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#pittori olandesi
sofysta · 28 days
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Terrazza del caffè la sera ~ Place du Forum Arles
Van Gogh
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fashionbooksmilano · 9 months
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The Bamboccianti
The Painters of Everyday Life in Seventeenth Century Rome
Giuliano Briganti - Ludovica Trezzani - Laura Laureati
Ugo Bozzi Editore, Roma 1983, 405 pages, 26x29cm, 65 colurs tables and 284 ill. b/n., ISBN 9788870030105
euro 60,00
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The Bamboccianti were genre painters active in Rome from about 1625 until the end of the seventeenth century. Most were Dutch and Flemish artists who brought existing traditions of depicting peasant subjects from sixteenth-century Netherlandish art with them to Italy, and generally created small cabinet paintings or etchings of the everyday life of the lower classes in Rome and its countryside.
Typical subjects include food and beverage sellers, farmers and milkmaids at work, soldiers at rest and play, and beggars, or, as Salvator Rosa lamented in the mid-seventeenth century, "rogues, cheats, pickpockets, bands of drunks and gluttons, scabby tobacconists, barbers, and other 'sordid' subjects." Despite their lowly subject matter, the works found appreciation among elite collectors and fetched high prices.
A questa scuola aderirono pittori fiamminghi, olandesi e italiani che furono attivi a Roma, tra gli artisti di questo movimento pittorico troviamo pittori come Jan Miel, Andries Both, Karel Dujardin, Thomas Wijck, Johannes Lingelbach, Jan Asselyn, Pieter van Lint, Michael Sweerts, e Keil Eberhard e, tra gli italiani, Viviano Codazzi (1611-1672), Michelangelo Cerquozzi (1602-1660) e il siciliano Filippo Giannetto (1631-1702).
29/07/23
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bottegapowerpoint · 9 months
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Jan Weissenbruch, Steigerpoort te Leerdam
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principessa-6 · 10 months
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Slava Fokk è un artista russo, nato nel 1976 in una famiglia di artisti.
La sua pittura è stata definita “retrospezione intelligente“, un’accurata selezione di tecniche pittoriche che consente la creazione di opere altamente espressive. Slava evoca le origini della pittura ad olio e le tecniche creative dei vecchi pittori olandesi.
Attualmente vive negli Stati Uniti
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motolesechloe · 6 months
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Tecnica di Turner
La tecnica di Turner non mancava di sollevare una certa curiosità. Come i pittori dell'epoca, avidi di ricette, di inven- zioni, di trucchi del mestiere di cui poter approfittare, anche il vecchio accademico Joseph Farington andava ad informarsi nello studio del pittore. Ecco gli appunti del suo diario: Turner dipinge su fondi molto assorbenti preparati da Gran- di (Sebastian Grandi, il suo assistente) che lui stesso poi leviga con la pomice. Questo fondo assorbe ancora la pittura a olio dopo quattro passaggi. Quando il quadro è terminato bisogna stendervi tre o quattro mani di mastice perché i colori tengano. Egli non utilizza l'olio normale, ma quello di lino. Con questa tecnica riesce ad ottenere l'aria, che gli evita l'aspetto rugoso»> Quindici giorni dopo Farington è ancora nello studio di Turner e descrive nel suo diario, con una certa meraviglia, il numero limitato di pigmenti colorati di cui il pittore si serve: «bianco, ocra, giallo, terra di Siena e terra di Siena bruciata, rosso veneziano, cinabro, terra d'ombra, blu di Prussia, blu nero, blu oltremare. Soltanto olio di lino» (Finberg). Come nota John Walker, questa maniera di dipingere sembra
ham (1799)
essere stata efficace poiché le tele di quel periodo hanno resistito meglio all'invecchiamento. Le tele successive dipinte, pare, con minor precauzioni, si rovinarono più facilmente sono oggi causa di gravi preoccupazioni specialmente per i curatori della Tate Gallery. Recentemente il visconte Dunluce, direttore del reparto restauri del museo, ha dichiarato: «In alcuni casi i deterioramenti sono dovuti ai metodi personali di lavoro di Turner. Su alcuni dipinti ha lavorato molto, su altri ad intervalli che vanno dai due ai tre anni. Quando si rimetteva al lavoro su queste tele c'erano degli strati induriti, gli strati di pittura nuova non erano legati, ed ecco il motivo per cui oggi si staccano dei pezzi di pittura» (Observer, 25-12-1980). Ma l'interesse per i metodi di lavoro del giovane artista non modificò il giudizio di Farington, che riprese le accuse di evaghezza» e di «disordine» lanciate nel 1802 da True Briton nei confronti di alcune opere di Turner. «Turner ricerca lo strano e il sublime ma non ha la forza di condurre in porto ciò che intraprende. I suoi quadri hanno molte qualità, ma ciò che manca loro è la tecnica e la precisione accademica di un Poussin quando egli si rivolge allo stile epico. Inoltre, nelle scene con soggetti navali gli manca il gusto dell'abilità, del tratto preciso, che sono le qualità per eccellenza dei maestri olandesi e fiamminghi».
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floweredalmond · 2 years
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Giovane donna con perla, Jean-Baptiste Camille Corot,
Il quadro raffigura una donna seduta e rivolta verso sinistra. Le mani della giovane sono poggiate sul ventre verso sinistra mentre il suo volto è rappresentato leggermente di tre quarti quasi frontalmente. Lo sguardo, invece è diretto al centro, verso lo spettatore ma non cerca la sua complicità. La sua espressione sembra assorta è rivolta a pensieri lontani. Indossa un abito chiaro, stretto in vita è molto scollato. Intorno alle spalle a un gilet scura. La sua capigliatura è semplice e porta capelli lunghi stretti e annodati dietro la schiena, intorno al capo ha una corona filiforme. La capigliatura lascia scoperto l’ovale del volto e lo incornicia esaltandolo.
Il quadro ricorda lo stile dei pittori olandesi del 600, soprattutto Vermeer. La stesura di colore è realizzata con pennellate dirette che creano campiture uniformi soprattutto nell’abito. Il modellato del volto e delle mani è più raffinato e l’ovale del viso risulta levigato e privo di segni di espressione. L’abito è dipinto con una tecnica che conferisce al tessuto un realismo nella resa delle pieghe scomposte. La capigliatura è stata trattata come una massa uniforme chiaroscurata nella parte alta.
Il dipinto ha un tono generale caldo e tendente al bruno con le lumeggiature virate verso il giallo chiaro. La resa è quella di un dipinto monocromatico. Il gilet e la capigliatura sono le parti più scure del dipinto che si intonano con gli occhi profondi della giovane donna. L’abito è chiaro nella parte alta e ocra più scuro nelle maniche e in alcune fasce della vita. Le parti scure del vestito e il gilet creano un contrasto con il tessuto e il resto della figura.
La luce è diretta e proviene dall’alto a destra creando ombre nette soprattutto nelle pieghe degli abiti. Il viso è illuminato direttamente come le mani. Soprattutto la parte destra del volto viene valorizzata da un riflesso sotto il mento che accentua l’ovale perfetto della ragazza. Lo sfondo è leggermente illuminato in corrispondenza della sagoma ritagliata della giovane donna.
Lo spazio tridimensionale, è limitato al primo piano nel quale si trova la ragazza seduta. La profondità, tra la figura ritratta e lo sfondo, non è facilmente valutabile poiché non si colgono ombre dal corpo della ragazza o da altri arredi dipinti.
Il ritratto è esposto al Museo del Louvre (Parigi).
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daniela--anna · 4 years
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Albert Williams era un pittore britannico noto per le sue raffigurazioni di composizioni floreali variegate.
Ha impiegato un processo unico di pittura di singoli fiori freschi raccolti dal suo giardino, usando questi studi per comporre composizioni più elaborate su tele più grandi.
Williams fu particolarmente influenzato dai pittori di fiori olandesi del XVII secolo, come Gerard Van Spaendonck.
Nato il 20 marzo 1922 nel Sussex, in Inghilterra, Williams imparò a dipingere da suo padre e suo nonno e continuò a studiare pittura di figure e ritratti sotto Louis Ginnett e al Brighton College of Art.
Nel corso della sua vita, Williams ha esposto alla Royal Academy, alla Royal Watercolor Society e alla Royal Society of British Artists.
È morto nel 2010 a Brighton, in Inghilterra.
(Fonte ArteNet)
(🎨 Anemoni in vaso di Albert Williams)
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gregor-samsung · 4 years
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In antico, le tracce dei fabbricati e la storia lo provavano, doveva essere stato un complesso imponente con possedimenti che si stendevano per boschi fitti e campi, per paludi, fino al mare. Delle costruzioni erano rimasti in piedi scheletri architettonici immensi, esposti al sole e alle bufere: solo un fabbricato laterale all'ingresso degli edifici era rimasto intatto, abitabile. Era parte dell'antico refettorio con le pareti affrescate da splendidi pittori e vi abitavano poche monache olandesi attratte dal fascino della campagna. I resti disposti su un poggio, con pochi gruppi di alberi, lasciavano scorgere prati e terreni, in principio ingombri di rovine e poi erbosi e verdi, seminati alcuni a grano e a granoturco. Sulla sinistra, parallela alla via provinciale, non molto lontana, una strada portava a una costruzione a cupola: era sempre aperta e recava la prova di un miracolo avvenuto nel medioevo. Durante una notte, un giovane di abitudini libertine se ne tornava a casa a cavallo. Fu colto da sonnolenza e a sua insaputa il cavallo lo portò in quel luogo a lui sconosciuto, presso l'abbazia. Una voce gli disse: "Abbandona questa vita di turpitudini. Fermati qui e inizia una vita da eremita". Come prova che quella fosse la voce di Dio il giovane aveva risposto: "Se la mia spada trafiggerà quella pietra obbedirò". La spada si era conficcata fino all'impugnatura nel masso ed era ancora lì, alla vista dei visitatori. Marco mi aveva condotto proprio all'abbazia per pregare dinanzi alla pietra trafitta. Forse la pace sarebbe tornata nella mia famiglia.
Romano Bilenchi, Il gelo, Milano, Rizzoli, 1984 [Libro elettronico]
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quellodiarte · 5 years
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L'evoluzione di Mondrian
La direzione dell'Arte è verso la sintesi. Ogni periodo ha avuto il suo modo: è lo stile. Oggi in StArt seguiremo passo passo l'evoluzione di #Mondrian da quando era un paesaggista fino quando è diventato un paesaggista. Ci sentiamo dalle 9:15 su Spreaker.
La direzione dell’Arte è verso la sintesi. Ogni periodo ha avuto il suo modo: è lo stile. Oggi in StArt seguiremo passo passo l’evoluzione di Mondrian da quando era un paesaggista fino quando è diventato un paesaggista.
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big-lio · 7 years
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Una prima parte di una serie di quadri di pittori olandesi e delle loro opere. Si salta di stile, periodo e soggetti rispetto alle precedenti condivisioni, ma resta sempre un piacere da scoprire :) (almeno spero lo gradiate) Come al solito in un album sulla pagina FB del mio sito. E, se vi va, lasciate un segno del vostro passaggio :)
Natura morta olandese con fiori 17°-18° secolo
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museoweb · 3 years
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La Mauritshuis (letteralmente Casa di Maurizio) è un museo che si trova a L'Aia nei Paesi Bassi. Ospita una vasta collezione d'arte che comprende dipinti dei più famosi pittori olandesi come Johannes Vermeer, Rembrandt van Rijn, Jan Steen, Paulus Potter e Frans Hals, oltre ad opere del pittore tedesco Hans Holbein il Giovane.
WIKI - SITO - MOSTRE
HIGHLIGHTS
Jan Vermeer - Ragazza con un orecchino di perla
Jan Vermeer - Veduta di Delft
Carel Fabritius - Il cardellino
Rembrandt van Rijn - Autoritratto
Paulus Potter - Il toro
Jan Steen - “As the Old Sing, So Pipe the Young”
Hans Holbein il Giovane - Robert Cheseman
Ambrosius Bosschaert il Vecchio - Vaso di fiori in una finestra
Rembrandt van Rijn - La lezione di anatomia del Dr. Nicolaes Tulp
Rembrandt van Rijn - Saul e David
Jan Bruegel il Vecchio - Il giardino dell’Eden con la Caduta dell’Uomo
Hendrick Avercamp - Scena ghiacciata
Adriaen Coorte - Natura morta con fragole selvatiche
Frans Hals - Bambino che ride
Clara Peeters - Natura morta con formaggi, mandorle e pretzel
Peter Paul Rubens - Vecchia e bambino con candele
Willem van Haecht - Apelle dipinge Campaspe
Rogier van der Weyden - Il lamento di Cristo
Jacob van Ruisdael, - Vista di Harlem con campi bianchi
Antoon van Dyck - Ritratto di Peeter Stevens
Gerrit Dou - La giovane madre
Gerard ter Borch - Cercando le pulci
Rembrandt van Rijn - Canto di lode di Simeone
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bottegapowerpoint · 9 months
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Hendrik Willem Mesdag, Zee met pinken
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annalisalanci · 3 years
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Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre
Gli stregoni. Le rappresentazioni sacerdotali del mondo delle tenebre
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Il Giudizio universale di Bruegel il Vecchio, 1558
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La bocca dell'Inferno, Jacobus da Theramo, Das Buch Belial, Augusta, 1473
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I demoni contendono l'anima di un moribondo agli angeli. Ars Moriendi, Augusta, 1471 circa
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San Michele che sconfigge il drago,  di Martin Schongauer, 1420-1488
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Per tutta l'epoca in cui il cattolicesimo resse le sorti spirituali dell'Europa, ci fu - a opporsi alla chiesa del bene - una chiesa del male; contro la chiesa di Dio, una chiesa del demonio che come l'altra aveva i suoi preti, i suoi riti, il suo culto, i suoi libri, le sue adunate, le sue apparizioni.
La chiesa indicava l'esistenza del diavolo non come uno scherzo o una facezia ma come un articolo di fede. Non potendo le masse analfabete andare a ricercare nei libri di teologia riservati al clero i particolari necessari per farsi un'idea esatta di questo principe delle tenebre, la sua effige, a uso del volgo, si trovava riprodotta a profusione nei timpani dei portali delle cattedrali, sulle vetrate delle chiese, nei bassorilievi dei cori, agli angoli delle grondaie e dei tubi pluviali che si popolavano di tutta una fama fantastica rappresentante in lineamenti presunti degli abitatori e padroni dell'inferno.
Il giudizio universale è il soggetto ricorrente preferito dagli scultori del periodo ogivale, probabilmente d'accordo col clero, per la decorazione delle facciate delle chiese sino al secolo XIV. Tali scene contengono sempre un certo numero di demoni nella rappresentazione dei quali gli artisti hanno dato libero sfogo alla loro straripante immaginazione.  
Uno dei più antichi esempi di scultura di questo genere è quello che orna il timpano della facciata occidentale della cattedrale d'Autun, che risale all'IX secolo; nella sua fattura arcaica e nella sua esecuzione primitiva non mancano tratti di viva bellezza e i visi di alcuni angeli e di alcuni beati sono d'una perfezione stupefacente.
Questo timpano è suddiviso in tre piani sovrapposti. Nel piano inferiore i mortali, risvegliati dal sepolcro, si avviano verso il giudizio in fila, e quì è particolarmente acccentuata l'espressione degli atteggiamenti dei volti. Giunti verso l'estremità destra della composizione, essi vengono afferrati da due mani gigantesche che ne serrano il volto in una specie di morsa e li sollevano al piano superiore in cui ha luogo il Giudizio.
Alla volta celeste è sopra una bilancia l'anima del defunto viene messa su uno dei piatti che un angelo cerca di far pendere dalla propria parte. I demoni sono cinque e d'una bruttezza uniforme, quasi stilizzata; uno d'essi cerca di far pendere la bilancia dalla sua parte tirando il piatto, mentre con l'altra mantiene un dannato per la collottola, quasi fosse un gatto: una specie di serpente gli sta aggrovigliato intorno alle gambe. Un altro demonio più piccolo si è addirittura messo senza tanti complimenti sul piatto stesso della bilancia; un terzo con in mano un rospo enorme sembra assistere in preda alla rabbia all'operazione. Dietro a questi, un demonio, in una posizione alquanto inverosimile, infila alcuni dannati in una tinozza, mentre un quinto, sporgendosi col busto fuori dalle fauci mostruose d'un drago, afferra con due braccia alcuni dannati che già forse credono, poveretti, di sfuggire al supplizio eterno.
Lo scultore, ha riservato ai demoni i più vistosi difetti di proporzioni: essi sono allampanati e scheletrici, hanno gambe e toraci scanalati come colonne romane, mentre il rictus della bocca ispira tale raccapriccio da rendere più terribile la ferma serenità del Giudice eterno, assiso nella sua gloria e sovrastante tutta la scena.
Molto più ricca e varia è la scena del timpano della cattedrale di Bourges che tratta lo stesso tema. Un angelo ampio e disteso tiene nella mano destra la bilancia del giudizio, che un piccolo diavolo dalle orecchie di pipistrello installato su uno dei piatti non riesce a far pendere dalla propria parte (fig. 4.) Con l'altra mano l'angelo accarezza affettuosamente la testa di un grazioso bambino nudo che non manifesta alcun timore di essere dannato osservando che la bilancia su cui viene pesata la sua anima pende decisamente dalla parte delle buone azioni.
Un diavolo lo spia, ma si tratta d'una creatura ben diversa di quelle d'Autun, con un viso maligno e sarcastico che fa di lui il diretto predecessore di Mefistofele: questo è già indubbiamente il diavolo dei maghi, il diavolo dei patti, colui che assisterà più tardi troneggiando al sabba e giocherà tiri scandalosi alle suore di Loudun. Egli è persino più conforme all'antica tradizione dei padri del deserto, in quanto ritroviamo in lui il naso a uncino e i corni del demonio che, a quanto dice sant'Antonio, tentò san Paolo l'eremita.
Gli altri due diavoli di questa scena presentano caratteri diversi e notiamo in essi deformità anatomiche e patologiche che diventeranno d'ora in poi gli attributi essenziali del demonio: due d'essi hanno infatti sul ventre un secondo viso tondo come la Luna, mentre un altro diavolo con ali sul posteriore, presenta sul petto due seni a forma di testa di cane.
All'estremità della scena c'è la caldaia infernale, d'un realismo fantastico e sconvolgente. Il fuoco è fornito da una mostruosa figura riversa che dalla bocca smisuratamente larga sputa fiamme; su queste soffiano, per attizzarle, due demoni dal volto avvinazzati, patibolari e truculenti; è questa la famosa gola dell'inferno, il gorgo dell'abisso, il marasma di zolfo e pece che non si estinguerà per tutta l'eternità.
Questo fuoco riscalda una vasta tinozza in cui cuociono i dannati, azzannati per di più da animali ripugnanti; un diavolo di cui non si vede il volto li pigia con brutalità, mentre un altro li ammucchia con una specie di bastone dalla lunga impugnatura. Nello spaventoso realismo con cui è trattata questa scena si riscontra l'influenza, di alcune pagine della letteratura medievale, come le visioni di san Salvo e dall'abate Sonniulfo riferite da Grégoire de Tours, o quelle del monaco d'Eversham del XII secolo, di cui Mathieu Paris ci ha lasciato una impressionante descrizione.
I monumenti della scultura medievale, quale che sia la loro importanza, non sono altro che vestigia, dato l'incalcolabile numero di distruzioni dovute alle cause più disparate - vandalismi, trasformazioni o demolizioni di edifici - non sarà difficile giungere alla conclusione che la scena del giudizio universale doveva essere riprodotta in tutte le chiese d'un certo rilievo della cristianità.
Sul timpano dell'abbazia benedettina di Conques nell'Oveyron, un diavolo brandisce una specie di minaccioso bastone col quale batte i dannati; nel portale del duomo di Bamberga in Baviera un altro demonio tira un dannato con una catena.
Di fronte alla teologia, o scienza di Dio, la demonologia, o scienza del demonio, sua odiata rivale, trovava posto sul portale stesso dei templi che ospitavano la <<carne di verità>>. Chi avrebbe dunque potuto dubitare dell'esistenza di tutto questo mondo invisibile e oscuro che opponeva l'esercito dei diavoli a quello degli angeli?  E' ben vero che i teologi dissertavano con molto maggiore insistenza sulla natura di Dio, sulla sua bontà, sulle sue qualità infinite, che non sui diavoli: volontariamente o no, questi li lasciavano in una specie di indeterminatezza che non poteva non eccitare la curiosità popolare.
Nel momento in cui la scultura religiosa comincia a decadere per aver voluto rinnovarsi alle fonti pagane, l'arte cristiana accetta di piegarsi a forme primitive, come alla miniatura dei manoscritti o alle incisioni su legno degli incunaboli; le rappresentazioni infernali comunque passano nelle nuove arti ed esercitano sullo spirito umano la stessa influenza. Il famoso affresco diabolico della cappella di Stratford-on-Avon e quelli del camposanto di Pisa continuano la tradizione dei secoli passati, andando, grazie alla loro arte più facile, ben al di là delle già audaci creazioni degli scultori.
Un incunabolo tedesco di Jcobus da Theramo stampato ad Augusta nel 1473 e intitolato: Hie hebt sich an das bich Belial genant o più semplicemente Don bich Belial contiene un'incisione su legno rappresentante la bocca dell'inferno (fig. 5) che non ha nulla da invidiare  alle più orripilanti composizioni scultoree del XII secolo. La gola del drago è tenuta aperta da un solido palo di legno ai lati del quale stanno due diavoli, l'uno con l'occhio atteggiato a un'espressione spaventosa e l'altro con un riso da buontempone sul volto, espressione tanto più minacciosa dato il tipo di personaggio. Sul fondo ce n'è un altro che mostra un volto rabbioso, mentre il loro padrone Belial se ne sta al di fuori dell'abisso tenendo con essi un misterioso conciliabolo.
I pittori del XVI secolo, mitigarono la crudezza dei particolari e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni e soppressero ogni creazione fantasiosa nelle loro interpretazioni del giudizio universale, adottandone la rappresentazione alle esigenze di un'epoca già intaccata dallo scetticismo; ma gli incisori soprattutto fiamminghi e gli olandesi, dando libero sfogo al loro temperamento, si abbandonarono a vere e proprie orge della fantasia in cui si nota ancora una certa ingenuità, o una certa mancanza di rispetto.
Luca Cranach. il Vecchio (1472-1553), interpreta la scena in cui al termine del giudizio i dannati sono gettati nell'inferno (fig. 3). Il diavolo-istrice, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntuta, sono creature che ritroviamo spesso negli incisori del XVI secolo. il diavolo-istrice che vediamo a destra, l'orribile grifone il cui capo è costituito da un teschio di tapiro sormontato da un berretto, il maiale alato che tortura un chierico prevaricatore e il mostro che cavalca una donna introducendole nella bocca una lama metallica appuntita, sono creature che ritroveremo spesso negli incisori del XVI secolo.
In una stampa del maestro fiammingo Bruegel il vecchio, incisa nel 1558 da Cock (fig. 6) che, in una composizione a prima vista severa, introduce i particolari più stravaganti. La composizione di questa scena del giudizio è uguale a quelle delle cattedrali: il Figlio dell'uomo, assiso tra le nuvole, pronuncia le parole fatali: <<Venite, benedicti Patris mei, in Regnum aeternum; ite, maledicti Patris mei, in ignem sempiternum>>. La gola immensa dell'inferno occupa la parte destra del quadro ed è rappresentata dalla bocca di un pesce di proporzioni coloniali. Il torrente dei dannati vi si precipita; i demoni che li spingono non hanno più la figura umana deformata dei secoli precedenti, ma assumono le forme più assurde: uccelli da preda, rettili, batraci inverosimili gnomi dal becco piatto e dalle mandibole mostruose che sembrerebbero ispirati dalla forma preistorica e dalla paleontologia, se queste scienze a quell'epoca fossero state conosciute.
Nelle incisioni di Hieronymun Bosch, incisore olandese (1460-1518). La sua composizione dal respiro immenso è animata da un movimento, da una frenesia e da una vita tumultuosa e malata: e un turbinio di esseri indefinibili e malefici, nelle pose più indecenti e contorte, qualcosa che ricorda il sabba.
Una scena analoga a quello del giudizio universale, del XVI secolo, è quella della Discesa di Gesù all'inferno ci mostra Gesù Cristo che trionfa su un demonio, mentre altre due creature infernali cercano di impedire la figa dal limbo ai giusti che il Salvatore viene a liberare; i tre guardiani dell'inferno hanno quì volti d'uccelli rapaci, complicati da tentacoli e speroni, come corazze d'ippocampo o armature bergamasche.
Bruegel: I giusti liberati dal limbo. Il Cristo in un medaglione centrale mantiene tutta la imperturbabilità nel liberare la folla dei giusti dal limbo, senza alterarsi di fronte alla grottesca fama infernale che lo circonda, come quell'essere indefinibile sormontato da un elmo con visiera e il cui corpo è qualcosa di mezzo tra un maggiolino e l'uovo; il guscio si apre per lasciare uscire una nidiata di bambini liberati.
L'arcangelo Michele trionfa su Lucifero. Questa scena, si ricollega alle più profonde radici della teologia: l'angelo sconfitto identificato col Satana dell'Antico Testamento viene di solito rappresentato in forma di drago, così come appare nelle vetrate delle cattedrali dei secoli precedenti.
Verso la fine del medioevo la scena del giudizio individuale, che di rado la scena del giudizio individuale, che di rado figura nelle chiese, assume una certa importanza e tende anzi a sostituirsi a quella del giudizio universale, fino al punto che uno dei soggetti trattati più sovente dagli artisti diventa il moribondo affiancato da angeli e demoni che se ne disputano l'anima.
(Fig. 10)L'Ars moriendi, pubblicato ad Augusta tra il 1470 e il 1471. Un monaco consegna a un moribondo un cero acceso, mentre il coro degli angeli ne raccoglie l'anima rappresentata da una figurina nuda, a destra la crocifissione per significare che il moribondo partecipa ai meriti della croce del Salvatore. Ai piedi del letto però troviamo i nostri bravi demoni del timpano delle cattedrali sotto apparenze grottesche e orride: uno ha la testa di cane rabbioso, un alto di asino che getta alti ragli; un terzo, ai piedi della croce, è una caricatura di ebreo, mentre altri due con occhiali si contorcono mostrando zoccoli biforcuti di capra e poggiando su zampe a tre dita da gallinaceo. In un coro di rabbia e di disperazione nel vedersi sfuggire quell'anima, gridano come spiega la scritta delle banderuole:
Heu insanio
Spes nobis nulla
Animam amisimus
Furore consumor
Confusi sumus
IL poema, la cui influenza fu fin dalla fine del XIII secolo piuttosto importante in Europa, contribuì ad affermare le verità religiose incontestabili. Eppure questo inferno più moderno, più filosofico, con i suoi cerchi di dannati e il suo particolare simbolismo e diverso dall'inferno tradizionale. Il poeta, immaginando il castigo supremo per Giuda Iscariota, il più grande criminale dell'umanità, lo fa divorare dallo stesso Satana: .. è Giuda Scariotto Che'l capo ha dentro e fuor le gambe mena (Inferno, Canto XXXIV).
La vigorosa incisione su legno è tratta da un'edizione italiana: Opere del divino poeta Danthe; Venezia, Bernardino Stagnino, 1512, in 4°. Satana vi è rappresentato con una testa a tre volti, e mentre con la bocca anteriore diversa l'Iscariota, le sue due bocche laterali divorano ciascuna un dannato.
In tempi a noi più vicini, in paesi arretrati poco sensibili alle raffinatezze della civiltà, la chiesa presenterà ancora al popolo il diavolo sotto una forma più volgare; ricorrendo alle risorse della meccanica per dar luogo ad una puerile fantasmagoria.
In un mobile conservato al museo di Cluny a Parigi, probabilmente d'arte calabrese, eseguito verso l'inizio del XVII secolo, alcuni hanno creduto di riconoscervi una rappresentazione del cattivo ladrone mentre è abbastanza certo che il personaggio oscuro dal viso contratto e orribile che mostra una enorme lingua rossa è un diavolo che appare ad una finestra praticata nel mobile, simile ai teatrini per marionette. Un ingegnoso sistema di corde, pulegge, molle e contrappesi, che funziona ancor oggi, permetteva di far apparire a comando questa figura mostruosa, per terrorizzare qualche peccatore incallito e ribelle che si rifiutava di confessare le proprie colpe.
In fine se arriviamo all'epoca delle creazioni popolari, sono innumerevoli i documenti iconografici che hanno come fine quello di produrre nelle anime lo stesso terrore suscitato in molte epoche delle sculture delle cattedrali.
La buona confessione: un penitente arriva dalla destra della scena incatenato da un diavolo cornuto e ricoperto solo d'un perizoma; una penitente confessa le sue colpe nel confessionale e la grazia che discende dai meriti del Cristo spezza le catene che la legavano ad un altro diavolo, un terzo penitente esce a destra del confessionale condotto dal suo angelo custode, mentre un altro angelo gli tende una corona dal cielo. Nei due medaglioni degli angoli superiori vediamo il figliol prodigo peccatore e quindi lo stesso che si concilia col padre.
La cattiva confessione: un diavolo dal grugno sordido si è infilato sfrontatamente nel confessionale e tappa la bocca d'una penitente che nasconde le proprie colpe. A destra e a sinistra sette diavoli conducono sette penitenti incatenati, che si direbbe abbiano commesso ciascuno uno dei sette peccati capitali, a giudicare dai quadri retti dai diavoli essi rappresentano la collera mediante un uomo che brandisce una spada, l'orgoglio nelle vesti di un pavone che fa la ruota, la lussuria un convegno d'amore, la pigrizia con un uomo che dorme Due diavoli tendono alle loro vittime una borsa di scudi e una bottiglia che simbolizzano l'avarizia e l'ubriachezza; infine c'è l'invidia, che il diavolo cerca di suscitare mostrando la borsa di scudi dell'avaro.
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paoloxl · 6 years
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Sono passate da poco le 11 di sera, in radio siamo in una ventina, sto lavorando con mio fratello per riuscire a collegare dei ricetrasmettitori CB da portare in giro per la città e fare delle interviste volanti, intanto si discute dei fatti accaduti. La situazione nelle strade si è tranquillizzata, gli scontri che erano ricominciati anche questa mattina si sono fermati. Cominciamo a credere che siano finiti del tutto. Il manifesto di lancio della radio Improvvisamente sentiamo battere forte alla porta e, dalla finestra che guarda sulle scale, vediamo la polizia con i mitra spianati e i corpetti antiproiettile, una roba da squadra swat nei film americani. I compagni decidono di scappare dai tetti, rimaniamo in quattro, un quinto verrà arrestato sulle scale. Quei minuti drammatici di trasmissione fanno parte della storia della radiofonia e li potete ascoltare da qui. (Umberto Eco li userà poi per tenere una sua lectio magistralisalla Sorbona di Parigi, sulle forme di comunicazione radiofonica). Radio Alice non viene perquisita, viene letteralmente svuotata di ogni cosa, la polizia porta via perfino i telefoni di proprietà Sip (l’allora Telecom). Noi veniamo arrestati e, una volta negli uffici della “Mobile”, veniamo pesantemente picchiati dai poliziotti (Il dottor Lomastro, capo della Mobile, anni dopo dichiarerà a Repubblica, che quando ha saputo che eravamo stati picchiati gli è spiaciuto e mi ha chiesto scusa. Mentiva). In carcere ci siamo stati diversi mesi, io “solo” tre e mezzo, ma Stefano Saviotti oltre cinque. Ma per cosa? L’accusa era ovviamente ridicola: siccome uno dei ragazzi che avevano trasmesso la mattina aveva invitato gli ascoltatori a partecipare agli scontri, il magistrato sosteneva che la Radio dirigeva gli scontri, che tutti noi avevamo costituito la radio un anno e mezzo prima per poter delinquere poi, quando ce ne sarebbe stata l’occasione. D’altronde la responsabilità penale è personale e volendo arrestarci tutti e non solo chi aveva detto la frase, si era inventato questa roba assurda. Neanche a dirlo, quando sette anni dopo si sono degnati di processarci, l’assoluzione l’ha chiesta prima di noi il pubblico ministero. Ma perché Radio Alice? Radio Alice era da sempre una spina nel fianco dei partiti, delle istituzioni e degli affaristi. La radio non conosceva nessun filtro e nessuna censura, quindi chiunque poteva venire/telefonare in radio e trasmettere in diretta ciò che vedeva sui luoghi di lavoro e negli uffici, dire ciò che pensava di qualsiasi politico o amministratore. Più volte esponenti di PCI e DC ne avevano chiesto la chiusura. Mal sopportavano le trasmissioni satiriche, che li deridevano. Non avevano certo riso quando Bifo telefenò in diretta ad Andreotti, spacciandosi per Umberto Agnelli, e dicendogli che gli operai, sotto le sue finestre gridavano “Andreotti, tu sei pazzo, noi non pagheremo più un cazzo!”. La radio era diventata il cuore della creatività antagonista, il luogo in cui si trovavano tutti gli artisti, i maestri bolognesi del fumetto (Bonvi, Scozzari, Pazienza …), i musicisti demenziali o meno (Skiantos, Claudio Lolli, Gaz Nevada, Guccini, la Sarabanda …), i poeti e gli scrittori, i pittori e gli scultori, gli attori e i registi, i giornalisti. Tutti questi collaboravano, progettavano e trasmettevano assieme all’operaio, allo studente, al disoccupato, al collettivo “frocialista”, al collettivo femminista, ad un gruppo di maschi rattristati dalle morose che li avevano lasciati perché diventate femministe, ai fuorisede della Val Camonica. E’ evidente che una simile amalgama di irrispettosa creatività non poteva che scontrarsi con chiunque ritenesse se stesso una persona seria, il suo ruolo istituzionale serio, il suo partito serio. Alice non rispettava niente e nessuno, neanche se stessa, figuriamoci gli altri. Non aveva filtri e censure, abbiamo detto, ma non aveva neanche palinsesto (chiunque poteva trasmettera quel che gli pareva, quando gli pareva, perché gli pareva), non aveva una redazione (nessuno decideva quali notizie dare, se e perché). Uno dei nostri motti era “Notizie forse vere, forse false, ma sicuramente tendenziose”. Radio Alice era il faro dell’intelligenza che squarciava la buia notte dei grigi, degli ottusi e dei pericolosi. Su Radio Alice sono stati scritti una dozzina di libri, non solo italiani, sono stati girati due film (un documentario e uno di fiction), scritte centinaia di tesi di laurea, pubblicati migliaia di articoli di giornale, di blog e siti web, trasmissioni radiofoniche e televisive, le sono stati dedicati spazi nelle gallerie d’arte (anche alla GAM di Bologna, c’è uno spazio su Alice). Non c’è corso universitario sulla comunicazione che non la citi, ancora oggi, ma già nel ’76 abbiamo ospitato delegazioni universitarie olandesi, francesi e non ricordo più cosa, venute a studiare il fenomeno e la forma comunicativa. Tutto questo è sopravvissuto alla chiusura manu militari e ad ogni forma di repressione, malgrado Radio Alice non abbia memoria.
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strawberrynoise · 5 years
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Antonello da Messina Exhibition - Milano 2019
Picture: Annunciata di Palermo (1476) - permanently in Palazzo Abatellis, Palermo.
Visit on April, 13 2019
Commenti: primi piani marcati, soggetti che si stagliano sullo sfondo, sguardi, movimento, connessione con pittori olandesi, minuziosità, gatto di San Girolamo nello studio, fama durante la vita, Sicilia, Venezia, arte sacra, ritratti, 
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allmadamevrath-blog · 5 years
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Lo specchio della natura. L'Olanda del Seicento
Lo specchio della natura. L'Olanda del Seicento La scissione dell'Europa in protestante e cattolica influì anche sull'arte di una piccola regione come i Paesi Bassi. Le province settenrionali dei Paesi Bassi erano insorte contro i dominatori cattolici spagnoli, e la maggior parte degli abitanti delle ricche città mercantili aveva aderito alla fede protestante. Questi mercanti protestanti, erano più vicini nel loro atteggiamento, ai puritani inglesi, devoti, laboriosi, parsimoniosi e, perlopiù, avversi al fasto dell'arte meridionale. I borghesi olandesi del Seicento non accettarono maii il barocco schietto che dominava nell'Europa cattolica. In architettura preferivano una maggiore sobrietà. Quando verso la metà del XVII secolo, i cittadini di Amsterdam decisero di erigere un grande municipio che riflettesse l'orgoglio e le conquiste della loro nazione appena sorta scelsero un modello che, è semplice di linea e quanto mai parco nelle decorazioni.
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Jacob Van Campen. Il Palazzo Reale di Amsterdam. 1648
In pittura l'effetto della vittoria protestante fu ancora più profondo e gravido di conseguenze. Tanto in Inghilterra, quanto in Germania, la professione di pittore cessò addirittura di attirare gli uomini di talento. Del resto nei Paesi Bassi, essi avevano dovuto limitarsi a lavori privi di riferimenti religiosi. In una comunità protestante poteva sussistere quasi soltanto la ritrattistica. Molti mercanti facoltosi volevano tramandare le loro sembianze ai posteri, molti degni borghesi, eletti borgomastri o consiglieri, volevano venir rappresentati con le insegne del loro grado. Nella vita delle città olandesi esistevano molti comitati locali e consigli di amministrazione di notevole importanza, che seguivano il lodevole costume di farsi fare il ritratto di gruppo da appendere nelle sale in cui l'eletta compagnia si riuniva.Il primo eminente maestro della libera Olanda, Frans Hals (1580-1666), fu così costretto a condurre una precaria esistenza. Apparteneva alla stessa generazione di Rubens; i suoi genitori avevano abbbandonato le Fiandre perché protestanti, stabilendosi nella propria città olandese di Haarlem. In vecchiaia (superò l'ottantina), gli venne accordato un misero sussidio dall'ospizio municipale, al cui consiglio d'amministrazione fece un ritratto collettivo.
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Frans Hals. Banchetto degli ufficiali della Compagnia militare di San Giorgio. 1616
La figura, che rappresenta un'opera che si situa press'a poco all'inizio della carriera artistica di Frans Hals, mostra il piglio e l'originalità con cui egli intraprendeva questo tipo di lavori. I cittadini delle orgogliose e indipendenti città dei Paesi Bassi dovevano prestare un servizio militare solitamente al comando dei borghesi più abbienti. Era tradizione, onorare gl ufficiali di tali milizie, una volta che questi avessero adempiuto il loro dovere, con un sontuoso banchetto, e divenne costume immortalere queste feste in grandi quadri. Hals, fin dalle sue prime opere, seppe rendere lo spirito della festosa occasione e fu in grado di conferire vivacità a un gruppo così cerimoniale pur senza trascurare l'obiettivo di raffigurare ognuno dei dodici membri presenti, e lo fece in modo così convincente che ci sembra di averli conosciuti di persona: dall'imponente colonnello che siede a capotavola alzando il suo bicchiere fino al givane portainsegne sul lato opposto. Possiamo apprezzare ancora di più la sua maestria quando osserviamo uno dei magnifici ritratti che peraltro fruttarono così poco a Hals e alla sua famiglia.
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Frans Hals. Pieter van der Broecke. 1633
A paragone dei ritratti anteriori sembra quasi un'istantanea. A paragone dei ritratti anteriori sembra quasi un'istantanea, Ci par di conoscere questo Pieter van den Broecke, un vero capitano d'industria secentesco. fissandolo per sempre sulla tela. Il modo stesso in cui Hals maneggia il pennello e tratta i colori ci fa capire come egli abbia còlto al volo un momento fuggevole. I ritratti anteriori sono dipinnti con visibile pazienza e, a volte, sentiamo che il modello deve aver posato a più riprese mentre il pittore aggiungeva un particolare all'altro. Ma Hals non voleva che il modello fosse stanco o annoiato. Ci par di vedere la sua pennellata rapida e abile evocare un'immagine di capelli arruffati o una manica spiegazzata, con ppochi tocchi di colore scuro o chiaro. Certo l'impressione di Hals ci dà (uno sguardo di sfuggita capace di cogliere uno stato d'animo o un movimento caaratteristico) non avrebbe mai potuto essere raggiunta senza uno sforzo ben calcolato. Il ritratto, per quanto non sia simmetrico come spesso lo erano quelli anteriori, non è affatto sbilenco. Hals sapeva ottenere un effetto equilibrato senza seguire apparentemente alcuna regola. I pittori dell'Olanda protrestante, per il ritratto, a differenza dei maestri medievalie rinascimentali, dovevano prima dipingere i loro quadri e poi tentare di trovare il compratore. Ma era una libertà conquistata a caro prezzo. Infatti, l'artista doveva affrontare un padrone ancora più tinnico: il pubblico degli acquirenti. O andava a vendere i suuoi lavori nei mercati e nelle fiere, o doveva affidarsi a intermediari, a mercanti di quadri che lo esoneravano da quel fastidio ma volevano comprare a prezzi bassissimi per poter rivendere con profitto. Inoltre la concorrenza si faceva serrata, e l'unica opportunità che i maestri monori avessero di farsi un nome consisteva nella specializzazione in un certo ramo o genere di pittura. Allora, come oggi, il pubblico voleva rendersi conto di ciò che comprava. Così avvenne che le tendenze alla specializzazione, cominciata nei paesi nordici del Cinqueccento, giunse a estreme conseguenze nel Seicento. Alcuni dei pittori più mediocri si accontentarono di sfornare l'uno dopo l'altro quadri dello stesso genere. Ed è vero che, così facendo, portarono talvolta il loro mestiere a un punto di perfezione che non si può non ammirare, diventando veri e propri specialisti. I pittori di pesci sapevano rendere il guizzo argentato delle scaglie umide con un virtuosismo che molti maestri di fama universale potrebbero individuare; e i pittori di marine divennero non solo abilissimi nel dipingere nuvole e onde, ma così esperti nella descrizione delle navi con tutte le loro attrezzature particolari che certi quadri sono considerati oggi documenti di valore storico sul periodo dell'espansione anglo-olandese sui mari.
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Simon de Vlieger. Nave da guerra olandese e altri vascelli nella brezza. 1640-1645
Alla figura, il quadro di uno dei più vecchi specialisti di marine, Simon de Vlìeger (1601-1653), ci mostra come questi artisti olandesi riuscissero a esprimere l'atmosfera del mare con mezzi mirabilmente semplici e modesti. Furono i primi nella storia dell'arte a scoprire la bellezza del cielo. Bastava un frammento della realtà così come essa appariva ai loro occhi, e ne traevano un quadro non meno interessante dell'illustrazione di un racconto eroico o di un soggetto comico. Uno dei primi fra questi scopritori fu Jan van Goyen (1596-1656) dell'Aja, press'a poco della stessa generazione del paesaggista Claude Lorrain. E' interessane paragonare uno dei famosi paesaggi di Lorrain, la visione nostalgica di una terra di serena bellezza, con la semplice e schietta pittura di Van Goyen.
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Jan van Goyen. Mulino sul fiume. 1642
Invece di templi solenni, l'olandese dipinge un familiare mulino a vento; invece di seducenti radure, un monotono tratto della sua terra. Ma Van Goyen sa trasformare questa scena banale in una visione di riposante bellezza. Trasfigura i motivi più noti e spinge il nostro sguardo in una loontananza nebulosa, dandoci l'impressione di essere nel luogo ideale per godere la luce vespertina. Sappiamo come le invenzioni di Claude affascinassero la fantasia degli ammiratori inglesi. Un paesaggio o un giardino che richiamassero alla loro menta Claude, lo definivano "pittoresco", simile cioè a una pittura. Ci siamo in seguito abituati a usare questa parola per designare non solo castelli in rovina e tramonti ma anche semplici cose come barche a vela e mulini a vento e, lo facciamo perché questi motivi ci ricordano non le pitture di Claude, bensì quelle di maestri come Vlieger e Van Goyen. Sono stati loro a vedere il "pittoresco" in una semplice scena. Il più grande pittore d'Olanda, fu Rembrandt Rijn (1606-1669), appartenente alla generzione successiva di Frans Hals e Rubens, di sette anni più giovane di Van Dyck e di Velàzquez. Sentiamo di conoscere Rembrabdt più intimamente degli altri grandi maestri poiché egli ci ha lasciato una mirabile testimonianza della sua vita: una serie di autoritratti che vanno dai tempi della giovinezza, quando era un maestro alla moda, coronato dal successo, fino alla vecchiaia solitaria che il volto che traduce il dramma del fallimento ed esprime la volontà indomta di un uomo veramente grande. Sono autoritratti che compongono un'incomparabile autobiografia, Rembrandt nacque nel 1606, figlio di un facoltoso mugnaio della città unversitaria di Leida. Si iscrisse all'univeristà, ma presto abbandonò gli studi per diventare pittore.Alcuni dei suoi primi lavori vennero grandemente lodati dai dotti contemporanei, e a venticinque anni egli lasciò Leida per il popoloso centro commerciale di Amsterdam. Fece una rapida carriera come ritrattista, sposò una ragazza ricca, comprò una casa, collezionò opere d'arte e rarità lavorando senza posa. Quando, nel 1642, morì la prima moglie, egli ne ereditò il conssiderevole patrimonio, ma la sua popolarità andò declinando, si indebitò e quattordici anni dopo i creditori vendettero la sua casa e misero all'asta la sua collezione. Solo l'aiuto della seconda moglie e del figlio lo salvò dalla completa rovina. D'accordo con essi egli entrò ufficialmente come impiegato nella loro ditta per il commercio degli oggetti d'arte, e così creò gli ultimi capolavori. Ma i suoi due fedeli compagni gli premorirono e quando anch'egli si spense nel 1669 non lasciò altre eredità che qualche vecchio vestito e gli strumenti del mestiere.
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Rembrandt. Autoritratto 1655-1658
La figura mostra il volto  di Rembrandt negli ultimi anni. Si osservava allo specchio con assoluta sincerità. ed è per tale sncerità che tralasciamo di portare in causa la sua bellezza o il suoo aspetto. E' il volto di un vero essere umano. Non v'è traccia di posa o vanità: c'è solo lo sguardo penetrante del pittore che scruta le proprie fattezze, pronto sempre a imparare qualcosa di nuovo intorno ai segreti del volto umano. Senza questa profonda comprensione Rembrandt non avrebbe potuto creare i suoi grandi ritratti, come per esempio quello del suo protettore e amico Jan Six, che divenne in seguito borgomastro di Amsterdam.
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Rembrandt. Jan Six. 1654
Rembrandt pare sempre che ci mostri la persona nel suo complesso. Come Hals, egli simcompiaceva del proprio virtuosismo, dell'abilità con cui riusciva a rendere il luccichio dell'oro e il gioco della luce sul colletto. Rivendicava il diritto dell'artista di dichiarare che un quadro era finito "quando aveva raggiuntto lo scopo" e così lasciò la mano nel guanto appena abozzata. Ci pare di conoscere quest'uomo. Abbiamo visto altri ritratti di grandi maestri, memorabili per il modo in cui esprimono il carattere di una persona e la sua carica. Ci convincono  ci restano impressi, ma sentiamo che rappresentano solo un aspetto del complesso essere umano. Nei ritratti di Rembrandt, ci sentiamo di fronte a veri e propri esseri umani, ne percepiamo il calore, il bisogno di affetto e anche la soiltudine e le sofferenze. Quegli occhi sagaci, attenti dei suoi autoritratti sembrano mettere il cuore a nudo. Rembrandt pareva possedere ciò che i greci chiamavano il "lavorio dell'anima". Come Shakespeare, sembra essere penetrato nella più segreta intimità di ogni tipo umano, arrivando a intuire il comportamento di ognuno nelle più diverse situazioni. E' questo dono che rende le sue illustraziioni bibliche così diverse da tutto quuanto era stato fatto prima di lui. Protestante devoto, Rembrandt dovette leggere e rileggere la Bibbia. Penetrò nello spirito degli episodi e tentò di immaginarseli come dovevano essere apparsi e come i personaggi dovevano essersi mossi e atteggiati. In un disegno in cui Rembrandt illustrò la parabola del servo malvagio, vediamo il padrone il giorno del rendiconto, e vicino a lui il contabile intento a controllare i debiti su un grosso libro mastro. Dal contegno del servitore comprendiamo che non può pagare: ha la testa bassa e la mano che fruga disperatamente in fondo alla tasca. Per esprimere il rapporto che legs fra loro questi tre personaggi, l'indaffarato contabile, il padrone dignitoso, il servo colpevole, bastano pochi tratti di penna.
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Rembrandt. Riconciliazione di Davide e Assalonne. 1642
Non è mai retorico, la figura mostra uno dei suoi quadri di argomento biblico, un episodio che in precedenza non era stato quasi mai rappresentato: la riconciliazione fra re Davide e il figlio malvagio, Assalonne. Leggendo l'Antico Testamento e tentando di raffigurarsi re e patriarchi di Terra Santa, Rembrandt pensava agli orientali che aveva avuto occasione di vedere nel ricco porto di Amsterdam. Ecco perché vestì Davide come un indiano o un turco, con un gran turbante, e diede ad Assalonne una ricurva spada orientale. Il suo occhio di pittore fu attratto dallo splendore di quei costumi e dall'opportunità  che essi gli offrivano di mostrare il gioco della luce sul tessuto prezioso, e lo scintillio dell'oro e dei gioielli. Rembrandt fu maestro quanto Rubens o Velàzquez nel rendere la brillante preziosità delle superfici. A una prima occhiata molte sue pitture sembrano tutte di una tonalità marrone cupo, sono proprio i toni scuri a far risaltare con maggior forza, per contrasto, alcuni colori accesi e splendenti. Però Rembrandt non usò mai cime fine a sé stessi questi affascinanti effetti di luce e ombra, ma se ne servì sempre per accentuare la drammaticità della scena. Cosa poteva riuscire più commovente del gesto del giovanne principe, nel suo superbo abbigliamento, che affonda il viso nel petto del padre, o di re Davide che accetta con tranquilla mestizia la sottomissione del figlio?  Anche senza vedere il volto di Assalonne sentiamo ciò che egli deve provare. Rembrandt non fu solo grande pittore ma anche incisore. La sua tecnica era l'acquaforte, che gli consentiva un lavoro più sciolto e rapido di quello a bulino. Invece di scalfire faticosamente la superficie della lastra di rame, l'artista la ricopre con cera e disegnandovi sopra con un ago, apporta la cera e mette a nudo il rame. Basterà poi chhe immerga la lastra in un acido che corroda il rame là dove è stata tolta la cera e il disegno si trasferirà sulla lastra, che potrà venire usata per la stampa come un'incisione. L'unico modo per distinguere un'acquaforte da un'incisione sta nell'esame delle linee.
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Rembrandt. Predica di Cristo. 1652
La figura mostra una delle acqueforti di Rembrandt, un'altra scena biblica. Cristo sta predicando, i poveri e gli umili si sono raccolti attorno a lui per ascoltare. Questa volta Rembrandt ha cercato i modelli nella sua città. Aveva vissuto a lungo nel quartiere ebraico di Amsterdam, studiando l'aspetto e i vestiti degli ebrei per poterli introdurre nelle storie sacre. Eccoli seduti o in piedi, accalcandosi, intenti gli uni a raccogliere, rapiti, la parola divina, che gli altri a meditarne il significato, mentre altri ancora, come l'uomo grasso dietro Gesù, sono scandalizzati dai suoi attacchi contro i farisei. Come altri artisti del suo tempo, Rembrandt aveva assimilato il messaggio di Caravaggio, di cui aveva consciuto l'opera tramite gli imitatori olandesi. Come Caravaggio, più della bellezza e dell'armonia egli apprezzava la verità e la sincerità. Cristo aveva predicato ai poveri; agli affamti e agli afflitti: la povertà, la fame e le lacrime non sono belle. Certo tutto dipende da ciò che si intende per bello. Un bambino spesso trova più bello delle fattezze di una diva dello schermo il volto buono e rugoso della nonna. Il macilento vecchio nell'angolo destro dell'acquaforte, accosciato, che tenendo una mano davanti al volto guarda in alto con espressione assorta, è una delle figure più belle che mai siano state disegnate. L'atteggiameno anticonformista di Rembrandt ci fa dimenticare, con quale sapienza e abilità artistica egli disponga i suoi gruppi. Nella potrebbe essere meglio equilibrato della folla che fa cerchio intorno a Gesù pur stando a rispettosa distanza. In questa sua arte di distribuire una folla in gruppi apparentemente casuali eppure perfettamente armoniosi, Rembrandt deve assai alla tradizione dell'arte italiana che egli non sottovalutava affatto. La figura di Renbrandt è tanto importante in tutti i rami dell'arte olandese che nessun altro pittore del'epoca può stargli a confronto. Parecchi seguirono la tradizione dell'arte nordica, riproducendo la vita del popolo in gaie e schiette pitture. Ricordiamo che tale tradizione risale a certe miniature medievali, che venne ripresa da Bruegel, la cui abilità pittorica e la cui conoscenza della natura umana si dispiegano nelle scene vivaci tratte dalla vita rustica. Nel Seicento l'artista che portò alla perfezzione questo filone fu Jan Steen (1626-1679), genero di Jan van Goyen. Steen non riusciva a vivere con i suoi proventi di pittore, e per guadagnare faceva l'oste. Avendo l'opportunità di osservare la gente in baldoria, arricchiva  la sua riserva di tipi comici.
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Jan Steen. Festa per un battesimo. 1664
La figura mostra una gaia scena di vita popolare: un battesimo. Si vede una stanza accogliente: un'alcova con il letto dove è stesa la madre e amici congiunti che si affollano attorno al padre con in braccio il bambino. Vale la pena di osservare i vari tipi e il loro modo di fare festa; ma, una volta esaminati tutti i particolari, non dimentichiamo di ammirare l'abilità con cui l'artista ha fuso nel quadro i vari episodi. Una mirabile creaione pittorica è la figura in primo piano, vista di shiena, i cui allegri coloro hanno un calore e una pastosità difficili da dimenticare se si sono visti nell'originale. Spesso si associa l'arte secentesca olandese all'umore gaio e al gusto di vivere che troviamo nei quadri di Jan Steen. Esistono però in Olanda altri artisti il cui stato d'animo è assai diverso, più vicino a quello di Rembrandt. Il rappresentante più illustre è un altro "specialista", il paesaggista Jacob van Ruisdael (1628-1682). Van Ruisdael aveva circa la stessa età di Jan Steen. Quando divenne adulto erano già famose le opere di Jan van Goyen e anche quelle di Rembrandt, che fatalmente avrebbero influenzato il suo gusto e la scelta dei suoi temi. Durante la prima metà della vita dimorò nella bella città di Haarlem, separata dal mare da una distesa di dune boscose. Egli amò approfondire l'effetto del chiaroscuro sugli alberi di quelle regioni, contorti e flagellati dalle intemperie, e si andò sempre più specializzando in pittoresche scene di bosco. 
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Jacob van Ruisdael. Stagno circondato da alberi. 1665-1670
Diventò un maestro nel dipingere nuvole fosche, la luce vespertina sommersa dalle ombre, castelli siruti e impetuosi ruscelli, fù lui a scoprire la poesia del paesaggio nordico su per giù come Claude Lorrain  aveva scoperto la poesia della natura italiana. Forse nessun artista, prima, si era sforzato come lui di esprimere i propri sentimenti e gli stati d'animo attraverso le immagini di natura. Riflettendosi nell'arte, la natura riflette sempre la mente dell'artista, la sua predilezione; i sui gusti e, quindi, il suo stato d'animo. Questo, rende tanto interessante il ramo più "specializzato" dell'arte olandese, il ramo della natura morta. Le nature morte mostrano in genere belle caraffe piene di vino, e frutta appetitosa, o altre leccornie piacevolmente disposte su bella porcellana. Ma sono qualcosa di più semplici evocazioni delle gioie della tavola: gli artisti erano liberi di scegliere gli oggetti che preferivano dipingere, disponendoli sul desco secondo la loro fantasia: ed ecco che quegli oggetti si tramutavano in un mirabile campo sperimentale per i problemi specifici della pittura. Willem Kalf (1619-1693), amava studiare il modo con cui la luce viene riflessa e rifratta dal vetro colorato. Studiò armonie e contrasti di colori e orditi, tentando di ottenere sempre nuovi accordi fra sontuosi tappeti persiani, splendente porcellana, frutta dall'accesa policromia e metallo lucente
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Willem Kalf. Natura morta con corno per bere della gilda degli arcieri di San Sebastiano, aragosta e bicchieri. 1653
Questi specialisti cominciavano a dimostrare che il soggetto nel quadro è molto meno importante di quanto non sembri. Il pittore di una scena biblica vuole che si capisca la scena perché si apprezzi l'immagine che egli ne ha tratto. Ma come esiste grande musica senza parole, così esiste grande pittura senza un soggetto importante. A questa scoperta si erano inconsciamente avviati gli artisti del Seicento, che avevano intuito la pura bellezza del mondo visibile, gli specialisti olandesi che, passando la vita a dipingere lo stesso genere di soggetto, avevano finito col dimostrare che il soggetto è di secondaria importanza. Il più importante di questi maestri appartenne alla generazione successiva a Rembrandt. Fu Jan Vermeer van Delft (1632-1675), Non fece molti quadri in vita sua, e pochi di essi rappresentano scene importanti. Si tratta di figure semplici nella stanza di una tipica casa olandese. Altri quadri mostrano una figura soltanto, intenta a una semplice occupazione, una donna che versa il latte
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Jan Vermeer. La lattaia. 1660
La pittura "di genere" ha ormai perso con Vermeer l'ultima traccia di bizzarria; le pitture di Vermeer sono vere pitture morte con esseri umani. Ma pochi tra coloro che hanno avuto la fortuna di vedere l'originale potranno negare chhe esso abbia del miracoloso. Uno di questi tratti miracolosi si può, se non spiegare, forse descrivere. E' il modo con cui Vermeer raggiunge una completa e faticosa esattezza nella rappresentazione dei tessuti, dei colori e delle forme senza  che il quadro appaia mai travagliato o duro. Come un fotografo che si sforzi dii ottenere i forti contrasti degli oggetti senza offuscarne le forme, così Vermeer ammorbidì i contorni pur mantenendo l'effetto di solidità e fermezza. I suoi quadri, ci fanno vedere con occhi nuovi la bellezza tranquilla di una scena consueta, comunicandoc l'emozione che l'artista provò mentre osservava come i fotti di luce, entrado dalla finestra, ravvivassero il colore di un panno.
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