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#era già iconica
mynameis-gloria · 2 years
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Con il rumore della pioggia che irrompe nella stanza.
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jazzluca · 2 years
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RAVAGE ( Core ) Movie Studio Series
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La classe Core ( gli ex Basic / Scout /Legends, circa ) esordisce anche nella linea Studio Series, dopo averli visti in Kingdom e nella contemporanea Legacy, per presentare anche qui quei particolari personaggi di scala piccola, oltre alle versioni mignon di quelli normali. E quindi, oltre allo Shockwave del film di Bumblebee, ecco sempre dallo stesso lungometraggio, il buon vecchio RAVAGE, apparso anche lui nelle epocali scene su Cybertron, dove saltava fuori dal torso di Soundwave nella più classica ed emblematica citazione degli omonimi G1.
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Ravage non è nuovo alle apparizioni cinematografiche, che è nota la sua versione monocola e meteoritica di Revenge of the Fallen, e anche lui, nel soft reboot che era lo spin-off su Bumblebee, si ripresenta "retroattivamente" con un look molto classico di pantera robotica, graziata da dettagli e parti argento come nelle zampe e inediti tocchi di rosso, armato dei suoi iconici cannoni ai lati delle cosce ma anche di una batteria di lanciamissilini dietro il collo.
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Suddette armi nel giocattolo sono accessori a parte, ma sono davvero piccini e si ha il terrore di perderli, onestamente, dato che per trasformarlo bisogna pure riposizionarli. ^^'
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Un ulteriore accessorio è la punta del classico fucile del Memor G1, ed è un "omaggio" al suo padrone Studio Series per poter tramutare il cannone da spalla nell'arma impugnabile iconica del mangiacassette Decepticon, anche se, come già accennato nella recensione di Soundwave, era meglio se fornivano quest'ultimo a prescindere del suo fucile storico.
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Oppure già che c'erano, potevano aggiungerglielo come ulteriore accessorio a Iena stesso, oltre che alla sola punta, dato che il nostro per essere un Core è davvero piccino, e nonostante gli accessori summenzionati, raggiunge appena un terzo di un suo collega di classe normale.
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Ma è anche vero che codesto gattone è, ribadiamolo, fedelissimo alla versione CGI e snodatissimo, con 3 snodi  per zampa in quelle anteriori e 4 nelle posteriori, coda  pure mobile, così come la testa si alza ed abbassa, e pure le fauci si spalancano.
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Gran parte delle articolazioni, così come nell'originale e nei suoi omonimi successivi, servono per la TRASFORMAZIONE, cui bisogna prima però, come accennavo sopra, togliere i vari accessori ( ah, quasi dimenticavo, la punta del fucile di Soundwave può sistemarsi sotto il petto del felino robot ), facendo così rannicchiare il gattone con tanto di bacino che si ripiega verso l'interno, e la batteria di missili che va a nascondersi nel foro sul petto, così come alla fine di questo raggomitolamento pure i laser gemelli si sistemano negli appositi fori spuntati nel retro.
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E tutto questo perchè il nostro Ravage diventi... un CUBO! Anzi no più un solido rettangolare che serve semplicemente per potersi infilare nell'apposito vano del petto di Soundwave, come nella succitata scena del film che cita, ribadiamolo, ciò che facevano gli omonimi G1.
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Sì ma, e poi? E poi niente! ^^'
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Ravage diventa solo uno scatolone che si nasconde nel vano del petto di Soundwave, e che potrebbe essere QUALSIASI cosa, nel mondo alieno cybertroniano, ma non viene specificato se sia un qualche aggeggio di spionaggio o legato alle comunicazioni ( una "cassetta cubica" la definiscono nella tfwiki, per dire... ); vedendo dalle foto promozionali la punta del fucile di Memor, mi ero illuso che avesse una modalità di arma Targetmaster, almeno, e invece ero stato troppo ottimista!! ^^'
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E non ci voleva tanto a farla, credo, sta modalità Targetmaster, dato che sarebbe bastato rendere la coda un po' più simile ad una presa da 5mm classica e sistemare un foro per la suddetta punta argentata; volendo si riesce ad ottenere una pistola TM, abbastanza abbozzata, ma la coda come impugnatura non è molto per la quale, sopratutto nelle mani semi aperte di Soundwave SS. :- /
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Insomma, dopo il deludente alt mode di quest'ultimo, non si sono pensati di riscattarsi un po' con quello del suo scagnozzo, e questo Ravage svolge il suo compito senza guizzi, anche se almeno è lodevole che gli accessori piccoli riescano a stare nel cubo anche dentro il petto di Memor.
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Ma sebbene sia piccolo anche come Core, questo Ravage è davvero fedelissimo alla versione cinematografica e ben fatto, a patto sempre di pagarlo almeno il giusto prezzo della sua classe, coi prezzi già alzatisi un po' troppo, essendo contemporaneamente non indispensabile ma comunque essenziale da accoppiare col Soundwave del film di Bee.
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demonecelestiale · 1 year
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eh no spiace Annalisa ha già fatto la cover di America nel 2016 e quella era iconica quindi grazie passiamo al prossimo
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lamilanomagazine · 4 months
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Lombardia, coppa del mondo di sci a Bormio
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Lombardia, coppa del mondo di sci a Bormio "Questa edizione della Coppa del Mondo è la prova generale delle Olimpiadi 2026 e finora è riuscita benissimo: complimenti agli organizzatori". Lo ha detto l'assessore regionale agli Enti locali e Montagna, Massimo Sertori, commentando la prima giornata della Coppa del mondo di sci in corso a Bormio (SO) sulla pista 'Stelvio'. "Regione Lombardia - ha proseguito Sertori - da anni sostiene la Coppa del Mondo a Bormio, un evento famoso a livello internazionale che dà lustro alla Valtellina e a tutta la Lombardia. Supportare questo grande appuntamento fin dall'inizio è stato lungimirante: continueremo a farlo convintamente". All'evento era presente anche il sottosegretario regionale allo Sport e Giovani, Lara Magoni, già campionessa di sci: "Su questa pista ho concluso la mia carriera agonistica in Coppa del Mondo nel 2000: la 'Stelvio' è iconica e merita il palcoscenico olimpico. Bormio è una garanzia: l'organizzazione è eccellente e ancora una volta la Valtellina si dimostra teatro perfetto per i grandi eventi. Le montagne lombarde sono protagoniste degli sport invernali e Regione è concretamente vicina a queste realtà".  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 6 months
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11 nov 2023 20:02
“MALEDETTO IL GIORNO IN CUI INCONTRÒ SCHICCHI” -  ROSANNA, LA MAMMA 82ENNE DI MOANA POZZI: “QUANDO INCONTRÒ LUI ENTRÒ IN QUEL MONDO ORRIBILE. LE DICEVO DI NON SPOGLIARSI, DI NON FARE QUEI FILM BRUTTI. MA LEI MI DICEVA CHE QUEI FILM NON PIACEVANO NEMMENO A LEI. ERA RELIGIOSA, NON CAPIVO COME POTESSE FARE QUELLE PORCHERIE. BETTINO CRAXI? NON MI PIACEVA. LE CHIEDEVO COME FACESSE A STARE CON QUEL VECCHIACCIO. VEDERE UN SUO FILM? MAI FATTO, MI SENTIREI MALISSIMO” - LE CENERI NASCOSTE, “IL FIGLIO” MAI ESISTITO E...
Estratto dell’articolo di Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera”
«Le ripetevo: “Non spogliarti, non li fare quei brutti film”. Dio sa se ci ho provato a convincerla, non c’è stato santo. “Mammina, non ti arrabbiare, tanto lo so che mi vuoi bene lo stesso. In fondo non piacciono nemmeno a me”. E rideva, aveva denti bellissimi. “Come sei antica. Anche le statue sono nude. Metteresti il reggiseno pure a Paolina Bonaparte”. Litigavamo. Le passava subito. “Quelle parole cattive che ti ho detto, dimenticale, non ne pensavo nemmeno una”.
Impossibile non amarla. [...] Non devo perdonarla di niente, quello spetta solo a nostro Signore».
Rosanna Alloisio, 82 anni, casalinga piemontese, è la madre di Moana Pozzi, iconica diva del porno, morta all’Hôtel-Dieu di Lione il 15 settembre del 1994, a 33 anni, per un tumore al fegato. «I primi tempi mi illudevo che da un momento all’altro mi avrebbe telefonato. Invece no. Sarà andata in un posto migliore, dove spero sia felice».
[...]
Adolescente complicata?
«No, anche se a 16 anni aveva già il corpo da donna, alta un metro e 78, prosperosa, non metteva minigonne o scollature, però attirava i ragazzi. “Oddio”, mi preoccupavo. Ero sola, mio marito, ricercatore nucleare, non c’era mai. Quando andava in balera stavo sveglia finché non rientrava, ma droghe non ne ha mai prese, non fumava e nemmeno beveva».
A 18 andò a vivere a Roma.
«Per studiare recitazione. Noi eravamo di stanza a Bracciano. C’era un alberghetto lì vicino. Vennero a girarci una commedia con Edwige Fenech. Moana passò, la notarono. “Bella come sei, potresti fare del cinema”. Ero contraria. “Prima finisci di studiare”. Cominciò a posare come modella per i pittori. Qualche particina, la tv. Noi sempre in trasferta, ci si vedeva poco o niente. Non so come o dove, un giorno purtroppo incontrò quello Schicchi. Ed entrò in quel mondo orribile. “Perché lo fai? Non ti rendi conto, finirai nel baratro”. Glielo spiegai in tutte le lingue. Però anche la migliore delle madri alla fine si stanca. “Non ti preoccupare, mamma, poi smetto”».
Invece continuò.
«Quando si ficcava in testa qualcosa andava fino in fondo. In paese, non le dico, c’era da vergognarsi a uscire. Nessuno ci mancava di rispetto però, specie per mio padre, era una pena. “Siamo una famiglia per bene, abbiamo sempre camminato a testa alta”. Moana restava zitta».
Felice?
«Non lo so. Con i primi soldi comprò un piccolo appartamento dietro San Pietro, con un terrazzo pieno di fiori. E un attico sulla Cassia, pareva la casa di una principessa. Andavamo a pregare sulla tomba di Papa Roncalli, il suo preferito. Era molto religiosa. Ho ritrovato la sua patente, nella foderina teneva una foto di Giovanni XXIII, una di Pallino, il suo cagnolino bianco, l’immaginetta di Santa Rita da Cascia. In camera da letto due quadri della Via Crucis, Il Cristo deriso e Ecce homo . “Come puoi fare quelle porcherie, allora?”, insistevo. “Sono diversa da come pensi tu. Ma resto sempre la tua Moana”».
L’ha mai guardato un suo film a luci rosse?
«No, per l’amor del cielo, non potrei sopportarlo, mi sentirei malissimo».
Con Bettino Craxi.
«Non erano solo amici. Lui non mi piaceva. “Come fai a stare con quel vecchiaccio?”. “È intelligente, gentile, si prende cura di me”. “Ti credo”, pensavo. Cercava la figura paterna che non ha avuto. Per mio marito io e le figlie eravamo soltanto una scocciatura, questa è la verità. Una volta Moana tornò a casa con una maglietta da uomo, enorme. “Me l’ha lasciata Bettino”. “Oddio, sembra quella di un ippopotamo”. “Dai, mamma, cosa importa?”. Lui diventò geloso, lei frequentava altri. Si sono lasciati».
Da ragazza ha avuto un figlio, Simone, che per anni fu creduto suo fratello.
«Non era suo figlio. Non ne ha mai voluti. “Si vergognerebbero di me”. Non è nemmeno mio, ma è come se lo fosse, sopravvivo per lui».
Eppure fu Simone a raccontarlo in un libro.
«Consigliato da una cattiva fidanzata che lo convinse a cercare pubblicità. Ma è un ragazzo d’oro, se n’è pentito».
A un certo punto Moana sposò Antonio Di Ciesco.
«Sedicente marito. Matrimonio a Las Vegas, con una pergamena a fiorellini. Un nullafacente, le faceva da autista. Si strafogava di ostriche con i soldi di mia figlia. Ha aspettato che morisse per registrarlo, lei lo avrebbe ucciso. Sul certificato di morte c’era scritto “nubile”».
La malattia.
«Era quasi Pasqua. Moana tornò a casa. Mi chiedeva sempre di prepararle i ravioli di carne e la cima alla genovese in brodo. “Mettici tanta maggiorana”. Quella volta però non toccò cibo. “Sono due mesi che ho sempre la nausea, se mangio vomito, mi sale la febbre. Sono stata in Africa, forse ho preso un virus”. Aveva gli occhi un po’ gialli. I dottori dicevano che era un’epatite mal curata. La convinsi a fare qualche accertamento a Lione con un medico nostro amico. Le hanno trovato il tumore al fegato. Però era fiduciosa. “Vedrai, mi curo e guarisco”. Voleva vivere. In sette mesi se n’è andata».
Gli ultimi giorni con lei.
«Quanto ha sofferto, ma era una leonessa. Aveva ripreso peso. Nel letto d’ospedale, mi mostrò le gambe. “Sono tornate com’erano”. Due giorni prima di morire mi chiese di toglierle lo smalto alle mani, per metterne uno trasparente. “Ai piedi lasciami quello fucsia”. Con l’aiuto di un’infermiera si lavò i capelli, con tubi e flebo attaccati. Parlavamo, ridevamo, ero convinta che si riprendesse. “Appena esco ci trasferiamo in campagna e apro una libreria”. Quando è morta era serena, ancora bella, le ciglia lunghissime. “Non metto nemmeno il mascara”. Sembrava che dormisse».
 Voleva essere cremata.
«Al cimitero non c’è, ho ritirato io le ceneri, ma dove sono non lo dirò a nessuno».
Chi era davvero Moana?
«Una ragazza fuori dal comune, un enigma. Faceva del bene pure ai sassi. Leggeva tanto, amava i classici, poi non so cosa è successo. Ancora oggi mi chiedo dove ho sbagliato, me ne faccio una colpa. Il parroco dice che non devo, che è così che era scritto in cielo. L’ho sognata soltanto una volta. Vestita di bianco, con una borsetta d’argento, scalza. “Sei senza scarpe”. “Dove sto andando non servono, è un bel posto, si sta bene”. E mi ha sorriso».
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carmenvicinanza · 6 months
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Mahalia Jackson
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Non riesco a capire perché quando sono sul palco o in uno studio televisivo e sto lavorando con dei bianchi, tutti non fanno che abbracciarmi e dirmi che sono fantastica, eccetera. Quando poi cammino per la strada come una persona qualunque, nessuno mi riconosce. E giù al Sud, quando entro in un grande magazzino, non posso nemmeno comprare un sandwich e una bibita gassata. O a chiamare un taxi. Eppure sono sempre la stessa Mahalia Jackson che tutti quanti continuano a definire meravigliosa e fantastica. Perché c’è chi si comporta in questo modo? Non capisco. Insomma, la mia gente merita rispetto. Sentire un bianco che dice «figliolo» al tuo compagno, a tuo marito o a tuo fratello fa veramente schifo. È una mancanza di rispetto. Tutti sono esseri umani allo stesso modo. Trattare gli altri in questa maniera è segno della più bieca ignoranza.
Mahalia Jackson, la Regina del Gospel, è stata una delle più grandi protagoniste della musica del ventesimo secolo.
Ha vinto tre Grammy Awards e alcuni suoi brani sono stati inseriti nella Grammy Hall of Fame.
Dotata di una voce dallo stile inconfondibile e dal forte impatto emotivo, aveva un timbro possente e una grande estensione oltre a notevoli capacità interpretative che riuscivano a commuovere chi la ascoltava. 
Ha incarnato il gospel moderno come espressione di un puro slancio liberatorio, di una schietta, incontaminata devozione al divino combinata a una letizia tutta terrena e palpabile. 
Il suo contralto di straordinaria vastità, tonante di elegante irruenza, insieme sacrale e sanguigno, ha riassunto tensioni e emozioni, fantasia, dolore e speranze dell’esperienza afro-americana del Novecento. Echeggiava i blues di Bessie Smith ma anche il primo jazz di Storyville, pulsava dei ritmi danzanti della second line delle parate di New Orleans, disegnando le più assorte e ariose melodie degli inni tradizionali. Era a suo agio accompagnata dal piano scabro e percussivo di un’umile chiesa pentecostale, come nella policroma coralità orchestrale di Duke Ellington.
Iconica attivista del movimento per i diritti civili, si è esibita alla Marcia su Washington il 28 agosto 1963. 
Nacque col nome di Mahala Jackson il 26 ottobre 1911, a New Orleans, in una famiglia povera e molto devota, che viveva in una baracca. Aveva solo cinque anni quando venne affidata alle cure di una zia perché sua madre, Charity Clark, era morta.
Già a quattro anni cantava nel coro giovanile della chiesa del padre, John Jackson scaricatore di porto, barbiere e pastore Battista.
Arrivata a Chicago da adolescente, sull’onda del portentoso flusso migratorio dal Meridione al Nord industriale, il suo talento ha preso forma e la sua arte ha acquistato gradualmente risonanza e prestigio. Nella metropoli, definita il Vaticano del gospel, la sua voce imponente e dinamica, ha contribuito a illustrare, per le congregazioni battiste degli anni Trenta, l’innovativo e ispirato repertorio del suo mentore Thomas A. Dorsey, grande pianista e compositore che veniva  dal blues, e a gettare le basi per l’affermazione del gospel moderno e della nuova vocalità religiosa afro-statunitense.
Dopo aver svolto tanti lavori e cantato in vari cori religiosi, il suo primo brano da solista, Oh My Lord, è uscito nel 1937. 
Il disco che l’ha fatta conoscere al grande pubblico,  Move On Up A Little Higher, inciso nel 1947 per l’Apollo Records, è stato il singolo di gospel più venduto della storia. Sull’onda di questo strepitoso successo ha iniziato a entrare nei più celebri studi televisivi e fatto tour in giro per il mondo.
Nel 1954 ha anche condotto un programma evangelico sulla CBS TV.
In seguito alla sua memorabile esibizione al Newport Jazz Festival è stato tratto Mahalia Jackson: Live at Newport – Columbia 1958 il suo album di maggior successo commerciale.
Negli anni sessanta è stata in prima linea nel movimento per i diritti civili dei neri d’America. Alla marcia su Washington, si è esibita con I’ve Been ‘Buked and I’ve Been Scorned, davanti a 250.000 persone. Cinque anni dopo, ai funerali di Martin Luther King, ha cantato Take My Hand, Precious Lord e scoraggiata, ha abbandonato l’impegno attivo nel movimento.
Dopo essere stata più volte ricoverata per diversi problemi di salute, ha tenuto il suo ultimo concerto nel 1971 a Monaco, in Germania. È morta di infarto il 27 gennaio 1972 a Chicago.
Al suo servizio funebre, davanti a 50.000 persone, Aretha Franklin  le ha dedicato Take My Hand, Precious Lord.
Nel 1993, la città di New Orleans le ha intitolato il teatro situato all’interno del Louis Armstrong Park, ribattezzato “Mahalia Jackson Theater for the Performing Arts”.
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atomheartmagazine · 7 months
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Nuovo post su Atom Heart Magazine
Nuovo post pubblicato su https://www.atomheartmagazine.com/the-crew-motorfest-recensione/
The Crew Motorfest: una nuova tappa per la serie
The Crew Motorfest rappresenta una svolta significativa per la serie. Le influenze di Forza Horizon si sentono in maniera marcata e nel contempo sembra allontanarsi dai tratti distintivi che hanno reso celebre la serie durante gli anni.
Modello di guida rivisto e aggiornato, location incantevoli e tantissimi contenuti. Basterà per renderlo un “must have” tra i titoli di guida? Scopriamolo insieme.
Fin dal primo secondo di gioco di The Crew Motorfest, la sensazione di déjà-vu con il già citato Forza Horizon è persistente. Gli scenari e le presentazioni delle gare sono un chiaro rimando all’ormai iconica serie sviluppata da Playground Games.
La prima critica possiamo e dobbiamo muoverla al sistema di progressione. Avremo infatti davvero poche occasioni per utilizzare la nostra vettura, in quanto in quasi tutte le playlist verrà fornito un veicolo in prestito per poter gareggiare, venendo quindi a mancare l’utilità di migliorare il proprio con l’avanzamento della storia.
Altra nota dolente è senza dubbio il sistema di microtransazioni davvero troppo marcato. Motorfest ci farà notare in maniera persistente che possiamo acquistare qualsiasi cosa con valuta reale. 
The Crew Motorfest: mappa di gioco e playlist
La mappa di gioco è molto più piccola rispetto ai precedenti capitoli. Basti pensare che in The Crew Motorfest potremmo girare tutta l’isola hawaiiana di O’ahu in poco più di 15 minuti, contro i circa 60 minuti del predecessore.
Tuttavia, gli sviluppatori sono riusciti a utilizzare meno spazio, ma in modo davvero egregio. Sia per quanto riguarda la semplice estetica, sia – cosa forse più importante – per ciò che concerne la quantità di contenuti offerti e la loro qualità, utilizzando O’ahu come una tela su cui dipingere avventure e relative sensazioni.
Ogni playlist di The Crew Motorfest, rigorosamente a tema, ha infatti le sue peculiarità. Potremmo sbizzarrirci tra tipi di veicoli e stili di guida differenti. Anche i temi sono ben curati.  Avremo la possibilità di tuffarci nella playlist Made in Japan, che ci trasporterà tra ciliegi in fiore e luci al neon, oppure scegliere la storia della 911 sfruttando diverse generazioni dell’iconica Porsche che Motorfest ci metterà a disposizione.
Troveremo quindi moltissime modalità di gioco: dalle classiche gare checkpoint, alle sfide di drift, testa a testa e drag race. Non mancheranno le corse in stile Formula 1, le scorazzate in moto e quad, e potremo persino divertirci in gare acquatiche e aeree (anche se, in verità, la loro presenza è stata oltremodo ridotta rispetto a The Crew 2). Anche online troveremo pane per i nostri denti, tra Grand Race e Demolition Royale.
Proprio nel comparto online, la novità è l’introduzione di un hub social per incontrarsi con altri giocatori, stringere amicizie e votare le creazioni della community. Attualmente sembra essere un po’ “embrionale”, ma sempre utile per riposare la testa tra una gara e l’altra.
Recensione del gameplay
The Crew Motorfest presenta notevoli miglioramenti nel gameplay rispetto al passato. In The Crew 2 il feeling della guida era davvero deludente: andando in sottosterzo in curva, si staccava il retrotreno e ci ritrovavamo a derapare in maniera innaturale (e molto fantasiosa). In Moterfest, avremo finalmente un miglior senso del peso e una perdita progressiva di trazione. Per intenderci, sentiremo esattamente dov’è il bilanciamento della macchina mentre stiamo affrontando una curva, e potremo di conseguenza controbilanciare in modo più intuitivo per mantenerla in direzione.
In caso di incidente, è stata introdotta anche la funzione “rewind,” che consente di riavvolgere gli ultimi quattordici secondi di gioco. Inoltre, i tracciati sono progettati per essere privi di ostacoli contro cui collidere e presentano barriere laterali in curva per evitare che alcuni scivolamenti eccessivi rendano impossibile prendere il checkpoint.
Sarà ovviamente possibile personalizzare l’esperienza di guida in base alle nostre preferenze: indicatori della traiettoria, cambio automatico e svariate assistenze elettroniche che possono renderla più accessibile o più impegnativa a seconda delle scelte.
Ok, finché siamo su quattro ruote tutto molto bello. Per quanto riguarda vetture acquatiche e aeree, invece, siamo alle solite: il modello di guida è abbastanza superficiale e, a tratti, potremmo definirlo snervante. Anche sulle moto, lo stile di guida appare troppo semplificato, togliendo quasi tutto il divertimento.
Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale degli avversari, punto spesso dolente per molti titoli del settore, viene fuori qualche limite di troppo anche qui.
Conclusioni
The Crew Motorfest è una svolta quasi totale per Ubisoft e per la serie stessa. La mappa è più piccola rispetto al solito, ma davvero ben strutturata e graficamente impattante (non ci aspettavamo altro, del resto). Il modello di guida è stato rivisto e risulta più coinvolgente. Tuttavia, le troppe similitudini con Forza Horizon portano il titolo a smarrire la sua identità. Scelta coraggiosa quella di citarlo così apertamente come a volergli lanciare il guanto di sfida? Può darsi. Al momento, però, il titolo non ha la forza di reggere un tale confronto e finisce col sembrare semplicemente una copia accattivante del rivale.
Voto: 7-
Acquista The Crew Motorfest al prezzo migliore
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The Nun II
1956 - Francia. Un prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo. Il sequel del film campione d'incassi segue le vicende di Suor Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora demoniaca. The Nun II è 3° in classifica al Box Office, ieri ha incassato € 160.608,00 e registrato 20.874 presenze.
Regia di Michael Chaves. Un film con Taissa Farmiga, Jonas Bloquet, Storm Reid, Anna Popplewell, Bonnie Aarons. Cast completo Genere Horror, Thriller, - USA, 2023, durata 110 minuti. Uscita cinema mercoledì 6 settembre 2023 distribuito da Warner Bros Italia.
Tarascon, Francia, 1956. Un sacerdote trova la morte in circostanze terribili e misteriose all'interno della sua chiesa davanti agli occhi del suo chierichetto. Suor Irene, ancora turbata dalla lotta contro il demone avvenuta pochi anni prima e raccontata nel primo film della serie, vive adesso serenamente in un convento, ma riceve la visita di un prelato: oltre a quella a Tarascon, ci sono state altre strane morti di preti e suore. È chiaro che il demone è tornato e sta seguendo un suo percorso con un obiettivo sconosciuto. Dato che padre Burke è morto, solo lei può affrontarlo. Benché riluttante, suor Irene si mette in viaggio accompagnata da suor Debra. Scoprirà che nella vicenda è coinvolto Marcel, suo compagno di lotta nel primo film, adesso lavorante in un collegio femminile, e che la mira del demone è puntata su un'antica reliquia che lo renderebbe ancora più potente: gli occhi di Santa Lucia.
Dopo il notevole successo di pubblico del primo film, era probabilmente inevitabile questo seguito.
Il problema è che già il primo film si muoveva su binari di notevole prevedibilità e questo secondo capitolo si limita a fare altrettanto, riservando ben poche sorprese ed esercitandosi su una linea narrativa solida, ma di sin troppo evidente semplicità.
La formula del racconto si basa quasi esclusivamente sulla creazione - molto efficace visivamente, va detto - di un'atmosfera densamente e cupamente macabra e su una programmatica alternanza di attese, silenzi e improvvisi jump scare.
Da un punto di vista meramente spettacolare, la cosa funziona abbastanza, soprattutto quando, nel finale, la lotta entra nel vivo di una furibonda concitazione supportata da un consistente tripudio di effetti speciali, ma la mancanza di veri colpi di scena e di sostanza narrativa si fa sentire anche in termini di ripetitività.
Le rappresentazioni delle creature demoniache sono abbastanza generiche e di poca inventiva: resta sempre e comunque valida, peraltro, la figura iconica della suora demoniaca, usata con efficacia e parsimonia.
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Ultimo aggiornamento giovedì 7 settembre 2023
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1956 - Francia. Un prete viene assassinato. Un male si sta diffondendo. Il sequel del film campione d'incassi segue le vicende di Suor Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora demoniaca. The Nun II è 3° in classifica al Box Office, ieri ha incassato € 160.608,00 e registrato 20.874 presenze.
Regia di Michael Chaves. Un film con Taissa Farmiga, Jonas Bloquet, Storm Reid, Anna Popplewell, Bonnie Aarons. Cast completo Genere Horror, Thriller, - USA, 2023, durata 110 minuti. Uscita cinema mercoledì 6 settembre 2023 distribuito da Warner Bros Italia.
Tarascon, Francia, 1956. Un sacerdote trova la morte in circostanze terribili e misteriose all'interno della sua chiesa davanti agli occhi del suo chierichetto. Suor Irene, ancora turbata dalla lotta contro il demone avvenuta pochi anni prima e raccontata nel primo film della serie, vive adesso serenamente in un convento, ma riceve la visita di un prelato: oltre a quella a Tarascon, ci sono state altre strane morti di preti e suore. È chiaro che il demone è tornato e sta seguendo un suo percorso con un obiettivo sconosciuto. Dato che padre Burke è morto, solo lei può affrontarlo. Benché riluttante, suor Irene si mette in viaggio accompagnata da suor Debra. Scoprirà che nella vicenda è coinvolto Marcel, suo compagno di lotta nel primo film, adesso lavorante in un collegio femminile, e che la mira del demone è puntata su un'antica reliquia che lo renderebbe ancora più potente: gli occhi di Santa Lucia.
Dopo il notevole successo di pubblico del primo film, era probabilmente inevitabile questo seguito.
Il problema è che già il primo film si muoveva su binari di notevole prevedibilità e questo secondo capitolo si limita a fare altrettanto, riservando ben poche sorprese ed esercitandosi su una linea narrativa solida, ma di sin troppo evidente semplicità.
La formula del racconto si basa quasi esclusivamente sulla creazione - molto efficace visivamente, va detto - di un'atmosfera densamente e cupamente macabra e su una programmatica alternanza di attese, silenzi e improvvisi jump scare.
Da un punto di vista meramente spettacolare, la cosa funziona abbastanza, soprattutto quando, nel finale, la lotta entra nel vivo di una furibonda concitazione supportata da un consistente tripudio di effetti speciali, ma la mancanza di veri colpi di scena e di sostanza narrativa si fa sentire anche in termini di ripetitività.
Le rappresentazioni delle creature demoniache sono abbastanza generiche e di poca inventiva: resta sempre e comunque valida, peraltro, la figura iconica della suora demoniaca, usata con efficacia e parsimonia.
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fotopadova · 1 year
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Marpessa
di Carlo Maccà
--- Marpessa, un nome indimenticabile per chi s’è appassionato della fotografia da ancor prima della fine del secolo (o millennio!) scorso. Marpessa, mannequin di moda, affermatasi come una delle più intriganti fotomodelle da una campagna della Maison Dolce a Gabbana. Dolce e Gabbana, con questa campagna, inopinatamente commissionata a Ferdinado Scianna, ottengono la prima affermazione sulla scena nazionale e internazionale; Ferdinando Scianna, fotogiornalista e socio Magnum, universalmente noto come autore di testimonianze fotografiche fra le più importanti del tempo, con questa commissione assolutamente inaspettata si rivela come il più originale fotografo di moda del momento. e lavorerà prevalentemente in questo settore nei sette anni successivi.
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Dei quattro, la sola già nota nel mondo della moda era lei, Marpessa Hennike, nata ad Amsterdam nel 1964 da madre dei Paesi Bassi e padre proveniente dal Suriname (fino al 1975 colonia col nome di Guiana Olandese). Tuttavia accettò di posare gratuitamente per il catalogo Autunno – Inverno 1987 del duo Dolce e Gabbana, imprenditori principianti assolutamente squattrinati. Anche Scianna accettò per questo servizio e per il successivo catalogo della stagione Primavera – Estate 1988 un compenso puramente simbolico. “Il catalogo ebbe un successo spropositato. Io fui proiettato nel mondo della moda e per sette anni, fino alla saturazione, ho fotografato per le più grandi riviste internazionali. . . . . . Loro, adesso, sono celebri e miliardari . . . .” [1]
Quelle immagini di Marpessa, assieme ad altre colla stesa modella selezionate da servizi per varie riviste o scattate durante le sfilate di moda, nel 1987 sono state raccolte in un lussuoso libro di grande formato (ormai introvabile anche nel mercato antiquario). Molte, di volta in volta riproposte in mostre antologiche di Scianna o in vari suoi libri, si sono da allora radicate nell’immaginario collettivo. [2]
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   Marpessa, in Visti&scritti, 2014.
È qui il caso di sottolineare che molti dei libri di Scianna, indipendentemente dalla loro finalità, hanno una decisa impronta autobiografica, e in molti punti danno la sensazione di “interviste a sé stesso”. Questo aspetto si ritrova per esempio in Visti&scritti: centinaia di trafiletti, da poche righe a una paginetta, ciascuno dei quali accompagna un ritratto, per lo più colto sul vivo, d’un personaggio famoso o d’uno qualunque, d’una persona incontrata per la prima volta o d’un amico della vita. L’approccio figurativo e soprattutto narrativo non cambia per Monica Bellucci o per la moglie d’un minatore di Kami, per Giovanni Paolo II o per Margherita Hack, per Giorgio Armani o Silvio Berlusconi, per Ornella Muti o Henry Cartier Bresson, per Jorge Luis Borges o Marpessa, il nostro soggetto, oppure per i committenti del servizio, Dolce e Gabbana.
Gli scritti di Scianna, anche i più brevi come quelli appena citati, vere e proprie istantanee narrative, raccolti in volumetti o sparsi nei suoi vari libri, illuminano e chiariscono la sostanza della sua opera molto più di qualsiasi altro dotto o appassionato scritto di un commentatore o dì un critico, come quelli che introducono alcune raccolte delle sue fotografie.
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   Da Le forme del caos, 1989, due delle pagine dedicate a Marpessa
Il più succoso in questo ambito è forse è un volumetto poco appariscente del 2011 dal titolo Autoritratto di un fotografo, nel quale Scianna ci fa ripercorrere la propria storia professionale e bibliografica, e nel contempo dimostra che la buona fotografia è un atto interiore prima ancora che tecnico e/o estetico. A fagiolo, la copertina porta proprio la fotografia, divenuta iconica, di Marpessa “ritratta” da un ragazzino di Caltagirone che la inquadra con una scatola di fiammiferi. Quel libriccino, assieme al già citato Visti&scritti, contiene alcune delle pagine più utili a penetrare il segreto del fascino nuovo delle fotografie di Marpessa (che in verità sono “di moda” solo nel loro scopo utilitario). Il buon senso suggerisce di ascoltare direttamente alcune frasi di Scianna, senza cercare di parafrasarle come fanno tutti quelli che non riescono a trovare di meglio. [4]
“Fu un incontro misterioso. Che mai più si è ripetuto con la stessa intensità con altre modelle”. “Attraverso di lei, senza rendermene conto, ho cercato di raccontare l’archeologia del mio sentimento della donna. ….. Era una ragazza bellissima, attraverso la quale ho raccontato il mio rapporto donna - Sicilia“.
“Avevo sempre fatto una grande distinzione fra le fotografie trovate, che erano le mie, e le fotografie fatte, un po’ messe in scena [. . . .] delle quali diffidavo”. Ma “fortissima sorpresa provavo per me stesso, che qualcosa che non avevo mai fatto prima, e che avevo in sospetto, stavo facendo con passione, con felicità”. “Mi accorsi che anche questa minima messa in scena io la trattavo da reporter e in definitiva continuavo a fare le mie fotografie.”
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   Da La geometria e la passione, 2009, due delle pagine dedicate a Marpessa
A un altro libro [5], che Scianna definisce “sul mangiare e sul ruolo fondamentale che ha avuto e ha nella mia memoria e nelle mie esperienze di vita” (e nel quale potrebbero trovare spunti personali almeno quelli che non ingoiano sistematicamente cibi preconfezionati, anche se non legati alla cucina siciliana o degli altri mondi percorsi dal fotografo) ha dato il titolo Ti mangio con gli occhi. Sono convinto, non solo per scherzare, che quel titolo calzerebbe perfettamente al suo lavoro con e su Marpessa: significando che “cogli occhi (o, se si vuole, coll’obiettivo) ti assorbo, ti elaboro, mi nutro interiormente”. Ma forse può spiegare anche tutta l’attività più significativa di Scianna. La buona fotografia non è appunto, come lui dice, un atto interiore?
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   Marpessa, Vanity Fair Italia 2023 N°7, 15 febbraio 2023 p. 70 – 71.
Ci si chiederà perché ripescare questa tematica che i più schizzinosi diranno stranota e banale. Si potrebbe rispondere che, appartenendo al millennio scorso, i suoi insegnamenti meritano di essere riproposti ai figli del digitale, pur considerando che una fotografia selezionata fra una sequenza d’una diecina di scatti al secondo difficilmente possa risolversi in un atto interiore.
Ma in realtà è proprio la modella che ce ne ha offerto prepotentemente l’occasione. Dal 1994 Marpessa Hennink ha abbandonato l’attività che l’aveva resa famosa e ricercata, limitandosi qualche occasionale apparizione per i committenti più affezionati [6] e si è ritirata prima a Ibiza, dove si era attivata ome decoratrice d’interni, [7] e ultimamente ad Amsterdam, sua città natale. Ma, a sorpresa, proprio nei primi giorni di questo Febbraio l’abbiamo ritrovata sfogliando (coerenti col consiglio che abbiamo proposto a chi ama far contenta la compagna e nel contempo tenersi aggiornato sugli andazzi della “fotografia che conta” [8]) un recente numero di Vanity Fair [9]. L’affascinante cinquantottenne che con garbo elegante “interpreta i classici di primavera” in una decina di immagini a piena pagina in bianco e nero e a colori del fotografo britannico Joseph Cardo è proprio “la supermodella Marpessa”.
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   Marpessa, Vanity Fair Italia 2023 N°7, 15 febbraio 2023 p. 78 – 79.
Alcune delle fotografie, particolarmente quelle in bianco e nero e specialmente quelle in esterni, intendono forse ricreare antiche sensazioni. Niente da obiettare sulla qualità fotografica e allo loro efficacia come foto di moda [10]. Qualcosa manca in tutte, però, Che cosa?. Manca proprio l’atto interiore, il “ti mangio con gli occhi”. E di riflesso manca l’offrirsi spontaneo, il mangiami mangiami del cibo fragrante.
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[1] Ferdinando Scianna, Visti&Scritti, Contrasto, 2014 p. 235.
[2] Ferdinando Scianna, Marpessa, un racconto, Leonardo, 1993.
[3] Ferdinando Scianna, Visti&Scritti, Contrasto, 2014 p. 200.
[4] Ferdinando Scianna, Autoritratto di un fotografo, Bruno Mondadori, 2011 pp. 109-117.
[5] Ferdinando Scianna, Ti mangio con gli occhi, Contrasto, 2013.
[6] Per esempio: https://www.alamy.it/model-marpessa-hennink-and-daughter-ariel-present-creations-from-the-dolce-gabbana-autumn-winter-2017-women-collection-during-milans-fashion-week-in-milan-italy-february-26-2017-reuters-alessandro-garofalo-image399993832.html
[7] https://moda.mam-e.it/marpessa/
[8] Dove vanno le fotografie?  Fotopadova.org, luglio 2022. https://www.fotopadova.org/post/689287301307711488
[9] Vanity Fair Italia, 2023 /7
L’intero portfolio, con immagini perfettamente leggibili, può essere visitato in
https://models.com/work/vanity-fair-italia-marpessa-by-joseph-cardo-special-project/1872122
[10] Se si consulta il sito del fotografo (https://www.josephcardo.com/) ci si rende conto che, senza volerne mettere in discussione la statura, il suo registro è completamente opposto a quello di Scianna. In parole povere, trovo deprimenti i soggetti umani che solitamente sceglie di ritrarre, e l’effetto delle immagini è tristezza. Ma sembra che oggi si usi così, tanto che spesso le sfilate di moda viste alla TV somigliano a danze macabre.
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enkeynetwork · 1 year
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jazzluca · 4 months
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DINOBOT SNARL ( Core ) Generations LEGACY EVOLUTION
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Come già successo per Swoop, anche per SNARL si potrebbe gridare preventivamente al miracolo, ultimo Dinobot Core ad uscire per Legacy Evolution e gamba destra del minuscolo Volcanicus.
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Infatti il ROBOT è davvero bello a prima vista, anche meglio del collega Reptilo oserei dire, dato che a livello di proporzioni del corpo è più equilibrato, anche se poi il Dinobot alato lo supera con le articolazioni, esseziali nel piccolo Stego con le sue spalle ed anche su balljoint, ginocchia e gomiti che si piegano e testa e bacino rotanti.
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Anche a livello cromatico però colpisce, con le ali, piedi e scaglie dorate, torso rosso e pugni, testa e parte centrale del petto neri ( qui manca un cacchio di simbolo Autobot, ma vabbè ), con sole cosce lasciate grige anzichè nere, ma pure per lui questo dettaglio non rovina l'estetica generale.
Come accessori Snarl ha la sua spada iconica, unica arma esibita nei cartoni, ed andrebbe contato però pure il pannello sulla schiena, che si trova staccato quando si apre la confezione, ma visto che una volta sistemato non serve staccarlo per la TRASFORMAZIONE in dinosauro, il nostro in questo passaggio non viene per fortuna derubricato a mero "partformer".
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( Anzi no, volendo, dato che ufficiosamente - non è menzionato nelle istruzioni - il pannello sulla schiena si attacca alle braccia divenendo uno decente, facendo il paio poi con la spada come altra arma ^^ )
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Infatti per diventare una bestia preistorica robotica Snarl si ispira al suo omonimo Deluxe e combiner di Power of the Primes, con la testa che ruota di 180° e viene inglobata dalle ali che si chiudono in avanti, mentre le gambe si ripiegano alle ginocchia senza dover ruotare il bacino, ma non prima di aver dispiegato da dentro le due metà del muso del sauro, particolare niente male se si pensa che stiamo parlando di un Core.
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Le braccia infine si ispirano alla trasformazione del Leader SS 86 uscito questo stesso anno, piegandosi semplicemente sui gomiti con gli artigli appena accennati sugli avambracci, ed infatti questa è l'unica nota stonata di uno STEGOSAURO tutto sommato carino e ben fatto, sempre nei limiti della sua classe e della combinabilità, ma decisamente graziato dalla colorazione che col … sedere rosso ed i particolari dorati di scaglie, coda e testa lo fanno risaltare rispetto ai colleghi.
Certo, pure lui pare che stia baciando il pavimento, e le zampine anteriori ( COLORATE, però, eh! ) sono fisse e parte dello stampo delle gambe, ma in queste fa più dispiacere che i fori sulle "spalle" non siano compatibili con gli standard da 5mm delle armi Generations.
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Ed a proposito di armi, la spada non diventa alcuna parte del sauro ma semplicemente si nasconde sotto il ventre, ed anche questo insieme al design in generale è un discreto richiamo al summenzionato Leader Stego Studio Series.
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Dopo tutto queste belle parole, passiamo purtroppo alla nota stonata, ovvero la modalità di GAMBA DESTRA di VOLCANICUS, riaprendo le gambe e richiudendoci dentro la testa del sauro, togliendo ora sì il pannello sulla schiena e aripiegando le gambe su questa, non prima di aver estratto il perno di aggancio però, mentre le braccia si raddrizzano e slittano in avanti come visto anche per Grimlock, con il succitato pannello che va a coprirle.
Se già Tiran come gamba era penoso, pensate mica che Stego si salvi, forse? No, anzi, è pure peggio, dato che è ancora più tozzo visto di lato, così come è pretestuosissimo il "piede" che si ritrova formato dal pannello rosso con le scaglie.
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O forse no, dato che sia Snarl che Grimlock sotto il pube presentano un foro ad H che … magari servirà per agganciarvi dei piedi per il pack di Dinoking??? COOOOSAAAA??? Quindi Volcanicus è volutamente zoppo con le gambe che sembrano dei sacchetti della spazzatura perchè tanto poi magari per il pack del Dinoking ci mettono i suoi bei piedi??? MA STIAMO SCHERZANDO???
O avevano in mente di metterceli e poi li hanno cancellati o davvero ci saranno solo nel pack di Dinoking, ma anche così come gambe sono davvero tozze, e avrebbe avuto più senso se gli arti inferiori dei due robot fossero stati stesi, cosa ufficiosamente possibile, ma che lascia il piccolo gestalt in un equilibrio decisamente precario, senza talloni o punte dei piedi, così come Tiran è leggermente più lungo di Stego! ^^'''
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Davvero un peccato per Volcanicus che viene rovinato da queste gambe tozze e zoppe, ma pure per Snarl cui questa modalità di gamba rovina la media delle altre modalità, sebbene l'idea della coda come ginocchiera non sarebbe male…
Ah, nonostante nelle istruzioni la spada andrebbe messa… davanti al "piede" ( ??? ) per fortuna questa è impugnabile da Volcanicus, anche se risulta uno spadino, ma almeno così il nostro ne ricava un'arma. ^^'
Fa molto strano, quindi, che non siano stati capaci di progettare meglio queste gambe del gestalt, ma il nostro Snarl alla fine può contare su un robot davvero riuscito ed uno stegosauro decente, quindi per i fan del personaggio e dei Dinobot è altamente consigliato, facendo finta magari senza tanto remore di combinarlo, tutt'al più!
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13.10.2021
Alto il rischio di spoiler nel parlarne troppo: dico solo che è un ottimo action (perfettamente calibrato) con puntate azzeccate anche in altri generi.
Tutti gli attori molto bravi, soprattutto Malek, e nulla da dire sotto il punto di vista tecnico: ho apprezzato tantissimo i rimandi alla serie classica (e più di tutti quelli, ovviamente, a "On Her Majesty's Secret Service") e penso sia un ottimo modo, pure se controverso, per chiudere il reboot anche se, secondo me, non il migliore tra i cinque.
Sarà molto interessante capire cosa vorranno fare dal prossimo ma mi fermo qui se no direi troppo.
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"𝕆𝕣𝕓𝕚𝕤 𝕟𝕠𝕟 𝕊𝕦𝕗𝕗𝕚𝕔𝕚𝕥"
"No Time to Die" è il venticinquesimo film della serie 007: la più longeva (59 anni) e lunga della storia del Cinema.
Film tribolato sia in produzione (convincere Craig a interpretare per la quinta volta 007 non fu facile) che nel rilascio (da Aprile 2020 ha subito almeno tre rinvii) ha tutto per essere un evento se non altro perché è la chiusura della serie reboot iniziata con il bellissimo "Casino Royale" nel 2006.
Come sapete sono un fan e per non trovarmi impreparato ho riguardato tutti gli altri ventiquattro film (possiedo il cofanetto): i primi venti a inizio anno perché era stato annunciato per il 21 gennaio (poi spostato e non fatto uscire sulle varie piattaforme perché la produzione ha voluto fortemente che la gente lo vedesse nelle sale) e gli ultimi quattro (la serie reboot) in quest'ultima settimana.
Questo per dirvi che a fine post troverete la consueta classifica che vi dico già potrebbe essere considerata controversa se non altro (ma non solo) per il primo posto occupato da quel capolavoro poco considerato, perché girato con lo sconosciuto Lanzeby, che è "To Her Majesty's Secret Service" ): film che è un unicum (o lo è stato almeno fino al reboot) perché alla fine è una storia d'amore infarcita da coraggio tecnico e autoironia.
Anyway: ci sono molti motivi per i quali la serie è divenuta iconica (le magnifiche sigle e le canzoni d'accompagnamento, la barrelgun sequence, le Bond Girl, i cattivi e i loro sgherri e così via) e molti altri che l'hanno fatta diventare un vero simbolo dei vari cambiamenti di moda, costume, stile e pure cultura (cose che si percepiscono chiaramente tanto che la saga si può dividere in quattro ere distinte).
Oltre ad avere cavalcato brillantemente certi luoghi comuni ( il mondo in pericolo ma spesso pure no, lo smoking sempre impeccabile, i personaggi ricorrenti e quelli stabili come il mitico Desmond Llewelyn e il suo Q, la Walther PPK, etc) ma anche molte difficoltà (le questioni legali all'uso del nome SPECTRE, un paio di produzioni apocrife tipo "Never say Never Again" e il passaggio della EON dalla UA a MGM,...) ma sempre rimanendo piuttosto fedele a se stessa se non in un paio di escursioni "estreme" (come "Die Another Day" e "Licence to Kill" anche se quest'ultimo aveva in Dalton forse il Bond più fedele a quello pensato da Fleming) e altrettante "bizzarre" come il "fantarealismo" di "Moonraker" e il realismo politico del bellissimo "For Your Eyes Only" ma non così l devianti.
Comunque dopo questo lungo preambolo non richiesto ecco la mia classifica aggiornata al 03 ottobre. Enjoy.
In ordine di preferenza personale (la lettera alfabetica indica l'ordine di uscita)
Legenda interpreti di James Bond
*Sean Connery
°George Lanzeby
• Roger Moore
¤ Timothy Dalton
☆ Pierce Brosnan
■ Daniel Craig
F) "To Her Majesty's Secret Service"° ("Agente 007 - Al servizio segreto di Sua Maestà", 1969) di Peter R. Hunt
G) "Diamonds Are Forever"* ("Agente 007 - Una cascata di diamanti", 1971) di Guy Hamilton
U) "Casino Royale"■ ("Casino Royale", 2006) di Martin Campbell
L) "For Your Eyes Only"• ("Solo per i tuoi occhi", 1981) di John Glen
R) "Tomorrow Never Dies"☆ ("Il domani non muore mai", 1997) di Roger Spottiswoode
H) "Live and Let Die"• ("Agente 007 - Vivi e lascia morire", 1973) di Guy Hamilton
B) "From Russia with Love"* ("A 007, dalla Russia con amore", 1963) di Terence Young
W) "Skyfall"■ ("Skyfall" 2012) di Sam Mendes
Q) "GoldenEye" ☆ ("GoldenEye", 1995) di Martin Campbell
T) "Die Another Day" ☆ ("La morte può attendere", 2002) di Lee Tamahori
J) "The Spy Who Loved Me"• ("La spia che mi amava", 1977) di Lewis Gilbert
D) "Thunderball"* ("Agente 007 - Thunderball/Operazione tuono", 1965) di Terence Young
C) "Goldfinger"* ("Agente 007 - Missione Goldfinger", 1964) di Guy Hamilton
S) "The World Is Not Enough" ☆ ("Il mondo non basta", 1999) di Michael Apted
N) "A View to a Kill"• ("007 - Bersaglio mobile", 1985) di John Glen
I) "The Man with the Golden Gun"• ("Agente 007 - L'uomo dalla pistola d'oro", 1974) di Guy Hamilton
X) "Spectre"■ ("Spectre", 2015) di Sam Mendes
V) "Quantum of Solace"■ ("Quantum of Solace", 2008) di Marc Forster
O) "The Living Daylights"¤ ("007 - Zona pericolo", 1987) di John Glen
K) "Moonraker"• ("Moonraker - Operazione spazio", 1979) di Lewis Gilbert
M) "Octopussy"• ("Octopussy - Operazione piovra", 1983) di John Glen
A) "Dr. No"* ("Agente 007 - Licenza di uccidere", 1962) di Terence Young
P) "Licence to Kill" ¤ ("007 - Vendetta privata", 1989) di John Glen
E) "You Only Live Twice"* ("Agente 007 - Si vive solo due volte", 1967) di Lewis Gilbert
Mood: Bondiano
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lamilanomagazine · 6 months
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Milano: apre al pubblico la mostra Leonardo Bistolfi, simbolista visionario.
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Milano: apre al pubblico la mostra Leonardo Bistolfi, simbolista visionario. Da domani 20 ottobre Galleria Silva accoglierà una scelta delle più affascinanti e visionarie opere di uno dei maggiori protagonisti del simbolismo europeo: Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato, 15 marzo 1859 – La Loggia, 3 settembre 1933). La mostra sarà una ricognizione all'interno dell'affascinante e visionario universo espressivo dello scultore piemontese, il cui personalissimo e altamente immaginoso linguaggio plastico ebbe non poche ripercussioni stilistiche tanto in Europa quanto oltreoceano, arrivando a influenzare la coeva statuaria monumentale dell'America centromeridionale (infatti già all'epoca la critica parlava di "bistolfismo" e di scultori "bistolfiani"). Formatosi prima all'Accademia di Brera a Milano e poi all'Albertina di Torino, sotto la guida di Odoardo Tabacchi, dopo un esordio di matrice verista e scapigliata, Bistolfi aprì i propri orizzonti estetico-culturali al simbolismo letterario di matrice franco-fiamminga e alle istanze del decadentismo europeo. Egli si identificava in modo particolare nel concetto di "operaio della Bellezza", seguendo una linea ideologica e spirituale che era, in sostanza, quella tracciata da John Ruskin e William Morris. Opere in mostra Proprio al periodo simbolista, il più rappresentativo e influente della sua intensa carriera, è dedicata l'esposizione di Galleria Silva: un percorso ideale che va da una versione in gesso della testa dell'Alpe per il Monumento a Giovanni Segantini di Saint-Moritz (La Bellezza liberata dalla Materia, 1899-1906), forse la scultura più iconica dell'intera produzione bistolfiana, per approdare al marmo La Volontà o L'Industria (1925 ca.), uno straordinario esemplare proveniente dalla collezione storica di un illustre personaggio, legato a Bistolfi da un antico vincolo amicale, e da essa mai uscito fino a oggi. La Volontà rappresenta al massimo grado la parziale mutazione dei moduli simbolisti dell'autore, avvenuta dopo la Grande Guerra e durante i primi anni del ventennio littorio, per cui il turgore delle forme e la monumentalità della figura allegorica tradiscono un timbro diverso, più carico e sensuoso, in un certo senso più "novecentista", rivelando una sontuosità e un'opulenza visibilmente accentuate. Completano il percorso un esemplare di misure ridotte della Croce Brayda (1901), assai rara da trovarsi in terracotta; la targa per la Società Bibliografica di Torino (1905-1906), prezioso gesso carico di echi preraffaelliti, dedicato all'amico scultore, pittore e scenografo Lodovico Pogliaghi; il particolare in bronzo della figura femminile di destra della targa per la Cassa di Risparmio di Milano (1906), uno dei testi figurativi di Bistolfi maggiormente compromessi con il Liberty, sull'onda lunga dell'Esposizione internazionale d'arte decorativa moderna di Torino del 1902, per la quale l'artista aveva disegnato un celebre manifesto; l'ispiratissima targa funeraria per André Gladès (1906-1908 ca.), pseudonimo maschile della scrittrice svizzera Nancy-Marie Vuille, morta trentanovenne a Ginevra nel gennaio 1906; il bassorilievo in gesso della Culla per il monumento-ossario La Patria (1906), commemorativo della battaglia del 1706 a Madonna di Campagna; il gesso del verso del modello della medaglia per le gare sportive "Florio" di Palermo (1907); e, sempre in gesso, la testa della figura della Morte del monumento funerario Abegg (1912-1913), collocato nel cimitero di Zurigo. Non va infine dimenticata la targa in bronzo per Giovanni Faldella e Leonardo Bistolfi (1913), cavalieri dell'ordine civile di Savoia, significativa opera "bistolfiana" del torinese Edoardo Rubino. In mostra sarà presente un catalogo a cura di Armando Audoli.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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ancilla-hawkins · 3 years
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ma io ero convinta di averti scritto negli ask per rispondere ai tuoi tags di ieri!! vabbè riscrivo tutto:
sara e philippe fanno ancora gli ambigui su instagram lcncdkfocjsxn ho controllato qualche tempo fa per curiosità e a una certa pensavo lei avesse addirittura lasciato il marito
e invece matteo 😭🥺😭 mi era dispiaciuto tantissimo vederlo uscire...monia hai ragione troppo iconic quel breakdown in semifinale
secondo me il berna sarebbe tipo monia e matteo boh forse il gallo?
Oddio non ho ricevuto niente ieri askdhlkh, vabbè eccoci ✨✨
Per me tra Philippe e Sara c'è sempre stato un interesse, lei diceva tanto di no E INVECE (vabbè poi se tra loro c'è solo una forte amicizia benissimo, fantastici, però 👀👀👀 assolutamente Patteo e Lavazza)
Io sono ancora in lutto per Matteo, però la finale [SPOILER] Sara-Monia è stata iconica, veramente buoni vs cattivi.
(comunque Discovery+ infame perché ha tolto la stagione 8 e adesso non posso più vedere la sfida in cui fanno la torta viola con la cupola di zucchero 🔪🔪🔪)
Berna assolutamente Monia, un cuore buono che ci mette tanto amore e ti porta i cornetti la mattina, 10/10 ❤️
Per Matteo non lo so onestamente, è tutto precisino che fa le cose al millimetro, è complicato (direi Patteo ma è già impegnato gdskhf)
Kisses <3
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cdramaitalia · 3 years
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Due parole su Nirvana in Fire (琅琊榜), la più bella serie TV cinese dell'ultimo decennio
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Di drama in Cina ne escono tantissimi ogni anno, e quelli che superano davvero la prova del tempo, mantenendo la loro popolarità dopo anni dalla messa in onda, si possono contare sulle dita di una mano. Ma c’è una serie che fin dalla sua uscita nel 2015 è considerata da molti la regina indiscussa della nuova generazione di drama cinesi. Oggi in Cina non si può più parlare di serie TV storiche/wuxia senza fare un confronto, diretto o indiretto, con Nirvana in Fire.
Lang Ya Bang 琅琊榜, titolo inglese: Nirvana in Fire, era innanzitutto un romanzo, scritto da Hai Yan, che godeva già di grande popolarità. Poi è arrivata Daylight Entertainment, forse la migliore casa di produzione di serie TV presente oggi nella Cina continentale, e l’ha adattato per lo schermo creando una serie ancora oggi iconica, discussa e amatissima.
Ma di cosa parla Nirvana in Fire? L’epiteto di “Game of Thrones cinese” che gli hanno affibbiato guardando al suo genere e al livello di popolarità a mio parere non gli rende giustizia e non rappresenta neanche in toto cos’è questa serie. NiF parla sì di lotte di potere, intrighi di corte, battaglie, rapporti complicati fra i personaggi, ma lo fa con un’eleganza e un’abilità nella narrazione che GoT (specialmente il brutto GoT delle ultime stagioni) se le sogna.
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In breve, e senza spoilerare troppo, NiF è una storia che parla di riscatto, e, sotto certi versi, di una vendetta servita fredda. Durante la dinastia Liang, Lin Shu (interpretato da Hu Ge), l’unico sopravvissuto a un’ingiusta epurazione che aveva coinvolto il suo clan, ritorna dopo anni alla corte imperiale sotto falso nome e nuove sembianze per cercare giustizia. La strada per riscattare l’onore dei suoi cari è lunga, tortuosa e per nulla facile. Come in una partita a scacchi, il nostro protagonista deve muovere ogni pezzo con attenzione e agire da stratega, spesso in maniera spregiudicata, eliminando uno alla volta i pezzi nemici per far vincere i suoi. O meglio, il suo, nella persona del principe Jing (interpretato da Wang Kai, qui sotto).
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Fra i punti forti di Nirvana in Fire (oltre a Wang Kai in costume d’epoca perché cioè, l’avete visto?) c’è soprattutto la sceneggiatura, ad opera della stessa autrice del libro. È una storia solida, che pur dipanandosi per 54 episodi (sì, è un drama piuttosto lungo) non perde mai pezzi e non si dilunga in filler o in scene che non apportano niente alla narrazione principale. La sceneggiatura riesce inoltre a collegare perfettamente momenti di altissima tensione e drammaticità ad altri più comici o leggeri.
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Al centro della storia restano sempre i temi principali: fratellanza, lealtà, sacrificio, coraggio, perseveranza... E alla fine, quello che ti tiene incollata allo schermo è l’attaccamento che sviluppi per i personaggi, perché questi riescono a trasmetterti i loro ideali e farti appassionare alle loro vicende personali, a prescindere dall’ambientazione storica/fantasy. Sono tutti scritti benissimo, dagli eroi, ai villain, ai personaggi secondari.
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E il merito è in gran parte degli attori, diretti da Kong Sheng, il regista di punta di Daylight Entertainment, e da Li Xue. Tutto il cast ha fatto un lavoro fantastico, ma ovviamente devo citare Hu Ge, che era già famoso ma grazie a NiF si è affermato come una garanzia nel settore, e Wang Kai, che si è fatto conoscere dal pubblico con a questa serie e ora è uno degli attori più in vista nel panorama cinese. I due hanno dato vita a una delle più iconiche bromance della storia della TV cinese.
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Ma le donne non sono da meno, e NiF presenta dei ruoli femminili che sono lontani da quelli tipici della moglie di supporto o della principessa da salvare. Il personaggio femminile più memorabile è quello di Liu Tao, che interpreta la principessa guerriera Nihuang (sotto a destra).
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Ultimo importante motivo per guardare questa serie (ma ce ne sarebbero tanti altri, come la colonna sonora e le canzoni), è che è visivamente bellissima.
La fotografia ci mostra paesaggi fiabeschi e interni curati nei minimi dettagli; i set e i costumi sono splendidi; i combattimenti di arti marziali sono belli da vedere e mai troppo irrealistici. Il budget era sicuramente alto ed è stato speso bene.
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Il lato negativo di Nirvana in Fire è che dopo aver visto questo drama sarà impossibile trovarne un altro dello stesso livello nel genere storico/wuxia.
(Sì, hanno fatto anche Nirvana in Fire 2, ambientato anni dopo con un nuovo cast, ma pur essendo una buona serie non è paragonabile alla prima.)
Dove guardarla: su Viki, dove si può trovare anche con i sottotitoli in italiano. Sconsiglio di guardare la versione presente su YouTube perché (assurdamente) censurata.
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