Tumgik
#Anch Tommy
melissacove · 11 months
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da NOOKLINGS!!!!
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2000-man1 · 5 months
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I’m fucking crying right now I just finished up watching the last show and it was just awesome
Ignore how bad the pics are because i watched it on Tv-
But I am super emotional and words cant describe how grateful I am to have seen Kiss on thier final show from home and the fact that I got to experience it in person makes me so grateful to be part of the Kiss Army.
Thank you so much Gene, Paul, Eric Singer, Tommy, Eric Carr, Ace, Peter, Mark, Vinnie, Bruce and especially Doc for making Kiss possible and for helping Kiss along this journey. It has been an incredible 50 years and it would not have possible without you guys.
Im super excited to the new era of Kiss and to know that I was there at the end of a chapter and to know that I’ll be here for the very beginning of a new chapter makes me beyond happy. We love you Kiss 🤘
Eric Carr: 1950-1991
Mark St. John: 1956-2007
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Does harv from animal crossing remind anyone else of leo from that 70s show?
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unpoorno · 5 months
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Nicole Aniston
Nicole Aniston, pseudonimo di Ashley Nicole Miller (San Diego, 9 settembre 1987), è un'attrice pornografica statunitense. È stata Penthouse Pet of the Month di agosto 2012 e Penthouse Pet of the Year del 2013
Nata a San Diego, in California, è cresciuta a Escondido e Temecula, nella contea di Riverside. Ha frequentato la Temecula Valley High School, dove ha conseguito il diploma. Ha lavorato in una banca nel settore dell'assistenza clienti e come fotoreporter per la fotografa Suze Randall
Ha iniziato la carriera pornografica nel 2009 partecipando alle riprese del film Facial Cum Catchers Nell'ottobre 2010 ha quindi iniziato a lavorare con lo studio Reality Kings, che ha prodotto All Hunnies, pellicola che contiene la sua prima scena di sesso di gruppo, girata insieme ai pornoattori Rebeca Linares e Vodoo.
Nel 2011, insieme al collega Mike Adriano, ha girato per  Bang Bros una scena inserita nella compilation Big Tit Creampie 13, vincitrice dell'AVN Award della categoria Best Internal Release nel 2013. Nello stesso anno ha partecipato alle riprese del film Hard ,Bodies nominato agli AVN Award 2012 (Best Music Soundtrack, Best All-Sex Release) ed agli  XBIZ Awards (Gonzo Release of the Year e annunciato di essersi sottoposta ad un'operazione per aumentare le misure del seno
Nel 2012 ha posato per Penthouse, venendo quindi scelta  Penthouse Pet of the Month  mese di agosto. Agli XBIZ Awards dello stesso anno ha ottenuto una nomination agli XBIZ Awards nella categoria New Starlet of the Year[ mentre Ass Parade 32, pellicola girata nel 2011 che contiene una sua scena di sesso di gruppo con Angel Vain, Buddy Davis e Pauly Harker ha ricevuto una nomination nella categoria All-Sex Release of the Year Come attrice ha ricevuto nello stesso anno anche una nomination agli AVN Awards come Trophy Girl
Nel 2013 è stata scelta come Penthouse Pet of the Year ed è stata inoltre nominata nella categoria Most Outrageous Sex Scene agli AVN Awards e nella categoria Female Performer of the Year degli XBIZ Awards. Durante la stessa edizione del premio il film In Bed With Katsuni, che la vede protagonista di una scena di sesso di gruppo con Anissa Kate, Misty Stone, Skin Diamond e Karlo Karrera riceve una nomination nella categoria European Non-Feature Release of the Year; la stessa pellicola era stata nominata agli Erotic Lounge Awards 2012 nella categoria Best Gonzo Movi.
Nel 2017 ha girato insieme a Mick Blu e Anal on first date, film prodotto da Tushy contenente la sua prima scena di sesso anale È stata inoltre tra le 10 pornostar protagoniste della seconda stagione della webserie Brazzers House girata in una villa ai Miami per 3 giorni consecutivi in cui le star hanno dovuto affrontare una serie di sfide a sfondo sessuale, ricevendo voti da parte dei fans, che potevano decretare anche un vincitore cui assegnare un premio da 20.000 dollari. La Aniston ha quindi preso parte alla finale, girando anche una scena di sesso di gruppo con Abella Danger.
All'interno della sua attività di attrice ha preso parte a diverse parodie pornografiche. Nel 2011 ha recitato insieme ad Anthony Rosano, Ash Hollywood, Breanne Benson,  Chanel Preston, Belle,  Rocco Reed, Tommy Pistol e Xander Corvus in OMG... It's the Flashdance XXX Parody. La pellicola, ispirata al film musicale del 1983, Flashdance diretto da Adrian Lyne ha ricevuto una nomination agli AVN Awards 2013 nella categoria Best Music Soundtrac
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diceriadelluntore · 6 months
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Storia Di Musica #300 - Miles Davis, Live-Evil, 1971
Quando si ascoltò questo disco per la prima volta, i critici ebbero un profondo senso di smarrimento: Come bisogna definirlo? Cosa è? È jazz? È rock? È qualcosa di altro? In parte era lo scopo del suo creatore, in parte perfino a lui, genio incontrastato delle rivoluzioni musicali, qualcosa "sfuggì di mano", divenendo addirittura qualcosa di altro dalla sua idea primigenia. Questo è un disco che parte da un percorso iniziato qualche anno prima, quando Miles Davis e il suo storico secondo quintetto iniziano ad esplorare le possibilità che gli strumenti elettrici e le strutture della musica rock possono dare al jazz. I primi esperimenti con Miles In The Sky (1968), poi con quel capolavoro magnetico che è In A Silent Way (1969), il primo con la nuova formazione elettrica, la quale sviluppa a pieno quella rivoluzione che va sotto il nome di jazz fusion con il fragoroso, e irripetibile, carisma musicale rivoluzionario che fu Bitches Brew (1970, ma registrato qualche giorno dopo il Festival di Woodstock, nell'Agosto del 1969). Davis è sempre stato curioso e non ha mai avuto paura di guardarsi intorno dal punto di vista musicale, ne è testimone la sua discografia. E nell'idea che il jazz stesse morendo, era sua intenzione innestarlo di nuova vitalità contaminandolo con altri generi, non solo il rock, ma anche il funk, il soul, la musica sperimentale europea. A tutto ciò, per la prima volta nel jazz (e questa fu l'accusa più viva di eresia), il ruolo del produttore, del suo fido e sodale Teo Macero, è proprio quello di cercare tra le sessioni di prove le parti migliori, o come amava dire Davis "le più significative", e metterle insieme in un lavoro sorprendente e meticoloso di collage musicale, che in teoria elimina la componente espositiva solista del musicista jazz, ma che allo stesso tempo regala una nuova filosofia musicale ai brani, del tutto inaspettata. Decisivo fu, nel 1970, il compito che fu affidato a Davis di curare la colonna sonora del film documentario A Tribute To Jack Johnson, di Bill Cayton, sulla vita del pugile che nel 1908 divenne il primo pugile di colore e il primo texano a vincere il titolo del mondo di boxe dei pesi massimi, quando sconfisse il campione in carica Tommy Burns. Per questa ragione fu considerato una sorta di simbolo dell'orgoglio razziale della gente di colore all'inizio del ventesimo secolo, soprattutto poiché nel periodo erano ancora in vigore le leggi Jim Crow, leggi che di fatto perpetuarono la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di "separati ma uguali" per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi razziali diversi dai bianchi, attive dal 1875 al 1965.
Il disco di oggi somma tutte queste istanze, in maniera unica e per certi versi selvaggia, divenendo di fatto una sorta di manifesto che Il Signore Delle Tenebre ostenta alla sua maniera, cioè nel modo più sfavillante possibile. Live-Evil esce nel Novembre del 1971, ma è frutto di storiche serate live al The Cellar Dome di Washington DC, dove la band di Davis si esibì per diverse serate nel Dicembre del 1970, e una parte di registrazioni in studio sotto lo sguardo attento di Teo Macero, presso gli studi della Columbia di New York. Con Davis, nelle esibizioni al Cellar Dome, che come prima pietra dello scandalo usa la tromba elettrica, infarcita di pedali di effetti e di wah wah (amore trasmessogli da Jimi Hendrix) c'erano Gary Bartz (sassofono), John McLaughlin (chitarra elettrica), Keith Jarrett (piano elettrico), Michael Henderson (basso elettrico), Jack DeJohnette (batteria) e Airto Moreira (percussioni) e in un brano solo, come voce narrante, l'attore Conrad Roberts. Nelle sessioni in studio di aggiungono altre leggende, tra cui Herbie Hancock e Chick Corea (con lui nei precedenti dischi citati), Billy Cobham, Joe Zawinul e il fenomenale musicista brasiliano Hermeto Pascoal, la cui musica e i cui brani saranno centrali in questo lavoro. Tutto il magma creativo di queste idee sfocia in un doppio disco dalla forza musicale devastante, tanto che oggi alcuni critici lo definiscono un heavy metal jazz, che parte dalle origini più profonde ma sfocia in una musica caotica e sfacciatamente meravigliosa, trascinante e indefinibile, che gioca tutto sulle dissonanze, sugli ossimori, sui palindromi simbolici e musicali. E manifestazione più chiara ne è la copertina, bellissima, di Mati Klarwein, artista francese autore di alcune delle più belle copertine musicali, tra cui quella di Bitches Brew: lasciato libero di creare da Davis, pensò alla copertina con la donna africana incinta, come simbolo di creazione "primordiale", ma fu lo stesso Davis, a pochi giorni dalla pubblicazione, una volta deciso il titolo, che gli chiese un nuovo disegno, che accostasse il "bene" al "male" attraverso una rana. Klarwein in quel momento aveva una copertina della rivista Time che raffigurava il presidente Hoover, che fu presa come spunto per la rana del male, che campeggiò sul retro della copertina, e che vi faccio vedere:
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Musicalmente il disco si divide in brani autografi di Davis, che diventano lunghissime jam session di sperimentazione, di assoli di chitarra, sfoghi di batteria, con la sua tromba elettrica che giganteggia qua e la, che raccolgono quel senso di rivoluzione, anche giocata sulla sua storica abilità di comunicazione (Sivad e Selim, che sono il contrario di Davis e Miles, la seconda scritta per lui da Pascoal, languida e dolcissima), il medley Gemini/Double Image, scritta con Zawinul, e le lunghissime e potentissime What I Say, quasi una dichiarazione di intenti, Funky Tonk, rivoluzionaria e la chiusura con Inamorata And Narration by Conrad Roberts, che è quasi teatro sperimentale, e le altre composizioni di Pascoal, Little Church e Nem Um Talvez, musica che stupì tantissimo lo stesso Davis, che considerava Pascoal uno dei più grandi musicisti del mondo: il brasiliano, polistrumentista, arrangiatore, produttore, è una delle figure centrali della musica sudamericana, e essendo albino è da sempre soprannominato o bruxo, lo stregone. Tutti brani vennero "perfezionati" da Macero, e addirittura nelle ristampe recenti è possibile leggere nelle note del libretto l'esatta costruzione dei brani, ripresi dalle sessioni live e dalle registrazioni in studio. Di quelle leggendarie serate al The Cellar Dome, nel 2005 la Columbia pubblicò un inestimabile cofanetto, di 5 cd, The Cellar Door Sessions 1970 con le intere esibizioni del Dicembre 1970: le parti usate in Live-Evil sono nel quinto e sesto disco, nei precedenti ulteriori esplorazioni musicali da brividi, per una delle serie di concerti storicamente più importanti del jazz.
Il disco verrà considerato il capolavoro che è solo dopo anni, in un periodo, quello degli anni '70, dove Davis accettò apertamente di sfidare la critica con la sua musica. Da allora però, per quanto in parte ancora enigmatico e "difficile", è considerato l'ennesimo pilastro della leggenda Davis, in uno dei suoi capitoli musicali che ebbe più fortuna, poichè buona parte dei fenomenali musicisti che contribuirono a questo disco erano in procinto, o già alle prese, con esperienze musicali che partendo dalla lezione del Maestro, ne approfondiranno i contenuti, e ne esploreranno i limiti: sarà quest'ambito che legherà le altre scelte di Novembre e questo omaggio, che come i precedenti numeri miliari (1,50,100,150,200,250) è dedicato al formidabile uomo con la tromba.
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haiku--di--aliantis · 4 months
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Ormai è automatico: dopo cena parte il nostro rito intimissimo e segreto. Non so più farne a meno! Mi spoglio nuda. Completamente: come tu mi vuoi. Tu ti siedi comodo sul divano e aspetti la mia bocca con malcelato desiderio: il tuo uccello infatti esce prepotente, durissimo e dritto dalla patta sbottonata. Tu lo comandi e lo fai muovere avanti e dietro. Io non ragiono più, a vedere quella danza ipnotica. Ho l'acquolina in bocca ogni volta. Mi accoccolo in qualche modo di fianco a te e inizio ad accarezzarlo dolcemente. Mentre lo faccio, mi ravvio i capelli e ti guardo fisso negli occhi. Tu fai finta di guardare la tv.
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Ma ogni tanto gemi e muovi i fianchi. Cerchi di fare l'indifferente. Poi d'un tratto, imperioso e impaziente, mi prendi la testa e la guidi con decisione verso il tuo inguine. Faccio appena in tempo ad aprire la bocca che tu mi infili la tua virilità nel cavo orale. Non desidero altro. Non vorrei essere da nessun'altra parte, in quei momenti. Inizio a darmi da fare: la mia testa vuole darti piacere. Almeno tanto quanto ne provo io nel succhiarti l'uccello. Capisco che stai per venire quando le tue anche si alzano e la tua mano si fa ferma e decisa nel tenermi la testa al posto giusto, cioè il più vicino possibile al tuo inguine.
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Sento che il tuo canale uretrale sotto l'asta si sta contraendo. Pulsazioni d'amore. Ecco: arrivi! Ingoio. Tanto seme. Mi dici: "ti amo." È l'unica ricompensa che mi serve ascoltare. Sono stata brava. Resto così a sentire l'odore del tuo corpo nudo: lo adoro. E ora il tuo uccello esce piano dalla mia gola. Mi accarezzi la testa. D'un tratto, ti decidi, mi sollevi come una bambola e mi porti a letto. Nuda anch'io e tutta per te. Rossa in viso e pronta a tutto. Aspetto per sapere se vuoi dormire abbracciato a me o se hai desiderio di scoparmi. Queste sono le nostre serate. Vivo solo per questo.
Aliantis
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If I had you (Tommy Emmanuel e altri)
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filorunsultra · 2 months
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Dakota Jones, l’aria inquinata, la panchina di Chamonix
Dunque c’è questa foto, ripubblicata su Instagram mesi fa, che ho salvato nella certezza che un giorno sarebbe tornata utile. Si vedono tre persone su una panchina, a Chamonix Mont-Blanc, lungo la pista ciclabile. Si chiamano Scott Jurek, Goeff Roes e Dakota Jones, e tutti e tre si sono appena ritirati dall’Ultra-Trail du Mont Blanc 2011. Sono seduti su quella panchina ad aspettare di vedere Kilian Jornet vincere il suo terzo UTMB. Sono giovani—uno di loro lo è ancora oggi, mentre gli altri due appartengono già all’Olimpo dell’ultrarunning. Ripostando la foto, qualche giorno dopo aver fatto podio a CCC, nel 2023, Jones aveva scritto: “In my recent post I mentioned sitting on a bench in Chamonix after dropping out of UTMB 2011. Scott Jurek sent me the photo! This is from that day! I can’t remember who these two other people are. They probably aren’t important to the history of trail running… I look such an idiot on this picture”.
Tra quella panchina e noi ci passano tredici anni, ere geologiche e generazioni di corridori, ma c’è chi è riuscito ad attraversarle indenne, arrivando dall’altra parte meglio di come era partito. Non molti, a dire il vero, e dei tre in quella foto uno soltanto. Nel frattempo, Jurek è diventato una divinità, Roes è stato semidimenticato (forse perché vive ad Anchorage, Alaska, ai confini del mondo conosciuto), ma solo Jones ha continuato a correre ad altissimi livelli, e forse più alti di allora—questo e altri sono i vantaggi di iniziare a correre ultramaratone a 18 anni. Ne riportiamo brevemente la carriera, testimoniata nelle agiografie e consultabile su UltraSignup: Jones corse la sua prima 50 chilometri nel 2008 a Moab, la cittadina dello Utah in cui è nato. Il maggio successivo corse la sua prima 50 miglia, mentre nel 2010 la prima 100 miglia, Bear 100, chiudendo in settima posizione in 22 ore e 15 minuti e vincendo la Bear 50 miglia dieci giorni dopo. Il giorno della foto sulla panchina a Chamonix Jones non ha ancora 21 anni e ha da poco corso la sua prima Hardrock 100 (secondo in 27h10’). Da lì in poi ha corso ogni gara che qualunque corridore coscienzioso sognerebbe di correre, e, oggi, dà l’impressione di essere in questo sport da sempre, pur avendo a malapena 34 anni e avendo appena raggiunto la fase migliore della sua carriera. Si spiega anche solo così, almeno per chi è sensibile a questo genere di cose, perché sia avvolto da un certo fascino. Tocca contare e ricontare aiutandosi con le dita per convincersi che siano passati solo tredici anni, tanto sono cambiati questo sport e il suo sapore.
Flash-forward. È un pomeriggio di febbraio, da qualche giorno #inquinamentopianurapadana ha preso il posto di #palestina nei trend di X e di Instagram. Da una settimana vengono pubblicate ovunque cartine geografiche molto colorate, anche se tutte un po’ diverse tra loro. Dati indecifrabili ai più, ma con un significato chiaro a tutti. Per gli empiristi e i dubbiosi, da qualche giorno dalla collina est di Trento si distingue un denso strato di foschia che copre il fondo valle anche nelle giornate limpide. C’è dunque un’altra foto, destinata a restare negli annali del Trento Running Club: c’è Martina Valmassoi in piedi su una panchina panoramica della Marzola, al tramonto, con un cielo giallo e azzurro e le classiche nuvole estive di fine inverno, e sotto, sulla valle, quella lingua di polveri sottili che copre migliaia di persone. Noi otto—io, Pass, Micky, Martino, Tommy, Mario (il di lui cane), Martina e Dakota—siamo dall’altro lato della fotocamera, a 900 metri e in maniche corte (Mario no, è un cane). Dakota sta imparando l’italiano e ha ben chiara una frase: “giovedì, merda”. È nota l’affezione dell’italiano per la perifrasi, ma quella è fin troppo chiara, così approfittiamo dell’ultimo giorno di bel tempo per portarli sulla Marzola, al di sopra della malaticcia foschia che adombra la valle.
Avevo visto Dakota Jones per la prima volta in mezzo al deserto, mentre mi superava a un metro e mezzo da terra al terzo giro di Javelina Jundred. La seconda, a Chamonix, a qualche metro dall’ormai proverbiale panchina, aspettando il suo passaggio all’ultimo chilometro di CCC; in compagnia, io, di uno scatenato Francesco Puppi e di un commosso Dylan Bowman, per amore del gesto atletico il primo e per patriottismo il secondo. Anche Martina—già notissima ai più assidui frequentatori di questa rivista, ma mica solo a loro—l’avevo incontrata soltanto di sfuggita. Escluse queste fugaci apparizioni, il primo surreale incontro con entrambi doveva evidentemente avvenire qui, in un parcheggio della Marzola, sopra a Trento, in un anodino pomeriggio di febbraio. La scusa, una serata a cui li abbiamo invitati circa un mese prima con un prosaico messaggio su Whatsapp, per venire a raccontare le loro storie ai corridori di Trento, davanti a una birra, schiacciati in una saletta troppo piccola e con due telecamere in faccia e un registratore sulle ginocchia. Perché le epifanie vanno registrate e tramandate, e riascoltate in loop, anche in forma di aforisma, come un reel, che una volta che finisce ricomincia daccapo. È ancora questa, nonostante tutto, una delle ultime cose che ci illude di vivere ancora uno sport di nicchia, rievocato da quella foto sulla panchina: invitare un atleta a raccontare delle cose a caso a gente a caso in una birreria a caso, e a correre un giorno a caso in un boschetto a caso. E senza sponsor, o senza nominare, nemmeno per sbaglio, le scuderie degli atleti. Questo è il motivo per cui quell’amalgama di individui che chiamiamo comunità (inciso: comunità fisica, non mediatica), individui ancora troppo poco adulti per abbandonare il pronome plurale (chi ce lo dirà, tra vent’anni, che quel noi era solo un’illusione?), continuerà a essere grata e devota.
“Ma la cosa che conta di più è lo sforzo, il viaggio che facciamo allenandoci ogni giorno, la routine, e soprattutto condividere questo viaggio con persone che capiscono, persone come voi. Questo è il modo per abbracciare questa comunità. Non stiamo facendo uno sport individuale, anche se tecnicamente quando corriamo siamo da soli, ma facciamo gare per stare con altre persone e perché così possiamo condividere i nostri obiettivi e la nostra passione con altre persone. Ed è una cosa che non capisco del tutto, è una specie di domanda senza risposta: perché significa così tanto per me? Ma essere in grado di viaggiare per migliaia di chilometri e incontrare un gruppo di persone come voi, che probabilmente sentono la stessa cosa che sento io per questo sport, è qualcosa di potente.”
Una banda di matti. Questo, almeno, deve aver pensato chi passava fuori dal locale e vedeva attraverso le vetrate quella piccola folla ascoltare queste parole. Tutti matti, idealisti e sognatori, che poi in fondo sono la stessa cosa.
C’è questa scena bella e violenta, che in pochi minuti spazza via ogni sogno adolescenziale con un colpo di spugna, qualunque sogno, mio e vostro; è il momento in cui diventiamo adulti, in cui scopriamo che tutto quello in cui credevamo non era che un gioco. È l’ultima scena di Quadrophenia, di Franc Roddamm (1979), che, come tanti film che parlano di queste cose, è diventato il manifesto di un movimento pure facendolo a pezzi. C’è quindi questo Jimmy, sulle scogliere di Dover, che dopo aver trovato nella controcultura mod—ma metteteci quello che volete—il senso della sua vita di adolescente disadattato, e dopo aver fatto a pezzi lavoro e famiglia in nome di quello stile di vita, vede i suoi pilastri crollargli addosso a uno a uno, scoprendo che per tutti gli altri—i suoi amici, i mod—era solo un gioco: un modo di vestire, un modo di comportarsi: niente di esistenziale. Così Jimmy torna a Brighton, il luogo in cui per la prima volta aveva sentito di appartenere a qualcosa, e in cui aveva creduto, nel modo più alto, di essere nato per quello. Qui scopre che il suo idolo ribelle, Ace Face, fa il facchino in un hotel, e deluso ruba la sua Lambretta e la getta dalle scogliere. La fine del noi.
Tutti abbiamo la nostra Brighton, e prima o poi Brighton muore. Però c’è qualcosa che di volta in volta si rinnova, qualcosa di cui continuiamo a portare l’illusione, un noi, che sono poi persone con nomi e cognomi, non certo entità astratte, con cui condividiamo il processo, o se non altro dei momenti, momenti che magari non hanno nessun significato, parole al vento che tra vent’anni nemmeno ricorderemo, ma che sono comunque momenti reali. E siamo disposti a fare a pezzi le nostre vite in nome di questo, e a sacrificare il nostro tempo, il nostro denaro, i nostri dolori, e in una certa misura anche alcuni pezzi della nostra felicità. Chiunque corra le 100 miglia è disposto a farlo, almeno in parte, è una forma di privazione. Una gabbia di matti. Sono modi per sopravvivere, tutti insieme, e per dare un senso a qualcosa che non ce l’ha. Maschere, forse, e allora datecene un’altra, un’altra maschera ancora.
Per capire a che livello la mia condizione sia patologica, questa notte ho sognato di andare in questo posto (foto): è il Twede's Cafè di North Bend, Washington, il diner RR di Twin Peaks. Nel sogno non avevano la crostata di mirtilli, bastardi. Poi perdevo treni e aerei e accadevano le classiche cose dei sogni, in cui di solito vivo la perenne condizione dell’out of time man.
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Novità (ma non solo...)
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Fonte: pixabay.com
Il vostro affezionato staff delle Biblioteche di Milano vi imbandisce un piccolo antipasto letterario, prima delle pantagrueliche proposte natalizie.
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Di Geoffrey Holiday Hall si sa soltanto che fu giornalista e scrittore. Elogiato da Leonardo Sciascia che lesse La fine è nota nel 1952, pubblicò solo due gialli e poi scomparve praticamente nel nulla. La fine è nota (uscito per la prima volta in Italia con il titolo La morte alla finestra) fu premiato in Francia nel 1953 come miglior poliziesco in lingua non francese. Il titolo originale (The end is known) deriva dal Giulio Cesare di Shakespeare: “Oh, se fosse dato all’uomo di conoscere la fine di questo giorno che incombe! Ma basta solo che il giorno trascorra e la sua fine è nota”. Un giallo di classe, strutturato come un viaggio a ritroso nella vita del protagonista di cui si ricostruisce la storia passo per passo, testimonianza per testimonianza, come un misterioso puzzle che si completa, ovviamente, solo nel finale. Molto godibile è anche il secondo titolo Qualcuno alla porta, dai toni più leggeri, nonostante gli omicidi e l’atmosfera della Vienna sotto l’occupazione sovietica nel secondo dopoguerra che non ricorda neppure lontanamente gli splendori dell’impero asburgico. “Sembra uno di quei soggetti che piacevano a Hitchcock (e non è detto che il pressoché ignoto Holiday Hall, scrivendo Qualcuno alla porta, non avesse in mente le figure di James Stewart e Doris Day, o di Cary Grant e Grace Kelly)”. La frizzante coppia americana che si trova, suo malgrado, a gestire le indagini ricorda anche il duo Tommy e Tuppence di Agatha Christie. Doppio colpo di scena sul finale: cosa chiedere di più a un libro giallo?
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Ha un solo difetto Un volto nella folla di Budd Schulberg: è troppo breve. Parliamo ancora dell’autore di Perché corre Sammy? e I disincantati per questo racconto appena uscito e finora inedito in Italia, da cui Elia Kazan trasse il film omonimo con protagonista Andy Griffith (l’indimenticabile avvocato Matlock della fortunata serie televisiva, per intenderci). Il tema, fin troppo attuale, è quello della manipolazione del pensiero e dei comportamenti (e quindi del voto) delle masse da parte dei personaggi dello spettacolo: in questo caso si tratta di un finto sempliciotto proveniente da un paesino dell’Arkansas che, in virtù della sua sconcertante capacità di coinvolgimento, diventa il paradigma dell’America intera. Grazie alle sue canzoni folk, a vecchi luoghi comuni sulle tradizioni popolari e a un indubbio carisma, il nostro eroe riesce a condizionare il pubblico e ad arricchirsi con i lauti proventi della pubblicità. Cambia il tema negli altri due racconti della raccolta: i ‘dietro le quinte’ del mondo del cinema in Questa è Hollywood, che l’autore, sceneggiatore e figlio di un tycoon della Paramount, non solo conosceva bene, ma sapeva anche descrivere con agile penna, e L’imbonitore, sul mondo della boxe. Ricordiamo che per la sceneggiatura di Fronte del porto (che è anche un romanzo), celebre film con Marlon Brando, Schulberg si aggiudicò l’Oscar nel 1954.
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Per la serie i grandi classici hanno sempre qualcosa da dire è stato ripubblicato da Mondadori e da Sellerio Brighton Rock di Graham Greene. Una lettura da consigliare sotto tutti i punti di vista: un giallo ben costruito con protagonisti tratti sia dalla malavita, sia dal caso che fa di un personaggio del tutto inaspettato un accanito segugio alla ricerca del colpevole, come fosse Porfirij Petrovic che insegue Raskolnikov o Javert che perseguita Jean Valjean, ma con uno spirito diverso, fresco e originale. “Nello specchio inclinato sopra il lavabo si poteva vedere riflesso, ma gli occhi si distolsero rapidamente da quell’immagine di guance livide e mal rasate, di capelli lisci e occhi da vecchio. Non lo interessava. Era troppo orgoglioso per preoccuparsi del suo aspetto”.
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Nuova ristampa anche per Le vittime di Norwich (1935) uno dei gialli più famosi (insieme a The House of Dr. Edwardes che ispirò il film Io ti salverò diretto da Alfred Hitchcock) fra i 31 composti dalla coppia britannica John Leslie Palmer e Hilary Aidan St. George Saunders sotto lo pseudonimo di Francis Beeding.
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Da La regina degli scacchi di Walter Tevis, lo scrittore di Lo spaccone e Il colore dei soldi, è stata tratta una miniserie televisiva di grande successo. Accade spesso che i geni abbiano avuto una vita difficile, siano dei disadattati, spesso asociali, in perenne conflitto con se stessi, il prossimo e il mondo che li circonda. È anche questo il caso della protagonista, la piccola Beth, cresciuta in orfanotrofio, che trova una riscossa alla sua grigia esistenza grazie alla passione per la scacchiera. Una curiosità sul ‘caso letterario’ di Tevis: dopo il successo dei primi libri, fu dimenticato anche a causa dei problemi con l’alcol. Quando decise di riprendere a scrivere, lo fece seguendo un corso di scrittura all’Università dove fu riconosciuto dal poeta Donald Justice che, stupito, gli chiese cosa ci facesse un grande autore come lui in mezzo agli studenti, quando avrebbe invece dovuto salire in cattedra. Breve fu purtroppo la sua seconda stagione creativa: Tevis morì a soli 56 anni per un tumore.
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Il voyeurismo è il tema principale dell’ultimo romanzo di Simenon pubblicato da Adelphi, Delitto impunito: composto nel 1953 durante il soggiorno dello scrittore a Lakeville nel Connecticut, fu edito l’anno successivo in volume e a puntate sul settimanale «Les Nouvelles littéraires». Il secondo tema del libro è l’invidia, quella di chi non ha nulla, né bellezza né fascino nè denaro ed è stato defraudato perfino dell’affetto dei genitori, nei confronti di chi invece ha tutto questo e ne mena vanto, e gode nell’esibirlo senza ritegno. Una lotta accanita tra due personalità, che è la lotta atavica tra gli uomini per la supremazia. “A Élie non era mai successo di trovarsi davanti un uomo completamente felice, felice in tutto e per tutto, sempre e comunque, in ogni momento della giornata, e che approfittava con candore di tutto quel che lo circondava per accrescere il proprio piacere”.
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Una nuova indagine per l’improbabile detective di Partanna Giovà, metronotte per caso, coinvolto in un duplice omicidio di stampo mafioso insieme a tutta la scombinata famiglia Di Dio. Sarà ancora una volta l’anziana madre, autentica virago arroccata alle salde tradizioni popolari e armata di un cervello dalla logica “acuminata”, ad avviare le indagini verso l’inevitabile conclusione. Ma cos’è La boffa allo scecco? Questo, almeno, ve lo possiamo svelare: si tratta di un gesto simil-apotropaico (in realtà un autentico sopruso) che a tutti è occorso di subire almeno una volta nella vita, ovvero lo schiaffo di rimando, come sfogo per un’ingiustizia patita che non si è in grado di vendicare altrimenti. Roberto Alajmo non delude le aspettative.
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Per quanto riguarda Sarà assente l’autore di Giampaolo Simi, si può dire che, se esiste una sana via di mezzo tra assecondare a priori i gusti dei lettori meno esigenti e scrivere in modo che solo l’autore possa comprendere i propri contenuti, Simi l’ha sicuramente trovata e ce la propone in queste succulente paginette. Dedicato a chi ha la voglia, la necessità, l’urgenza di ridere a crepapelle.
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Nell’ultimo nato della serie del BarLume di Marco Malvaldi, La morra cinese, gli inossidabili vecchietti sono alle prese con l’omicidio niente di meno che di un giovane filologo romanzo alle prese con un carteggio appartenente alla famiglia di un nobile “arci-decaduto” del luogo, in cui, pare, compariva addirittura un’epistola inedita di Giacomo Leopardi. Ma questo non è l’unico movente per un delitto che non resterà a lungo irrisolto.
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scalpcollector · 2 months
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Vabbè l'ho fatto con Tommy e lo faccio anche con CJ
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alonewolfr · 3 months
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L'amore è come una vecchietta e un vecchietto che sono ancora amici anche dopo essersi conosciuti così bene.
|| Tommy - 6 anni
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#bibliotecasanvalentino
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Milieu Edizioni
Buona lettura a tutti!
SUL FONDO DEL BLACK’S CREEK di Sam Millar
In una torrida e sonnolenta giornata d’estate sulle rive del Jackson’s Lake, il quattordicenne Tommy e i suoi amici Brent e Charlie, detto Ferro per la sua fortuna sfacciata, fanno il bagno nudi nel lago, bevono Coca ghiacciata, leggono fumetti della Marvel e, d’improvviso, assistono impotenti al suicidio di Joey Maxwell, un ragazzino di poco più giovane che sceglie di lasciarsi morire nel lago a poca distanza da loro.
La piccola cittadina di Black’s Creek, a nord dello stato di New York, dove i ragazzi vivono da sempre con le loro famiglie, viene scossa da questo tragico evento e in molti pensano di sapere cosa, o meglio chi, abbia spinto il piccolo Joey a togliersi la vita. In città, infatti, gira un losco figuro che lavora come custode part time al cinema Strand e si dice in giro che vada molestando i ragazzini. Jeremiah, il papà del giovane Maxwell con il quale è meglio non scherzare perché “Lui non perdona e non dimentica…”, chiede a gran voce che venga fatta giustizia. Lo sceriffo Henderson, padre di Tommy, si sente sotto pressione ma non ha abbastanza prove per procedere all'arresto del presunto colpevole. La situazione degenera quando a Black’s Creek vengono commessi due omicidi.
Sul fondo del Black’s Creek è un noir coinvolgente, dal ritmo tesissimo e dal linguaggio crudo, che cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine, ma è anche un racconto di formazione che descrive la perdita dell’innocenza di un ragazzino e dei suoi amici che si trovano ad affrontare un nemico feroce, malvagio e subdolo e che, pur di sconfiggerlo, sono pronti a commettere atti irreversibili.
COSA MI È PIACIUTO
All'interno del romanzo l’amicizia appare come un elemento fondamentale, ma anche estremamente fragile. Il primo amore è vissuto come un’esperienza memorabile, ma che genera confusione e dolore. Con grande intensità Sam Millar ci descrive il rapporto speciale che Tommy ha con suo padre, lo sceriffo Henderson, un uomo coraggioso, retto, sensibile, che ha una profonda fede nella giustizia: “…È per questo che abbiamo la legge, Tommy. Se consentissimo alle persone di farsi giustizia da sole, avremmo anarchia e linciaggi. Lo capisci questo, vero?”. In alcuni punti del libro l’autore stempera la tensione con situazioni e dialoghi ricchi di umorismo, ad esempio quando Tommy si caccia nei guai, oppure quando viene rimproverato ripetutamente da sua madre, una sorta di generale in gonnella, per le amicizie che frequenta, i continui ritardi e la sua disobbedienza. Del resto, la signora Henderson fa bene a stare in apprensione per quel suo figlio irrequieto. Black’s Creek è un paesino all’apparenza tranquillo, ma quando arriva il buio il pericolo è in agguato; dopotutto, come dice Ferro a Tommy “La notte e le tenebre appartengono ai mostri. Non ai supereroi”.
COSA NON MI È PIACIUTO
Come sempre quando un libro mi appassiona, mi trovo in difficoltà a evidenziarne gli aspetti negativi. Sinceramente, in questo caso, non ne ho trovato nessuno.
L’AUTORE
Sam Millar è uno scrittore e sceneggiatore nato a Belfast e, dopo la lunga militanza nell’IRA, è diventato uno degli scrittori di crime e thriller irlandesi più famosi. I suoi libri sono tradotti con successo in tutto il mondo. Per Milieu ha pubblicato il memoir “On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese” e “I cani di Belfast”.
LA CASA EDITRICE
Milieu edizioni nasce a Milano come progetto di ricerca sulla storia criminale e sociale del Novecento e, in un secondo momento, si sviluppa come proposta editoriale a partire dal maggio 2012. Nel nome stesso della casa editrice sta il senso di questo percorso, nel fascino verso una mala a suo modo romantica e nella ricerca dei meccanismi “ambientali”, il milieu appunto, che influiscono sulle scelte dei singoli.
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elorenz · 8 months
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Ieri riguardando Quei bravi ragazzi (quando trovo un film di Scorsere difficilmente cambio canale) ho finalmente capito cosa renda ipnotico il suo modo di fare cinema. Oltre al cast pazzesco del film, che in questo caso ho rivisto in parte anche nei Soprano, è il suo stile di regia fluida che con i movimenti di macchina focalizza l'attenzione sul significato della scena o sul momento narrato così da catturare completamente l'attenzione.
Due scene mi hanno colpito in particolar modo riguardandolo. La prima è quella sorta di piano sequenza che presenta assieme al narratore Henry (Ray Liotta) i personaggi della Mafia Newyorchese ed ognuno di loro interagisce con la macchina da presa dopo la presentazione fuori campo di Ray. La seconda è il movimento di macchina che stringe su James (Robert De Niro) quando è alla cabina telefonica e gli dicono che Tommy (Joe Pesci) è andato.
Quando dietro la macchina da presa c'è qualcuno che sa fare il suo lavoro, il film ti assorbe completamente e c'è poco da fare, qualsiasi impegno può attendere. Difatti ho fatto tardi a lavoro.
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diceriadelluntore · 5 months
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Storia Di Musica #303 - Billy Cobham, Spectrum, 1973
Non si poteva terminare il piccolo racconto del jazz fusione davisiano senza imbattersi in lui. In parte è già successo, perchè è il suo battere unico e riconoscibile che scandisce alcuni dei più grandi dischi del genere. Ci vollero infatti pochi anni a Billy Cobham per imporsi subito come uno dei grandi solisti della batteria, e per diventare negli anni uno dei riconosciuti grandi interpreti dello strumento, non solo in ambito jazz. Nasce a Panama, ma dopo pochi anni si trasferisce con la famiglia a New York. da giovanissimo si innamora della batteria, si diploma all' High School of Music and Art, nel 1962 (quando ha 18 anni) ed inizia a suonare nei locali. Viene arruolato, ma per vari motivi non parte mai per nessun fronte di guerra americano; passa però molto tempo nella banda musicale dell'esercito, con cui gira per mesi tutta l'America e non solo. Nel 1968, una volta finito il servizio, inizia a suonare con grandi del jazz: il primo a scoprirlo fu Horace Silver, con cui va in tour per oltre un anno, poi accompagna altri grandi solisti tra cui il sassofonista Stanley Turrentine, l'organista Shirley Scott e il chitarrista George Benson, da cui inizia a scoprire le meraviglie della contaminazione del rock sul jazz, e viceversa. Con la raccomandazione di Benson, è ingaggiato dai mitici fratelli Randy e Michael Brecker per il progetto Dreams, uno dei primi gruppi jazz rock, insieme con il grande chitarrista John Abercrombie, siamo nel 1969. I Dreams pubblicano due dischi, il primo omonimo, Dreams, molto interessante. E le qualità di ritmica e di tecnica pura di Cobham non sfuggono all'orecchio attento di Davis, alla ricerca di un batterista jazz ma che sappia affrontare le sfide della nuova contaminazione. Lo chiama per le registrazioni di Bitches Brew (compare in Feio, un brano prima scartato, poi aggiunto nelle successive ristampe del capolavoro) ma è centrale in A Tribute To Jack Johnson. È con John McLaughlin fulcro della Mahavishnu Orchestra, in cui suona nella prima formazione, quella che in pochi anni si pone ai vertici del movimento jazz fusion. Quando la band si scioglie, insieme a Jan Hammer, il geniale tastierista della Mahanishnu, prosegue un percorso solista, e nel 1973, durante una leggendaria sessione di registrazione di soli due giorni, realizza il suo album di esordio.
Spectrum è uno dei grandi dischi jazz fusion ed è quello che fa conoscere anche fuori dall'ambito jazz il batterista. In copertina, l'artista Jan Snyder, prendendo in prestito il font del primo disco della Mahavishnu, realizza un quadro che sembra una delle prime immagine digitali che in quegli anni attiravano la curiosità. Il disco fu registrato in una doppia sessione, il 14 e il 16 Maggio del 1973, dove seguendo le regole del Maestro Davis, dà ai musicisti delle linee generali sui brani e poi li lascia liberi di creare e improvvisare, e le registrazioni coordinate da Ken Scott, leggendario ingegnere del suono inglese già con i Beatles e i Pink Floyd, furono quasi sempre una sola o massimo due per brano. Il parterre dei musicisti che coinvolge è sontuoso: il grande Ron Carter al contrabbasso, Jimmy Owens alla tromba, Joe Farrell al sax, Raymundo "Ray" Barretto Pagán, grande percussionista, John Tropea alla chitarra e soprattutto un giovane chitarrista dell'Iowa che una volta vide suonare con il suo gruppo, gli Zephyr, giusto prima che la James Gang lo chiamasse in formazione: Tommy Bolin. Cobham vede in quello stile veloce e sensuale di Bolin molte similitudini con il suo, e nascerà una collaborazione entusiasmante che, visto il successo del disco, sarà un trampolino per il chitarrista americano. Dato il metodo di registrazione, sul vinile i brani sono quasi senza soluzione di continuità, come se fossero mini suite intervallati da piccole pause tra di loro, mentre hanno numerazione diversa sui cd o sulle piattaforme digitali odierne (per la cronaca, sul vinile i brani sono 6, sui cd sono 10). Restano i suoni, meravigliosi: la batteria maestosa in Quadrant 4, Stratus diventerà famosa perchè presente nella stazione radio Fusion FM del videogioco Grand Theft Auto IV e fu campionata nel brano Safe From Harm dai Massive Attack (nel loro Blue Lines, 1991); in Taurian Matador la corda del mi cantino della chitarra di Bolin si spezza quasi all'inizio del suo assolo, ma continua imperterrito; in To The Women In My Life Cobham non suona nemmeno, e per 50 secondi l'atmosfera è tutta del piano di Hammer. Red Baron, da oltre 6 minuti, è il brano più famoso, che codifica il jazz muscoloso, veloce e caratteristico di Cobham, dei suoi innesti dal funk e della musica soul, che influenzeranno una intera generazione di musicisti in quasi ogni ambito della musica.
Anche perchè il disco fu un successo inatteso: al primo posto nella classifica Billboard dei dischi jazz, addirittura al Numero 26 di quella generale, la leggendaria Billboard 200. Bolin, che dopo questa parentesi continuerà a suonare nella James Gang, verrà notato da Jon Lord dei Deep Purple, in cerca di un sostituto dopo l'uscita di Richie Blackmore: Lord rimase impressionato dalla sua chitarra in questo disco, regalatogli dal cantante dei Purple dell'epoca, Dave Coverdale (che in tutte le interviste definirà uno dei suoi preferiti in assoluto). Bolin, reclutato secondo la leggenda da un roadie in una villa di Los Angeles, non conosceva nemmeno Smoke On the Water, ma bastarono pochi minuti di esibizione, invitato dalla band ad un concerto di prova presso il Pirate Studios di Los Angeles, per essere reclutato. Come Taste The Band, nel 1975, è il primo disco di Bolin nella Mark IV dei Deep Purple, ed ebbe notevole successo. Ma rimase l'unico, perchè solo un anno più tardi, per i suoi problemi di eroina, fu prima allontanato dal gruppo e poi, dopo il suo primo e unico concerto, di spalla a Jeff Beck, morto per overdose, nel giugno del 1976. E Jeff Beck, in ricordo suo e del disco di Cobham, userà spesso Stratus nei suoi concerti, una versione mozzafiato è quella live al Crossroads Guitar Festival del 2007 con Tal Wilkenfeld al basso e con Vinnie Colaiuta alla batteria (da cercare su Youtube).
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goodbearblind · 2 years
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"John Wesley Carlos (New York, 5 giugno 1945) è un ex velocista statunitense, celebre per il pugno chiuso guantato di nero che mostrò insieme al connazionale Tommie Smith sul podio dei 200 metri piani ai Giochi olimpici di Città del Messico 1968 per protestare contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti d'America."
Solidarizzó con loro anche Peter Norman, il più veloce australiano del tempo, quel ragazzo in basso a sinistra, attivista per i diritti umani.
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/John_Carlos
#johncarlos #antiracism #olympicgames1968 #peternorman #protest
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filorunsultra · 2 years
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The last block
Un giorno di agosto della scorsa estate decido di caricare la tenda sulla bicicletta e di lasciarmi l’afa alle spalle. Mi aspettava l’ultimo blocco di endurance prima di UTMB, e ho pensato che il modo migliore per farlo fosse appartarmi con una tenda in un bosco, mangiare, riposare, e correre. È stata la cosa meno sensata della mia preparazione, ma anche una delle vacanze improvvisate più assurde della mia vita. Buona lettura.
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Sono a casa da qualche settimana. Dopo Translagorai mi sono fermato per cinque giorni e ho fatto un trekking di due giorni sulle Odle, per poi iniziare le ultime tre settimane di endurance prima di UTMB. Quest’estate non ho l’appartamento a Trento, così passo questo periodo a Vicenza, allenandomi sugli argini vicino a casa e andando a cercare qualche salita sui colli o sulle Piccole Dolomiti. Ma per correre venti chilometri su sentiero devo farne trenta in bicicletta, e dopo un paio di settimane la cosa diventa insostenibile. Così quella mattina di agosto prendo la bicicletta, ci carico sopra la tenda e qualche gel, chiudo casa e riparto per il Trentino. Il piano è passare una settimana in tenda, dormendo all’occasione da qualche amico, spostandomi di giorno in giorno per correre sui sentieri più belli della zona.
Mercoledì – Rest Day (+ 70 k in bici)
Per qualche anno ho fatto cicloturismo, e durante i miei viaggi i mezzi pubblici sono sempre stati una specie di ritirata. Adesso la bici è più che altro il mio mezzo di trasporto, e in qualche occasione il mio camper, per cui non mi faccio scrupoli a caricarla su un treno, soprattutto se devo correre due ore al giorno. Il mercoledì parto da casa sul presto: penso di pedalare fino a Thiene, e da lì prendere una corriera per Lastebasse, da cui mi resterebbero solo qualche centinaio di metri di dislivello fino al passo della Fricca e la lunga discesa verso Levico. A Thiene mi fermo da Tommy, dove prendo un paio di luccicanti Catamount bianche, e poi da mia zia per fare colazione. Qui scopro di non poter caricare la bici sulla corriera, e la mia già parecchio compromessa fiducia nell’umanità va definitivamente a puttane. A mezzogiorno inizio a pedalare verso Bassano, col vento a favore e un temporale alle calcagna. Sul primo per Trento non mi fanno caricare la bici e sono costretto ad aspettare quello dopo al bar della stazione. Il trenino della Valsugana collega Bassano a Trento, e viene usato da tantissimi cicloturisti tedeschi che scendono verso Venezia. Imprecando sull’arretratezza dei trasporti italiani salgo sul treno successivo. La mia idea di dormire sul lago di Levico eclissa sotto un diluvio estivo dal finestrino del treno. Così tiro dritto fino a Trento, dove chiedo ospitalità alla Eli. Ho sempre promesso a Elisa di non parlare del suo bagno, ma davanti alle piccozze appese al lavandino, i G2 a fianco alla doccia e la montagna di pile, felpe e giacche appese e ammassate ad asciugare davvero non posso tacere. Intanto, Trento ad agosto è sempre bellissima, e a me sembra quasi di essere in una città nuova. Così finisce il mio giorno di riposo, con 70 chilometri di bicicletta sulle gambe.
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Giovedì – 17 k (+ 20 k in bici)
Trascorro la mattinata al bar di fronte alla mia università, con la bici carica parcheggiata vicino al tavolino su cui si siedono i miei professori. Sono completamente fuori luogo, ma qui ad agosto non c’è nessuno. Verso mezzogiorno riparto verso la val di Cembra e l’altopiano del Calisio, dove ci sono alcuni dei sentieri più belli della regione. Da Cognola scendo per la Strada dei Forti fino a Civezzano, da cui imbocco la val Floriana. Quando arrivo a Lases cerco un bar in cui lasciare la bicicletta. Trovo solo un solo ristorante che sta chiudendo. Fuori c’è un signore sulla settantina, indossa una camicia in lino a maniche corte con un grande collo anni Settanta, la porta sbottonata fino al petto, da cui spunta il pelo bianco accentuato da una catenina d’oro. Ha un paio di occhiali a goccia, con la montatura dorata e le lenti gialle fumé. Beve acqua e ascolta qualcosa sul telefono, un podcast o la radio, e prende appunti su un taccuino. Mi guarda e non mi saluta. Dentro al ristorante i dipendenti stanno pranzando, e quando gli chiedo di lasciare le borse della bici nel ristorante per andare a correre mi chiedono se dentro ci sono delle bombe. Esco. La val di Cembra è sventrata dalle cave di porfido, che sono gestite dalla ndrangheta. Suggestionato dalla situazione cambio piani, e lascio la bici sotto casa di Franz, ad Albiano. I vicini mi guardano incuriositi finché mi cambio e cerco un angolino in cui nascondere le borse della bici. Dopo trenta ore in giro finalmente metto le scarpe da corsa. L’ultimo blocco di endurance è iniziato. I sentieri tra Santa Colomba, il Caliso e Pian del Gac sono i più belli che abbia mai visto in Italia. Sono dei biliardi larghi e polverosi, che alternano basse pinete a scure abetaie, e che cambiano mood e temperatura nel giro di una curva. Se mai organizzerò una gara la organizzerò qui. Trascorro la seconda notte nella casetta del Franz ad Albiano.
Venerdì – 17 k (+ 50 k in bici)
Ci alziamo alle sei e mezza e andiamo a fare una sgambatina in bici fino a Santa Colomba a digiuno. I primi raggi colpiscono le cave di porfido e la rugiada inizia a evaporare dal bosco. Il lago appare coperto da un sottile strato di umidità, che si alza dallo specchio d’acqua e penetra tra i pini. Scendiamo per Fornace e rientriamo dalla val Floriana. Proviamo a lavorare fino a quando l’azienda per cui lavora gli manda un link per guardare gratuitamente la finale di arrampicata lead alle Olimpiadi. Il pomeriggio riesco a correre gli stessi chilometri del giorno prima senza passare mai per gli stessi sentieri, è una delle cose belle di quest’area. So di un tipo che ha corso 92 chilometri sull’altopiano senza incrociare mai il percorso. Verso sera recupero la bici, lascio il porfido e la valle dell’Avisio e ritorno verso Trento. Da Meano l’imponente parete della Paganella si getta nella val d’Adige. La strada è morbida e poco trafficata, e il bosco di pino nero viene di tanto in tanto interrotto dai depositi e dalle cave di porfido. Il sole taglia gli alberi. Mi fermo a fare una foto, raccolgo un sanpietrino, souvenir. Trascorro la terza notte nel vecchio appartamento di mia morosa. Lei non c’è, ha già traslocato ma paga ancora l’affitto, così l’appartamento è vuoto: niente cibo, niente asciugamani, niente lenzuola. C’è solo il materasso. Poco male, per ora.
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Sabato – Doppio Biography Loop (+ 10 k in bici)
La dinamica del sabato mattina è importante. Quel giorno mi sveglio abbastanza presto, così esco e vado a scrivere al Dersut di Piazza delle Erbe. Quella sera mio padre dovrebbe arrivare in bicicletta a Caldonazzo, la prima tappa delle sue vacanze in bicicletta. Così decido di salire in bici al rifugio Bindesi, poco sopra la città, di correre un paio di Biography Loop, e poi riprendere la bici e scendere fino a Caldonazzo, per incrociare mio papà e passare la notte in tenda insieme. La salita verso i Bindesi con la bici carica è devastante e fa caldissimo. Arrivato al rifugio mangio un paio di Abbracci Mulino Bianco e do due sorsate al brik di latte di soia; aspetto un’oretta e mezza per digerire e per rilassarmi. Riorganizzo i borsoni, mi cambio e parto. Fa caldo, caldissimo, così alla prima fontana bevo la prima borraccia di acqua gelata. Al Maranza il sole picchia sempre più forte, ma inizia la discesa. All’incrocio delle quattro strade giro a sinistra e attacco il secondo loop. Lo conosco come le mie tasche, ma la leggenda vuole che è solo durante la seconda volta che rivivi tutta la tua vita. Ormai non controllo più la temperatura corporea, mi tornano su i biscotti e la sete aumenta. Alla solita fontana riempio la borraccia, vorrei trangugiarla, ma mi controllo. La pancia mi ballonzola e in discesa non riesco più a correre, mi butto a bordo sentiero, mi rialzo, mi risiedo. In qualche modo arrivo ai Bindesi, e ordino una radler. Tuttora ne ignoro il motivo. Grondo di sudore e inizio a tremare, al secondo sorso mi alzo, mi sporgo verso la terrazza del rifugio e mi contraggo in un conato di vomito, vista valle. Nel frattempo un signore sconosciuto mi ammorba coi racconti della sua giovinezza e dei suoi tempi sul mezzofondo, provo a essere gentile. Quando riesco ad alzarmi salgo in bici e mi mollo giù dai tornanti di Villazzano. In via Asiago, quando la strada progressivamente spiana, inizio a rallentare fino quasi a fermarmi. In qualche modo arrivo a casa di Camilla, dove ad aspettarmi ci sono soltanto un divano, una doccia e un rubinetto. Crollo. Non riesco a muovermi, ho sete ma non riesco a bere, l’acqua è sul tavolo, a un paio di metri, lontanissima. Resto così un paio d’ore, a fissare la bottiglia, assetatissimo. Sonnecchio, dormo. Mia mamma da Vicenza mi fa arrivare un gelato con Deliveroo, è l’unica cosa che il mio cervello può pensare di mangiare. Fortunatamente lo stomaco è d’accordo. Nel frattempo, arriva il coinquilino di Camilla, che abita ancora lì, non si chiede perché io sia lì, mi saluta e se ne va in camera. Salgo a gattoni la scala a chiocciola che porta al bagno e alla camera di Camilla. Collasso ancora.
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Domenica – 3h run Rest Day (+ 12 k in bici)
La mattina dopo mi sveglio più o meno come mi sono addormentato. Ho ancora lo stomaco sottosopra e le gambe vuote. Senza saper pensare ad altro salgo in bici, butto giù il 36 e inizio a barcollare verso la stazione. Combatto contro l’ascensore del binario, che è troppo corto di tre centimetri, sollevando quei quaranta chili di borsoni e acciaio fino a che la porta non si chiude. Sullo specchio dell’ascensore guardo negli occhi un fantasma, ho gli zigomi scavati e sono pallido. Anche fare su e giù dal treno è un’impresa. La carrozza non ha l’aria condizionata ed è piena di gente, la mascherina mi si appiccia alla faccia e mi impedisce di respirare. Tra cambi, gradini e ascensori arrivo a Vicenza; per percorrere gli ultimi 11 chilometri che separano la stazione da casa ci metto un’ora. Non ricordo nulla.
Martedì
Due giorni dopo sono sul lago di Levico con mia mamma, mi ha accompagnato a Trento per fare il richiamo, così decidiamo di fermarci a pranzo sulla spiaggia. Fa caldo, mi torna la voglia di fare quei due giri di lago che non sono riuscito a fare la settimana prima, e magari anche un bagno. Ma è iniziato il tapering, da qui a UTMB mi restano solo passeggiate, corsette lente e un paio di lunghi tranquilli. Da un certo punto di vista una settimana così stressante, sia fisicamente che mentalmente, non è il modo migliore per eseguire bene gli allenamenti. Ma dal punto di vista mentale credo mi sia stato davvero utile. Quest’anno penso che farò qualcosa di analogo, magari spostandomi a piedi anziché in bici, e restando fermo in un luogo, così da eliminare gli spostamenti e dedicare più tempo alla corsa. Ma prendere la tenda e andarmene da qualche parte, oltre a distruggermi, mi ha rigenerato, e mi ha permesso di arrivare a Chamonix pensando che quello che potevo fare l’avevo fatto, e che non mi restava che correre quelle mie prime cento miglia, e vedere dove mi avrebbero portato.
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Questo pezzo è per Destination Unknown Coaching, a cui dovevo un favore.
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