ così che va il mondo, perdio! Pesce grosso mangia quello piccolo. E’ una legge di natura. Non ci sono santi. O, forse, no, sembra che il meccanismo si sia inceppato. Credo sia un buon segno.” Sentenziò. Si alzò dalla sedia, si infilò una camicia a quadri sopra la canottiera d'ordinanza, mi fece l'occhiolino e: “Infilati una maglietta pulita e andiamo.” Disse.
“Dove?” Chiesi. La paura stava tornando a farsi sotto. Non ero mai uscito con lui dopo cena.
“Voglio conoscere questo fenomeno del tuo amico. Subito.”
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reisverdrinkwijn · 2 years
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Discoveries - dopo un lungo sonno
Credo di essere di nuovo sveglia, dopo tre anni di lungo sonno.
Anni fa non facevo altro che annegare nella poesia, nella scrittura di canzoni, nelle canzoni di altri, nei saggi di psicologia e nella mia testa. Stavo seguendo anche un percorso di terapia abbastanza lungo, ero da poco entrata nel mondo del lavoro ed ero abbastanza severa con me stessa su tanti punti di vista: il mio comportamento nei confronti dell'ambiente, la mia carriera lavorativa, le mie relazioni, la mia parte creativa che ho dovuto tenere molto a bada.
Una volta una persona a cui tengo molto mi ha detto "vabè a te piacciono le cose artistiche ma non sei quel tipo di persona". Non gliel'ho mai detto ma quella frase per me è stata un colpo forte. Non mi piaceva postare le mie cose online, tutt'ora non ne sono una fan, non mi è piaciuto nemmeno condividere le mie poesie o le mie creazioni.
Questa immersione mi stava soffocando e ho deciso di metterla in pausa. Ho messo in pausa tutto. Niente più yin, solo lo yang. Mi sono trasferita altrove, ho riscelto il trambusto della città, la vita esterna, la pianificazione finanziaria, il movimento fisico, le cose solide, la praticità. Ho smesso la terapia, anche in modo un po' brusco e sbagliato. Neanche il Covid come periodo mi aveva cambiato qualcosa in questo senso, perché l'ho passato in gran parte a lavorare (guardando con un pizzico di invidia chi invece ha riscoperto del tempo per la cucina e tanto altro).
E' da qualche mese che ho deciso di riaffacciarmi al mio io. Anche questo tipo di scrittura qui - che mi aspetto che non leggerà nessuno - per me è un po' terapeutico. Mi ero data degli obiettivi a Gennaio 2022 che sto con gioia portando avanti, senza mai sentirmi costretta e con serenità.
Ho ripreso la terapia: con calma, senza gravità. Ho ripreso pian piano a scrivere. Sto imparando la scrittura scollegata dalla sofferenza. Sto imparando a vivermi con leggerezza e a pieno respiro.
Sono tornata nella natura: quello con la natura è l'unico legame che mi tengo stretto fin dall'infanzia, come qualcosa di magico. I boschi, gli alberi, le piante, per me sono un tutt'uno con noi e avevo messo tutto questo da parte, per paura di ritrovarmi faccia a faccia con il mio vero io, in un periodo in cui stavo cercando di spegnerlo.
Ho scoperto l'arte della ceramica, da una meravigliosa signora che mi ha dato lezioni per qualche mese e con cui ho condiviso bellissimi discorsi sui viaggi, sui tarocchi e sul mondo femminile. Anche sui quartieri di Roma.
Ho da poco ripreso a suonare. Sto ancora facendo un po' fatica a collegare musica e poesia ad una vita serena.
Ho ripreso a praticare yoga con piena presenza. Pratico yoga e meditazione da ormai 4 anni, eppure quest'ultimo anno sento di esserci maturata molto più che nei precedenti tre, così tutto d'insieme.
Ho da pochi mesi deciso di fare un investimento su me stessa anche a livello fisico e mi sento una volta a settimana con un consulente olistico su fitness e benessere in generale. Credo che oltre al benessere mentale, sia molto importante quello fisico (farò un articolo a parte in merito) e io non sono mai stata molto brava in merito (ho sempre odiato lo sport, per dirne una).
Ho migliorato molto il mio rapporto con il cibo e con l'alcol (riducendo quest'ultimo di molto, a normali quantità). Ho cercato di lavorare molto sulle relazioni che ho qui nella mia città natale diciamo, e di leggere il più possibile.
Il lavoro c'è, e per me è molto importante. Non credo affatto a chi dice che i soldi contano poco perché i soldi contano eccome, ma non bisogna esser greedy e c'è tempo per tutto. Ora finalmente credo di essere vicina al raggiungere un mio equilibrio personale di io e lavoro.
E ho scoperto che esiste il bone broth in tazza. Quando tornerà il freddo lo berrò come tutto il mondo beve il tè, finalmente.
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Basement - I Wish I Could Stay Here, traduzione testi
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C’è ancora il tuo bicchiere sul davanzale Mi farò venire la forza di spostarlo presto Ma fino ad allora mi perdo nei pensieri su di te
(da: Earl Grey)
1. Basement – Fading, traduzione
Svanire “Sì, probabilmente è la mia ultima occasione”
“Anche la mia”
“Ora o mai più” Viene giù forte la pioggia, mi lava via
Mi sento male Mi sento male
Proprio vuoto, proprio ordinario Perché nella testa ti ho sentito che facevi il mio nome
Crollo, svanisco E tutto quello che avevo cadrà a pezzi
Niente resta uguale
E tutto quello che avevo cadrà a pezzi
Niente resta uguale Perché nella testa ti ho sentito che facevi il mio nome
Crollo, svanisco
Perché nella testa ti ho sentito che facevi il mio nome
Crollo, svanisco 2. Basement – Plan to Be Surprised, traduzione
Un piano per sorprendersi Fa più buio che mai
È già difficile vederci qualcosa anche senza che tu mi fai sentire una nullità
Sono una nullità Le luci sono tutte spente in casa tua
E te non ti si vede da nessuna parte
Lo so che hai paura, ma io ci sono ancora
Sto arrivando Ti prego, fammi entrare: fa freddo fuori
E io non intendo andarmene da nessuna parte 3. Basement – Canada Square, traduzione
Canada Square Stanotte mi sono addormentato con sù i vestiti
In piena estate
Mi sono svegliato tremante di freddo sotto queste coperte vuote E ho cominciato a dormire sulla fronte
Perché lo facevi tu… e mi manchi
Ho letto il tuo biglietto quando ho ripreso conoscenza
Era un grazie di cuore che mi ha spezzato il cuore in due E allora faccio i bagagli e mi lascio alle spalle questo posto
E ti brillano molto di più gli occhi ora che ho troppa paura di guardarti
In una stanza così piena di gente non mi sono mai sentito così solo E allora faccio i bagagli e mi lascio alle spalle questo posto 4. Basement – Crickets Throw Their Voice, traduzione
I grilli lanciano il loro grido Se avesse funzionato tutto, vivremmo in una casa diversa, vivremmo in una città diversa
È un nuovo inizio: corpo pulito, cuore spezzato
Verrò a trovarti quando ci sarà occasione Non è facile respirare quando sei sott’acqua
Io affogo e tu mi spingi Chiudi gli occhi, dormi fuori
Fa più caldo che qua dentro
Io me la caverò, correrò a nascondermi
Vorrei poter restare qua Ti ho ancora in testa
La mia mente è convinta che tu non te ne sia mai andata
Conto quanto manca a rivederti
Confronto ancora ogni cosa con la tua sagoma
Come faccio a dimenticare ciò che è perfetto? Non è facile respirare quando sei sott’acqua
Io affogo e tu mi spingi sotto Chiudi gli occhi, dormi fuori
Fa più caldo che qua dentro
Io me la caverò, correrò a nascondermi
Vorrei poter restare qua Vorrei poter restare qua Chiudi gli occhi, dormi fuori
Vorrei poter restare qua 5. Basement – Earl Grey, traduzione
Earl Grey Ho alzato lo sguardo verso la tua finestra, fatto finta di vederti
Tu non ci vivi più lì La mente divaga e mi perdo nei pensieri su di te
Dormo come via di fuga, perché tanto il bere ti uccide lo stesso
E allora perché quando mi sveglio mi fa ancora male il cuore? C’è ancora il tuo bicchiere sul davanzale
Mi farò venire la forza di spostarlo presto
Ma fino ad allora mi perdo nei pensieri su… Hai fatto l’impressione migliore: la perfezione su pagina
Il più selvaggio dei cuori non si farà mai domare 6. Basement – Ellipses, traduzione
Ellissi (strumentale) 7. Basement – Every Single Word, traduzione
Ogni singola parola Fammi sapere la verità
Fammi sapere che non stiamo fingendo
Io ti aspetterò, proprio come dicevo
Ogni singola parola ferisce più della prima
Sei un pezzo frantumato di quello che eravamo un tempo Ti prego, salvami Fammi sapere la verità
Fammi sapere che non stiamo fingendo
Io ti aspetterò, proprio come immaginavi Ti prego, salvami da me stesso
Ti prego, salvami 8. Basement – Yoke, traduzione
Giogo Senza fiato, mi strozzo con l’indecisione
Nascondimi in camera mia e dimenticati di me, dimenticati di me
Mi dispiace, se vuoi sapere la verità
Mi dispiace, se vuoi sapere la verità Sono io contro il mondo
Sono io contro il mondo, il mondo
Mia madre è felice? Mio padre è fiero?
Nascondimi in camera mia, però perdonami, perdonami
Mi dispiace, se vuoi sapere la verità
Mi dispiace, se vuoi sapere la verità, la verità
Sono io contro il mondo
Sono io contro il mondo, il mondo, il mondo 9. Basement – Grayscale, traduzione
Scala di grigi Le immagini dipinte dalle tue mani non avranno più lo stesso aspetto
Questi colori fuggono, questi colori sbiadiscono
Ciò che un tempo era vivace ormai è diventato grigio C’è un posto dove tengo le parti di noi due per come dovevano essere, come ricordi 10. Basement – March, traduzione
Marzo Viaggi in treno sù a ovest verso la mia seconda casa
Tu stavi lì seduta ad aspettarmi
Libri per il viaggio, tanto per passare il tempo
Questi uccelli della pace se ne stanno andando Non mi aspetti più
Non mi aspetti più Stiamo sù fino a tardi e guardiamo la TV
Non la guardavamo mai per davvero
Abbiamo fatto progetti che pensavo avremmo mantenuto
Le date ancora sul mio diario Non mi aspetti più
Non ti aspetto più
Non mi aspetti più
Non ti aspetto più
Non mi aspetti più
Non ti aspetto più
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ginger-pina · 5 months
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Carmelo e Milo i due gatti  turisti
“Ehi tu ra-gatto, perché ti nascondi?”
“Sono scappato, le mie umane mi cercano, le senti…?”
“Miloooo. Milo dove sei?”
“Perché scappi? Forse ti trattano male?”
“No, no, mi amano di un grande amore felino. Ma ho voglia di uscire, vedere gli altri pelosetti”.
“Vedo te sempre in giro e l'altro gatto che sta sempre sulla panchetta in pietra, lui si muove poco non si allontana mai”
“È una lei, si chiama Paolina… ed io sono Carmelo”!
“Lo sai  Milo, è la tua piccola umana che  mi ha scelto il nome”.
“Un giorno di qualche mese fa mi si avvicina, mi accarezza e mi sussurra: “Come sei grazioso, morbido, affettuoso, lo sai, ti ho scelto un nome: ti chiamerò Carmelo””!
“Ah, adesso ricordo: l’ho vista che ti accarezzava. Quel giorno ero affacciato al balcone di  casa mia”.
“Si si, anche la signora che pensa ai miei bisogni felini era in giardino ed ha visto e sentito Erica che ti parlava”.
Sorridendo le si avvicina.
“Ciao Erica: che nome hai dato al gattino rosso”?
“L’ho chiamato Carmelo…”
“Bene, ancora non ha un nome… sarà Carmelo per tutti”.
Per alcuni minuti  i due gatti, rimangono in silenzio, immersi nei loro pensieri felini.
Poi Milo sale sul muretto. Il suo sguardo si perde verso l'orizzonte per soffermarsi su di  un promontorio: per la sua posizione sembra fare un rispettoso inchino al mare…
“Mi piacerebbe andare lassù... miagola Milo”.
“Ah, d'accordo, ti accompagno. Ma è lontano. Gli umani lo chiamano: ”Belvedere“, un luogo dove le persone passeggiano, incontrano gli amici. Ci  sono molte panchine dove sedersi e guardare il mare e magari gustare un buon gelato da Cicciuzzo”.
Milo non sta nella pelliccia, ha voglia di vedere altro.
Troppe ore passate nel balcone di casa sua…
“A che ora ci vediamo?”
“Se questa escursione la facciamo di sera è meglio. Meno macchine meno pericoli…”
“Va bene. Ascolta, i miei i umani hanno ripreso a cercarmi”.
“Milo dove ti sei nascosto”?
“Mi dispiace farli preoccupare, ma ho voglia di vivere qualcosa di diverso. Mi  farò perdonare al mio ritorno”.
Arriva la sera, i rumori si affievoliscono. I due gatti sfrecciano veloci verso un’avventura che non dimenticheranno facilmente,  resterà indelebile nella loro memoria.
Corrono veloci, ecco che una lunga rampa di scalini si para davanti ai loro occhi.
“Miao, Carmelo, mai visti tanti scalini…”!
“È la via Roma. Tanti anni fa, quando c'erano poche macchine, era una strada molto frequentata dagli  umani che si spostavano da Termini alta a Termini bassa o viceversa”.
Improvvisamente Quattro gatti sbucano da una stradina laterale.
Uno di loro, un bel gattone dal manto  tigrato, quasi minaccioso sbarra loro il cammino…
“Ma chi siete ? Che volete”?
“A-micio tranquillo, siamo di passaggio”, miagola Carmelo, “siamo due gatti turisti! Non vogliamo occupare il vostro territorio”.
“Ah ecco, volevo ben dire, per avere questo territorio abbiamo combattuto e sofferto sette pellicce”.
“Noi abbiamo già una casa, il mio ami- gatto Milo ha voglia di sgranchirsi le zampe e  vivere qualche ora fuori dal  balcone di casa sua. Visitare la città”.
“Va bene allora, andate tranquilli, vi scortiamo fino alla fine della via Roma”.
Arrivati, il micio tigrato consiglia la strada da fare: ”Se prendete a destra, arrivate in piazza Duomo, una bella e grande Piazza con la cattedrale di San Nicola di Bari”.
“I termitani la chiamano La Matrice”.
“Grazie ra-gatto, per la tua gentilezza”.
“Prego, amici pelosetti, state attenti, occhi aperti…” 
Milo e Carmelo arrivati nella piazza si rincorrono felici, zampettando si fermano davanti  la Chiesa.
“Ma questa chiesa ha tre porte?” Chiede Milo.
“Si. Ci sono tre porte. Sul portale centrale si trova il beato Agostino Novello con angeli, opera di Filippo Sgarlata, uno scultore termitano”.
La porta laterale è aperta: i due gatti, incuriositi, entrano. Tanti affreschi, tanti quadri. Inebriati da tanta bellezza non si accorgono che un umano lì  sta  osservando un poco incredulo”.
“Che ci fanno due gatti dentro la chiesa…” esclama ad alta voce.
Spaventati, i due gatti si nascondono dietro una panchetta.
L‘umano fa il verso per chiamare i due gatti : ”..Non abbiate paura”, quasi sussurra”, la casa di Dio non è solo degli uomini, appartiene anche agli animali“ dice, avvicinandosi.
La voce dal tono dolce appartiene a lui, al parroco della Chiesa.
Si abbassa e accarezza i due gatti che cominciano a fare le fusa...
Nella stanza, entrando a destra dove riceve le persone, dalla borsa della spesa sul tavolo prende due pezzetti di formaggio e li porge ai due pelosetti che mangiano con voracità.
La passeggiata ha messo loro un certo languorino.
“Adesso dovete uscire. Devo chiudere la chiesa”, e fa ancora una carezzina sulle loro piccole teste.
Come se avessero capito (non ci sono dubbi, loro capiscono il linguaggio umano anche se qualche volta sembra di no, ma è una scelta felina per essere lasciati in pace) si avviano verso la porta  e prima di scomparire fuori dal sagrato, si girano, lo guardano, una scodinzolata la coda in segno di ringraziamento, e vanno via veloci.
Arrivati al Belvedere si soffermano ad ammirare il panorama: il Golfo fino alle isole Eolie e dall’altra parte la bellezza del Monte San Calogero e della Luna che lascia una stria luminosa sul mare, fino ad arrivare alla Rocca di Cefalù.
Adesso ti porto a visitare la villa Palmeri .
Nel silenzio della sera si immergono in mezzo a tutto quel verde.
Milo veloce va dove vivono le oche che cominciano a starnazzare..: ”Non le spaventare, avvicinati, ma con dolcezza”, miagola Carmelo.
Piano piano le povere oche, terrorizzate dell’irruenza di Milo, si calmano e scivolano silenziose in acqua.
“Che sono tutte queste pietre?“
“Sono resti romani”.
“Termini è una città che ha origini romane”.
“I romani erano grandi ingegneri: hanno costruito anche un acquedotto che si chiama Cornelio”.
“Dai Milo, usciamo”. Arrivati al piano Barlaci incontrano Maia, una gatta che appartiene a degli umani che fanno Gatto di cognome.
Maia è una bella gatta e i due maschietti vorrebbero approfondire la conoscenza, ma lei li esorta a tornare a casa, tra poco comincia ad albeggiare e i pericoli per i felini sono tanti.
Si dirigono di nuovo verso il Belvedere e cominciano a scendere attraverso una strada ombrata di pini, che si snoda in ampie curve, da cui il nome di Serpentina. Arrivati davanti al Grand Hotel delle Terme Milo chiede: ”Ma è una casa antica”?
“È un hotel dove sotto le mura sgorgano delle acque termali, un toccasana, una cosa eccezionale per chi  soffre di reumatismi, problemi respiratori e altre patologie. Per colpa dell'incuria di alcuni umani ne ha determinato la chiusura che oramai, purtroppo, si protrae da molti anni.
Uno sguardo ancora e…
“Forse è meglio rientrare, torniamo a casa”, esorta Carmelo.
Sono quasi le otto e i due gatti, arrivati nel cortile delle loro abitazioni, sfiniti ma felici di quella lunga passeggiata, si rifugiano sotto la grande pianta di gelsomino.
La piccola Erica, con lo zainetto sulle spalle, esce dal portone e, con la sua Mamma, si avvia per salire in macchina. Sta andando a scuola. Carmelo le va incontro e le si struscia tra le gambe, lei si abbassa per accarezzarlo ma Carmelo si allontana di qualche metro. Si ferma, si gira, la guarda intensamente, poi volge lo sguardo  verso la pianta di gelsomino, poi di nuovo la riguarda come se volesse invitarla e seguirlo. È così che Erica  capisce che le  vuole comunicare qualcosa. Gli va dietro e vede il suo Milo rannicchiato sotto la pianta di  gelsomino: ”Mamma, mamma, corri, c'è Milo", grida felice!
“Non gridare”, l'esorta sua madre, “si può spaventare e nuovamente scappare”.
Piano piano le due umane si avvicinano… Milo ha deciso che ormai è arrivato il momento di fare ritorno a casa. Si lascia prendere senza fare resistenza. Ha bisogno di un buon pasto, di una bella dormita e di tante coccole.
In braccio alla sua piccola, soffocato da tanti baci riesce per un attimo a volgere uno sguardo verso  Carmelo.
E gli dice “miao miao miaooooooo”.
Che gli avrà detto? Mah… Ogni umano che leggerà la storia, farà la sua traduzione…
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gcorvetti · 2 years
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Venerdì 17
Prefazione, non sono superstizioso semplicemente per il fatto che non credo nel sovrannaturale, che una data, un numero, un animale o un dio possa in qualche modo influenzare la nostra vita, anche se so che per molti non è così ma quello è perché le persone sono facilmente impressionabili. Oggi ho iniziato a lavorare con una carica super positiva, ero pronto a fare il test sull’aggiornamento, ma appena apro il pc mi trovo un paio di email che mi dicevano che devo assolutamente firmare sto documento, neanche faccio in tempo a leggere le mail che uno dei manager mette sulla chat globale la stessa cosa, cavolo ho pensato sarà una cosa super seria. Leggendo ancora ho notato che era un documento direttamente dal governo americano e che se non lo firmo mi bloccano la connessione e quindi non posso più lavorare, allora ho pensato un attimo che controllo meglio e aperto sto documento era pieno di leggi e commi che la metà basta per iniziare una causa contro chiunque. Allora ho chiesto il perché, mi è stato detto : leggi le FAQ inerenti, che non erano altro che le leggi ma scritte per i meno dotati, al che ho pensato che mi stanno prendendo per il culo, perché si sa che le leggi sono ad interpretazione, quindi ho interagito con l’analista e lui stesso mi ha detto : che te frega firma se no non ti fanno lavorare, allora per scrupolo ho voluto leggermi un paio di ste leggi, una diceva che se capita qualche violazione da parte mia posso ricevere una multa di 10k dollari per ogni violazione, cosa? Ma sti cazzi, allora dopo un pò che oramai i nervi erano andati e non potendo fare niente ho firmato questo ricatto, perché se non firmo non lavoro, che bravi eh? Bastardi yankee. Poi ho fatto l’assassment che ho saltato ieri con un ottimo risultato, fortunatamente, e poi ho ripreso la giornata con i nervi a pezzi. Pranzo con un paio di panini e mi preparo per la passeggiatina fit-walking, solo che dopo un centinaio di metri inizia a farmi male il cuore e il braccio, merda ho pensato, meglio torno a casa e chiamo l’ambulanza, non sono ipocondriaco e non ho mai chiamato in vita mia, non vado dal medico se ho un piccolo malore tanto passa, non prendo medicine ecc ecc. Fatto sta che tornato a casa mi sono gettato sul divano nel portico e quando sono arrivati mi hanno visitato e appurato che è solo un dolore intercostale, e il braccio? Ho detto al medico dell’operazione e del fatto che mi hanno tolto il linfonodo, anche lui ha chiesto il perché come il dentista, non si sa il motivo. Fatto sta che secondo me stavo avendo un infarto, il tutto perché lo stress di questo periodo è a livelli storici, tra il casino qua a casa, mia madre che è vecchia e che crea problemi a mia sorella che l’ha ammaronata, sta cosa del lavoro ecc ecc sto na merda va. Parlando col Bro mi ha detto che devo stare tranquillo, che non devo pensare agli yankee, agli ebrei, al riscaldamento climatico, alla distruzione del mondo antico (su questo farò un post ad hoc) e a tutte quelle cose che stanno cambiando il mondo e il nostro modo di pensare, si ok, però è una cosa che mi sta a cuore il mondo, è casa mia, è casa di tutti, e per colpa di pochi stiamo andando in merda. Ma devo stare calmo, se no veramente ci resto sto giro.
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pleaseanotherbook · 3 years
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I PREFERITI DEL MESE #15: Marzo
Ah ragazzi siamo a più di un anno dall’inizio della pandemia, marzo è volato e io vorrei offrirvi parole consolatorie in questo post, peccato che io sia completamente e inevitabilmente piena, rasa, colma, finita. Faccio la conta delle mie fortune, metto in fila le mie occasioni di felicità, estremamente poche e rare e mi ripeto “adda passà ‘a nuttata” prima o poi ne usciremo no? Eppure ho finito tutto, qualsiasi tipo di pazienza emotiva. Ho passato un mese in lockdown, di nuovo, in zona rossa, le zone colorate che forse non significano niente, la solitudine attaccata alle ossa, lo spazio fisico occupato ridotto all’osso e l’incapacità di uscire dalla mia mente. Ho iniziato a fare plank, ho ripreso a fissare il soffitto in preda all’insonnia, a cercare di consolarmi come posso in questa situazione che rischia di fagocitarmi tutta. Un mese di zona rossa e la sensazione di deja vu come lo scorso anno è veramente troppo forte. Possiamo solo stringere i denti.  
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
Attacco Spotify (o Soundcloud per un’opportuna playlist) in qualsiasi momento, ci sono canzoni che mi conciliano qualsiasi tipo di attività, anche il lavoro, e la challenge che ho portato avanti su Instagram a marzo mi ha dato modo di rendermi conto che il genere di musica che ascolto non è mai cambiato dalla mia adolescenza, sempre ballad, sempre vagamente indie, sempre sul depresso/triste andante. Ma è la musica che concilia i miei pensieri e le mie elucubrazioni che diventano entrate nel mio diario o pensieri sparsi appuntati su foglietti volanti. A marzo comunque sono approdata di nuovo a Mahmood e ho iniziato ad ascoltare in modo un po’ ossessivo Inuyasha. Ho anche recuperato Un po’ come noi di Gazzelle dell’album Ok uscito a febbraio e che devo dire avevo snobbato un po’. Ho risentito per caso Elastic Heart di Sia (il video che vi ho linkato pazzesco, è di una potenza unica, lui poi ecco…) e mi è tornato in mente chiaro e preciso il momento in cui l’avevo ascoltata per la prima volta e un po’ di malinconia mi ha assalita di nuovo. Ho anche scoperto Star 1117 degli Ateez, una ballad dolcissima che mi ha fatto sciogliere il cuore. Per strane vie ho anche recuperato anche Selfish di Madison Beer che devo dire mi ha molto impressionato. Last but not least No distance left to run di Blur. Giusto per non farci mancare nulla.
LIBRI
Ho ripreso a leggere con una certa costanza il che ormai rappresenta una vittoria per me, dal momento che lo scorso anno mi sono ritrovata fagocitata dal peggior blocco del lettore che mi sia mai capitato di affrontare. Il libro di marzo è sicuramente Kim Jiyoung, Born 1982 di Cho Nam-Joo, un’autrice coreana che è stato consigliato da Kim Namjoon, il leader dei BTS. Ve ne parlerò presto, ho già iniziato a scriverne la recensione, e ve lo consiglio molto. L’autrice racconta la storia di Kim Jiyoung una donna come tante che nasce, cresce e vive in Sud Corea e ne sperimenta tutte le problematiche e le contraddizioni, le mancanze e le incertezze, in uno schema che si ripete sempre uguale, in cui le donne si trovano a vivere in una posizione di debolezza rispetto agli uomini in ogni aspetto possibile. Una denuncia e un appello, la descrizione brutale, corredata di dati, di quanto sia incommensurabilmente difficile crescere come donna, in ogni punto del mondo. Illuminante a dir poco. Spero che venga tradotto in italiano.
FILM & SERIE TV
A marzo tra le altre cose ho guardato "Hotel Del Luna", che davvero mi ha lasciato senza parole. È un drama paranormale che si sviluppa intorno a questa locanda diventata nel tempo un super hotel di lusso, il Del Luna, che ospita i fantasmi che hanno questioni irrisolte sulla terra e gli impiegati nel frattempo cercano di mandarli felicemente nell'aldilà, aiutandoli a risolvere i loro problemi, grazie anche all'aiuto del Grim Reaper. A capo de Del Luna c'è Jang Man-Wol interpretata dalla bravissima IU una donna affascinante e con un passato terribile alle spalle. A servizio dell'hotel ci sono lo Studioso Kim come Barman, una manager delle stanze di più di cinquecento anni e un giovanissimo concierge morto da circa settant'anni. Tutti e quattro ovviamente hanno delle faccende da risolvere che li tengono ancorati al nostro mondo. Per funzionare l'Hotel però ha bisogno di un direttore umano, quando l'ultimo è diventato troppo vecchio per assolvere i suoi compiti, Man-Wol chiama Goo Chan-Sung, legato a lei perché la donna aveva salvato suo padre. Nonostante le perplessità iniziali e i suoi tentativi di fuga prende a cuore la causa e finisce per assumere davvero le mansioni del direttore. Mentre veniamo a scoprire il passato di Man-Wol e il suo rancore millenario, in ogni episodio troviamo la storia di un fantasma e i tentativi per mandarlo nell'aldilà. A intessere la tela del destino c'è Ma-Go che assume mille identità diverse a seconda delle necessità. 
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Il drama ha tinte un po' fosche e un po' horror, ma ha anche scene molto divertenti che sdrammatizzano quelle più toste. La cosa interessante del drama è che investiga situazioni difficili in cui non è semplice riconoscere chi ha ragione e chi ha torto, ma dal cui confronto si esce sempre rafforzati, e soprattutto cosa significa perdonare e perdonarsi. Bellissima anche la soundtrack e soprattutto bellissima IU che sfoggia sempre degli outfit pazzeschi e che incanta per la sua bravura nell'essere fredda, spietata e allo stesso mega vulnerabile. Super consigliato.
BEAUTY
Di solito in questa sezione consiglio prodotti di make up o skin care ma a questo giro non ho niente di nuovo di cui parlare, quindi farò un’eccezione e vi rivelerò che dopo averci molto rimuginato ho comprato il cerchietto bombato di cui vi avevo parlato qualche tempo fa nella sezione random… che dite lo possiamo approvare? A me piace devo dire, lo trovo molto elegante e comodo, poi ecco sono qui a indossarlo dentro casa e a farmici i selfie… chi me lo vede?
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CIBO
Prima che ci chiudessero in casa sono riuscita a fare un salto nel mio negozio di specialità orientale di fiducia e a parte la scorta di soju da tenere da parte per i momenti bui, mi sono concessa anche dei ravioli con i gamberi. Ahhhhhhhh che buoni, non vedo l’ora di tornarci.
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Also per confortarmi, mi sono regalata anche i Grisbì (miei biscotti prefe forever and ever) al cocco, me li sono centellinata per non finire il pacco in un sol boccone. E a proposito di cocco per tutto marzo ho continuato a cercare invano le nuove Gocciole al cocco.
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RANDOM
Lo scorso 17 marzo ad Atlanta è accaduto uno shoccante caso di cronaca: sono state uccise delle persone asiatiche in maniera brutale e questo atto atroce ha dato vita ad un movimento contro il razzismo perpetrato ai danni della comunità asiatica. Pensarci ancora mi da i brividi, pensare che non si possa vivere in tranquillità mi manda ai matti.
Alcuni ricercatori del Brain Institute della Federal University of Rio Grande do Norte in Brasile hanno scoperto che i polpi sognano: sogni molto brevi, ma comunque sogni. Non riesco molto a immaginare di attaccare elettrodi su un polpo, l’immagine mi fa molto ridere, ma sono sempre molto interessanti tutte le scoperte relative al cervello che veniamo a scoprire nel corso del tempo, perché ci danno un’immagine molto più chiara anche del nostro.
Secondo i due astronomi Michael Brown e Konstantin Batygin i pianeti del Sistema Solare non sono 8 bensì 9. Secondo loro questo nono pianeta spiegherebbe alcune stranezze che sono state riscontrate ai confini del nostro sistema che dovrebbe avere una massa tra 5 e 10 volte quella della Terra e con caratteristiche simili a Urano e Nettuno e un’orbita molto grande. L’astronomia è sempre stato un mio grande pallino e mi affascina molto, sono convinta che ci siano tantissimi misteri che aspettano solo di essere scoperti.
E voi che avete combinato a marzo?
Raccontatemelo in un commento.
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Oggi durante la lezione online di Patologia Medica dei Piccoli animali la prof. parlava di Sindrome Uremica, del quarto stadio dell’insufficienza renale, dell’anemia come sintomatologia, di Bun, Crea e Azotemia. E della morte sistemica per insufficienza renale. Dolore da palpazione, apatia, poliuria, pollachiuria, proteinuria, disappetenza, anoressia. Mille parole, tutte per raccontare il lento ma inesorabile processo che avviene ogni minuto e ogni secondo dentro a quel sistema biologico che è Nano. E lui era lì che ascoltava, quasi come se la cosa lo interessasse. E io a stento trattenevo le lacrime, perché non mi sembrava di star studiando Patologia, ma semplicemente di ascoltare qualcuno che mi parlava della sua morte imminente. Tante parole per dire una cosa sola: morte. Sono riuscita a fare qualche domanda alla professoressa, solo per scoprire che siamo già al 4o stadio della malattia. Ho chiesto se ci fossero dei parametri fissi per cui ci si “ferma”, mi ha detto di si, ma non mi ha dato i numeri.
Quanto deve essere alta la creatinina per vedere la sofferenza sul viso di un animale? Quanto deve essere alta la Bun perché il sistema biologico inizi ad andare in sindrome uremica grave? Quante ulcere gastriche dovrà avere per stare davvero male? Come lo decido se siamo arrivati al limite per cui non esiste più qualità di vita? Lo decido io o lo decide il nostro medico curante? Sarà mai il momento adatto e preciso? Non so. Mi sembra di stare attaccata ad una corda che è lì lì per spezzarsi, quindi sono nel panico che si spezzi, ogni secondo che passa. E non so nemmeno ben dire quando si spezzerà.
So solo che quando si spezzerà farò un volo di metri, e farà male. Che poi lo so che la corda sì spezzerà, non è che non lo so, è che non l’ho ancora accettato del tutto. Perché si è sempre ripreso, e perché passiamo insieme la nostra quotidianità da una vita ormai. Sembra quasi come se da un giorno all’altro smetterò di avere un pezzo di me stessa con me quando lui non ci sarà più. E sono anche un po’ arrabbiata con me stessa, perché sicuramente avrei potuto fare di più, ma semplicemente prima non sapevo, e vivevo una vita immersa in tutte altre cose. Comunque ho appena finito di asciugare l’ennesima pozza di pipì che ormai fa solo in giro per casa. Che ormai è diventato uno slalom evitare le sue pozze di pipì e una corsa ad asciugarle prima che quella pazza di mia madre inizi a dare i numeri. Che non ho più la forza da anni di litigare con lei, ne di difendermi, ne di chiedere un po’ di empatia. Lei dice di averne tanta, probabilmente sono io che non la vedo. Ma ormai sono stanca di cercare e cercare. Tanto nessuno qui dentro avrà empatia, nemmeno quando la corda si spezzerà.
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jasminepersephone · 3 years
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           𝐓𝐇𝐄𝐎 & 𝐉𝐀𝐒𝐌𝐈𝐍𝐄
       ﹙Mini Role﹚⋆ Circle Eight
        #𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞𝐫𝐩𝐠
« Allora, quando poserai per me? Vestita, s’intende. »
Sa bene di dover tenere a riposo il braccio e la mano, ma ormai scalpita per riprendere a disegnare. Non sopporta più la vista di tutti i progetti non finiti che occupano il suo studio da quasi due mesi, vuole terminare ciò che ha cominciato e dare vita a nuove idee che gli frullano nella testa ormai da un po’, tra cui un dipinto di Jasmine. Approfittando della serata libera ha deciso di invitarla per una birra al Circle Eight, così da passare qualche ora in sua compagnia e, con un po’ di fortuna, convincerla ad un supplizio come quello di restare immobile in una posa scomoda mentre lui la disegna.
« Giuro che non ti farò tenere in mano un frutto o altre cose strane, promesso. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Capelli neri come la notte incorniciavano il volto della dea che ora sembrava nascondere un sorriso sulle labbra carnose. Divertita era l'espressione che aleggiava su una persona che, nonostante la situazione, viveva per quelle attenzioni che il giovane le stava riservando. Aveva accettato immediatamente l'invito dell'amico, non per chissà quale secondo fine, ma solamente con il desiderio di trascorrere una serata all'insegna di quella quiete che ormai andava ricercando. « Ancora non hai finito il disegno? Pensavo che mi sognassi perfino la notte, Hèbert. » Con fare estremamente femminile, Jasmine gli strizzò l'occhiolino approfittando del momento per bere un sorso del liquido ambrato che scaldava più di quanto non volesse ammettere. « Immaginavo una proposta indecente, e invece... Andiamo, non dirmi che hai bisogno ancora di me. Potrei accettare, e dico potrei, solamente se posso decidere che cosa indossare. Non mi alletta il fatto di dover rimanere ferma chissà quante ore... Ah, condizione necessaria affinché accetti è terminarlo per davvero questa volta. »
Theodor Hèbert
« Lo dici come se fosse una mia abitudine quella di accantonare i disegni, non potevo muovere il braccio! Come lo finivo, con i piedi? Mi mettevo la matita nel naso? » Così dicendo porta la cannuccia del suo drink all’altezza del naso e comincia a muovere il capo fingendo di disegnare arabeschi invisibili, incurante degli sguardi che può attirare su di sé. È vero che ha lasciato molti progetti inconclusi e in effetti alcuni non ha più intenzione di riprenderli; preferisce lavorare su nuove idee, almeno per ora, ma questo non significa che sia solito abbandonare le tele iniziate. Uno sbuffo dal naso segue le parole della bruna, specialmente per quella “proposta indecente” che Theo non sarebbe mai in grado di fare, benché il fascino dell’amica sia innegabile. « Solo nei miei incubi, Jas. » Strofina il volto mentre ragiona se accettare o meno quella clausola. Ha già ritratto modelli con abiti moderni, specialmente per lavori su commissione, e non si sente in grado di intraprendere progetti importanti dato che la mano sembra ancora dargli problemi. Non può fare lo schizzinoso, specialmente con dei modelli che nemmeno paga. « Va bene, porta allo studio almeno tre o quattro vestiti che pensi possano andare e ne sceglierò uno. »
Jasmine Persephone A. Harrison
Stuzzicare ecco cosa piaceva realmente alla veggente, vedere nel prossimo la reazione che scatenavano le di lei parole era un qualcosa di irresistibile per lei, e la reazione di Theo non tardò ad arrivare. Ella si ritrovò così a ridacchiare, un ghigno sardonico che impreziosiva il sorriso della venere nera che ora osservava con interesse le movenze dell'amico. « Ehi, potrebbe essere un'idea... » Commentò ridacchiando prima di prendere un sorso del proprio drink. Era una serata come tutte le altre, e l'intenzione era quella solamente di rilassarsi. Certo, chiunque altro avrebbe scelto un locale più tranquillo, ma Jasmine sapeva apprezzare quel locale dedicato solamente agli esseri sovrannaturali. Sapeva di poter essere se stessa, di non dover nascondere la propria natura, ma soprattutto sentiva di non doversi nascondere. « Oh, è dannatamente divertente stuzzicarti, lo sai? E comunque sarebbero incubi bellissimi. E vada per i vestiti, non ti deluderanno. Ma a parte questo, come stai? Il braccio? »
Theodor Hèbert
« Sì, ho intuito che la cosa ti diverte parecchio... » Non è per nulla offeso dai modi di Jas e quella sua naturale propensione che ha di giocare con lui come un gatto gioca con un topo; sa che non c’è alcuna cattiveria dietro, sono solo scherzi innocenti fra due amici di vecchia data. Prende tempo concedendosi un lungo sorso del suo drink fino ad arrivare al fondo del bicchiere, che aspira rumorosamente con la cannuccia senza troppo curarsi del galateo. Non sa bene come rispondere alla veggente senza mentirle spudoratamente, non vuole ammettere di essere ancora lontano dalla guarigione completa ma nemmeno sembrare uno a cui sta per staccarsi il braccio dalla spalla... certo avrebbe profondamente gradito se la folla non avesse deciso di passarci sopra, torcendolo e fratturandolo. Una cosa è sicura, ricorderà quell’ultima festa di halloween per sempre. « Sto meglio, seguo la fisioterapia due volte a settimana ma la dottoressa ha detto che presto potremo ridurre le sedute. Faccio gli esercizi a casa, mi comporto abbastanza bene... ma ho ripreso a dipingere. Solo dipingere, non ho ancora preso lo scalpello in mano, sto cercando di fare il bravo. » Inutile dedicarsi alla scultura quando perfino un pennello sembra pesare troppo nelle giornate no, tanto da far tremare la mano e rendendo impossibile qualsiasi tratto. Non lo dice, Theo, ma è terrorizzato all’idea di non riuscire a recuperare la precisione di un tempo... sarebbe la fine di un sogno e molto di più. « Tu piuttosto, che racconti? Cosa si dice nel mondo di Jasmine? »
Jasmine Persephone A. Harrison
Un sorriso più simile ad un ghigno divertito piegò le labbra della venere nera che ora osservava l'amico bere il suo cocktail. Sapeva che Theodor non se la sarebbe presa per quello stuzzicarsi che ormai era diventato all'ordine del giorno, ma sapeva anche quando era il momento di fermarsi. Mai in alcun caso la veggente avrebbe voluto mettere a disagio l'amico, e mai si sarebbe spinta a tanto. Le conseguenze della festa di Halloween erano ancora ben visibili in molti dei suoi amici, e solamente per una fortuna del caso lei stessa non era rimasta coinvolta in quello che era stato definito un semplice incidente. Osservò con più attenzione l'Hèbert prima di inclinare il capo, assumendo quella posa che usava quando aveva necessità di comprendere appieno ciò che le stava di fronte. « E questa è la versione ufficiale o ufficiosa? Devi semplicemente darti del tempo... Un passo alla volta. Dipingere è già un buon passo, no? » Sapeva quando la scultura fosse importante per Theodor, ma la veggente era anche convinta che tutto avesse bisogno del proprio tempo. Solamente dopo qualche istante, Jasmine prese un sorso del proprio drink e socchiuse gli occhi cercando il punto da cui cominciare. « Il mondo di Jasmine, eh? Potrebbe essere un'idea per il titolo di un libro... Io, le mie avventure, e la straordinaria sensazione che qualcosa di brutto debba capitare da un momento all'altro... Ma a parte questo mi divido tra le lezioni e gli allenamenti. »
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comeilsoletramonta · 3 years
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Senza pensier, la mia vita sarà
A inizio settimana mi è stato comunicato che il contratto non mi verrà prolungato al termine del tirocinio, la cui è fine è prevista per fine gennaio. Il motivo non è la mia incapacità, ma l’improvviso licenziamento di uno dei programmatori pilastro della ditta: senza di lui, parte del fatturato mensile viene a mancare e, considerando anche le spese di licenziamento e che dovranno cercare un sostituto, al momento non ci sono i liquidi per mantenere una social media marketer/copywriter/traduttrice (tutti titoli che non mi appartengono, tranne forse l’ultimo).
Ora, potrei fingere di essere disperata, che ci contavo sulla loro assunzione e che adesso non so più cosa fare e che il mio futuro è rovinato… Non è assolutamente vero. Io non mi trovo a mio agio in questa posizione e, se anche mi avessero offerto di continuare, non avrei accettato. Non sono ancora disposta ad incatenarmi ad un lavoro che non mi piace per avere uno stipendio.
Sono troppo idealista? Sicuramente, ma non mi interessa. Io so che non ho la forza di portare avanti qualcosa che non mi fa stare bene. L’ho fatto con le mie relazioni personali, l’ho fatto con lo studio e adesso lo faccio col lavoro. Se so che quella cosa mi logora, preferisco tagliare i ponti prima che mi distrugga completamente. Allora forse non si può parlare di ideale o di ambizione, ma di semplice autoconservazione e consapevolezza di sé.
Infatti, adesso che so che a fine gennaio sarò disoccupata, non ho più ansie e vivo le giornate lavorative con più serenità. Porto avanti i miei compiti e basta. Niente più paure di cazziatoni, niente più sudori freddi. Solo tranquillità, tanto è già tutto deciso.
Cosa farò dopo, non lo so ed è la prima volta che mi succede. Non mi sono mai veramente fermata da quando ho finito la scuola dell’obbligo: subito dopo la maturità ho cominciato l’università. A pochi mesi dalla laurea e con ancora la tesi da finire, ho iniziato il servizio civile in biblioteca e, prima di terminarlo, sono entrata nella redazione di un sito di libri ed ero già decisa a ricominciare l’università. Dopo un anno, ho capito che non era più il tempo degli studi accademici, così mi sono iscritta ad un corso per impaginatori di libri digitali. Il progetto prevedeva una parte di lezioni in presenza e uno stage di fine percorso, quindi non ho avuto tempo di rilassarmi. Solo la quarantena nazionale per il covid mi ha frenato per due mesetti, ma in realtà io continuavo a portare avanti la mia collaborazione con il sito e quindi avevo sempre qualcosa da fare. A giugno ho ripreso poi lo stage in smartworking a singhiozzi e, proprio quando lo stavo per concludere, sono stata contattata da questa ditta per un altro tirocinio. Ho finito così lo stage del corso, ho salutato la redazione e ho fatto una settimana di vacanza prima di cominciare questo tirocinio.
Questa è la prima volta che non so cosa succederà dopo che l’attuale impiego sarà terminato. Non ho progetti imminenti da portare avanti. Sarò completamente allo sbaraglio e questo mi piace: non ho l’ansia del “oddio, cosa faccio dopo”, ma ho solo voglia di prendermi quel tempo libero che mi si prospetta davanti. Forse mi sto fermando in ritardo, però sento di averne bisogno. Devo ricaricare le batterie, che sono attualmente scariche, e soprattutto devo pensare a cosa fare, cercare opportunità che mi stuzzicano. Non spero di trovare l’occasione della vita, ma almeno qualcosa che non mi faccia svegliare ogni mattina con la voglia di dare fuoco a tutto.
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intotheclash · 3 years
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"Che c'è, Pietro, non sai cosa dire?"
"No." Risposi con una vocetta appena udibile. Davvero non sapevo cosa cazzo dire. Guardai anche mia sorella, in cerca di una qualche illuminazione, di un appiglio qualsiasi, mi sarei aggrappato a tutto, pur di uscire indenne da quella pericolosa e niente affatto chiara situazione, ma lei rispose picche. Si voltò verso il televisore e mi lasciò solo contro tutti. Non voleva immischiarsi e non si sarebbe immischiata. Se se la prendevano con me, avrebbero lasciato in pace lei; la legge della giungla. Schifosa di un'egoista! Ma, alla prima occasione, me l'avrebbe pagata. Come si suona si balla.
"Allora, visto che non sai cosa dire," Iniziò mio padre, "Lo faccio io per te. Ti racconto la mia parte di storia, quella che ho dovuto ascoltare stasera, prima di cena. Dopodiché sarai tu a raccontare la tua e bada bene di raccontarla tutta. E soprattutto precisa. Se mi accorgo che mi stai fregando, o soltanto me lo fai pensare, ti darò una di quelle strigliate che te la ricorderai finché campi. E potrai anche dire addio ai tuoi amici per tutta l'estate, visto che non ti farò più uscire di casa. Ci siamo intesi?" Dovetti acconsentire. Non è che fossi poi tanto d'accordo, ma cosa potevo farci? Comandava lui! Lui prendeva le decisioni e io le subivo. Non avevo alternativa. Per quanto riguarda il dove volesse andare a parare era ancora buio totale. Dovevo pazientare.
"Stasera, prima di venire a cena," Iniziò, "mi sono incontrato al bar con Mario, il papà del tuo amico Sergio, abbiamo deciso di giocarci l'aperitivo a scopa. Una partita secca, chi perde paga, naturalmente. Consuetudine, lo facciano sempre. Ad un certo punto entra nel bar quella gran testa di cazzo dell'avvocato Terenzi..."
Quel cognome mi scoppiò in testa come una bomba a mano. Ora si che era tutto chiaro. Riuscivo a vedere solo disgrazie. Pensai al sangue che zampillava dal naso di Alberto Maria, il figlio dell'avvocato, pensai... Oh no! Peloroscio! Sembrava che si fosse ripreso, che stesse meglio quando lo avevamo lasciato al campo. Invece... Invece doveva essere morto, porco cane! Ecco perché mio padre era incazzato nero! Era finita! Sarei stato sbattuto in prigione per tutta la mia miserabile vita.  Probabilmente anche i carabinieri sapevano già tutto e stavano venendo a prendermi. Forse i miei amici li avevano già rinchiusi. Ero disperato, avevo voglia di piangere. Gli occhi mi si arrossarono e iniziò a tremarmi il labbro inferiore. Era finita! Il vecchio se ne accorse, fece un mezzo sorriso di vittoria e proseguì: "Vedo che non sei del tutto stupido, che stai iniziando a riflettere. Ma non è ancora il tuo turno di parlare, prima devo finire io. Dicevo: entra nel bar l'avvocato Terenzi. Un fatto strano, perché quel figlio di una puzzola è tirchio come un genovese di origini ebraiche e, là dentro, non ci mette mai piede, neanche per un caffè. La cosa ancor più strana, però, è stata che, appena entrato, si è diretto deciso verso il nostro tavolo. Sputava fiamme come un drago. Prima ci ha vomitato addosso una catasta di insulti, almeno dal tono sembravano insulti,  le parole non si capivano bene, quel borioso idiota parla una lingua che solo lui capisce. Ed è stata la sua fortuna, altrimenti sarei tornato a casa con una collana fatta con i suoi denti. Ma quando ha deciso di farsi capire, si è fatto capire bene e ci ha raccontato una storia. Una storia che tu dovresti conoscere bene e che, tra poco, sarai costretto anche tu a raccontare. L'avvocato ha detto che, giù al campo sportivo, tu e i tuoi amici siete saltati addosso a quel bastardo del suo adorato figliolo, lo avete caricato di botte e, non contenti, gli avete pure fregato il pallone. Adesso sta all'ospedale di Civita Castellana con il naso rotto e tutto gonfio. Un bel lavoro, non c'è che dire. Ha detto anche vi denuncerà tutti e a noi ci toccherà pagare una barca di soldi. Il Bastardo!"
Le lacrime trovarono finalmente la strada e sciamarono fuori. Un torrente di montagna dopo mesi di pioggia intensa. Portava con se un sacco di detriti, paura, rabbia, ma anche sollievo. A pensarci bene, soprattutto sollievo. Peloroscio non era morto e, per la seconda ed ultima volta nella mia vita, ne fui felice. Ero scampato di nuovo alla prigione. Subito dopo venne la rabbia. Ci mise un attimo a prendere il sopravvento.
"Non è vero!" Urlai "E' un bugiardo! Bugiardo lui e bugiardo suo figlio! Il pallone era mio. Quello che mi hai regalato tu, quello di cuoio. Noi stavamo già giocando, poi è arrivato il figlio dell'avvocato, insieme a Peloroscio e a Ringhio, mi hanno gettato in terra e mi hanno fregato il pallone. Il mio pallone, non il suo!
"Se le cose stanno in questo modo, allora avete fatto bene a suonargliele. Domani mi sente quel lurido verme! Erano pure in tre i figli di bagascia. E tutti più grandi di voi." Vidi lo sguardo del mio vecchio e capii che stava rispolverando l'idea della collana fatta con i denti dell'avvocato Terenzi. La cosa non mi dispiaceva affatto.
"Veramente, papà, non siamo stati noi a dargliele..."
"Ascolta, stronzetto, ho detto niente bugie! Cosa vorresti farmi credere? Che si sono picchiati tra di loro? Che il naso a quel prepotente figlio di prepotenti lo hanno rotto i suoi compari?"
"Non dico bugie! E non ho detto neanche questo! Il naso all'avvocatino lo ha rotto Pietro il Maremmano. E le ha suonate anche ai suoi amici. Anzi, solo a Peloroscio, perché Ringhio se l'è fatta sotto ed è rimasto paralizzato dalla paura." Dissi tutto d'un fiato.
Mio padre non ci stava capendo più un cazzo. Guardò prima me, poi mia madre, che lo mise al corrente su chi fosse questo Maremmano, che lui non aveva mai sentito nominare, né aveva idea di chi fosse figlio, o dove abitasse. Volse ancora una volta lo sguardo verso di me e, con una calma che proprio non gli riconoscevo, disse: "Ascolta, piccolo, raccontami di nuovo tutto daccapo, senza tralasciare nulla. Poi deciderò il da farsi." Ed io raccontai. Daccapo. Con dovizia di particolari. Dalla mattina. Raccontai delle biciclette, del pranzo, della partita e infine dello scontro. Il vecchio non mi interruppe mai. Si limitò a seguire il racconto, accompagnandolo con cenni di approvazione, o di disapprovazione, a seconda dell'evolversi degli eventi. Alla fine ero stremato. Stremato ma sollevato. Mi sentivo stranamente leggero. La paura era scomparsa. Mi sentivo bene.
La risata di mio padre piombò giù dalla cima del monte, come una valanga, con lo stesso frastuono e la stessa forza dirompente. Dapprima, io, mia madre e mia sorella, restammo pietrificati, poi ci lasciammo contagiare e fu risata liberatoria per tutta la famiglia. Non capivo bene cosa ci fosse tanto da ridere, ma me ne guardai bene dal protestare; poi era bello ridere tutti insieme. Non riuscivamo più a smettere e papà era quello che rideva più forte. Come suo solito, rideva e piangeva e menava delle manate sul tavolo e sulle mie spalle, facendomi anche male, ma non protestai.
"Certo che questo ragazzino deve essere un bel fenomeno!" Disse quando si fu calmato, "Hai detto che ha la tua stessa età, vero?"
"Si."
"E ha lisciato il pelo a tre ragazzi più grandi di lui?"
"Si."
"Davvero un bel fenomeno. Solo mi sfugge una cosa: nel frattempo, tu e quegli altri stronzetti dei tuoi amici, cosa facevate? Non gli avete dato una mano? Anche se, da quanto ho capito, non è che ce ne fosse bisogno. Casomai potevate darla a quegli altri tre perdigiorno!" E giù un'altra mitragliata di risate.
"No." Risposi molto timidamente.
"No? E perché no? Se le avesse buscate?" Era di nuovo serio.
"Perché avevamo paura! Lui non è di qui. Lui non sa come vanno le cose. Quelli erano più grandi e quelli grandi si approfittano sempre dei piccoli. Guai a protestare. Non era la prima volta che ci fregavano il pallone. Lo fanno sempre. E se ti azzardi a protestare, giù botte."
Aveva capito. Fece segno di si con la testa. Sicuramente anche quando era un ragazzino lui funzionava così. "Capisco, ci sono passato anch'io. E' così che va il mondo, perdio! Pesce grosso mangia quello piccolo. E' una legge di natura. Non ci sono santi. O, forse, no, sembra che il meccanismo si sia inceppato. Credo sia un buon segno." Sentenziò. Si alzò dalla sedia, si infilò una camicia a quadri sopra la canottiera d'ordinanza, mi fece l'occhiolino e: "Infilati una maglietta pulita e andiamo." Disse.
"Dove?" Chiesi. La paura stava tornando a farsi sotto. Non ero mai uscito con lui dopo cena.
"Voglio conoscere questo fenomeno del tuo amico. Subito."
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gloriabourne · 4 years
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The one where Ermal sleeps undressed
Un colpo di tosse. L'ennesimo.
Fabrizio si svegliò di scatto sentendo Ermal tossire accanto a lui.
Ormai era da qualche giorno che aveva quella fastidiosissima tosse che, oltre a non farlo dormire, si ripercuoteva sul suo lavoro.
E sul suo umore.
Odiava non poter andare in studio, non poter incidere i nuovi pezzi dell'album, questo Fabrizio lo sapeva bene ed era proprio per quello che aveva deciso di passare qualche giorno con lui.
Sperava che almeno così il suo umore migliorasse.
Ma sembrava non essere migliorato niente. Né il suo umore, né la sua salute.
Fabrizio si sporse verso l'interruttore e accese la luce. Si stropicciò gli occhi per qualche secondo e disse: "Vuoi un po' d'acqua?"
Ermal scosse la testa. "No. Vorrei solo che questo mal di gola passasse in fretta."
Si passò una mano tra i capelli, spostandoli dagli occhi, e sbuffò.
Aveva voglia di tornare in studio, di finire il disco. E invece era a letto, con la gola che gli bruciava e la tosse che non lo faceva dormire.
Fabrizio lo guardò dispiaciuto - in fondo odiava vedere Ermal così - ma non poté impedirsi di dire con tono scherzoso: "Un po' però te lo meriti. Guarda come dormi!"
Effettivamente Ermal, almeno da quando frequentava Fabrizio, aveva iniziato a dormire sempre più spesso senza vestiti.
Era iniziato tutto un po' per caso, per colpa della stanchezza che lo coglieva appena finito di fare l'amore e che gli impediva di restare sveglio il tempo necessario per rivestirsi. E a un certo punto era diventata semplicemente un'abitudine.
Se, almeno all'inizio, aveva giustificato il suo addormentarsi completamente nudo con un: "Sono troppo stanco per mettermi a cercare i vestiti che mi hai tolto poco fa", con il tempo non aveva più nemmeno tentato di dare spiegazioni.
E doveva ammettere che dormire senza nulla addosso e con le coperte che il più delle volte cadevano a terra - o venivano rubate da Fabrizio - sicuramente influiva sulla sua salute.
Ripensò a quando, da piccolo, sua nonna lo sgridava perché era convinta che ogni volta che si ammalava fosse colpa della felpa che aveva rifiutato di indossare o delle coperte che aveva scalciato via malamente durante la notte.
Gli diceva sempre: "Ti ammali perché dormi con il culo scoperto."
Ed evidentemente, visto come stavano le cose, la nonna ci aveva visto lungo.
Certo, forse lei lo intendeva in modo un po' meno letterale.
"Sai, mia nonna mi rimproverava sempre per lo stesso motivo" disse Ermal, sorridendo al ricordo.
"E aveva ragione!"
"Non pensavo ti dispiacesse così tanto che dormissi così" gli fece notare Ermal, mentre Fabrizio gli lanciava un'occhiata di rimprovero.
"Non ho detto che mi dispiace. Sarei un pazzo a dire che mi dispiace vederti così" disse Fabrizio, prima di intrufolare una mano sotto le coperte e farla scorrere sulla pelle nuda del compagno.
Ermal mugolò in segno di approvazione, rotolando su un fianco e finendo per sdraiarsi sulla pancia.
La testa affondata nel cuscino, gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra fecero capire a Fabrizio quanto stesse apprezzando quelle carezze.
Il più grande continuò a far scivolare le proprie dita su e giù lungo la schiena del compagno, accarezzandolo delicatamente.
La pelle di Ermal era morbida e liscia, nonostante Fabrizio fosse consapevole delle numerose cicatrici che la puntellavano.
Eppure era come se sotto le sue dita quelle cicatrici sparissero, come se lui fosse balsamo per la sua pelle.
Ermal sospirò quando sentì le carezze diventare più audaci e le dita di Fabrizio posarsi sui suoi glutei, sfiorandoli brevemente prima di risalire e riprendere il loro percorso.
"Ancora" mormorò quando si accorse che Fabrizio stava per spostare la mano.
Non voleva che quella dolce tortura finisse. Anzi, sperava con tutto sé stesso che portasse a conseguenze ben più piacevoli.
Fabrizio sorrise soddisfatto.
Si fece più vicino a Ermal e scostò leggermente le coperte, il tanto che bastava a esporre la sua schiena nuda.
Continuò ad accarezzarlo piano, delicatamente, come se sotto le sue dita ci fosse la corda della sua amata chitarra. E poi si sporse verso di lui, posando le labbra negli stessi punti in cui un attimo prima erano passate le sue dita.
Continuò a farlo per un po', tracciando linee immaginarie prima con le dita e poi con le labbra, fino a quando si accorse che Ermal non sembrava più così tranquillo come fino a un attimo prima.
"Che succede?" chiese con un po' di preoccupazione, mentre Ermal sembrava impegnato a trovare una posizione comoda.
"Succede che inizio a stare scomodo così. Soprattutto perché sono eccitato" ammise il più giovane.
La sua erezione premeva contro il materasso, provocando una piacevole frizione ma anche rimanendo fastidiosamente schiacciata.
"Allora forse dovrei aiutarti a risolvere la situazione" disse Fabrizio, avvicinando la bocca all'orecchio di Ermal e poi lasciandogli un bacio appena più in basso, sul collo.
Intanto aveva ripreso ad accarezzarlo con delicatezza, facendo scorrere la mano sulla sua schiena fino ad arrivare ai glutei.
E pensare che Ermal si lamentava sempre di avere un fondoschiena praticamente inesistente. A giudicare da come le sue natiche riempivano le sue mani, di certo Fabrizio avrebbe avuto qualcosa da ridire al riguardo.
Ermal sospirò sentendo le dita di Fabrizio spostarsi sulla sua pelle, fino a raggiungere un punto più nascosto, e del tutto involontariamente allargò le gambe per lasciargli più spazio.
Fabrizio sorrise soddisfatto.
Nonostante stessero insieme da un po', era ancora sorpreso di vedere come Ermal si lasciasse totalmente andare tra le sue mani.
Avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa e lui non avrebbe opposto resistenza.
Lo accarezzò lentamente, sentendo la sua fessura contrarsi impaziente sotto le proprie dita.
Sapeva che Ermal voleva di più, che stava iniziando a diventare insopportabile quella situazione, e non vedeva l'ora di accontentarlo. Ma non subito.
Ermal era stanco e stressato per quella situazione, frustrato per quel mal di gola che lo teneva lontano dal suo studio, e Fabrizio voleva fare tutto il possibile per farlo sentire meglio almeno per un po'.
Continuò a toccarlo, ma senza mai spingersi oltre quello stretto anello di muscoli, fino a quando Ermal - desideroso di avere di più e contrariato perché Fabrizio non sembrava intenzionato ad esaudire i suoi desideri - si mosse tendendosi verso di lui, sollevando il fondoschiena e rendendo palese la sua volontà di essere toccato più a fondo.
"Ora ci penso io a te" disse Fabrizio a quel punto, soddisfatto e orgoglioso che Ermal cercasse in tutti i modi di avere ulteriori attenzioni.
Ermal d'altra parte, per quanto odiasse farsi vedere così vulnerabile e sottomesso, non poté fare a meno di gemere quando sentì le mani di Fabrizio posarsi sulle sue natiche.
Lo conosceva bene e soprattutto stava con lui da parecchio tempo, quindi sapeva perfettamente cosa sarebbe accaduto dopo. Sapeva perfettamente cosa aspettarsi e, a dirla tutta, non vedeva l'ora.
Fabrizio, come sospettava Ermal, si abbassò su di lui, posando le labbra sulla sua pelle morbida, lasciando baci e morsi. Tracciò una scia umida con la lingua e, tenendogli separate le natiche con le mani, proseguì il percorso fino ad arrivare alla sua apertura.
La leccò con fare esperto, mentre Ermal continuava a gemere senza controllo.
Quello, però, non era che l'inizio. Era solo una piccola di parte di ciò che Fabrizio avrebbe voluto fare a Ermal, di ciò che aveva intenzione di fare da lì a poco.
Si scostò giusto il tempo di portarsi un dito alle labbra e succhiarlo il più rapidamente possibile, mentre Ermal iniziava a lamentarsi per la mancanza di un contatto. Quando fu convinto di averlo bagnato a sufficienza lo avvicinò all'apertura del compagno - ancora inumidita dalle attenzioni di poco prima - e lo introdusse al suo interno con facilità.
Ermal sospirò soddisfatto mentre Fabrizio introduceva un secondo dito e iniziava a sforbiciare, cercando di allargare la sua fessura.
Accadeva più raramente di quanto avrebbe voluto, motivo per cui Ermal era intenzionato a godersi quel momento il più possibile.
Solitamente era sempre il contrario tra loro. Non perché avessero fatto qualche discorso assurdo sulle loro preferenze, ma semplicemente perché era successo.
Con il tempo Ermal aveva imparato a capire cosa volesse Fabrizio, cosa gli piacesse in certe circostanze, e aveva fatto di tutto per accontentarlo. E di certo non era dispiaciuto, però non poteva negare che ciò che stava accadendo in quel momento - e che non accadeva spesso, non a lui almeno - era qualcosa di cui aveva sentito la mancanza per troppo tempo.
Gemette quando le dita di Fabrizio gli sfiorarono la prostata e lo supplicò di non smettere, di toccarlo ancora nello stesso punto.
Ma Fabrizio, ormai soddisfatto della preparazione riservata al compagno, non lo ascoltò.
Spostò le dita, mentre Ermal - con il sedere completamente esposto e alla ricerca di un contatto più profondo - soffocava un lamento nel cuscino.
"Non fare i capricci" disse Fabrizio divertito, mentre aveva iniziato a masturbarsi svogliatamente per lubrificare la propria erezione con il suo stesso liquido preseminale.
A pensarci bene, era una fortuna che entrambi avessero preso quell'abitudine di dormire svestiti. Fabrizio non era certo che avrebbe potuto perdere altro tempo, in quelle condizioni.
"Ho tutto il diritto di fare i capricci" borbottò Ermal, anche se sapeva perfettamente per quale motivo Fabrizio avesse smesso di toccarlo.
Sapeva perfettamente che da lì a poco si sarebbe sentito riempito da qualcosa di ben più grosso delle dita del suo fidanzato, sapeva perfettamente che il meglio doveva ancora arrivare.
Eppure non poteva che essere contrariato per quell'improvvisa assenza proprio nel momento in cui aveva iniziato a godersi l'attimo.
"Sai che mi farò perdonare" disse Fabrizio. Poi, senza dare a Ermal il tempo di replicare, lo penetrò con una spinta secca.
Ermal si lasciò sfuggire un gemito sorpreso, prima di pizzicarsi il labbro inferiore tra i denti per non gemere ulteriormente.
Di certo, Fabrizio sapeva come trattarlo. Sapeva quando prendersi cura di lui con delicatezza e dolcezza, e quando invece andare dritto al punto senza preoccuparsi troppo.
Ermal lo amava soprattutto per quello, per quella sua capacità di capire come comportarsi nei suoi confronti senza chiederglielo, per il modo che aveva di leggergli dentro e di capire se in quel momento avesse bisogno di essere trattato con i guanti di velluto o se meritasse qualcosa di meno delicato.
In realtà Fabrizio non era così convinto di capirlo del tutto.
Ogni sua azione nei confronti di Ermal era dettata dall'istinto ma non era mai certo che fosse la cosa giusta.
Con un gesto troppo dolce temeva sempre che Ermal lo avrebbe rimproverato di trattarlo con troppa delicatezza, di farsi condizionare dal suo passato e di comportarsi come se avesse paura di romperlo.
Al contrario, con un gesto troppo brusco temeva che Ermal avrebbe reagito male, proprio a causa del suo passato.
Non sapeva mai quale fosse la scelta giusta, e alla fine si era ridotto a lasciarsi guidare completamente dall'istinto con la speranza che fosse la cosa giusta.
Anche in quell'istante, mentre stringeva con forza i fianchi di Ermal e si spingeva in lui, temeva che fosse sbagliato. Ma Ermal sembrava gradire le sue attenzioni, fortunatamente.
Gemeva ormai incontrollabilmente ad ogni spinta, ogni volta che Fabrizio colpiva il centro del suo piacere.
E come se non bastasse in quella posizione - con il fondoschiena completamente esposto e il resto del corpo premuto contro il materasso - la sua erezione continuava a sfregare contro la stoffa delle lenzuola, sempre di più a ogni spinta di Fabrizio.
Se Fabrizio non lo avesse toccato come era solito fare quando si trovavano in quella situazione, Ermal era certo che non sarebbe stato un problema. Di quel passo sarebbero bastate poche altre spinte e il contatto del lenzuolo contro la sua pelle per fargli raggiungere l'orgasmo.
Fabrizio però, sempre attento ai bisogni del fidanzato, spostò una mano dal suo fianco, facendola scivolare verso la sua intimità.
Ermal sospirò soddisfatto sentendo le dita di Fabrizio avvolgere la sua lunghezza e iniziare a toccarlo, prima lentamente e poi sempre più rapidamente, fino a raggiungere il ritmo delle sue stesse spinte.
Ermal gemette spingendosi indietro, andando incontro alle spinte di Fabrizio, fino a quando ormai esausto e senza più alcuna capacità di resistere, si riversò nella mano del compagno e sul letto.
I gemiti di Ermal, sentirlo svuotarsi nella sua mano e stringersi attorno a sé, fu tutto ciò di cui Fabrizio ebbe bisogno per raggiungere l'orgasmo, riversando la sua essenza nelle profondità del compagno.
Cercò di riprendere fiato senza crollare esausto addosso a Ermal, il quale sembrava stanco e spossato almeno quanto lui.
Attorno a loro regnava un silenzio innaturale, nulla di vagamente simile ai sospiri e ai gemiti che avevano occupato la stanza fino a un attimo prima, e per un attimo Fabrizio ebbe l'impressione che gli fischiassero le orecchie per tutto quel silenzio.
La storia del silenzio assordante non era altro che un ossimoro, eppure in quel momento Fabrizio lo capiva davvero.
Era la sensazione di sentire improvvisamente il silenzio dopo aver sentito tanto rumore. Un cambiamento repentino che rende assordante anche la totale assenza di suoni.
Ancora leggermente frastornato, Fabrizio si scostò da Ermal e rotolò al suo fianco, lasciandosi cadere sul materasso.
Ermal, steso accanto a lui, sbuffò sonoramente nascondendo la faccia nel cuscino.
"Che c'è?" chiese Fabrizio voltandosi verso di lui.
"Dovrei alzarmi" mormorò Ermal.
Fabrizio gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino. Segnava le 4:15.
"È notte fonda. Che devi fare?"
"Una doccia, tanto per cominciare. E cambiare le lenzuola, non possiamo continuare a dormire in questo schifo."
In effetti, Fabrizio doveva ammettere che Ermal non aveva tutti i torti.
"Va bene" disse sollevandosi leggermente e facendo leva sugli avambracci. "Vai a farti la doccia, io intanto cambio le lenzuola."
Ermal annuì, alzandosi un attimo dopo mentre l'ennesimo colpo di tosse gli faceva tremare il petto.
Fare l'amore con Fabrizio lo faceva sempre stare bene, ma non era la cura per tutto evidentemente.
Si avviò verso il bagno senza preoccuparsi nemmeno di prendere dei vestiti puliti, mentre Fabrizio recuperava dall'armadio delle lenzuola pulite.
Era già uscito dalla camera quando sentì la voce del più grande richiamarlo.
Si affacciò nuovamente nella stanza, curioso di sentire cosa Fabrizio volesse dirgli.
Lui lo fissò per un attimo, squadrando attentamente ogni dettaglio del suo corpo, e poi con un sorrisetto stampato in faccia disse: "Tua nonna ha ragione a dire che ti ammali perché dormi con il culo scoperto. Però devo dire che a me non dispiace affatto."
"Cretino" borbottò Ermal tornando verso il bagno.
Anche se in fondo nemmeno a lui dispiaceva poi così tanto.
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Un messaggio per la mia nuova lei:
Ehi non so dove tu sia ma so che presto ti farai viva,
Non sai quante cose ho da raccontarti è sicuramente anche tu ne avrai passate di tutti i colori,
So che in questo periodo non mi conosci o non mi stai notando per il mio aspetto e non ti biasimo, è passato troppo poco tempo dalla mia rinascita, devo ancora perdere 20kg dei 30kg iniziali e non mi perdo di speranza visto che questi 10kg mancanti li ho persi in 22 giorni e non c’è giorno in cui io non pensi al mio obiettivo finale,
Non vedo l’ora di poterti abbracciare,
Non vedo l’ora di poterti tenere stretta tra le mie braccia su un divano, in macchina, al cinema e ovunque,
Non vedo l’ora di chiamarti per nomignolo che poi ti darò tipo un bi, fe, mo; bho poi vedró,
Non vedo l’ora di progettare le mie serate con te, la serata Netflix, la serata giochi, la serata studio, la serata fuori a cena e quante più ne vorrai,
Non vedo l’ora di farti conoscere la mia famiglia e per farti capire quanto siano un rifugio sicuro anche per te già dai primi momenti,
Non vedo l’ora di condividere tutto con te perché si, ciò che è mio sarà sempre anche il tuo,
Non vedo l’ora di vederti gelosa, di vederti col mio telefono in mano che cerchi invano modi per arrabbiarti, ma capirai presto quanto io sia fedele visto che nella mia testa voglio solo te,
Non vedo l’ora di passare le nottate a telefono con te, a vedere come ti addormenti accanto a me dicendomi di non guardare perché ti credi brutta ma che per me sarai sempre l’immagine più bella del mondo,
Non vedo l’ora di stare nel letto insieme a leggere due libri differenti e ad un certo punto tu ti butti su di me e sappiamo tutti che in quel momento quel libro verrà scaraventato a terra e ripreso il giorno seguente,
Non vedo l’ora di svegliarti con un mio messaggio o di svegliarmi con un tuo di messaggio, mai risveglio più bello,
Non vedo l’ora di vestirci eleganti per andare ad una festa e splendere in mezzo a tutti gli invitati e far invidia a tutti quelli che vorrebbero essere come noi,
Non vedo l’ora di venirti a prendere sotto casa e dirti quanto tu sia bella senza trucco,
Non vedo l’ora di tornare attivo sui social come un tempo e mettere foto mie e tu inizierai ad ingelosirti e a chiamare zoccola qualunque ragazza metta mi piace,
Non vedo l’ora di andare a fare shopping insieme, dirti quanto stai bene con un vestitino e di quanto vorrei strappartelo addosso nello stesso momento,
Non vedo l’ora di portarti il McDonald’s a casa a te e alla tua famiglia e vederti con la gioia agli occhi perché non te lo aspettavi,
Non vedo l’ora che tu mi dica che io ti voglia grassa per tutte le volte che ti porterò del cibo quando l’unica cosa che vorrò e che tu sia felice sempre e che ti amerei anche con la pancetta,
Non vedo l’ora di vedere che ti sei preparata è fatta più carina per me anche se sai che pure col pigiama io ci farei l’amore tutto il giorno con te,
Non vedo l’ora di vederti impanicata per un regalo che magari mi dovrai fare e sarai disperata anche se saprai che il regalo più grande sarai sempre tu ogni giorno,
Non vedo l’ora di vedere un tuo messaggio lungo in cui mi racconterai tutte le tue emozioni e di quanto la vita sia stata altruista a farci incontrare,
Non vedo l’ora di unirmi alla tua compagnia e poi di farti conoscere la mia... sono dei soggettoni fidati, ti divertirai e non poco 😂
Non vedo l’ora di visitare posti sconosciuti insieme, andare in posti dove parla solo la natura o solo il mare, rilassarci e stare insieme a fare un pic-nic o un bel bagno,
Non vedo l’ora di progettare il nostro futuro, esaudire i sogni di entrambi, viaggiare e girare il mondo sempre insieme, mano nella mano,
Non vedo l’ora di svegliarci presto e andare a fare colazione io e te sul motorino, non riesco ad immaginare una mattinata migliore,
Non vedo l’ora di dormire insieme e accarezzarti i capelli nel sonno e di poterti svegliare il giorno dopo con un bacio, un buongiorno e un caffè,
Non vedo l’ora di parlarti dei miei progetti e del mio percorso e di quante cose io abbia potuto apprendere in questo periodo e di quanto io sia potuto crescere e maturare,
Non vedo l’ora di cantare 1000 canzoni con te in macchina e di dedicartene altrettante,
Non vedo l’ora di vederti vestire davanti a me e nel momento in cui metterai quei jeans sai benissimo che mai te li farò mettere e ogni volta che ci proverai saró sempre lì pronto ad impedirtelo 🌚
Non vedo l’ora di vederti arrivare a casa mia senza nessun preavviso e di voler star con me tutta la giornata e sentirti dire che ti sono mancato,
Non vedo l’ora di allenarci insieme e fare esercizi combinati e vederti fiera di ciò che ho fatto in tutto questo tempo,
Non vedo l’ora di passare un intera giornata con te in una spa a rilassarci,
Non vedo l’ora di porterti suonare e dedicare qualcosa al pianoforte,
Non vedo l’ora di mandarti post stupidi su Instagram dove so di averti strappato una risata e in quel momento sapró di aver fatto la cosa più bella del mondo,
Non vedo l’ora di fare infiniti giri con te all’ikea, al centro commerciale, al parco o in un altra città,
Non vedo l’ora di portarti in braccio fino alla macchina perché sarai stanca di camminare,
Non vedo l’ora che tu mi faccia i succhiotti anche se io cercherò di impedirtelo ma tu ti ostinerai a volerli fare perché vuoi che la gente sappia che sono solo tuo,
Non vedo l’ora di giocare con il tuo seno e il tuo culetto in modo che anche loro possano essere battezzati da me come io lo sono stato con te 😋
Non vedo l’ora di prestarti la mia felpa anche se tu già ne avrai una ma vorrai a tutti i costi la mia perché ti piacerà e ti sentirai più protetta,
Non vedo l’ora di farti vedere il mio guardaroba nuovo e tranquilla, già lo so che la metà della roba lì dentro sarà tua 🧐
Non vedo l’ora di baciarti e mentre ti tengo le mani sulla schiena tu me le sposti un po’ più in basso,
Non vedo l’ora di stare nel letto insieme a te e sentirti mia soltanto; e si certo te li faccio i grattini 😜
Non vedo l’ora di vederti trionfare per un tuo successo che sia lavorativo o universitario e di festeggiare insieme 😏
Non vedo l’ora di vederti che prendi la rincorsa da dietro per potermi abbracciare e saltare sulle spalle,
Non vedo l’ora di aiutarti per poter risolvere un problema perché sappi che sarò sempre lì non solo come fidanzato ma anche come amico e spalla destra,
Non vedo l’ora di darti più di quanto ogni uomo nella tua vita ti abbia potuto dato, saró pronto a tutto ogni giorno per farti stare bene,
Non vedo l’ora di condividere con te le mie nuove passioni, parlarti del mio passato e di quante cose stupide io abbia fatto e di quanto voglia farne altre ma con te al mio fianco 🥰
Non vedo l’ora di sentirti dire che sono bello, che mi metti le mani nei capelli e piano piano ci iniziamo ad aggrovigliare e ci sposteremo per andare in un posto più buio,
Non vedo l’ora, ma veramente non vedo l’ora di guardarti nei tuoi splendidi occhi e vedere che sei felice, che sorridi, che ti faccio bene, che la mia compagnia è indispensabile, che faresti di tutto per me, che ti senti innamorata, che ringrazi sempre il giorno in cui ci siamo conosciuti e che giorno dopo giorno mi ami sempre di più,
Eh infine non vedo l’ora di amarti;
Amarti per quello che sei, per quello che vorrai diventare, amare i tuoi progetti, amare le persone attorno a te, amare ciò che pensi, amare i tuoi vizi, amare le tue voglie, amare i tuoi difetti, amare ciò che ti sei guadagnata da sola, amare i tuoi animaletti e amare ogni parte del tuo corpo, perché ricorda, se c’è una cosa che ho imparato come fare in questo periodo è amare, quindi tu non preoccuparti e non aver mai paura perché qualsiasi cosa succeda io sarò lì pronto perché nulla è più importante di te.
Il tuo futuro Simone 💘
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strozzalupo · 5 years
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Ho parlato mesi fa della fine della mia relazione. Erano passati 20 mesi e non sapevo che pochi giorni dopo quella relazione avrebbe ripreso a battere. Fino ad oggi, 5 mesi dopo.
Immagino che rottura di coglioni debba essere per chi ancora mi legge qui.
Mi spiace.
Potrei scrivere mille righe su cosa è stata questa relazione e su quanto stia male e su quanto sia pietosa l'immagine di un 27enne barbuto che piange sul letto, ma invece farò qualcosa di divertente che magari lì per lì mi distruggerà ulteriormente, ma magari domani mi servirà.
Scriverò un elenco disordinato di cose che amavo e che mi sembravano stupide fino ad oggi.
...
Tu che torni a casa mia nel weekend o anche dopo solo due giorni, arrivi sulla soglia e ti metti in una sorta di "attenti", dici ciao con la tua voce dolcissima da bambina e senza mollare il borsone mi stringi in quei tuoi abbracci infiniti e mi impedisci di staccarmi finché non sei soddisfatta.
Tu che inizi a fare facce strane quando stai per fare qualcosa di ridicolo o profondamente da ruffiana. Come quando a letto stiamo parlando e mi afferri un braccio con nonchalance solo per poi girarti e metterti "a chiocciolina" cioè con la tua schiena contro al mio petto.
La chiocciolina.
Sentirti alzare il volume della TV senza motivo per poi vederti sgattaiolare verso il bagno col telefono in mano.
Che poi era il nostro segnale universale per dirci "sto andando a fare la cacca".
Il tuo concludere tutte le frasi indignate con "ti pare?!?". Questo non te l'ho mai detto, ti ho sempre detto che c'era una cosa che mi faceva morire di te ma avevo paura che dicendotela smettessi di farla in quel modo così ironico. Ora la sai.
Il tuo pulirti il naso che cola sulla maglietta quando piangi. Puntualmente la maglietta che usi per stare e puntualmente una maglietta mia. Tant'è che spesso ti lanciavo un'occhiataccia e finivamo a ridere per questo motivo.
Tu che ti alzi per andare in cucina a preparare dell'acqua e menta. Mi chiedi se ne voglio anche io e quando confermo ti vedo arrivare con un bicchiere mezzo vuoto perché nel tragitto non sei riuscita a trattenerti dal berne un po'.
Tu che per farmi capire che vorresti cenare trovi mille giri di parole in modo che sia io a proporre di iniziare a cucinare.
Tutta l'infinita storia sui tuoi piedi, sul fatto che li ho sempre trovati patetici e il tuo vizio di metterli ovunque quando meno me l'aspetto.
Tu che hai bisogno di contatto fisico anche quando siamo nel letto a 20cm di distanza. Doveva per forza esserci un piede o un dito o un gomito attaccato al mio corpo e quando finalmente lo piazzavi lì e me ne accorgevo, te ne uscivi con "c'è contatto!"
Tu che quando siamo in bici durante le discese senti il bisogno di fare vrrooooom vrooooooom fingendo di essere in moto.
Tu che quando sono concentrato su qualcosa inizi a muoverti impercettibilmente per attirare l'attenzione e quando finalmente ti guardo con la coda dell'occhio impazzisci e dici "mi hai guardatooo"
Tu che ami le colazioni e se per caso ti alzi prima di me ne fai pure due. La seconda ovviamente solo per farmi compagnia, mica perché sei golosa.
Tu e il tuo disordine. Tutto lasciato in giro, sempre.
Tu che quando ti chiedo se qualcosa è fuori posto perché hai combinato qualcosa, non rispondi sì o no, rispondi "perché?" con già l'ansia nella voce perché sai di essere stata beccata.
Tu che le cose non ti piacciono finché non te le faccio piacere io. Poi le adori.
Tu che quando mi preparavi il sacchetto col pranzo mettevi anche dentro un tovagliolino. Una stupidaggine che mi faceva sempre sorridere.
Tu che giocavi ai miei videogiochi e poi ti appassionavi.
Le storie che ci inventavamo.
Una sera mi vedevo ingrassato da morire e mi improvvisai in una danza auto denigratoria dicendo parole tipo "fat", "chubby" e "curvy" a ritmo di musica. Da quel giorno, ogni volta che uno dei due diceva "fat", anche se eravamo per strada, iniziavamo a fare lo stesso balletto.
Tu che amavi venire al pub a vedere le partite.
Il tuo essere stonata come una campana e la tua passione per i karaoke, che quando ti mettevi a cantare a casa poi concludevi con "grazie, grazie" rivolta ad un pubblico immaginario e io che ti guardavo sognante e con ironia sussurravo "oh mio dio, è un usignolo...." oppure "che voce angelica.."
Il tuo immedesimarti troppo in tutti i personaggi di qualsiasi cosa guardassimo, leggessimo o giocassimo. Per lunghi periodi sei stata un'allenatrice di pokèmon, una strega, una gangster di Birmingham, Joker (?) e un sacco di altre cose.
Il fatto che ti addormentassi in meno di due minuti non appena ti abbracciavo. Anche se per qualche motivo non eri riuscita a dormire fino a quel momento.
Tu e le tue canzoncine per qualsiasi cosa.
Tu.
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wendymotorcycle21 · 4 years
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La bestia nera. La DPP ESISTE E UCCIDE.
Un bambino di cinque mesi è stato ucciso da sua madre, a causa dello scuotimento eccessivo. Una fragile vita spezzata, e un’altra, completamente a pezzi, distrutta, senza possibilità di redenzione. C’è chi la chiama assassina. Ma nessuno può sapere veramente cosa sia successo nella mente di questa donna, ve lo garantisco. Andiamo con calma. 
Questo non è un trattato di psicologia né niente di lontanamente simile. È il racconto di una persona che ha attraversato momenti molto difficili e incontrato mostri impossibili da sconfiggere del tutto. È molto lungo e prolisso, quindi accomodati e leggi con calma.
Iniziamo dal presupposto che ogni persona è diversa, ogni donna è diversa. Non esiste un manuale o un metodo univoco e universale su come essere madri né su come essere donne durante i primi mesi di vita del proprio figlio, in barba a tutti i corsi pre-parto e alle centinaia di libri a tema maternità letti in attesa di mettere al mondo la nostra creaturina. Un grosso problema di noi umani è che idealizziamo tutto: predisponiamo il nostro nido d’amore, il lettino, il fasciatoio, i completini, la borsa dell’ospedale; passiamo le ore a guardare siti internet per il miglior seggiolino, il miglior passeggino, la fascia portabebé, addirittura per lo svezzamento, paraspigoli ovunque, compriamo i pannolini di tutte le taglie esistenti per andare sul sicuro, e la nostra isoletta felice con un pargolo idealmente perfetto prende forma. Già ci vediamo lì, rilassate, con i capelli decenti e sorridenti, accomodate sulla poltrona messa appositamente per allattarlo in cameretta con il cuscino allattamento, e tutto va liscio come l’olio. Nel nostro sogno d’amore il bebè mangia, fa il ruttino, si addormenta nella sua culletta e noi ci possiamo dedicare a noi stesse. Ma tutto questo, in realtà, non esiste. E se esiste i casi sono due, o siete la Ferragni e avete una super nanny/ostetrica a domicilio H24 che sa come consolare i pupi più inconsolabili, o avete solo un gran culo che comunque, sappiatelo, non durerà.
Poi arriva il momento tanto atteso, il parto. L’ospedale, il parto, ed eccovi belle zozze di sangue con il vostro sgorbio (perché, detto onestamente, appena nati non sono sta gran bellezza: chi dice il contrario MENTE) addosso. Nella migliore delle ipotesi il papà, la nonna o chi per essi lo laverà seguendo le indicazioni delle ostetriche, e ve lo riporterà bello lindo, profumato e vestito, mentre voi... beh, voi mamme sticazzi, vi dovete arrangiare. Puzzate di sudore, o siete sporche di sangue? Fatti vostri. Se avete qualcuno che vi aiuta a lavarvi (e qualcuno che vi tenga il piccolo - non è detto che ve lo tengano nella nursery) bene, altrimenti, zero. Le visite dei parenti, gli accertamenti, le torte di pannolini. Magari già le prime ragadi al seno per un attacco scorretto e le ostetriche che, al posto di aiutarti, sbuffano e ti liquidano con sufficienza se chiedi loro delucidazioni. 
Ecco, non sono in grado di allattare mio figlio, il capezzolo inizia a sanguinare. Come farò a fare tutto il resto? Sono anche bloccata a letto a causa dei problemi che mi dà la ferita del parto. Ecco che in una manciata di ore il sogno d’amore è andato completamente in pezzi, e non ho neanche la forza di raccoglierne i cocci. Un senso di impotenza e inadeguatezza inizia a farsi strada, e il nano è nato da neanche un giorno. ‘nnamo bene, proprio bene, direbbe De Sica.
Con non poche difficoltà finalmente ce ne andiamo a casa. E le difficoltà sono appena iniziate, per me. Il bambino non prende peso, esame delle urine (a un neonato di quattro, QUATTRO giorni), del sangue e anche a me giusto per stare sereni. E pure il vaccino antirosolia a me, che pur essendo favorevolissima, avere la febbre era l’ultimo dei miei desideri in quel periodo. Se avessi avuto un indicatore dello stress in quei giorni, sarebbe stato oltre la stratosfera. Ho abbastanza latte? Si attacca bene? Non capisco, si attacca letteralmente ogni 30 minuti, piange come un’aquila, inconsolabile. Ha solo 24 giorni, non ha ripreso i grammi persi dal calo fisiologico. L’ittero è passato ma niente, il pediatra ci liquida in 10 minuti con un foglietto: aggiunta 120ml ogni pasto di latte plasmon 1. E che roba è, penso io. L’ostetrica del consultorio non è d’accordo: continua ad allattare, e tutto andrà bene. Ma sta figliola non prende peso, io non riesco ad alzarmi dal letto, sono sempre sola a casa, sono bloccata a letto con la bambina e ogni movimento necessario alla sopravvivenza (mangiare io; fare pipì, prendermi cura della ferita, cambiarle il pannolino) è una sofferenza indicibile. Certo, prima o poi guarirà. Ma intanto mi sento uno schifo, vedo altre mamme prendersi cura dei loro piccoli in maniera ineccepibile, da manuale, sempre in ordine, sorridenti, con i capelli in ordine. Io non indosso una tuta né niente che non sia un pigiama dal giorno del parto, a fatica sono riuscita a lavarmi lo stretto indispensabile, mi sento ripugnante, il mio corpo è deformato. Chissà quando ritornerò ad avere una routine normale, un aspetto normale, ad essere bella per mio marito?
Sento che l’ombra avvolge la mia mente, piano piano. Lento, ma inesorabile. Il mio mondo ideale non ha preso vita, la mia mente non lo accetta, e come ogni essere umano a cui tutto crolla addosso cerco un colpevole. Chi è il colpevole? Non io, di sicuro. Ho fatto ciò che dovevo, ho preparato la casa, ho fatto la borsa per l’ospedale... la colpa è senz’altro del bambino. Sì, dev’essere così, è così. Dovevo esserci io al posto di quelle mamme perfette. Di sicuro hanno solo avuto più culo di me, avranno avuto più sostegno... più sostegno. Mia suocera non fa che ripetermi di alzarmi, e dare il latte artificiale. Mia madre l’esatto opposto, di prendermi il mio tempo e allattare, anche se ciò significa fare tre giorni di fila con due ore di sonno complessive, alternate a notti di solo dormiveglia, di ansia apparentemente immotivata che ti impedisce di chiudere occhio. No, mamma e suocera, non siete d’aiuto così. Forse non so neanche io cosa veramente mi sarebbe d’aiuto, ma per carità, smettete di dirmi cosa devo fare. L’ombra mi stringe sempre di più. Le sento come ovattate, le grida di mia figlia che ha fame. Santo cielo, ti ho allattato 10 minuti fa, dieci! Adesso stai lì e basta. La schiena mi fa un male terribile e appena mi sarò ripresa ti allatterò di nuovo, tra l’altro i capezzoli sono devastati. Ma non sono sicura fossero dieci minuti, probabilmente il lasso di tempo era molto più lungo. Ora però le sento chiaramente, la guardo con occhi sbarrati e la allatto subito. Come ho potuto pensare una cosa simile? Quanto tempo effettivamente era passato? La cosa mi spaventa. Ma succede di nuovo, e poi ancora, nei giorni successivi. Piano piano mi rendo conto che tutto ciò che riguarda lei mi sembra un peso enorme, ma proprio tutto, compreso allattarla o dare il biberon, cambiare il pannolino. Senza contare tutto il resto tipo fare la lavatrice (la quale avrà avuto le ragnatele ormai) o cucinare. Volevo solo stare a letto, lontana da ogni rumore. Ero in grado di ignorare il pianto di mia figlia per ore, e non è una skill da acquisire nel tempo né nulla di positivo, era un campanello d’allarme ma non me ne rendevo conto. 
Nessuno si accorse di questa situazione, ma se dico nessuno intendo nessuno. Mio marito lavorava tutto il giorno e la sera doveva arrangiarsi per mangiare, era come se io non ci fossi. La bambina diventava di sua unica responsabilità finché non andava a letto. Solo all’alba dei tre mesi della bambina, che sembrarono secoli, quando tornai a frequentare il consultorio con regolarità (avevo riacquisito parte della mia routine grazie alla completa guarigione della ferita e all’acquisto di un’auto), parlando dei metodi di addormentamento, dissi con nonchalance che “la metto nella culla e la lascio lì, se piange, la lascio piangere. Le lascio una lucina accesa perché mi spiace lasciarla al buio, ma se la tengo in braccio non si addormenta. Poi scendo a guardare la tv o a leggere” e alla domanda “ma non ti angoscia il fatto che pianga? Per quanto va avanti?” io: “boh, non lo so. Non ci ho mai fatto caso”. L’ostetrica mi ha suggerito un colloquio con la terapista del consultorio. È stato solo allora che mi sono resa conto di tante altre piccole cose alle quali non avevo fatto caso. La cosa che mi colpì di più fu quando, con molta dolcezza, la dottoressa mi disse “vorrei dirti che è solo un periodo no, ma ci sono i presupposti per parlare di DPP. Depressione Post Parto. Comunque continuiamo a vederci: ti darò una mano a capirci qualcosa.” 
Fu il primo spiraglio di luce, ma non me ne rendevo conto, anzi. Ero oltremodo arrabbiata con me stessa. Come era possibile, come era potuto accadere? Spesso saltavo gli appuntamenti, e non prendevo per verità assoluta ciò che la dottoressa mi diceva, perché nella mia testa non era accettabile. Ormai la bambina aveva 5 mesi e avevo iniziato lo svezzamento. Ero un orologio: orari precisissimi, cibo pesato al centesimo, mettevo in pratica tutti i consigli della cara ostetrica del consultorio e tutto sembrava andare bene, perché finalmente la bambina prendeva peso in maniera regolare e i parenti sembravano felici e avevano smesso di sindacare sulla questione latte. Ma l’insonnia, l’ansia costante che spesso mi attanagliava e mi impediva di dormire, il velo che mi si posava sulle orecchie quando mia figlia piangeva prima di dormire, erano sempre lì. L’ombra nera mi aveva ancora stretta nella sua morsa, e sfogavo questa cosa anche mangiando eccessivamente: mangiavo di tutto, mangiavo male, spesso vomitavo. Alternavo questo mangiare senza controllo a giorni di digiuno assoluto. Forse nella mia testa speravo che così facendo avrei riacquistato la forma fisica, ma ero arrivata a pesare ben 83 chili contro i 55 dai quali ero partita e che sarebbero il mio peso forma, il mio corpo mi disgustava. L’apatia aveva colpito anche il cane, il nostro cucciolo di chihuahua, al quale spesso mi dimenticavo di dare da mangiare o dimenticavo di farla rientrare dal giardino al pomeriggio. Non prendetemi per una pazza criminale alla quale piace fare del male agli altri: in quei momenti era come se niente altro oltre a uno stato di apatia esistesse nella mia testa. Stavo lì, sul divano o sul letto, a leggere, o a guardare il soffitto, di rado uscivo di casa ed era giusto per fare la spesa. Poi iniziai con lo shopping compulsivo e a strapparmi le sopracciglia con le mani, le crisi di pianto apparentemente immotivate e la sensazione di soffocamento. 
Un giorno, me lo ricordo benissimo. La bambina aveva un maglioncino blu notte coordinato a un leggins grigio, con la stampa di una rosa rossa. Quel pomeriggio qualcosa non andava. Piangeva in maniera disperata, inconsolabile, non sapevo se fossero le coliche, i dentini, fame, sete, chissà cos’altro, fatto sta che non c’era stato modo neanche portandola fuori in passeggiata di calmarla. Ero sola a casa, la presi tra le braccia e mi sdraiai sul mio letto, alzai gli occhi al cielo e iniziai a piangere. Un fiume di lacrime, inarrestabile. Ricordo le parole che le ho detto. “Ma perché? Perché non ho il controllo su ciò che succede? Perché le cose non vanno come avevo previsto?” era tutto nero, per me. Non c’era speranza, tutto andava a sfascio, ed era fuori dal mio controllo. “Ma se non mi aiuto io, chi lo farà? Chi ti crescerà?” e forse, in quel momento, qualcosa nella mia testa si è acceso, o si è rimesso in moto, non so dirlo. Mi sono alzata dal letto con la bambina che ancora piangeva e ho chiamato la dottoressa, che mi ha ricevuto mezz’ora più tardi. Le ho raccontato tutto esattamente così, parole testuali. Nel tempo le avevo omesso anche la questione cibo, ad esempio, cose fondamentali della quale avrei dovuto parlare. Mi ha semplicemente sorriso e mi ha detto: “non posso dire che sei guarita, ma il fatto che tu abbia ammesso a te stessa che qualcosa non va, è un enorme passo avanti. Diciamo che oggi è un giorno dove possiamo segnare una tappa del nostro percorso: abbiamo capito che voler avere il controllo su tutto nella vita è inverosimile, e può essere pericoloso, e distorce la nostra percezione della realtà. Ci vediamo a fine settimana, ti aspetto”. 
Cara, cara Gilda. Ti faranno santa. La dottoressa mi seguì fino ai 9 mesi della bambina, ovvero fino al mio rientro al lavoro. Ripreso il lavoro, e grazie alla dottoressa, alla sua infinita pazienza e ai suoi preziosissimi consigli, al suo supporto, piano piano mi sono ripresa. Come dicevo all’inizio, purtroppo non è qualcosa dal quale se ne esce del tutto, ad oggi mia figlia ha tre anni e io so di avere ancora l’ombra nera che talvolta mi prende, ma ho imparato a gestirla. È facile? No, per niente. Ci sono sere come queste dove desidero solo isolamento. E ora è solo più semplice trovarlo, perché riconosco la mia stessa necessità e la gestisco, senza perdere il controllo. Ma ci è voluto tempo, e fatica. 
Perché ho sentito la necessità di raccontare tutto questo? Perché molta gente non sa cosa sia la Depressione Post Parto. NON è quella condizione di “pianto facile” che capita di avere nei giorni successivi al parto, quello viene chiamato baby blues ed è semplicemente legata allo squilibrio ormonale, non porta conseguenze gravi, ed è ampiamente diffuso. La DPP è più rara, più difficile da riconoscere perché è viscida, infame, scaltra come un ladro nella notte, si infila nella quiete di casa tua, senza che tu te ne accorga. E ti deruba di una parte di te, e non ti è dato sapere quale. Molta gente non crede neanche esista questa condizione. Ho sentito cose agghiaccianti tipo “non può esistere perché noi donne siamo fatte per fare figli quindi se succede una cosa del genere allora una non è destinata a fare la madre, non doveva diventarlo”, e altre amenità simili. E frasi simili sono coltellate, per chi magari vorrebbe chiedere aiuto e finisce per non farlo per vergogna, per non sentirsi ancor più inadeguata e sbagliata di quanto non si senta già.
Perché prima di giudicare e chiamare assassina una donna che compie un atto inconsapevolmente estremo verso il proprio neonato che piange inconsolabile, bisogna capire che cosa veramente sia successo. Cosa stava passando quella donna in quel momento della sua vita? Se fosse stata lasciata da sola, alla mercé dei suoi demoni interiori, reduce di notti insonni, con l’ombra nera che la stringeva a sé? Non possiamo saperlo. Una cosa è certa: la DPP ESISTE. E UCCIDE, se non riconosciuta. Meno dita puntante, più mano tese ad aiutare. È l’unica soluzione possibile.
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