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#La voce dei libri
marcogiovenale · 1 year
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oggi, 6 aprile, a bologna: presentazione del libro "nevica sulla mia mano" (lucio dalla e roberto roversi)
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colachampagne3 · 9 months
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Oggi mi è arrivato un kudo su una vecchia storia sull'altro profilo. Per nostalgia ho riletto la storia e... era così carina, così scritta bene, così non-me-in-burn-out che mi è venuta voglia di fare pulizia sul mio nuovo profilo ao3, uscire di casa sotto questa pioggia e guardare le lumache passare da una parte dei sentieri all'altra, seduta accanto al mio gatto.
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catsloverword · 4 months
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Giudizi universali
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Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane Ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiato Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l'aquilone Togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace
Liberi com'eravamo ieri, dei centimetri di libri sotto I piedi Per tirare la maniglia della porta e andare fuori Come Mastroianni anni fa Come la voce guida la pubblicità Ci sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già...
...Potrei ma non voglio fidarmi di te Io non ti conosco e in fondo non c'è In quello che dici qualcosa che pensi Sei solo la copia di mille riassunti Leggera, leggera si bagna la fiamma Rimane la cera e non ci sei più, non ci sei più, non ci sei e non ci sei
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a-pathica · 2 months
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: “Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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libero-de-mente · 4 months
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2023 - Sintesi
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- Ho cominciato l'anno con speranza e fiducia (come quasi sempre)
- Ho perso velocemente sia la speranza che la fiducia (come quasi sempre)
- Non ho baciato.
- Ho dato l'ennesimo taglio ai rami secchi, escludendo persone inconcludenti e approfittartici.
- Ho ascoltato, tanto.
- Ho deluso una persona.
- Ho guadagnato la stima di una persona.
- Ho riscritto il testo di una canzone.
- Ho letto.
- Ho avuto il mio bellissimo "Audio Libri" personalizzato.
- Ho accettato richieste d'amicizia.
- Sono stato bannato poco dopo perché poco "intraprendente".
- L'Ansia ha confermato il contratto di collaborazione con me, per almeno un biennio.
- Ho pensato alla morte.
- Ma ho pensato soprattutto a come sarebbe bella la vita se vissuta in pace con chi vuoi bene.
- Anche nel 2023 non ho seguito nessun influencer.
- Non ho guardato per tutto l'anno neanche un telegiornale.
- Nel 2023 ho perso Minù, una delle mie due bimbe. Così chiamavo le chihuahua.
- Sono stato aiutato. Tanto.
- Ho aiutato. Come ho potuto.
- Ho abbracciato i miei figli mentre piangevano.
- Sono stato a mia volta abbracciato mentre piangevo, dai miei figli.
- Ho ancora caparbiamente sognato.
- Il 2023 si è portato via anche Alvin, il gatto che mi aveva scelto come suo umano nella vita.
- Entrando in un negozio una commessa mi chiese "Buongiorno, desidera?", avrei voluto risponderle "Si, tantissimo".
- Ho imparato che anche le cose belle devono finire, per poterne cominciare di migliori.
- Anche quest'anno un pezzetto di fiducia nell'umanità è esplosa, come le bombe.
- Mi sono convinto che uno dei miei cinque sensi sia il senso di fame.
- Credo che la prima cosa che farò nel 2024 sarà quella di guardare l'ultima creazione di Hayao Miyazaki: Il ragazzo e l'airone.
- Ho rivalutato il sostantivo "sopportazione".
- Ho lavato amorevolmente il corpo di mia madre.
- Guidando in montagna ho letto un cartello stradale "Attenzione frana", l'ho preso sul personale.
- Sono rimasto fedele al team pandoro.
- Ho ascoltato tantissima musica.
- Ho scritto delle mie emozioni, esperienze.
- Ho provato la sensazione di essere una sicurezza, per una persona sconosciuta soccorsa da me di notte.
- Ho abbandonato definitivamente alcuni ideali.
- Ho compreso che la giustizia non ha colore. Se ha un accenno di colore non è giustizia ma un favore.
- Rimpiango una voce che mi chiamava "grumo".
- Anche quest'anno mi vorrò bene l'anno prossimo.
- Passerò il Capodanno tenendo la mano di un figlio ammalato.
Visto che siamo su un social.
Penso a tutti quelli che anche per qualche secondo mi hanno letto, dandomi un riscontro con un semplice like o un commento. A chi c'era e a chi non c'è più. Sono stati per me comunque consigli o insegnamenti. Ringrazio tutti.
Non so se basterà un mio augurio affinché il 2024 sia per tutti voi un anno bello. Però come spesso si dice, basta il pensiero. E io ne ho per ognuno di voi.
Buona fortuna e un abbraccio forte forte, siate meravigliosi siate illuminati.
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yomersapiens · 2 months
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Attendendo, prego
Il foglio è bianco e vengo istigato a scrivere dalla barra lampeggiante. Appare e scompare, cerca di stimolarmi a buttare giù i miei pensieri ma non so come fare a dirle che ne sono privo. Mi sento svuotato. Ho la testa gravida di progetti che dovrebbero partire ma non partono. Sono una stazione piena di treni stracolmi di viaggiatori durante uno sciopero dei trasporti generale e totale in cui i sindacati si rifiutano di comunicarne la durata. Come sono finito così? Ho spremuto tutto lo spremibile forse, o sono diventato geloso dei miei pensieri e li tengo dentro di me, sperando crescano così tanto da partorirli già in grado di farcela da soli.
Se non avessi imparato dalle mie malattie croniche l'arte dell'attesa penso inizierei a preoccuparmi. È arrivato il momento di cominciare con una nuova terapia, oramai sarà la ventesima dopo diciannove fallimenti, ma i dottori non hanno fretta (quando mai ne hanno) e quindi se la prendono con calma. Il termine "paziente" credo si riferisca proprio a questo. Devi portare pazienza. Io non solo porto pazienza ma porto anche il laptop e un libro da leggere e il telefono carico. L'attesa sarà lunga e io sono sempre più un oggetto che arreda le corsie dell'ospedale.
Ogni volta che vado a presentare il mio libro in giro devo essere entusiasta, positivo, pieno di energia. Devo convincere che è un investimento di tempo sensato, anzi no, necessario, che ti cambierà la vita e ti riempirà come solo un capolavoro può farlo. Io sono così scarso a vendermi. Cioè si vede che sto mentendo. Ok l'ho scritto io e a me piace, ma boh a te potrà fare schifo che ne so. Chi sono io per dirti cosa ti deve piacere o cosa fare. Fai quello che ti pare. Non comprarlo. Non leggerlo. Lasciami in pace. Dico queste cose mentre sono sul palco, la presentatrice della serata mi guarda stranita. "Ma Matteo io non ti ho posto nessuna domanda, perché stai parlando da solo?". Ah cavolo, l'ho fatto ancora. Mi sono sabotato. Come si fa a fingere di essere interessanti? Neanche quando si tratta di amore o sesso riesco a vendermi bene. Se ti piaccio è perché hai problemi e sarebbe ora tu li risolvessi. Oppure subisci la fascinazione da una certa tipologia di ruderi. Quelli oramai quarantenni, panciuti, spelacchiati e incapaci di prendersi seriamente. Ma molto, molto bravi ad aspettare. Io sarò felice di godere del tuo amore, finché non tornerai in te e capirai che puoi avere di meglio, ecco. Io aspetto, ma nel frattempo wow, davvero posso toccare? Ok, ok. La ringrazio signorina lei è molto gentile.
Stamattina ho fatto una cosa che stavo rimandando da troppo tempo: mi sono pesato. Le cose che rimando da troppo tempo sono: - pesarmi e rendermi conto quanto mi sono lasciato andare - aprire la app del conto in banca e osservare il baratro - la risonanza magnetica (ma quella l'ho prenotata) - chiedere quanti libri ho effettivamente venduto alla casa editrice - rasarmi completamente la testa e archiviare i capelli come esperienza passata - comunicare alla padrona di casa che me ne vado e vendere tutto quello che ho collezionato in 11 anni di vita a Vienna Rimando perché tutto è ancora piuttosto stabile, rassicurante, come un edificio in piedi dopo un terremoto devastante. Mi sono pesato e in effetti eccoli lì quei chili di troppo che rendono difficile chiudere i pantaloni. Poi però, per non affrontare questa consapevolezza da solo, sono andato a prendere il gatto e ho pesato anche lui che è bello cicciotto e allora ecco amico mio, siamo in due a doverci dare una regolata, si torna a fare sport e mangiare sano. Ma mica lo facciamo subito, eh no, si aspetta. Ti faccio vedere io come attendere.
Il foglio è meno bianco, o meno nero, dipende dalle impostazioni del vostro schermo. Nel mio caso dovrei dire che è meno nero. Se lo dico ad alta voce, nel bar dove sono, che sono felice tutto sia meno nero mi danno del razzista e mi cacciano via. Anzi no, non credo, con la situazione politica attuale finisce che mi danno un ministero. Meglio se sto zitto, io di lavorare non ho voglia. Ho voglia di aspettare di trovare il lavoro giusto e il lavoro giusto per me è attendere.
Mi immagino insieme a degli anziani in qualche sala d'attesa, ascoltare i loro discorsi mentre la segretaria aspetta di ricevere ordini dal dottore curante per convocarli. Potrei imparare a fare a maglia. Aiutare con i cruciverba. Sentire gossip sulla vita amorosa di alcuni vip che pensavo morti da un decennio. Forse sono morti ma fanno lo stesso l'amore, cioè mica solo io mi merito di essere fortunato eh. Aspetterei l'esito delle analisi e poi troverei un modo per abbracciare, sostenere, diventare spalla su cui piangere. Potrei stare vicino alle persone che aspettano una risposta a una mail "Non ti preoccupare, potrebbe anche non arrivare mai la risposta ma ora siamo insieme, sono al tuo fianco, ti faccio vedere cosa altro si può fare di utile con il tuo computer, hai mai sentito parlare dei siti porno?". Potrei viaggiare con chi odia stare fermo in un treno e giocare a "trova la mucca" salvo poi rendermi conto che stiamo viaggiando verso Milano e al massimo si vede a pochi metri di distanza causa smog. Povere mucche lombarde, con quel loro latte dal sapore affumicato quanto un whisky disgustoso.
Vivere per me è diventato applicare ogni giorno, quando mi sveglio, la frase motivazionale "aspetta e spera". Lo dico a Ernesto, quando mi salta in faccia per reclamare la sua porzione di pappa. "Aspetta e spera bello mio". Lo dico a me stesso quando mi ricordo che ancora non hanno deciso di finanziare il mio prossimo progetto. Era meglio essere un lavoratore dipendente e odiare colui che fu il mio capo? O essere un libero pensatore che come hobby parla con il gatto e odia il suo di capo? Inteso come testa, perché rende impossibile riuscire a fingere entusiasmo per le cose.
Per questo idealizzo gli anziani. Anche loro ne hanno le palle piene di fingere. Per questo faccio schifo alle presentazioni del mio libro o quando invio richieste di finanziamento, perché dai, i vostri soldi potreste investirli in qualcosa di più utile. Tipo una campagna di riqualificazione dei piccioni come animali da compagnia.
Fossi nato ricco avrei sperperato tutta la mia fortuna in carte Pokémon. Lo so. In quello e in allucinogeni, che poi sono la stessa cosa. Però la bellezza di dire "Ehi, vuoi salire da me a vedere la mia collezione di carte Pokémon?" e sentirsi rispondere cavolo sì, che bello, sono curiosa. Poi magari deludo anche lì. Magari illudo e pensavi che il mio Pikachu fosse molto più grosso, però dipende da come lo usi, se aspetti un po' magari si evolve. Ti chiederei "Sai a che livello si evolve Pikachu" e tu risponderesti "Non so, al 50?" e io ti caccerei di casa perché Pikachu si evolve tramite pietratuono non avanzando di livello e non mi concederò mai a una persona così ignorante. Che disgusto.
Aspetto mio nipote cresca un altro po' così da poter finalmente avere una conversazione decente con lui senza desiderare di stropicciargli quelle guanciotte tonde e rosa pesca che si ritrova. Oppure questo non accadrà mai e io, inquanto zio, lo vedrò sempre come un esserino piccolo e carino e gli stropiccerò le guanciotte il giorno del suo matrimonio.
Un treno, nella metaforica stazione dei miei pensieri, è partito. Con incalcolabile ritardo. Sarebbe più pratico i miei pensieri fossero aerei. Volerebbero da te. Si schianterebbero a pochi metri da casa tua spaventando i vicini. Ma gli aerei mi terrorizzano ancora, quindi i miei pensieri viaggiano su lente, prevedibili rotaie. Poi io ci tengo al pianeta, non lo voglio distruggere, è il posto ideale dove passare il tempo aspettando nella fine del mondo.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti
'DIO È MORTO'
L'espressione è di Nietszche.
Ma non è irriverente.
Per il pensatore tedesco Dio muore perchè la modernità non ha più bisogno del soprannaturale, soverchiata dalla scienza e dalla tecnica che propongono un nuovo paradigma di verità nella conoscenza.
Ma è anche il riflesso paradossale della coerenza di fede: se il mondo è favola...
«Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? forse quello apparente?... Ma no! col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!». - Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli [1887].
Appunto: la promessa di affermare la verità, promessa che gli uomini compiono in nome di Dio, impone che la scoperta di un mondo apparente induca a non mentire e a proclamare la tragica verità del Dio che non è più tra gli uomini.
Questo è il '900.
E l'unico modo che abbiamo per capire l'arte del XX secolo è di far capo a questo concetto ineludibile.
Se togliessimo la scienza e la tecnica, sarebbe comprensibile il '900?
Ovviamente no.
Se togliessimo Dio dal Medioevo, sarebbe possibile comprendere quella lunga epoca?
Anche in questo caso la risposta è negativa.
Così, Andrea Mantegna (1431-1506) può mostrare il miracolo del Cristo che realmente morto risorgerà: il pathos dell'immagine e il dolore di coloro che lo compiangono è attesa della salvezza che si compie, dell'esperienza umana del Dio che nella morte mostra la via ("Il Cristo morto", 1475-1478).
Allo stesso modo, l'apparenza del mondo e l'impossibilità della verità, come lo stesso Nietzsche aveva compreso, diventano un peso insopportabile che conduce verso l'ineluttabile ricerca del divino.
Quest'esigenza trova sfondo in un celebre dipinto di René Magritte (1898-1967), "La voce dei venti" (1931), considerato tra i più enigmatici del pittore belga.
Quelle sfere, fluttuanti a mezz'aria, non sono che l'espressione del ricercato soprannaturale, l'essenza estetica di un anelito metafisico inseparabile dalle profondità del pensiero:
«ciò che ci distingue non sta nel fatto che non ritroviamo un Dio […] ma nel fatto che non consideriamo, come divino, ciò che fu venerato» - Nietzsche, Frammenti postumi (1887-1888) -
Dio è morto?
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intotheclash · 4 months
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L'inizio
“A poco a poco devi creare intorno a te una nebbia; devi cancellare tutto ciò che ti circonda, finché non si possa dare più nulla per scontato, finché più nulla è certo o reale…”
Questa frase, giunta chissà da dove, gli trapanò la testa in un nanosecondo e invase il suo cervello a ranghi compatti, come una falange dell’antica Roma.
Fortunatamente il foro prodotto permise anche alla musica, che proveniva dal potente impianto stereo poggiato sulla libreria, di entrare e ricamarsi il suo spazio, con un subitaneo effetto benefico.
“C’è un tempo per andare dritti giù all’inferno, c’è un tempo per tornare a saldare il conto…”
La musica e le parole che gli fecero drizzare i peli delle braccia e allargare il cuore, erano quelle della Gang, uno dei suoi gruppi preferiti. Il migliore nella vasta costellazione delle band italiane. Li aveva sempre amati, fin dal loro esordio, oramai molti anni prima. Li aveva ascoltati crescere, passo dopo passo, aveva approvato e condiviso senza riserve la scelta di passare dall’inglese all’italiano per la scrittura dei testi, anche se, lo sapeva con certezza, non sarebbero comunque mai arrivati a tutti con la dovuta forza. Peccato. E peccato anche non averli mai incontrati di persona. Chissà, forse le cose sarebbero potute andare diversamente. Chissà!
“Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo, ma deve prendersi la responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa e poi deve andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi…”
Queste invece erano le parole del Libro. Dischi e libri insieme. Mescolati tra loro, impastati col suo stesso sangue, a formare un unico corpo con la consistenza del cemento armato e l’elasticità di una tela di ragno.
A ciò stava pensando l’uomo intento a radersi, ben piantato di fronte allo specchio del bagno. E radersi, per lui, non era una semplice operazione quotidiana di pulizia, che so, come lavarsi i denti o farsi la doccia,ma un vero e proprio momento catartico, una pulizia, vero, ma quasi più interiore che esteriore. Del resto anche la stanza da bagno somigliava più ad un luogo di meditazione e purificazione, piuttosto che al luogo che tutti conosciamo e vogliamo che rimanga. Era amplissima e luminosa, bianca, completamente bianca, muri, maioliche, sanitari, cornice dello specchio e la lunga mensola che correva su tre lati delle pareti: tutto rigorosamente bianco. Le uniche concessioni al colore e che davano carattere al luogo erano: la sedia a dondolo in bambù ed una stampa raffigurante l’Urlo di Munch; poste una di fronte all’altra.
“Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore, bruciami l’anima…”
Questo era il disco.
“C’è di male che una volta che ti conoscono, tu sei una cosa data per scontata e, da quel momento in avanti, non sarai più capace di rompere i legami dei loro pensieri. Io personalmente amo la libertà ultima di essere sconosciuto…”
Questo invece era il libro.
“E passala sta cazzo de palla, Salvato'! E’ vero che l’hai portata tu, ma ci dobbiamo giocare tutti! Cazzo!”
Questa era una voce nuova! E non proveniva né dal libro, né dal disco.
L’uomo terminò di radersi, si risciacquò il viso con abbondante acqua fresca e si affacciò sul vicolo sottostante. Un gruppo di una decina di ragazzini stava giocando al calcio in strada. Era una partita vera, cinque contro cinque, chi arriva prima ai dieci goal segnati, e i maglioni gettati in terra erano le porte regolamentari. La scena lo commosse e lo riportò indietro nel tempo, in un’altra galassia. Anche lui, secoli prima, era stato uno di quei monelli e si era battuto come un leone con i suoi coetanei, nei vicoli del suo paese, così simili a quelle vie della vecchia Roma che, in senso lato, erano diventate la sua nuova dimora.
Ma non aveva tempo per affogare nel miele dei ricordi. Con uno schiocco della lingua li ricacciò indietro e tornò alle sue faccende. Ammirò per l’ultima volta allo specchio il suo lavoro, approvò con un accenno di sorriso il disegno perfetto del pizzetto e si passò ripetutamente il palmo della mano sui corti capelli neri a spazzola. Gli sarebbe piaciuto rasarli a zero, lo aveva anche fatto tempo prima, molto tempo prima, ma si era accorto che dava troppo nell’occhio. Troppe persone lo notavano e non poteva permetterselo; così aveva optato per quel taglio anonimo.
Era vero che, negli ultimi due o tre anni, i pelati erano tornati di moda ed erano cresciuti in maniera esponenziale. E anche se le teste rasate erano ancora ben lungi dal raggiungere il numero delle teste di cazzo, si poteva tranquillamente affermare che la forbice si era ristretta.
Andò in camera ed iniziò a vestirsi. Erano le otto di sera di un bel sabato di fine settembre. L’aria era fresca e pulita e lui aveva un appuntamento cui non poteva mancare. Indossò il suo impeccabile vestito nero, comode ed eleganti scarpe di pelle, anch’esse nere, infilò la pattada sarda nella tasca interna della giacca e fece poi scivolare la sua trentotto special nella fondina ascellare perfettamente nascosta dal taglio dei suoi abiti. Infine spense la luce ed uscì in strada. Il lupo era sceso dalla montagna. La caccia era iniziata.
“Il mondo è un luogo misterioso. Specialmente al tramonto.”
Era di nuovo il libro a far udire la propria voce.
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Ieri ho trovato il coraggio di lasciarti andare per sempre
Ieri ti ho detto addio
Ieri è iniziata la mia rinascita tra il dolore infinito che sento dentro il vuoto di te che già non sei più parte della mia vita, delle mie giornate, della mia quotidianità
Ci siamo lasciati dandoci per l'ultima volta tutto il bene che ci siamo sempre promessi fin dal primo giorno e ora posso dire fino all'ultimo istante
Ci siamo lasciati senza odio alcuno, augurandoci il meglio l'uno per l'altro. Tu lo hai detto a chiare lettere augurandomi la felicità che merito e lì ho iniziato a temere di aver perso per sempre l'unica persona che davvero mi conosce profondamente ma era troppo difficile continuare, stava diventando un'amicizia distruttiva perché io non riesco a reprimere le mie emozioni, non riesco a smettere di immaginarti al mio fianco ogni momento e tu invece sì eri capace di tenere ben distinta la realtà dalla chat, da una vicinanza solo virtuale e questo sentivo che ci stava allontanando ogni giorno di più e sapevo che entro la fine di quest'anno tutto sarebbe finito, avrei voluto resistere ancora, stringere i denti ancora un poco il tempo per poter vivere insieme ancora un paio di tappe e traguardi importanti come la tua laurea, come la pubblicazione dei nostri libri, come la mia patente e l'inizio dei nostri lavori e invece ieri sera ci siamo salutati per l'ultima volta tra le lacrime più sincere
Ieri sera ho letto per l'ultima volta il tuo nome in chat proprio mentre stavo per sedermi sugli spalti di quel concerto che tu sai aspettavo da tanto tempo, quello della mia cantante preferita che ha scritto ogni canzone come la playlist della mia vita oltre che della sua, ho letto velocemente le tue ultime frasi che sono incise sul mio cuore, ti ho detto per l'ultima volta ciao, ho chiuso per sempre quella chat, ho chiuso per sempre ogni contatto con te, mi sono seduta tremavo ancora subito dopo si sono spente le luci ed è iniziato il concerto, ogni frase era una pugnalata ma nonostante ciò mi costringevo a cantare a buttare attraverso quelle parole tutto il dolore interiore, a urlarle quelle frasi e poi proprio tra le prime canzoni inaspettatamente c'è stata "frasi a metà" e lì ho sentito come se la Pausini sapesse che dovevo sentire una conferma di aver fatto la cosa giusta al momento giusto e lo ha fatto me l'ha confermato con quella frase "non c'era posto migliore" e forse è davvero così non c'era posto migliore perché questo mi ricorda quanto non poteva funzionare tra noi, tu in un posto così non ci avresti mai messo piede mentre io mi sento viva in quella confusione, se la Pausini ha fatto la playlist della mia vita non c'era davvero posto migliore per iniziare a rinascere a riprendere in mano la mia vita lasciandoti andare per sempre. Dopo un'ora buona ha cantato "come se non fosse stato mai amore" lì ho pianto e ho cantato con la voce spezzata e ho pianto ancora, sentivo di starti dicendo ancora una volta addio ancora più forte "ieri ho capito che è da oggi che comincio senza te", "ma adesso è troppo presto", "e vorrei fuggire via, e vorrei nascondermi ma resto ancora così senza parlare senza dirti non te ne andare".
È la fine di un capitolo intenso davvero ma se voglio tornare a vivere devo andare avanti da sola senza te e lo faccio per me, volto pagina ora torno a vivere per me
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marcogiovenale · 1 year
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bologna, 6 aprile, presentazione del libro "nevica sulla mia mano" (lucio dalla e roberto roversi)
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donaruz · 6 months
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Ma tutto quest'odio dove lo mettete?
Avete armadi
borsoni
valigie
credenze
cantine
dove stiparlo?
Come fate a odiare così tanto?
State contaminando tutti
state imbruttendo le meraviglie
che stavano nei cuori
nelle teste delle persone
state corrodendo le parole
i libri
i giornali
le canzoni
i racconti dei nonni
state ripercorrendo gli incubi dei superstiti
calpestando ideali
togliendo la vita
ad anni di progresso sociale
culturale
umano
umanistico
siete i campioni d'odio
avete il primo posto
sul podio
di chi vuol male.
Come fate a far entrare tutto
quel rancore
la frustrazione
gli insulti
dentro le vostre bocche
sulle vostre lingue
senza perdere la voce
senza soffrire di disturbi di coscienza
come fare a crescere un figlio
insegnandogli l'ignoranza?
Non vi siete accorti
che il mare piange
la terra brucia
gli alberi stramazzano
le persone vagabondano
e i bambini
persino loro
non hanno più molto da immaginare
il mondo che abitate
è anche nostro
le persone che incontrate
siamo anche noi
e non ci lasciate più respirare
dovrebbero creare nei luoghi pubblici
le sale per odiatori
e non odiatori
ci state intossicando
ci state uccidendo
ci state mortificando
col fuoco armato
del vostro odiare.
(Simone Carta - da "Appesi a un feeling: Se non sai come dirlo, fallo con una poesia")
Immagine: Dipinto di Álex Alemany
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abatelunare · 2 months
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Finché dura...
Fatico moltissimo a scrivere dei libri che ho letto. Temo che le recensioni non facciano esattamente per me. Mi vengono soltanto se le concepisco come qualcosa di non convenzionale. Lo stesso vale per i film. Rendo di più se ne parlo a voce. Forse perché in questo modo riesco a trasmettere la mia (quasi) sconfinata passione. E finché è così, sono salvo.
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canesenzafissadimora · 7 months
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Caro amore,
il mare è così calmo oggi che sembra sappia esattamente quello di cui ho bisogno. Ti ho pensata tutto il giorno e non ho fatto altro che sorridere ogni volta che mi venivano in mente le tue calze stupide che odiavo un po'. Ma se devo essere sincero non c'era niente di te che odiavo, nemmeno il tuo essere così dannatamente un disastro in tutto quello che facevi. Quando ho sentito il tuo profumo ho pensato che un profumo così me lo sarei tenuto stretto, vicino al petto forse per tutta la vita, ma le cose finiscono esattamente come l'essenza dei profumi buoni. Dicevi sempre che eravamo come Allie e Noah, due pazzi romantici che si sono amati dal primo momento. Ma le cose non sempre vanno come nei film, la vita è un'altra cosa, ma di sicuro io ti amerò per sempre. Come si smette di amare quello che ti fa battere così tanto il cuore? Credo sia impossibile. Continuerò a leggere poesie pensando a te, a leggere libri ad alta voce sperando che tu senta la mia voce leggere per te, continuerò a pensare ai tuoi occhiali buffi che nascondevano gli occhi più belli che io abbia mai visto. Il momento di dirsi addio ha sempre quella magia fatta d'amore, ma io non sono bravo a dire addio, ma sono bravo a tenerti dentro, con tutto il cuore.
Tuo per sempre.
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#adessoscrivo
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gregor-samsung · 1 year
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“ Invece di seguire il programma di austerità del suo predecessore Hoover, il presidente del New Deal, come ha notato Barbara Spinelli su «la Repubblica», «aumentò ancor più le spese federali. Investì enormemente sulla cultura, la scuola, la lotta alla povertà». Purtroppo, aggiunge la Spinelli, «non c’è leader in Europa che possegga, oggi, quella volontà di guardare nelle pieghe del proprio continente e correggersi. Non sapere che la storia è tragica, oggi, è privare di catarsi e l’Italia, e l’Europa». Già: addirittura una «catarsi». Ma è proprio quello che ci vorrebbe. Roosevelt, infatti, non mise solo i disoccupati a scavare buche e a riempirle, come tanto spesso si dice. Tre dei più importanti progetti della Works Progress Administration, i più singolari, innovativi e duraturi, furono quelli compresi nel cosiddetto Progetto Federale numero 1, altrimenti noto come Federal One, che sponsorizzò per la prima volta piani di lavoro per insegnanti, scrittori, artisti, musicisti e attori disoccupati. Il Federal Writers’ Project, il Federal Theatre Project e il Federal Art Project misero al lavoro per qualche anno più di ventimila knowledge workers (come li chiameremmo oggi), tra i quali c’erano Richard Wright, Ralph Ellison, Nelson Algren, Frank Yerby, Saul Bellow, John A. Lomax, Arthur Miller, Orson Welles, Sinclair Lewis, Clifford Odets, Lillian Hellman, Lee Strasberg (il fondatore del mitico Actors Studio) ed Elia Kazan. Non si trattò di elemosina: checché. Oltre a produrre opere d’arte (migliaia di manifesti, disegni, murales, sculture, pitture, incisioni...), gli artisti plastici e figurativi vennero impiegati nella formazione artistica e nella catalogazione dei beni culturali, e crearono e resero vivi anche un centinaio di community art centres e di gallerie in luoghi e regioni in cui l’arte era completamente sconosciuta. In tre anni, nella sola New York, più di dodici milioni (12.000.000!) di persone assistettero agli spettacoli teatrali incentivati dal Federal Theatre Project. Quanto al Writers’ Project, che costò ventisette milioni di dollari in quattro anni, produsse centinaia di libri e opuscoli, registrò storie di vita di migliaia di persone che non avevano voce e le classificò in raccolte etnografiche regionali, ma soprattutto, con le American Guide Series, contribuì a ridare forma all’identità nazionale degli Stati Uniti, che la Grande Depressione aveva profondamente minato, fondandola su ideali più inclusivi, democratici ed egualitari. E scusate se è poco. Tuttavia anche lì, e anche allora, non mancavano i sostenitori dell’idea che la cultura è un lusso e, soprattutto, un lusso di sinistra. Dal maggio del 1938, sotto la guida di due «illuminati statisti» come Martin Dies e J. Parnell Thomas, la Commissione della Camera contro le attività antiamericane non smise di accusare i tre progetti di essere al soldo di Mosca e non si arrese fino a quando non furono fermati. Poi, venne la guerra e molti sogni si infransero. Ma intanto, con quel solido lavoro culturale alle spalle, le fondamenta di una nuova consapevolezza di sé e di una nuova idea di futuro erano comunque gettate. E da lì, dall’idea di fondo della necessità dell’intervento statale per vivificare la cultura e modificare così la specializzazione produttiva di un Paese, partirà, già durante la guerra, un altro liberale illuminato, Vannevar Bush, consigliere di Roosevelt, per elaborare il famoso rapporto Science: the Endless Frontier, che rappresenta un po’ il manifesto della politica culturale e scientifica – e a ben vedere anche economica – che avrebbero seguito gli Stati Uniti nei successivi decenni fino a Barack Obama. “
Bruno Arpaia e Pietro Greco, La cultura si mangia, Guanda (collana Le Fenici Rosse), 2013¹ [Libro elettronico]
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moonyvali · 2 years
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I cinque benefici della lettura:
➡️Riduce lo stress: un mondo prende vita davanti agli occhi del lettore, suoni, odori, sentimenti, sensazioni prorompono dalla pagina scritta e ti trasportano momentaneamente in un’altra dimensione, facendoti dimenticare i tuoi problemi. Leggere è viaggiare in luoghi e in menti lontane, e vivere tante vite contemporaneamente, vedere l’alba attraverso gli occhi di un imperatore romano o di un soldato cileno.
➡️Ci aiuta a capire noi stessi: Leggendo, entriamo nella pelle di un personaggio, cresciamo e soffriamo assieme a lui. È sorprendente, grazie a un semplice libro, possiamo sentire la voce, il cuore, l’anima di uomini che hanno vissuto secoli fa e di cui ormai non resta che polvere. E attraverso i dilemmi, gli amori, i patimenti di questi personaggi, che fungono da specchio, impariamo a conoscere noi stessi.
➡️ Migliora la memoria e la concentrazione: ricordare i nomi dei personaggi, tenere a mente la loro storia, i ricordi, le ambizioni, i desideri che li spronano, stimola le funzioni cerebrali e contrasta l’invecchiamento.
➡️Migliora il tuo vocabolario: le parole sono l’arma più potente che abbiamo, sono il mezzo attraverso il quale comunichiamo i nostri sentimenti, i nostri pensieri, con cui diamo un nome alle nostre paure, alle nostre sensazioni.
➡️ Leggere da piacere: le grandi storie incantano, seducono, pungono come lame alle volte ma soprattutto ci emozionano, di danno un brivido di piacere, una scarica di adrenalina. E ci purificano attraverso la catarsi: la rappresentazione di eventi drammatici, di grandi avventure, di storie tragiche ci aiuta a trarre fuori dal nostro Io tutte le pesantezze quotidiane. L’uomo non può rinunciare al piacere di leggere. E voi che ne pensate? Perché leggete?
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X #leggere #libri #letteratura
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