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#vecchia vita
gonetoosoon · 9 months
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È strano come qualche anno fa volessi solo fuggire da questa realtà, non vedere quei volti e non vivere quelle abitudini mentre ora, dopo quasi quattro anni via da quella gente, dalle mie abitudini che ormai non lo sono più e da questo posto io senta quasi una nostalgia invadermi.
Non fraintendetemi, non è la mia vita, ma ogni tanto vorrei avere la spensieratezza che le persone che ho lasciato qui hanno sempre. Da un lato ci sono io: così giovane ma così ambiziosa, pensierosa, in ansia per il mio futuro e che continuo ad oscillare tra un "voglio, posso farcela" e un "ce la farò o non ce la farò mai?"; Poi rivedo quei volti spensierati come per dire "la vita è tutta qui" un po' me ne convinco e un po' li invidio.
Rivivo i momenti in cui ero anch'io come loro, o meglio: nonostante io avessi progetti e sogni, vivevo come loro; in preda all'attimo, al carpe Diem, al 'chi se ne fotte del domani, domani si vedrà'. Perché loro non ne avevano, o forse li avevano ma li hanno lasciati in quei cassetti sperduti, quelli dei sogni e delle speranze.
Io ho sempre odiato i cassetti in disordine, pieni di roba e ho sempre saputo che il mio posto non era qui e attenzione, lo penso ancora, però a volte ritornare un po' spensierati fa bene, ti toglie quel peso che preme sempre sullo stomaco e nella mente.
In questi momenti mi manca la me di un tempo, seduta su un muretto a bere birra e parlare della qualsiasi con i volti familiari, quelli che magari se avessi bisogno di aiuto sarebbero gli ultimi a venirti ad aiutare, ma sicuramente li ritroveresti seduti su quel muretto a bere la solita birra oppure a giocare a carte. Sono quelle cose che l'universo non cambia mai, a cui non riserva mai colpi di scena.
E magari un giorno tornerò su quel muretto, un po' più grande e con i miei sogni realizzati e avremo nuove cose di cui parlare.
-gonetoosoon
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2stelle · 2 months
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La ricerca dei tweets del 2012 per andare “contro” Ghali dimostra quali sono le priorità di una grande fascia di italiani. Non importa un cazzo che si sia esposto, su cosa l’abbia fatto e cosa stia accadendo. No, si deve fare lotta a un ragazzo che ha dimostrato di essere uno dei pochi se non l’unico che in questo paese si espone. “Eh ma se parla della Palestina non cambia che sia un misogino” scusami se da donna non me ne frega un cazzo di testi di ben 12 anni fa o espressioni dette in periodo adolescenziale ma sono focalizzata su quello che conta davvero. La Palestina lasciata sola contro un’Europa che finge di non vedere e non sentire.
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sara-smind · 3 months
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Sono negativa oggi, se non siete in mood non leggete:
la prof del tirocinio e della tesi mi sta ghostando, ho paura di scriverele le email perché non voglio sembrare pressante e antipatica, ho delle cose da fare che mi ha richiesto ma queste non dipendono solo da me ma da persone che mi stanno facendo un favore e quindi non posso pressare neanche loro perché non sarebbero tenuti ad aiutarmi in alcun modo dato che hanno un lavoro e degli impegni anche loro per cui vengono effettivamente pagati, in tutto ciò i miei cercano di darmi una mano ma se penso a quello che mi manca da fare mi viene da soffocare, non riesco a mangiare per l'ansia di deludere le aspettative di qualcuno che ne ha nei miei confronti e continuo a pensare che l'unica soluzione sia incontrare la prof di persona e spiegarle cosa succede ma... (riprendi da capo)
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youbetterrunfaster · 2 years
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A tutti i miei amici piace andare in discoteca e a me no. Niente volevo dire solo questo 😂
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Ogni corpo con il suo desiderio e il mare davanti. Ogni letto con il suo naufragio e le navi all'orizzonte.
Sto cantando la vecchia canzone che non ha parole. Ogni corpo accanto a un altro corpo, ogni specchio tremante nell'ombra e nuvole vaganti.
Suono la vecchia chitarra con cui gli amanti si addormentano. Ogni finestra nelle sue felci, ogni corpo nudo nella sua notte e il mare sullo sfondo, irraggiungibile.
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Eugenio Montejo
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sara-saragej · 8 months
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Quando la casa dei nonni si chiude 💔...
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“Uno dei momenti più tristi della nostra vita é quando la porta della casa dei nonni si chiude per sempre. Una volta chiusa quella porta non ci saranno più i pomeriggi felici con zii, cugini, nipoti, genitori fratelli e sorelle. Ve lo ricordate?
Non era necessario andare al ristorante la domenica. Si andava a casa dei nonni. A Natale la nonna bucava l’ozono con le sue fritture mentre il nonno si dedicava all’arrosto facendo puntualmente bruciare la canna fumaria. La tavola era lunghissima e veniva apparecchiata nella stanza più grande. Adesso la casa è chiusa ed è rimasta soltanto la polvere. Un cartello vendesi. Nessuno la vuole quella casa.
È vecchia. Va ristrutturata. Costa troppo. Cazzo ne sapete di quanto vale la casa dei nonni. La casa dei nonni non ha un valore. E così passano gli anni. Non ci sono più regali da scartare. Frittate da mangiare. Verdure da pulire. Quando la casa dei nonni si chiude ci ritroviamo adulti senza capire quando abbiamo smesso di essere bambini. Certo per i nonni saremo sempre piccoli e indifesi. Sempre. I nonni avevano sempre il caffè pronto. La pasta. Il vino. Le caramelle..
Poi finisce tutto. Non ci sono più le canzoni. Non si fa più la pasta fatta in casa..... Siete andati via troppo presto porca miseria. Io volevo fare la salsa ancora una volta. Il mirto. Le chiacchiere. E il liquore all’alloro. Io volevo ancora accatastare la legna con te nonno, anzi grazie per avermelo insegnato. E grazie per gli insegnamenti sulla vita. E sulla campagna. E sul giardinaggio. Ora quando passo guardo quella casa e mi viene sempre l’abitudine di parcheggiare. E di buttare giù il campanello. E di sentire la nonna gridare che porco giuda non sono modi quelli.
Scusa nonna. Non suonerò più il campanello. Al massimo quando mi capiterà di pensarvi di nuovo, come ora, canterò una canzone. Quella preferita dal nonno. Un amore così grande.
- Antonio Cotardo
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When the grandparents 'house closes💔
“One of the saddest moments in our lives is when the door to our grandparents' house closes forever. Once that door closes there will be no more happy afternoons with uncles, cousins, nephews, parents, brothers and sisters. Do you remember it? There was no need to go to a restaurant on Sunday. We went to the grandparents' house. At Christmas, the grandmother pierced the ozone layer with her fried food while the grandfather dedicated himself to the roast by punctually burning the flue. The table was very long and was set in the largest room. Now the house is closed and only the dust is left. A for sale sign. Nobody wants that house. Is old. It needs to be refurbished. Costs too much. Fuck do you know what the grandparents' house is worth. Grandparents' house has no value. And so the years go by. There are no more presents to unwrap.
Omelettes to eat. Vegetables to clean. When the grandparents' house closes, we find ourselves adults without understanding when we stopped being children. Of course, for our grandparents we will always be small and helpless. Always. Grandparents always had coffee ready. The pasta. The wine. The candies.. Then it's all over. There are no more songs. Homemade pasta is no longer made..... You left too soon damn it. I wanted to make the sauce one more time. The myrtle. The chatter. And the laurel liqueur. I still wanted to stack wood with you grandpa, actually thanks for teaching me. And thanks for the teachings about life. And about the countryside. And about gardening. Now when I pass I look at that house and I always get used to parking. And to knock down the bell. And to hear the grandmother shouting that pig Judas are not those ways. Sorry grandma. I won't ring the bell again. At the latest when I think of you again, like now, I'll sing a song. Grandpa's favorite. Such a big love.
- Antonio Cotardo
Dolce ☕ Pomeriggio🌹
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kon-igi · 3 months
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CHIAMA I RICORDI COL LORO NOME
Nel 2019, la mia compagna, le mie figlie e io decidemmo di intraprendere un percorso che alla fine ci avrebbe portato a diventare la famiglia affidataria di un minore e questo implicava un sacco di incontri, singoli e di gruppo, con cui assistenti sociali e operatori valutavano la nostra capacità di accudimento e contemporaneamente ci informavano e ci formavano su cosa significasse prendersi cura di un minore in modo continuativo ma parallelamente alla famiglia biologica, con la quale dovevamo rimanere sempre in contatto.
(anticipo che poi la cosa finì in un nulla di fatto perché poco dopo scoppiò il caso Bibbiano - 30 km in linea d'aria da Parma - e per precauzione/paura tutti gli affidi subirono un arresto. E poi arrivò il Covid)
La mia riflessione nasce alla lontana da un video che youtube mi ha suggerito questa mattina presto - è poco importante ai fini della storia ma è questo - che mi ha ricordato una caratteristica della mia infanzia...
Difficilmente riuscivo a essere felice per le cose che rendevano felici gli altri e quella vecchia canzone - che è considerato l'Inno del Carnevale di Viareggio, mio luogo di nascita e dei primi 20 anni di vita - ne è l'esempio emblematico, direi quasi sinestesico.
Tutti i viareggini la conoscono e la cantano nel periodo più divertente e frenetico della città ma io la associo a un'allegria dalla quale ero sovente escluso, odore di zucchero filato che non mangiavo e domeniche che significavano solo che l'indomani sarei tornato a scuola, preso in giro dai compagni e snobbato dalla maestra.
Vabbe'... first world problem in confronto ad altri vissuti (in fondo ero amato e accudito) però l'effetto a distanza di anni è ancora questo.
Tornando al quasi presente, una sera le assistenti sociali chiesero al nostro gruppo di futuri genitori affidatari di rievocare a turno prima un ricordo triste e poi uno felice.
E in quel momento ebbi la rivelazione che la quasi totalità dei presenti voleva dare amore a un bambino o a una bambina non propri perché sapeva in prima persona cosa significasse vivere senza quell'amore: gli episodi raccontati a turno non era tristi, erano terribili... violenza, abbandono, soprusi, povertà e ingiustizie impensabili nei confronti di bambino piccolo e, ovviamente, quando arrivò il nostro turno (la mia compagna non ne voleva sapere di aprire bocca) mi sentivo così fortunato e quasi un impostore che, in modo che voleva essere catartico e autoironico, raccontai di quando la maestra in terza o in quarta elementare chiamò un prete che davanti a tutta la classe mi schizzò di acqua santa perché - a detta della vecchia carampana - sicuramente ero indiavolato.
Ribadisco che la cosa voleva essere intesa come un modo per riderci su e detendere l'atmosfera pesante che il racconto dei vissuti terribili aveva fatto calare sul gruppo ma mentre sto mimando con una risatina il gesto del prete con l'aspersorio, mi accorgo che tutti i presenti hanno sgranato gli occhi e hanno dilatato le narici, nella più classica delle espressioni che indicano un sentimento infraintendibile...
La furia dell'indignazione.
Cioè... tu a 10 anni hai visto tua madre pestata a sangue da tuo padre e fatta tacere con un coltello alla gola ed empatizzi con me che ti sto raccontando una stronzata buona per uno sketch su Italia Uno?
Mi sono sentito uno stronzo, soprattutto quando la furia ha lasciato il posto a gesti e parole DI CONFORTO per quello che, evidentemente, sembrava loro una prevaricazione esistenziale orribile (cioè, lo era ma, per cortesia... senso delle proporzioni, signori della giuria).
Mi sono quindi rimesso a sedere, incassando il supporto con un certo qual senso di vergogna, finché poi non è arrivato il momento della condivisione dei momenti felici.
Silenzio di tomba.
Nessuno parlava.
Nessuno riusciva a ricordare qualcosa che lo avesse reso felice.
Con un nodo in gola - perché avevo capito che razza di vita avevano avuto le persone attorno a me - mi rendo conto che io ne avevo MIGLIAIA di momenti felici da condividere ma che ognuno di essi sarebbe stato una spina che avrei conficcato nel loro cuore con le mie stesse mani.
E allora mi alzo e rievoco ad alta voce il ricordo felice per me più antico, quello che ancora ora, a distanza di decenni, rimane saldo e vivido nella parte più profonda del mio cuore...
-Le palle di Natale con la lucina rossa dentro. Quando ero piccolo, durante le vacanze di Natale aspettavo che mio papà e mia mamma andassero a letto e poi mi alzavo per andare a guardare l'albero... non i regali sotto, proprio l'albero. Era finto, di plastica bianca spennachiosa, ma mia mamma avvolgeva sempre intorno alla base una striscia decorativa verde a formare una ghirlanda e mio padre stendeva tutto attorno ai rami un filo con delle palle che, una volta attaccate alla presa elettrica, si illuminavano di rosso. Io mi alzavo di nascosto e nel caldo silenzio della notte guardavo le luci intermittenti dipingere gli angoli del divano e del tavolo, con un sottile ronzio che andava e veniva. Ero al caldo, ero protetto, voluto e amato. Se allungo le mani posso ancora tastare quel ronzio rosso che riempe la silenziosa distanza tra me e l'albero e niente potrà mai rendere quella sensazione di calda pienezza meno potente od offuscarne la completezza. Quello era l'amore che mi veniva dato e che a nessuno sarebbe mai dovuto mancare.
A un certo punto sento una mano che mi si poggia sul braccio (avevo chiuso gli occhi per rievocare il ricordo) e accanto a me c'è la mia compagna che sorride, triste e piena di amore allo stesso tempo.
E attorno a me tutti stanno piangendo in silenzio, esattamente quello che col mio ricordo semplice volevo evitare e che invece doveva aver toccato lo stesso luogo profondo del loro cuore.
E in mezzo alle lacrime (che figuriamoci se a quel punto il sottoscritto frignone è riuscito a trattenere) cominciano a scavare tra i ricordi e a tirarli fuori... il cucciolo che si lasciava accarezzare attraverso il cancello della vicina, il primo sorso dalla bottiglietta di vetro di cedrata, la polvere di un campetto da calcio che si appiccicava sulla pelle sudata, l'odore della cantina, il giradischi a pile...
E nulla. Non so più cosa dire e nemmeno cosa volessi dire.
Forse che sembriamo così piccoli, malmessi e fragili ma che se qualcuno ci picchietta sulla testa e sul cuore siamo capaci di riempire il mondo di cose terribili e meravigliose.
Decidere quali ricordare e quali stendere davanti a noi è una scelta che spetta non a chi picchietta ma a chi permette che essi fluiscano da quella parte profonda di sé a riempire lo spazio tra noi e il domani.
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limoniacolazione · 4 months
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Nella sala d'attesa dello psichiatra mi sorseggio una cioccolata calda delle macchinette, così da alleviare l'umido che mi riempie le ossa e mi increspa i capelli. Mi è tornato in mente, senza una ragione precisa, il concerto dei derozer e dei gbh a Bologna, quasi vent'anni fa. Mi rivedo adolescente, addormentata alla stazione, stretta stretta nelle braccia di un punk con la cresta rosa che si faceva chiamare il guercio e che non ho mai più rivisto. Era tutta una posa, mi dico. Ce l'ho sempre avuta una casa in cui tornare, pure se non ci stavo bene. Pure se forse non sono stata mai bene da nessuna parte. Sempre a scoppio ritardato o, al contrario, troppo in anticipo. Precoce, ma non capisce niente. Brava, ma non si applica. Testa sulla luna, piena di stranezze, avvocato delle cause perse, che parla come un libro stampato. Così mi hanno sempre detto, puntando il dito. Oggi una parola ce l'aggiungo io, che non sono pazza, bizzarra o in décalage col mondo: ma sono autistica, adesso lo so. Semplice così, no? Sono autistica. Così semplice che si sciolgono nodi di incomprensioni nel petto. Mi ci sono voluti 36 anni, un burn-out colossale, tre giornate di test, due neuropsicologi, uno psichiatra, un amore neurodivergente pure lui (che chi si somiglia si piglia) e tanti epic fail a vivere la vita che ho smesso di contarli. Sono autistica e diagnosticata tardivamente. Adesso faccio i conti con questa informazione nuova, questa chiave di lettura che mi fa cambiare prospettiva. Sono finalmente sulla strada di casa.
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La foto è vecchia di sette anni esatti, ma non è cambiato niente a questo sentimento placido di chi si riconosce. Solo le rughe e la nuova consapevolezza, forse.
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fallimentiquotidiani · 9 months
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Grandissima la vecchia che sta facendo sobbollire il ragù da diciotto ore con una pacatezza estrema come se in quella cucina la temperatura attuale non si avvivinasse a quella di Mordor.
Donna della vita.
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io-pentesilea · 18 days
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Continuo a salvare decine di ricette perché, mi dico, quando andrò in pensione, mi dedicherò a uno dei miei hobby preferiti, la cucina!
Poi mi viene in mente che quando andrò in pensione sarò talmente vecchia e rincoglionita che, al massimo, potrò cucinarmi un brodino.
Che vita...
Barbara
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ninoelesirene · 8 months
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Ci vuole un sacco di coraggio per stare al mondo e abitare la nostra vita nella verità.
Ci vuole un sacco di coraggio a guardare in faccia la solitudine, vecchia signora dritta sulla schiena, con lo sguardo accigliato e il passo marziale - ché bisogna mettere un piede innanzi all’altro con decisione, se non si vuole cadere.
Ci vuole un sacco di coraggio a fare delle scelte, specie se sono i passi indietro con cui ci chiamiamo fuori dal gioco, con cui lasciamo andare.
Ci vuole un sacco di coraggio ad accogliere il rischio dell’amore, che pare a volte un atto innaturale di dissipazione, contrario alla sopravvivenza, opposto all’istinto di conservarci.
Ci vuole un sacco di coraggio e io l’ho trovato quasi tutto, ma che fatica. La verità costa fatica.
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angelap3 · 3 days
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Nun me trattà male
Ije;
si nu juorno vecchia e stanca,
m'avvessa spurcà quanno magno,
pecchè me tremmene 'e mmane,
tu nun me guardà stuorto,
pienze quanti vvote te spurcave tu,
pe te mparà a magnà piccerillo mbraccia me.
Si 'a vicchiaja;
me fà dicere sempe e stessi ccose,
tu suppuorteme nu me trattà male,
pienze quanti ssere,
t'aggio cantato a stessa ninnanna,
pe te fà addurmmì.
Si 'e coscie me tremmano,
e nun c'a faccio a stà vicino a te a cammenà,
aspiettemi e nu sbuffà,
tu nun te scurdà,
ca ije t'aggio nmparato a cammenà,
senza maje sbuffà manco na vota.
Si mo parlo e sbaglio 'e pparole,
tu nun ridere e me nun me fa sentere na scema,
ije pe te aggio accumminciato lettera pe lettera,
pe te mparà a parlà.
Si mo aggio bisogno e te pe m'appuià nu poco,
ncoppo a spalla pe m'arrupusà,
pienze quanti vvote t'aggio purtato mbbraccio.
E mo aiuteme sulo arrivà a fine e chesta vita,
arricurdete figliu mjo,
che tu si tutto 'a vita mja,
e nun te scurddà maje e me,
pecchè ije,
aggio campato sulo pe te.
(Pupella Maggio)
Non trattarmi male
Io;
se un giorno vecchia e stanca,
mi dovessi sporcare quando mangio,
perché mi tremano le mani,
tu non mi guardare in mal modo,
pensa quante volte ti sporcavi tu,
per insegnarti a mangiare da piccolo nelle mie braccia.
Se la vecchiaia
Mi fa dire sempre le stesse cose,
tu sopportami non trattarmi male,
pensa quante sere,
ti ho cantato la stessa ninna nanna,
per farti addormentare.
Se le gambe mi tremano,
e non ce la faccio a stare vicino a te a camminare,
aspettami e non sbuffare,
tu non ti dimenticare,
che io ti ho insegnato a camminare,
senza mai sbuffare una sola volta.
Se adesso parlo e sbaglio le parole,
ti non ridere di me non farmi sentire una scema,
io per te ho iniziato lettera per lettera,
per insegnarti a parlare.
Se adesso ho bisogno di te per appoggiarmi un po’,
sulla tua spalla per riposarmi,
pensa quante volte ti ho portato in braccio.
E adesso aiutami solo ad arrivare alla fine di questa vita,
ricordati figlio mio,
che tu sei tutta la mia vita,
e non dimenticarti mai di me,
perché io,
ho vissuto solo per te.
Oggi, in memoria di Pupella Maggio, icona del teatro napoletano nata il 24 aprile 1910.
Ph. A. De Luca
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haiku--di--aliantis · 3 months
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Una mia cara amica qui su Tumblr, una persona che adoro, mi ha riportato alla mente una vecchia riflessione, secondo cui la corda dell'arco, per contribuire a scagliare la freccia lontano, deve necessariamente tendersi all'indietro. Sforzo, sudore, impegno, sofferenza del corpo. Ci sono, lungo il nostro cammino, periodi anche molto duri. Pezzi di tempo in cui sembra non solo che piova, ma che addirittura diluvi e che ti cadano addosso delle tegole che - solo Dio sa come - riesci a schivare e a restare in piedi.
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Nonostante tutto, l'anima da piegata in due trova la forza di ridistendersi, di rialzarsi per reagire e proiettarsi in avanti. È di questo che siamo fatti, noi esseri umani. Prendiamo colpi da ko, ma poi riusciamo a fronteggiare un'inaspettata e pesante svolta di vita. E magari anche a toglierci una freccia dal cuore: a chiudere in un cassetto quello che solo in un cassetto ormai deve stare. Ogni tanto accarezziamo noi stessi e quello che di noi è rimasto irrisolto. Grati comunque di averlo vissuto. Perché è di queste cose che è fatta la vita. Gli amici di Tumblr, una risorsa preziosa. E dove altro li trovi... Ce lo prendiamo un caffè?
Aliantis
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7000 caffè (Alex Britti)
youtube
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donaruz · 9 months
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2 agosto 1980 ore 9,00
«Forza Carmelo! È ora di alzarsi, bisogna correre in stazione, c’è il treno che ci porterà da papà!»
«Uffa, va bene, mi alzo» Il piccolo Carmelo ancora frastornato per la giornata precedente dove aveva mangiato un buonissimo gelato e corso per le vie di Bologna come un giovane esploratore in una terra sconosciuta. Osservava tutto. Carmelo era alto, non dimostrava la sua giovane età e con quel bellissimo binocolo che gli aveva regalato suo zio e i pantaloncini corti era perfetto come ricognitore dell’ignoto. Aveva gli occhi azzurri, la mamma per scherzare diceva sempre che era figlio di qualche Dio dell’Olimpo greco; nessuno in famiglia aveva gli occhi azzurri. Da grande voleva studiare gli animali e girare il mondo alla scoperta di nuovi territori. Era un esploratore ancora prima di esserlo davvero.
Una semplice ma abbondante colazione e poi un bacio forte a Tobia, il cane. La strada è breve fino ai treni ma quella mattina i parenti devono portare la macchina dal meccanico, una vecchia fiat 127 ormai al termine. La decisione è presto fatta, si va in stazione a piedi, tanto il treno è alle 11, c’è tempo...
Carmelo è contento, ha visto una grande città del nord, piena di gente che corre, non ha capito il motivo ma si diverte a vederli indaffarati, al suo paese sono molto più tranquilli. Poi, finalmente, vede i treni. Che amore che ha per i treni! Ogni domenica il suo papà lo porta alla piccola stazione del paesello a vedere i treni che partono, ora anche lui potrà salire su quelle macchine meravigliose fatte di ferro e legno per ben la seconda volta nella sua vita.
10,20
«Mamma!, mamma mi piacerebbe tanto avere un amico cane, ma tanto tanto!»
«Va bene piccolo, vedremo, quanto torniamo a casa ne parliamo con papà e se lui è d’accordo andiamo al canile»
«Che bello!, che bello!, sono sicuro che il papà sarà d’accor……»
BUUUMMM!?!
«Mamma, mammaa, aiuto! Dove sei? Ho paura! è tutto buio, mamma aiuto è tutto buio..»
Suoni, strani suoni di ferro caldo. Un caldo feroce; gemiti che provengono dal treno di fronte ai binari, gemiti sempre più profondi e poi...urla disperate. Chi cerca la mamma, chi il fratello chi l’amico, la compagna, il figlio. Ma loro non sono più in stazione, sono stati sbalzati a 100 metri di distanza per l’onda d’urto. Come delle foglie strappate ai rami di un albero autunnale.
Poi il fumo si dirada e s’intravede il disastro.
«Mammaa!, dove sei? Dove sei?» Carmelo sembra un minatore appena uscito dalla galleria; la galleria più profonda del suo piccolo paese.
«Vieni piccolino, vieni in braccio, ti aiuto io!» Un ragazzo di 20 anni, una divisa da vigile del fuoco. Il ragazzo è nero come Carmelo, zoppica, ma continua a togliere pezzi di cemento dal piccolo corpo del bimbo. Solleva calcinacci pesanti e taglienti, rossi dal caldo; le sue mani ustionate, ma continua a spostarli. Alcuni giorni dopo venne ricoverato in ospedale per le ustioni. Perse tre dita di una mano.
«Chi sei? Dov’è la mia mamma?» Carmelo è sepolto da una montagna nata dalla violenza.
«Sono un amico della mamma… stai tranquillo»
«Ma cos’è successo?» La sua voce non è più quella di un giovane esploratore, ora è rauca, piena di polvere e distruzione.
«Niente, non è successo niente. Piccolo…non è successo niente»
Fine
In Italia non succede mai niente.
La Rosa dei venti, Il golpe borghese, piazza Fontana, Gioia Tauro, Reggio Emilia, Brescia, l’Italicus, Genova, Il rapido 904, Bologna, Ustica, Firenze, Milano; non sono niente. Non è successo niente. Non è STATO nessuno. In fondo qualche pezzente, qualche moglie di pezzente, qualche figlio di pezzente cosa volete che sia, incidenti di percorso; incidenti per una democrazia migliore, più libera, più ricca. In Italia non è mai STATO nessuno, una cena tra poteri, un brindisi e poi le direttive agli organi di informazione:
“Dovete dire questo, dovete dire quello, dovete dire che non è successo niente; arriva l’estate mandiamoli in vacanza tranquilli, poi, quando tornano, avranno dimenticato tutto”
Ma non avete preso in considerazione una cosa: voi! infami manovratori dietro le quinte, migliaia di occhi hanno visto, sentito, sanguinano ancora. Loro lo sanno chi è STATO. Potete manipolare tutto, cancellare tutto ma dietro il vostro secchio di vernice bianca democratica ci sono pareti rosse di sangue pulito.
Quelle non potrete mai più cancellarle.
-A Carmelo e a tutti i morti e feriti di quella mattina spensierata di un agosto solare-
(Breve parte dal racconto "Piccolo esploratore" contenuto nel libro "Stelle cannibali" ED. Il Foglio 2022)
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