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#grecità
gregor-samsung · 4 months
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" Dopo un’assenza quasi totale di cinquanta anni il senatore conservava un ricordo singolarmente preciso di alcuni fatti minimi. «Il mare: il mare di Sicilia è il più colorito, il più aromatico di quanti ne abbia visti; sarà la sola cosa che non riuscirete a guastare, fuori delle città, s’intende. Nelle trattorie a mare si servono ancora i ‘rizzi’ spinosi spaccati a metà?» Lo rassicurai aggiungendo però che pochi li mangiano adesso, per timore del tifo. «Eppure sono la più bella cosa che avete laggiù, quelle cartilagini sanguigne, quei simulacri di organi femminili, profumati di sale e di alghe. Che tifo e tifo! Saranno pericolosi come tutti i doni del mare che dà la morte insieme all'immortalità. A Siracusa li ho perentoriamente richiesti a Orsi. Che sapore, che aspetto divino! Il più bel ricordo dei miei ultimi cinquanta anni!» Ero confuso ed affascinato; un uomo simile che si abbandonasse a metafore quasi oscene, che esibiva una golosità infantile per le, dopo tutto mediocri, delizie dei ricci di mare! Parlammo ancora a lungo e lui, quando se ne andò, tenne a pagarmi l’espresso, non senza manifestare la sua singolare rozzezza («Si sa, questi ragazzi di buona famiglia non hanno mai un soldo in tasca»), e ci separammo amici se non si vogliono considerare i cinquanta anni che dividevano le nostre età e le migliaia di anni luce che separavano le nostre culture. "
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La sirena. Prima pubblicazione nel volume Racconti, Prefazione di Giorgio Bassani, Collana Biblioteca di Letteratura: I Contemporanei n.26, Milano, Feltrinelli, 1961.
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pietroalviti · 1 month
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I Greci contro le donne, ne parla a Ceccano Renzo Scasseddu, giovedì 22 marzo, ore 17, caffè letterario
Erano misogini gli antichi Elleni? Apprezzavano le donne o le disprezzavano? Che ruolo avevano le donne nella società ateniese? e in quella di Sparta? E allora Lisistrata, Elena, Clitennestra, Medea, Antigone, Giocasta? Cosa abbiamo imparato dalla cultura greca sul rapporto tra uomo e donna? A queste domande, per la Ceccano dei libri, risponderà giovedì 22 marzo, alle ore 17, al Caffè Letterario,…
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violamilalba · 9 months
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ho questo libro, La scienza dei santi, di cui non ho ancora letto una pagina. e già solo il fatto di averlo crea in me un certo smarrimento. ricordo di quando piansi in chiesa pregando (chi?) di sentire la fede, di avere un po' di forza. vorrei incamminarmi, ma ancora non riesco. ieri ho mangiato tutto il giorno, vomitato due volte, stanchissima e sudata, fallendo tutta la santità la grecità l'antichità in cui credo. è vero che non mi piaccio. che mi trovo brutta, grassa, ma maggiormente soffro dell'ascetismo che non riesco a compiere. della salubrità, della tempra che castro.
ultimamente ho considerato l'idea di farmi monaca. forse ho solo bisogno di sublimare, forse ho solo bisogno di disciplina, ma quest'idea non mi abbandona da un po', ossia da quando, uscita dalla nigredo alchemica, ho smesso di odiare l'umanità.
ho capito di non amare nessuno a parte il sangue del mio sangue. e quando ho dichiarato di amare, ho in realtà amato la mia virtù. sono su una strada da sola. sono su una strada da sola. tutti parlano con me, nessuno mi chiede mai come sto.
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itisanage · 6 months
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Perché non viene esercitata la misericordia? Eppure è un attributo importante di Dio. Lo stesso Dio pantocratore, vale a dire Colui che possiede non tanto tutta la forza del mondo, e la esercita, bensì la superiorità e ogni preminenza possibile, più volte nella Bibbia si ferma di fronte alla possibilità di colpire e distruggere il popolo che lo ha tradito o che non l’ha ascoltato. Per i Greci era Zeus a conferire, come e quando voleva, il krátos a una delle armate in lotta. Una superiorità che mutava secondo gli umori del dio. Ma lungi dall’essere confinata alla guerra la superiorità è anche una manifestazione del potere esercitato dal re, dal capo, dall’eroe. Il trionfo, il vantaggio che si trasforma in vero esercizio del potere deve sapersi fermare, deve sapersi arrestare. Certo l’esercizio del potere è caratterizzato da un certo progressivo indurimento, un rapprendersi della violenza nel dominio temporalmente più lungo possibile. L’uso che la cultura greca-omerica fa di queste due accezioni – in realtà molto più di due – del krátos, almeno come le spiega Emile Benveniste, è molteplice e si allunga in epoca post-omerica a fornire lemmi a profusione al vocabolario politico occidentale. Il Dio di misericordia rompe con il Dio degli eserciti, anche quando appare nelle “mandorle” bizantine come il Pantocratore. Perché non si riesce più a tener conto di questa rottura? Perché si è regrediti a Omero? Forse addirittura a prima, perché neppure si prende in considerazione la differenza che già la grecità manteneva circa l’uso del krátos! Scrive Benveniste citando la Costituzione di Sparta: “mentre gli altri Greci ammorbidiscono i piedi dei loro bambini calzandoli, gli Spartiati induriscono (kratúnousi) i piedi dei loro, facendoli camminare a piedi nudi”. O rivestiti di acciaio, come i carri armati Merkavah? Nel primo capitolo del profeta Ezechiele, Merkavah è il carro di Dio, dalla cui visione sono nate infinite speculazioni esoteriche, Ma‘aśeh Merkavah e nella tradizione talmudica l’Hekalot. Lo dico da lettore, e solo da lettore quale sono, ma la polarità Atene Gerusalemme rischia di trasformarsi in una ben più terribile Gerusalemme Sparta.
P.S. Misericordia e perdono non stanno perfettamente insieme, ma entrambi possono essere esercitati solo da chi ha forza d’animo. Il perdono di chi vince e quindi perdona chi l’ha costretto a vincere, vale a dire a usare la forza e a conservarla; la misericordia di chi avendo vinto riconosce la sconfitta dell’altro un po’ come la propria, perché ogni vittoria ottenuta con la violenza testimonia non solo della forza ma anche del cedimento alla malvagità altrui.
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cutulisci · 2 months
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claudiotrezzani · 9 months
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Fotografia di paesaggio.
Lo sappiamo, è la metereologia ad indirizzare.
Ecco, indirizzare.
E' un concetto poliforme che riprenderemo tra alcune righe.
Per intanto, usiamolo nell'accezione connotativa:
a parità di scenario, il carattere dell'inquadratura trae la sua intonazione espressiva dalle condizioni di luce.
Ma non solo luce:
una lunga esposizione; un'onda che repentina s'erge sono elementi che apportano un timbro peculiare a ciò che abbiamo davanti.
Torniamo all'indirizzare, se V'aggrada:
esiste un suo significato "geometrico" che si tinge di filosofia.
Accade quando il fotogramma è tagliato in modo da fare dello sguardo l'oggetto d'indirizzo.
Nel caso di Olivier Balandreau e Pawel Uchorczak siamo in presenza di ovalità funzionali alla vettorialità esplorativa di chi guarda.
Con Oliver, diagonalmente.
Con Pawel, longitudinalmente.
Con Oliver, l'occhio del rimiratore tende a pascersi nella regolare sinuosità dell'inquadratura, indi ergersi tendendo al margine sinistro dell'immagine.
Con Pawel, l'occhio del rimiratore è accompagnato verso una progressione - lineare ma poderosa - dal basso verso l'alto.
Ecco, accompagnare.
Accompagnare indirizzando.
Indirizzare, dicevo, reca anche un significato "geometrico" che si tinge di filosofia.
Perché di filosofia?
Per la sfumatura di dolce costrizione.
Dolce costrizione che discende dalla sapienza compositiva degli autori.
Chi guarda, intendo, "non può fare a meno" di seguire un percorso, a ciò è spinto dalla danza di forze impressa da questi due eccellenti fotografi.
Si tratti di αναγκη, λογος, εμαιρμενη o  πεπρωμενη l'uomo sin dall'antica  grecità si è chiesto da quali dinamiche sia governato "di necessità"
Ecco, la necessità.
Chi guarda fotografie è d'uopo s'assoggetti di buon grado a seguire un percorso navigativo che accorgimenti  altrui abbiano predisposto e vigorosamente suggerito, in guisa tale che la necessità sfumi verso la costrizione?
Propendo per il sì.
Sapete, è come con le fiabe.
Bambini, ci piaceva essere condotti.
E sognando, cullarci.
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Claudio Trezzani
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oubliettemagazine · 10 months
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Non sono morti gli dèi di Costantino Kavafis: sincretismo ed ellenismo
“Per aver noi spezzato i simulacri loro, per averli scacciati dai loro templi, non morirono affatto, per ciò, gli dèi” ‒ Kavafis Non sono morti gli dèi di Konstantinos Kavafis Ho sempre amato la Grecità per la chiarezza dei principi di Bellezza, Bontà e Verità di cui è stata portatrice: Ellade è sinonimo di sfumature, di sfaccettature, di policromie, di differenze e di rimandi; di epoche, di…
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you-are-my-saviour · 6 years
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In effetti, l'invidia è il punto di inizio della guerra civile.
Democrito, fr. 245
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bruskous · 3 years
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Che la morte sia un andare nel nulla è credenza tipicamente occidentale. In oriente è una trasformazione, in India è solo l'inizio di una nuova vita, per musulmani, cristiani ed ebrei è il ricongiungimento con dio. L'idea che si vada nel nulla non è laica, il laico sa di non sapere, non ha prove per affermare né per negare alcuna tesi. L'idea che la morte sia il sopraggiungere del nulla è nichilista ed è in qualche misura greca. E come le religioni monoteiste si sono basate sulla filosofia per teologizzare, così hanno finito per diventare in qualche misura nichiliste a loro volta. Dio salva dal nulla, Dio crea dal nulla: grecità rimpastata con qualche nozione monoteista. La grecia ha pensato la matematica, la filosofia, la scienza intesa come episteme che, sebbene molto diversa, è l'anticamera della scienza sperimentale moderna. Se andate in Cina non esiste qualcosa come la geometria. Non è mai esistita. Oggi certo c'è, ma è stata pensata nell'Egeo. Un popolo così grandioso, ha prodotto il pensiero nichilista, la categoria del nulla. Un errore? Una svista? Giustamente i greci si sono chiesti cosa fosse il nulla, già da Parmenide. Concetto problematico, peraltro... resta il fatto che per il senso comune il nulla è la totale assenza di determinazioni, e questo ci spaventa. Passiamo la vita a determinarci, ad essere così e così e non indifferenti. Quello che ci fa paura della morte intesa nichilisticamente è il perdere ogni nostra determinazione, la quale sarebbe vana a prescindere. Sicché se fosse vana, perché tentare? Perché fare se poi verrà cancellato tutto? Queste sono domande nichiliste che a volte ci poniamo in modo scontato, come se fossero ovvie, ma senza capire che sono frutto di una fede: quella che la morte sia il nulla. Il pensiero nichilista ci pervade da ormai millenni, ma siamo ignoranti ancora... perché non abbiamo compreso il senso del nulla e, per contro, dell'essere. Non ce l'abbiamo ancora... d'altronde, l'atteggiamento laico sarebbe quello più prudente: inutile occuparsi di quello che non possiamo sapere. Eppure, inconsapevolmente, noi basiamo tutta la nostra vita su ciò che non possiamo sapere. L'idea stessa della morte dà un senso diverso alla nostra vita. Eppure, dobbiamo concludere, che basiamo la nostra vita su ciò che non conosciamo ancora.
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Aria grecanica
Un urlo lancinante attraversa l’ampia distesa di ghiaia. Nel silenzio e nella pace delle 8 di una domenica mattina, quel grido di dolore mi blocca in gola l’ennesimo pezzo di pane e marmellata che stavo golosamente buttando giù e manda in miseria l’ultima parte di quel momento sacro che è la colazione. “È appena iniziato ottobre, un po’ presto per ammazzare il maiale” mi dice il proprietario dell’agriturismo che mi ha ospitato la notte precedente, vedendomi turbato per quanto stava accadendo nelle vicinanze. Intanto i lamenti del povero animale continuano a risuonare. “Forse lo stanno castrando” si corregge. Butto giù un po’ di succo di bergamotto, mi alzo e cerco con lo sguardo di localizzare nella scarpata di fronte la provenienza esatta di quel guaito. “Forse era meglio se l’ammazzavano” conclude Ugo.
Inizia così la mia seconda giornata sulla fiumara Amendolea. L’appuntamento è alle 8:30 proprio qui all’agriturismo. Approfitto del ritardo degli altri per contemplare la Rocca del Lupo e la distesa di bergamotto che ho proprio sotto il naso. Sono arrivati. Siamo una “murra” (tanti). Briefing iniziale e si parte. “Quello di oggi è detto anche informalmente sentiero dei cancelli” dice Andrea. E capisco subito il perché: non facciamo altro che aprire e richiudere cancelli che servono evidentemente a contenere gli animali. Seguo Aria in testa al gruppo che mi porta proprio sui ciottoli dell’Amendolea. Scodinzola felice. Capisco che quello è il modo giusto con cui affrontare la giornata. La imito.
Si sale per un paio di ore lungo mulattiere. La fame mi porta a scuoiare fichi d’India, qui abbondantissimi. Incontriamo un pastore sulla sua vespa stargata. Gli chiedo una foto. Si concede. Gli dico di fare attenzione perché è sul ciglio del dirupo. Con un sorriso mi fa capire che non è il caso di preoccuparsi. Ci saluta e scompare dietro la curva sterrata. Ci siamo quasi. Ecco la strada asfaltata adesso. A lato una serie di casupole. Frigoriferi coricati e vasche da bagno fungono da abbeveratoi per gli animali. Capiamo che siamo arrivati davvero vedendo alcune bandiere: so’ greche.
Sono le 13 in punto. Aria arriva in città. Una lontana, piccola sagoma nera la mette all’erta. Si immobilizza per alcuni secondi. Parte il flauto de “Il buono, il brutto, il cattivo”. In breve decide di sferrare l’attacco. Il primo gatto se la svigna se la svigna arrampicandosi su un muro. Aria annusa per terra come fosse un segugio, sente altre prede nelle vicinanze. Si intrufola per le viuzze. La perdo di vista. Sento che sta seminando il panico. Dopo pochi secondi un gatto ci taglia la strada alla velocità della luce con Aria al seguito. I gatti più piccoli, i più indifesi, si sono rintanati su un balcone davanti ad un uscio di una casa, proprio nella piazza centrale. Aria abbaia. Ha vinto. Ha espugnato Gallicianò.
È l’ora del panino. Mi piazzo davanti al bar, sotto ad una piccola vecchia insegna del telefono. Roba vintage per davvero. Mi sdraio. Prego affinché il balcone malconcio sopra di me non renda eterno questo mio momentaneo riposo.Il bar così come anche la trattoria del paese sono aperti su richiesta. Chiedi e dopo un po’ arriva qualcuno ad alzare la serranda. Pochi minuti dopo l’apertura ecco anche il ragazzo in vespa di prima. Si gode una Peroni insieme ai viandanti forestieri.
Io mi perdo in cronache di maiali castrati ed inseguimenti canino-felini, ma se fossi una persona seria dovrei raccontare un’altra storia, dopo quelle di Roghudi e di Africo, a dir poco interessante.
Gallicianò è la vera roccaforte della grecità aspromontana. È un posto prezioso perché qui resistono le ultime tracce della cultura e tradizione grecanica. Infatti si parla ancora il greco di Calabria. Forse perché è stato uno degli ultimi posti ad essere raggiunto dall’asfalto. L’isolamento quasi totale ha avuto il risvolto positivo di proteggere nei secoli questa lingua antica risalente alla dominazione greca, non so quanti secoli prima di Cristo. Adesso qui il telefono mi segna tre tacche su quattro e una stradina, anche se malmessa, c’è. Quel poco di progresso ha messo a repentaglio le antiche tradizioni elleniche del posto. Il greco lo parlano principalmente gli anziani e morirà se i suoi 35 abitanti, prevalentemente pastori, non riusciranno a tramandarlo.
Mimmo, un gallicianoto DOC dalla grande cultura, nonché Cicerone del paese che meriterebbe un articolo a sé, ci conduce prima nel museo etnografico, poi alla chiesetta ortodossa. È tardi e dobbiamo iniziare a scendere. Mimmo ci saluta con un rincuorante “kalispéra”.
Passiamo dalla piazza dove un gruppetto di persone gioca a carte. Per fotografarli perdo di vista quasi il gruppo. Appena lasciato il paese una tarantella in lontananza pare volerci salutare. Si torna alla base ma da un percorso diverso dall’andata. Sempre aprendo e chiudendo inferriate, di tutti i tipi. Alcune staccionate fatte con le reti del materasso, risultano essere quasi delle opere di arte povera inconsapevoli che esprimono tutto il senso di precarietà, ma anche la capacità di arrangiarsi di queste persone. Ci imbattiamo in un Pandino 4x4, l’unico mezzo ammesso da queste parti. Dentro ci sta riposando qualcuno. Una carovana di trenta persone gli passa accanto senza svegliarlo.
Riecco l’Amendolea, questa volta da un punto di vista inedito. Da qui la fiumara è davvero suggestiva. È ampia, serpeggia tra le montagne in maniera sinuosa, la sua forma zigzagante mi fa intendere che la sua poca acqua non ha fretta di tornare al mare.
Arriviamo giù. Ci togliamo le scarpe e ci bagniamo i piedi nell’Amendolea per poi asciugarli con l’ultimo sole che queste montagne ci concedono. Io e Aria camminiamo da ore, la stanchezza si fa sentire e il cielo si è improvvisamente coperto. Meglio andare. Perché a breve, come diceva una canzone, “potrei evaporare e diventare nuvola, magari un temporale”.
(presso Fiumara Amendolea)
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gregor-samsung · 3 years
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“ Alcuni hanno aspettato il crollo delle Torri per includere la malattia e la morte nei cosiddetti orizzonti di attesa. Hanno scoperto che si può morire “da un momento all'altro”. Che si può parlare di affari e dopo pochi minuti precipitare nel vuoto per trecento metri. I Greci l'avevano presente migliaia di anni fa, anche se non avevano costruito grattacieli. Gli uomini li chiamavano “mortali”, mentre noi li abbiamo privati di questo incidente di percorso. Noi viviamo nell'universo della pubblicità commerciale, dove non esistono la malattia e la morte, tranne che in quella dei farmaci e delle pompe funebri. Ma nei momenti duri della vita gli uomini ritrovano la verità della parola. Sono i momenti euforici a renderli idioti. “
Giuseppe Pontiggia, Prima persona, 2002.
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Aforismi: Federicomaria Muccioli - "Storia dell'Ellenismo"
Aforismi: Federicomaria Muccioli – “Storia dell’Ellenismo”
Per lungo tempo lo studio della storia ellenistica è rimasto in un limbo o zona di frontiera tra i cultori della grecità e anche della storia romana, soprattutto in ambito italiano. In controtendenza, gli ultimi decenni hanno visto invece una vera e propria esplosione di interesse per quel periodo e i suoi protagonisti, e sempre più imponente è la bibliografia a riguardo, in gran parte in lingua…
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paoloxl · 5 years
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Comunista, prese parte alla resistenza antinazista organizzando tra i partigiani attività culturali e teatrali.
Negli anni tra il 1948 e il 1952 subì il campo di concentramento e il confino. Dopo il colpo di stato del 1967 fu nuovamente deportato e torturato. Solo in seguito alla protesta internazionale fu posto, gravemente malato, in libertà vigilata a Samos.
Ghiannis Ritsos è una delle voci poetiche più forti della grecità contemporanea.
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ultimaedizione · 2 years
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La risorsa del Cristianesimo
La risorsa del Cristianesimo
Il cristianesimo è una risorsa: lo sostiene Francois Jullien, filosofo francese, studioso della grecità, della Cina e di Confucio. Dichiaratamente ateo. Il cristianesimo – lascia intendere – non è una risorsa tra le altre, bensì “la risorsa”, l’unica che ci sia concessa. E non l’ unica perché le altre siano venute meno alla prova, bensì perché è l’unica che sia possibile. Sempre che intendiamo…
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giuseppecocco · 2 years
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Viaggio in Magna Grecia: Partenza da Napoli
Viaggio in Magna Grecia: Partenza da Napoli
4 pagine e mezza raccontano 3 giorni a Napoli, imprescindibile inizio di un viaggio dedicato alla Magna Grecia dato che la Città a partire dal 600 a.C., rifondata come Neapolis, ne diventò una delle Città più importanti, costituendo la fonte principale tramite la quale la Grecità alimentò la nascente Cultura Romana, le due culture amate e sognate da Gissing. Nonostante la sua storia di Grecità,…
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[ Cassandra & Jim _ #Ravenfirehunters _ #Ravenfirerpg ]
* Orgoglio e Pregiudizio. Quell’accostamento magnifico di parole risuonò come una dolce ninna nanna alle orecchie della Reagan che, di quel soave romanzo, ancora ne sognava i dettagli. Amava quel secolo e i suoi scrittori, li aveva apprezzati durante i suoi studi per promettersi, solo successivamente, che non lo avrebbe mai abbandonati all’oblio della sua memoria. Fu sorprendente per il suo cuor acculturato e per quegli occhi intrisi di bellezza quando potette notare quella combinazione di lettere che le sussurravano danze, amori, intrecci e segreti. Quando quegli occhi suoi cristallini avevano scorto quelle parole per la prima volta nei giorni precedenti in cui si parlava dell’iniziativa, la veggente non poteva credere ai suoi occhi: ci sarebbe stata una cena, una mostra teatrale, dell’arte che, spumeggiante, avrebbe bagnato il suo cuore sempre fin troppo arido. Non avrebbe rifiutato di andarci, le riguardava, si sentiva parte di quell’evento ancor prima di quel giorno, o forse la verità era che Cassandra si sentiva parte dell’arte in qualunque sua forma. Corsetto, nastri che elegantemente infiocchettavano i suoi capelli... era così che la donna si era presentata, lasciando per una buona volta quella grecità che, invece, cercava di portare con sé anche soltanto con una spilla. Indossava dei guanti bianchi fino al gomito, appartenevano a qualcuno di cui Cassandra non avrebbe osato pronunciare il nome eppure si vedevano che erano stati ereditati. Era proprio all’ingresso di quella sala ottocentesca quando sfilò uno di quei guanti mentre le sue gote si tingevano di un rosso simile a quello di una ciliegia. La giovane veggente dai capelli corvini provava stranamente caldo e fu probabilmente per quello che incominciò a muovere quello stesso guanto per farsi aria. Aria. Ma l’aria fu traditrice: il guanto cadde a terra e le sue dita affusolate tentarono invano di prendere quel candito e misterioso accessorio. *
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