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#sogno capovolto
popolodipekino · 1 year
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mattinale
Discesero fino alla porta del borgo. Passato l'archivolto, la strada prese a dilungarsi verso l'Appia: andò tra uliveti appena argentati dall'alba e proni scheltri di viti nelle vigne. Poi rigirava, come sola, sopra le bagnate spalle del monte. Al primo tornante rigirò pure la veduta. Il Pestalozzi levò il capo un attimo, spense il motore, frenò, fermò la corsa, con una certa cautela: sostò due minuti, da strologare il mattino. Era l'alba, e più. Le vette dell'Algido, dei Carseolani e dei Velini inopinatamente presenti, grigie. Magia repentina del Soratte, come una rocca di piombo, di cenere. Di là dai gioghi di Sabina, per bocchette e portelli che interrompessero la lineatura del crinale, il rivivere del cielo si palesava lontanamente in sottili strisce di porpora e più remoti ed affocati e splendori, di solfo giallo, di vermiglione: strane lacche: nobili riverberi, come da un crogiuolo del profondo. Spentasi la tramontana il giorno innanzi, ecco, ad alternare gli auspici, la bava calda, sulla pelle e sul viso, l'alito gratuito e omai cadente d'una strapazzata di scirocco. Di là, da dietro a Tivoli e a Càrsoli, flottiglie di nubi orizzontali tutte arricciolate di cirri, con falsi-fiocchi di zafferano, s'avventavano l'una dopo l'altra a battaglia, filavano gioiosamente a sfrangiarsi: indove? dove? chissà! ma di certo indò l'ammiraglio loro le comandava a farsi fottere, come noi il nostro, con tutti i velaccini in tiro nel vento. Labili, cangevoli fuste, bordeggiavano a quota alta e irreale, in quella specie di sogno capovolto che è il nostro percepire, dopo il risveglio ad alba, bordeggiavano la scogliera cinerina delle montagne degli Equi, la nudità dealbata del Velino, antemurale della Marsica. da C.E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
(poi ditemi che il pasticciaccio è pesante. sim, é verdade, la lettura non è scorrevolissima, però, per zeus, ci si trovano dentro certe chicche...)
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bibina90torino-blog · 2 years
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5 lunghissimi anni dal mio ultimo post e forse anche dall ultima volta in cui mi sono messa a scrivere perché si sa mettere nero su bianco e come fare a pugni con la propria anima.
Gli avvenimenti sono così tanti così ciclici che non c’è un punto di partenza e uno di arrivo.
Accade tutto così velocemente che in quei pochi momenti di lucidità mi chiedo se davvero ero io ad aver sconvolto , stravolto, capovolto la mia esistenza quando proprio sul più bello avevo trovato la mia libertà. Si fa fatica ad accettare e ancora di più a capire che in questo mondo siamo soli.
Soli e fatti di cose superflue colmiamo ognuno a proprio modo quei vuoti fastidiosi è pesanti che ci fan sentire così sbagliati e così inadeguati a questo mondo che poi chissà che cos’è adeguato per quest’epoca.
Io mi sento esattamente con la testa sotto la sabbia come se mi avessero annebbiato la vista è messa sotto un deserto con il sole a picco a respirare terra e caldo e sto soffocando perché si mi sento soffocare e non penso che possa esserci un altra rinascita in breve penso che sarà in altra lotta un duello infinito dove non ne uscirò mai vincitrice se non imparo a volermi bene e la ricetta per questo unico e raro piatto sono in pochi ad avercela perché sembra assurdo ma anche volersi bene e difficile in questo mondo fatto di apparenza e non di sostanza. La gente pensa di conoscere la tua vita e la tua serenità da due foto sui social quando non hanno la benché minima idea di come stai o di cosa passi ma infondo a me va bene così perché questo malessere io me lo sono cercata ci sono finita dentro con tutte le scarpe e ora mi sento così , fallita , sull’ orlo del precipizio a cercare una mano che mai arriverà perché l unica mano che troverò sarà la mia pronta a sorreggermi e a tirarmi .
Che il cuore possa fare altre mille scelte sbagliate alla testa che per quanto lo ostacola lo segue e a me che sogno ancora come una bambina con mille cerotti addosso ma con ancora gli occhi pieni di desideri
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Benvenuto febbraio!
Per me il 2021 comincia con febbraio, a gennaio mi sono assentata e dissociata da tanti simboli della mia vita: ho letto poco, non ho scritto, non ho dedicato il mio tempo libero alle mie passioni. Ero scarica e mi sono concessa uno dei lussi più grandi che mi potessi permettere: non fare nulla. Oggi, invece, sento di essere pronta a fare di nuovo qualcosa di “mio”, ho letto quattro libri e…
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corallorosso · 3 years
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-Premio per la Libertà e i Diritti Umani, 4 Novembre 2015 (Berna), per aver percorso strade del tutto nuove, integrando i profughi del Mediterraneo in modo costruttivo nel Comune di Riace. -Premio Internazionale della Pace-Dresden-Preis, 12 Febbraio 2017 (Dresda), per aver creato un progetto meraviglioso di convivenza pacifica tra italiani e profughi. -Premio Firenze per le Culture di Pace, 1 Dicembre 2018. -Modello Riace premiato all’Accademia Nazionale dei Lincei “per un’impresa eccezionale di alto valore morale e umanitario”, 8 Novembre 2019. L’elenco potrebbe essere ancora più lungo, ma mi fermo qui… ……………………………………………………………………………………….. A chi pensate appartenga questo profilo? Credo che in molti direbbero, istintivamente, ad un potenziale candidato al Premio Nobel per la Pace. Nulla di più sbagliato! Il profilo appartiene ad uno “spietato” fuorilegge che si è macchiato di associazione per delinquere, abuso d'ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d'asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina ed al quale sono stati dati 13 anni e due mesi di carcere! …………………………………………………………………………………………. Non ho più parole per esprimere tutto il mio dolore e disprezzo nei confronti di un universo capovolto, di una dimensione dove il male è premiato, perché “non costituisce reato”, ed il bene soccombe per colpa di chi “vuole” che i privilegi siano, solo ed esclusivamente, di chi trama, subdolamente, dietro le quinte… “Buoni” di tutto il mondo, occhio! Mala tempora currunt! ………………………………………………………………………………………… “È vero che appartengo alla classe degli ultimi, praticamente zero. In tutti questi anni abbiamo unito le nostre debolezze con tanti altri disperati di ogni parte del mondo. Abbiamo condiviso un sogno di una nuova umanità libera dalle mafie, dal razzismo, dal fascismo e da tutte le ingiustizie” ~Domenico Lucano (Anna Neri)
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patriziacavalleri · 2 years
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Ciò che non sai ancora poeta sgangherato che credi possibile agguantare la luna nel riverbero di una pozza scura cercando di trovare a te solo svelata l’accezione nascosta nel pallido tratteggio di un disco capovolto al cielo, ciò che ancora ignori è la purezza del suono la sua genesi sacra di parola che non sgorga da te come fonte pulita ma attraverso la gola e la tua voce di meretrice scalza, poiché la scura matita che credi trasformata in spada non è niente più di una chiave rugginosa per spalancare il cancello del mondo e rubare parole alla gente spargendo seme sterile in un deserto di sogno.
(-Suoni-)
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pangeanews · 4 years
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“Egli aveva conquistato città e reami; io non avevo preso ancora che delle chimere”. Il romanzo dell’anno? La Storia di Napoleone di Chateaubriand
Di per sé, la vita di François-René de Chateaubriand, fiera nel contrasto, merita un libro. Il grande scrittore pare realizzare, in un fulmine biologico, tutti i contrari, bilanciandoli: aristocrazia e dissipazione, avventura e lusso, desiderio di solitudine e alti incarichi politici, genio letterario e disprezzo dei letterati puri. Chateaubriand – zazzera al vento, sguardo all’infinito, bandana che gli serra la camicia e giaccone spesso – ha vagato tra i boschi dell’America del Nord e ha chiacchierato con George Washington, viaggiò in Palestina, fu Ministro degli Esteri del Regno di Francia, accudì la propria nostalgia con le visite a Juliette Récamier, ispirata salottiera, divinizzata in un olimpico e civettuolo ritratto di Fançois Gérard. Ci sono l’amore e l’abisso, l’ossessione e l’agnizione, la lotta, il genio, il genio del Cristianesimo, in Chateaubriand. Le sue Memorie d’oltretomba hanno trovato, in Italia, un congeniale traduttore in Vitaliano Brancati, che realizzò una scelta di brani da quell’opera oceanica – per Rizzoli e Longanesi – elaborata dal 1811, ovviamente postuma (cos’è la ‘pubblicazione’ per un uomo che ha dominato l’opinione pubblica e lavora su pedane eterne?). Sostanzialmente, il capolavoro di Chateaubriand, in Italia, è illeggibile: edito nei ‘Millenni’ Einaudi a cura di Ivana Rosi e di Fabio Vasarri, in edizione completa (2304 pagine) e di pregio (160 euro), bisognerebbe ridurlo in tomi, in referti antologici, in libri economici. Insomma: da giorni mi leggo un estratto dalle “Memorie”, la Storia di Napoleone tradotta da Orsola Nemi per Sansoni e riproposta ora da Iduna Edizioni, e, beh, è uno dei libri, dei romanzi, mi vien da dire, più belli, avvincenti, totali che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi.
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Questa specie di Alessandro Magno fuori tempo, eroe disarmonico che in torbido promiscuo mescola l’intraprendenza della Rivoluzione all’Iliade, satrapo e affamato, geniale e ingenuo, rozzo, neppure francese, specie di scherzo della Storia (“Bonaparte non era Cesare; non aveva avuto una educazione né sapiente né eletta; semistraniero, ignorava le prime regole della nostra lingua: del resto, che importa, dopo tutto, se il modo di esprimersi fu scorretto?, egli dava la parola d’ordine all’universo. I suoi bollettini hanno l’eloquenza della vittoria”), all’inseguimento di un sogno più che di un palazzo, non può che sedurre Chateaubriand – rientrato nei fatui favori napoleonici per tramite di Elisa Bonaparte –, che lo racconta da pari raccontando se stesso, guardandolo in faccia (“Lasciai l’Inghilterra alcuni mesi dopo che Napoleone aveva lasciato l’Egitto; tornammo in Francia quasi nel medesimo tempo, lui da Menfi io da Londra; egli aveva conquistato città e reami; io non avevo preso ancora che delle chimere”). Sotto il trattamento stilistico di Chateaubriand, fuori dai tomi elogiativi, dai toni polemici, dalle tonalità saggistiche, Napoleone diventa un soggetto di Caravaggio, un’icona faustiana, l’incrocio fatale tra Amleto e Achille. “Vi sono sempre stati due Bonaparte: l’uno grande, l’altro piccolo. Quando uno crede di entrare con sicurezza nella vita di Napoleone, ecco che egli rende spaventevole questa vita”, scrive, quasi subito, Chateaubriand. Entrare in Bonaparte è come compiere l’anamnesi del Minotauro: studiare il potere e la sua catarsi, il miracolo e il mostro.
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Naturalmente, è il momento della caduta che affascina lo scrittore, la decapitazione del dio, la pena miliare – passare dal trono dell’impero a bisticciare con gli uccelli marini in un’isola atlantica, sperduta. “Mai si assisté ad un più completo abbandono; Bonaparte stesso lo aveva provocato; insensibile alle pene altrui, il mondo gli rendeva indifferenza per indifferenza. Come la maggior parte dei despoti, si trovava bene coi suoi domestici; in fondo, nulla gli importava; uomo solitario bastava a se stesso; la sventura non fece che restituirlo al deserto della sua vita. Quando raccolgo i miei ricordi, quando rammento di aver veduto Washington nella sua piccola casa di Filadelfia e Bonaparte nei suoi palazzi, mi sembra che Washington nel suo campo della Virginia, non doveva provare i rimorsi di Bonaparte in attesa dell’esilio nei suoi giardini della Malmaison. Nulla era cambiato nella vita del primo; tornava alle sue modeste abitudini; egli non si era innalzato al di sopra della felicità dei contadini che aveva affrancati; nella vita del secondo, tutto era capovolto”. Di Chateaubriand – al di là del soggetto particolare – conquista lo stile, spezzato, sprezzante, come di un’ascia che scintilla all’aria, simile a un viso infante, e deforma il legno in una canoa, bella come uno sguardo. 
*
La sagacia psichica, il solare cinismo di un uomo che ha valicato foreste come salotti, non smette di stordirmi: “Una delle cose che più ha contribuito a far odiare, ancora durante la sua vita, Napoleone, era la sua tendenza ad invilire tutto: in una città in fiamme, accoppiava decreti sul ripristino di una compagnia di commedianti a provvedimenti che sopprimevano una monarchia; parodia dell’onnipotenza di Dio, che regola le sorti del mondo e di una formica”. E poi l’accuratezza nel definire, con corrusca sapienza, il destino di ogni briciola, perché tutto, al mondo, pietra e promessa, consuona; e qui, a differenza di quando parla di creature mortali, il ritmo di Chateaubriand muta, è più ampio, dedotto in golfi verbali. “Se si indagasse la storia delle trasformazioni dei luoghi resi illustri da tombe, da culle, da palazzi, quale varietà di cose e di destini si vedrebbero poiché tali strane metamorfosi si operano fino nelle oscure abitazioni alle quali sono annesse le nostre misere vite! In quale capanna nacque Clodoveo? Su quale carro venne alla luce Attila? Quale torrente copre la sepoltura di Alarico? Quale sciacallo occupa il luogo del feretro d’oro o di cristallo in sui è chiuso Alessandro? Quante volte quelle polveri hanno cambiato posto? E tutti questi mausolei dell’Egitto e delle Indie a chi appartengono? Dio solo conosce la causa di quei mutamenti legati a misteri dell’avvenire: vi sono per gli uomini verità celate nella profondità dei tempi; non si manifestano che con l’aiuto dei secoli, come vi sono stelle così lontane dalla terra che la loro luce non è ancora arrivata sino a noi”. Ma era un altro mondo, quello, che vedeva nei secoli l’esito di un patto; un mondo in cui gli uomini si sentivano re e vagabondi e non foraggio del caos, ispirati da un brano di Ammiano Marcellino o da una visione del Popol Vuh – potevano crescere come alberi o svanire, come velieri. (d.b.)
*Jean-Léon Gérôme, “Bonaparte al Cairo”, 1863
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circusfans-italia · 4 years
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PAGINE DI CIRCO: la Memoria del '900
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  Questa settimana propongo una selezione particolare di romanzi, accomunati dall'aver affrontato una pagina specifica della storia del secolo scorso: la tragedia dell'Olocausto. Nonostante la drammaticità del tema, la trattazione è sempre di facile lettura e interessante, ovviamente differente caso per caso, per modalità, stili, punti di vista, narrazione, ambientazione...
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Oltre al già citato "Il clown e la cavallerizza" di Ingeborg Prior (Pagine di Circo del 10/04/2020), ecco altri tre titoli. Athos Bigongiali "Il Clown" (ed. Giunti, 2006) Un attore comico ormai sul viale del tramonto viene coinvolto come consulente per un misterioso progetto cinematografico: il remake della pellicola del grande Jerry Lewis (incompleta, inedita e andata perduta), che raccontava la storia di un clown imprigionato in un campo di concentramento nazista, dove sfrutterà poi le sue doti per cercare di divertire e distrarre i bambini ebrei ivi presenti…
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-- -- -- Come è noto le vittime del nazismo non sono stati solo gli ebrei. Allo sterminio del popolo Rom (Porrajmos) sono dedicati questi due libri: uno è l'autobiografia di un sopravvissuto, mentre l'altro è un romanzo di fantasia, che tratta l'argomento alla lontana insieme ad altri temi sociali. Raymond Gureme, con Isabelle Ligner "Il piccolo acrobata" (ed. Piemme, 2012) L'autore, un gitano francese, narra la storia della sua vita, dalla nascita nel circo di famiglia, alla prigionia nei campi tedeschi, alla libertà. Nel primo capitolo in particolare descrive la sua infanzia di circense: una interessante testimonianza storica sui repertori e spettacoli presentati negli anni Venti/Trenta del secolo scorso.
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Milena Magnani "Il circo capovolto" (ed. Feltrinelli, 2008; ed. Kurumuny, 2019) Una storia di emarginazione sociale, pur con segnali di speranza, ambientata in un campo nomadi ai margini di una grande città italiana, popolato da rom e profughi di varie nazionalità, con storie diverse alle spalle. Originale il punto di vista della narrazione, condotta in prima persona dall'ultimo arrivato, un gitano ungherese, in fuga dopo essersi vendicato di chi tradì la sua famiglia ai tempi del nazismo. Porta con sé gli attrezzi che è riuscito a recuperare del glorioso circo di suo nonno, di cui narra la storia ai bambini dell'accampamento, che incuriositi e affascinati, avvicinandosi alle discipline circensi impareranno a credere in se stessi. Un particolare stilistico interessante: i dialoghi sono resi più vivaci grazie all'inserimento di numerose parole, frasi ed espressioni in lingue e dialetti differenti (dall'ungherese, al rumeno, all'albanese).
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Degno di nota l'omaggio dell'autrice ad alcuni circensi italiani da lei coinvolti durante le sue ricerche: il libro è dedicato "a Roldano Biasini e Olimpia Della Veglia, a Romi e Angelo, per quel trapezio conservato come un sogno". Inoltre, nei ringraziamenti cita: "gli amici del Circo do Brasil e Gerardi Jasmin, per la sincera accoglienza; la famiglia Biasini, per la magia dei racconti e l'ospitalità indimenticabile"... Francesco Farnè Se questo articolo ti è piaciuto condividilo sui tuoi social utilizzando i bottoni che trovi qui sotto Read the full article
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klimt7 · 5 years
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Aquiloni a Cervia
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Ci sono aquiloni oggi nel cielo.
Aquiloni ondeggianti  sul mare profondo, ch'è il cielo di fine aprile.
Ci sono invisibili fili che li tengono ancorati a questa distesa di sabbia e di mare.
Li guardo, e il mio sguardo corre al doppio ordine d’onde, che s’infrange su questa spiaggia. I colori decisi, incisi nel vento, a tremolare su in alto, e le onde, che instancabili, mi sfiorano i piedi.
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Sto sospeso fra onde e colori mentre penso a come negli occhi di certe persone, sempre volino fiammeggianti aquiloni.
Un bisogno di vento negli occhi.
Una fiamma che splende in silenzio.
Bandiere, boe galleggianti, a segnalare la presenza del sogno.
Son questi gli aquiloni che so scorgere negli occhi delle persone.
Mi stendo sul tepore di sabbia ed avverto sotto le spalle e la schiena, la solida consistenza del mondo.
Ma basta fissare per cinque minuti uno di questi aquiloni, e tutto si capovolge!
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Il pavimento dell’universo sta al di là dell'azzurro.
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Il cielo del mondo s’è capovolto ed io, adesso,  sto aggrappato al pianeta, sospeso ad un passo dal precipitare.
Basterebbe ben  poco:  un movimento appena, un impercettibile lasciarsi andare e potrei scivolare laggiù, in quel vento che sostiene quei colori e quei sogni.
Chiudo gli occhi accecati da una vertigine di luce che scoppia dentro...
Potrei precipitare all’infinito in quel lago d’azzurro.
E più cado nel cielo, più sprofondo dentro me stesso e più m’immergo nel sole. 
Nessuno potrebbe afferrarmi.
Galleggio!
Palloncino colorato di giallo
che s’infila nel cielo
al richiamo del giallo del sole.
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E dentro il bagliore
dentro i miei occhi chiusi
divento visione...
pura visione!
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Colore che vibra, che respira,
che brilla fino a toccare un punto
dentro di me, che ha il calore
del sole.
E infine, nell’universo che rotola
e si capovolge
sono io che infine, mi vedo:
uomo volante, incantato, sospeso
tremolante nel vento,
tenuto in volo e guidato
per un esile, ma tenace filo
dal suo mondo-aquilone...
il mondo interiore. 
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Chissà se coloro che non sanno cosa esiste fuori le porte del proprio mondo ogni tanto vengono presi da un momento di sconforto in cui immaginano cosa potrebbe esistere. Mi chiedo se queste persone ogni tanto si perdono nella realtà per ritrovarsi nel sogno. Mi chiedo se qualcuno di loro, alla fine, ha capovolto le cose e ha trasformato il sogno in realtà, come me.
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Sono qui, ti dispiace se resto? Ti racconterò storie confuse dal sonno. Sai di quella nave e quel mostro sputafuoco? Quella principessa e la strega arsa al rogo? Conosci la mia storia? Se vuoi te la racconto, parla di un sogno ad occhi aperti col finale capovolto.
Gloria (@biscottoalcioccolatoblog)
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qualchestolto-blog · 5 years
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INTRODUZIONE:
Nel bel mezzo del cammin di Vostra vita, vi ritrovate in una selva non troppo oscura, anzi, è un pacifico boschetto di campagna, in una bella giornata di sole d'autunno - adattate la vegetazione alla latitudine che vi è più familiare - resta il fatto che la retta via pare smarrita.  Dopo un bel po’ di camminare, in quell’attimo intermedio e neutro tra la rilassatezza e il principio d’angoscia d’esservi persi, incappate in una cabina elettrica, un piccolo e comune edificio a forma di torre, vecchio e avvolto dalla vegetazione, da chiome e rampicanti. La porta è stranamente socchiusa e, ancor più strano, invitante e irresistibile ad entrarci. Varcate l’uscio. In un angolo dello stabile c’è una scatola di cartone inspiegabilmente immacolata, rispetto agli interni cadenti e il pavimento lurido, la quale richiama la vostra attenzione. La aprite. All’interno, con grande sgomento, vi trovate la vostra stessa testa priva di collo e di corpo. Essa ricambierà il vostro sguardo e vi annuncerà di stare per rivelarvi due terribili verità ed una impietosa bugia. Se scegliete di distogliere lo sguardo ed andarvene via subito, una volta usciti proverete un lieve senso di assopimento e vi sveglierete un istante dopo a casa vostra; sarà stato solo un sogno. Se scegliete di restare ed ascoltare, l’esperienza sarà reale in tutto e per tutto; le rivelazioni avranno peso nella realtà.  Appena guarderete altrove, testa e scatola spariranno; quando uscirete, ritroverete subito la via di casa.  Come è consuetudine per le faccende paranormali, quasi nessuno al mondo vi prenderà sul serio, se mai ne parlereste. Se decidete di ascoltare, non potrete farne a meno: anche se fuggireste nel mentre, la voce della testa vi raggiungerà e capireste comunque ogni singola parola. Non c’è modo immediato per distinguere delle tre profezie quale è quella menzognera.
Che fate?
A) Restate ad ascoltare. B) Smettete di guardare e ve ne andate
Complice un singolare fenomeno di atavismo, una volta qualche Stolto, immaginate: un giovane uomo abitante delle verdeggianti, a tratti anche selvaggie, ma inquinate prealpi lombarde, scelse la seconda opzione.
Smise di guardare e una volta varcato per la seconda e ultima volta quell’uscio discretamente invitante che ora dall’interno aveva perduto tutto ciò che lo Stolto vi ci aveva trovato di allettante, iniziò ad assopirsi nell’arco di quelli che parvero, dalla prospettiva spiritata della testa inscatolata e da quella adamantina del cemento del gabbiotto avvolto di piante, decenni.  Alla loro vista, pareva una manica vuota riempita dal vento che s’affloscia perchè quest’ultimo sta venendo meno, però in questo caso calando giù alla stessa velocità con cui si innalza e si dirama un albero secolare.  L’edificio di quadrelli di cemento e colate era moderatamente stizzito, perchè avrebbe passato una ulteriore quantità di tempo in quel limbo di quasi-esistenza, tempo che peraltro l’edificio si ritrovava non disposto d’organi appropriati per percepire nel suo passaggio. Certo, usando qualche calcinaccio caduto per volta e qualche conticino, avrebbe potuto stimare la sua età anagrafica ma comunque rimaneva un compito al di là delle sue possibilità in quanto, nuovamente, non disponeva di organi adatti a contare o quantomeno conoscere la quantità di intonaco che lo ricopriva, o che giaceva attorno a lui; beffa al danno, non conosceva neppure le sue dimensioni.  Si sentiva un po’ pesante poichè a poco a poco le sue fondamenta parevano sprofondare nel terriccio bruno sotto l’erba ai suoi piedi, ma nulla più di questo.  Quante volte, quanti stolti avevano sognato o vissuto di varcare la sua soglia?  Al gabbiotto parevano tante, ma con prudenza si astenne dal darsi risposta in quanto si sentiva sì un po’ cadente, ma di certo non un rudere, desumendolo proprio da questo sprofondamento che continuava e anzi, pareva accelerare.  Se fosse stato un rudere, i suoi pezzi mancanti lo avrebbero alleggerito e lo sprofondamento sarebbe diminuito.  Come tutti i suoi simili nell’universo, se non altro, non era uno sciocco e percepiva la fugacità apparente della gravità, che nel suo caso non era abbastanza forte da farlo crollare su se stesso, aveva difatti una pellaccia bella solida, di quadrelli e cemento armato;  comunque la gravità, strana apparenza fisica causata dalla enorme massa sottostante l’edificio, fino al suolo capovolto ben più sotto, sfogava lo stesso, nell’unica possibile via, il suo impeto così limitato dalle altre forze che con lei albergano nello spazio, cercando di portarselo giù, sempre più giù, in basso.
Quale verso è il Basso?  Ahinoi, ci sono una manciata di risposte a questa domanda, diverse tanto quanto le cose nell’universo e le loro mille opinioni sullo stesso, anche se il nostro trio, Stolto, Gabbiotto e Testa, condividevano la risposta, il giù dove si cade.  Gabbiotto era sempre stato un tipo da ampollose speculazioni di filosofia naturale e di fisica, avendo così carenza di organi necessari a sentire il cosmo oppure i suoi immediati paraggi;  lo Stolto, bè!, lui si gettava similmente a capofitto in codeste speculazioni ma non ne traeva altro scopo più nobile dell’appagamento di un viscerale narcisismo.  Testa, invece, aveva ben altri problemi a cui far fronte, perciò non si chiedeva neanche per sogno in che direzione sarebbe caduta se il pavimento e la scatola di cartone fossero mancati sotto di lei.
Per equanimità, è doveroso quantomeno accennare alla drammatica condizione esistenziale di Testa.  Ella (o Essa) non ha sesso se non quello grammaticale, che varia pure da un’idioma di Stolti all’altro;  non ha un’aspetto definito e una bagaglio di conoscenza isolabile, infatti le sue profezie e i suoi tratti mutano con il variare dello Stolto avventore - è a malapena distinguibile da tutto ciò che fisicamente la circonda in quanto entità. Beffa al danno, non è neanche una entità le cui proprietà sono abbastanza usuali nel cosmo, pertanto si può facilmente intuire a quali difficoltà vada Ella (o Essa) incontro nella sua quasi-esistenza: pensare che si sente persino in colpa di eventualmente star bloccando il possente Gabbiotto in questo limbo che forse non è neanche parte dell’universo, o forse sì.
Insomma, sono faccende spinose la cui analisi giova a fatica all’umore e che travalicherò, seppur con grande rammarico.  Di una cosa siamo certi: lo Stolto esiste, non quasi-esiste.  Con tracotanza decise di non guardare o ascoltare ulteriormente Testa e di risvegliarsi a casa sua, come al solito bighellonando in sogno, carente di rispetto, in reami e al cospetto di quasi-esistenze probabilmente ben più pensierose di lui.  Con la gonfia spensieratezza di una galassia che fa le spallucce perchè il suo turbinio lancia una per lei piccola ed innumerevole stella ed i suoi pianeti nel vuoto intergalattico, lo Stolto si alza dal materasso sul quale si era addormentato qualche ora prima.  Questo Stolto durante la notte sudava e dunque procede a lanciarsi scriteriatamente nel vano della doccia per stroncare in un sol colpo di rubinetto appiccicume e assonnatezza. Mentre si lavava via l’odore del bosco e di quell’edificio nel sogno, sotto la cataratta tiepida di gocce, nella sua testa due occhi di un colore castano rossiccio, si insinuano come un cavatappi nel sughero, scricchiolando sordamente. Un punto nero con intorno il colore della terracotta unta o della ruggine bagnata, o il legno chiaro con sopra la gommalacca, il colore di una castagna timida e rotondetta in un riccio bianco e senza spine, circondato da qualche petalo nero filiforme e una pelle che non si può capire se esser più morbida a guardarsi, toccarsi o baciarsi.
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entelechia · 3 years
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C'è chi prevedeva la fine del mondo per il 2021, e magari aveva ragione
Forse lo scopo del 2021 è mettermi davanti alle mie paure più grandi. Perdere qualcuno, rimanere sola, dovermi rimettere in gioco, dover dimostrare chi sono, guardare gli altri di due passi avanti a me e chiedermi dove sono diretta e cosa voglio, dover rimettere a posto le mie paure, le mie manie, le mie mille malattie. Quest'anno il mio mondo si è capovolto, la paura di perdere mio padre, il fallimento dei miei sforzi per il mio lavoro e la mia relazione, tutto quello in cui avevo buttato energia che mi si è sgretolato tra le mani. Le scosse di assestamento del mio terremoto personale continuano a esserci e ogni tanto mi tremano le ginocchia e penso che non sono affatto più forte di prima. Pensavo fosse un processo più radicale, più trasformativo... Ti aspetti di sentirti diversa, e invece alla fine con il dolore e la paura capisci che andare avanti è solo conviverci, un po' meglio. Che solo non restare ferma tra le macerie ma spostare i piccoli massi che ti bloccavano, è già una vittoria. Per ricostruire nuove fondamenta ci sarà tempo. Continua a essere l'anno più difficile che abbia mai affrontato. Mio padre sta male ma io non smetto di litigarci, un po' perché mi fa preoccupare come vive e un po' perché parte dei miei difetti so che li ho presi in eredità, e so che questa cosa prima o poi mi farà andare a terra oppure farà andare a terra chi mi ama, perché io so cosa quei difetti hanno fatto e fanno a me. Forse un po' do la colpa a lui per le cose che non riesco a cambiare di me. So che non serve a nulla, cerco solo di capire la mia rabbia. Cercherò di provarne meno, spero di provarne sempre meno e che di me resti solo un flusso di sentimenti risolti, che chi ci inciampa possa solo stare meglio. Mi sono stancata di far star male le persone intorno a me, voglio essere felice e che chi va via da me possa farlo essendo un po' più felice di prima. Non mi sono impegnata molto in questa pratica, nell'ultimo anno, ma spero di esserne ancora capace.
Sapete c'è sempre uno spazio speciale e immacolato per la speranza, durante i momenti più duri. E più che per la speranza, per il futuro, per quei sogni ad occhi aperti che tornano a far parte di noi, a bussare alla porta della sera, magari con scene che avevamo accantonato o mai preso in considerazione. Piccole cose. Io che do il bianco in una casa nuova, un viaggio con zaino e tenda, un nuovo animale che entra in famiglia, io che cucino il dolce a Natale e la tavola è piena di gente e ridiamo tutti senza preoccupazioni, io che mi alzo entusiasta di andare a lavoro, una lezione di prova di uno sport che non proseguirò mai, l'amore della mia vita che mi sfiora la pancia mentre balliamo in salotto, io che piango mentre la mia migliore amica si sposa. Il futuro luminoso che è sempre lo stesso e sempre lì, solo che rimane oltre l'ostacolo. E forse è naturale sia così, cerchiamo sempre il punto più buio per guardare una stella che cade e esprimere un desiderio. Il sogno ha bisogno di un po' di oscurità.
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sebastiandrogo · 3 years
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Un neonato gioca con gli esplosivi
Il nostro cilicio, il nostro sacrificio
buttarsi in un mare di carta straccia
abbracciando con senso di sfida
un destino dai denti aguzzi
succhiare sangue da facce idiote che
circondano il buio e il freddo
sporcano ogni cosa con le loro mani unte
di notte fonda e scema
il dolore che attanaglia le viscere
il relativismo scettico è un altro modo
per non guardare più la tv
forse il pensiero più assurdo è quello che
meglio spiega un’intera vita spesa male
non vi è nessuna relazione particolare
fra morire e nitrire a parte per i cavalli
nel crepuscolo qualcosa inizia a muoversi
inameno luogo teso a nuocere
gravemente a qualche ignaro passante
tanti sono i gesti irreparabili
prendere un gelato che vi gela il sangue
perché i globuli rossi non sono per il
comunismo delle siringhe e i donatori
di sangue hanno il loro punto di vista
potrebbe essere l’unica soluzione finale
la morte ma chi l’ha detto che poi bisogna
morire e magari sanguinare prima
forse è tutto un sogno che circola
fra quelli che dormono e non si svegliano
neanche con le cannonate
qualcosa di peggio simboleggiato da un sole
che da nero evapora e scompare
in un cielo senza stelle che pare l’undici
settembre dello spirito
entrare e uscire dal mondo è come chiedere
ad un neonato di giocare con gli esplosivi
finire prigionieri di una cella ampia come
il mondo che ci circonda e si fa beffe di noi
pure girandole chimiche come lucciole
in un bicchiere capovolto che attendono
l’alba per smettere di brillare
in un campo minato quello che salta in aria
non è il più fortunato e piange le sue gambe
maciullate e il macilento mattino porta con sé
ragni rannicchiati nelle borse della spesa
è solo una questione di tempo
avverso che si metta a piovere.
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Ben ritrovati lettori, e con grande emozione che oggi vi voglio parlare del libro che ho avuto la fortuna di leggere tramite il reclutamento recensori sponsorizzato Oscar Vault Mondadori sulla loro pagina instagram. (@oscarvault) La recensione di oggi è sul libro Il regno capovolto di Marie Lu. Volete immergervi insieme a me in questa ennesima lettura all'insegna dei libri? Allora direi di cominciare l'immersione... EDITORE: Mondadori GENERE: Fantasy storico PAGINE: 348 DATA DI USCITA: 2 febbraio 2021 TRAMA NATA CON UNO STRAORDINARIO DONO musicale, la piccola Nannerl Mozart ha un solo desiderio: essere ricordata per sempre. Ma, anche se incanta le platee con le sue straordinarie interpretazioni, ha poche speranze di diventare una celebre compositrice. È una ragazza nell’Europa del Diciottesimo secolo, e ciò significa che comporre per lei è proibito. Suonerà fino a quando avrà raggiunto l’età da marito: su questo il suo tirannico padre è stato ben chiaro. Ogni anno che passa le speranze di Nannerl si fanno più sottili, mentre il talento del suo amato fratellino Wolfgang diventa sempre più brillante, e finisce per oscurarla. Ma un giorno giunge un misterioso straniero da una terra magica, con un’offerta irresistibile: può far diventare il sogno di Nannerl realtà. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere altissimo. Nel suo primo romanzo storico, l’autrice bestseller del “New York Times” Marie Lu intesse una storia rigogliosa e poetica che parla di musica, magia e dell’indissolubile legame tra un fratello e una sorella. RECENSIONE COMPLETA SUL BLOG immersinelmondodeilibri.home.blog   https://www.instagram.com/p/CLmnB9IHabl/?igshid=8fswb639hick
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robertacastellani · 3 years
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IL SOGNO RICORRENTE, TUTTI LO ABBIAMO (é lungo ma è interessante, da ragionarci).
Ognuno di noi è perseguitato da un sogno ricorrente. Si presenta ciclicamente, a cadenza più o meno regolare da quando abbiamo cominciato a sviluppare una minima consapevolezza del nostro inconscio. Solitamente si innesta nei nostri sogni quando ci addormentiamo cullati da qualche ansia o preoccupazione residuata dal giorno che si sta spegnendo. Così, giusto per rovinarci la possibilità di riposo della notte e farci svegliare la mattina con l'unico desiderio di far annegare dentro la tazza di caffè le borse nere che ci ha lasciato in regalo sotto agli occhi, il tutto mentre il Canale 67 manda qualche hit del momento troppo rumorosa per essere solo le sei del mattino. Eppure ci sono stati giorni in cui anche tu hai apprezzato quelle note ritmate, pensi, ma in mattine come queste quella possibilità gioiosa ti risulta essere così remota.
Il sogno che mi assilla, vi chiedete? Ha fatto la sua prima apparizione quando avevo poco più di sette anni. La mia vita nel mondo scolastico era ancora ai suoi albori e credo che, questo sogno, abbia influenzato di fortemente la mia carriera da studente e lavorativa anche negli anni a seguire. Sogno di essere in classe, prima ora, quando in aula aleggia ancora il freddo della notte. Programma del giorno: compito in classe di matematica. Banchi già divisi in singole file, perfettamente distanziati l'uno dagli altri. Tensione palpabile nell'aria. Si attende il suono della campanella. Trilla all'improvviso, sconquassandomi le viscere. Mal di pancia, colica addominale: una reazione scatenata dal mix del freddo, del caffelatte cha la mamma mi costringe a bere ogni mattina e dell'agitazione. La maestra consegna il foglio del compito, girato, “Tenetelo capovolto fino a quando non ve lo dico io”. Tensione. L'intestino si contorce sempre di più. INIZIATE, un'ora da adesso. Giro il foglio. Sono dieci esercizi con il corrispettivo spazio per risolverli. Leggo il primo, caspita come si fa? Niente panico, ci ritornerai dopo Roberta. Leggo il secondo: vuoto. Leggo il terzo, men che meno. Non so come affrontare nessuno dei dieci esercizi: e adesso, che faccio? Cosa diranno i miei genitori? Mi guardo attorno, tutti gli altri scrivono freneticamente, sicuri,concentrati mentre eseguono i calcoli contando le dita sulla punta del naso. Come è possibile che non riesca a risolvere nemmeno un problema? A casa riuscivano. È passata mezz'ora. Uno dei miei compagni ha terminato la prova e consegna. C'è ancora tempo. Anche un altro e un altro ancora consegna. L'ansia aumenta. Il tempo sta finendo. “Mancano cinque minuti al suono della campanella ragazzi, cominciate a controllare per la consegna”. Tutti i miei compagni si affrettano e chiudere il foglio protocollo. Io rimango seduta al mio banco, mi sento così piccola mentre tutti gli altri sono in piedi e raggiungono la cattedra. DRIIIN, tempo terminato “Consegnate!”. Sono perduta, spacciata, ho fallito. La maestra mi si avvicina e mi guarda con aria grave: “Come mai non hai finito il compito Roberta, che delusione!”.
Mi sveglio. Batticuore. Per fortuna era solo un sogno e non avrei dovuto affrontare mamma e papà con un INSUFFICIENTE sul libretto. Perchè alla fine, quando sei piccolo, è il parere di mamma e papà quello che conta.
Ecco, questo è il sogno che, crescendo, si è modificato nei piccoli particolari in base alla vita che stavo vivendo in quel momento. Cambiavano i compagni: quelli delle media, delle superiori, università. La maestra diventava il professore più temuto dell'esame più ostico. L'aula ed i banchi però sono rimasti sempre gli stessi , addirittura i disegni a tempera appesi sui muri.
L'ultima volta che il sogno è riapparso è stato circa una decina di giorni fa. I compagni erano i miei colleghi, tutti con il proprio camice ed in tutina verde. Il compito sempre lo stesso: matematica e dieci esercizi. La terribile campanella, le coliche addominali e lo strutturato serio che scandisce il tempo. Che ansia. Solo che ora si parla della vita o della morte. Tic toc, tic toc. È finito il tempo ed il mio foglio è ancora vuoto, i miei colleghi sono già usciti tutti dall'aula. Qualcuno si avvicina al mio banco, alzo la testa e di fronte a me non c'è né la maestra, né il professore, né lo strutturato, ma mia madre che con aria seria mi dice: “ Non hai finito il compito Roberta, sei proprio una delusione!”.
Mi sono svegliata. Batticuore. Forse della psicoterapia mi potrebbe aiutare, bislacco, ragiono.
Poi penso a mia sorella (Giulia Castellani)ed al suo sogno ricorrente: Elvis Presley che balla e canta nel suo completo frangiato in pelle bianca. Glielo invidio.
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intotheclash · 6 years
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La vera storia del sasso Orlando
 No, non è la solita storia del principe di turno valoroso e bello, con gli occhi azzurri e la folta chioma dorata, che, in sella al suo fido destriero, rigorosamente bianco, infilza draghi con la sua lancia e conquista il cuore di principesse belle quanto lui, se non di più.
Decisamente no!
E, tanto per essere chiari, non è nemmeno la storia del fido destriero in questione, magari meno del principe, ma pur sempre valoroso.
 Non posso neanche dire che sia un altro animale il protagonista assoluto di questo racconto, un animale qualsiasi, uno di secondo o terzo piano, che raramente riesce a far parlare di se; ma quando lo fa… Dico: quando lo fa, allora… Si ma quando lo fa?
Purtroppo neanche questa volta.
A dire il vero, questa è la storia del sasso Orlando, avete capito bene si, un sasso, e del suo luminoso sogno di viaggiare.
Orlando non era un sasso qualsiasi. Non era grosso come un montagna, sono d’accordo, ma neanche piccolino come quelli che, chissà come, ti si infilano nelle scarpe e non ti permettono più di camminare.
 Orlando era grosso più o meno come un pugno, non un granché osserverete voi, si ma era…
Era… Avete vinto, vi dirò la verità: era decisamente un sasso qualsiasi. Uno di quei ciottoli di fiume belli levigati che hanno milioni, ma che dico: miliardi di fratelli, tutti levigati e tutti uguali. Però abitava in un posto meraviglioso e in più aveva un grande sogno e questo si che lo rendeva speciale. La sua casa era una minuscola collinetta situata esattamente al centro di una verdeggiante radura circondata da un fitto bosco di querce secolari.
 Il posto era veramente incantevole ed era anche un crocevia di passaggio per tutti gli animali della zona e non solo.
Chiunque passava di là si fermava sempre volentieri a fare quattro chiacchiere col sasso Orlando che, da parte sua, era un ascoltatore formidabile.
Si ma che altro potrebbe fare un sasso se non ascoltare?
Potrebbero obiettare alcuni di voi.
Non so esattamente cos’altro potrebbe fare un sasso, non sono mica uno di loro io, però una cosa la so.
So che saper ascoltare è una gran bella dote, riservata soltanto a pochissimi eletti.
 E ciò gli amici lo sapevano bene, infatti tutti, ma proprio tutti, avevano sempre storie nuove da raccontare all’amico sasso.
E Orlando ascoltava rapito, bevendosi avidamente quei fiumi di parole e uscendone, ogni volta, più assetato di prima. La sua più grande passione, anzi, le sue più grandi passioni, forse è meglio il plurale, erano i racconti di avventure e di viaggi.
Era capace di stare, ore ed ore immobile e senza respirare, a passeggiare sul filo del discorso, senza mai inciampare e senza cadere.
Come ho già detto tutti i viaggi lo emozionavano, persino quelli della lumaca Clementina, che, per sua natura, di strada non doveva averne fatta poi molta.
 «Certo che deve essere proprio bello!»
Disse un giorno Orlando con quella sua vocetta stridula al corvo Oreste, il quale, colto alla sprovvista da quell’inaspettato suono, rotolò all’indietro, perdendo nella caduta anche tre o quattro delle sue amatissime piume nere come una notte senza luna.
«Che mi prenda un colpo secco! (E quasi gli venne davvero!)» Gracchiò il corvo, «Ma allora tu sai anche parlare!» Giacché era la prima volta in assoluto che la voce di Orlando veniva fuori.
 «Certo che so parlare Oreste. Che diamine, tutti i sassi lo sanno fare; mica solo io».
«E allora perché non lo fate? Tutti noi animali eravamo convinti che foste irrimediabilmente muti!» Rispose Oreste, ancora sconcertato dalla rivelazione.
«Forse perché non abbiamo nulla di interessante da dire e quando è così meglio tacere. Almeno io la vedo in questo modo».
«Parole sante Orlando,» Commentò il corvo finalmente riavutosi dalla sorpresa: «il tuo è un saggio consiglio che chiunque dovrebbe seguire. Sai che pace nella foresta e, soprattutto, sai che pace la dove stanno le tane degli umani!» Concluse rivolgendosi più a se stesso che al sasso.
 «E già!» Commentò il sasso anche se non aveva compreso appieno le parole del corvo. Capirete, tutta la sua vita era scivolata via su quella angusta collinetta.
«Senti Orlando, ma cosa volevi dire prima?» Chiese dopo un po’ il corvo.
«Ma chi io?» Rispose il sasso
«E chi se no? Ci siamo solo noi due qui! Si, insomma, cos’è che deve essere proprio bello?» Domandò ancora il corvo.
«Viaggiare, Oreste! Viaggiare deve essere proprio bello. Oddio, c’è da dire che diversi bei viaggetti me li sono già fatti e…»
«Come, come?» Lo interruppe il corvo cercando di sbirciare sotto al sasso in cerca delle gambe o di qualcosa di simile.
 «Voglio dire: non me ne sono mai accorto! Come avresti fatto poi?» Concluse spalancando gli occhi a dismisura.
«È grazie a te fratello che ho viaggiato,» Rispose con calma Orlando, «grazie a te e grazie a tutti gli altri amici. Grazie alla volpe Teresina, all’aquila Gaia, al serpente Fiorello, al topo Attilio e via dicendo. Però ho sempre viaggiato con le vostre gambe e visto un’infinità di cose con i vostri occhi. Non vi ringrazierò mai abbastanza per questo, ma è giunto il momento di farlo di persona. Non so bene dove iniziare, ma è l’ora di coronare il mio grande sogno. Voglio viaggiare di persona!».
 «E come pensi di fare?» Chiese il corvo al colmo dello stupore.
«Dì, ma ti capita mai di ascoltare quando sono gli altri a parlare?» Domandò Orlando a sua volta.
«Perché?»
«Perché, te l’ho detto un attimo fa! Non so da che parte iniziare! Ma giuro che prima di morire (chissà poi se i sassi muoiono) un bel viaggetto me lo faccio. Magari corto, ma puoi scommetterci il becco che lo faccio». Sentenziò il sasso.
 Nel frattempo il sole, stanco dopo una giornata di lavoro, era andato a riposarsi dietro alla linea dell’orizzonte e gli artigli della sera si stavano preparando ad agguantare tutto ciò che sarebbe capitato loro a tiro.
«Si sta facendo tardi mio rotondo amico, è ora che vada a riposarmi. Anche domani sarà un giorno lungo e faticoso. Buonanotte Orlando». Disse il corvo sbadigliando
«Buonanotte a te Oreste. Ci si vede domani». Salutò con cortesia il sasso.
Quella notte lui però non riuscì a dormire. Come provava a chiudere gli occhi, iniziava il film dell’eterno viaggio. Ed era un susseguirsi di strade interminabili e vallate e montagne e fiumi e mari e prati e chi più ne ha più ne metta.
Il tempo era davvero maturo, doveva schiodarsi da casa sua ad ogni costo.
 L’alba lo sorprese ancora immerso nei propri sogni e rimase a bagnomaria per tutto il dì. Dentro e fuori dalla realtà.
Per la prima volta, nella sua lunghissima vita, quel giorno non prestò molta attenzione ai racconti dei suoi amici animali, totalmente assorbito da quello che poteva essere il racconto del suo viaggio.
Ed era un vero peccato, perché il corvo Oreste aveva sparso la voce e seminato la curiosità tra tutti gli abitanti della zona.
L’aver appreso che Orlando era anche capace di parlare fu una strabiliante novità ed ora non vedevano l’ora di ascoltare la sua voce.
 Passarono a turno da casa sua, ma non ci fu nulla da fare. Ci provò il lupo Giovanni, la lepre Assunta, il bruco Girolamo; persino la farfalla Gelsomina, notoriamente schiva; ma invano.
Orlando rimase muto come una tomba, fedele al suo motto: se non hai nulla da dire, taci!
Il sasso si limitò ad ascoltare e ad innaffiare il suo sogno. E fu così per un altro bel po’ di tempo. Finché un giorno accadde l’imponderabile.
 Era una bella mattina di inizio Aprile, non troppo presto e non troppo tardi, quando Orlando udì in lontananza un coro di risate. Erano umani! E, a giudicare dal rumore che si avvicinava, si stavano dirigendo verso casa sua.
Era impaurito e curioso, come si conviene di fronte ad una novità che si rispetti. Quando furono a portata d’occhio, d’occhio di sasso intendo, li riconobbe all’istante: erano i quattro marmocchi che vivevano nella fattoria al di là del bosco.
Altre volte erano passati da quelle parti, ma mai abbastanza vicino da poter udire le loro parole; invece ora… sembrava che… che… Cavoli secchi!  
 Si stavano dirigendo proprio verso di lui! Ora era più impaurito che curioso.
I quattro, vocianti ed accaldati, arrivarono correndo fin dentro casa sua, e qui si gettarono nell’erba.
«Meno male! Sembrerebbe che non si siano accorti di me». Pensò
Ma si sbagliava.
Infatti: «Guardate che bel sasso!» Urlò uno di loro tutto eccitato.
La frittata era fatta.
«Facciamo a chi lo lancia più lontano!» Propose il secondo
«Si, facciamo una gara!» Aggiunse il terzo
«Chi arriva ultimo farà una penitenza!» Concluse il quarto.
 Così il bambino che aveva parlato per primo, che poi era il più piccolo, (anche se doveva avere una vista eccellente, perché infatti aveva detto: guarda che
“bel” sasso, e lui bello lo era davvero!) Impugnò Orlando con una mano e lo sollevò da terra; da dove era sempre stato.
«Mi sto muovendo! Mi sto muovendo!» Esclamò tutto eccitato tra sé e sé, ma
non era più così sicuro di voler viaggiare.
Era stato colto di sorpresa. Non aveva avuto il tempo di prepararsi.
Il monello lo soppesò un attimo, poi senza pensarci troppo su, lo fece roteare un paio di volte e lo scagliò lontano con tutta la forza che aveva in corpo.
 «Sto viaggiando! Sto viaggiando!» Quasi urlò Orlando,
«Anzi, sto volando! Sto volando! Certo che devo essere proprio un bel fenomeno! Non ho ancora imparato a camminare, che so già volare!» Pensò
durante il breve tragitto in preda al…non saprei descrivervi il suo stato d’animo, d’altra parte, quale fosse, non lo sapeva neanche lui.
L’atterraggio fu disastroso.
Il sasso cadde ( come un sasso verrebbe da dire) sul terreno picchiando la testa, rimbalzò un paio di volte sui fianchi, poi rotolò per un altro paio di metri
giù per la collina, fino a fermarsi tra i ciuffi d’erba sottostanti a gambe all’aria.
Ma di quali gambe vai parlando? Obietterete voi.
Avete ragione, allora diciamo capovolto.
Si fermò tra i ciuffi d’erba capovolto. Va bene così?    
 Il povero Orlando non ebbe neanche il tempo di riaversi dallo stupore e di rimettersi dagli acciacchi, che fu afferrato per la seconda volta. Pronti? Via! Per il secondo viaggio.
E ce ne fu un terzo ed un quarto. Tutti di seguito.
L’ultimo poi gli sembrò interminabile.
Aveva atteso tutta la vita quel momento ed ora che era arrivato, che aveva sul serio viaggiato… Be’, non ci crederete, non si ricordava nulla dei posti che aveva visitato e di ciò che aveva visto.
Buio completo! Anzi no, a dire il vero una cosa la ricordava bene: gli atterraggi! E quando se li sarebbe mai scordati!
Erano tutti li, bene impressi sul suo rotondo corpo, che, al momento, giaceva disteso in mezzo alla radura.
 Il cuore gli martellava forte nel petto e ciò aveva un solo significato: PAURA! Paura che i viaggi ricominciassero e lui invece si rese conto che ne aveva avuto abbastanza.
Fortunatamente le voci concitate dei quattro diavoli lo rassicurarono.
«Ho vinto io!» Sentì dire.
E ancora: «Tu sei arrivato ultimo, perciò devi fare la penitenza!»
Poi più nulla. Solo rumore di passi che si allontanavano di corsa.
Il silenzio lo rassicurò immediatamente circa la propria incolumità, ma fece affiorare nuovi pensieri; soprattutto uno: come avrebbe fatto a tornare a casa?
 La notte lo colse all’improvviso in un posto che non conosceva e che non gli piaceva e, in barba al proverbio, anche senza portare consiglio.
Nonostante ciò, riuscì a dormire. Fu svegliato di buon ora da un rumore di passi. Tese l’orecchio, o qualcosa di simile, per capire meglio, ma quello che udì non gli piacque neanche un po’.
Ancora un umano! Fortunatamente uno solo ed in compagnia di un quadrupede.
Non ebbe il tempo di formulare altri pensieri, che fu afferrato da una mano molto più grande e forte di quelle del giorno prima e scagliato via ad una velocità pazzesca.
«Vai Furio! Vallo a prendere!» Ebbe il tempo di ascoltare, poi il volo.
 Stavolta si ricordò di darsi un’occhiata intorno, così, tanto per fissare qualche immagine del viaggio da poter trasformare in ricordo, giusto per codividerlo con gli amici, ma riuscì soltanto ad intravedere macchie di colore che si muovevano velocemente in direzione opposta alla sua.
Rimbalzò ben undici volte prima di fermarsi, per quello che doveva essere stato il peggior atterraggio della storia del volo.
 Non un attimo di respiro che si ritrovò sollevato tra i denti di Furio, un gigantesco cane maremmano che, per fortuna, conosceva bene.
«Vacci piano amico! E fai attenzione con quelle zanne!» Mormorò sottovoce Orlando.
L’animale mollò istintivamente la presa e cominciò ad annusarlo dappertutto:
« Ma! Orlando! Sei proprio tu? E, corpo di Bacco, sai anche parlare? E cosa ci fai qui? E come ci sei arrivato? E…?»
 «Calma, calma. Ci sarà tempo per le spiegazioni. Adesso è urgente che tu mi faccia un piacere. Puoi?»
Disse Orlando
«Certo che posso!» Tuonò il maremmano.
«Disubbidisci agli ordini per una volta! Non riportarmi dal tuo padrone. Ho scoperto che viaggiare non fa per me. Portami a casa».
«Si ma tu devi raccontarmi tutto!»
«Un altro giorno, però. Ora portami a casa, sono stanco morto».
 «Nessun problema amico, sono un cane da guardia, mica da riporto; il mio padrone capirà».
E in men che non si dica Orlando si ritrovò finalmente a casa sua. Era proprio vero: Casa dolce casa!
Però i conti non tornavano.
Come mai i viaggi degli animali erano sempre zeppi di fantastiche avventure, meravigliosi incontri e paesaggi incantevoli?
Qualcosa non quadrava. Com’era andato il suo di viaggio, d'altronde, lo sappiamo tutti.
Ci rimuginò sopra parecchio, non riusciva a farsene una ragione. Era oramai sul punto di desistere dall’impresa di capire, quando l’illuminazione lo colpì come un fulmine.
 «Ma certo!» Quasi urlò, «Deve per forza essere così!»
Ma cosa doveva per forza essere così, a noi, non è dato sapere, perché, da quel giorno, il sasso Orlando decise che il suo compito era ascoltare e non pronunciò più neanche una parola per il resto della sua lunghissima vita.
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