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#amici fotografi
mynameis-gloria · 9 months
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Ko, il cavo è per caricare me, non il telefono!
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a-dreamer95 · 2 years
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Che, alla fine, le foto servono solo per ricordarci chi siamo stati prima di oggi. E, se ci vediamo sorridenti, penseremo di essere stati felici, anche se magari non lo eravamo. Ma, forse, è meglio così. 
Un po' come con gli amici: così tanti nelle foto, così pochi nella realtà... ma poi, nel rivedere quegli scatti, penseremo di aver avuto degli amici speciali, anche se tali non lo sono mai stati.
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Ho perdonato errori quasi imperdonabili.
Ho cercato di sostituire persone insostituibili
e di dimenticare persone indimenticabili.
Ho agito d’impulso.
Sono rimasto deluso da alcune persone,
ma anche io ne ho deluse alcune.
Ho abbracciato per proteggere.
Ho riso quando non si poteva farlo.
Mi sono fatto amici per l’eternità.
Ho amato e sono stato amato,
ma sono anche stato respinto.
Sono stato amato e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per la gioia.
Ho vissuto d’amore e fatto giuramenti eterni,
ma ne ho anche rotti molti.
Ho pianto ascoltando musica e guardando fotografie.
Ho chiamato solo per ascoltare una voce.
Mi sono innamorato per un sorriso.
Ho pensato di poter morire di nostalgia e…
Ho avuto paura di perdere qualcuno di speciale
ed ho finito per perderlo.
Però sono sopravvissuto!
Sono ancora vivo!
Non mi stanco della vita!
E nemmeno tu devi stancartene… Vivi!
Combattere con determinazione è un bene,
abbracciare la vita e vivere con passione.
Perdere con classe e vincere con audacia,
perché il mondo appartiene a chi osa
e la vita è troppo bella per essere insignificante.
Charlie Chaplin
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gregor-samsung · 2 days
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“ Tina, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette, giovane come tante nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi; partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà. Vorrei che voi sfogliaste insieme a me l’album di ricordi, con i volti dei miei tanti compagni di grandi e piccole battaglie, fotografie scattate nei giorni della pace ritrovata, quando ci riconoscemmo simili. Mi rivedo, ci rivedo, con i capelli ricci o lunghi, barbe più o meno incolte, vestiti a casaccio, e tuttavia qua e là spuntano una certa gonna più sbarazzina, scarpe basse ma con le calzette colorate, un fermaglio su una ciocca ribelle, la posa ricercata di un ragazzo, e tutti insieme a guardare diritto l’obiettivo, tutti insieme sapendo che il futuro ci apparteneva, tutti insieme: questa era stata la nostra forza, la nostra bellezza. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 3-4.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
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silenziodorato · 7 months
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Siamo una società fatta di attimi, un attimo ci sei, un attimo dopo non conti più nulla. Siamo una società di attimi, tutte le foto che facciamo sono attimi, momenti che non torneranno più (ma ehi la foto è più importante.) Siamo attimi, atomi, attorcigliati nella ragnatela di problemi che ci creiamo in continuazione, problemi che non hanno senso di esistere perché passano in un attimo. In un attimo, che è la nostra vita, i nostri sogni. Oggi lavori qui, domani chi lo sa. Oggi siamo amici, amanti, amore appena nato e domani siamo sconosciuti, disconosciuti, distrutti. Sei felice? Guardati allo specchio, tu che pensi di essere felice. Ci vuole un attimo a capire che in un attimo puoi non esserlo più. Siamo atomi perché in un attimo possiamo sparire, siamo invisibili ma siamo percepibili. Siamo eterni negli attimi delle fotografie ma fragili e vulnerabili della realtà della vita. Siamo conchiglie, vuote e perse, sulla riva che è la vita, le nostre speranze. Ed in un attimo, il mare ci porta via.
#me
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apropositodime · 9 months
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E comunque il buongiorno più bello è stato questo di mio figlio Andrea❤️, l'alba a Valencia.😍
(meno male che qualcosa da me ha preso)
Io dopo averlo ringraziato e dopo avergli detto che queste foto sono bellissime, gli ho detto.
" Si però dormi un po' 😁
( core de mamma 😅)
Ma poi penso alla mia gioventù , e chi dormiva in vacanza con gli amici 😅.
E invece gli dico, Andrea divertirti, genera ricordi belli, fai fotografie, vivi ❤️
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fashionbooksmilano · 1 year
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Lee Miller . Man Ray   Fashion . Love . War
a cura di Victoria Noel-Johnson
testi della curatrice, di Ami Bouhassane, co-direttore dei Lee Miller Archives (e nipote di Lee Miller) e Anthony Penrose (unico figlio di Lee)
Skira, Milano 2022, 200 pagine, 150 ill.colori, 22 x 28 cm, Hardcover, ISBN  9788857244051
euro 37,00
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Lee Miller, musa di Man Ray, ma soprattutto professionista alla pari e pioniera del Surrealismo in fotografia Modella, fotografa, musa, prima donna reporter di guerra a documentare gli orrori dei campi di concentramento liberati dalle truppe americane, icona del Novecento. Lee Miller è stata tutto questo e molto di più, ha attraversato la vita con passione e determinazione. E la vita l’ha ricambiata con amore e amici, ma anche con dolore e riconoscimenti postumi o quanto meno tardivi.Attraverso circa 140 fotografie di Lee Miller e di Man Ray, alcuni oggetti d’arte e documenti video, con prestiti provenienti da Lee Miller Archives e Fondazione Marconi, Lee Miller • Man Ray. Fashion - Love - War intende rendere giustizia a questa donna, tanto bella quanto brillante e talentuosa, togliendola dall’ombra di Man Ray che l’ha sempre accompagnata per svelare il loro rapporto profondo quanto complicato in maniera più oggettiva: Man Ray, prima suo insegnante, poi amore e infine grande amico. Pubblicato in occasione dell’esposizione veneziana, il volume offre il giusto riconoscimento a Lee Miller, pioniera del surrealismo in fotografia, ponendola su un piano di parità con Man Ray, il cui lavoro tendeva a oscurarla sia in vita che negli anni a venire. Cuore del progetto è il rapporto tra Lee Miller e Man Ray – sbocciato a Parigi nel 1929 e terminato nel 1932 – con un focus sulle loro vite, carriere e relazioni in quel periodo; viene documentata l’ispirazione che entrambi esercitarono uno sul lavoro dell’altro, inclusa la tecnica fotografica della solarizzazione che Man Ray fece sua al punto che spesso sono stati erroneamente attributi a Ray i lavori di Miller. Vengono presentati anche i ritratti scattati da Man Ray degli amici e grandi protagonisti di quella stagione artistica: Max Ernst, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Jean Cocteau, Salvador Dalí e gli scatti surrealisti a Lee Miller nei quali cerca di indagare e rivelare la sua anima e i suoi tormenti.
02/03/23
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yomersapiens · 1 year
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Tumblocalypse
- Da quanti anni sei chiuso qua dentro? - Saranno più di quindici. - E nessuno è mai riuscito ad entrare? - Ci provano sempre. Cambiano aspetto. Nome. Tipologia d'attacco. Li ho studiati tutti. Ho visto vecchi amici cadere e prendere il loro posto. Si reinventano, ma qua dentro non entreranno mai. È l'ultima barricata.
Mi avvicino alle assi di legno inchiodate davanti a quella che sembra essere stata una porta, una piccola fessura mostra quello che c'è fuori. Sono tantissimi, alcuni sono corpi nudi, portatori di seni enormi creati per attirare l'attenzione. La maggior parte sono pagine vuote, facce numeriche con nomi umanoidi. - Saranno migliaia... centinaia di migliaia... - Continuano ad aumentare. Si mettono qua fuori e aspettano di seguirmi. - Riesci a bloccarli tutti? - Ci provo, ma sta diventando impossibile, non riesco più a distinguerli da quelli veri, guarda laggiù - Indica una ragazza vestita in stile anime che urla sbracciandosi, sembra in pericolo. - Dobbiamo aiutarla! Non è una di loro! - È qui ti sbagli! Hanno capito come fare, si stanno evolvendo. Lei è esattamente come tutti gli altri, se non peggio, perché crede di essere umana. - Come diavolo è possibile? - Da quando è arrivato lui, tutto è cambiato. - Lui chi? - Non lo vedo da un po' ma prima era qua fuori ogni giorno. L'uomo giallo, dalle orecchie a punta. Sembrava un mostro creato dalla mente malata di un disegnatore giapponese. È stato lui a raggrupparli, loro lo seguivano mentre ripeteva pika-pika. Ho ancora i brividi a pensarci. Quegli occhi minuscoli e neri mi perseguitano. - Che fine ha fatto? - Una volta radunato il suo esercito si è nascosto, penso sia laggiù, in un castello. - Da quanto non mandi un segnale verso l'esterno? - Ho provato a postare una settimana fa, una gif, ma nessuno sembra averla notata. - Quindi potrebbe non esserci più nessuno di vivo davvero qua fuori. - Talvolta ricevo un segnale da parte di un gruppo che vuole insegnarmi come essere un dinosauro. - L'ho ricevuto anche io, è stato terribile, sembrava divertente e invece... - Invece era solo un altro stratagemma architettato da pika-man. - Così si chiama? - Così abbiamo cominciato a chiamarlo noi della resistenza. - Cosa fate voi di preciso? - Alcuni scrivono. Pensieri. O hanno bisogno di compagnia. Alcuni si confessano. Pochi creano. Sempre meno. Altri mandano fotografie. Didascalie. Citazioni. Ogni tanto un messaggio anonimo, una risposta secca per chiudere il discorso. Potrebbe non essere qualcuno di reale, potrebbe essere uno di loro. - Chiedono aiuto? - No, in genere chiedono foto piedi. - Ah. E i troll? - Ci sono ancora ma stanno tra di loro. Quando serve li distraiamo con una nuova teoria complottista che li tiene impegnati per mesi. - Quindi di attivo, non fate nulla? - Non ha senso. Guarda fuori. Sono in troppi. Hanno vinto loro. Questo posto è in mano ai bot adesso. - È un peccato. - Lo è, ma guarda che tette hanno alcuni. - Sono davvero fatte benissimo. - Le hanno studiate per anni e ci sono riusciti, meglio delle originali. - E quindi che farai, li lascerai entrare? Cederai anche tu? Mollerai tutto? - Ogni tanto, quando ho voglia, lancerò un segnale. Qualcosa di breve magari. Una battuta o una frase romantica del cazzo, come quelle che scrivevo una volta. - Niente più photoset? - Sono troppo vecchio per quelle cose. Ci sono persone bellissime e preferisco guardare loro. Poi ho paura di essere utilizzato. Studiato. Copiato. Riprodotto. Clonato. - Potrebbero farlo? - Oramai non mi sorprendo più di nulla... - Senti ancora qualcuno della vecchia guardia? - Ogni tanto l'anziano dottore grigio rimette in funzione il segnale morse. Mi manda un audio lungo una decina di minuti fatto di bip biiip.
Delle urla spaventose provengono da fuori. Corriamo alla porta per guardare che accade ma un fascio di luce intenso quanto un laser ci acceca. - Cosa sta succedendo??? - Non lo so!!! È terribile!!! - È tornato pika-man??? - Forse è lui! Ma non vedo più niente!!! - Corri a prendere dell'acqua, c'è una tinozza piena vicino alle bozze salvate. Bagnati il viso. Torno a vedere ma tutto è offuscato, le urla sono finite. C'è una strana calma nell'aria. Odore di sangue e brandelli di bot porno ovunque. - Non è stato pika-man. Questa non può essere opera sua. - È allora di chi diavolo si tratta? - Guarda! Laggiù! su quel cavallo! - È la signora bianca! Quella della profezia!!! - Non può essere vero. È solo una leggenda... - È lei! Guardala! Imbraccia la lunga spada argentea! È stata lei! È venuta a liberarci! - Vuol dire che, possiamo uscire? Te la senti? - Non so se sono capace. Da quanti anni è che parlo da solo? - Ho perso il conto. - Dobbiamo uscire. Unirci a lei. Insieme forse possiamo farcela a sconfiggere pika-man. - Scrivi all'anziano dottore. Smetto di guardarmi allo specchio e parlare al mio riflesso. Inizio a togliere i chiodi dalle assi sulla porta. È arrivato il momento di fare qualcosa.
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sorella-di-icaro · 2 years
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Ciao sono Elena, ma sul web ho un sacco di soprannomi presi da tutti i miei fandom preferiti 🐇
Sono una piccola nerd, io adoro i videogiochi, l'abbigliamento comodo è diventato il mio migliore amico durante i periodi caldi e freddi, i film, gli anime, le serie tv, parlare della tecnologia.
Il caffè è la mia droga preferita da sempre, ovvero da quando lo scoperto e da lì non me ne sono distaccata, ci son giorni in cui ne bevo almeno due al giorno e la stessa cosa vale per le tisane in quei freddi e tardi pomeriggi di ottobre.
A volte leggo... I romance sono la mia passione più grande! Non solo per quanto riguardano i libri, ma anche i fumetti o i film.
Sono una nerd timida che cerca sempre di nascondere i propri sentimenti, ma che se riesci a tirarla fuori dal guscio forse ti parlerà dei suoi sogni e delle proprie passioni.
Sono gran appassionata di animali, mi piacciono tutti da quelli marini a quelli terrestri ma i cani di piccola taglia sono di gran lunga i miei preferiti.
Adoro la fotografia e spero che un giorno potrò approfondire questa mia passione, ma per ora mi limito a tenerla come hobby e condividere i miei scatti più belli su tutti i miei social e/o blog.
I videogiochi son diventati i miei migliori amici durante il periodo dell'infanzia che mi hanno accompagnata per tutta l'adolescenza fino ai miei attuali 26 perché nessuno come loro non mi capivano, potevi fare ciò che volevi senza essere criticata da nessuno... un mondo in cui a gente come me piace celarsi in un mondo dove tutto è possibile senza che tu venga giudicato.
Batman è uno dei miei supereroi preferiti che spero di approfondire un po' di più con i fumetti e non solo con i videogiochi o i film, praticamente adoro questo supereroe e tutte le sue gesta che compie con l'aiuto di Alfred il suo maggiordono di fiducia ed il suo braccio destro Robin che aiutano questo fantastico supereroe a tenere la loro città del cuore pulita da criminali come Joker, Harley Quinn o Poison Ivy che sono alcuni dei supercattivi di Gotham.
Sono un'amante delle schifezze, non ne mangio spesso ma quando le mangio mi metto sempre a guardare un buon film o una buona serie sul mio (g)old pc.
La mia bevanda preferita è l'Estathé al limone 🍋 in bottiglia di vetro e la birra fredda nei caldi periodi estivi.
Sono un'amante dei Dramma Asiatici, me ne sono vista un paio e, se anche sono tutti uguali o quasi, non riesco a farne a meno 🙈
Mi piace scrivere, non che mi consideri una scrittrice ai livelli dell Rowling, ma mi è sempre piaciuto mettere i miei pensieri e i miei piccoli sfoghi su carta per poi scoprire, all'età di 13 anni che si possono scrivere anche online grazie ai blog.
Ho iniziato a creare spazi web all'età di 13 anni e da lì non mi sono più fermata.
Dopo aver creato il mio primo blog con Blogger sono passata a Tumblr piatta forma molto più interessante di quella di Google perché puoi anche interagire con gli altri blogger.
Sono una fissata con i taccuini 🙈 ne ho così tanti che ne vorrei degli altri ma non so che farmene visto che non sono mai stata in grado di scrivere su quelle pagine per la paura di rovinarle o addirittura bucarle con la punta della penna 🤡 (I KNOW THIS IS TOTALLY INSANE)
Sono un'amante dei social media, mi piace creare profili e postare le mie passioni praticamente ovunque sul ma non per essere apprezzata per ciò che posto dagli altri ma bensì per aumentare le mie conoscenze informatiche 💻
Come altre passioni ho quello del viaggio... Un giorno mi piacerebbe viaggiare verso l'Oriente e scattare un sacco di belle fotografie da postare ovunque sui miei social
Sono una sognatrice, e rimarrò tale affinché uno dei miei tanti sogni che ho custodito nel mio preziosissimo scrigno non si avvererà.
Questo è il mio piccolo mondo, un mondo fatto di piccole cose come scatti fotografici fatti alla rinfusa, vestiti comodi, sogni, pizza, paranoie h24 e una gran dose di voglia di vivere che non vi immaginate.
Se tutto questo non vi garba... Non è un mio problema 🤍
Source image: @cassandracalin
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dottssapatrizia · 7 months
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Ma perché associate foto di culi a certi pensieri?????
Ciao...veramente è la foto della schiena...le foto sono state gentilmente prestate da fotografi amatoriali miei amici
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lamiaprigione · 1 year
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a M. B.
Cara, oggi sono uscito di casa di sera tardi a respirare l’aria fresca che spirava dall’oceano. Il tramonto si spegneva sulla piccionaia come un ventaglio cinese e una nuvola si alzava come il coperchio di un pianoforte da concerto.
Un quarto di secolo fa nutrivi una gran passione per il kebab e i datteri, disegnavi a china sul block notes, canticchiavi, ti divertivi con me; ma poi ti sei messa con un ingegnere-chimico e, a giudicare dalle lettere, sei diventata straordinariamente stupida.
Ora ti vedono nelle chiese in provincia e nella metropoli alle messe funebri di amici comuni, di quelle che vanno adesso in costante successione; ed io sono felice che ci sono al mondo distanze più inconcepibili di quella tra me e te.
Non fraintendermi: alla tua voce, al corpo, al nome non mi lega più nulla. Nessuno li ha distrutti; ma per dimenticare una vita ad un uomo è necessaria, come minimo, ancora un’altra vita. Ed io ho compiuto questo destino.
Hai avuto anche tu fortuna: dove ancora, tranne forse le fotografie, continuerai a vivere senza rughe, giovane, allegra, beffarda? Poiché il tempo, scontratosi col ricordo, riconoscerà la sua impotenza. Fumo nell’oscurità ed aspiro il marciume della bassa marea.
(1989)
J. Brodskij, Versi e poemi
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fotopadova · 2 months
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Fotografia italiana di 5 decenni fa, élite negletta: Geri Della Rocca de Candal
di Carlo Maccà
Dedico l’articolo a Gustavo Millozzi, grande amico e maestro da più di mezzo secolo. Lasciandomi come sempre piena libertà, ne ha seguito tutta la gestazione ed è scomparso proprio al momento della conclusione.
Ai tempi antichi, nel millennio passato, la fotografia era analogica. Ogni immagine fotografica era il risultato di un processo che oggi apparirebbe lentissimo. Il sensore era costituito da uno strato di gelatina contenente sali d’argento depositato su una pellicola. La luce liberata dallo scatto dell’otturatore produceva all’interno del materiale sensibile un embrione, che attraverso fasi fisico-chimiche successive (sviluppo e stampa) si concretizzava materialmente in una immagine partorita sulla superficie di un supporto solido, generalmente cartaceo. Solamente allora l’immagine entrava effettivamente nella vita reale, poteva ricevere un nome, vivere in una cornice appesa a una parete o dormire all’interno di un album, essere mostrata a parenti e amici, alla comunità fotografica, e, attraverso i media, alla società e al mondo intero. La speranza di vita dell’oggetto poteva facilmente superare quella dei suoi contemporanei umani, compreso il presente autore. [1]
Alla selezione della immagini che meritavano di essere conosciute e divulgate nell’internazionale fotografica provvedevano soprattutto alcuni Annuari di editori specializzati, per lo più Americani o Britannici. Anno per anno, professionisti e amatori evoluti, giovani o maturi, nuovi o affermati, inviavano agli editori stampe, sciolte o in portfolio, sperando che almeno una di queste selezionata e il proprio nome comparisse nell’indice degli autori accettati seguito dal numero della pagina in cui avrebbero ritrovato l’immagine o dal numero d’ordine di questa. Se di quei numeri ne compariva più di uno, l’autore poteva considerarsi - o vedersi confermato – “Autore” coll’A maiuscola.
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Figura 1. Geri Della Rocca deCandal -Sulla spiaggia. Ferrania XXI/7, luglio 1967, p.3.
Per Fotopadova immagini relative all'articolo
Per questa via, dalla metà degli anni ’60 cominciarono a farsi conoscere e apprezzare nel mondo fotografico internazionale alcuni dei nostri futuri Maestri, che già contribuivano ad animare e a svecchiare la fotografia italiana. Conservo con devozione alcuni di quegli annuari e ogni tanto li ripercorro con piacere (e qualche nostalgis). Per esempio, nel britannico Photography Year Book [2] del 1967 si rivedono Gianni Berengo Gardin con 4 fotografie (2 in doppia pagina), e Mario Giacomelli con 2 (fra cui l’iconico ritratto della madre colla vanga); con 2 immagini anche Cesco Ciapanna (futuro fondatore del mensile Fotografare, innovativo per l’ambiente fotografico italiano), e con una ciascuno Cesare Colombo e Michelangelo Giuliani. Via via negli anni si ritrovano anche altri autori italiani tuttora amati e apprezzati, assieme ad altri che hanno lasciato qualche memoria alla fotografia italiana. 
Fra fotografi italiani che nei pochi Photograpy Year Book dei primi anni ’70 a disposizione già a quel tempo avevano destato la mia attenzione per la qualità delle immagini e per i commenti che le presentano, soltanto uno, che portava un nome facilmente ricordabile : Geri Della Rocca deCandal, non sembra aver trovato ricordi permanenti nella nostra comunità fotografica. Nella pubblicista fotografica italiana di quegli anni parsimoniosamente tramandata fino ai nostri giorni sembra essersene occupata soltanto la rivista Ferrania [3], che nel numero di luglio 1967 presenta un ispirato articolo di Giuseppe Turroni [4] dal titolo La consolazione dell’occhio. L’autore, autorevole critico cinematografico e fotografico, scrittore e pubblicista notissimo in quegli anni, promuove alcuni giovani autori part-time che nella loro opera si distinguano per "chiarezza, onestà, purezza, spontaneità, e/o linearità di espressione". Doti che in uno di loro riconosce accompagnate da una spiccata sensibilità formale, che diremmo “classica”. Ecco come lo introduce.
 “Un giovane di Milano, studente in Fisica, Geri Della Rocca deCandal, ricerca un dilettantismo quasi prezioso, che può sembrare fuori moda e che anche per la scelta del soggetto non indulge alle convenzioni dei tempi. Ma in quanti siamo a stabilire l’esatta portata di un lavoro al di là degli aspetti formali o linguistici che ci suggestionano? Anche Geri Della Rocca de Candal ha spirito libero e introspettivo. Le sue foto ”artistiche” hanno un’impronta ovviamente diversa da quella che distingueva la produzione amatoriale italiana di lontana memoria. Sono centrate nel gusto formale del momento e nello stesso tempo riescono a tradurre un simbolo di realtà, per i nostri occhi abbacinati da tanta, da troppa cronaca che finisce per non dirci più niente, anzi per guastarci il sapore della realtà.” [4] Turroni accompagna questo testo con ben 5 immagini, certificando che il giovane, in Fisica ancora studente, in Fotografia ha già raggiunto un livello magistrale. 
Da qualche anno la Fondazione 3M offre, oltre alla collezione completa digitalizzata della rivista sopra citata, anche i files delle fotografie originali depositate presso il ricco Archivio Ferrania. Due immagini, una presumibilmente degli anni ’60, l’altra del 1974, presenti nel fondo Lanfranco Colombo sono evidenti tracce di una mostra del giovane Geri a Il Diaframma, la prima galleria in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica [5], e fanno pensare a una attività espositiva importante. Soltanto le fonti finora  citate  possono suggerire all'ambiente italiano l’esistenza di un Autore da non trascurare.
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Figura 2. Lower Manhattan Skyline - New York City, 1968. APERTURE, SPRING 1972.
Infatti rimane insoddisfatto chi, come noi, cerca di approfondire quelle notizie per la via più agevole, la Rete, che al giorno d’oggi segnala qualsiasi evento grande o piccolo e ne preserva la memoria, e perciò è indotto a supporre che l’attività fotografica del Nostro si sia conclusa in patria prima dell’avvento di Internet. Che però non si trattasse di cosa trascurabile, e che si espandesse anche all’estero, lo si può dedurre da altre tracce che attraverso Internet si reperiscono in archivi digitali della stampa specializzata straniera: per esempio, negli elenchi nominativi dei fotografi con opere presenti in raccolte fotografiche museali, in mostre antologiche dedicate all’eccellenza dell’arte fotografica mondiale o, infine, negli archivi di riviste fotografiche straniere fra le più autorevoli. Tracce lasciate in tutto il mondo, dalla Norvegia all’Australia e dagli anni ’70 fino a tempi recenti. In qualche caso contengono anche riproduzioni di opere. La figura 2, per esempio, è tratta da un articolo dedicato al nostro Autore dalla rivista Aperture [6] nel 1972.
Dalle opere così identificate si poteva già dedurre che Della Rocca de Candal conducesse nel bianco e nero ricerche sulle forme nello spazio parallele a quelle che Franco Fontana e Luigi Ghirri portavano avanti nel colore. Ma nell’accostarsi ai due coloristi a lui contemporanei, Geri manifestvaa ancor più evidente l’eredità dall’arte italiana dei periodi più classici: dalle scansioni spaziali dei pittori del 400 come Piero Della Francesca e Paolo Uccello, alla profondità della prospettiva aerea di Leonardo, ed infine al perfetto equilibrio in cui sono quasi sospese le architetture più compiute di Andrea Palladio. Spazialità tutta di tradizione italiana, da secoli ammirata (e superficialmente imitata) nei paesi anglosassoni.
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Figura 3. The Brooklin Bridge, NYC. 1968. Amon Carter Museum, Fort Worth, Texas.
Il nostro interesse per Geri Della Rocca de Candal si è meglio focalizzato quando, reperito qualche altro numero di quegli anni del Photography Year Book sopra citato, abbiamo trovato ripetutamente il suo nome, a conferma d’una produzione significativa, che si è imposta all’estero più durevolmente che da noi, e che ci è apparsa meritevole di meglio rivisitata.
 
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Figura 4. Fellers, Swiss Alps. Photography Year Book 1972, Fig. 141.
Nello Year Book del 1972, nel quale si affermano ancora Berengo Gardin con due immagini da un servizio sulle celebrazioni della Pasqua a Siviglia, e Giorgio Lotti con quattro storiche fotografie per la rivista EPOCA [7] sugli effetti dell’inquinamento delle acque e dell’aria in alta Italia, Geri figura autorevolmente in doppia pagina coll’immagine di un villaggio delle Alpi Svizzere (Figura 4). Nel 1974, 3 pagine del Photography Year Book presentano un saggio d’un suo progetto pluriennale (BN e colore) dedicato alla tradizionale sfilata delle signore newyorkesi, con vistosi copricapi e accompagnate dai loro pets, nel giorno di Pasquetta lungo la 5th Avenue appositamente chiusa al traffico (Easter Parade, gia all’attenzione con diverso approccio del franco-ungherese Brassaï nel 1957 [8]).
Tuttavia mancava ancora la possibilità di inquadrare compiutamente la figura di Geri Della Rocca de Candal e la sua attività fotografica. Questa opportunità si è avverata soltanto molto recentemente per una fortunosa coincidenza. Compare inaspettatamente in rete un omonimo, fresco di dottorato in discipline umanistiche presso l’Università di Oxford e collaboratore di un gruppo oxoniano di ricerca sul primo secolo di storia del libro a stampa. Il giovane studioso si rivela essere il figlio del nostro obiettivo, e ci dà la possibilità di contattare il padre. Questi accetta di metter mano per noi al proprio archivio fotografico, da decenni lasciato a dormire, e di rivisitarlo con affettuoso distacco.
L’autore stesso ci fornisce un buon numero di files ottenuti da stampe analogiche eseguite personalmente per mostre e pubblicazioni. Molti sono di immagini per noi nuove, altri sostituiscono vantaggiosamente parte di quelli ricavati dalle fonti a noi già note. Tutti insieme saranno di valido aiuto ad interpretare correttamente secondo la dell’Autore pe le immagini ricavate da atre fonti. 
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Figura 5. Easter Sunday Fashion Parade, NY. Photography Year Book 1974 fig.133 . 
Infine i suoi cenni autobiografici, seppure scarni, ci salveranno da induzioni ed esercizi di fantasia di precedenti commentatori [9] e ... nostri. E così possiamo raccontare che il giovane amatore (n. 1944), dopo un primo periodo di partecipazioni e successi in concorsi e mostre collettive, del quale rimase rara testimonianza l’articolo di Turroni sopra riportato, venne effettivamente "scoperto" da Lanfranco Colombo, che nel 1970 gli consentì la sua prima mostra personale presso la Galleria Il Diaframma [5]. Ben presto Geri interruppe gli studi universitari di Fisica per dedicarsi completamente alla professione di fotografo free-lance per la stampa internazionale. Fotografie realizzate nel corso dei suoi viaggi venivano pubblicate su quotidiani, settimanali riviste e libri negli Stati Uniti e in molti paesi europei (in Italia, per esempio, su Il Mondo). Contemporaneamente condusse un’intensa attività espositiva quasi esclusivamente all’estero, con mostre personali e partecipazioni a collettive in Europa e fino ai quattro angoli del mondo, dagli U.S.A. all’Australia e dal Brasile alla Cina. Considerato uno dei più rappresentativi fra i giovani fotografi Italiani del momento, sue opere vennero acquistate da musei stranieri. Ma all'inizio degli anni '80 Geri dovette occuparsi personalmente delle attività legate agli interessi di famiglia, tanto da abbandonare, prima gradualmente e poi del tutto, la fotografia. Le sue ultime apparizioni dirette non vanno oltre il 1984, ma sue opere continuano a comparire in ulteriori mostre dedicate alla più rappresentativa fotografia Italiana dei decenni in cui egli ha operato.
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Figura 6. Venezia, 1977 (bacino di S. Marco visto da S. Giorgio Maggiore)
Una fotografia dello scaffale in cui sono allineati gli annuari, i cataloghi e altri fascicoli occasionali in cui sono riprodotte le sue opere ci ha permesso di arricchire la documentazione figurativa, completando la serie di Photography Year Book degli anni fra il 1972 e il 1980, in ognuno dei quali compare almeno una sua opera. La loro successione ci ha aiutato a formulare una traccia sulla quale restituire l’evoluzione dell’Autore.
Sua caratteristica costante è la sapienza della composizione, distribuita nello spazio con equilibrio di stampo classico, anche quando la prospettiva geometrica è forzata coll’impiego di un grandangolo spinto (fino al 20 mm), e quando si combina con quella forma particolare di prospettiva aerea ottenuta coll’aiuto di foschie e nebbie (figura 6), che già si notava nelle foto dei primi anni (figure 1 e 2). A mano a mano si accentua la ricerca d’una geometria severa, rafforzata da forti contrasti con bianchi puri e neri intensi o addirittura chiusi. Tuttavia il facile rischio dell’aridità viene evitato dalla presenza della persona umana o da dettagli che la richiamano, spesso con una ironia garbata e benevola (figure 7 e 8).
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Figura 8. His, Hers (per Lui, per Lei). Photography Year Book 1980 fig.58.
Il bordino nero con cui l’autore costantemente racchiude l’immagine stampata (e nelle stampe da esposizione isola l’immagine entro un largo campo bianco) appare dettato, piuttosto che da una pretesa di eleganza, dall’intenzionale affermazione della compiutezza della composizione.
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Figura 8. Silhouettes. PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1977.
Nelle diapositive a colori l’impatto grafico è mediato da una forte saturazione del colore (Figura 9), che possiamo ritenere frutto d’una leggera sottoesposizione del Kodachrome in fase di ripresa.
 
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Figura 9. Storage closets. PHOTOGRAPHIE (CH) Juli 1978.
Varie mostre di successo e i frequenti portfolio ospitati da riviste fotografiche a grande diffusione portano la prova della sua popolarità. “Le sue frequenti permanenze negli Stati Uniti hanno dato alle immagini un’impronta, che per la fotografia europea risulta innovativa” (PHOTOGRAPHIE, Winthertur, Svizzera. Luglio 1978, editoriale). Reciprocamente, per i Nord-americani l’occhio con cui il loro paese è stato fotografato dall'ospite italiano era uno specchio insolito, rivelatore di aspetti da loro mai notati (o mai voluti prendere in considerazione, sebbene meno imbarazzanti di quelli bruscamente esibiti da altri stranieri come Robert Frank, Svizzero, o William Klein, Newyorkese ma culturalmente parigino e autodefinitosi straniero in patria).
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Figure 10 e 11. Dalla serie Bars (Sbarre) PHOTOGRAPHIE (Winthertur, CH) Juli 1978.
NOTE
 [1] Superfluo il confronto colla invadente, fugace, evanescente fotografia della nostra epoca digitale; ovvio e banale ogni commento. Sì, anche cumuli ben distribuiti di elettroni possono essere finalizzati a partorire immagini analogiche; ma ciò nella realtà avviene solo per frazioni fantastilionesimali di quelli partoriti dalle apposite strutture tecniologiche. Nonostante tutte le riviste di moda o di viaggi e gli album di matrimonio.
[2] In Italia fino agli anni ’60 quel poco che esisteva di editoria e pubblicistica fotografica  era orientato quasi esclusivamente alla divulgazione e all’aggiornamento in materie tecniche, e gli orizzonti artistici erano assolutamente provinciali. Chi voleva rimanere informato sulla fotografia nel resto del mondo poteva reperire soltanto in rare librerie più accorte (a Padova, la Libreria Internazionale Draghi) qualche periodico internazionale, come il mensile statunitense Popular Photography e il suo Annuario, o il britannico Photography Year Book. Coll’arrivo di Gustavo Millozzi, qui immigrato da Venezia e La Gondola, i frequentatori del Fotoclub Padova potevano prenotare il mensile svizzero Camera, principale punto di riferimento internazionale per la fotografia.
[3] La rivista Ferrania [ https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_(periodico) ], fondata nel 1947 e cessata nel 1967, era sponsorizzata dalla storica industria italiana omonima, che fu per vari decenni la produttrice di apparecchiature e materiali fotografici e cinematografici dominante sul nostro mercato. Memorabile la sua pellicola P30, matrice del bianco e nero del Neorealismo cinematografico italiano. La storia dell’azienda, conclusa definitivamente e infelicemente in questo millennio, si può trovare riassunta in https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrania_Technologies . I PDF di tutti i numeri della rivista sono liberamente consultabili in Rete sul sito https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php . 
[4] Giuseppe Turroni, La consolazione dell’occhio,Ferrania XXI/7, luglio 1967 pagina 2.
[5] La Galleria Il Diaframma di Milano, fondata e diretta da Lanfranco Colombo, la prima in Europa dedicata esclusivamente all’arte fotografica, presentava molti maestri stranieri e giovani innovatori nostrani, esercitando così un’azione fondamentale per lo svecchiamento della fotografia italiana.
[6] APERTURE magazine è un periodico con cadenza trimestrale nato a New York nel 1952 per opera d’un gruppo di fotografi (Ansel Adams, Minor White, Dorothea Lange e altri) al fine di promuovere la fotografia d’arte. Si è presto affermato come il più importante interprete della cultura fotografica mondiale assieme al più antico Camera. Nelle sue pagine hanno trovato slancio o conferma molti dei più apprezzati fotografi delle successive generazioni, come Diane Arbus, Robert Frank e tanti altri. La rivista è ancora attiva, disponibile anche in formato digitale assieme all’archivio di tutti i numeri dalla nascita; soluzione particolarmente conveniente in Italia dove recentemente sono state “perdute” per le strade postali la metà delle copie cartacee d’un costoso abbonamento biennale.
[7] Il settimanale Epoca della Arnoldo Mondadori Editore, nato nel 1950 sul modello dell’americano LIFE, faceva ampio uso di servizi fotografici, molti dei quali sono rimasti nella storia.
[8] Brassaï, 100 photos pour la liberté de presse. Reporters Sans Frontieres, 2022.
[9] Vatti a fidare delle informazioni reperibili in rete. Esempio:Amazon presenta così Incontri con fotografi illustri, Ferdinando Scianna, 2023: “Scianna ha realizzato migliaia di ritratti: i contadini duri e dignitosi di Bagheria, le donne estasiate durante le processioni siciliane, l’amico e coinquilino (sic) Leonardo Sciascia”. In evidenza la massima, ma non unica, baggianata contenuta in quella frase, nel suo insieme atta a disorientare l’ignaro compratore sul reale contenuto del libro.
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belladecasa · 1 year
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Dopo un'attenta analisi ho identificato i miei profili cringe tipo preferiti sul noto social-network instagram:
L'egomane: Solo foto di sé; fiumi di foto di sé artigianali (tipicamente scattate con iPhone) o professionali (tipicamente scattate da fotografi presso loro stessi). Di solito corredati da storie in evidenza con etichetta "me"/"io". Densità descrizioni in cui parlano di loro stessi in seconda/terza persona tramite citazioni di varia provenienza: alta. I più umili interromperanno il flusso iconografico egomane con l'inserimento di foto paesaggi/foto con amici secondo un rapporto 1:150
Sottogenere prefe: coatte del ceto medio-alto romano (tratti salienti: sigaretta elettronica, iper-cifosi, sopracciglia monolitiche artificialmente riempite da matita, filler gentilmente offerto a 150 euro a fiala dal proprio medico di base, abbigliamento Elisabetta Franchi-Michael Kors o peggior sottogategoria di Asos/Zara se il reddito è basso)
L'invasato del cv: Coordinate della propria biografia: età, sede di residenza/domicilio provvisorio contrassegnata da 📍, indicazione percorso di studi/lavorativo; a volte corredati da citazione che illumina sulla propria sfera psico-affettiva.
Sottogeneri prefe: studenti di medicina (emoji pasticca, emoji siringa, emoji stetoscopio) - densità di storie dei propri manuali sottolineti con variopinti evidenziatori: alta - densità post sulla propria laurea: da 3 a 6. Studenti di economia (emoji quadro con curva statistica) - densità di post con foto di sé in completo di bassa foggia (di solito misto poliestere-viscosa) , giacca sciancrata, pantalone chino cropped e caviglia rigorosamente scoperta: alta; densità di descrizioni con emoji fuoco + emoji 100: alta. Densità foto in palestra: medio-alta. Densità post sulla propria laurea: da 1 a 3
La madre: monopolizza il proprio feed con foto di figlio/i. Densità di foto di sé senza pancione/figli/compagno: molto bassa/inesistente. Frequente bio corredata da locuzioni "mamma di" + nome figlio/i+emoji specificante sesso figlio/i.
Sottogeneri prefe: mamma influencer: quantità di tag maternità correlati: iquantificabile. Densità di post-sponsorizzazioni di oggetti al limite del distopico/penoso (es. gioielli fatti con latte materno; marmellata Santa Rosa): medio-alta. Quantità follower fittizi: alta. Mamma-sticker: possibilità di intuire fattezze figlio: nulla. Densità post strategicamente ed esteticamente fallimentari di protezione figlio da pedofili digitali: altissima.
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susieporta · 3 months
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Forse tutti avete visto la foto che ritrae l’allineamento della Luna con la Basilica di Superga e il Monviso. È una foto perfetta che racconta di un’attesa lunga sei anni. Io però voglio raccontarvi un’altra storia, quella del fotografo che l’ha scattata. Una storia di pazienza, di tenacia e di coraggio. Coraggio di cambiare radicalmente strada nel momento più difficile della propria vita.
Voglio iniziare però proprio da quello scatto, e da una domanda: si possono aspettare sei anni per scattare una #fotografia? Alla fine del 2017 Valerio aveva segnato sul calendario tutte le date delle fasi lunari, in particolare quelle in cui la luna tramontava in un determinato punto. Ogni sera “giusta” partiva per provare a portare a casa l’immagine che aveva sognato, ma c’era sempre un problema: le nuvole, la pioggia, la nebbia, la foschia… Così per sei volte, all’inizio di ogni anno, ha compilato il calendario e non ha mai sprecato una data possibile, ma senza successo. Alla fine, alle 18:52 del 15 dicembre 2023, la lunga attesa è stata premiata e la sua vita è cambiata.
All’inizio l’idea era quella di allineare la Basilica di #Superga e il #Monviso per fotografarli insieme. Valerio si era fatto aiutare dal mappamondo di Google Earth e aveva individuato quattro possibili punti. Il punto ideale lo aveva trovato a nord-est di Torino, sopra Castagneto Po, a 380 metri d’altezza. La prima volta che c’è salito si è reso conto che in quell’istantanea che aveva immaginato poteva entrare anche un terzo soggetto: la luna. Da quel momento si è messo a studiarne le fasi per scoprire che ci sarebbe stato soltanto un giorno perfetto in tutto l’anno.
E al sesto tentativo, dieci giorni prima di Natale, ha capito che forse ce l’avrebbe fatta: il cielo era limpido e l’aria asciutta. Così si è messo ad aspettare e quando tutto si è allineato e ha visto la sagoma del Monviso disegnata sulla Luna ha scattato. La mattina dopo, soddisfatto del risultato, ha spedito il file alla #Nasa, per partecipare al concorso “Astronomy Picture of the Day”, la risposta non si è fatta attendere: per l’ente spaziale americano la sua è stata la foto del giorno di Natale.
«È come se questa foto avesse sbloccato qualcosa, migliaia di persone hanno condiviso quell’immagine e hanno scoperto le mie foto che sono uscite dal Piemonte e sono andate in giro in tutto il mondo».
Conosco Valerio Minato pH da più di dieci anni, da quando ho notato il suo banco sotto i portici di Piazza Vittorio a Torino. Non vendeva libri, borse di cuoio, gioiellini, ma le sue fotografie, stampate su un supporto rigido e a prezzi accessibili a tutti. Ricordo che mi avevano colpito i soggetti ricorrenti: il Monviso, la Mole Antonelliana, il Po, le vecchie vetture del tram, ritratti però con prospettive originali.
Lo vedevo ogni fine settimana, con qualsiasi tempo, dietro il suo banco dalla mattina alla sera. Ho cominciato a fermarmi a chiacchierare e siamo diventati amici. Valerio è nato nel 1981 a Biella e nella sua vita la fotografia è arrivata dopo i trent’anni. Si era diplomato perito chimico tintore, aveva trovato subito un lavoro in un’industria tessile, poi era passato in una fabbrica chimica del settore gomma: «A 24 anni, dopo cinque passati in fabbrica, ho avuto un bruttissimo incidente sul lavoro: ho quasi perso un braccio, risucchiato da una macchina. Sono stato un mese e mezzo in ospedale, ho subito cinque interventi chirurgici, e tra un’operazione e l’altra ho deciso di cambiare tutto».
Così ha lasciato Biella e si è iscritto all’università a #Torino: Scienze forestali e ambientali. «Volevo una vita nuova, stare in un mondo completamente diverso. Volevo la natura e l’aria aperta».
All’ultimo anno di università compra una macchina fotografica e per gioco inizia a scattare, dopo la laurea trova lavoro in un’azienda, ma la passione per l’immagine occupa sempre più spazio dentro di lui. «Quando mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato ho deciso di dire di no, di fare una scelta ancora più totale di libertà. Ispirato dai banchi sotto i portici di Via Po mi sono iscritto all’albo degli “Operatori del Proprio Ingegno” e ho aperto il punto vendita delle mie foto».
Mario Calabresi
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Il tuo corpo era caldo, per questo emetteva luce. La luce che emette il calore del corpo femminile quando vuole fare l’amore.
Questa luce tu la chiami passione, ma per me è solo luce.
Dopo che hai preso tutto di me, lasci una traccia come un’ aura.
Tu non crederai, ma questa aura è la tua anima.
Ok fai l’amore con l’anima, che non è per dire “passione” come quando si dice ci ha messo l’anima in questo o in quello. E’ la tua anima che cerca di raggiungere quella di un altro, la mia magari, attraverso l’uso del corpo.
Per quello baci. Il rapporto orale è il modo più ancestrale di conoscere il mondo, ed è così ancestrale che ti bagni, e lo sai, poi bevi e conservi e sei contenta, lo sai, quindi lo sai, lo intuisci nel profondo del tuo io che è ancestrale.
Quando neghi il rapporto tra corpo e anima, e poi tra anima e amore, il tuo sguardo si fa maliconico, pieno di ombre. Cupo.
Mi dici non facciamo l’amore, porca miseria?  E ti chini sul mio corpo, mi doni i tuoi seni che, accidenti,  dire che sono sensuali è dire poco. Li riempi del fiore della tua vita, sono sodi come meloni, e per quello devi dire grazie alla natura, e mi dai il resto.
Riprendi il corpo dell’anima, o meglio l’anima del corpo, con la bocca incerta. Ti adeschi ti addentri in zone sconosciute del nostro io.
Essendo l’anima uno spirito, subito se ne va. Quindi dopo 10 minuti ne vuoi ancora.
Allora ti allarghi, me la dai, entro nelle tue viscere e ancora mi dai il fiore della tua essenza come persona, anima ancora, e mi viene da ridere quando gli amici mi raccontano delle loro prestazioni sessuali, direi meschine e pessime se tu ascolti me, che sono alla fine sfoghi, sono schizzi di pollack sul muro delle sue pareti vaginali, è niente come l’aranciata Fanta in estate, ti lascia un senso che non ti sei dissetato e devo dissetarti di nuovo, è insoddisfazione è paura è vuoto, è cometa,  mentre l’amore è  invece conoscere il contenuto dell’altro e prendersi quella porzione ancestrale del suo io che non si esprime certo con la posizione sociale, o il cervello, o la cultura; è quello che sei senza orpelli, e quindi se il tuo corpo batte tamburi ignoti, se ballla al ritmo dell’amore intuitivo, se esprime profumi di zafferani, se il tuo seno rimbalza tanto è teso, la tua vagina si inonda e i tuoi cappelli si arricciano sul mio viso, è solo quel che sei e non quello che la società ti ha costruito sopra.
Quando invece arrivava Erika con la sua stance da modella perfetta, le sue pose da demì-bisessuale, che poi è solo timore di essere posseduta da qualcuno, mista a quella certezza di  non volere dare nulla di sè a nessuno, che poi è una anoressia dell’io, quella pura assenza di tutto che poi si fa vizio, fumo, canna, vino sballo e ironia, e paura di darsi, quello Erika non è dare l’anima ma refrigerarla per conservarla, per cosa  e chi? se non ci fai nulla io credo per la morte.
Che poi ti affascina. Quando me lo succhiavi, lo facevi per morire, non per dare.
Era il canto sotterraneo del desiderio di morte.
Eros e morte, il potere della vita nella tua gola si faceva potere del tuo culo di darsi, che poi è disagio alla fine nel tuo caso, o forse nel caso di tutti, perchè alla fine è quello per non volere dare altro, è bocca per non darla, è bisessualità perchè l’amore lesbo è non rimanere incinte,  è paura della violenza, perchè alla fine Erika, sei impaurita, sei terrorizzata dalla tua fragilità, sei sensibile e lo sai, e uccidi la tua intelligenza, mieti quello che sei con l’ironia, l’assenza, il sarcasmo,  ti umili ti dichiari non interessante, dici che non sei niente, e ti difendi con una maschera “del cazzo”, e ti fai un ennessimo tatuaggio, sulle gambe e sulle braccia sul monte di venere, poi ti siedi allo specchio ti fotografi a gambe aperte la figa, coperta dalla gonna, ma conta il simbolo prima del segno, anche se coperta ,quello è quello che è, e quello che fotografi, e il corpo segnato da mille colori, la posizione sgraziata che dicono questo, sono un bambino e puzzo, mi odi perchè puzzo e puzzo perchè ti odio, ed è tutta una finzione una maschera, odi solo essere una persona perchè le persone sono fragili e tu sei fragile e ogni fragilità incide la tua anima, lascia un segno una cicatrice che non si vede, e quindi tu la abbellisci, la rovesci la situazione offendendo il nemico con un tatuaggio alla mahori, tiri fuori la lingua come i guerrieri Inca per spregio, sprezzo, rumore e per incutere paura, ma è tutto così infantile.
Alla fine sei solo te. E quello non  puoi difenderlo.
E neanche io posso difendermi, Erika.
Mentre lei quando invece si siede vicino a me e si adagia lentamente sul mio corpo e riempie il corpo mio con la sua anima, e mi chiede l’anima indietro anche se io sono più impaurito di un serpente freddo, onestamente, e lei si ciba ma degli spiriti interiori, e il suo corpo diventa calore, luce emette quella luce che dà la vita, una luce che ha nelle paure il senso delle cose, ma che ingoia paure e corpi e sensazioni nello spirito per trasformarlo in altro, per darglio vita per cibare vita per essere vita.
Ecco io e te Erika, non siamo nessuno di fronte a questo.
E questo ci spaventa. Ma tu non lo sai.
Anzi lo sai ma ti senti in trappola, tu come me, e quindi fingi di non saperlo e allora un altra foto su Instagram che non vuol dire niente, se non swag e paura, tatuaggi e ritrazione, incoscienza e rottura, menefreghismo e andate tutti a fare in kulo perchè io so io e voi non siete un cazzo, e vuoto a perdere.
Non sto insultando te, ma me, noi, tutti. Questo vuoto a perdere è il presente, questa paura oggi, e l’oggi del cazzo. Questo vuoto è la vita. che non conta un cazzo, ma la viviamo lo stesso.
E tu?
Metti una corona sulla testa, una sul mio cazzo, le tue perfette labbra, la perfetta pelle di alabastro biondi, e succhi. E più lo fai più ci svuotiamo di senso anima e futuro.
Tu succhi, io muoio. Amen.
#me
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fashionbooksmilano · 10 months
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Boetti/Salvo
Vivere lavorando giocando Living Working Playing
Saggi di Bettina Della Casa, Francesco Guzzetti, Giorgio Verzotti e Laura Cherubini. Con le testimonianze di Giulio Paolini, Massimo Minini, Paul Maenz, Pier Luigi Pero, Giovanni Michelagnoli, Alessandro Nieri, Gian Enzo Sperone.
Edizioni Casagrande, Bellinzona 2017, 360 pagine, 22 x 28 cm, ISBN 9788877137685 
euro 59,00
email if you want to buy [email protected]
Mostra Museo arte Svizzera italiana 9.04 - 27.08.2017 Mostra e catalogo a cura di Bettina Della CasaB
Il racconto dell’amicizia tra Alighiero Boetti e Salvo e del loro “braccio di ferro” artistico.
Fotografie, frasi, ricami, dipinti e disegni, ma anche viaggi e altre avventure nutrirono il loro rapporto tra il 1968 e il 1972, anno in cui Boetti si trasferì a Roma. Con oltre 150 immagini a colori, fotografie inedite, saggi critici e testimonianze di amici e compagni di strada, il volume documenta quella  breve ma intensissima stagione, fino ai diversi sviluppi degli anni successivi. Una sezione del catalogo presenta inoltre la Torino dell’Arte povera. Opere scelte di Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Mario Merz, Marisa Merz, Aldo Mondino, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Salvo e Gilberto Zorio testimoniano gli esiti più significativi di quel momento, nonché il vivace clima intellettuale in cui Boetti e Salvo si trovarono a operare e che contribuirono a costruire.
19/06/23
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