Il 25 Aprile è una giornata difficile per me. Vorrei essere felice, ci provo in ogni modo, ma finisce che sono colma di altri sentimenti in contrasto tra di loro che diventano stretti, confusi e inestricabili.
Per anni ho partecipato alle commemorazioni per la Liberazione altrove, in città e piazze lontane da dove sono nata ma poi ho iniziato a rivendicare i luoghi delle mie origini.
Lo faccio per i partigiani della mia famiglia, porto il loro cognome che qua ha una storia ben precisa. Forse questo cognome una storia ce l'ha anche altrove, soprattutto dove mio bis nonno, mio nonno e mio zio sono stati dietro le sbarre al confino coatto (innumerevoli città italiane), in campi di lavoro (Jugoslavia/Germania/Francia) e su un treno senza ritorno diretto a Mauthausen.
Da bambina mi han detto che come piglio assomiglio a mio zio Spartaco Lenin. È buffo come entrambi, gli unici della famiglia, portiamo per nome un etnonimo. Non ho mai incontrato mio zio, non l'ho potuto conoscere di persona se non tramite le testimonianze sui documenti (lettere private, verbali della questura, sentenze di tribunale, libri storici, attestazioni del CNL, l'archivio di Mauthausen e una pietra di inciampo).
Io, per tenere fede al mio nome, mi sento sempre straniera, di un altro posto che non si sa bene dove sia, ma mi porto dentro una storia precisa fatta di amore e lotta per i valori della resistenza e della giustizia sociale costi quel che costi.
" Il fascismo non era, come credevano i liberali, una parentesi, una malattia pur grave ma non mortale, bensì l'esplosione virulenta di mali endemici dello sviluppo della società italiana (la mancata Riforma, il Risorgimento rivoluzione fallita, il trasformismo della classe dirigente dopo l'Unità, la prima rivoluzione industriale avvenuta a vantaggio del Nord e a danno del Sud), e di vizi cronici del popolo italiano (cinismo, indifferenza, «o Francia o Spagna purché si magna», e prima di tutto il proprio «particulare»): anche Rosselli avrebbe ripetuto il giudizio di Gobetti, per cui il fascismo è stato «l'autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell'unanimità, che rifugge dall'eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia e dell'entusiasmo».* Ma non era neppure, come credevano i comunisti, un momento necessario e finale del grande conflitto storico tra la borghesia nell'ultima fase imperialistica e il proletariato nella sua prima fase rivoluzionaria, bensì l'espressione catastrofica e insieme irrazionale di una grande crisi di civiltà, in cui non soltanto l'Italia e la Germania ma tutto il mondo civile era stato coinvolto. Se solo un fatto rivoluzionario poteva mettere fine al fascismo, questo fatto doveva dar vita a un regime diverso tanto dalla democrazia liberale prefascista quanto dal comunismo sovietico.
Questo fatto rivoluzionario era la Resistenza, purché fosse intesa non come guerra di liberazione nazionale e neppure come guerra di classe, ma come guerra popolare attraverso cui avviene non soltanto lo scardinamento del regime prefascista a cominciare dall'istituto monarchico, ma anche la rigenerazione di un popolo oppresso da secoli di governi di rapina: come guerra politica (non soltanto militare o civile) che, proprio in quanto guerra politica, avrebbe addestrato il popolo alla nuova democrazia. Uno dei compiti in cui si riconobbero la maggior parte dei gruppi che parteciparono alla Resistenza sotto l'insegna del Partito d'Azione fu quello della trasformazione della guerra di liberazione nazionale in «rivoluzione democratica», o altrimenti lo sbocco della Resistenza in una nuova società in cui fossero poste le premesse per l'attuazione di una «democrazia integrale». "
*Carlo Rosselli, Socialismo liberale, Torino, 1979, p. 117.
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Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Garzanti (collana gli elefanti / saggi), 1990, pp. 183-184.
Oggi è la festa di chi è morto combattendo per ridarci la libertà. ❤️
È la festa delle oltre settantamila Donne che hanno fatto la Resistenza, preziosissimo e importantissimo contributo eroico di cui nessuno parla.
Di chi si rifiuta di pensarla come una festa, ma in realtà anche in modo inconsapevole ne sta celebrando la bellezza, appunto essendo LIBERO di scegliere 🤷🏻♀️.
Una libertà che a volte non sembra tale, una libertà spesso abusata.