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#western all’italiana
noelisfinalproject · 1 month
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other media - spaghetti westerns
What is a Spaghetti Western — History and Legacy Explained (studiobinder.com)
"A Spaghetti Western is a broad subgenre of Western films made by Italian filmmakers from the early 1960s to the late ‘70s. Also known (and more respectfully referred to) as "western all’italiana" (Italian-style Western), the genre reached its peak in the late ‘60s, garnering worldwide popularity. Often filmed with low budgets, Spaghetti Westerns featured anti-heroes for protagonists, dastardly villains, desert landscapes, non-traditional music scores, and plenty of violence.
Even if film fans know the answer to “What is a Spaghetti Western," they might still ask “Why are they called Spaghetti Westerns?” It’s because these films were pretty much all made in Italy by Italian filmmakers, and spaghetti is a worldwide Italian cultural export. And even though the genre’s style has been adapted and imitated, it was still 99% an Italian phenomenon, so the name stuck."
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perfettamentechic · 5 months
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16 dicembre … ricordiamo …
16 dicembre … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2022: Daniela Giordano, attrice e modella italiana eletta Miss Italia 1966. Sul grande schermo esordì nel film in I barbieri di Sicilia (1967). Per tutti gli anni settanta lavorò nei film di genere horror, nei western e nella commedia sexy all’italiana in voga in quegli anni, poi il lavoro si diradò. Nei primi anni ottanta si allontanò dal mondo dello spettacolo e tornò in Sicilia dove si…
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ksusentinelcom · 1 year
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Giordano made her cinematic debut in 1967 with Marcello Ciorciolini’s I Barbieri di Sicilia, directed by Franco & Ciccio. She participated in several genres, such as Commedia all’italiana, Commedia sexy all’italiana, poliziottesco, and Spaghetti Western.
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ifattinews · 2 years
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Vallepietra, Una splendida targa per ricordare le riprese del film "Lo Chiamavano Trinità.."
Il  western all’Italiana per eccellenza è di certo il noto “Lo chiamavano trinità…” pellicola cult diretta da Enzo Barboni, che vede  come protagonisti il compianto Bud Spencer (interpretava il fratello Bambino e sceriffo del paese) e Terence Hill (Trinità), che non sono state ambientate nel selvaggio west, ma alcune delle scene più caratteristiche sono state girate all’interno del Parco Naturale…
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pizzettauniversale · 3 years
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Buonasera pizzetta!
Vorrei chiederti un consiglio, se non disturbo!
Ti andrebbe di consigliarmi qualche bel film tra gli anni '60' 70 e '80??
Qualche sera fa ho dovuto guardare Repulsion per l'università e mi è venuta una gran voglia di recuperare qualche vecchio film ma non saprei giostrarmi tra quegli anni, probabilmente tu ne sai molto di più!
Ti auguro una bella serata!
Allora partiamo dagli anni ‘60 e dall’Italia, è passato il neorealismo e inizia una grande stagione per il cinema italiano e Alberto Moravia nella sua critica cinematografica individua tre grandi registi che hanno una maniera di fare cinema nuova: Pasolini, Fellini e Antonioni. Sono gli anni del cinema di autore e di grandi capolavori come Accattone, Mamma Roma e il Vangelo Secondo Matteo di Pasolini. C’è Fellini che, sempre citando Moravia, parla addirittura di due Fellini quello di Roma dei vizi e gli stravizi e quello dell’Emilia Romagna dolce, materno e abbiamo film quali La dolce vita, 8 1/2, Giulietta degli spiriti e per gli anni ‘70 Roma, Amarcord, La città delle donne. Michelangelo Antonioni, quasi il più internazionale dei tre, che parla di noia, di incomunicabilità, di un non arrivare mai a un punto e abbiamo la sua trilogia dell’incomunicabilità con L’avventura, La notte e L’eclisse e se ci mettiamo pure Deserto Rosso parliamo della tetralogia esistenziale e Blow-up. Possiamo citare il provocatorio Marco Ferreri con Dillinger è morto e negli anni ‘70 con La grande abbuffata. Marco Bellocchio con I pugni in tasca. Abbiamo Bernardo Bertolucci e il suo studio antropologico e due film che amo particolarmente sono La commare secca e Prima della rivoluzione. Ovviamente tutta la parte della Commedia all’italiana e quindi il boom economico dell’Italia con Divorzio all’italiana di Pietro Germi, I soliti ignoti di Mario Monicelli, Il sorpasso di Dino Risi e una delle mie registe più amate Lina Wertmuller che negli anni ‘70 ha sfornato cose come Mimì metallurgico ferito nell’onore, Film d'amore e d'anarchia - Ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza..., Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto, Pasqualino Settebellezze. Nello stesso periodo abbiamo anche i cosiddetti spaghetti western quindi Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo e infine il capolavoro in assoluto C’era una volta il west tutti di Sergio Leone. Luchino Visconti con Il gattopardo 
Sul finire degli anni Cinquanta invece in Francia si affaccia la Nouvelle Vague e abbiamo Fino all’ultimo respiro, Il disprezzo, Il bandito delle 11, Vivre sa vie di Jean-Luc Godard, Hiroshima mon amour di Alain Resnais, I quattrocento colpi di François Truffaut, Cleo dalle 5 alle 7 di Agnès Varda.
C’è Il laureato di Mike Nichols, Persona di Ingmar Berman, Gli uccelli e Psycho di Hitchcock. 
Andiamo negli anni ‘70 che il viaggio è lungo e iniziamo con Alejandro Jodorowsky e La montagna sacra, Amici Miei di Mario Monicelli che mi fa sempre scompisciare, quel pazzo di Dario Argento con Profondo Rosso, La conversazione di Francis Ford Coppola, La classe operaia va in paradiso e Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. L’amico americano di Wim Wenders (Thank you for being so not Italian- spero capiate la cit), Stalker di Andrej Tarkovski, Apocalypse Now e Il padrino (anche se dopo Scarface, il primo non quello di Brian de Palma, Little Caesar e Public Enemy è tutto un grande rifacimento e citazione il gangster movie) di Francis Ford Coppola e ovviamente Taxi Driver di Martin Scorsese. 
Negli anni ‘80 e già un po’ da prima comincia il cinema che è tutta una citazione, specialmente negli anni ‘90 e specialmente Tarantino. Partiamo subito con due capolavori Boy meets girls, Mauvais Sang di Leos Carax (ma anche Gli amanti del Pont-Neuf anni ‘90 e Holy Motors del 2012). Poi The Killer di John Woo, Nostalghia sempre di Andrej Tarkovski, Fa la cosa giusta di Spike Lee, The Blues Brothers di John Landis, Brazil di Terry Gilliam (e questo solo perché lo conosco di persona), Paris, Texas di Wim Wenders, Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, C’era una volta in America di Sergio Leone. 
Basta non ho più voglia di scrivere, mi sono sfiancata e non ho scritto nemmeno la metà dei film che avrei voluto scrivere, ho saltato Kubrick, Spielberg, un sacco di francesi e un sacco di roba. Domani magari ci metto più roba.
Grazie per la domanda 💕
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abatelunare · 3 years
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Ritorni infuocati
Ford è tornato. In sella alla sua motocicletta. Ha passato sei mesi in Thailandia. Ma adesso è di nuovo qui. Per sistemare il casino da lui stesso provocato. E ci riuscirà. Dopo un po’ di movimiento. La trama di Torque circuito di fuoco non ha nulla di speciale. C’è un motociclista tosto che ritorna per saldare i conti. Come nei vecchi western all’italiana. Ma qui non ci sono cavalli. Ci sono auto e moto. E uomini durissimi. E inseguimenti altamente spettacolari. In più un ritmo discreto e qualche dialogo divertente. Non solo: dura anche poco (un’ora e venti). Cosa volete di più? Siete pregati di non rispondere un Lucano. Perché è vecchia. Quasi come me.
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interestraveler · 4 years
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I walked through the charming villa Carlotta on Lake Como in Tremezzo, Italy. ❤️ 
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1. Villa Carlotta 2. Tremezzo 3. Grand Hotel tremezzo 
 VILLA CARLOTTA: Villa Carlotta is a villa and botanical garden in Tremezzo on Lake Como in Northern Italy. The villa is today a museum, whose art collection includes works by Canova, Thorvaldsen, Migliara and Hayez in addition to pieces of furniture from the time of the various owners. The villa, whose architect is unknown, was completed in 1745. TREMEZZO, COMO LAKE: Tremezzo is one of the most popular tourist attractions of Lake Como, situated on the western shore of Lario, just in front of Bellagio, with a stunning view of the central basin and the Grigne. Since 1947, the village, along with Lenno and Mezzegra, has become part of a unique commune, known as Tremezzina. The marvellous villas and huge hotels built from the XVIII to the XIX century, have made Tremezzo an international tourism landmark. In the area of Rogaro you will be able to admire a fantastic ancient tower, remain of the old medieval fortresses. This small beguiling peace of land extends from the lake shores to the hilly background, at the foot of Mount Crocione. Tremezzo does have two souls, coastal and hilly, both greatly beautiful and suggestive, offering the opportunity to choose different interesting journeys. GRAND HOTEL TREMEZZO: The Grand Hotel Tremezzo is an iconic art nouveau masterpiece sitting on the western shores of Lake Como. With views spanning the crystalline waters towards Bellagio and the Grigne mountains, we treat guests to sumptuous accommodation, three pools, a lakeside private beach and lavish private park, all with the warmest hospitality all’italiana.
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morgan-n-cheese-91 · 2 years
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What is a Spaghetti Western? A Spaghetti Western is a broad subgenre of Western films made by Italian filmmakers from the early 1960s to the late ‘70s. Also known (and more respectfully referred to) as "western all’italiana" (Italian-style Western), the genre reached its peak in the late ‘60s, garnering worldwide popularity. Often filmed with low budgets, Spaghetti Westerns featured anti-heroes for protagonists, dastardly villains, desert landscapes, non-traditional music scores, and plenty of violence. Why are they called Spaghetti Westerns? Even if film fans know the answer to “What is a Spaghetti Western," they might still ask “Why are they called Spaghetti Westerns?” It’s because these films were pretty much all made in Italy by Italian filmmakers, and spaghetti is a worldwide Italian cultural export. And even though the genre’s style has been adapted and imitated, it was still 99% an Italian phenomenon, so the name stuck
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giancarlonicoli · 3 years
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25 gen 2021 12:21
È MORTO ALBERTO GRIMALDI – IL PRODUTTORE PIÙ CORAGGIOSO E PIÙ PERSEGUITATO DEL CINEMA ITALIANO AVEVA 95 ANNI ED È SCOMPARSO NELLA SUA CASA DI MIAMI, IN FLORIDA: NEL 1962 AVEVA FONDATO LA PEA, DEBUTTANDO IN SORDINA FINO AL SUCCESSO STRATOSFERICO DI “PER UN PUGNO DI DOLLARI” - NEL SUO CARNET, OLTRE A SERGIO LEONE, ANCHE, PONTECORVO E FELLINI – GLI SCANDALI "ULTIMO TANGO A PARIGI" E "SALÒ" E LE BATTAGLIE LEGALI
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Da www.corriere.it
Era nato a Napoli il 28 marzo 1925 ma si era trasferito armi e bagagli negli Usa nel ’77 dopo aver subìto una rapina con sequestro in Italia: è morto ieri a Miami in Florida a 95 anni Alberto Grimaldi, il produttore più coraggioso e più perseguitato del cinema italiano, quello che ha finanziato «Ultimo tango a Parigi» e «Salò». Nel carnet Fellini, Bertolucci, Pontecorvo, Pasolini, Leone e lo Scorsese di «Gangs of New York», girato a Cinecittà ma non senza battibecchi legali.
Laureato in Legge, dopo l’apprendistato nelle agenzie delle major americane Grimaldi, sulla scia di uomini coraggiosi come Ponti, De Laurentiis, Lombardo, Cristaldi, Bini, nel ’62 fonda la PEA, debuttando in sordina: due anni dopo sfonda il box office con «Per un pugno di dollari» con la stratosferica cifra di un miliardo e 890 milioni (terzo assoluto per spettatori, 14 milioni 797.275). Inevitabile che insista con Leone e gli spaghetti western («Per qualche dollaro in più», «Il buono, il brutto e il cattivo») ed è con il cinema nazional popolare che finanzia le opere di autori come Fellini (i travagliati «Satyricon» e «Casanova», poi «Ginger e Fred»), Petri, Pontecorvo, Rosi.
Ma è con la scossa tellurica di «Ultimo tango» che nel ‘72 totalizza in egual misura incassi e processi. Il discusso capolavoro di Bertolucci è nella storia il più perseguitato e l’unico condannato metaforicamente al rogo, oltre ad aver fatto perdere al regista i diritti civili, prima di essere dopo anni assolto. Rimane una tappa del cinema e del costume, un grande assolo sulla solitudine, con un Marlon Brando che passa alla storia e alcune scene tra le più chiacchierate del comune senso del pudore: incasso di quasi 6 miliardi solo in Italia, secondo in assoluto per spettatori, 15 milioni 623.773.
Grande epopea sarà «Novecento», il Bertolucci padano, anch’esso con problemi di censura e sequestro nella prima parte (ma il caso fu risolto in 5 giorni). Era un periodo in cui la magistratura teneva d’occhio il miglior cinema italiano, partendo da Visconti e Antonioni, quello che saltava gli ostacoli della retorica perbenista e ogni residuo di ipocrisia.
Fu con Pasolini che nei primi anni 70 Grimaldi dovette difendere la battaglie legali più accese, dal «Decameron» ai «Racconti di Canterbury» a «Il fiore delle Mille e una notte», la trilogia della vita. L’ultimo titolo del grande cineasta poeta, il «Salò» che uscì postumo dopo il suo assassinio, sarà uno di quei film «maledetti» che producono fascicoli legali e rovelli di coscienza, apparendo chiaro il dolore biografico del regista che rilegge Sade ai tempi di Salò (premio per il restauro alla Mostra di Venezia 2015).
Certo Grimaldi era un rabdomante, seppe intuire i tesori delle ispirazioni, rischiando di persona sui salti mortali che alcuni autori a volte fanno in anticipo sui tempi. Carriera esemplare nel senso delle turbolenze non del mare piatto, narrata nel libro di Paola Savino (2009, Centro Sperimentale). Un produttore che non temeva terreni minati ma si fidava dei suoi registi e li proteggeva fino all’ultimo cavillo.
Se il western all’italiana da un lato e lo scandalo di alcuni titoli dall’altro l’hanno reso potente, Grimaldi lancia sempre oltre: ama il film a episodi da Poe «Tre passi nel delirio», adotta le «Storie scellerate »di Citti dopo la morte di Pasolini e finanzia opere scomode, le più estreme ma capaci di fondare le basi di un pubblico europeo lottando per la libertà di espressione. «Di sicuro — dice uno dei suoi storici avvocati, Luigi Di Majo — fu battagliero contro le incompetenze di una magistratura che usava il cinema per pubblicità o con abusi o incriminazioni false come quando Bertolucci fu accusato di aver torturato rane in "Novecento"». Ma alla fine restano i film e Grimaldi lascia un bottino incalcolabile.
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perfettamentechic · 2 years
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25 luglio … ricordiamo …
25 luglio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic
2020: John Saxon, pseudonimo di Carmine Orrico, attore statunitense, famoso per la partecipazione in svariati spaghetti western, polizieschi all’italiana, durante gli anni settanta, e horror anche americani. Saxon è stato sposato tre volte.  (n. 1936) 2020: Regis Philbin, Regis Francis Xavier Philbin, attore e conduttore televisivo statunitense. Philbin è stato sposato con Catherine Faylen,…
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miloswanders · 7 years
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When I was a kid -- say, between the ages of 4 and 10 -- my mother would spend her Saturday afternoons ironing in the living room. Since she has always found this particular task to be extraordinarily tedious, she would pick a movie out of her rather large collection of VHS cassettes and keep it as background entertainment while she went about her chores. 
After a while, out of sheer curiosity, I would splay out on the sofa and watch whatever movie she had selected for the day, regardless of the rating. Since I was the one who, at 7 years old, had forced my mother to sit through Critters (carnivorous aliens terrorizing a rural American town... don’t even ask), she wasn’t too concerned about my young mind suffering any irreparable trauma at this point. 
Which brings me to the following: I’ve been feeling nostalgic, as of late, and have to find new ways to procrastinate doing all the things that I should be doing right now; thus, I’ve decided to present you with a List of Films That Were Meaningful During My Childhood, in no particular order.
Enjoy!
The Fly (1986). Of course, the first one has to be a horror film, and a great classic at that! The ambitious scientist, the tragic love story, the terrifying metamorphosis... I’m pretty sure I couldn’t shut up about it for the next week or so. 
Beetlejuice (1988). Another classic, which I am proud to say I personally selected from my mother’s collection. It’s been years since I last watched it, so I only remember bits and pieces of it, but I’m pretty sure it wasn’t even remotely appropriate for a six-year-old. But! there were ghosts involved, and at the time that was the magic word to spark my interest.
In & Out (1997). This one was my introduction to LGBT media and themes. Being mostly satirical in its intent, it has to be taken with a grain of salt; but I’d laugh my head off every time we watched it, as my mother explained all the stereotypes they were making fun of. After the first viewing, I distinctly remember asking: “What does “lesbian” mean?”, and her answering: “Same as “gay”, but for women”. I thought it was a really cool word. 
Mrs. Doubtfire (1993). This one... this one is special. I already knew Robin Williams from Jumanji, but, of all the roles he has played, this is the one that really stole my heart. My family was sort of falling apart when I first watched it, so it did a lot more than strike a chord -- it made me consider that maybe, just maybe, even if things were going to change drastically in my life, everything would work out all the same. A divorce didn’t have to be such a terrible ordeal, because there were a lot of different ways to remain committed to one another, and “family” didn’t mean the same thing to everyone. So, yeah... Thanks, Robin <3
American Beauty (1999). Picture this: it’s almost midnight, I’m bored out of my mind and should be going to sleep, but I’ve decided to stay up and see what’s on TV at this hour. I come across the first sequence of this film: girl speaking into the camera, creepy conversation with unseen interlocutor, then cut to the voiceover and the aerial view of the gloomy suburbs. My mother found me glued to the screen just as the “rose petals” scene was playing. She asked what I was watching, and I was like: “Uhm... American Beauty, I think it’s called”; she stared at the TV, verified her suspicion and went: “It’s late. I have the VHS, you can watch it tomorrow”. And I did. If anyone ever wonders how I got into the suburban-gothic genre, blame Kevin Spacey. 
The Color Purple (1985). The film that introduced me to Whoopi Goldberg. I had never heard of her before, and I remember repeating her name over and over to make sure I was saying it correctly. I doubt I’d even bothered to ask, let alone memorize the name of any actor before, but with her it was love at first sight. A few months later, I found a radio programme where the host would read “literary classics”, one or two chapters per episode; sure enough, Alice Walker’s novel was on their list. I listened to the whole thing. And, as I did, I guess I thought a lot about the word “lesbian”.
The Miracle Worker (1962). The autobiography of Helen Keller and Anne Sullivan. To this day, I cry at the end. Anne Bancroft was amazing. Also, possibly the first black-and-white movie I ever watched all the way through... and wanted to rewatch.  
The Elephant Man (1980). David Lynch’s debut film; it completely changed how I thought of “monsters”. It was a milestone in my growth as both human being and horror fan, precisely because there was nothing “scary” about Joseph Merrick, at all. It filled me with a sadness the depth of which I still find difficult to convey. Also... Anne Bancroft. Again. 
Divorzio all’italiana (1961). A film about infidelity, social hypocrisy and honor killings in Southern Italy. Not exactly kids material, but it’s not like anyone gave a damn. It’s the main reason why I laugh so hard and hysterically when people claim that misogyny concerns almost exclusively non-Western cultures. And by “laugh” I mean “scream into the void”. 
The House of the Spirits (1993). Saw the movie before I read the book. Five minutes in and I was enraptured. It may or may not have been the source of my fascination with magical realism and historical novels in general. I was missing out on a great deal of context, in order to fully understand the more “political” parts of the story, but over the years I did learn a thing or two thanks to Clara, Blanca and Alba. And yes, Clara was played by Meryl Streep, but I did not care to learn the actress’ name back then.
Stephen King’s IT (1990). Since I’ve started the list with the horror genre, why not have another one? The TV film that exacerbated my fear of clowns to near-pathological levels. It (both the film and the character) scared me so much that I could never bring myself to re-watch it. Instead, by the time I reached the 9th grade I’d gathered the courage to read the novel. “IT” and “Stand by Me” were my gateway into Stephen King’s fictional universe, although the former was branded so deeply into my subconscious that the mere mention of that damned clown used to give me chills. Surprisingly, I have recently convinced myself to watch short clips from the film, only to discover that I now like Pennywise as a character. I mean, that’s still Tim Curry beneath the makeup! 
The Exorcist (1973). Another classic. 9-year-old me was obsessed! I honestly don’t know how many times I re-watched it, but I can assure you they amounted to A LOT. I also tried to convince a dear friend of mine to watch it with me, once, but she freaked out halfway through, leaving me rather disappointed. 
So, there you have them: the highlights of my youth. 
And yes, before you ask, I did also watch cartoons like a normal kid. 
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abatelunare · 4 years
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Pistole e preghiere
La cosa più divertente del western all’italiana Se incontri Sartana, prega per la tua morte, è il titolo. C’è anche qualche battuta carina. E poco altro. Si è visto di meglio. Per lo meno, io ho visto di meglio. La storia è poco originale. Sartana, abilissimo con la pistola e con le carte, indaga sul furto di un carico d’oro. Il che significa carneficina sicura. Peccato, perché noi italiani in questo genere cinematografico non abbiamo fatto brutte cose. Ma ci sono sempre le eccezioni. Una cosa l’ho trovata curiosa. Fra gli interpreti c’è anche Klaus Kinski. Che non figura, però, fra i titoli di testa. Va bene che muore dopo quaranta minuti. Però potevano anche menzionarlo.
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abr · 6 years
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Oggi è il 10 febbraio: il ritorno dei Metallica a Torino (...)  il monumentale concerto sabaudo ha coniugato passato e presente provando a mettere d’accordo tutti, dal fan duro e puro del “suonare veloce” all’ascoltatore-medio di inni rock radiofonici. Ciò che risulta evidente dopo aver assistito ad uno show antologico e curato nei minimi dettagli è che i Metallica di oggi puntino più di ogni altra cosa alla dimensione live: vogliono portare la gente nel loro habitat naturale, ovvero nella bolgia dei palazzetti.  (...) La cavalcata dei Four Horsemen nella motorcity si apre rievocando le atmosfere del western all’italiana sulle note di Ennio Morricone e, in circa due ore, una scaletta sorniona quanto basta alterna i pezzi d(ell'ultimo album) Hardwired… To Self-Destruct (...) ai cavalli di battaglia della band (...) Oltre a sorprendere, però, lascia anche un tantino sbigottiti la cover piazzata a metà set: nientemeno che una versione sotto steroidi di C’è chi dice no di Vasco Rossi, cantata per di più da un improbabile Robert Trujillo (...) prendiamo questo omaggio al Blasco come un divertissement…(...) Tra gli assoli di un Hammett mai sopra le righe e le ormai proverbiali imprecisioni di Lars Ulrich alla batteria, i quattro “old men” (...) giocano sul velluto con capolavori come Sad but True, One e Master of Puppets, per poi piazzare il colpo del K.O. con la combo Nothing Else Matters ed Enter Sandman. Avvolti in una scenografia è a dir poco spettacolare (...) i Metallica ci mettono il cuore, ma anche tutti i trucchi del mestiere. Diciamo che James, Lars, Kirk e Bob danno l’impressione di essere degli ultra-quarantenni che si divertono a “fare i Metallica”, ma portano a termine in maniera granitica e pressoché impeccabile uno show un po’ didascalico ma in parte anche coraggioso, con la giusta dose di nostalgia e soprattutto con il piglio dei fuoriclasse assoluti. Per essere dei “rocker bolliti”, come li etichettano gli haters, la pensione sembra ancora lontana. Perché Sanremo è sempre Sanremo, ma i Metallica sono ancora i Metallica.
per una volta concordo con RS http://www.rollingstone.it/musica/news-musica/i-metallica-si-piegano-ma-non-si-spezzano/2018-02-11/
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alessandro54-plus · 4 years
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È morto John Saxon, attore di horror e western tra Hollywood e Cinecittà
È morto John Saxon, attore di horror e western tra Hollywood e Cinecittà
John Saxon, nome d’arte di Carmine Orrico (New York, 5 agosto 1936 – Murfreesboro,   25 luglio 2020), è stato un attore statunitense, famoso per la partecipazione in svariati polizieschi all’italiana durante gli anni settanta.
articolo: https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2020/07/26/news/e_morto_john_saxon_tra_hollywood_e_cinecitta_-262910498/https://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2…
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pangeanews · 4 years
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Datemi un verso e vi svelerò il mondo. Sull’arte marziale dell’haiku
Datemi un verso e vi svelerò il mondo. Ossia: il verso, l’unità più piccola della materia, ricava in sé l’intero cosmo. Specifico: l’arte di dettagliare straordinari e vastissimi paesaggi in un chicco di riso è pari a quella dell’haiku. Che sbarcato in Occidente ha fatto (e fa) sbracare i polsi agli scemi, che ci leggono dentro qualcosa di simile a un Mallarmé a cui si è ristretta a misura di bimbo la camicia. No, trattasi di qualcosa d’altro, e gli esempi di haiku all’italiana, una specie di sushi western, di solito fanno lo stesso effetto che fa il pesce crudo al debole di stomaco.
*
Anzitutto l’haiku non è propriamente letteratura, verbo sull’orlo delle cose, in bilico tra il dire e il non dire. È recente il passaporto, controfirmato da Masaoka Shiki (1867-1902), che lo ha introdotto nel tempio buono delle lettere. Prima era un gioco che solleticava gli aristocratici, poi una burla dei popolani piena di scurrilità, scandite sul filo di ragno delle diciassette sillabe, non una di più. Con l’inimitabile Basho (1644-1694), si cristallizza, divenendo la sfera magica attraverso cui ottenere l’illuminazione sulla via dei monti, oppure il cantuccio da cui mandare dolenti latrati al mondo. Per alcuni la “rivoluzione” di Shiki avrebbe alterato per sempre il carattere borderline dell’haiku. Di certo non per la curatrice del Grande libro degli haiku (Castelvecchi), Irene Starace, che dedica con scrupolo certosino più della metà delle sue traduzioni all’haiku novecentesco.
*
«La poesia, senza ricorrere alla forza, muove il cielo e la terra, commuove perfino gli invisibili spiriti e divinità, armonizza anche il rapporto tra l’uomo e la donna, pacifica pure l’anima del guerriero feroce», recita la prefazione al Kokin Waka shu, antologia di poesia classica giapponese stilata al principio del X sec. (faccio riferimento all’edizione curata da Ikuku Sagiyma, edita da Ariele, Milano 2000), ben prima che la dottrina dell’haiku facesse capo dal suo guscio di sillabe. Ma le cose valgono lo stesso. Specialmente l’ultima porzione della frase.
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Il grande Basho era figlio di un samurai, destinato a battere le strade del padre. Imparò la poesia da un samurai in pensione, ebbe come discepoli un manipolo di samurai che avevano abbandonato il mestiere delle armi. Passati gli anni del grande caos e delle grandi battaglie il samurai depone la spada e si avvinghia al pennello. La pratica non cambia molto. Il monaco girovago, amante della contemplazione, era solito appuntare con degli haiku i suoi brevi referti di viaggio, con sottosuolo zen. Una specie di Giovanni della Croce privo d’impianto razional-teologico, istintivo. Non è un caso che la sua inalterata fortuna lo abbia traghettato felicemente fino a noi: è pubblicato da SE, La Vita Felice, Luni, Vallardi, piccoli diamanti di qualità.
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Ki No Tsurayuki, nobilitando l’antichissima antologia di cui sopra, si prese la briga di spiegare la ragione per cui le poesie sono scandite per sillabe. È con la generazione degli uomini, nel regno della differenza, che accade ciò, manipolando il linguaggio. Prima, «nel Periodo delle divinità possenti […] ci si esprimeva in maniera semplice e schietta e sembra che fosse arduo individuare le sostanze delle cose». Saremmo pure caduti dal mirabolante party paradisiaco: con le parole ci siamo conquistati una a una tutte le cose. E con la letteratura anche il loro sovrappiù.
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La questione sillabica è tanto fondamentale nell’haiku che, nell’atto della traduzione, si rischia d’infrangere tutta la cristalleria. La Starace fa il lavoro dell’equilibrista sulla bava di ghiaccio che unisce due massicci montani, e se a volte, colpa della lingua nostra mica sua, l’effetto haiku sa di sms («Sono costretto a strappare/ le foto di me bambino») o di una incerta banalità («Apro il forno./ Il carbone è freddo/ e il fuoco sta per spegnersi»), quasi sempre ci sentiamo rinfrescati, e anche un po’ ammaccati di sani sguardi sull’abisso. Io, ad esempio, non ritorno più da un tremendo innamoramento per Kobayashi Issa (1763-1827), la cui vita fu tutt’altro che spensierata e costellata da un rosario di morti impressionante (la madre piccolissimo e poi la nonna; in età più tarda tutti i figli e la moglie). Monaco con il nome, per l’appunto, di Issa (il cognome d’origine era Yotaro), cioè “tazza di tè”, sintomo di armonia e serenità, scrisse, all’opposto, haiku strazianti come questa: «Rondini della sera./ Non ho alcuna speranza/ nel domani». Ma è dotato di una visione purissima: «Lampi./ Ad ogni bagliore/ il mondo si purifica». Il fascino dell’haiku è dato dalla sovrabbondanza di senso che, viste le strettoie sillabiche cui è obbligato, carica i versi. I quali lasciano una serie di radi punti che ciascuno completerà come crede. Ecco, più che un grado sotto la letteratura, qui semmai siamo un grado sopra. In terreno intangibile.
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Tra i moltissimi “moderni”, citiamo almeno due grossi nomi. Il primo è Natsume Soseki (1867-1916), uno dei padri del romanzo giapponese del Novecento, che giungerà ai fasti con la triade Tanizaki-Kawabata-Mishima, e che gode di un insperabile successo da noi (pubblicato da Neri Pozza, Beat, SE, Lindau). Grande studioso di cose occidentali, ci consegna un mazzo di haiku particolari, che pigliano quota da alcuni versi di Shakespeare. Così, ad esempio, dal delirio di Lear sorge un merletto meteorologico («Senza pioggia/ cresce in violenza/ solo il vento invernale») e dalla favola da soap dei Capuleti e dei Montecchi scaturiscono sentenze proverbiali («Anche la colpa/ è felice./ Luna velata sui due»).
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L’altro letterato di peso è Akutagawa Ryunosuke (1892-1924), una specie di sfortunato Rimbaud giapponese, maestro indiscusso del racconto breve (si veda La ruota dentata e altri racconti, SE), e morto suicida giovanissimo. Da un suo breve testo, Rashomon (con inizio lirico: «Il sole era al tramonto. A Rashomon, una delle porte della città, un servo aspettava che la pioggia cessasse»), Kurosawa ricavò uno dei suoi capolavori. Questo è l’haiku che scrisse prima della catastrofe (il titolo, che non richiede commenti, è “Disprezzo di me stesso”): «Mi goccia il naso./ Finisce solo/ sulla punta».
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C’è da dire che la costante di quasi tutti questi maestri della poesia in chicco di riso è quella di aver avuto una vita grama. Vagabondi, santi scemi, reietti, naufraghi, orfani e poveracci, questa è la stirpe dei cantori che misero nell’haiku il distillato puro e nudo del loro spirito. Piccoli grani di ambra che raggelano l’anima del poeta. Una consolazione per noi poetastri dell’eternità che facciamo fatica a raggranellare i dobloni per la pappa, martirizzati da tutte le Museo del mausoleo. Per tirarci su il cuore stringiamoci questa conchiglia in versi di Kaneko Tota (1919-2018), il maestro che conclude questa stupefacente antologia, da usare anche come sacro scacciapensieri: «Onde bianchissime s’accostano/ alla foce del fiume. Anche mio figlio/ va verso l’estate». (d.b.)
*In copertina: un samurai nella fotografia del 1860 di Felice Beato
  L'articolo Datemi un verso e vi svelerò il mondo. Sull’arte marziale dell’haiku proviene da Pangea.
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perfettamentechic · 3 years
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25 luglio … ricordiamo …
25 luglio … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic #felicementechic #lynda
2020: John Saxon, pseudonimo di Carmine Orrico, attore statunitense, famoso per la partecipazione in svariati spaghetti western, polizieschi all’italiana, durante gli anni settanta, e horror anche americani. Nato a Brooklyn da Antonio Orrico e Anna Protettore, entrambi di origine campane, studiò recitazione con la celebre insegnante Stella Adler ed entrò nel mondo del cinema alla metà degli anni…
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