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#Fiordi Norvegesi
cruiseandtravel · 29 days
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Costa Crociere, Sea destinations e nuovi itinerari
Let's explore together the enchanting destinations and thrilling experiences that await passengers aboard Costa ships during this festive period [Full language inside]
Passata la Pasqua, i viaggiatori di tutto il mondo stanno pianificando le proprie vacanze in cerca di esperienze uniche e indimenticabili. Tra le opzioni più ambite e affascinanti, le crociere emergono come una scelta prediletta, offrendo la possibilità di esplorare diverse destinazioni in un’unica avventura. Scopriamo insieme le suggestive mete e le emozionanti esperienze che attendono i…
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abr · 1 year
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Il fenomeno in Norvegia è talmente diffuso che esiste una parola per definirlo: «rekkevideangst» ovvero l'angoscia che l’auto elettrica si scarichi all’improvviso e ti lasci a piedi tra i fiordi.
via https://www.corriere.it/economia/consumi/23_febbraio_05/auto-elettrica-cos-la-rekkevideangst-7da76948-a3aa-11ed-b0d7-d610d07ab781.shtml
Fubini parte bene senza volerlo, raccontando della nuova FOBIA INDOTTA nell'automobilista novegese che è avanti rispetto a tutto il mondo. Poi invece narra che va tutto bene madama la marchesa e noi che scemotti di Ztl non siamo, di seguito qui debunkiamo.
Il freddo intenso può ridurre l’autonomia delle batterie (...), il problema è serio. (...). (U)n gelo di circa -10°C riduce l’autonomia di circa un terzo (...), uno intenso (-20°C o più) fino alla metà; conservando l’auto in un garage caldo, questo fenomeno può essere in qualche modo mitigato.(...)
Ma questo non impedisce alla Norvegia di essere la prima per diffusione di veicoli elettrici. Nel 2022 è stato registrato un record: quattro auto nuove su cinque (79%) erano a batteria. Il Paese, pur essendo un grande produttore di petrolio, abbandonerà il motore a combustione interna nel 2025, con dieci anni di anticipo rispetto all’Unione europea.
[Cioè (a) se nel 2025 cioè domani saran solo auto elettriche, i norvegesi fanno i virtuosi per forza più che per amore, come del resto piace ai benecomunisti; inoltre (b) ai produttori di petrolio importa sega dei trasporti, tanto ci sono da fare le plastiche e da alimentare le centrali per produrre sempre più energia elettrica, ndr].
Per evitare brutte sorprese gli automobilisti norvegesi sono abituati a pianificare i loro percorsi prima di lunghi viaggi, le app e la vasta rete norvegese di oltre 5.600 stazioni di ricarica superveloce rendono tutto più semplice.
[Fatevi noiosi nordici pianificatori seriali, o ci pensi prima o stai a casa e viva la libertà; ah, e che si fa per le emergenze improvvise? ndr].
L’anno scorso le auto elettriche hanno rappresentato il 54% delle nuove immatricolazioni nel Finnmark, la regione norvegese più settentrionale dell’Artico, dove le temperature a volte scendono fino a -51°C. Il che dimostra che il freddo non rappresenta un ostacolo insormontabile.
[L'aritmetica non è una opinione: se in tutta la Norvegia "4 auto nuove su 5 sono elettriche", chi sa fare le percento ne ricava che nel freddo nord si vende un terzo % IN MENO di elettriche rispetto al resto del Paese: là molti sperano ancora nel rinsavimento, ndr].
Inoltre sono sempre di più le nuove auto elettriche con sistemi di preriscaldamento delle batterie - che consentono di avere una maggiore autonomia e rappresentano una soluzione molto intelligente perché se l’auto è riscaldata prima della ricarica, si ricarica anche più velocemente.
[Qui niente preoccupazioni sui consumi di energia come in Svizzera, qui si va addirittura di preriscaldamento elettrico. La chiave è che la Norvegia è , testuale, "un grande produttore di petrolio", quindi di nuovo, nessun problema a produrre col petrolio l'energia elettrica in centrale, ndr]
(...). Se fa davvero molto freddo (...) a volte le auto con motore diesel non riescono a partire, mentre con le auto elettriche questo non succede.
[vi stan vendendo la fontana di Trevi: in Norvegia da decenni i parcheggi hanno la presa elettrica per il preriscaldamento del motore d'avviamento, la stessa che ora preriscalda le batterie, ndr].
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fashionbooksmilano · 1 year
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Angela Occhipinti  Il viaggio
Opere 2000-2004
a cura di Marco Meneguzzo
Edizioni Gabriele Mazzotta, Milano 2004, 95 pagine, Brossura, 24 x 22 cm,  Testo italiano e inglese, EAN  8820216914
euro 12,00
email if you want to buy :[email protected]
Fondazione Stelline, Sala del Collezionista, Milano 9-26 giugno 2004
Angela Occhipinti ha lavorato molto sul tema del viaggio e per lei le mete, quelle vere, sono nascoste dietro la curva del cuore e il viaggio è anche la metafora della vita. Lei crede che ognuno di noi ha nel sangue quelle mete e solo attraverso i viaggi si può avere la misura della distanza che ci separa dalle realtà sconosciute.
Per lei “il Viaggio” è scuola di vita e di pensiero, è una ricognizione anche mentale dove ogni forma prende origine e altrettanto misteriosamente scompare. Ogni viaggio scaturisce in lei una tristezza sonora, malinconica e contemplativa, che si traduce in un linguaggio di segni e di combinazioni di simboli pressoché infiniti. Tutto diventa motivo per caricare i suoi oggetti in reperti di penetrante suggestione, che richiedono quel silenzio che si addice alla memoria e alle memorie.
Angela Occhipinti riesce a trasformare i ricordi del viaggio in nuove icone, che vanno dai grandi polittici polimaterici al minimo frammento di carta; ogni opera si carica di rievocazioni, conoscenze, colori e luce; un lungo viaggio verso lo svelamento del contenuto.
Ha viaggiato e soggiornato in Nepal, Birmania, India, Tailandia, Bali, Giappone, Corea, Cambogia, Vietnam, Taiwan, Hong Kong, Cina, Tibet, Russia ecc…. Ha visitato tutta l’Europa fino alla Scandinavia e considera i fiordi norvegesi uno spettacolo unico ed irripetibile. E’ rimasta incantata dall’Islanda, con i suoi fiumi glaciali, le stupende cascate, e le sorgenti calde come la grande fontana geotermale del Geysire e dalla fauna selvatica dell’Alaska nel parco nazionale di Anchorage.
Ha subito il fascino della magia dei deserti dell’’Africa , della California, dell’ Arizona e del Cile.
Sono dentro di lei i colori della Valle della Morte e il silenzio mistico del deserto è ancora vivo nella sua mente come un miraggio pieno di mistero, trafitto da incisioni rupestri che raccontano il passaggio dell’uomo. Anche la suggestiva e grandiosa bellezza del Gran Canyon e del suo parco con le secolari sequoie hanno scavato in lei solchi profondi di emozioni.
18/11/22
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tiru1993 · 2 days
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Sciare nei fiordi norvegesi: perchè è da inserire nella bucket list?
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lelelatta · 12 days
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Cosa vedere a Alesund, splendore dei fiordi norvegesi #viaggiaescopri #travelwebtv #lelelatta
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lucadea · 2 months
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Alcune cascate nel Geirangerfjord in Norvegia
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Alcune cascate che si ammirano nel Geirangerfjord in Norvegia. Erano diversi anni che non percorrevo i fiordi a bordo di una nave e devo dire che è sempre una esperienza magica. La scorsa stagione estiva infatti ero a bordo della Costa Firenze (di Costa Crociere) e per un mesetto sono riuscito a godermi il passaggio in uno dei fiordi più affascinanti: il Geirangerfjord. Queste sono solo alcune delle mastodontiche cascate che dall'alto del fiordo cadono nel freddo mare norvegese. Sei mai stato/a in crociera nei fiordi norvegesi? Some waterfalls that can be admired in the Geirangerfjord in Norway - Quelques cascades que l'on peut admirer dans le Geirangerfjord en Norvège - Algunas cascadas que se pueden admirar en el fiordo de Geirangerfjord en Noruega - Algumas cachoeiras que podem ser admiradas no fiorde de Geiranger na Noruega - Einige Wasserfälle, die man im Geirangerfjord in Norwegen bewundern kann - Một số thác nước có thể được chiêm ngưỡng ở Geirangerfi hạn ở Na Uy - 挪威盖朗厄尔峡湾的一些瀑布 - ノルウェーのガイランゲルフィヨルドで鑑賞できるいくつかの滝 Read the full article
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viaggiaescopri · 4 months
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Un viaggio in Norvegia merita di essere vissuto fino in fondo e in ogni stagione offre spunti e attività differenti. In ogni stagione il paese cambia notevolmente, sopratutto per colpa o merito della luce. Io ho avuto l'occasione di visitare (...Leggi tutto) https://www.viaggiaescopri.it/cosa-vedere-a-alesund-fiordi-norvegesi/?utm_source=tumblr&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=Tumblr
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Al via il World Cheese Awards in Norvegia
Al via alla 34° edizione del World Cheese Awards 2023/2024: a Trondheim, sui fiordi norvegesi, venerdì da venerdì 26 a sabato 27 ottobre, 260 giurati di una quarantina di Paesi del mondo valuteranno 4504 iscritti a quello che è accreditato come il più grane concorso al mondo di formaggi. Negli spazi dello Spektrum Center, dapprima i giurati individueranno tra i vari formaggi gli ori, gli argenti…
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lamilanomagazine · 7 months
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OTTOBRE: ANDIAMO IN CROCIERA?
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OTTOBRE: ANDIAMO IN CROCIERA? La vacanza in crociera si è evoluta col passare delle generazioni: ne è passata di acqua sotto i ponti da quando le crociere erano riservate ai ricchi e alla nobiltà, roccaforti galleggianti di superbia ed eleganza. Le navi moderne hanno altresì mantenuto l’eleganza ma diventando accessibili a tutti e creando dei veri e propri palazzi in costante navigazione verso i porti più esclusivi. La chiave del successo delle crociere parte dal '900 con l’evoluzione e l'adattamento a tutte le classi sociali e ad ogni fascia d’età con la formula in cui di giorno si visita, di notte si viaggia, e che viaggio! Vediamo, quindi, quali sono i vantaggi di fare una vacanza in crociera che rendono questo tipo di vacanza unica e diversa da tutte le altre. Una vacanza in crociera ti porta ogni giorno in un posto diverso trasformando il viaggio verso la meta in una vera e propria vacanza, questo è il sogno di molti viaggiatori! Si parte alla scoperta di città d’arte in paesi diversi con culture diverse, contemplare paesaggi mozzafiato che si possono godere solo dal mare! Gli itinerari sono molteplici e vari: di grande fascino sonole crociere nel Grande Nord: entrare nei fiordi norvegesi è un emozione indescrivibile, come anche l’itinerario in Islanda, una terra dai paesaggi molto particolari, unica nel suo genere. Per gli amanti del relax e della vita da spiaggia, ci si sposta sul mar Mediterraneo ai Caraibi passando per le spiagge paradisiache dell’Oceano Indiano o ai mari esotici del Sud est Asiatico. C'è solo l'imbarazzo della scelta. Per i più “navigati” le crociere di spostamento offrono un’occasione unica. Infatti, le navi vengono spostate in diverse parti del mondo a seconda della stagionalità, viene da sé che in estate le navi siano concentrate nel Mar Mediterraneo mentre in Inverno siano perlopiù nel Mar dei Caraibi o in altre location esotiche. Si può prenotare la crociera di spostamento, cioè quando la nave passa da un mare all’altro, a prezzi molto vantaggiosi, l’itinerario è di sola andata quindi bisognerà provvedere ad un volo di ritorno o di andata (a seconda dell’itinerario). LA VITA DI BORDO Le navi moderne soddisfano le esigenze di tutti. Questo è un altro vantaggio di fare una vacanza in crociera: non c’è assolutamente il rischio di annoiarsi! In queste città galleggianti non manca nulla: dalle piscine all’aperto a quelle coperte, numerosi bar, ristoranti per ogni gusto, palestre, SPA, estetista e Air Stylist. Sale da ballo, negozi Duty Free, biblioteca, il casinò per le acque internazionali. discoteche con serate a tema e lounge con piano bar. Per non parlare dei meravigliosi spettacoli in scena tutte le sera nei diversi teatri della nave! Le compagnie di navigazione di marchio italiano sono MSC Crociere e Costa Crociere che hanno ovviamente itinerari in tutto il globo. Ma non possiamo non citare un altro importante marchio internazionale come quello di Royal Caribbean. Se vi abbiamo incuriosito e vi è venuta voglia di una crociera nel mese di ottobre visitateci! Vi aspettiamo su www.mondoevacanze.it.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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karenlojelo · 2 years
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Il battello era partito in ritardo, una bufera avevano detto. Svetlana Dimitrova era arrivata con due valige e un cavalletto sotto braccio nel porticciolo di quell’incantevole e freddissimo posto. Il passato è come ce lo raccontiamo, è quello che decidiamo di dirci su quello che abbiamo vissuto a seconda dei punti di vista, cambiano i momenti, cambiano i ricordi, cambiano le emozioni e perfino i fatti. Questo si era ripetuta per mesi, aveva preparato la valigia in un giorno in cui aveva deciso di raccontarsi un passato diverso, anzi, di non raccontarselo più. Era andata via, via da tutto e da tutti perché quando non hai più niente da perdere hai la libertà finalmente di poter fare quello che vuoi, questo pensava, e così era arrivata a Bergen una mattina d’inverno. Il freddo era pungente e lei si stringeva nel suo cappotto rosso e si chiedeva per quale motivo fosse finita in quel posto sperduto nei fiordi norvegesi. Forse perché aveva visto le foto su internet del quartiere Briggen, patrimonio dell'Unesco, con le sue casette colorate che facevano da sfondo tra mare e montagne, forse perché aveva voluto sentire il freddo sulla pelle oltre che solo dentro di sé, e forse soltanto perché era abbastanza lontano e l’aurora boreale le sembrava qualcosa da cui poter ripartire. Si era sentita ancor di più un fantasma nel momento in cui era scesa da quel battello con un nuovo nome, senza sapere quanti guai tutto ciò le avrebbe provocato. Pensava che nessuno avrebbe più dovuto e potuto trovarla e che nessuno, probabilmente, l’avrebbe mai cercata.#matrioska #libro #thriller #karenlojelo #karenlojeloquotes #pegasusedition #libridaleggere (at Volterra, Italy) https://www.instagram.com/p/CeDNa_BMTIH/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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 Tour Norvegia, Fiordi Norvegesi
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Hai detto che ero bella, ieri sera. Per un attimo ho sminuito i tuoi complimenti. Non sono mai a mio agio quando me ne fanno e non sono capace di guardarmi con gli stessi occhi di chi li esprime. Non mi so vedere, lo so. Ad ogni modo, io ho pensato lo stesso di te, nonostante l'abbigliamento discutibile che indossavi. Ti osservavo rapita, stupita. Non sono stata in grado praticamente mai di distogliere lo sguardo da te. Te che ridi, che mi prendi per mano e mi conduci dove vuoi, che fai finta di lasciarmi andare dopo una battuta troppo pungente ma poi mi stringi più forte. Che mi fissi con malizia dall'altra parte del tavolo, che scegli da bere immediatamente e poi aspetti la mia eterna indecisione, che ordini anche un tiramisù all'ultimo perché ti piace dividere le cose con me e poi ti sporgi per prendermi il viso fra le dita, baciarmi e confessarmi che vorresti andare a casa a fare l'amore. E io continuo a guardarti e a stupirmi di quella spensierata e inattesa serata insieme, all'aria aperta, come fosse un assaggio della normalità, della quotidianità che potremmo avere, se solo tu non fossi tanto stoico nel rifiutarla. Credo che entrambi soffriamo di una sorta di miopia selettiva; io ce l'ho nei confronti degli altri, quando sono con te. Ti guardo con un tale rapimento e meraviglia che se anche mi passasse accanto Chris Evans probabilmente non lo noterei nemmeno. Tu, invece purtroppo, hai la miopia selettiva su di noi: ci vedi solo quando siamo insieme; non riesci ad andare più in là del presente, a darci la possibilità che meriteremmo. Vorrei trasmetterti un po' di coraggio, un po' di voglia di scoprire il mondo insieme a me. Ti accompagnerei in ogni viaggio che sogni: dai fiordi norvegesi, alle mongolfiere sopra Istanbul, allo stadio a vedere una partita dell’NBA. Ho le valigie pronte da mesi. Ti ho sorriso tutto il tempo, tenendo gli occhi allacciati ai tuoi, luminosi e curiosi. Quando sei con me, guardi chiunque ma so che non vedi davvero nessun’altra. Hai la capacità di farmi sentire unica. E desiderata, anche se solo per poche ore. Alla fine della serata, ti sei ritrovato al polso un braccialetto della fortuna, gemello del mio. Il nodo con cui l’ho fermato era stretto quanto quello che lega il mio cuore al tuo. E tu non hai idea di quanto male faccia quando ti allontani e il filo si tende così tanto che temo arriverà a spezzarsi. Non è elastico, sai? Se tu andassi via, mi rimarrebbe nel petto un organo martoriato da ogni distanza sofferta ed un brandello di spago sfilacciato da non poter più collegare al cuore di nessun altro. Ti prego, ti prego, guardaci. Apri gli occhi, renditi conto di cosa già siamo e di cosa potremmo essere. E resta.
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magicnightfall · 4 years
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(AND MY, MY LOVE HAD BEEN) FROZEN II
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*Attenzione: contiene spoiler, commenti caustici e tracce di frutta a guscio*
Ralph Spacca Internet è stato un quarto di delusione.
Maleficent - Signora del male è stato una mezza delusione.
Frozen II - Il segreto di Arendelle è stato una delusione intera.
Il grafico a torta del mio disappunto ha la farcitura alla confettura di more quando credevi ci sarebbe stata la Nutella.
Frozen - Il regno di ghiaccio è il mio film d’animazione Disney preferito, e siccome riesco a funzionare soltanto un limitato periodo di tempo lontana dalle sorelle di Arendelle, sei anni dopo sono andata al cinema felice come un quokka che ha appena lanciato i piccoli quokki contro il predatore, perché così può vivere un altro giorno.
(che poi, dai, fare cuccioli quokki in questa economia?)
Se non fosse che la felicità di avere un’altra storia ambientata nei fiordi norvegesi ha obnubilato il mio raziocinio, e mi ha resa dimentica del motto che mi aiuta ad arrivare a fine giornata con pacata rassegnazione (motto che, se fossi un personaggio di Game of Thrones, sarebbe sullo stemma della mia casata): “La vita è miseria e poi si muore”.
Ecco. La miseria qua è data dal fatto che Frozen II - Il segreto di Arendelle, è proprio brutto non è assolutamente all’altezza del suo predecessore, e per quel che mi riguarda manca di tutto ciò che ha reso il primo film grandioso.
Alcune cose - ben poche, per la verità - mi sono piaciute, altrettanto poche mi hanno divertita, e sebbene la mia astinenza per le sorelle di Arendelle sia stata abbastanza placata, il film poteva essere migliore.
Molto migliore.
Migliorissimo.
Innanzitutto, non ho potuto fare a meno di notare una certa pigrizia narrativa (che si trascinerà per tutto il film), per cui già all’inizio ho pensato “Sì, vabbè, che palle, andiamo al sodo”. Il film si apre infatti con un flashback di Anna ed Elsa da piccole insieme ai genitori, i quali - oltre ad aver creato traumi indicibili nella psiche delle figlie, come abbiamo avuto modo di scoprire sei anni fa - fanno anche un’altra cosa che mi ha fatto dire “Ma che, davero?”: espongono per mezzo dell’“infodump”. L’esposizione è l’inserimento di informazioni all’interno di una narrazione, e l’infodump è il modo (erroneo) con cui quelle informazioni vengono veicolate al lettore o allo spettatore: tante (troppe) e tutte insieme. Chi fruisce la storia si trova sommerso di nozioni, a carriolate proprio, e non può fare altro che annaspare in cerca di aria. È un artificio, anzi, una paraculata, e non una tecnica narrativa legittima. Questo perché le informazioni vanno diluite e centellinate nel corso della storia (di tutta la storia), non sono mai qualcosa di cui liberarsi furbescamente appena possibile, così da poter passare oltre. Il Re ci rende partecipi all’inizio di tutto ciò che ci servirà dopo (e non sono certo poche cose), e lo stesso fa la Regina, lei però cantando. E il fatto che l’infodump sia camuffato uno da storia della buonanotte e l’altro da canzone è soltanto una paraculata nella paraculata.
Il flashback, invece, è una tecnica ben nota nella narrazione, ma non per questo significa che può essere utilizzata a prescindere e impunemente. Se l’infodump non va mai bene, il flashback deve comunque essere dosato e non abusato, e posto in punti della storia dove è assolutamente necessario che vi sia. Frozen II se l’è sparato proprio all’inizio (della serie “Famo ‘sta sceneggiata così poi passiamo alla roba interessante”), e per me è un grande “no”.
E non fatevi confondere dal fatto che anche Il regno di ghiaccio si apre con Anna ed Elsa da piccole: in quel caso è semplicemente il vero inizio della storia, nel passato rispetto al tempo della storia stessa, che copre velocemente diversi anni fino a quando non ci mettiamo in pari col presente. Nel caso del secondo film, invece, quella scena non è che un non richiesto salto temporale all’indietro rispetto al tempo della narrazione. Ed è proprio questo il problema: io voglio sapere - dopo sei anni - cosa stanno facendo i personaggi che ho tanto amato, come si sono adattati ai cambiamenti portati dal primo film, in che modo sono maturati, quali altre sfide personali li attendono (ovvero quello che il teorico Christopher Vogler etichetta come “Mondo ordinario”, e che colloca all’inizio del primo atto delle storie). Se per rispondere a questi quesiti deve aspettare dieci minuti, il pubblico inizia diventare insofferente. E perché mai alienarselo fin da subito?
In buona sostanza, se l’unico modo che hanno trovato per informare lo spettatore degli antefatti è l’infodump a mezzo flashback, significa che il film andava ripensato strutturalmente daccapo.
A differenza del primo film, che era “character-driven”, Frozen II è invece “plot-driven”. Banalmente, significa che in uno la narrazione “si concentra sul conflitto interno dei personaggi, sui rapporti dei personaggi tra loro. Anche gli obiettivi sono interni. Traumi da superare, errori a cui rimediare, convinzioni da correggere. I cambiamenti sono soprattutto di carattere intimo, personale [...]”, nell’altro “la narrazione si concentra sul conflitto esterno, sull’azione. Gli obiettivi sono esterni: qualcosa da trovare, qualcuno da salvare [...]”*. Nel Regno di ghiaccio, Elsa perde il controllo e Anna vuole aiutarla a sistemare le cose. L’inverno perenne e il pericolo corso da Arendelle sono solo una necessaria conseguenza materiale del malessere immateriale di Elsa e come tale, perché possa risolverla, Elsa deve superare il proprio trauma e accantonare le convinzioni errate che aveva su se stessa. Anna, dal canto suo, deve maturare, e deve colmare quel vuoto che la freddezza di Elsa le ha scavato dentro. In Frozen II, invece, Arendelle è in pericolo perché Elsa, dal nulla e completamente a caso e senza nemmeno avere una mezza idea di come abbia fatto (né lei né noi, perché un conto è l’inverno perenne, coerente coi suoi poteri, e un conto è questo), risveglia i famigerati spiriti della Foresta. Almeno Evelyn che risveglia Imothep ha senso: ha senso perché era un’archeologa competente relegata a fare la bibliotecaria, si trova davanti un manufatto di importanza colossale e decide di leggerlo perché, da persona studiosa e razionale com’è, non crede “alle favole e alle leggende”. Nella decisione di leggere il libro dei morti c’è la solida caratterizzazione del personaggio e la trama si mette inevitabilmente in moto. In Frozen II la cosa è lasciata totalmente a sé stessa, e sebbene sia stata Elsa a risvegliare gli spiriti (cioè ha compiuto attivamente un’azione), il suo gesto non è pregnante come lo è nella Mummia. Gli spiriti potevano risvegliarsi in altre mille maniere diverse, e tutte probabilmente molto più valide.
Quindi, per quanto la posta in gioco sia altissima - la salvezza di Arendelle - non si riesce mai a entrare in sintonia perfetta con le motivazioni dei personaggi, perché il gesto di Elsa non trova una spiegazione sufficientemente apprezzabile, o addirittura adeguata. Dicevo che che l’inverno perenne del primo film è conseguenza del malessere di Elsa. A voler ben guardare (ma proprio con il lanternino) forse si potrebbe dire che anche il risveglio degli spiriti sia conseguenza del (vago e comunque poco approfondito) tormento di Elsa (perché si sente un pesce fuor d’acqua, e sembrerebbe dirlo nella canzone Nell’ignoto): ciò non toglie che non capisco come i suoi poteri di ghiaccio possano fare qualcosa di quel genere. Quindi l’unica risposta che posso darmi è che anche l’azione di Elsa (come i dialoghi tra Anna e Kristoff, e lo vedremo poi) ha avuto luogo soltanto perché così è stato deciso dagli sceneggiatori, e non perché richiesto dallo sviluppo organico della storia (e della psiche del personaggio).
E poi, perché diavolo la voce che chiama Elsa, la chiama proprio adesso? Perché non subito dopo l’incoronazione? Perché non fra vent’anni? Perché non quando era piccola? Perché era in agenda proprio per quel giorno e non per un altro? Perché faceva comodo così? Ochèi.
Siccome la voce, che poi è sua madre (toh!) avrebbe potuto chiamare Elsa in qualsiasi istante dello spazio-tempo, e non c’è una ragione perché lo faccia proprio ora, ciò va a detrimento della caratterizzazione di Elsa. Questo perché Elsa decide di imbarcarsi in un viaggio introspettivo non perché arrivata lei stessa a un punto di rottura, ma perché approfitta di una circostanza capitata in quel momento (e che poteva capitare in qualsiasi altro). Anche se vediamo Elsa agire e prendere decisioni, c’è comunque, nella sua avventura, una componente passiva che mi ha infastidita parecchio.
Per concludere quindi il ragionamento: per quanto, ovviamente, un film plot-driven sia un’opzione validissima (La Mummia che citavo è plot-driven), credo che un sequel di questo genere non possa che risultare soccombente (e molto meno incisivo) rispetto a un predecessore character-driven. Se infatti sei anni fa ero uscita dal cinema con tante riflessioni sulla psicologia dei personaggi, sui conflitti di una e sulla determinazione dell’altra, riflessioni che mi sono divertita a sviscerare in diversi post, questa volta sono uscita con l’unico pensiero di cercare di ricordare dove avevo parcheggiato.
E tutto ciò ci porta all’altro difetto importante di questo film, brevemente già menzionato, ovvero la caratterizzazione dei personaggi. Nel primo Frozen, il disagio di Elsa lo percepiamo fin da subito: ha paura, si considera un mostro, non riesce a venire a patti con la sua natura, per proteggere chi le è più cara ha dovuto allontanarla.
In Frozen II Elsa è ormai regina da sei anni, e noi non abbiamo idea alcuna (o comunque soltanto molto vaga) di come si senta nella sua vita attuale: il fatto che forse non sia mai del tutto riuscita a venire a patti con i doveri che derivano dall’essere regina, e con l’essere l’unica persona di Arendelle ad avere poteri magici lo scopriamo solo alla fine, quando abdica in favore di Anna e decide di restare in mezzo alla foresta, tipo DiCaprio in The Revenant ma con un miglior gusto nel vestire. Ecco, io allora avrei dedicato molto più tempo a scavare nella psicologia di Elsa - e non di una Elsa qualunque ma di una Elsa post Regno di ghiaccio - anziché a istruire il pubblico con una lezioncina sul perché e sul percome della Foresta incantata. Soltanto se avessimo avuto una buona contezza dei suoi tormenti attuali (del tipo: perché nonostante sia stata pienamente accettata dal regno, ancora sente di non appartenere ad Arendelle?) avremmo potuto comprendere molto di più le sue ragioni e le sue decisioni, non ultima quella, insignificantissima, di cedere la corona. Che per carità, io sono davvero felice che Elsa abbia finalmente trovato se stessa e sia in pace nel luogo cui è convinta di appartenere, ma la sua è una risposta a domande che il film ha dimenticato di porci.
D’altro canto, Anna regina è un big fucking yes: la sua ascesa al trono è un quid pluris rispetto a chi ascende soltanto per privilegio di nascita. Anna, infatti, ha dimostrato di avere la personalità di un leader, cosa che (almeno questa) è stata coltivata fin dal primo film. E se qui non ha potuto seguire Elsa fino in fondo, è stato soltanto perché Elsa gliel’ha materialmente impedito. Sebbene Anna sia la sorella minore, per certi versi più immatura, di certo più svagata, non si è mai tirata indietro di fronte a una sfida, e ha sempre dimostrato abnegazione verso gli altri: l’idea di averla in posizione di comando non è affatto campata per aria, e anzi la trovo anche ben giustificata.
La sottotrama relativa a Kristoff e ai suoi goffi tentativi di chiedere la mano di Anna invece è simpatica, ma nulla di più. E i battibecchi tra lui e la principessa sulla carta saranno stati anche carini, ma nella resa sono apparsi forzati, non naturali. Anna sembrava che di proposito volesse fraintendere quello che Kristoff diceva, così tanto per (anche perché dopo tre anni eventuali problemi di comunicazione dovrebbero essere stati risolti). Un esempio su tutti quando, nel mezzo della foresta, Kristoff dice che in circostanze diverse la situazione sarebbe stata piuttosto romantica, e Anna parte subito per la tangente: “In altre circostanze nel senso con un’altra persona?”. Anna, eddaje, non è fisica quantistica, in altre circostanze nel senso “in un momento in cui Arendelle non si trovi sull’orlo della distruzione”. Il suo timore che Kristoff non abbia più interesse per lei, questo sì che è totalmente campato per aria, ed è presente soltanto perché è stato voluto a tavolino in fase di sceneggiatura. Dovrebbero divertire i fraintendimenti di Anna, perché il pubblico sa che è fuori strada (dopotutto Kristoff cerca di chiederle di sposarlo, mica di mollarla), ma in realtà irritano e basta.
E Kristoff, a ogni fraintendimento di Anna, non reagisce mai come sarebbe (narrativamente) opportuno, ma farfuglia sempre e solo giustificazioni senza apportare alcunché alla conversazione. Non c’è mai un vero e proprio “botta e risposta”. Ora, i dialoghi sono l’habitat naturale dei cosiddetti “beat”. I beat non sono altro che transizioni emozionali da un personaggio all’altro. Ad esempio, un personaggio, triste, può dire a un altro personaggio che è triste: quest’ultimo può divenire triste a sua volta, oppure può provare a ribattere e a infondere all’altro un po’ di gioia, e di conseguenza il primo diviene meno triste. Banalmente, quindi, è un costante dare e avere, e si esplica nei dialoghi. Un rimbalzo emozionale continuo da un personaggio all’altro, una partita di tennis giocata con le parole. Nelle scene con Anna e Kristoff questa cosa io, stavolta, non l’ho vista affatto. In un confronto necessario (e in un parallelo perfetto, perché mi vengono in mente le scene a bordo della slitta), i dialoghi tra i due nel Regno di ghiaccio avevano una carica molto più energica, e per ogni colpo sferrato corrispondeva un colpo incassato, da una parte e dall’altra. Pensate ai dialoghi tra Anya e Dimitri in Anastasia (ad esempio, nella seconda scena sul treno) e capirete perfettamente cosa intendo.
E che dire della “morte” di Olaf? Di per sé sarebbe stata una scena dal grandissimo impatto emotivo, traumatizzante perfino, roba che se l’avessi vista da bambina sarei cresciuta disturbata al punto da diventare una serial killer oppure da iscrivermi a giurisprudenza, se non fosse che la lieta risoluzione era stata telefonata già all’inizio del film. Il concetto che “l’acqua ha memoria” è stato ripetuto fino allo sfinimento, così insistentemente (troppo insistentemente) che era ovvio che avrebbe costituito la soluzione di quella sfortunata vicenda. Potreste obiettare che, all’inizio, ancora non si sarebbe certo potuto sapere che Olaf si sarebbe sciolto. No, ma era impossibile anche ignorare le insegne al neon lampeggianti, disseminate nei primi due atti, con scritto “L’acqua ha memoria”. Lo spettatore non dico scafato, ma solo mediamente attento, la prima cosa che pensa è: “Se insistono così tanto su questo concetto, vuol dire che sarà importante più in là”. Lo spettatore può non sapere di cosa quel concetto sia la soluzione, ma non può certo dire di non aver capito che fosse la soluzione a qualcosa. Così, quando vediamo il mucchietto di neve, anziché disperarci ci limitiamo a pensare che non sarà una condizione permanente, e tutta l’emozione che avremmo dovuto provare davanti a una scena simile, semplicemente non la proviamo. E infatti Olaf, novello Nazareno, torna in vita perché il mucchietto di neve ne ha conservata la memoria. Ora, di per sé questa cosa ci starebbe pure, non è sbagliata, anzi, trattasi di una tecnica narrativa imprescindibile. Il problema è che l’hanno usata male. In gergo, piazzare in un punto della storia - in genere nel primo atto - un’informazione che sarà cruciale alla fine prende il nome di “planting and payoff” (semina e raccolta), ed è forse una delle cose che mi piacciono di più dell’arte antica dello storytelling. In questo caso, però, la semina è stata così palese, così lapalissiana, da avere come conseguenza quella di aver svuotato di qualsiasi carica emotiva la resurrezione dell’amato pupazzo di neve. Semplicemente, sapevamo (o ci aspettavamo) che sarebbe accaduto, e non ne siamo stati sorpresi o emotivamente colpiti. È venuto meno, in buona sostanza, quel senso di freschezza, di genialità e di originalità che aveva caratterizzato il Regno di ghiaccio, il quale, in una serie di ben congegnati plot twist e di sovvertimenti del canone delle fiabe (il principe vestito di bianco non è l’eroe ma il cattivo, e il vero amore risolutivo non è quello romantico ma quello fraterno), ha fatto sì che lo scioglimento di Anna ci cogliesse tutti abbastanza impreparati. Non dico che giunti a quel punto fosse impossibile rendersi conto di quello che sarebbe avvenuto, ma di certo non l’abbiamo capito all’inizio del film come in questo caso. Sarebbe stato molto più efficace se avessero fatto un’unica, singola semina di quel concetto, lasciare che lo spettatore lo “registrasse” nel subconscio, e lasciargli fare due più due alla fine,“col senno di poi”, ovvero una volta visto Olaf ricomporsi. Così mantenendo in vita il senso di freschezza e di sorpresa.
Per contro, ben più sottile e per questo molto più apprezzato, il “planting” (che forse è più un foreshadowing, cioè un’anticipazione) di Anna che, all’inizio del film, abbraccia Olaf e gli canta “I’m holding on tight to you” (che nell’adattamento italiano purtroppo si è perso), cosa che la vediamo effettivamente fare quando il pupazzo le muore in grembo.
La memoria dell’acqua, peraltro, costituisce anche un pigro e forzato “plot device”, ovvero l’espediente narrativo per cui un elemento della narrazione viene introdotto dall’autore “in modo deliberato, con lo scopo unico o principale di consentire un determinato sviluppo della trama”**. È proprio grazie ad esso che Elsa scopre i segreti della sua famiglia e di quello che è realmente accaduto alla Foresta incantata, ovvero tutto ciò che serve sapere a lei e ad Anna (che capisce di dover distruggere la diga) per risolvere la situazione. Decisamente troppo comodo così. Anche in questo caso, se l’unico modo per portare avanti la trama è fare uso di mezzucci, significa che la storia ha un problema di fondo abbastanza importante, e andava rivista a livello di struttura.
Altra cosa che mi ha fatto storcere il naso è il modo in cui viene impedita la distruzione di Arendelle, ovvero Elsa che congela lo tsunami provocato dalla rottura della diga. Tutto bello e tutto giusto e forse anche legittimo, se non fosse che Elsa fino a tre decimi di secondo prima era congelata ella stessa, e il suo arrivo improvviso in sella al cavallo acquatico a salvare la situazione ha tanto il sapore di un deus ex machina. Anche qui, ma che, davero?
Infine, sul serio volete farmi credere che Elsa andrà il venerdì alla serata giochi, ma è restata nella foresta il giorno dell’incoronazione di Anna? Cosa sono, arresti domiciliari? Essù, le basi proprio.
In definitiva, questo film non mi ha lasciato nulla, ma nulla proprio, se non la sensazione che la storia sia stata palesemente (e in modo grossolano) costruita a posteriori, e che all’epoca del primo film non avessero abbozzato nemmeno mezza idea di sequel. Quello che manca è un’organicità, un filo conduttore che sia veramente un ponte tra i due i film (tanto quanto Elsa è un ponte tra due culture), e non una cosa posticcia e incollata ex post come è la storia di questo secondo film. Per dire, veniamo a scoprire che Iduna, la madre di Anna ed Elsa, fa parte - guarda caso - del popolo dei Northuldri, la cui popolazione ha i peculiari tratti somatici delle popolazioni artiche. Ebbene, la genetica non è un’opinione, eppure né Iduna, né Anna né Elsa hanno ereditato alcuno di quei tratti. Ecco, venitemi a dire che questo plot twist non sia stato creato a tavolino anni dopo. Stessa cosa per lo scialle della madre, che guarda caso Elsa inizia ad indossare in questo film, ed è proprio lo stesso scialle che permetterà di riconoscere Iduna come una degli appartenenti ai Northuldri. E lo stesso discorso vale per il vascello di Arendelle scopertosi arenato non nei mari del sud, ma guarda caso nel mare oscuro, a due passi da casa e a due passi dal ghiacciaio Ahtohallan (che sulla mappa sembrava lontanissimo e invece tra quello e Arendelle c’è tipo la stessa distanza che c’è, boh, tra Ancona e Sirolo). Troppi “guarda caso” per i miei gusti, ecco.
Inutile dire che Frozen II mi ha reso timorosa del futuro: c’è un altro film che aspetto con vera impazienza, il sequel di quello che per me è stato il miglior film del 2018, cioè A Quiet Place. E se mi tradisce John Krasinski come mi ha tradito Frozen II, io non ho davvero più alcun motivo per campare andare al cinema.
Per quanto invece riguarda le canzoni, anche se ci ho messo un po’ ad orecchiarle, dai e dai mi sono piaciute. L’unica che, per quanto bellina, mi ha lasciata veramente perplessa è quella di Kristoff, troppo poppettara rispetto al resto, e soprattutto sembrava la parodia (voluta? Non voluta?) di un pessimo video musicale anni ’80. Forse è stato questo il mio più grande “ma che, davero?”.
Ma la verità è che, musicalmente parlando, c’è solo una cosa che è fuori da ogni grazia di Dio: la versione di Nell’ignoto fatta da Giuliano Sangiorgi. Siccome per un’ora e mezza di film non avevo sofferto abbastanza, lui ci ha voluto mettere il carico. Credo che i miei timpani ne siano usciti irrimediabilmente danneggiati, ed è stata la prima volta in vita mia in cui ho rimpianto di non avere l’otite. Sangiorgi macella canta la canzone nei titoli di coda, cosa che in originale è spettata a Brendon Urie dei Panic! At The Disco, con la piccola differenza che il primo, rispetto al secondo, non arriva alle note alte nemmeno con l’ausilio dell’autoscala dei pompieri. Non solo, ma la voce gli cala come un aereo che precipita verso l’inevitabile spiaccicamento, che in tutta onestà è una fine preferibile rispetto al dover sentire lui mentre viene sgozzato. Se pensavate che la versione di All’alba sorgerò fatta da Violetta fosse terribile, fidatevi: questa è peggio. L’unica consolazione è che Serena Autieri nel canto fa sempre la sua porca figura e pertanto la sua interpretazione, calda, lirica, viva, piena di emozione, è approvatissima (e infatti la ascolto a ruota). Come, Ça va sans dire, è approvatissima quella di Brendon Urie.
Ora, mi rendo conto di aver scritto un post veramente molto critico, quindi vorrei chiudere su alcune note positive (note che comunque Sangiorgi non sarebbe in grado di prendere):
la quasi totale assenza dei troll di montagna. Perché davvero, un’altra canzone come quella del primo film e mi sarei fatta brillare in mezzo alla sala;
la salamandra spirito del fuoco, che è carina e coccolosa tanto quanto il Pascal di Rapunzel;
il riassunto di Olaf (sia nel film sia nella scena post credit)
la fiducia incondizionata che Anna ripone in Elsa, e il supporto che non manca mai di darle;
la reunion tra Anna, Elsa, Kristoff e Olaf;
in particolare, quella tra Elsa e Kristoff, perché è bello vedere come il montanaro si sia scavato una nicchia nel cuore della cognata (anche considerato quanto Elsa sia protettiva verso Anna)
la reazione di Anna alla proposta di matrimonio, che ho trovato molto realistica e ben poco cartoonesca. Adesso mi serve un terzo film (possibilmente migliore di questo) con almeno un paio di piccoli quokki dai capelli rossi, perché voglio vedere Anna genitore 1 ed Elsa e Olaf zii;
l’ho già detto e lo ripeto, Anna regina di Arendelle. A vederla, mi sono sentita orgogliosa come una vecchia zia;
Olaf tutto in ghingheri con un abito da cerimonia, nonostante avesse detto che i vestiti gli danno noia, perché evidentemente per Anna era disposto a fare un sacrificio;
il contatto fisico tra le sorelle: non per forza le cose eclatanti come gli abbracci di reunion, ma anche e sopratutto le piccole, come una mano appoggiata su un braccio. Dopo quella distanza che Elsa aveva imposto fino a tre anni prima, vederle così vicine ha sciolto il mio cuore arido e criticone;
in generale, la fotografia, l’animazione e le scene d’azione, che non hanno nulla da invidiare a quelle di un film di avventura dura e pura (ho adorato Anna che si fa inseguire dai giganti e li costringe a distruggere la diga). Se non fosse che con le sole scene d’azione ci faccio poco: io sono affamata di belle storie e di personaggi approfonditi, e questo Frozen II è carente sia delle une sia degli altri.
Quindi niente, credo che ora andrò a rivedermi il Frozen-arc di Once Upon A Time, un telefilm a cui sono affezionatissima anche se fatto da sceneggiatori che più passava il tempo più diventavano cialtroni, ma che almeno quella storyline l’hanno fatta davvero bene. Cosa che di certo non si può dire di questo film. * Le definizioni riportate sono tratte dall’articolo “Meglio un romanzo plot-driven o character-driven?” di Edy Tassi (che ringrazio per avermi concesso di citarle), pubblicato su www.edytassi.it 
** Definizione tratta da Wikipedia alla voce “Espediente narrativo”
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vertigoo · 4 years
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grazie @vaneggiamenti per il tag, che rompe la monotonia della mia moodboard
segno zodiacale: ariete
altezza: per pochissimo non arrivo a 1.70
ultimo film visto: The cowboy and the frenchman (che in realtà credo si classifichi come mediometraggio)
ricevo ask: no, non sono una persona interessante
l'ultima cosa che hai googlato: università di Siena (???)
canzone fissa in testa: stamattina è That’s what you always say dei The Dream Syndicate 
numero di blog: 2 (più mille url salvati) 
followers: 200-300 boh
seguiti: na cifra
cosa indosso ora: pigiama pezzo unico 
lavoro dei sogni: rock ‘n roll queen 
viaggio: giro dei fiordi norvegesi, castelli inglesi e tedeschi, Giappone, America on the road 
cibo preferito: il cibo
strumento musicale: basso 
lingue: italiano, inglese (bene), francese (chiavica)
canzoni preferite in assoluto: l’assoluto non esiste, ma alcune reggono più di altre (Candy dei Morphine, Since I’ve been loving you, Alone together degli Strokes, Blue Velvet, il valzer n. 2 di Sostakovic, Caravan) 
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Speciale foreste/paesaggi numero 6) I FIORDI NORVEGESI, il fiordo è una parte di mare, una sorta di braccio che si insinua nella costa anche per tanti chilometri a causa dei ghiacciai presenti nell’areale. La Norvegia è il paese al mondo che ha più fiordi nel territorio, infatti non solo in Norvegia sono presenti i fiordi, ma anche in Scozia, Islanda etc.. Le pareti del fiordo sono ripide e scoscese, ricoperte di vegetazione. In alcuni fiordi le pareti possono essere altissime e ripide. Sono inoltre eccellenti come porti naturali e si praticano inoltre varie attività di pesca.
Fonte -----> Google immagine
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freedomtripitaly · 4 years
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La Puglia è così meravigliosa e variegata che offre soluzioni adeguate ai gusti di tutti. Spiagge, monti, vallate, boschi, insomma, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Tra tutte le sorprese che popone ce n’è una che ci ha davvero incantati: la Cala dell’Acquaviva, dove poter fare un bagno rigenerante in un paesaggio dal fascino tutto mediterraneo, ma che riporta alla mente i fiordi e le insenature delle coste norvegesi. Un posto magico piuttosto facile da raggiungere e che, a dispetto del suo charme squisitamente selvaggio, offre anche alcuni servizi, tra cui un piccolo parcheggio e un bar, situati a pochi metri dalla linea di costa. La caletta è straordinaria, accogliente, intima e caratterizzata da alcuni tratti con acque freddissime e ciò la rende ideale per sfuggire dal caldo estivo. Il motivo per cui le temperature delle acque sono così fresche risiede nel fatto che la Cala dell’Acquaviva è alimentata dalle sorgenti da cui prende il nome. Trasparenza, condizione termica e, fondale roccioso dipendono dall’afflusso continuo della gelida acqua che qui si riversa in mare. Colori della Cala dell’Acquaviva, Fonte: iStock Questa incantevole e stretta insenatura è custodita come uno scrigno segreto dalla ripida scogliera, che consente, grazie ai massi livellati e smussati delle onde, di distendersi ed approfittare dei raggi del sole estivo, oppure di tuffarsi nelle cristalline acque sottostanti. Un vero e proprio fiordo nel Salento lungo poco più di dieci metri e all’interno del quale trovano spazio la vegetazione locale e anche rocce ripide. Tutto è tanto selvaggio quanto intimo, e questo dona un pizzico di magia in più a un luogo gia incredibile di suo. Cala dell’Acquaviva è facilmente raggiungibile in quanto si trova tra Castro e Marina di Marittima, sulla litoranea orientale salentina. Una località pugliese davvero interessante soprattutto per tutti coloro che amano particolarmente il contatto con la natura. Un bagno rigenerante in acque color cobalto in alcuni punti, verde in altri e cristallino a riva, dove la luce del sole, assieme al canto delle cicale e al profumo del mare, accompagnano i visitatori in momenti di relax indimenticabili Cala dell’Acquaviva, Fonte: iStock https://ift.tt/2VCTyDb Cala dell’Acquaviva, meraviglioso fiordo-gioiello nel Salento La Puglia è così meravigliosa e variegata che offre soluzioni adeguate ai gusti di tutti. Spiagge, monti, vallate, boschi, insomma, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Tra tutte le sorprese che popone ce n’è una che ci ha davvero incantati: la Cala dell’Acquaviva, dove poter fare un bagno rigenerante in un paesaggio dal fascino tutto mediterraneo, ma che riporta alla mente i fiordi e le insenature delle coste norvegesi. Un posto magico piuttosto facile da raggiungere e che, a dispetto del suo charme squisitamente selvaggio, offre anche alcuni servizi, tra cui un piccolo parcheggio e un bar, situati a pochi metri dalla linea di costa. La caletta è straordinaria, accogliente, intima e caratterizzata da alcuni tratti con acque freddissime e ciò la rende ideale per sfuggire dal caldo estivo. Il motivo per cui le temperature delle acque sono così fresche risiede nel fatto che la Cala dell’Acquaviva è alimentata dalle sorgenti da cui prende il nome. Trasparenza, condizione termica e, fondale roccioso dipendono dall’afflusso continuo della gelida acqua che qui si riversa in mare. Colori della Cala dell’Acquaviva, Fonte: iStock Questa incantevole e stretta insenatura è custodita come uno scrigno segreto dalla ripida scogliera, che consente, grazie ai massi livellati e smussati delle onde, di distendersi ed approfittare dei raggi del sole estivo, oppure di tuffarsi nelle cristalline acque sottostanti. Un vero e proprio fiordo nel Salento lungo poco più di dieci metri e all’interno del quale trovano spazio la vegetazione locale e anche rocce ripide. Tutto è tanto selvaggio quanto intimo, e questo dona un pizzico di magia in più a un luogo gia incredibile di suo. Cala dell’Acquaviva è facilmente raggiungibile in quanto si trova tra Castro e Marina di Marittima, sulla litoranea orientale salentina. Una località pugliese davvero interessante soprattutto per tutti coloro che amano particolarmente il contatto con la natura. Un bagno rigenerante in acque color cobalto in alcuni punti, verde in altri e cristallino a riva, dove la luce del sole, assieme al canto delle cicale e al profumo del mare, accompagnano i visitatori in momenti di relax indimenticabili Cala dell’Acquaviva, Fonte: iStock In Salento esiste un fiordo incantevole e in cui fuggire dall’afa estiva: la Cala dell’Acquaviva. Un posto immerso nella natura e totalmente selvaggio.
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