Tumgik
#letteratura anglosassone
gregor-samsung · 17 days
Text
" Serena ci lascia sempre guardare il notiziario. Dobbiamo prenderlo per quello che vale, chissà se è vero in ogni sua parte? Potrebbe trattarsi di vecchio materiale di repertorio, potrebbe essere falso. Ma lo guardo comunque, sperando di essere in grado di leggere tra le righe. Qualsiasi notizia, ora, è meglio di niente. Notizie dalla prima linea. In realtà non c'è una prima linea, pare che la guerra divampi in molti punti contemporaneamente. Colli coperti di boschi, visti dall'alto, alberi di un orribile giallo. Almeno sistemasse il colore. I monti Appalachi, dice la voce del commentatore dove gli Angeli dell'Apocalisse, Quarta Divisione, stanno snidando col fumo una sacca di guerriglieri battisti, con il sostegno aereo del Ventunesimo Battaglione degli Angeli della Luce. Ci vengono mostrati due elicotteri, neri con ali argentee dipinte sui fianchi. Sotto di questi, esplode un gruppo di alberi. Appare il primo piano di un prigioniero, la faccia sporca e ispida, tra due Angeli, nelle loro perfette uniformi nere. Il prigioniero accetta una sigaretta da uno degli Angeli, se la porta impacciato alle labbra con le mani incatenate. Fa un sorriso sbilenco. L'annunciatore dice qualcosa, ma non riesco a sentirlo: guardo gli occhi di quest'uomo, tentando di capire che cosa stia pensando. Lui sa che la macchina da presa è su di lui: quel sorriso è un atto di sfida, di sottomissione o esprime solo il disagio di chi non sa che atteggiamento prendere? Ci mostrano solo vittorie, mai sconfitte. Chi vuole cattive notizie? Forse è un attore.
Adesso compare sul video il commentatore. I suoi modi sono garbati, paterni; ci fissa dallo schermo con la sua carnagione abbronzata, i capelli bianchi, lo sguardo candido, sagge rughe qua e là, come il nonno ideale di tutti noi. Quanto ci sta dicendo, implica il suo sorriso sereno, è per il nostro bene. Presto tutto andrà a posto. Lo prometto. Ci sarà la pace. Dovete aver fiducia. Dovete andare a dormire, come bravi bambini. Ci dice ciò cui vogliamo credere. È molto convincente. Cerco di resistergli. È come una vecchia star del cinema, mi dico, coi denti falsi e una faccia stereotipata. Nello stesso tempo mi sento attratta da lui, come ipnotizzata. Se solo fosse vero. Se solo potessi credere. "
Margaret Atwood, Il racconto dell'ancella, traduzione di Camillo Pennati, Ponte alle Grazie, 2019², pp. 112-113.
[Edizione originale: The Handmaid's Tale, McClelland and Stewart, 1985]
6 notes · View notes
sofysta · 2 months
Text
Scrivere una lettera d'amore nella libreria più romantica della città, dichiararvi a casa di Serge Gainsburg e Jane Birkin, alloggiare in loft bohemien con il pianoforte a coda o scambiarvi un bacio davanti alla finestra di Coco Chanel al Ritz?
Dire “ti amo a Parigi”. Vi è mai capitato?
È il luogo in cui si può emozionare pazzamente e provare la joy de vivre. Parigi è detta la città dell'amore ed è indubbiamente il posto giusto dove gridare "Je T'Aime!"
Ed in quali luoghi potremmo dire quindi “Ti Amo” a Parigi? Non si può essere scontati, ma al tempo stesso, se si sceglie la Ville Lumiere l''ideale sarebbe trovare nuove prospettive per ammirarla e viverla.
Alloggiate alla suite del Ritz a Place Vendôme dove risiedeva Coco Chanel
Siamo negli anni 20 quando Coco Chanel, pseudonimo di Gabrielle Bonheur Chanel, è già una delle stiliste più in vista di Francia, pur vivendo nella Ville Lumière come una vera parigina si rifiuta di acquistare un appartamento. Preferisce alloggiare all’Hotel Ritz e affacciarsi (spesso di notte) sulla mitica Place Vedôme che in seguito ispirerà la boccetta e il tappo di Chanel n.5, il profumo tutt'oggi più venduto al mondo. Nel 1937 si decide ad affittare una suite al terzo piano tutta per lei e trasferirvisi definitivamente. Il cielo stellato che vedrà da quella posizione privilegiata le ispirerà alcune delle sue più belle collezioni di gioielli. Oggi la suite del Ritz a lei dedicata, lussuosissima, con salotto e hammam privato, arredata da Karl Lagerfeld, si può affittare per 25 mila euro a notte (ma si arriva anche a 40) ed è tra le più richeste. Non una cifra per tutti ma per una dichiarazione d'amore tutto è concesso. Ma si può anche scegliere un'alternativa all'inverso: ammirare la finestra di Coco da place Vedôme magari mentre con una visita nella boutique Chanel Joaillerie che si trova proprio di fronte, al numero 18 del piazza. Pura magia!
Scrivete una lettera d'amore seduti nella libreria Shakespeare and Company
Passeggiando nel 5° arrondissement, in Rue de la Bucherie, al n.37, c'è la libreria più romantica e celebrata di Parigi: Shakespeare and Company. Una libreria anglosassone con scale di legno dipinte da citazioni letterarie. Negli anni ’50 era il ritrovo della Beat Generation ed è stata scelta da Woody Allen per il suo film Midnight in Paris. Ci si immerge nella storia e nella letteratura e si può tranquillamente sedersi e scrivere una poesia o una lettere d’amore con le macchine da scrivere che sono a disposizione
Sussurrate all'orecchio “Je t'aime” nella casa di Serge Gainsbourg e Jane Birkin
Lui è il compositore di "Je t'aime... moi non plus" e la sua storia con Jane Birkin ha ispirato intere generazioni e la cultura pop francese. La sua casa parigina è un luogo incredibilmente sentimentale in cui Gainsbourg visse dal 1969 fino alla sua morte. Si trova nel 7° arrondissement, a pochi passi dal Café de Flore ed è ormai un luogo di culto. La facciata è coperta di scritte, disegni e messaggi di amore e di omaggio all'artista. Qui ha vissuto anche la moglie Jane Birkin e le figlie Kate e Charlotte. Ed è stata proprio Charlotte a volerla trasformare in una casa-museo. Al numero 5 bis di rue de Verneuil c'è la casa vera e propria, dall'altro lato della strada, al civico 14, è aperta una libreria-boutique e un café piano-bar chiamato Gainsbarre.
Godete di una vista mozzafiato dal belvedere delle Buttes Chaumont
Dal parco Buttes Chaumont si gode di una delle più belle viste sulla città. Bisogna salire 173 gradini ma alla fine non rimarrete delusi. Immenso e misterioso il parco è popolato da una moltitudine di uccelli delle più svariate specie. All’interno si trova il Tempio della Sibilla, centro di un pentagono mistico da cui affacciarsi sulla maestosità di Parigi. I momenti migliori per visitarlo sono l’alba o il tramonto.
21 notes · View notes
canesenzafissadimora · 6 months
Text
L’insegnante deve insegnare. Per farlo serve una capacità empatica e comunicativa, la fascinazione. Se non apri il cuore, non apri nemmeno la testa delle persone. Educare vuol dire condurre qualcuno all’evoluzione, dall’impulso all’emozione, dall’emozione al sentimento. Un ragazzo che ha sentimento non brucia un migrante che dorme su una panchina, non picchia un disabile. Se queste cose accadono è perché la scuola non ha educato. Per educare bisogna avere a che fare con la soggettività degli studenti, che oggi è messa fuori gioco. Se è vero che al posto dei temi si fa la comprensione del testo scritto, si è spostata la valutazione dalla soggettività alla prestazione. I ragazzi non contano più come soggetti ma solo nelle loro prestazioni [...] La realtà è che siamo passati da una scuola umanistica a un’educazione anglosassone. Gli antichi imparavano i sentimenti attraverso i miti dove ritroviamo tutta la gamma dei sentimenti possibili, Zeus il potere, Afrodite l’amore, Atena l’intelligenza, Apollo la bellezza, etc. Noi invece li impariamo attraverso la letteratura, che è il luogo dove si apprende che cosa sono il dolore, la noia, l’amore, la disperazione, la passione. Ma se la letteratura non viene “frequentata” e i libri non vengono letti, se la scuola disamora allora il sentimento non si forma. Lo ripeto, se uno non sa affascinare, non può fare il professore. Lo dice Platone: si impara per imitazione. Io aggiungerei anche per plagio. Preferisco un docente che plagia i ragazzi che uno che li demotiva.
10 notes · View notes
multiverseofseries · 21 days
Text
Fabbricante di lacrime: un film che dire brutto è poco.
Tumblr media
Cinici, darkettoni, detrattori del romanticismo e chi di voi un minimo s’intende di cinema, state lontani dal Fabbricante di lacrime, l’adattamento del best seller di Erin Doom su Netflix dal 4 aprile, perché probabilmente lo giudicherete ridicolo. Romanticoni e fanatici di fanfiction: lo troverete poetico ed emozionante. Non posso fare un diretto paragone con il libro originale perché, ça va sans dire, non lo ho letto (ma grazie al cielo esiste internet). Tuttavia, rintracciando la storia editoriale, non posso non citare l'assoluto successo ottenuto: Fabbricante di lacrime (edito da Salani) nel 2022 ha venduto mezzo milione di copie, imponendosi come il romanzo più venduto in Italia (!). Un Traguardo clamoroso, se si pensa che l'autrice, Erin Doom (nome d'arte e viso avvolto nel mistero, almeno fino al 2023, quando si è rivelata), si sia inizialmente auto-pubblicata, prima di venir "scoperta" da Salani. Il grande successo di Fabbricante di lacrime, secondo ciò che ho potuto rintracciare in rete, proviene dal passa parola, capace di viaggiare velocissimo su TikTok (e dove altrimenti?) tra i giovanissimi. Detto questo, e visti i numeri, ecco subito l'aggancio cinematografico: perché non farne un film? Detto fatto, ecco arrivare su Netflix l'adattamento diretto da Alessandro Genovesi e scritto insieme ad Eleonora Fiorini.
Tumblr media
Fabbricante di lacrime: Caterina Ferioli durante una scena del film
Un adattamento che si lega al filone anglosassone del classico young-adult-drama-gotico-romantico però rivisto in chiave italiana (con un altro però: l'epoca di Twilight è sfortunatamente lontana). Un bel cortocircuito, in quanto la cornice di Fabbricante di lacrime è appunto quella tipica del Nord America (così viene immaginata da Erin Doom) con tanto di High School e nomi anglofoni. Se la letteratura non ha confini (perché è l'immaginazione a non averne), la forma filmica, invece, si scontra inevitabilmente con alcuni pre-concetti legati alla realtà (e al budget…). Soggetto, copione, regia, interpreti. In questo senso Fabbricante di lacrime finisce per scricchiolare notevolmente sotto una costante enfatizzazione della scena, delle performance e della storia, risultando eccessivamente iperbolico anche rispetto al contesto teen/young di cui fa lecitamente parte.
Fabbricante di lacrime, la trama: l'amore tra Nica e Rigel
Tumblr media
Fabbricante di lacrime: Simone Baldassari (Rigel) in una scena del film
Ora, la trama: Fabbricante di lacrime ha per protagonista Nica (come la nica flavilla, farfallina arancione delle foreste pluviali), che fin da piccola è cresciuta nell'orfanotrofio Grave. In queste antiche mura, rigide, fredde, austere, Nica si è lasciata andare all'empatia (ama gli animali), nonostante le venga ripetuto quanto siano le regole le uniche cose importanti della vita. Dall'altra parte, all'interno del Grave, aleggia la leggenda del Fabbricante di Lacrime. Chi è? Una misterioso individuo che pare aver modellato la paura, avvicinandola ai sentimenti umani. Quella che sembra una favola, però, influenza tanto Nica quanto le altre ragazze dell'orfanotrofio. Almeno fin quando Nica viene adottata ad un passo della maggiore età( un miracolo della burocrazia).
Tumblr media
Fabbricante di lacrime: una scena del film
Non sarà la sola, perché la famiglia che la ospita sceglie anche Rigel (come la stella beta della costellazione di Orione, non come il papà svitato di Venusia in Goldrake), tenebroso e fascinoso ragazzo (cliché a più non posso!) con cui Nica pare non aver nulla in comune. Figuriamoci una possibile convivenza famigliare. Però poi i loro sentimenti contrapposti finiranno per scontrarsi e, generando una tempesta (sì, c'è anche la solita scena sotto la pioggia), capiranno di essere parte integrante di un disegno passionale e rivelatorio.
Uno young adult eccessivamente caricato
Tumblr media
Fabbricante di lacrime: Caterina Ferioli in una scena del film
Ma a chi parla, Fabbricante di lacrime? Un dettaglio non da poco: senza dubbio si rivolge a chi ben conosce il romanzo di Erin Doom, tramutando in carne ed ossa l'amore travagliato tra Nica e Rigel (un amore derivativo, e lastricato dagli stessi cliché). Quindi, un panorama ben idealizzato dalla produzione, e chiaramente conscio del materiale originale. Ma se (teoricamente) c'è una comunicazione con i fan del libro, dall'altra parte l'intero approccio filmico risulta ben poco fluido oltre che approssimato, costruendo un climax mai davvero tormentato, e anzi frutto di una continua sottolineatura: dialoghi forzati, scambi esagerati (quasi da aforismi).Per tutta la durata del film si susseguono citazioni esilaranti (o struggenti, a seconda del punto di vista) dalla fonte letteraria come “Il suo fascino velenoso era infestante”, “Io e lui eterni e inscindibili. Lui stella io cielo”, “Noi siamo rotti, siamo scheggiati. Certe cose non si possono riparare”, “È vero, ma forse ci siamo spaccati in mille pezzi solo per incastrarci meglio”.
Una ridondanza tanto nell'estetica quanto nelle interpretazioni di Caterina Ferioli, indecisa tra canalizzare Kristen Stewart o Kaya Scodelario, e in particolare di Simone Baldasseroni, lui perennemente costipato, caricano eccessivamente ogni parola del copione, lontani dalla fluidità che richiederebbe una messa in scena filmica risultando involontariamente ridicoli ma visto il materiale a disposizione difficile non esserlo. ridondante è anche il costante e incessante accompagnamento musicale, sia originale che non, che ammicca senza mai essere veramente ammalgamata all'interno della storia (si va da George Ezra ad Olivia Rodrigo e Billie Eilish, senza una naturale continuità).
Tumblr media
Fabbricante di lacrime: Simone Baldassari, Caterina Ferioli in un'immagine
Più in generale, sia nel tono che nell'umore questo adattamento sembra essere la diretta traduzione delle pagine del romanzo, senza la sacrosanta re-interpretazione frutto del miglior adattamento possibile. Non faccio paragoni con le pagine di Erin Doom, tuttavia il discorso su Fabbricante di lacrime si può allargare ad un altro paragone: le piattaforme streaming, per i titoli originali, non sfidano quasi più il grande schermo, ma si affiancano alle produzioni del piccolo schermo, offrendo al pubblico lo stesso modus operandi tipico della televisione generalista: prodotto, prodotto, prodotto. E Fabbricante di lacrime ne è un altro lampante (e poco riuscito) esempio.
In conclusione Fabbricante di lacrime è un adattamento che cerca di ricalcare il grande successo del romanzo, finendo però a sfiorare i toni meno riusciti del teen-movie dagli umori gotici e tormentati. Dialoghi esagerati e svolte approssimative poco aiutano, così come la performance altalenante del cast. In questo senso, il film è un ulteriore esempio di quanto alcune produzione streaming puntino a competere con la tv generalista più che con il grande schermo.
Perché ci piace 👍🏻
Cosa non va 👎🏻
Chiaramente troppo ambizioso.
Risulta estremamente sconnesso.
La regia, mai incisiva.
I dialoghi, incredibilmente, ridicoli, enfatizzati e calcati da un cast non del tutto convincente.
P.S: rivoglio indietro i miei 105 minuti di vita persi a guardare questa treshata.
2 notes · View notes
scienza-magia · 1 year
Text
Le origini della stregoneria
Tumblr media
Le streghe sono da sempre uno dei pilastri della cultura popolare italiana  da nord a sud. Esse hanno spesso terrorizzato i nostri antenati e le loro famiglie in molti luoghi geografici. Il termine stregoneria deriva dalla parola latina “ strix” con la quale si indicava un rapace notturno dal verso acuto che nelle leggende popolari aveva un ruolo molto sinistro dal momento che in tali leggende si sosteneva che lo “ strix” succhiava il sangue delle capre e quello dei bambini. In questo articolo ci interesseremo delle origini della stregoneria fenomeno che ha scatenato la fantasia popolare degli uomini del passato più o meno recente. Le origini più antiche della stregoneria risalgono a un passato molto lontano ovvero al “ codice di Hammurabi” che venne stilato da un’altra famosa strega dell’antica Grecia durante il regno del re babilonese Hammurabi che regnò dal 1792 al 1750 a.C. Si fanno risalire a tale codice le origini più antiche della stregoneria poiché in questo codice sono presenti delle disposizioni molto severe contro gli stregoni e i maghi che hanno arrecato danni ad altre persone utilizzando mezzi magici . Troviamo esempi molto famosi di stregoneria anche nell’antica Grecia . Per fare degli esempi Omero parla di stregoneria negli episodi sulla maga Circe che trasformava i marinai di Ulisse in maiali ed inoltre era Medea che lanciava il malocchio con intrugli che otteneva mescolando diversi ingredienti . Anche nella letteratura latina si trovano diversi esempi nella credenza dell’esistenza delle streghe . Le “ striges” di Ovidio erano dei mostri per metà uccelli e per metà donne mentre quelle descritte da Orazio erano donne a tutti gli effetti. A sua volta Apuleio parlò invece sia di mostri rapaci sia di donne che potevano trasformarsi in animali per mezzo di un unguento magico . Nel mondo latino venne fuori la figura della “ malefica” ovvero la strega come oggi viene ancora intesa cioè una donna che praticava la magia allo scopo di danneggiare le altre persone. Con l’avvento del Cristianesimo le streghe vennero accusate di avere un rapporto diretto con il diavolo considerato il signore delle streghe . Di conseguenza la strega cominciò a essere considerata un’ apostata che aveva rinnegato la religione cristiana per diventare serva del diavolo . Esistono però etimologie diverse nelle varie nazioni del termine di “ strega “ e conseguentemente di “ stregoneria “ cosicché la parola acquisisce una notevole varietà di significati. In francese la parola sorcier deriva dalla parola latina “ sortilega “ che originariamente indicava chi svolgeva un’attività divinatoria. In inglese invece la parola weche  e in tedesco la parola hexe venivano inizialmente usate per indicare chi era sapiente . Nei paesi anglosassoni esiste ancora oggi una distinzione tra le parole “ witches craft “ ( stregoneria ) e sorcery ( magia nera ) . In tali paesi anglosassoni la stregoneria indica una predisposizione innata generalmente ereditata a compiere il male con la sola forza del pensiero. Al contrario nel mondo anglosassone per magia nera si intende la pratica di gettare sortilegi e incantesimi mediante rituali magici oppure con pozioni magiche di vario tipo . Invece nella lingua italiana la parola “ stregoneria “ viene usata come sinonimo di “ magia nera “ . Con il Cristianesimo e in particolare con la famosissima inquisizione la stregoneria è stata definita in maniera più complessa  e articolata come “ stregoneria diabolica “. Il termine stregoneria diabolica veniva utilizzata dagli inquisitori nei processi contro la magia cerimoniale , magia amorosa  l’astrologia i malefici e la necromanzia . Molti studiosi della stregoneria hanno messo in evidenza la differenza sostanziale tra “ stregoneria rurale “ ( caratterizzata dal complesso di credenze pagane e precristiane ) “ e “ stregoneria cittadina “ caratterizzata soprattutto dai fenomeni di possessione demoniaca . Interessante è la definizione di stregoneria formulata dall’associazione italiana di professori di storia della Chiesa che definiscono la stregoneria come quella particolare forza che per mezzo di specifici rituali magici compiuti con l’aiuto di esseri soprannaturali esercita un dominio sulle forze della natura e sull’essere umano allo scopo di causare danni   di vario genere. Molto famosa è la definizione di magia formulata da Sant ‘ Agostino . Egli considerava il culto degli dei pagani così come anche le superstizioni popolari come opera di satana e i suoi servi i diavoli . Sant’ Agostino si spinge ancora oltre affermando che gli dei pagani non erano altro che demoni travestiti cosicché i pagani anche se adoravano gli dei in realtà inconsapevolmente adoravano satana . Di conseguenza per Sant’ Agostino le arti magiche di qualunque tipo erano considerate come opera del diavolo e quindi la magia era definita senza mezzi termini da Agostino opera del diavolo. Esistono dei riferimenti alla stregoneria anche nella Bibbia anche se il termine stregoneria in maniera esplicita è presente una sola volta in una lettera di Paolo  ovvero la lettera ai Galati . Tuttavia nella Bibbia si ritrovano parole quali sortilegio necromante e necromanzia divinazione magia indovini e fattucchieri. Per fare un esempio nel vecchio testamento si parla di pratiche magiche nel Levitico nell’Esodo e nel Detereumonio mentre nel Nuovo Testamento si parla di pratiche magiche di vario tipo nell’Apocalisse e nella lettera ai Galati . Passeremo ora a considerare in che modo venivano intese la magia e la stregoneria nell’Alto Medioevo . La Chiesa dell’Alto medioevo considerò la magia e la stregoneria insieme al culto degli dei come residui del paganesimo e soprattutto come effetto delle illusioni del demonio. Prova di ciò è il “ canon episcopi” che era un testo di formazione per i vescovi sull’atteggiamento da tenere nei confronti della stregoneria . Il testo in questione fu attribuito al concilio di Angira del 314 ma in realtà si fa risalire a un periodo storico successivo . Il canone episcopi definiva la stregoneria “ culto verso il demonio” ma sosteneva che le streghe non potevano volare fisicamente come molti credevano. Tuttavia il Canone episcopi affermava che tali voli notturni ritenuti materialmente impossibili e illusori potevano però realizzarsi con lo spirito . A tale riguardo riteniamo opportuno citare ciò che sta scritto su tale testo : pur volando con lo spirito e l’immaginazione queste streghe sono ugualmente colpevoli come se lo avessero fatto in carne e ossa.” Nonostante le sue contraddizioni questo testo era ed è ancora un documento storico importante dal momento che ci fa comprendere la posizione della Chiesa cattolica nei confronti della stregoneria . Tuttavia nel XII secolo il Canone Episcopi creò non pochi problemi ai demonologi a causa delle sue contraddizioni. Per tale ragione tale testo non poteva essere considerato un testo di riferimento per combattere la stregoneria . Molto interessante è quella parte del Canone Episcopi dove si affermava che i vescovi e i loro ministri dovevano cercare in ogni modo di sradicare interamente dalle proprie parrocchie la pratica perniciosa e divinazione della magia  cosicché se i vescovi trovavano persone che praticavo tali riti dovevano bandirli dalle loro parrocchie . Nel testo inoltre si menzionava Diana come dea pagana si mettevano in guardia i vescovi sulle donne che erano convinte di obbedire ai suoi ordini mentre in realtà obbedivano agli ordini del diavolo . Dobbiamo mettere in evidenza che il Canone Episcopi era un documento abbastanza moderato con il quale la stregoneria non era punibile con il carcere o con la pena capitale ma con l’allontanamento delle streghe dalla comunità dei credenti. Verso la metà del XV secolo gran parte degli inquisitori e dei demonologi cominciarono a prendere le distanze dal Canone Episcopi a causa delle sue contraddizioni interne preferendo usare nuovi manuali inquisitoriali tra cui il più diffuso fu il “ Malleus Maleficarum “. Tale testo diventò il simbolo della lotta contro la stregoneria durante tutto il periodo storico della caccia alle streghe. Esso rappresentava un vero manuale per istruire i giudici su come identificare interrogare e imprigionare le streghe. Secondo questo testo erano tre gli elementi necessari alla stregoneria: le intenzioni malvagie, l’aiuto del demonio e il permesso di Dio. Il volume si suddivide in tre sezioni . Nella prima si tratta dell’esistenza del diavolo e dei rapporti sessuali tra le donne e i diavoli come mezzo per diventare streghe. Nella seconda sezione sono discussi casi reali , si parla dei poteri delle streghe e come queste reclutano adepti nonché quali metodi sono efficaci per contrastarle . Infine nella terza sezione si descrivono i metodi per perseguire una strega con una guida dettagliata per istruire un processo. In particolare si danno istruzioni agli inquisitori per raccogliere le accuse interrogare testimoni e definire l’imputazione delle accusate . Il Malleus Maleficarum è un segno dei cambiamenti dei tempi e può dimostrare come feroce divenne la caccia alle streghe che nell’Alto Medioevo era stata molto meno feroce poiché il testo di riferimento in quel periodo storico era molto più moderato Canon Episcopi . Prof. Giovanni Pellegrino Read the full article
4 notes · View notes
thebeautycove · 2 years
Text
Tumblr media
MASQUE MILANO - WHITE WHALE - Collezione OPERA - ATTO IV Scena IV - Eau de Parfum - Novità 2022 - Sipario. Ora il sogno ha forma viva. . Moby Dick, Achab, Ismaele, la baleniera Pequod, i protagonisti del romanzo di Herman Melville sono al centro dell’ultima avventura olfattiva di Masque Milano, White Whale, parte dell’imponente Collezione Opera nell’Atto IV dedicato ai Sogni. White Whale attiene allo spazio sconfinato dell’immaginazione, al potere che un capolavoro della letteratura possiede nello stimolare creatività, nell'ampliare a dismisura i confini della fantasia. La fragranza racchiude un profondo messaggio simbolico di scoperta e conoscenza, una sfida all’ignoto, un lungo viaggio oceanico, oltre l’orizzonte visibile, in cerca del proprio destino. Christian Alori, Naso creatore, descrive gli accordi olfattivi come in un diario di bordo, annota pensieri, immagini, sensazioni, avverte chiara la vastità dell’oceano, i suoi misteri, gli umori acuti, governa un’imbarcazione ruvida, impaziente, pronta a veleggiare nella tempesta. La fragranza dispiega la sua essenza intorno all’ambra grigia in un sottile accordo con osmanto, violetta, iris e olibano, uniti per infrangere la sensazione di cupezza e smarrimento ed evocare luce, calore, nostalgia di momenti placidi. Sono palpabili le poliedriche sfumature delle preziose materie prime utilizzate (gli estratti premium Laboratoire Monique Remy). È così suadente questa vibrazione ozonica salata, presente ma non dirompente nell’apertura ariosa, trascinata al largo dalla freschezza pungente del pepe nero. Si va lontano, sguardo attento a prua, a saggiare il vento, percepire le cime umide tendersi, le vele gonfiarsi, le tavole stridere tra i flutti, in un’abbondanza aromatica di legni e resine balsamiche, cedro, patchouli, cipresso, vetiver, cisto, muschio di quercia, che sono cenni odorosi di fiducia, sostegno, intraprendenza, solidità. Qui ci si perde, distanti da luoghi e tempi, ma non si affonda.  La sfida è vinta
Creata da Christian Alori. Eau de Parfum 35 ml. In selezionate profumerie. ©thebeautycove   @igbeautycove
Tumblr media
MASQUE MILANO - COLLEZIONE OPERA  
Sedici fragranze suddivise in quattro gruppi (atti) con quattro fragranze ciascuno.
ATTO I    - ESPERIENZE ATTO II   - MONOLOGHI INTERIORI�� ATTO III  - RELAZIONI SENTIMENTALI  ATTO IV  - SOGNI
White Whale è la fragranza che rappresenta la scena finale dell'ultimo atto (Atto IV - Scena IV) La collezione OPERA ha omaggiato i classici della letteratura, in particolare anglosassone (Romanza dedicato a Il ritratto di Dorian Gray di Wilde, Love Kills ispirato a Romeo e Giulietta, Lost Alice omaggio alle avventure di Lewis Carrol). "Concludere questa Opera è stato per noi un sogno e un obiettivo che abbiamo inseguito negli ultimi 10 anni. Per questo motivo, la nostra ultima fragranza è stata ispirata dalla ricerca più ossessiva della letteratura, l'inseguimento del capitano Achab al mitico capodoglio bianco, Moby Dick"
Alessandro Brun e Riccardo Tedeschi, cofondatori Masque Milano •••••••••••••• Christian Alori, Naso creatore Come sono stati raccolti gli elementi ispirativi per la composizione della fragranza? Il giorno stesso in cui Riccardo e Alessandro mi hanno contattato, annunciandomi di voler concludere la loro collezione OPERA con una fragranza ispirata all'inseguimento della mitica balena bianca, e che avrebbero destinato me alla 'guida' della composizione, ho avvertito subito lo scatto creativo, la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto. Tutti gli elementi del romanzo di Melville hanno scatenato l'immaginazione, ci siamo ritrovati a bordo di una baleniera mentre solcavamo l'oceano ma non bastava... desideravo approfondire certe sensazioni vivendole in prima persona, prima di stendere la partitura olfattiva... Così ho convinto mia moglie a fare una vacanza a Martha's Vineyard, l'isola del Massachusetts. Siamo stati a vedere le balene a Cape Cod, abbiamo visitato il Whaling Museum a Nantucket e percorso le strade costiere per visitare i tanti fari presenti, molti ancora in funzione per segnalare alle imbarcazioni secche e fondali rocciosi che circondano l'isola.Esplorare questi luoghi, epicentro dell'industria baleniera, mi ha spalancato un mondo, annusare la stessa aria oceanica del capitano Achab è stato essenziale per comprendere i significati simbolici e le metafore presenti in ogni scena del romanzo. Come si è concretizzata olfattivamente White Whale? Ho subito immaginato di costruire la fragranza intorno all'Ambra Grigia, poi gli accordi a venire si sono dispiegati naturalmente nella mia mente. Il legno grezzo della nave baleniera Pequod, l'immenso impenetrabile oceano, pesanti funi salate, la morbida luce di una candela, le pagine di un vecchio mastro di bordo...Ci sono brani musicali che possono richiedere anni e innumerevoli modifiche prima di raggiungere il culmine, mentre ad altri bastano pochi minuti e praticamente si compongono senza sforzo. Bene, questo era più simile al secondo scenario. Il risultato è abbastanza letterale, nitido e diretto al punto.Ho ammirato la passione di Alessandro e Riccardo nel perseguire il loro obiettivo e l'entusiasmo che mi hanno trasmesso nel dedicarsi a questa avventura che sarebbe diventata di lì a poco una fragranza. Far parte della loro opera in profumo, con i suoi diversi atti e scene è stata un'esperienza unica che mi ha trasmesso emozioni indimenticabili. Consigliata la visione della serie tv North Water con Colin Farrell per apprezzare le atmosfere della vita a bordo di una baleniera.
Tumblr media
2 notes · View notes
levysoft · 5 months
Text
Sapevi che il termine bullismo è da ricondursi all'olandese boel = fratello, successivamente trasformatosi in area anglosassone in bully che, in origine, significava tesoro. Quindi, il significato di bullo, da cui bullismo, non aveva un'accezione negativa, anzi, da originario sinonimo di "bravo ragazzo". Ma il suo significato con il tempo si è capovolto fino a trasformarsi in sinonimo di "molestatore di deboli". Oggi il termine bullying viene comunemente usato nella letteratura internazionale per indicare il fenomeno delle prepotenze tra pari.
0 notes
personal-reporter · 6 months
Text
A zonzo per la Francia: Sylvia Beach
Tumblr media
La donna che, nella Francia del primo dopoguerra, fu un punto di riferimento per gli scrittori americani ed inglesi a Parigi… Nata a Baltimora nel 1887, Sylvia Beach era la terzogenita del pastore presbiteriano Sylvester Woodbridge Beach e di Eleanor Thomazine Orbison e, dopo aver vissuto  l'infanzia fra il Maryland e il New Jersey, da adolescente viaggiò in Europa con il padre, che si spostava spesso per lavoro. In poco tempo la ragazza si appassionò alla letteratura e cominciò a sognare di aprire una libreria francese a New York ma, giunta a Parigi nel 1916 per studiare letteratura, capitò in una libreria aperta solo l'anno prima da Adrienne Monnier, che divenne preso la sua compagna nella vita e nel lavoro. Il 19 novembre 1919 Sylvia aprì la sua libreria, la Shakespeare and Company, situata in rue Dupuytren 8, a pochi passi da rue de l'Odéon 7, dove di trovava quella di Adrienne, la Maison des Amis des Livres, e la porta d'ingresso del nuovo negozio era sormontata da una tabella che rappresentava Shakespeare. Le due donne non si limitavano a vendere i libri, ma li noleggiavano con l’acquisto di una tessera, inoltre   Sylvia si era specializzata nella letteratura anglosassone e vendeva solo ed esclusivamente libri che aveva letto e amato. Nei mesi successivi alla fine della Prima guerra mondiale, la capitale francese si era popolata di una folta schiera di esuli americani che avevano deciso di stabilirsi lì per respirare aria nuova rispetto a quella degli Stati Uniti, con nomi come  Hemingway, Ezra Pound, Man Ray, Francis Scott Fitzgerald, T.S.Eliot o Gertrude Stein, che presero a frequentare la libreria di Adrienne, e anche quella di Sylvia che poi si spostò anch'essa in rue de l'Odéon, di fronte alla Maison des Amis des Livres. Le due librerie non erano solo delle attività commerciali, infatti  Adrienne, che amava cucinare, offriva degli aperitivi agli ospiti, e alcuni di essi bevevano vino rosso in scatolette vuote del tonno e restavano a dormire lì, si  potevano unire alle serate musicisti come Eric Satie e Francis Poulenc, che improvvisavano dei concertini, mentre Sylvia era una brillante padrona di casa, con una parlantina briosa che si entusiasmava sinceramente alle idee dei suoi ospiti. La Beach conobbe James Joyce ad una festa nell'estate del 1920 e lo scrittore irlandese era da poco arrivato nella capitale francese con la moglie, Nora Barnacle, e i due figli, Giorgio e Lucia. Anche se Sylvia provava un senso di soggezione nei confronti di Joyce,  voleva collaborare con quello che già considerava un genio delle letteratura e così i due parlarono dell'Ulisse, il libro a cui stava lavorando James, e lei si propose come editrice. Sylvia si dovette scontrare con i capricci di James, che continuava a modificare il manoscritto quando era già in fase di trascrizione, oltre alle difficoltà economiche aggravate dal fatto che lui le metteva in conto tutto, anche le cene in ristoranti lussuosi per sé e la sua famiglia, inoltre la censura le causò difficoltà a trovare un tipografo che si assumesse la responsabilità di stampare un opera considerata oscena, per poi trovarlo a Digione, e le prime copie arrivarono col treno il 2 febbraio 1922, il giorno del quarantesimo compleanno dello scrittore. In seguito la Beach continuò per anni a curare le ristampe e la distribuzione del libro, inoltre anche Hemingway si espose, coinvolgendo un amico che faceva la spola fra Toronto e gli Usa con due libri alla volta. La generosità da parte di Sylvia non fu però adeguatamente ripagata dallo scrittore, dal momento che nel 1934 Joyce la lasciò, dopo aver firmato un accordo con Random House, a cui cedeva i diritti di pubblicazione. Dopo che il 1 settembre 1939 la Francia entrò in guerra contro la Germania di Hitler gestire la libreria divenne sempre più difficile e, quando i nazisti entrarono a Parigi, la Beach si oppose alla richiesta di un ufficiale tedesco di consegnagli una copia del Fiennagans Wake di Joyce, così fu  arrestata e mandata in un campo di concentramento a Vittel, in un ex stabilimento termale, dove venivano rinchiusi i prigionieri di Paesi nemici o neutrali in attesa di uno scambio di prigionieri civili tedeschi. Sylvia restò  nel campo per sei mesi, poi tornò a Parigi dove visse in clandestinità fino alla fine della guerra, ma la sua libreria non riaprì ma  più. Nel 1955, per una grave malattia, Adrienne Monnier si tolse la vita, mentre  Sylvia morì nel 1962 nella sua Parigi. Read the full article
0 notes
bergamorisvegliata · 10 months
Text
I LUOGHI DELL'ANIMA
Tumblr media
Più che in un centro suggestivo, entriamo in un luogo davvero meraviglioso, quasi magico: Ninfa, in provincia di Latina, è celebre per i suoi giardini e per quell'aspetto ameno che la rende suggestiva agli occhi dei turisti ma anche di coloro che vogliano sentirsi al centro di un episodio di un film di fantasia.
Ma andiamo con ordine, e ovviamente "supportati" dall'immancabile link, scopriamo qualcosa che ci faccia conoscere i giardini di Ninfa.
Tumblr media
Giardini di Ninfa, l’oasi naturale a Cisterna di Latina  
Sulle rovine dell’omonima città medievale, i Giardini di Ninfa sono un paradiso naturale ai piedi dei monti Lepini, in provincia di Latina.
Un luogo che il New York Times ha definito "Il giardino più bello e romantico del mondo": i Giardini di Ninfa sono un’oasi naturale che si trova tra i ruderi medievali di un borgo antico nella zona di Latina, e che oggi si può visitare in tutto il suo splendore floreale.
È un’area di 8 ettari in cui si trovano oltre 1300 specie di piante e ricca vegetazione. Tanti ruscelli si incontrano a formare un laghetto, vicino ai resti millenari di case, castelli, chiese e campanili. 
I Giardini di Ninfa sono stati realizzati dalla famiglia Caetani, sulle rovine di una città medievale in cui per alcuni secoli la famiglia ha avuto la sua residenza. Fu nel 1298 che la famiglia acquistò questa tenuta, a lungo contesa con i Borgia, più volte distrutta e ricostruita. 
Tumblr media
A fine XIX Secolo i Caetani ritornarono sui possedimenti per bonificare le paludi, estirpare le piante infestanti, piantare un gran numero di alberi, restaurare alcune rovine, per creare uno splendido giardino in stile anglosassone, dall’aspetto romantico. L’opera continuò anche nel Novecento su iniziativa di Marguerite Chapin e di sua figlia Leila.
Tumblr media
Nel 1976, qui è stata istituita un’Oasi del WWF a sostegno della flora e della fauna. Nel 2000 i Giardini di Ninfa sono stati dichiarati Monumento Naturale dalla Regione Lazio, per tutelare un sito naturalistico ormai di fama internazionale.
La storia dei Giardini di Ninfa non è fatta solo di natura, ma anche di letteratura: in questo luogo molti scrittori hanno trovato ispirazione per le loro opere. Tra i visitatori illustri, ricordiamo Virginia Woolf,
Tumblr media
Truman Capote, Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia. 
Tumblr media
Al seguente link altre informazioni su Ninfa e sulla vicina Sermoneta:
https://www.paesionline.it/italia/natura-e-sport-sermoneta/oasi-di-ninfa
0 notes
mykingdommusic · 11 months
Photo
Tumblr media
Into the meanders of GOAD
Passo dopo passo ci avviciniamo alla presentazione degli aspetti peculiari di "Titania" il nuovo album dei Progsters toscani GOAD che si preannuncia essere senza ombra di dubbio uno dei lavori più rappresentativi, coinvolgenti e più affascinanti della band. Con Maurilio Rossi, da sempre testa e cuore della band ci addentriamo nei meandri di "Titania" e dei GOAD.
1.   Sono passati due anni appena dall'uscita di "La Belle Dame" ed i Goad sono pronti a ritornare sul mercato con un nuovo album "Titania" che dai primi sentori sembra essere una delle vostre opere più intense, emotivamente coinvolgenti e soprattutto impegnative dal punto di vista compositivo e non solo. Ce ne vuoi parlare soprattutto dal punto di vista emozionale e cosa hai avvertito nella stesura della nuova creatura?
"Titania" è la logica prosecuzione del cammino intrapreso nel mondo di John Keats, un mondo fatto di passione, della magia del retaggio classico dei grandi lirici di ogni tempo a cui, il per sempre giovane poeta, morto a Roma a 25 anni,  fa riferimento in tante composizioni. Shakespeare vi entra sotto voce, nel riferimento alla figura della regina delle fate e del capolavoro "Sogno di una notte di mezza estate". In un primo momento avrei voluto musicare una bella parte dell'opera ma sarebbe rimasto incompiuto il cammino nella poetica di Keats, in buona misura  oggetto dell’album "La Belle Dame" per cui mi sono volutamente fermato. Dal punto di vista emozionale, come dice lo stesso Keats, Shakespeare mette le passioni in primo piano, "una banda spaventosa che fa vibrare, ognuna, la sua corda". Sogno senza sonno è la poesia per Keats e mi ci riconosco appieno per la musica che componiamo in "goad” e, come Oberon che "selvagge canzoni traeva dal liuto piangente", troviamo emozioni sempre nuove nell’affrontare la grande poesia.
2.   "Titania" ancora una volta si immerge in un mondo magico e fatato, così come hai fatto per il passato e per gran parte dei tuoi album. Oggi la tua fonte principale è sempre John Keats anche se il titolo è fortemente legato a William Shakespeare. Cosa ti affascina tanto della letteratura inglese costante tua fonte d'ispirazione?
Hai ragione, il riferimento a Shakespeare, come ho detto sopra, è soltanto per il personaggio di Titania, regina delle fate e protagonista del "Sogno di una notte di mezza estate", citata più volte da Keats le cui muse sono i grandi poeti del passato. Il fascino della grande letteratura inglese nasce da lontano, dagli studi classici e dalla grande musica anglosassone che ha scritto la cultura moderna di questa arte. Le sonorità della lingua e il grande valore dei tanti  lirici già affrontati negli album dei GOAD, da E.A. Poe a Lee Masters, da H.P. Lovecraft a W. Savage fino a John Keats dà sempre nuovi stimoli nel comporre (goad alla fine significa proprio stimolo…). Come dice in un suo componimento  lo stesso Keats : giovinezza eterna avrà la musica... (riferito al personaggio di Shakespeare "Oberon").
3.   Il nuovo album uscirà il prossimo ottobre in due edizioni speciali: un doppio vinile con due fantastiche bonus tracks ed un doppio CD con un bonus live album registrato a Genova nel 2007 se non erro con in più delle canzoni registrate in studio in presa diretta, come se fosse un live, recentemente durante la pandemia. Ce ne vuoi parlare soprattutto del perché ritieni necessario far conoscere queste registrazioni?
GOAD nasce come gruppo di musica dal vivo e per decenni quella è stata la sua dimensione. Per un lunghissimo periodo ogni sera davanti a un pubblico eterogeneo e per la maggior parte straniero, in primis anglosassone ed americano, per cui anche la scelta della lingua era quasi obbligata, pur con nostro grande piacere!  La possibilità di pubblicare un live mediamente recente mi pareva una degna consacrazione di tanto sudore e fatica on stage, ma anche un meritato riconoscimento ai musicisti fantastici che hanno accompagnato lungamente il cammino della band. Essendo attivi dal 1974 ovviamente tanti compagni di strada si sono persi ma il fulcro ha tenuto duro, in primis Paolo Carniani alla batteria, con noi da sempre, e mio fratello cofondatore Gianni Rossi. Eccezionali compagni successivi sono stati assiduamente con GOAD : Francesco Diddi e Alessandro Bruno, polistrumentisti incredibili (chitarre, sax, flauto, violino, oboe etc. entrambi!) che pur svolgendo attività impegnative nella musica sono sempre presenti in caso di dischi o live. Poi Martino Rossi  figlio d'arte (creativo polistrumentista anche lui...) e il violinista chitarrista Roby Masini che ha lasciato la musica moderna da poco tempo, dedicandosi alla classica di cui è un maestro conclamato.
4.   Non è un segreto il fatto che tu non sia più un giovincello, almeno non sulla carta d'identità. Cosa ti spinge dopo tanti anni a continuare a dare vita a nuovi album così ricchi di fascino e sonorità sempre ammantate da una velo di magia?
È senz'altro vero che l’età anagrafica non corrisponde quasi mai all’età biologica e, nel caso di qualsiasi artista, vi è un vantaggio evidente nel cercare sempre vie nuove di espressione... Nel mio modesto caso trovo enorme forza dall'avere  interessi infiniti in campo genericamente culturale e specificatamente  letterario ma non spiegherebbe il tutto. In realtà ho continuamente idee compositive che mi frullano in testa e sto davvero male se non  le esprimo concretamente. Finché avrò questa spinta interiore proseguirò a scrivere musica. Il punto topico è il non  avere nessun genere prestabilito in testa, solo modi diversi di espressione musicale e strumentistica anche nell'ambito dello stesso brano od opera. Amo scrivere canzoni semplici come complesse partiture estese nelle quali non cerco  di far emergere virtuosismi tecnici ma di evocare e suscitare emozioni, brividi, anche interrogativi sul perché di queste musiche da parte del fruitore-ascoltatore. Se lascio qualcuno o tanti perplessi ne sono già contento perché significa che ho smosso qualcosa.
5.   A differenza di gran parte delle bands Progressive la tecnica nelle tue composizioni non è mai la protagonista principale, ma sempre una componente al servizio del pathos che dalla canzone emerge forte. È corretta la mia impressione?
Hai visto giusto e questo già lo sapevo! Al servizio del brano che affronto ogni partitura è scritta e sviluppata, che sia io o che siano i grandi musicisti che suonano con Goad. Nessuna nota è eseguita senza una profonda consapevolezza di ciò che deve suscitare dal vivo. Vi è certo più libertà e pochi freni se non quelli che sono stabiliti dal proseguire della partitura, ma in studio si segue il pathos del brano, evocato dal testo affrontato in primo luogo, mai si è scritta una nota seguendo stilemi di genere, Prog o Rock o altro. Io stesso non mi riconosco nella categoria "Prog", nata in anni relativamente recenti. Io cerco di far emergere la passione, i sentimenti, dai cambiamenti di umore, tempi, atmosfere dei vari componimenti. La lezione della musica classica è basilare e fondante. Senza il retaggio e lo studio del passato non si raggiunge nulla in nessun campo. Per lo meno risulta difficile trovare un senso in quel che si fa.
6.   La storia dei Goad affonta le proprie radici nel più classico Progressive italiano degli anni 70 ma sempre con un occhio di riguardo verso tematiche per così dire goticheggianti e soprattutto riferimenti musicali inglesi come Van Der Graaf Generator, King Crimson, Genesis, Procol Harum. Come avete unito questi due mondi e soprattutto credi ci sia nei Goad un tocco particolare che gli permette di essere così attivi ed amati anche dopo decenni dalla vostra nascita?
L'amore per la grande musica prodotta negli anni '60 e '70 , al di là dei generi, ha influenzato di sicuro il sound dei GOAD,  nella misura in cui ogni proposta di valore, di cui hai elencato qualcosa, ha avuto incidenza psicologica e pratica, ha insegnato come scrivere o eseguire etc. Potrei elencare decine e decine di meravigliosi artisti , dai Beatles ai Talk Talk, Keith Emerson, Genesis di Peter Gabriel, da Jimi Hendrix ai Cream di Clapton e Bruce, il mio maestro della chitarra, basso e anche del canto. Credo che se GOAD ha degli affezionati estimatori sia merito del nostro avere una fisionomia personale, un marchio particolare (riferimenti tanti ma con un proprio percorso). Credo che la maggior soddisfazione per un artista qualsiasi sia questo, una identità che ti fa riconoscere fra mille proposte differenti. Niente avviene per caso e  credo che chi ci segue ancora sappia riconoscere quanto lavoro durissimo ci sia dietro i nostri dischi e anche quanto coraggio nel resistere a sirene di altro tipo. E fammi aggiungere anche parlando del coraggio di chi ci produce! Senza produttori "artisti" avremmo soltanto musica perennemente uguale nel cliché e nelle forme.
7.   Nell'attesa dell'uscita dell'album ci vuoi lasciare un messaggio? 
Voglio dire che, per chi già ci  ama, in "Titania" e nel live accluso, troverà molto che riconoscerà con piacere ma anche molto altro di nuovo e forse sorprendente. Se farà confronti con gli altri album ne scoprirà l’unicità. Con Keats voglio dire che "beauty is truth and truth is beauty"!
Tumblr media
0 notes
Il Giardino di Ninfa
Tumblr media
Il Giardino di Ninfa è considerato dal New York Times "Il giardino più bello e romantico del mondo". E’ puramente un’oasi realizzata dalla famiglia Caetani, sulle rovine dell'omonima città medievale, uno splendido esempio di poesia e architettura medievale che sorge in provincia di Latina.
Il giardino raccoglie gli occhi, lo spirito e l’ispirazione di molte creazioni di poeti e scrittori amati della letteratura come Virgina Woolf, Truman Capote, Ungaretti, Moravia che hanno calpestato la stessa terra dove potremmo passare anche noi andando a visitare il giardino!
L’antica cittadina, dove oggi sorge l’oasi, ebbe una vita travagliata a partire già dalla fine del ‘300: spesso contesa da varie casate venne più volte distrutta e ricostruita, oppure devastata dalla malaria di quel periodo. Solo verso la fine dell’800, dopo tanti secoli, i Caetani (che avevano conquistato questo territorio nel 1298) ritornarono sui possedimenti. Ricrearono quasi da capo tutto ciò che concerne l’ambiente naturale, piantando i primi cipressi, lecci, faggi, rose e restaurando alcune rovine, dando vita ad un giardino in stile anglosassone, dall’aspetto romantico. Nonostante ciò, però, il grande fascino che mostra oggi il giardino di Ninfa è dovuto grazie alla sensibilità di Marguerite Chapin e sua figlia Leila.
All’interno del giardino di 8 ettari si possono ammirare oltre 1300 specie di piante tra cui 19 varietà di magnolia, betulle, iris acquatici e aceri giapponesi. A primavera, i ciliegi ornamentali fioriscono creando un'atmosfera fiabesca.
Il periodo migliore per la visita di questo luogo maestoso è sicuramente nei mesi di Aprile e Maggio in cui avviene la fioritura al massimo splendore.
A poco più di un’ora da Roma, non perdere l’occasione di visitare questa meraviglia naturale, soggiornando in uno dei nostri B&B Roma adatto a te! Ci trovi nel B&B Roma centro, a pochi passi dai principali monumenti (e anche da Trastevere!); potrai trovare B&B and breakfast Roma centro.
0 notes
gregor-samsung · 2 years
Text
“ Io racconto storie. E vorrei narrarvi qualche storia personale su quello che mi piace chiamare «il pericolo di un’unica storia». Sono cresciuta in un campus universitario nella Nigeria orientale. Mia madre dice che ho iniziato a leggere a due anni, anche se credo che quattro sia piú vicino alla verità. Sono stata, quindi, una lettrice precoce, e ciò che leggevo erano libri inglesi e americani per bambini. Sono stata anche una scrittrice precoce, e quando ho iniziato a scrivere, intorno ai sette anni, storie scritte a matita e illustrate con i pastelli che mia madre, poveretta, era costretta a leggere, le storie che scrivevo erano in tutto e per tutto uguali a quelle che leggevo. Tutti i miei personaggi erano bianchi con gli occhi azzurri. Giocavano nella neve. Mangiavano mele. E parlavano molto del tempo, di quanto fosse bello che era spuntato il sole. E tutto ciò nonostante vivessi in Nigeria. Non ero mai uscita dalla Nigeria. Non avevamo la neve. Mangiavamo manghi e non parlavamo mai del tempo, perché non ce n’era bisogno. I miei personaggi bevevano litri di birra allo zenzero perché cosí facevano i personaggi dei libri inglesi che leggevo. Peccato non avessi idea di cosa fosse la birra allo zenzero! E per molti anni a seguire avrei avuto il disperato desiderio di provarla. Ma questa è un’altra storia. Tutto questo dimostra, credo, quanto siamo suggestionabili e vulnerabili di fronte a una storia, specie da bambini. Dato che avevo letto solo libri in cui i personaggi erano stranieri, mi ero convinta che i libri, per loro natura, dovessero avere personaggi stranieri, e dovessero parlare di cose con cui non potevo identificarmi. Le cose sono cambiate quando ho scoperto i libri africani. Non ce n’erano molti a disposizione, e non erano facili da trovare quanto i libri stranieri. Ma grazie a scrittori come Chinua Achebe e Camara Laye sono passata attraverso uno slittamento mentale nella mia percezione della letteratura. Mi sono resa conto che le persone come me, ragazze con la pelle color cioccolato e i capelli crespi, con i quali non si riesce a fare code di cavallo, potevano anche esistere in letteratura. Ho iniziato a scrivere di cose che riconoscevo. Intendiamoci, adoravo quei libri americani e inglesi che leggevo. Colpivano la mia immaginazione. Mi aprivano nuovi mondi. Ma l’effetto non voluto è stato quello di non sapere che le persone come me potessero esistere in letteratura. Dunque, scoprire gli scrittori africani ha rappresentato questo per me: mi ha salvato dall’avere un’unica storia su che cosa sono i libri. “
Chimamanda Ngozi Adichie, Il pericolo di un'unica storia, Einaudi (Traduzione di Andrea Sirotti; Collana Vele), 2020. [Libro elettronico]
14 notes · View notes
killiandestroy · 3 years
Text
.
1 note · View note
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Viaggio alle radici del folkhorror italiano in occasione dell’uscita di A Classic Horror Story
L’estate è, tradizionalmente, un periodo fatto di sole, bagni al mare (o escursioni in montagna), giochi all’aria aperta. Ma è anche una stagione particolarmente fertile per tutto ciò che ha a che fare con l’orrore, declinato in mille modi e maniere differenti, accomunati, chiaramente, dalla sensazione di una paura più opprimente della proverbiale canicola estiva.
Ed è proprio in piena estate che, su Netflix, arriva A Classic Horror Story, il “film di paura” di Roberto De Feo e Paolo Strippoli. Se avete visto il full trailer approdato online qualche settimana fa, avrete probabilmente notato che vengono citate in maniera diretta, esplicita, tre figure folkloriche collegate alla nascita della ‘ndrangheta e della malavita più in generale: Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Figure magari conosciute da chi ha una certa dimestichezza con certi luoghi, con certe “fole esoteriche di campagna”, per citare Pupi Avati, ma ignorate dai più. Quegli stessi “più” che, invece, potrebbero conoscere altre storie crepuscolari, notturne che non hanno nulla a che vedere con Osso, Mastrosso e Carcagnosso, e che, proprio come la storia dei fondatori delle società criminali italiane, hanno radici profonde, che scavano in un terreno, quello dello stivale, il cui humus è formato dalla putrescente decomposizione di popolazioni le cui tradizioni, dall’epoca pre-romana in poi, sono più o meno trasversalmente arrivate anche ai giorni nostri.
Nonostante l’Impero romano e la sua caduta. Nonostante il Vaticano. Nonostante il realismo marxista.
Ne abbiamo discusso a lungo insieme a Fabio Camiletti, marchigiano come il sottoscritto, professore associato di letteratura italiana presso l’Università di Warwick in Inghilterra. Camilletti, che ha già all’attivo svariate pubblicazioni sull’argomento, è da poco tornato nelle librerie – virtuali e non – con “Almanacco dell’orrore popolare. Folk Horror e immaginario italiano”, realizzato insieme a Fabrizio Foni. La prima parte di questa articolata chiacchierata è tutta dedicata al concetto stesso di folkhorror e al rapporto che, nello stivale, c’è con esso. Un qualcosa che sembra essere costantemente, ciclicamente rimosso e riscoperto in Italia, dove la relazione con questo vissuto che – volenti o nolenti – fa parte del nostro DNA, ha avuto una storia differente da quella riscontrabile nei paesi di lingua inglese, Inghilterra in primis. La seconda parte sarà invece un vero e proprio viaggio, da Nord a Sud, in quattro storie di folklore horror che potrebbero essere perfette per un film. Così come quella di Osso, Mastrosso e Carcagnosso si è rivelata particolarmente adatta per A Classic Horror Story per ragioni che non staremo qua a spoilerarvi.
Come nasce il tuo interesse verso il folklore italiano a tinte horror? Quali sono le ispirazioni del tuo nuovo Almanacco?
Nel libro si parla esplicitamente del folk horror che, da qualche anno, è un’etichetta ricorrente con una certa frequenza, perlomeno da una decina d’anni da quando Mark Gatiss l’ha usato come termine. Anche se, in realtà, esisteva già e veniva usato negli anni ’80 e negli anni ’70 per indicare una corrente di produzione cinematografica come ad esempio The Wicker Man di Robin Hardy e tutto ciò che aveva a che fare con una produzione di storie esterne al contesto delle città. Da lì è nata la voglia di indagare questo fenomeno in Italia dove comunque esistevano definizioni come quella di gotico pagano impiegata da Pupi Avati o gotico rurale impiegata da Eraldo Bandini. Da qui, insieme all’altro curatore del libro, Fabrizio Foni, abbiamo deciso di optare per una forma, quella dell’Almanacco, che richiamasse anche quella classica degli Almanacchi Bonelli di primi anni novanta, fine anni ottanta, quella forma miscellanea molto libera nell’inserimento dei temi e degli autori. Dall’altro c’era la volontà di giocare con quell’ambiguità che il termine popolare consente in italiano al contrario di quello che avviene in inglese, dove i concetti di “pop” e “folk” sono distinti in maniera netta. In Inghilterra viene naturale accostare la parola “pop” a un contesto urbano – l’etimologia stessa è latina no? “populus” – una cultura calata dall’alto per un pubblico urbano, di cittadini, mentre invece “folk” è un termine d’origine germanica che richiama da subito gli spazi extra-urbani dove l’influenza di Roma – o della Chiesa – non arriva e permangono forme estranee alla città. In Italia è tutto un po’ diverso: basti pensare al rapporto fra città e contado, siamo entrambi marchigiani, pensa al modello della Mezzadria che ha stimolato una osmosi fra il dentro e il fuori. In italiano il rapporto fra il concetto di “pop” e di “folk” è più sfumato e abbiamo deciso di sfruttarlo come una ricchezza. Per quanto riguarda l’interesse personale c’è, chiaramente, quello accademico, però si tratta di un qualcosa che è arrivato dopo, negli anni dell’Università, ma era un territorio, quello del folklore horror, che avevo già iniziato a percorrere perché ho avuto la fortuna di appartenere a quella generazione che ha visto l’ultima fiammata dei fumetti italiani horror splatter, la generazione della Dylan Dog Horror Fest, forse l’ultima generazione che ha conosciuto un certo tipo di libertà creativa di un mondo editoriale che poi è un po’ esploso su sé stesso.
Anche io, nonostante una conoscenza di massima di quelle che potevano essere o non essere le storie del folklore marchigiano, ricordo di aver scoperto molta aneddotica collegata all’orrore popolare italiano grazie gli Almanacchi Bonelli. La prima volta che ho letto del Parco dei Mostri di Bomarzo, la prima volta che ho appreso della sua esistenza è stato proprio tramite un Almanacco di Dylan Dog in anni in cui nessuno lo conosceva e le statue stesse neanche erano posizionate come nel percorso attuale. Adesso se “sbagli il giorno” in cui andare a Bomarzo trovi più fila che a Gardaland. Comunque, rispetto ad esempio al mondo anglosassone – andando in luoghi del Regno Unito puoi quasi toccare con mano l’intima connessione fra la dimensione fantastica del folklore e la geografia stessa dei posti che visiti – quali sono le peculiarità del nostro folk?
Chiaramente in Gran Bretagna c’è stata una vera e propria industria culturale da questo punto di vista. Fin dal dal XIX secolo c’è stata una notevole insistenza su certi temi che sono stati sdoganati anche a livello culturale. C’è stata una riflessione a 360° da parte dei folkloristi, degli scrittori “del mondo della cultura” che ha lasciato tracce molto forti nell’iconografia. Inizialmente, se pensi anche al romanzo gotico non esisteva neanche un’equazione che accostava necessariamente le isole britanniche a quel genere di storie, tanto che, se ci rifletti, Ann Radcliffe e Horace Walpole hanno ambientato le loro opere in Italia o, in generale, nell’Europa del Sud. È stata un’operazione culturale sul lungo termine che ha poi creato questa identità fra certi temi e certi luoghi d’Inghilterra. In Italia è stato tutto un po’ diverso: gli stessi studi di folklore e sul folklore nel corso del XIX secolo, anche sulla base di quelli inglesi, hanno preso una piega molto più storicistica. Non dobbiamo dimenticare il problema dell’unità nazionale e quelle che sono delle componenti ideologiche diverse: autonomismo versus centralismo, il filofrancesismo che tendeva a sopprimere le identità locali in funzione del razionalismo costruito sostanzialmente da zero. Ci sono spesso stati dei problemi di carattere politico e, indirettamente, anche culturale che hanno fatto sì che questi lavori producessero degli influssi più che altro sotterranei e meno visibile rispetto ad altri contesti. L’effetto di ciò – che mi hai confermato anche tu citando Bomarzo – è che si è creata questa narrazione per cui comunque esiste questa che io chiamo “Italia lunare”, seguendo un’intuizione di Ornella Volta enunciata in un articolo del 1971, che è come una specie di mondo “diverso” che soggiace all’Italia ai suoi miti più visibili, quell’Italia che scopriamo sbagliando l’uscita del casello autostradale trovandoci in un angolo impensato, quell’Italia che scopriamo da guide un tempo meno diffuse di oggi e decisamente più eretiche, quell’Italia che scopriamo svoltando un angolo senza saperlo. L’Italia di Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci in cui la morte della Maciara di Florinda Bolkan avviene a pochi metri dall’autostrada attraversata dalle macchine dei vacanzieri, che vanno al Sud da cartolina propagandato dai media dell’Italia del boom economico ignorando che, a pochi metri, esiste un’altra realtà, periferica e lunare, che mette in crisi proprio quel modello.
È una mia impressione o c’era davvero un maggiore distacco quasi razionale da queste tematiche in Italia rispetto alla già citata Inghilterra?
Attenzione però. Non a caso di ho parlato di narrazione, una narrazione diversa. Una narrazione qualitativa, più che quantitativa. Sono sempre molto diffidente verso chi dice che in Italia di queste cose non si parla e non vengono considerate dall’establishment culturale però poi, andando a scavare, troviamo che già gli scapigliati parlavano di certi temi e che esistevano alcune tradizioni ben precise. Ecco, io ritengo che il problema risieda nell’avversativa: è solo un modo diverso di raccontarle, ma in realtà è sempre presente, solo che noi è come se avessimo la necessità ricorrente di dirci che la stiamo riscoprendo. Ed è una cosa che avviene ciclicamente. Pensa ai reportage alla ricerca dell’Italia Misteriosa che – anno dopo anno – continuano a comparire. Pitigrilli, alla fine degli anni cinquanta, pubblicava “Gusto per il mistero”, poi c’è Dino Buzzati che lo fa nel 1965 con I misteri d’Italia, poi nel 1966 tocca alla Guida all’Italia leggendaria misteriosa insolita fantastica, negli anni settanta tocca alle inchieste di Gente, a Leo Talamonti con Gente di Frontiera, negli anni ottanta arriva un ‘inchiesta dell’allora nota come Fininvest, poi gli Almanacchi… Insomma, non è che le cose non ci sono è che, ciclicamente, bisogna dire “sembrerebbe che non ci sono, però in realtà ci sono”. Sai, basta avere un’infarinatura di Freud per capire che anche questo discorso qui nasconde qualcosa: la gioia del riscoprire quello che si sa esserci già. Anche questo è un meccanismo che dà piacere e c’è un ciclico riscoprire che l’Italia non è solo il paese del realismo più o meno neo.
Vero, però sai, parlando del settore dell’intrattenimento, una certa ritrosia si avverte, tanto che quando qualcuno si dedica a storie del genere, in cui sicuramente rientra anche A Classic Horror Story, c’è sempre uno stupore di fondo. Questa ritrosia può essere collegata alla presenza forte dell’elemento cattolico, dello Stato Vaticano e – di converso – alla forte componente di razionalismo marxista, queste due forze opposte che sono finite per avere questo effetto comune?
Sicuramente queste forze hanno avuto un loro peso nel far sì che, ad esempio, un certo tipo d’industria dell’intrattenimento venisse marginalizzata. Ma non dimentichiamo che ci sono stati anni in cui Dylan Dog piazzava 600k copie al mese, o un decennio in cui il cinema italiano era al top per il thriller parapsicologico e l’horror puro. Al netto di tutto ciò, il ruolo della Chiesa cattolica da un lato e del marxismo dall’altro, senza dimenticare il ventennio fascista e il lungo lascito dell’idealismo crociano e gentiliano, sono stati tutti agenti che, in un certo senso, hanno contribuito a una marginalizzazione che, comunque, ha avuto come effetto quello di una corporativizzazione. E ci ritroviamo con un pensatore come Ernesto de Martino che, partendo da premesse strettamente crociane, le mescola con l’interesse per lo spiritismo maturato nella sua giovinezza e in due libri come Il Mondo Magico e Morte e pianto rituale nel mondo antico riesce a fare qualcosa con il folklore e la ricerca parapsicologica che non ha precedenti, neanche in altri contesti compreso quello angloamericano. Per quel che riguarda il comunismo c’è un bellissimo libro di Francesco Dimitri di circa una ventina di anni fa intitolato Il comunismo magico in cui parla sia dei paesi del comunismo reale che in quelli influenzati da esso, dalla sua onda lunga, di come anche il materialismo dialettico e storico sia infestato da fantasmi di vario genere e abbia prodotto i suoi frutti impuri, magari irriconoscibili secondo le categorie del gotico ottocentesco, ma comunque esistenti. Anche autori del “gotico italiano” come Dario Argento, Lucio Fulci, che si dichiarava esplicitamente comunista, Gianfranco Manfredi che militava nella sinistra extra parlamentare, gente che arriva all’horror non “nonostante” la militanza politica, ma attraverso di essa. Il discorso cattolico, specie poi in zone come le Marche che sono appartenute allo Stato Pontificio, ha contribuito a far sì che si sviluppasse una ritrosia per un certo tipo di realtà, quell’incredulità che aumenta quanto più ti avvicini al cuore stesso del potere Vaticano. Però, al tempo stesso, molto del folklore più autenticamente perturbante in Italia non è che lo si trova tanto nelle credenze relative a fantasmi e case infestate e compagnia bella, ma lo troviamo nelle narrazioni dei ritorni dal Purgatorio, che è una cosa su cui la Chiesa stessa non picchia più dopo il Concilio Vaticano II ma per le generazioni dei nostri nonni, e forse anche dei nostri genitori, i resoconti sulle anime del purgatorio facevano parte del pane quotidiano quando si andava al catechismo. O delle apparizioni del diavolo. Quelle sono le nostre storie di fantasmi. In Italia le cose come queste devi cercarle in contesti diversi. Nelle storie del catechismo, nei prontuari dei predicatori, ma anche nell’editoria maggiore senza che queste robe venissero in qualche modo segnalate in copertina con la scritta “romanzo gotico o di fantasmi”, ma in realtà quello erano. Penso a certe opere di Mario Soldati, o anche a un romanzo come Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani che si legge tranquillamente al ginnasio. Sembra una storia sulla guerra e le leggi razziali ma propone una delle descrizioni più efficaci di una seduta fatta con la tavoletta Ouija che ci siano nella letteratura italiana. Una seduta spiritica sta al centro del Fu Mattia Pascal di Pirandello. Nella Coscienza di Zeno. Nel Giornalino di Gianburrasca.
Però appunto, e parlo da amante di questi argomenti da sempre, nelle mie memorie di studente del classico, ricordo bene lo stupore provato nel leggere certe cose nelle opere di autori da cui non me le sarei mai e poi mai aspettate. Non ero mentalmente preparato come quando leggevo le opere di un Conan Doyle, che sapevo essere uno spiritista.
Sì, ed è più efficace, no?
Assolutamente sì.
Perché poi se pensi alle convenzioni del genere, anche alle stesse copertine, all’apparato editoriale che dovrebbe prepararti quando ti avvicini a un opera… E invece quando leggi Il fu Mattia Pascal niente ti prepara a quello. Soprattutto niente ti prepara alla presa di coscienza che, a un certo punto in quella seduta che viene comunque descritta con tutti i toni farseschi e ironici del caso, che quasi si fa beffa dello spiritismo, però a un certo punto qualcosa succede. E quel qualcosa resta senza spiegazione.
La sinossi ufficiale di A Classic Horror Story:
Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c’è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l’incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l’uno dell’altro per cercare di uscire dall’incubo in cui sono rimasti intrappolati?
Girato in Puglia e a Roma e prodotto da Colorado film, A Classic Horror Story è “una classica storia dell’orrore”, come suggerisce il titolo: un omaggio alla tradizione di genere italiana che, partendo da riferimenti classici, arriva a creare qualcosa di completamente nuovo.
A Classic Horror Story è diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli e uscirà su Netflix il 14 luglio.
2 notes · View notes
entheosedizioni · 4 years
Text
Le famose sconosciute: Sylvia Beach, una libraia coraggiosa
Tumblr media Tumblr media
Sylvia Beach [email protected] Beach – il cognome sognante Spiaggia. Doveva piacerle, il suo cognome, alla signorina Beach, quando era solo un’adolescente che fantasticava sul proprio futuro e, magari, riempiva di firme diari e quaderni. Come se il semplice atto di reiterare il proprio nome potesse donargli lustro. Forse le evocava ricordi di vacanze al mare e di tuffi liberatori nell’oceano atlantico. Anche se, data l’epoca nella quale è vissuta, l’avranno certamente costretta ad andare in spiaggia alquanto vestita. Se solo avesse osato indossare un costume vero e proprio, cioè smanicato, scollato e scosciato, allora qualche integerrimo agente yankee della buoncostume l’avrebbe prontamente multata: “Signorina Beach, in spiaggia non ci si può presentare seminude. È una mancanza di decoro. Deve seguirmi in centrale!” Invece, il nome che i genitori le avevano dato, Nancy, non le piaceva affatto. Per questo motivo, decise presto di cambiarselo in Sylvia, ma non ci è dato di sapere il perché. Quello che sappiamo, invece, è che nacque nel 1887 a Baltimora, New Jersey. Fu partorita in una casa parrocchiale. No, non si tratta di una storia scabrosa, dovuta alle licenze di lussuria di qualche incauto prelato. E la suddetta nascita non turbò in alcun modo le coscienze puritane della tarda epoca vittoriana. È solo che Sylvia Beach era figlia di un pastore presbiteriano e di una povera disgraziatacostretta al beghinaggio per il solo fatto di discendere da un’intera generazione di chierici. Il suo retaggio culturale era, pertanto, molto limitato, oltremodo bigotto, e piuttosto opprimente. C’erano tutti gli elementi affinché lei stessa diventasse una monachella, ma un avvenimento cruciale e provvidenziale la salvò da tale mesto destino. Tutta la famiglia dovette, nel 1901, trasferirsi a Parigi perché il padre era stato nominato assistente presso la Chiesa Americana in Parigi. A soli 14 anni, Sylvia venne catapultata dalla provincia nordamericana, culturalmente piuttosto acerba, nella fervente e illuminata capitale francese. Ne subì inevitabilmente il fascino e l’influsso culturale. Anche se, dopo soli cinque anni, dovette tornarsene in America, a causa di un nuovo incarico del padre presso Princeton, il suo legame con la Francia era ormai diventato indissolubile. La vitalità dell’ambiente parigino l’aveva segnata per sempre e il suo orizzonte culturale si andava progressivamente allargando, emancipandola dalla propria famiglia. Divenuta una donna adulta, invece di consacrare la propria vita a Dio, come forse i genitori avrebbero gradito, Sylvia la consacrò ai libri e alla letteratura. Lesse molto, intensamente, famelicamente, febbrilmente e si appassionò allo studio.  Parigi – fascino senza tempo Nel 1916, all’età di 29 anni, il richiamo della douce France si fece talmente forte da costringerla al ritorno. Intendeva studiare letteratura francese. Era ormai una donna adulta, che aveva abbondantemente superato la cosiddetta “età da matrimonio” e, sebbene disponesse già di una dote di 3000 dollari, fornitale dalla previgente madre, non aveva alcuna intenzione di usarla per mercantteggiare con qualche pretendente e poi contrattualizzare la più classica delle unioni coniugali. Non ci pensava proprio a soffocare tutte le sue aspirazioni per dedicarsi ai ruoli di moglie e madre. La sua famiglia sarebbero state le pagine dei suoi adorati libri. Se, negli anni ’20 del secolo scorso, aveste potuto passeggiare lungo la rive gauche parigina, avreste certamente incontrato una ragazzona mora americana, piuttosto alta ma non procace, castigata in abiti austeri, intenta ad aggirarsi per le librerie del posto. Avreste notato il suo volto spigoloso, ma non per questo sgradevole, la sua pettinatura corta e moderna, in relazione ai tempi, i suoi occhi scuri, infossati dietro gli zigomi prorompenti. Occhi severi e profondi, ma anche appassionati e determinati.
Tumblr media
Paul Emile Becat Ritratto di Sylvia Beach Chissà se, vedendola, avreste potuto immaginare che, in capo a pochi anni, sarebbe diventata non solo un’imprenditrice di successo, ma una tra le più nobili mecenati, e una stimata intellettuale. Una donna fuori dal suo tempo, libera, visionaria, illuminata. Una donna – permettetemelo – “eterna”, in quanto capace di comprendere e diffondere il valore eterno della letteratura e di impegnarsi nell’eternare le opere letterarie di cui divenne promotrice. Forse oggi il suo ruolo è stato dimenticato ma, negli anni ’30, Sylvia Beach era un punto di riferimento per un gran numero di personaggi senza tempo. Ve ne cito solo alcuni: André Gide, Ezra Pound, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Gertrude Stein, Man Ray e James Joyce. Quest’ultimo le doveva molto, perché fu lei a pubblicare in Francia il suo “Ulysses” in lingua originale e tradotto in francese, quando era assolutamente bandito negli USA e nel Regno Unito.
Tumblr media
Sylvia Beach e James Joyce Photo@NewYorker A quanto pare, però, il bizzarro autore irlandese disdegnava sia la punteggiatura che la riconoscenza perché, dopo poco tempo, firmò un contratto con un altro editore e lasciò la Beach in pessime ambasce finanziarie. Un percorso costruttivo Le superò e proseguì decisa nel suo intento. Non si era accontentata di diventare una semplice libraia, volle essere la protettrice della letteratura di inizio ‘900, volle essere un’editrice e un’autrice lei stessa. C’è da dire che tutto questo sarebbe dovuto accadere a New York, secondo i suoi piani originari. Ma i costi della metropoli americana erano davvero proibitivi per lei. Pertanto, dovette ripiegare su Parigi e, mi sento di dire, che questa scelta fu la sua fortuna. Perché, probabilmente, la ferocia del nascente capitalismo liberista americano, certamente non priva di una buona dose di misoginia, avrebbe potuto schiacciare, a forza di cinismo e aridità, la sua idea imprenditoriale e condannarla all’insuccesso. La mite atmosfera parigina e la maggiore apertura intellettuale furono il contesto ideale per la realizzazione dei suoi scopi. Non ci fu mai alcun matrimonio per lei e la dote venne investita nella fondazione della libreria “Shakespeare and company”. Una libreria americana nel cuore di Parigi, ornata da una coloratissima insegna e arricchita dalla passione e dalla dedizione della fondatrice. Vi si poteva comprare i testi o prenderli in prestito, dietro pagamento di un modesto nolo. Questa formula fu vincente, dato che erano pochi coloro che potevano permettersi l’acquisto di un volume. Nella libreria di Sylvia trovarono un punto d’approdo tutti i pellegrini della letteratura americana che sbarcavano a Parigi e, più in generale, un gran numero di intellettuali di lingua anglosassone. La loro assidua frequentazione arricchiva di idee e sogni quel posto di ritrovo, rendendolo un prezioso rifugio.
Tumblr media
La libreria “Shakespeare and Company” Photo@Princeton Tutto questo poté realizzarsi solo dopo che Sylvia fece l’incontro più significativo della sua vita. Appena arrivata per la seconda volta a Parigi, con ancora addosso l’uniforme da studentessa, entrò nella libreria di Adrienne Monnier. Conobbe la proprietaria, una ragazza grassoccia e bionda, di quattro anni più giovane di lei, e con gli stessi interessi letterari. Iniziò a frequentare sempre più spesso il “negozietto grigio” della Monnier e lì fece amicizia con André Gide e tanti altri autori. Si rese conto che in città vi era una vera e propria colonia di intellettuali americani “fuoriusciti” e decise di sfruttare l’occasione. Negli anni ’20, gli stessi Stati Uniti che oggi gonfiano il petto quando si pronuncia il termine “libertà”, adottavano una politica di ferma censura contro la libertà d’espressione, vietavano la pubblicazione di molte opere e, in tal modo, costringevano i giovani autori a espatriare per trovare un ambiente consono alle loro aspirazioni. La libreria “Shakespeare and Company” ebbe molta fortuna nei primi anni della sua fondazione ma, dopo lo scoppio della Grande Depressione, iniziarono i problemi. Sylvia Beach si trovò sul punto di chiudere l’attività. Furono i suoi più affezionati clienti a salvarla. André Gide si fece promotore di un’iniziativa di soccorso e fondò un club di lettori. I membri del circolo pagavano una quota fissa di 200 franchi all’anno per poter frequentare la libreria e usufruire del servizio di noleggio dei libri. Dopo soli due anni, la situazione era migliorata e l’attività era salva. Epilogo Poi però arrivarono i nazisti e non ci fu nulla da fare. Nel 1941, l’occupazione tedesca della Francia, fu oltremodo repressiva verso gli ambienti culturali, per motivi assolutamente intuibili. Sylvia subì numerose intimidazioni, fu minacciata dal fuococol quale i nazisti avevano sempre combattuto i libri. Si vide costretta a chiudere la libreria e, per salvarne i tesori, li nascose in un appartamento disabitato, lì vicino. Chiuse la porta a doppia mandata, lasciando i volumi silenziosi a prendere polvere e se ne separò con dolore, mentre veniva condotta in un campo di concentramento tedesco. Per fortuna, essendo una prigioniera politica, fu sottoposta a un trattamento meno oltraggioso di quello che era riservato a giudei e zingari, e non incontrò la morte. Quando venne liberata, tornò a Parigi, ma non ebbe più la forza di riaprire la libreria. Si dedicò alla scrittura di un memoriale, nel quale si trattano gli aspetti più interessanti della vita culturale parigina fra le due guerre. Rimase a Parigi fino alla sua morte, avvenuta nel 1962, non prima di aver subito un tremendo dolore. C’è infatti un altro aspetto della sua vita che è essenziale trattare per comprendere appieno il carattere anticonformista e disallineato del personaggio. Sylvia Beach era omosessuale. Per oltre trent’anni intrattenne una relazione con la persona che influenzò maggiormente la sua esistenza, quell’Adrienne Monnier che le aveva aperto le porte della rive gauche e ispirato l’idea della promozione culturale. La loro relazione si concluse tragicamente nel 1955, a seguito del suicidio della Monnier.
Tumblr media
Sylvia Beach e Adrienne Monnier [email protected] Oggi a Parigi si trova una libreria dal nome “Shakespeare and company”. Si tratta di un’attività diversa, aperta negli anni ’60 da un imprenditore americano e dedicata proprio alla memoria della Beach. Proprio in questi giorni, inoltre, ricorre il centesimo anniversario della fondazione della celebre libreria.
Tumblr media
La libreria “Shakespeare and Company” oggi [email protected] Rosso Groviglio Read the full article
2 notes · View notes
geniogirgentano · 5 years
Photo
Tumblr media
#Repost @casa_editrice_flowered ・・・ Chi ama le biografie delle scrittrici e i classici della letteratura anglosassone? 🥰 #elizabethvonarnim #franceshodgsonburnett #emilybrontë #georgianafullerton #roseleblanc #classicidellaletteratura #libri #leggeresempre #casaeditriceflowered #casa_editrice_flowered https://www.instagram.com/p/Bw2n_1sFHYA/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1mtjjmzb88ns6
1 note · View note