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#ETERNO PICASSO
cristinabcn · 1 year
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"Eterno", homenaje a Picasso llega a Madrid
“Eternal”, a tribute to Picasso arrives in Madrid TERESA FERNANDEZ HERRERA Periodista – Prensa Especializada Carlos Rodríguez  estrena por fin en la capital, en el teatro EDP “Eterno”, su espectáculo homenaje a Picasso en el medio siglo de su desaparición física. Muy probablemente será eterno Picasso en los museos del mundo. Pero este Eterno,en el lenguaje sin igual de la danza, es una creación…
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plantsngogh · 2 years
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las profundidades de un océano y las dolencias que involucran el color azul
esto estaba supuesto a ser un poema sobre el color amarillo o incluso el color café, pero de algún modo mi mente seguía regresando al azul como si no existiera ningún otro.
no quería escribir sobre el azul. durante minutos completos, me rehusé a abordar este tema en esa dirección, con esa totalidad, pues era consciente de lo propensa que era a caer en las connotaciones que implican al color azul con frecuencia.
sabía que si escribía sobre ese color en particular, iba a caer en la laguna de la tristeza, en ese ciclo eterno que los artistas trazaron para trazaron para poder asignarle una tonalidad a la agonía que guardaban dentro de sus cuerpos.
durante mucho tiempo, el azul y sus sombras han sido la representación de las carencias humanas, de los grandes periodos de una desolación profunda e inquebrantable, lo suficientemente devastadora como para que todos ellos, desde poetas hasta músicos y desde músicos hasta pintores necesitaran emplear este color en un intento por sacarse todas las dolencias de adentro.
nunca entendí por qué el azul, sin embargo. pudo haber sido cualquier otro color, cualquier otra combinación, pero eligieron el azul como si ningún otro pudiera competir con sus melancolías del modo en que este lo hace.
¿será porque en la paleta de colores es el más frío de todos?
¿o quizás es porque al mirarlo durante mucho tiempo uno mismo se da cuenta de sus penas?
picasso tuvo todo un periodo azul en el que vertió sus lágrimas como si el océano reflejado por el cielo se hubiese abierto en sus cuencas, como si no existiera consuelo dentro de toda esa marea azulada e infinita, revuelta e insensata; y aún así, no podría comprender por qué este color en particular.
en la psicología suele tener connotaciones de calma y tranquilidad, de confianza y optimismo, y sin embargo, millones de artistas y una infinidad de sentimentalistas andan por ahí sintiéndose azules, lloviendo por montón, hundiéndose en un océano severo de decepción absoluta, de dolencias terroríficas y espíritus bajos que los hacen sentir tan azules que necesitan expresarlo de alguna forma, incluso si no se deshacen del sentimiento que los tienen agarrados del cuello.
se ven azul. se sienten azul. tienen corazones profundamente heridos y una laguna inmensa dentro de sus entrañas.
no pueden deshacerse de ella, así como yo tampoco puedo evitar caer en la trampa de navegar por los cimientos de mis propias tristezas y escribir párrafos completos sobre el color que ha ahogado a más personas de las que mis dedos podrían contar.
no lo desprecio, de todas formas. a pesar de no haber querido abordarlo, de haber intentado huir de él; no lo detesto ni lo aborrezco. en realidad, en ocasiones me parece el color más humano que puede existir, pues es el único que permite que existan océanos completos dentro de los ojos de la gente.
océanos en los que podría ahogarme un centenar de veces.
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lamilanomagazine · 5 months
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Milano, presentate oggi le mostre 2024 e gli highlights del 2025 nelle sedi espositive
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Milano, presentate oggi le mostre 2024 e gli highlights del 2025 nelle sedi espositive È l'arte moderna e contemporanea la protagonista assoluta del programma espositivo 2024-2025 del Comune di Milano. Molti gli artisti, italiani e internazionali, e diversi i linguaggi, dalla pittura alla fotografia, dalla performance alla scultura, che vanno a comporre una proposta complessiva di sicuro interesse per l'ampiezza dell'orizzonte artistico considerato. In primo piano il rapporto tra l'Italia e la Francia, tra Milano e Parigi, e si inizia con il grande ritorno di Pablo Picasso, spagnolo di nazionalità ma di fatto francese dall'età di 19 anni, presente con ben due esposizioni: una a Palazzo Reale, in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris, che seguirà proprio il filo rosso del suo status di "eterno straniero" in Francia; e l'altra al MUDEC – Museo delle Culture di Milano, in collaborazione con i principali musei spagnoli e gli eredi di Picasso, che metterà in dialogo le sue opere con le fonti artistiche 'primigenie' che lo influenzarono sin dagli inizi della sua carriera. La Francia è protagonista anche della mostra che inaugura la stagione espositiva 2024 di Palazzo Reale, con la prima e più completa monografica di Giuseppe De Nittis, che vede esposti novanta dipinti provenienti da collezioni nazionali e internazionali. De Nittis è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove resse il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti. Anche le immagini esposte da febbraio a Palazzo Reale nella mostra dedicata al fotografo Brassaï, ungherese di nascita ma parigino d'adozione, sono immagini iconiche che identificano immediatamente il volto di Parigi. Brassaï lavorò infatti in stretta relazione con artisti come Picasso, Dalì e Matisse, fu vicino al movimento surrealista e partecipò al grande fermento culturale che investì Parigi in quegli anni. Un confronto epico tra due figure chiave dell'Impressionismo, Cézanne e Renoir, abiterà le stanze di Palazzo Reale in primavera: cinquanta capolavori che ripercorrono la vita di due maestri che hanno contribuito alla nascita di uno dei movimenti più importanti della storia dell'arte moderna, che vide a Parigi la sua nascita e la sua affermazione. In maggio, sempre a Palazzo Reale, l'artista Ercole Pignatelli reinterpreterà in chiave performativa Guernica, il capolavoro di Picasso, dipingendo nell'arco di sei giorni una tela della stessa dimensione. In occasione dei settant'anni dalla straordinaria esposizione di Guernica in Sala delle Cariatidi, l'intervento vuole restituire emozioni e riflessioni che il capolavoro aveva suscitato nell'artista ancora diciottenne, filtrati attraverso l'esperienza dei suoi ottantotto anni. L'onda lunga della Parigi di inizio Novecento arriverà fino nel 2025 con la grande retrospettiva a Palazzo Reale di Chaïm Soutine, straordinario artista che a 20 anni si trasferì nella capitale francese dalla Russia zarista per diventare uno dei più intensi ed emozionanti pittori del Novecento. Ma non solo: in occasione del centenario dell'Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes, che si è svolta a Parigi appunto nella primavera del 1925, una mostra racconterà i quasi dieci anni di affermazione italiana ed europea dell'Art Déco; e ancora, sempre in primavera, la mostra "Napoleone a Milano. Appiani e i percorsi del Mito" seguirà la parabola storica di Bonaparte attraverso le opere di diversi artisti, in un percorso realizzato in collaborazione con il Museo di Malmaison e la Réunion des Musées Nationaux. La mostra sarà allestita a Parigi per poi arrivare nella primavera del 2025 nelle sale di Palazzo Reale, dove sarà declinata con particolare attenzione alle opere realizzate per il Palazzo stesso. La GAM Galleria d'Arte Moderna di Milano, che mantiene ormai da anni una serie di rapporti stretti con la Francia, e in particolare con il Museo d'Orsay, ha appena concluso il progetto scientifico di una grande monografica dedicata allo scultore di origini russe ma italianizzato Paolo Troubetzkoy. La mostra, che sarà curata congiuntamente da GAM, Museo d'Orsay e Getty Museum di Los Angeles, sarà realizzata in doppia sede, a Parigi e a Milano, dove arriverà all'inizio del 2026. Tornando al 2024 e cambiando media espressivo, da febbraio il MUDEC proporrà un nuovo appuntamento, in collaborazione con Magnum Photo, con la fotografia di reportage e documentaria di Martin Parr. In mostra oltre duecento scatti del grande fotografo inglese, che ha scandagliato la società contemporanea e le sue pieghe più contraddittorie, senza filtri e fuori da ogni retorica. La grande fotografia contemporanea sarà protagonista anche a Palazzo Reale dove in autunno sarà allestito il grande progetto espositivo dedicato a Ugo Mulas. La mostra seguirà tutte le tappe della carriera del fotografo: dagli esordi nella Milano del Bar Jamaica alla Biennale d'Arte di Venezia, alle esperienze con il design, la moda, il teatro. L'arte contemporanea troverà come sempre il suo luogo d'elezione al PAC Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, che in primavera proseguirà l'indagine sui grandi nomi della scena internazionale con la prima retrospettiva europea dell'artista afro-americana Adrian Piper. Con prestiti dai più importanti musei internazionali tra i quali il MoMA e il Guggenheim di New York e la Tate Modern di Londra, la mostra ripercorrerà oltre sessant'anni di carriera dell'artista e racconterà la sua lotta permanente contro il razzismo, la misoginia, la xenofobia, l'odio e l'ingiustizia sociale. Quest'estate, invece, un progetto espositivo, coprodotto con il Kunstmuseum Liechtenstein e in collaborazione con Magazzino Italian Art di New York, vedrà protagonista Liliana Moro; mentre, da novembre, un progetto pensato appositamente per il PAC e dedicato a Milano ripercorrerà l'intera produzione di Marcello Maloberti. Nel 2025, sempre al PAC, è in programma la mostra di Shirin Neshat, prima ampia personale in Italia dell'artista iraniana che attraverso le sue opere filmiche e fotografiche esplora le rappresentazioni identitarie del femminile e del maschile nella sua cultura, attraverso la lente delle sue esperienze di appartenenza e di esilio. Dall'autunno 2024 a Palazzo Reale si tornerà ai grandi protagonisti italiani e internazionali dell'arte moderna, con la grande mostra dedicata a Enrico Baj, pensata in occasione dei cento anni dalla nascita, e l'ampia retrospettiva di Edvard Munch, realizzata in occasione degli ottant'anni dalla sua scomparsa e dopo quarant'anni dalla sua ultima mostra a Milano. L'arte di Munch sarà esplorata dal 1880 fino alla sua morte, avvenuta nel 1944, attraverso cento opere tra dipinti, disegni e stampe, tutti provenienti dal Munch Museet di Oslo. La programmazione di Palazzo Reale proseguirà nel 2025 con la prima antologica di Felice Casorati dopo l'esposizione del 1990, che rievocherà la parabola creativa dell'artista attraverso capolavori provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche italiane e da collezioni private, con alcuni selezionati prestiti da musei europei; la mostra monografica dedicata a Leonor Fini, artista surrealista e poliedrica che ha affrontato temi fondamentali come l'identità di genere e l'analisi e la critica dei modelli familiari consolidati nella società a lei contemporanea; e, in autunno, la prima personale dedicata al lavoro di Leonora Carrington in Italia, che prenderà in considerazione la sua figura a tutto tondo di donna artista, migrante, esule, madre, femminista d'avanguardia, ecologista ed artista. Le forti connessioni tra arte e moda sono il fulcro di due importanti progetti espositivi a Palazzo Reale: "Dal Cuore alle Mani: Dolce&Gabbana", che durante la prossima primavera presenterà le creazioni uniche della casa di moda, per la prima volta in mostra, ripercorrendo il processo creativo di Domenico Dolce e Stefano Gabbana; e, nell'autunno del 2025, la mostra "Dalì e la moda", che cercherà di esplorare gli aspetti più intimi e intensi del processo creativo dell'artista, dove moda e arte alimentano una forma di espressione in continua evoluzione. In occasione dei 70 anni della RAI, Palazzo Reale racconterà la sua storia di media per eccellenza, dal secondo Dopoguerra in poi, ripercorrendo la vicenda personale e professionale di uno dei suoi principali protagonisti, Mike Bongiorno, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita. Il MUDEC prosegue il suo percorso di approfondimento sull'espressione artistica delle culture del mondo, dall'antico al contemporaneo, con un taglio antropologico. In primavera, "Tatuaggio. Storie dal Mediterraneo" racconterà la storia del tatuaggio fin dalle sue più remote origini, percorrendo oltre settemila anni di storia umana; mentre nelle sale Focus la mostra "Exposure" rifletterà sulla centralità della vetrina nei progetti espositivi, con interventi contemporanei di Theo Eshetu, Mark Dion, Sam Durant e Monia Ben Hamouda. In autunno, il MUDEC proporrà due diversi progetti originali: il primo, una retrospettiva sulla scultrice franco-americana Niki de Saint Phalle, nota anche in Italia per il suo capolavoro realizzato sulle colline senesi, Il Giardino dei Tarocchi; il secondo, invece, illustrerà genesi e sviluppo del genere conosciuto come Art Brut a partire dal suo ideatore, Jean Dubuffet, che per primo coniò questo termine per indicare le creazioni spontanee realizzate da bambini o adulti completamente estranei agli ambienti culturali e privi di qualsiasi educazione artistica, spesso in condizioni di alienazione e sofferenza mentale. Il PAC completa la programmazione 2025 con due importanti progetti: in estate la prima mostra antologica del duo di artisti italo-americani Alessandro Codagnone e John Lovett nato a Milano nel 1995; in autunno, un progetto collettivo di ampio respiro che rappresenterà uno spaccato sull'arte e sulla vita nell'India di oggi, partendo dal basso, dalle strade, allegoriche e non: percorsi solcati da flussi migratori e autostrade informatiche, collegamento (e frattura) tra realtà rurale e innovazione tecnologica. Nessuna atmosfera new age, né esotiche divinità o seducenti star di Bollywood, dunque, per questo nuovo progetto con cui il PAC prosegue l'esplorazione delle culture del mondo attraverso lo sguardo degli artisti contemporanei. Negli spazi di Fabbrica del Vapore durante il 2024 sarà allestita, tra le altre, la mostra "Labirynth" di Tim Burton, un emozionante viaggio nell'universo creativo del regista di Beetlejuice, Batman, Edward mani di forbice, Nightmare Before Christmas, La sposa cadavere, la Fabbrica del Cioccolato, e altri film ancora. Da dicembre 2024, nelle diverse stanze del labirinto si potranno esplorare i diversi temi del regista, produttore, scrittore e artista, grazie a tecnologia, luci, suoni, opere d'arte originali e scenografie dei suoi film. I MUSEI CIVICI contribuiscono alla proposta espositiva temporanea con mostre e focus che partono concettualmente dalle loro collezioni, con affondi, aperture e connessioni che rinnovano lo sguardo sul loro patrimonio. Il Castello Sforzesco, sede del Civico Archivio Fotografico, valorizzerà la donazione dell'Archivio dello Studio Fotografico "Ballo & Ballo", acquisito nel 2022, con una mostra (da giugno) che racconterà lo straordinario percorso professionale dello Studio di Aldo Ballo e Marirosa Toscani Ballo, che divenne punto di riferimento internazionale per la fotografia del design italiano. A maggio, un focus nelle Sale delle Grafiche, realizzato in collaborazione con l'Istituto Universitario Olandese di Storia dell'Arte di Firenze, vedrà in esposizione i disegni in "Matita rossa" più importanti per qualità e storia collezionistica. In autunno, sempre nelle Sale delle Grafiche, nell'ambito delle celebrazioni di Alberto Martini, organizzate nel 2024 per commemorare il settantesimo anniversario dalla sua morte, il Castello esporrà l'importante nucleo di lavori martiniani presenti nelle collezioni civiche, indagando il tema dell'allegoria della morte e della danza macabra. A Palazzo Moriggia, sede del Museo del Risorgimento e laboratorio di storia moderna e contemporanea, in occasione dei 100 anni dell'anniversario dell'omicidio di Giacomo Matteotti, la Fondazione Anna Kuliscioff realizzerà in autunno, in collaborazione con le Civiche Raccolte Storiche, una mostra storico-documentaria per indagare a fondo la figura di Matteotti e la sua relazione con la città di Milano. A partire da marzo, sarà aperta al Museo Archeologico una piccola ma preziosa esposizione dal titolo "Immagini eterne. L'arte nell'antico Egitto", che offrirà una presentazione dell'arte egizia e delle sue specificità attraverso una selezione di reperti provenienti dalla collezione del Museo stesso. Il Museo del Novecento, in occasione di Milano Art Week 2024, proporrà nei suoi spazi tre diversi progetti: "Ritratto di Città", grande installazione audio-video multicanale, progetto di Masbedo, che parla della rinascita culturale di Milano; un focus dedicato all'artista olandese Magali Reus, vincitrice della VII edizione del Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura; "Futurist Drama", progetto site-specific dell'artista cipriota Haris Epaminonda, promosso dalla Fondazione Henraux. Dal 24 gennaio il Museo di Storia Naturale racconterà nella mostra "Mimesis" il mondo animale e il rapporto uomo-ambiente attraverso l'espressione pittorica di Marco Grasso, giovane artista naturalistico, mettendo in relazione i ritratti degli animali rappresentati, molti dei quali in via d'estinzione, e il materiale museale. Quest'estate l'Acquario proporrà, tra le altre, una mostra di Louise Manzon che, attraverso le sue opere, farà riflettere sia sulla fragilità che sulla grande potenza del nostro ecosistema, sottolineando come il mare nostrum sia anche onus nostrum, e cioè una nostra precisa responsabilità. Palazzo Morando - Costume Moda Immagine proporrà a partire dal prossimo febbraio una mostra di Daniele Tamagni, uno dei pochi italiani a vincere (nel 2011) il World Press Photo Award, uno dei premi di fotografia più importanti al mondo. Scomparso nel 2017, ha saputo catturare nelle strade dei continenti emergenti la ridefinizione creativa dei canoni estetici della cultura Occidentale: dai sapeurs congolesi alle donne di Dakar, dai dandy sudafricani alle lottatrici cholita boliviane, una globalizzazione rielaborata in nuove identità. Già in programma nel 2025 alla GAM – Galleria d'Arte Moderna di Milano la mostra dedicata Giuseppe Pellizza da Volpedo, che dialogherà con il Quarto Stato, capolavoro protagonista della collezione permanente del Museo. Il programma completo e sempre aggiornato si trova al seguente link  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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artemartinpietro · 1 year
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La persistencia de la memoria: Una obra maestra surrealista de Salvador Dalí
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“La persistencia de la memoria” de Salvador Dalí es una de las obras de arte más conocidas y célebres del mundo. Sus sorprendentes imágenes y su profundo simbolismo han cautivado al público durante casi un siglo, y su influencia puede verse en muchos aspectos de la cultura popular.
Esta icónica pintura es una piedra angular del movimiento surrealista, que buscaba explorar el subconsciente y desafiar las nociones tradicionales de la realidad. El uso por Dalí de relojes que se derriten y otras imágenes extrañas en el cuadro son ejemplos clásicos de las técnicas surrealistas, y se han convertido en sinónimos del movimiento en su conjunto.
La perdurable popularidad del cuadro puede atribuirse en parte a su capacidad para resonar en el público a múltiples niveles. Por un lado, los relojes que se derriten y el paisaje yermo evocan una sensación de melancolía e inutilidad, mientras que, por otro, pueden interpretarse como símbolos de la fluidez del tiempo y las infinitas posibilidades de la mente humana.
En este artículo exploraremos la fascinante historia y el significado de “La persistencia de la memoria”, y examinaremos por qué sigue siendo una obra maestra tan perdurable en el mundo del arte.
¿Qué es “La persistencia de la memoria”?
“La persistencia de la memoria” es un cuadro pintado por Salvador Dalí en 1931. Es una pintura al óleo sobre lienzo y mide 24 x 33 cm. El cuadro representa un paisaje árido con relojes de bolsillo blandos y fundidos que cubren diversos objetos. A lo lejos se ve una masa de agua y los acantilados del Cabo de Creus.
El cuadro se considera una obra maestra del surrealismo, un movimiento artístico surgido en la década de 1920 que hacía hincapié en el subconsciente y lo irracional. El surrealismo buscaba explorar el funcionamiento interno de la mente y a menudo utilizaba imágenes oníricas y extrañas para transmitir esta exploración.
La inspiración detrás del icónico cuadro de Salvador Dalí
Salvador Dalí se inspiró para crear “La persistencia de la memoria” después de ver un trozo de queso Camembert derritiéndose. El queso blando y derretido dio a Dalí la idea de crear un cuadro con relojes blandos que se derretían.
Los relojes que se derriten en el cuadro son una metáfora de la fluidez del tiempo y de la idea de que el tiempo no es fijo, sino que puede distorsionarse y manipularse. El paisaje yermo del cuadro representa el vacío y la futilidad de la existencia humana, mientras que el océano y los acantilados simbolizan lo eterno y lo inmutable.
El uso por Dalí de imágenes extrañas y oníricas en “La persistencia de la memoria” refleja su interés por el subconsciente y su deseo de explorar las profundidades de la psique humana.
Una atracción icónica en el Museo de Arte Moderno de Nueva York
El cuadro se encuentra actualmente en el Museo de Arte Moderno de Nueva York. El cuadro lleva expuesto en el museo desde 1934 y se ha convertido en una de las atracciones más populares del museo.
El Museo de Arte Moderno se dedica a exhibir arte moderno y contemporáneo, y cuenta con una impresionante colección de más de 200.000 obras de arte. Además de “La persistencia de la memoria”, el museo exhibe obras de otros artistas influyentes como Pablo Picasso, Vincent van Gogh y Jackson Pollock.
Conclusión
“La persistencia de la memoria” es una obra maestra del arte surrealista que ha cautivado al público durante casi un siglo. El uso que hace Salvador Dalí de los relojes que se derriten y de las imágenes extrañas en el cuadro se ha convertido en un icono y es reconocido en todo el mundo como un símbolo del surrealismo.
La exploración que hace el cuadro de la fluidez del tiempo y las profundidades de la psique humana sigue resonando en el público actual, y su perdurable popularidad es un testimonio del poder del surrealismo en el mundo del arte.
Originally published at https://artemartinprieto.com/on February 13, 2023.
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mlizarodriguz · 1 year
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NO LA RECUERDO
Sus grandes ojos, que al resplandor del sol parecían girasoles, me decían más que mil palabras, brillaban como luz en las tinieblas, buscando encontrar el néctar del mundo, como el picaflor las flores de las cuales alimentarse. 
Le dolía el sonido estridente de las voces en su cabeza, su piel se cuarteaba como el hielo a punto de quebrarse cuando sus uñas no podían parar al dulce dolor que le provocaba enterrarlas en su piel pálida , la cual adornaban 102 lunares de todas las tonalidades de marrón y con eternas formas que parecían no existir.    
Sus labios color rosa, delineados a la precisión de Picasso dejaban ver en una leve sonrisa sus dientes alineados como la constelación de orión; disfrutaba el sonido de las hojas de los arboles al danzar con las corrientes de aire, de los días cálidos en los que el cielo parecía fundirse con el eterno mediterráneo, su cabello largo, negro azabache, adornaba las curvas de su espalda, el mismo que cada mañana al despertar enredaba en mis brazos, al sentir la armonía que creaba dibujar su figura con mis labios.    
Y luego estaba yo, que perdía la memoria con facilidad.
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almanyalilar · 2 years
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kadinruhu · 2 years
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“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM'de
“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM’de
Carlos Rodriquez’in Picasso’yu anlattığı muhteşem eseri  “PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde   Picasso… Kader, özgürlük, sezgi, çocukluk, ilham perileri, semboller, alegoriler, simgeler, şans… Picasso hissetti, gördü ve boyadı. Bir şeyler başarmak için muazzam bir yalnızlık içinde işinde kaybolan bir sanatçıydı. Bu yalnızlık olmadan…
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habergecesi · 2 years
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“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM'de
“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM’de
Carlos Rodriquez’in Picasso’yu anlattığı muhteşem eseri  “PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde   Picasso… Kader, özgürlük, sezgi, çocukluk, ilham perileri, semboller, alegoriler, simgeler, şans… Picasso hissetti, gördü ve boyadı. Bir şeyler başarmak için muazzam bir yalnızlık içinde işinde kaybolan bir sanatçıydı. Bu yalnızlık olmadan…
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kadinfikri · 2 years
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“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM'de
“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM’de
Carlos Rodriquez’in Picasso’yu anlattığı muhteşem eseri  “PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde   Picasso… Kader, özgürlük, sezgi, çocukluk, ilham perileri, semboller, alegoriler, simgeler, şans… Picasso hissetti, gördü ve boyadı. Bir şeyler başarmak için muazzam bir yalnızlık içinde işinde kaybolan bir sanatçıydı. Bu yalnızlık olmadan…
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cristinabcn · 1 year
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(vía «Eterno», homenaje a Picasso llega a Madrid)
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listemakale · 2 years
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“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM'de
“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM’de
Carlos Rodriquez’in Picasso’yu anlattığı muhteşem eseri  “PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde   Picasso… Kader, özgürlük, sezgi, çocukluk, ilham perileri, semboller, alegoriler, simgeler, şans… Picasso hissetti, gördü ve boyadı. Bir şeyler başarmak için muazzam bir yalnızlık içinde işinde kaybolan bir sanatçıydı. Bu yalnızlık olmadan…
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mevcutbilgi · 2 years
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“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM'de
“PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de AKM’de
Carlos Rodriquez’in Picasso’yu anlattığı muhteşem eseri  “PICASSO ETERNO” Beyoğlu Kültür Yolu Festivali kapsamında 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde   Picasso… Kader, özgürlük, sezgi, çocukluk, ilham perileri, semboller, alegoriler, simgeler, şans… Picasso hissetti, gördü ve boyadı. Bir şeyler başarmak için muazzam bir yalnızlık içinde işinde kaybolan bir sanatçıydı. Bu yalnızlık olmadan…
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34haber · 2 years
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"Picasso Eterno" 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde
“Picasso Eterno” 15 Ekim’de Atatürk Kültür Merkezi’nde
Picasso… Kader, özgürlük, sezgi, çocukluk, ilham perileri, semboller, alegoriler, simgeler, şans… Picasso hissetti, gördü ve boyadı. Bir şeyler başarmak için muazzam bir yalnızlık içinde işinde kaybolan bir sanatçıydı. Bu yalnızlık olmadan gerçek bir sanat mümkün değildi. İşte bu duygu artistik direktörlüğünü İspanya’nın en başarılı Flamenko topluluklarından biri olan Rojas y Rodriguez’in de…
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ma-pi-ma · 2 years
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In questa nube si accoppiano, in questa nube nera, il desiderio nero inchiostro costretto nel rame, netto e tenace, dal veggente dietro la tenda, vuole
vuole anche quella donna e quell’uomo, la doppia figura in cui penetra e si rannicchia come un tempo, quel secolo prima.
Nell’abbraccio inciso cerca un mare e un letto, grida di maree perdute, di un eterno amplesso, con la nostalgia di chi
è costretto a vedere.
Cees Nooteboom, Picasso, ultime incisioni, da Le porte della notte
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LOS HERALDOS NEGROS, CÉSAR VALLEJO
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Qui potest capere capiat [Quien pueda entender que entienda]. Epígrafe bíblico que preludia a Los Heraldos Negros (LHN); poemario escrito entre 1915 y 1918, publicado en julio de 1919.
«Todos saben... Y no saben / que la Luz es tísica, / y la Sombra gorda... / Y no saben que el Misterio sintetiza... / que él es la joroba / musical y triste que a distancia denuncia / el paso meridiano de las lindes a las Lindes. // Yo nací un día / que Dios estuvo enfermo, / grave». Fragmento de «Espergesia» .
Sobre Cesar Vallejo hay tanto por decir, que puede resultar insulso el intentar hacerlo en una simple reseña, así que, con el fin de no incurrir en estrechez literaria, me limito a dejar un solo dictamen sobre él y su obra: Cesar Vallejo fue un hombre de profundos y dolorosas cavilaciones, de gran esperanza y de penas muy gruesas; su poesía fue y es, y en lo que concierne al mundo, seguirá siendo, una titánica y colosal obra del arte del mundo hispánico-andino, y sobre todo, del mundo entero (universal).
LHN, está compuesto por 69 poemas y dividido en seis secciones: Plafones ágiles, Buzos, De la tierra, Nostalgias imperiales, Truenos, y Canciones de hogar. Los poemas fueron escritos y publicados en fechas muy variadas, y finalmente compendiados en el mencionado poemario.
Sugiero —y es de suma importancia— que se lea la biografía de Vallejo, pues, enriquecerá en demasía la percepción sobre su poética. Cesar Abraham Vallejo Mendoza, nació el 16 de marzo de 1892, en Santiago de Chuco, sierra de La Libertad, departamento peruano. Último de once hijos.
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Ciertamente, sería craso el elegir un poema entre todos los que se nos presentan en éste importante libro; en todo caso, me configuro en señalar los que he considerado de suma importancia:
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LOS HERLADOS NEGROS, poema, es el pórtico a un mundo oscuro, dulce, triste y esperanzador, con Dios y sin Dios, mordaz, ágil, agresivo, calmado, de profundos llantos y de «nostalgias imperiales»; el primer poema del libro, que considero el de mayor trascendencia [sin desmerecer a los otros] de entre todos los incluidos. Poema decisivo en la evolución vallejiana; prueba inequívoca de lo que clamaba Orrego. Escapa del metro y de la rima.
«Hay golpes en la vida, tan fuertes… ¡Yo no sé! / Golpes como del odio de Dios».
LA ARAÑA, poema que marca a la dualidad inarmónica del hombre, metáfora simbólica animal, El hombre, como la araña, lleva la cabeza y el abdomen separados, la cabeza siempre pugna por ir hacia arriba y, en cambio, el vientre siempre hacia abajo.
NOSTALGIAS IMPERIALES I, poema referente a Trujillo y sus alrededores, con las nostalgias del Gran Chimú, cultura conquistada por los Incas; además, añora la unidad sociocultural del antiguo Imperio inca, que fue rota por la conquista.
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ÁGAPE, EL PAN NUESTRO, y LA CENA MISERABLE; tres poemas en los que Vallejo va a confesar la culpa que le trajo su sola existencia, además, el deseo por ayudar al prójimo. Explorará en ellos su profunda sensibilidad frente a la muerte, el hambre de los pobres y los desvalidos, y, la injusticia que hay en la mesa del miserable.
«Todos mis huesos son ajenos; / yo talvez los robé! / Yo vine a darme lo que acaso estuvo / asignado para otro».
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LOS PASOS LEJANOS, A MI HERMANO MIGUEL. La ausencia del hogar, la muerte de sus seres amados [su padre y su hermano], esa profunda angustia en el «nunca más», Además, la maduración artística en el vate.
«Mi padre duerme. Su semblante augusto / figura un apacible corazón; / está ahora tan dulce… / si hay algo en él de amargo, seré yo».
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LOS DADOS ETERNOS y ESPERGESIA, [preferidos de quien reseña, del poemario entero]. Con estos dos poemas mayores, Vallejo pone en crisis las viejas bases religiosas y filosóficas. Ahonda en sus interiores, se desafía a sí propio, desafiando a la vez a su Dios. Y reclama por su «mala estrella», dejando en evidencia sus profundas angustias, frente a un mundo cruel y tormentoso.
«Dios mío, estoy llorando al ser que vivo; / me pesa haber tomádote tu pan». «Yo nací un día / que Dios estuvo enfermo».
La complejidad de la poesía de Vallejo, no es reducible a una clave que iluminará toda su obra. Toda obra literaria se puede interpretar bajo diversas perspectivas, la poética de Vallejo, con mayor razón debe estudiarse como una «polisemia expresiva». Umberto eco la denomina «obra abierta». Se deben observar todos los factores del texto poético: factor intra-textual, (fonología, métrica, visuales en cuanto a la exploración gráfica, morfológica, sintáctica, semántica, retórica); inter-textual (relación entre textos del autor, relación entre textos del autor y otros textos de la tradición cultural); y extra-textuales (biografía, medio ambiente, marco histórico, etc.).
La complejidad de la obra de Vallejo supone la continuidad de ciertas intuiciones fundamentales y temas obsesivos, mismos que fueron latentes en toda su obra. Pero también hubo una evolución, tanto ideológica, como en recursos expresivos. Podríamos decir que en Vallejo, la sensibilidad fue siempre la misma, pero su técnica estuvo en constante evolución, al igual que su sentido ideológico.
La poesía vallejiana tiene importantes niveles, tanto emotivo como intelectual. Autor de raíces andinas y americanas; además de un innegable aliento universal. No debemos encasillar a Vallejo en valores simples como los «regionalistas», ni tampoco quitarlo de ello solo por su poderosa universalidad. Vallejo se sumergía en lo cotidiano y concreto de su existencia, es por eso que es necesario conocer sus peripecias biográficas y el fondo anecdótico de sus poemas, el marco histórico-social en el que vivía y sus contradicciones metafísicas. Autor de tono maldito y satánico (blasfemo, agnóstico, irónico, pesimista, etc.), y utópico o apocalíptico (identificar lo eterno y lo divino con la realización del hombre en este mundo; casi «desdivinizando» a Dios, y «divinizando» al hombre.
Vallejo fue un autor original en dos sentidos: Primero, en tanto fue distinto, desacostumbrado, singular; segundo, en cuanto a que retrae la esencia del ser a su origen. Hubo quien dijo que Vallejo copiaba; ello sería un error en la medida de que, según Gonzáles Vigil, «[…] Vallejo nunca imita, sino asimila creadoramente» ¹.
El «vate», gran admirador de Dante, Quevedo, Whitman, Rubén Darío (poeta de la lengua española al que más admiró) Picasso, Chaplin, Einsten, y entre otros. Además, asimiló de manera extraordinaria las cuestiones filosóficas, religiosas e ideológicas provenientes del cristianismo, la filosofía griega, el evolucionismo, el positivismo, el marxismo, etc. También veneraba a figuras como Cristo, Buda, Sócrates, Platón, Nietzsche, Marx, Engels, Lenin.
No debemos encasillar a Vallejo en algún ismo, sino aproximarlo, y cuidadosamente: al romanticismo, al postmodernismo, al vanguardismo, etc.; y solamente si somos conscientes de su anti-dogmatismo, podemos vincular sus poemas con el cristianismo, el platonismo, el evolucionismo, el positivismo y el marxismo.
No debemos ver a Vallejo, solamente como el poeta del dolor y de la muerte (que sí es), sino también como el poeta de la vida y la esperanza, de acento profético, evangélico y apocalíptico que anuncia la liberación de la «voz del hombre».
Nuevamente, resulta substancial para comprender la obra del poeta, el conocer su vida, el saber que tuvo una infancia muy feliz en sus terruños santiaguinos, amando su paz bucólica, sus costumbres y sus fiestas andinas; teniendo de núcleo el hogar y el apego a sus hermanos, especialmente a María Agueda, Victoria Natividad y Miguel Ambrosio (más próximo en edad).
Roberto Paoli nos dice que, el mensaje humano de Vallejo tiene una profunda raíz en el alma india, mestiza y serrana, y que el indio se yergue como su modelo de hombre nuevo, en consonancia con el socialismo indigenista; pues, se percibe en su obra la dolorosa inserción a la cultura occidental que éste sufrió cuando se alejó del hogar provinciano. Se muestra nostálgico trabajando en una cultura ajena a él.
El vate universal tenía un fundamental componente de la cultura occidental: La religión cristiana (recordemos que sus dos abuelos varones eran sacerdotes españoles). Y, cuando Cesar se inserta en la vida urbícola, trata con hombres para nada cristianos de temas ateos y agnósticos (la Ilustración, Comte, Gonzales Prada, Nietzsche, Darwin). Su corazón añoraba a Dios, pero su cabeza concurría contra el mismo. Y he allí uno de sus grandes logros poéticos, la alianza entre su corazón andino-cristiano, y, su cerebro marxista: Los heraldos negros (LHN).
Temas importantes para su composición poética en LHN fueron: el descubrimiento de la injusticia social, la explotación de los trabajadores y la marginación cultural de los indígenas. Por ello, es de importante mención algunos hechos en la vida del autor: En 1910 pasó una temporada en el asiento minero de Quiruvilca, San Francisco, provincia de Pasco. En 1911 se desempeñó como preceptor de los hijos de un minero hacendado político, Domingo Sotil, en la hacienda «Acobamba» (valle costeño de Chicama, cerca de Trujillo). En 1912 trabajó como cajero en la hacienda azucarera «Roma», que contaba con más de cuatro mil peones (valle costeño de Chicama, cerca de Trujillo). Pasó una época de gran precariedad económica (fue alumno libre en secundaria y tuvo que interrumpir sus estudios universitarios en San Marcos, Lima; y en Trujillo, en la Universidad de La Libertad, costear sus estudios trabajando como profesor primario. No olvidemos que su piel era de tono cobrizo y tenía facciones marcadamente indígenas, suscitando con ello cierto desdén en la ciudad de Trujillo, hispánica y señorial.
Vallejo escribía desde la secundaria, era un autor incipiente y rezagado en lecturas del Siglo de Oro Español, lo cual lo había dejado perenne en los endecasílabos y los heptasílabos del Quijote y la poesía romántica. Fue Antenor Orrego el primero en detectar el genio creador del poeta, empujándolo a expresarse de modo más auténtico, aunque rompa con normas gramaticales y retóricas. Luego asimiló la nueva poesía del simbolismo francés y el modernismo hispanoamericano. Fue perfilando su tono persona ya patente en algunas composiciones. En otro plano, su sensibilidad social e inquietud ideológica fueron impactadas por la prédica americanista y anti-imperialista.
Todo este aprendizaje poético se vio en LHN, poemario de lenguaje propio, con resonancias del romanticismo, el simbolismo francés, el modernismo de Darío y el novomundismo de Chocano; a los que se agrega un tono post-modernista más personal. Así, Vallejo había asimilado mucho del modernismo y, en LHN lo superó, siendo el poemario hispanoamericano más representativo del post-modernismo.
Según Antenor, lo más notable en LHN, procede del propio Vallejo y va más allá de cualquier deuda con alguna corriente; pues, expresa la angustia que genera el modernismo al poner en duda las creencias tradicionales. Además, inicia la conquista de un lenguaje único, abriendo camino a Trilce; usando palabras «antipoéticas»; explorando la muerte, el dolor, el absurdo, el «yo no sé», el compromiso solidario, el hogar y la infancia, la apuesta por la realización del ser humano con un acento personalísimo y una intensidad incomparable en las lenguas castellanas. Asume rasgos de la sensibilidad indígena, que lo hacen una voz peruana del nuevo mundo americano. Añade un simbolismo numérico relacionado a la biblia, a la cábala, a Pitágoras y a Platón, a Dante y a Darío.
Vallejo le había pedido a Abraham Valdelomar el prólogo para su primer libro. Vallejo admiraba profundamente y sin tapujos a Valdelomar. Por su parte, Valdelomar se había percatado del genio creador de Vallejo y había escrito: «La génesis de un gran poeta. Cesar Vallejo, el poeta de la ternura» (Sudamérica, año I, núm 11, Lima, 2 de marzo 1918).
Un dato curioso: Sus amigos de la Bohemia de Trujillo, Antenor Orrego, José Eulogio Garrido, Víctor Raúl Haya de la Torre, Macedonio de la Torre, Alcides Spelucín, Juan Espejo Asturrizaga, y otros, lo apodaban como «Korriscosso», personaje de un cuento de Eça de Queirós​. El personaje es un griego exiliado en Inglaterra, Londres, reducido a mozo, incapaz de hacerse oír por una camarera rubia de quien se enamoró.
Como conclusión a la presente reseña, he de señalar y elogiar el gran trabajo que realizaron el antologador y vallejista, Ricardo Gonzáles Vigíl, y los también vallejistas, Max Silva Tuesta, Georgette Vallejo (esposa de Vallejo), Miguel Pachas Almeyda, Roberto Paoli, Juan Larrea, Xavier Abril, André Coyné, y entre otros. Sobre todo, he de resaltar la importancia y la suma substancial que tienen para mí persona, los escritos de Gonzáles Vigíl y de Pachas Almeyda.
Sobre el libro: He utilizado un recopilatorio general de la obra completa de Vallejo, pero solo he reseñado una parte, la cual abarca, solamente a LHN.
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Título: Cesar Vallejo — Obra Completa
Idioma: Español
N° páginas: Obra completa, 908 – Los heraldos negros, 55-203 (148)
Editorial: DESA
Colección: Biblioteca Clásicos del Perú
Temática: PoesíaAño de edición: 1991
¹ Gonzales Vigil, R. (1991). Cesar Vallejo. Obras completas (pp. XIII). Edición Biblioteca Clásicos del Perú.
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thebeautycove · 3 years
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LA STRAORDINARIA VITA DI LEE MILLER, DA MODELLA A REPORTER DI GUERRA.
Nel 1913 Gustave Flaubert pubblicò un libro in cui raggruppava, in maniera enciclopedica, tutti luoghi comuni diffusi nella società parigina, e quindi occidentale, di allora. A distanza di oltre un secolo, non tutti i cliché contenuti nel Dictionnaire des idées reçues sono totalmente scomparsi: uno dei più duri a morire è quello secondo cui “la donna artista non può che essere in realtà una semplice sgualdrina”. La storia dell’arte, costellata da figure di primissimo livello già in età antica, sconfessa ovviamente questa affermazione. Scardinare certe convinzioni non è mai facile, soprattutto se provi a farlo quando sei al contempo anche una delle bellezze più affascinanti del tuo tempo.
Lo scoprirà a sue spese Elizabeth Miller, per tutti “Lee”, che nel 1913 ha solo sei anni ma ha già iniziato a condividere col padre Theodore la passione per la fotografia. La piccola di casa non si limita infatti a fare da semplice modella per lui, ma studia anche le sue tecniche. L’anno dopo Lee rimane vittima di un episodio ancora non del tutto chiarito, destinato a lasciare una ferita indelebile nella sua vita. Nel 1914, la madre Florence MacDonald è costretta al ricovero in ospedale e la bambina viene affidata ad alcuni amici di famiglia a Brooklyn. Qui la piccola Lee viene abusata, probabilmente proprio da chi la stava ospitando e, per reazione, inizia a chiudersi nel carattere duro e poco incline ai compromessi per cui diverrà famosa.
Nella lista delle cose da non fare a New York, pubblicata nel 2014, la rivista Condé Nast Traveler sconsiglia ai turisti di passeggiare per zone centrali e trafficate come Times Square. Lee Miller sarebbe probabilmente la testimonial ideale della bontà di questo consiglio: nel 1926, è una studentessa di scenografia alla Art Students League della Grande Mela quando rischia di essere investita da un’auto proprio a Manhattan. A salvarla dall’impatto è per un caso del destino Condé Montrose Nast. L’editore resta colpito dalla bellezza elegante di Lee Miller ma anche dal suo senso dello stile e le propone lì, in mezzo alla strada, di diventare uno dei volti da copertina del suo giornale, Vogue. Negli anni seguenti, Lee diventa una delle modelle più celebri d’America e un’icona della moda. Questa celebrità non rappresenta la sua aspirazione primaria ma lei sta al gioco, un po’ perché ha bisogno di denaro e un po’ perché posando può osservare all’opera i migliori fotografi del Paese.
La carriera da it-girl di Miller procede senza scossoni fin quando non entrano in gioco gli assorbenti. Parlare di mestruazioni è complicato ancora oggi, ma nel 1927 era un assoluto tabù. Quando Lee Miller diventa la prima donna a prestare il suo volto alla campagna pubblicitaria di un marchio di tamponi, la sua carriera da modella nell’America bigotta degli anni Trenta è finita. Non ne fa una tragedia: non vuole essere più una musa, bensì l’artista dietro la macchina da presa. Una delle sue frasi più famose, destinata a essere ripresa in eterno è: “Preferisco fare una foto che essere una foto”. Per realizzare i suoi progetti non c’è posto migliore della Parigi di quel periodo. Con la sfrontatezza che le è propria, Miller bussa alla porta della casa parigina di chi allora stava riuscendo meglio a mischiare fotografia e arte: l’altro emigrante newyorchese Man Ray. L’artista non è propriamente entusiasta all’idea di avere un’apprendista come Lee Miller, ma ci mette poco a ricredersi: in poco tempo tra loro nasce un sodalizio professionale che sfocia in un’intensa storia d’amore. Si completano, hanno lo stesso gusto surrealista e diventa difficile capire quali foto siano effettivamente opera di lui e quali di lei.
Insieme inventano fortuitamente anche la tecnica della solarizzazione. Un giorno, mentre sono entrambi nella camera oscura, Lee Miller accende inavvertitamente la luce. Le parti del negativo che non dovevano essere esposte hanno incontrato inavvertitamente questa luce improvvisa: ora il fondo e l’immagine non si uniscono e rimane il tratto nero che caratterizza qualcosa di nuovo, la “solarizzazione” appunto. Da questa tecnica nascono foto iconiche come il ritratto solarizzato dell’artista surrealista Meret Oppenheim, una delle tante amiche e colleghe della coppia insieme a personaggi del calibro di Picasso e Breton. Miller ammira molto Man Ray, ma non è più soddisfatta da quella relazione basata sulle dinamiche tra allieva e maestro: sa di essere una fotografa completa e autonoma e, pur essendo ancora affezionata a lui e a Parigi, torna a New York per aprire finalmente il suo studio al numero otto della East 48th Street. Con lei c’è il fratello Erick, che ha già collaborato col fotografo di moda Toni Von Horn. Miller è ancora conosciuta nell’ambiente newyorchese: trova clienti importanti come Helena Rubinstein e riesce addirittura a lavorare con le due maggiori stiliste del tempo, allora acerrime rivali, Elsa Schiaparelli e Gabrielle Chanel.
Miller è però inquieta e sempre alla ricerca di nuove sfide. Stanca della fotografia commerciale e dei lavori per il mondo della moda, abbandona di nuovo New York. Sedotta dal facoltoso Aziz Eloui Bey e dalla prospettiva di emigrare con lui in Egitto, abbandona il lavoro di fotografa e parte per l’Africa. Nelle passeggiate nel deserto, unico vero passatempo della sua nuova vita egiziana, Miller riprende a fotografare e lo fa con un occhio più surrealista che mai: nei suoi scatti si incontrano persone ritratte solo dai piedi fino alla vita, specchi e addirittura ombre di piramidi riprese dall’alto. Eppure, di nuovo stanca della routine, si sente un’altra volta in trappola: scappa a Parigi, dove conosce il curatore d’arte Roland Penrose, che sposerà.
Nel 1939 lascia definitivamente Bey e l’Egitto per trasferirsi con Penrose a Londra. L’idillio inglese della coppia dura però poco: a interromperlo dopo poco è l’inizio della seconda guerra mondiale. Penrose viene chiamato a prestare servizio al fronte e la fotografa rimane sola, in una capitale che inizia a essere bombardata da frequenti blitz aerei. In quel periodo, Lee Miller si guadagna da vivere come fotografa di moda per Vogue ma, ancora una volta, non si accontenta della stabilità lavorativa raggiunta: sente che non può vivere in una bolla mentre fuori il conflitto mostra già le prime tragiche conseguenze. Miller comincia così a unire la fotografia di moda al reportage di guerra, regalando foto stranianti quanto ricche di significato. Le due modelle ritratte all’ingresso di un rifugio anti-bombardamento, con le loro ingombranti maschere di protezione in Fire Masks o la Rose Descat ritratta a Parigi in un negozio di cappelli, sono le protagoniste di scatti con cui Miller testimonia come la guerra mini anche il quotidiano di chi, fino a quel momento, ha provato a ignorarla.
In una lettera del 1944, Lee Miller spiega ai genitori che ormai per lei non è più il tempo di lavorare per le riviste patinate: “Mi sembra piuttosto stupido continuare a lavorare per una rivista frivola come Vogue, che può essere buona per il morale del Paese, ma un inferno per il mio”. Lee trova un accredito stampa e, assieme all’amico e collega David E. Scherman di Life, parte al seguito dell’esercito americano in Europa. È forse proprio Scherman a ritrarla in divisa da ufficiale prima della partenza: alle spalle di Lee c’è un numero di Vogue con una patriottica bandiera americana e, sul cappello e sulla giacca, si legge la scritta war correspondent. La Miller è la prima donna a cui è permesso di stare così in prima linea: fotografa senza remore gli ospedali di guerra, le SS morte nei canali, i campi di concentramento e cattura addirittura le struggenti immagini di bambini morenti. Ed è l’unica reporter che riesce a documentare l’assalto alla fortezza di Saint Malo.
Sempre in compagnia di Scherman, Lee riesce persino a entrare nell’appartamento di Hitler. La sua foto mentre si fa il primo bagno dopo settimane nella vasca del Führer diventa il simbolo della vittoria: il Terzo Reich è stato annientato, scomparso come il celebre chalet di Hitler, il Nido d’Aquila, che Lee stessa riesce a fotografare avvolto nelle fiamme. Lee Miller ha vinto anche la sua guerra personale: ha dimostrato che una donna può essere un’artista, riuscendo a dare il meglio nelle situazioni più difficili ed estreme. Quando però torna finalmente a casa non ha più la forza per festeggiare il successo: le tante battaglie combattute l’hanno stremata e svuotata. Tornata in Inghilterra, i fantasmi di quello che ha vissuto la perseguitano anche nella tranquilla tenuta dove Penrose sperava di passare con lei una serena vecchiaia. I disturbi post-traumatici e le crisi depressive si fanno sempre più forti per Miller, che inizia a bere. Ha un figlio e i suoi amici di sempre: Picasso, Max Ernst e anche il vecchio amore Man Ray, le restano vicino fino all’ultimo, fino alla sua scomparsa nel 1977.
Lee Miller ha messo tutta se stessa in quello che faceva e i successi di donne come lei hanno aiutato tante ragazze a capire che non bisogna mai accontentarsi o censurarsi per assecondare le convenzioni. Avrebbe potuto limitarsi a sfruttare la sua bellezza, scegliere di rimanere confinata al ruolo di sex symbol di un’epoca, ma ha voluto sempre di più perché desiderava far sentire la sua voce attraverso l’arte. Ancora oggi il suo coraggio dovrebbe essere di esempio per tante altre donne.
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