Tumgik
#Non mi devi affatto dare del lei.
totally-italy · 1 month
Note
che forma di pasta preferisci ?
(sai un po' mi viene da darti del 'lei')
Grazie, sei così gentile e mi hai appena reso molto contenta! Personalmente, adoro le tagliatelle al pesto, però amo anche gli agnolotti alla piemontese. E tu?
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intotheclash · 3 years
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"Ecco Bomba!” Annunciò Sergetto, indicando una figura massiccia che proveniva ciondolando dal corso. Non aveva un bell'aspetto, almeno da lontano. Sembrava stanco, o triste, o incazzato, o tutte e tre le cose insieme. Camminava curvo, con lo sguardo a terra e le mani insaccate per bene nelle tasche dei pantaloni. Non era uno spettacolo che trasmettesse proprio allegria. “Che ti succede, Bomba? hai una faccia!” Chiesi. “Mi girano i coglioni!” “Allora non è un gran danno. Con quelle palline piccole che ti ritrovi, nemmeno dovresti farci caso.” Lo punzecchiò Tonino. Bomba non lo degnò di una risposta, neanche di uno sguardo. La situazione doveva essere grave. Si sedette pesantemente sugli scalini e si prese il viso tra le mani, sprofondando in pensieri che sembravano belli pesanti. Era il momento di farci sentire. Di dimostrargli che il branco era con lui e che non l'avrebbe lasciato solo. Di qualsiasi cosa si trattasse. “Cosa c’è che non va, amico?” Chiesi di nuovo. “Niente va!” rispose rabbioso, “Ieri sera sono tornato a casa mezzo morto dalla fatica. Mezzo morto, ma felice. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta. Che stavamo facendo la cosa giusta. Ero fiero di me stesso come non lo sono mai stato e volevo che anche mia madre lo sapesse. Volevo che, in qualche modo, anche lei fosse fiera di me. Di me e di voi, amici miei. Sono entrato in casa e lei era lì, è sempre lì, tutto il santo giorno!” “Lì dove?” Domandò il Tasso per tutti noi. Bomba si voltò a guardarlo, come se fosse la domanda più stupida del mondo, poi realizzò che noi non potevamo sapere, così ce lo spiegò: “Davanti all'altarino di mia sorella, quella che è morta. Ci passa quasi tutta la giornata, sembra sia l'unica cosa che le interessi. E ci parla pure! Parla più con lei che con me. Anzi, con me, evita proprio di parlare, quasi fossi io il morto!” Iniziò a singhiozzare, il pianto stava prendendo il sopravvento, ma non aveva ancora finito di parlare. C'era altra merda da far venire a galla. “l'ho salutata, ho provato a dirle qualcosa, ma, non appena ho aperto bocca, lei mi ha fissato con aria di rimprovero e mi ha fatto segno di tacere. É tornata a parlare con la mia sorellina, le sorrideva anche. In quel momento, incazzato com'ero, sono stato quasi contento che fosse morta. Poi però mi è subito dispiaciuto e mi è venuto da piangere.” “Lo dico sempre che tua madre è una stronza!” disse soddisfatto il Tasso. “Piantala, coglione!” Lo rimproverai cattivo. “No, no, lascialo stare, Pietro, forse ha ragione lui. Poi non ho finito.” Tirò fuori dalla tasca uno di quei fazzoletti di stoffa che, ora, non esistono più, perché estinti a causa di quelli di carta, si asciugò, alla meglio, le lacrime, si soffiò rumorosamente il naso e proseguì:“ Visto che non mi cagava, me ne sono andato in cucina e mi sono preparato un bel panino. mi era venuta una fame della Madonna.” “Cazzo, Bomba, quando ti hanno fabbricato, si sono dimenticati di farti il fondo!” Lo rimproverò Sergetto. “Ma come avevi fame? A casa del Maremmano, se non scappavano, ti mangiavi anche i suoi genitori!” rincarò la dose il Tasso. “Avevo fame e basta! Non mi va di discutere, ora! Avevo appena dato il primo morso che entra in cucina quella testa di cazzo di mio padre. Ogni volta che ti vedo, stai con qualcosa in bocca! Guardati come sei diventato, sei grasso come un maiale. E sei pure sporco e sudato come un maiale, si può sapere dove sei stato? Mi ha detto, con aria schifata. Io non ci volli far caso, nonostante tutto, ero ancora troppo contento per come era andata la giornata. Avevo ancora voglia di raccontare e lo feci, ora so che non è stata una buona idea. Lui si versò un bicchiere di vino e ascoltò tutto, senza fiatare…” “Un bicchiere di vino? Un altro?” Commentò Schizzo. Lo fulminai con gli occhi, avevo proprio voglia di dargli una bella strigliata, sapevamo tutti come stavano le cose, non dovevamo, per questo, sbattergliele in faccia. Era da stronzi. Fui stoppato da Bomba stesso, che mi aveva capito al volo. “Lascia stare, Pietro, Schizzo ha ragione. Sono stanco di far finta di niente e non ho più voglia di difenderlo. Non si merita niente! Ha ascoltato per intero e, quando ebbi finito di parlare, mi ha guardato con compassione e disprezzo. Si è acceso un sigaro e mi ha detto: siamo sicuri che sei figlio mio?” “Ma che bastardo!” mi scappò detto. Me ne pentii subito, in fondo, era sempre suo padre. Bomba non se la prese affatto, mi sorrise, mi cinse le spalle con uno dei suoi enormi braccioni e confermò: “Proprio così: un vero bastardo! Ha anche aggiunto che avrei fatto meglio a starmene zitto, perché solo un idiota come me poteva essere felice di lavorare senza essere pagato. Come me e come voi. Ha concluso dicendo che sarebbe andato a cercare il padre del Maremmano e gliene avrebbe dette quattro a quello sfruttatore di ragazzini.” Aveva ripreso a piangere. Ormai aveva rotto gli argini e, tra le lacrime, arrivava a valle anche una montagna di rabbia repressa. “E tu cosa hai detto?” Chiese Sergetto. “Mi sono incazzato come un lupo! Ero triste, ero deluso, ero impaurito, piangevo anche, ma soprattutto ero incazzato nero! Gli ho urlato che non aveva alcun motivo per trattarmi così e che ci sarei tornato pure oggi. Che nessuno me lo avrebbe potuto impedire. Al che lui mi si è fatto sotto e mi ha mollato una sberla in faccia, dicendomi che io potevo fare solo quello che decideva lui. E lui aveva deciso che non sarei più tornato dal Maremmano, altrimenti sarebbero stati cazzi miei. E anche vostri, visto che mi ci avevate trascinato voi.” “E tu cosa gli hai risposto?” “Niente, non me ne ha dato il tempo. Fatta la sua predica se ne è andato, convinto di aver sistemato le cose.” “Quindi non puoi venire?” “Certo che vengo! E’ questa la mia risposta! Che se ne vada affanculo, lui e i suoi ordini!” Concluse, alzandosi in piedi, determinato come non l'avevamo mai visto prima. Lo abbracciammo tutti, complimentandoci con lui e ripetendogli che era un grande. Stavamo trasformando il senso di impotenza e la rabbia in festa, come solo i ragazzini sanno fare. Fu proprio abbracciati, che ci trovarono il Maremmano e suo fratello quando arrivarono inattesi. “Possiamo unirci anche noi?” Disse Antonio, sovrastando il nostro vociare scomposto. Ci bloccammo all'istante, la nostra attenzione, ora, era tutta per i nuovi arrivati. Non ricordo se fossimo più stupiti, o più felici di vederli. “Cosa stavate festeggiando?” “Non stavamo festeggiando, stavamo consolando Bomba.” Rispose Schizzo. “Consolando? Per cosa?” “Perché suo padre è un pezzo di merda.” Schizzo si guardò in giro con fare distratto, si guardò a lungo le mani, poi aggiunse: “ Anche se, pure il mio, non scherza!” Antonio rimase perplesso, logico, non poteva capire. Mica lo sapeva come stavano le cose, così esortai Bomba a raccontare tutto anche a loro; dovevano sapere, c'entravano anche loro. In principio fece resistenza, non voleva starci, si vergognava, aveva paura che si arrabbiassero, o, peggio ancora, che si offendessero. Insistemmo e, alla fine, cedette, si decise a spifferare tutto. Alla fine del riepilogo, Antonio abbozzò un lieve sorriso, anche se, a me, sembrò triste e amareggiato; e aveva tutte le ragioni per esserlo. Abbracciò Bomba, probabilmente facendo attenzione a non stritolarlo, e disse: “Su, caccia via quelle lacrime, amico mio, non dare troppo peso a questa faccenda. Forse tuo padre era stanco, o già arrabbiato per motivi suoi e non ha capito. Io sarei stato fiero di te! Io sono fiero di tutti voi. E sono convinto che il mio fratellino non avrebbe potuto trovare amici migliori.” “Grazie, Antonio, io solo questo volevo. nient'altro. Non c'era neanche bisogno che dicesse qualcosa, figurarsi se mi aspettassi un complimento, o una parola buona..da mio padre. Mi sarei accontentato di una faccia soddisfatta. Una faccia che mi avesse fatto capire che… insomma, che ero stato bravo. Tutto qui. Sono sicuro che i loro padri, quella faccia, l'hanno fatta.” Concluse, indicandoci con il mento. Ci fu un momento di imbarazzo, chi per un motivo, chi per un altro, non avevamo tanta voglia di rispondere; ma ci aveva chiamati direttamente in causa, non potevamo sottrarci. “In effetti, mio padre, mi ha abbracciato e mi ha detto che ero stato in gamba.” Disse sottovoce Tonino, non voleva ferire ulteriormente Bomba, il confronto tra i loro genitori era improponibile. “Il mio, per la prima volta da quando mi ricordo, ha detto che era orgoglioso di me. E di voi. mi dispiace, Bomba.” Sussurrai, quasi a scusarmi del privilegio. “Non devi dispiacerti, Pietro, tuo padre è uno in gamba. Anche tu devi essere orgoglioso di lui.” Rispose, ma si vedeva bene che era ancora triste. “Io con il mio non ci parlo mai. non ho detto niente, tanto sarebbe stato come parlare al vento.” Confessò Sergetto. E lo fece col tono di chi dice qualcosa di scontato, qualcosa che, in fin dei conti, non lo riguarda più di tanto. Il tono del Tasso, invece, viaggiava a metà tra l'esagerato ed il divertito, quando disse: “Adesso ti tiro su io il morale, Bomba! Ieri sera, anch'io, come tutti voi, ero felice e non vedevo l'ora di tornare a casa per raccontarlo a qualcuno. Raccontare di quanto ero stato bravo. Sono entrato di corsa in cucina, ma mia madre non c'era, c'era solo mio padre, stravaccato sulla poltrona, davanti al televisore. Beh, meglio di niente, ho pensato e gli ho detto: papà, lo sai dove sono stato oggi? E lui, senza neanche guardarmi: no! E non lo voglio sapere! Ora togliti dai coglioni, che devo guardare il telefilm! Che dici, Bomba? Si fa a cambio? Mio padre in cambio del tuo, ci stai?” La spontanea e travolgente risata di Bomba fu la più bella delle risposte. Era rimasto solo Schizzo. Era naturale che rivolgessimo la nostra attenzione verso di lui. Schizzo ci guardò ad uno ad uno, poi chiese a bruciapelo: “ E allora? Che cazzo volete da me, adesso?” Inutile dire che ridemmo di nuovo. Tutti, anche il Maremmano e Antonio, che doveva aver iniziato a capire come era fatto quello strano essere. “Su, dicci di tuo padre. Che ti ha detto?” Lo incalzò Tonino. Schizzo fece un salto improvviso e andò a nascondersi dietro l'albero più vicino. Si guardò furtivamente intorno poi chiese a bassa voce: “Dove sta mio padre? Dove l'avete visto? Non posso farmi vedere insieme a voi. Dice che non ci state tanto con la testa e che, se continuo a frequentarvi, va a finire che divento scemo pure io!” “Allora vieni qua, idiota, che il danno già è stato fatto!” Gli gridò contro il Tasso. “E sembra pure irreparabile!” Aggiunse Tonino. Antonio se la rideva come fosse uno di noi e dava certe manate sulla pietra della fontana che sembrava volesse ucciderla. D'un tratto si fece serio, ci chiamò a raccolta, aspettò che rientrassimo nei ranghi e ci parlò. “Ho delle cose da dirvi, ragazzi. Il nostro vecchio è rimasto molto impressionato dal vostro gesto. Avete fatto centro. Era davvero commosso e ha deciso di togliere, a Pietro, la punizione. Avete saldato il debito. Non solo, visto che avete lavorato sodo, ha anche deciso che meritate di essere pagati. La paga di un giorno  di lavoro nei campi.” Mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, tirò fuori il portafoglio e ne estrasse un mazzetto di banconote da mille. “Ecco, lui dice che duemila a testa dovrebbero andare bene. altrimenti non vi resta che rivolgervi ai sindacati.” Cazzo, duemila lire? Ciascuno? erano una fortuna! Nessuno di noi aveva mai posseduto quella cifra tutta insieme. A Natale, forse, sommando le mance. Mance che, regolarmente, ci passavano sotto gli occhi e messe via subito dopo dai nostri genitori, per quando ci sarebbero serviti, dicevano. Pure se, a noi, sicuro, sarebbero serviti immediatamente. Restammo a bocca spalancata ed occhi sgranati per un bel po’, offrendo un inaspettato, forse anche gradito, ricovero a tutti gli insetti di passaggio in quel momento. Il primo a riaversi dalla sorpresa fu il Tasso, che si avvicinò ancor di più ad Antonio e disse:“ Fammi capire bene, gigante, tuo padre ti ha dato quei soldi per noi?” “Esattamente, mio giovane amico.” “Duemila lire a testa per quella stronzata di lavoro?” “Questo è ciò che ha stabilito il grande capo bianco. Se vi sembra poco prendetevela con lui, non con me. Io non c'entro, ho solo fatto una commissione.” “Prendermela con te? Ma tu: ti sei mai guardato allo specchio?  Cazzo, sarò stupido, ma non fino a questo punto! Non ti direi niente neanche se uccidessi mio padre. Anzi, pur di non farti arrabbiare, ti farei anche i nomi di tutti i miei parenti. Anche i loro indirizzi ti darei! Volevo soltanto dire che, se il tuo vecchio paga così bene, abbandono subito la scuola e vengo a lavorare da voi. Tanto più che la scuola mi fa cagare.” E sembrava che stesse valutando sul serio la possibilità. Antonio si inginocchiò, gli lisciò la testa quadrata e gli disse calmo: “Forse è meglio che continui la scuola, giovanotto, per lavorare c'è sempre tempo. Devi studiare e mettici impegno, così, da grande, non ti farai fregare da quelli che hanno studiato. Ora avvicinatevi tutti, ho da darvi quello che vi spetta. Su, non fatevi pregare!” Certo che non ci facemmo pregare, in mezzo secondo eravamo appiccicati ad Antonio, pronti a ricevere la nostra, inaspettata parte. ci strinse la mano, uno per uno, e ci diede le duemila lire pattuite. L'ultimo era Bomba, quando toccò a lui, il gigante lo fissò, si alzò in piedi, rimise in tasca i soldi e:“A te niente.” Disse. Bomba fece una faccia che… che erano cento facce insieme, con la sorpresa che dominava su tutte le altre. Anche noi eravamo stupiti non poco, come? A Bomba niente? Antonio ci lasciò in sospeso per qualche istante, godendosi le nostre facce smarrite, poi prese il nostro amico per mano e gli parlò. “Andiamo, anche tu, chiaramente, come gli altri, ti sei meritato la tua parte, ma voglio dartela davanti a tuo padre, che sappia anche lui quanto sei stato in gamba.” Fece per muoversi, ma si bloccò subito dopo. si guardò in giro con aria smarrita e domandò: “ Dove lo troviamo tuo padre? Dov'è che lavora?” “Lavorare? Il padre di Bomba? Cazzo, Antonio, questa si che fa ridere di battuta!”  lo prese in giro il Tasso. “Piantala, coglione!” Ruggì Bomba, recuperando, vai a capire da dove, un pizzico di amore filiale. “Visto che ti piace fare lo stronzo, perché non ci dici dove lavora il tuo di padre?” Il Tasso non rispose subito, si grattò la testa, poi il mento, poi le orecchie, con tutte due le mani, voleva farci credere che ci stesse pensando su, ma, a noi, sembrò soltanto che avesse la rogna. Il Tasso che pensava, chi mai ci avrebbe creduto! “Un po’ qui e un po’ là.” rispose, “Ma la maggior parte del tempo la passa con tuo padre. Diciamo pure che sono colleghi!” “E dove li posso trovare?” Insistette Antonio. “Al loro cantiere preferito. Al Bar di Piazza. Tressette e vino bianco, si fanno certe sudate!” “Bene, allora andiamo dal tuo genitore, giovanotto. Sistemiamo questa faccenda.” Disse ancora il gigante, avviandosi e tenendo sempre Bomba per mano, che sembrava un filo imbarazzato. “Possiamo venire anche noi?” Chiese Schizzo con una vocetta supplicante. “Grazie dell'aiuto, ma non è necessario. Possiamo farcela anche da soli.” “Eccome se è necessario!” si intromise di nuovo il Tasso, “Casomai tu, per spiegargli bene le cose, fossi costretto a suonargliele, io voglio esserci!” “Ma io non devo picchiare nessuno. Voglio soltanto far capire al papà di questo ometto che figlio in gamba che ha.” “Si, ma ammettiamo che proprio sia duro, che proprio non voglia capire e tu debba aiutarti con qualche sganassone, io devo esserci, non ci sono santi! Devo perché, almeno, potrei indicarti  anche mio padre, vorrei che spiegassi la stessa cosa anche a lui. E con lo stesso metodo!” “Bene, mi arrendo, non posso farcela contro di voi.  Ma avete la mia parola che non ci saranno violenze. Non servono. Tra persone civili, bastano le parole.” E ci fece segno di seguirlo. Certo, facile per uno come lui, pensai, chi era quel matto che avrebbe voluto farci a pugni? Meglio parlarci, perdio! Molto meglio! Come previsto, li trovammo al bar, a giocare a carte. C'erano sia il padre di Bomba, che quello del Tasso, più altri due anziani che conoscevamo solo di vista. Purtroppo Antonio aveva ragione: niente violenza. niente cazzottoni, o tavoli sfasciati in testa, come nei film di Bud Spencer. Bastò la sua ingombrante presenza a far si che si cagassero sotto; tutti e quattro. Non potevo certo dar loro torto. Il gigante si presentò, strinse loro le mani e, credo, esagerò un po’, vista la faccia sofferente che fecero. Ci venne da ridere, ma ce ne guardammo bene dal farlo. Una volta ottenuta l'attenzione, si piazzò di fronte a quel fifone tremolante del padre di Bomba, elogiò a lungo il nostro amico e lo ringraziò pubblicamente, il messaggio era chiaro: chi lo toccava avrebbe dovuto, necessariamente, fare i conti anche con lui. Alla fine, a scanso di equivoci, pretese di pagarlo. Lì, di fronte a tutti. Non ci furono obiezioni. Salutò cordialmente, offrì un giro di bevute ai presenti e uscì con molta calma dal locale. Noi dietro, come fedeli cagnolini, scodinzolando festosi e al sicuro. “Certo, Bomba, che tuo padre ha fatto una gran bella figura di merda!” Sibilò, felice, il Tasso. “Perché il tuo, invece, che figura ha fatto?” “Di merda! Anche il mio! Ma, a me, fa più ridere quella che ha fatto tuo padre!"
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merrowloghain · 4 years
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19.08.76
La frase che prende a scrivere è "Under the Weather", ma lì si blocca come se non avesse altro da aggiungere di colpo. (...)
L`umidità della sua punta viene sfruttata fino all`ultimo, una tecnica di scrittura non proprio delicata o affinata. Sicuramente non è uno di quelli che possono vantare una bella calligrafia fra le proprie capacità. Tuttavia, scrive ancora "Down To Earth", prendendosi tutto il tempo necessario per farlo. Come se non vi fosse effettivamente un filo logico seguito da egli stesso. (...)
Perchè prende a scrivere dell`altro sul foglio, cambiando radicalmente espressione: si fa serio, medtabondo, preoccupato. "The Bridge is falling down, but.." verga ancora, mandando giù un po` di saliva e riponendo il pennino per raddrizzarsi con la schiena e stiracchiarsi.
Questa volta legge ciò che scrive, soffermandosi un poco sulla frase che lui crea, subendo quel voltarsi nei suoi confronti con la "resting-bitch-face" altrui a darle potenzialmente l`informazione che forse la dovrebbe piantare d`essere così indiscreta. Ma niente. La Loghain se ne sbatte altamente. E` con una calma innaturale, con movimenti fluidi ma letargici, che paiono usciti direttamente da un sogno, che lei scosta la destra dal boccale, non avendo minimamente toccato la sua bevanda, per allungare l`indice in direzione dell`inchiostro. Se l`altro non si opponesse al suo gesto, quindi, picchietterebbe quel dito lungo come la zampa di un`Acromantula albina, sotto quel "But", come a volergli far intendere che sia importante, che quella sia una svolta, per infine virare proprio sulle tre lettere e tentare d`imprimerci forte il polpastrello, in uno sbavare d`inchiostro che porterebbe la sua firma ad impronta digitale, e che cancellerebbe quella congiunzione semplicemente con una breve e naturale dimostrazione della propria esistenza.  (...)
Segue con le iridi ambrate il percorso dell`indice di lei, senza dare l`impressione di volerla fermare. La lascia fare, rimanendo immobile e pacifico come un panda piazzato lì ed incapace di lasciarsi scuotere da tali piccolezze. La sbavatura sul foglio, la cancellazione parziale di quelle tre lettere, non hanno su di lui l`effetto che probabilmente avrebbero su molti altri soggetti meno pazienti. Perché poco dopo torna a fissarla senza smettere quell`espressione di mesta ma bonaria calma. «Ora non è più una variabile.»
Non replica, non gli dona altre parole, piuttosto concentrandosi su quel gesto che seppur casuale, ora che lui la fissa constatando l`uragano che si è abbattuto su quella che no, ora non è più una variabile. Resta a guardarlo con il viso che pare trasudare una solennità al proprio gesto che accompagna quel ritirare d`indice, a fargli comprendere che si, è stato intenzionale, e che ora il corso di qualunque flusso di pensieri lui stesse seguendo, lei l`ha in qualche modo intuito, seppur non comprendendone affatto la natura, decidendo d`apporre quella catastrofica diga al mare di possibilità che si sarebbero profilate dopo un semplice "But". Il ponte crolla. Punto. Senza possibilità d`intervento, senza poter scampare all`inevitabilità della cosa. E tu devi farci i conti. Ecco cosa cerca di comunicargli, in un`espressione che per la prima volta s`apre a lui in quel susseguirsi di pensieri che si riflettono sui tratti affilati del volto.  
«Mi ricordi molto una persona.»
  «Anche tu.»  «Più di una.»
Lentamente, non appena la mano grande di lui si ritrae, scivolandole via dalla pelle, le muoverebbe la destra, per rispondere a quella sua ultima domanda in un afferrare di piuma che la vede intingere appena nel calamaio, prima di scrivere sulla pergamena da lui utilizzata: Merrow Loghain. Under the Weather Down to Earth the Bridge is falling down, Merrow Loghain. «Scrivimi.» ultima cosa, in un appoggiare di piuma sotto quella propria scrittura corsiva ed elegante, nella sua nevrotica peculiarità aguzza ed inclinazione verso destra.
Non senza rivolgere occhiate incuriosite a quanto vergato da ella stessa sul foglio. Come fa ogni volta in cui non fa altro al di fuori dello scrutare, l`espressione neutra che gli si dipinge in viso richiama alla più totale indolenza. Alle volte dà l`impressione di essere uno di quelli che sanno di sapere sempre qualcosa che tu non sai. La lascia scivolare via senza che ci si sprechi in saluti o sciocche consuetudini, tornando a ruotare col bacino in favore del Bancone e poggiando entrambi i gomiti sui due lati del foglio di carta. Gli avambracci si incrociano poco sotto di esso. Un mezzo sorriso gli sfugge, mentre altra aria viene sbuffata fuori dal naso. «Mpfh...» Le mani salgono nuovamente, avvicinandosi alle tempie per riprendere a massaggiarle. «..magari fosse così facile, Merrow.»
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helloitsdebs · 4 years
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.                    🔔 ɴᴇᴡ ɴᴏᴛɪғɪᴄᴀᴛɪᴏɴ › #moment.                    ᴡʜᴇʀᴇ “ hogwarts ❙ octob, 24.               ───  about the interrogation.                  non ama molto uscire dalla propria comfort zone, la scozzese, non ama nemmeno cambiare tipo di burro cacao o di tea preferito, figuriamoci il dover presenziare ad un interrogatorio, lei che alla festa quella sera non voleva nemmeno andarci, ma era stata trascinata lì dalla sua compagna di stanza, con cui aveva passato la maggior parte della serata. Ora varca la soglia della stanza, accompagnata da quella donna che sembra tanto gentile e dolce, quasi materna, gli occhi chiari che dapprima si soffermano sulla figura della sua studentessa e poi indicano la sedia, dove la donnina ora prende posto. La testa pulsa e lo sguardo ora si ferma sulla figura del detective Londsdale: i suoi occhi scuri sono la prima cosa che ella nota, occhi quasi penetranti, occhi che potrebbero scoprirti l’anima anche solo con un cenno, occhi che si differenziano dalla posizione ferma da lui assunta. Non si muove, il detective e così Marley sembra quasi voler emulare la sua posizione: si siede, le mani poggiate sul proprio ventre e le caviglie incrociate sotto alla sedia. Non incute timore, l’uomo, anzi sembra sin troppo pacato per essere / molto probabilmente / all'ennesimo interrogatorio della giornata. È dunque il momento,il detective stringe tra le falangi la penna stilografica e così, una sorta di sorriso a dipingere il volto suo, eccolo prender finalmente parola.  «  Non far caso al rospo, d'accordo? E' qui per registrare tutto quello che ci diremo e distorcere la tua voce in modo da renderla irriconoscibile. Quando sei pronta, dichiara ad alta voce il tuo nome, casa d'appartenenza ed anno di corso.  »  è semplice, pensa lei, deve solo dichiarare nient’altro che la verità, non ha nulla da nascondere, dunque non c’è nulla di cui preoccuparsi. Un sospiro nascosto, due sospiri ed ecco che le labbra si schiudono.  «  Il mio nome è Marley Jasmine Faye Darlington, grifondoro, quinto anno.  »  le parole vengono fuori tranquille, come se quella fosse una semplice chiacchierata e lei stesse semplicemente raccontando piccoli dettagli della sua vita.  «  Dunque Marley, posso chiamarti con il tuo nome? Parliamo della notte fra il cinque e il sei settembre. Sappiamo che è stata piuttosto... movimentata. Come mai vi siete incontrati in così tanti? Cosa si festeggiava?  »  un po’ la intimorisce il fatto che un’estraneo voglia chiamarla con il primo nome, ma non ci fa molto caso, ora che il vero interrogatorio sembra aver inizio.  «  Ci siamo incontrati per una festa, signore, festeggiavamo la vittoria dei corvonero.  »  solo questo, che è certa che il detective inizierà a chiederle altro, dunque non lascia altre frasi, se non la risposta alla sua domanda.  «  Dopo la vittoria dell'anno scorso, perdere dev'essere stata una vera batosta. Delusione, rabbia.. non sono esattamente i sentimenti migliori con cui prender parte ad una festa, no? Come mai hai deciso di partecipare? Dovevi essere agitata.  »  scuote il capo all’ultima affermazione dell’uomo, che lei rancorosa non l’è mai stata, così come il quidditch non è mai stato parte integrante della sua vita quindi di rabbia non ve n’era nemmeno un briciolo di sabbia.  «  Si, perdere non è stata una cosa bella, insomma. Ma delusione e rabbia? No, assolutamente no. Non sono mai stata una persona rancorosa, cerco sempre di trovare il buono in tutti, dunque non ero arrabbiata per la perdita, ma solo triste perché i componenti della squadra dei grifondoro ci tengono molto al campionato. Io ho deciso di partecipare solo perché la mia compagna di stanza mi ha chiesto di accompagnarla, per questo ho deciso di uscire dal mio pigiama e di andare con lei.  »  che del pigiama con gli unicorni non vuole far menzione, sarebbe davvero troppo imbarazzante dinanzi al detective. Poi da un’occhiata alla donna, il suo sguardo sempre dolce che si sposta tra lei e il detective. Sembrano quasi stiano giocando al poliziotto buono e a quello cattivo, come spesso si vede in quelle serie tv vecchio stampo che sua nonna era abituata a vedere.  «  Mi sembra di aver capito che tutti voi abbiate fatto fatica a tornare lucidi nelle ore successive, anche se nessuno pare riuscire a dare una giustificazione coerente sul perché. Io qualche ipotesi ce l'ho. Che cosa girava, Marley? Sai che sto parlando di stupefacenti. Qualsiasi cosa tu sappia, è meglio che tu me lo dica.  »  ha ragione, il detective, i ricordi sono ancora sfocati ma con i giorni sembra che qualcosa sia riaffiorato in superficie, non ricordi vividi questo è sicuro, ma comunque sprazzi di quella festa che molti sembrano non ricordare affatto.  «  Non ho mai assunto stupefacenti, signore. Mi concedo una sigaretta ogni tanto e so che è sbagliato e che fa male, ma è un vizio preso che non riesco più ad abbandonare. Ma droghe non le ho mai assunte, questo posso assicurarglielo. Non posso dirglielo con certezza, ma credo ci fosse qualche droga in giro. Ricordo di aver sentito qualche odore sin troppo diverso dal fumo di sigaretta quindi probabilmente qualcuno ha deciso di introdurla. Ma non so dirvi chi.  »  gli occhi chiari sono fissi sulla figura dell’uomo e lei s’è anche un po’ rilassata contro lo schienale della sedia. Non sa davvero chi possa aver introdotto droghe, non sta affatto mentendo. Può sempre somministrarle in veritaserum, vedrà che sta dicendo la verità!  «  E sei sicura di aver visto la tua compagna, Myriam Schmidt? Sai indicarmi intorno a che ora l'hai notata lì? Anche approssimativamente, tutto può esserci utile a ricostruire gli eventi.  »   eccola lì, la fatidica domanda, prima o poi sarebbe arrivata. Così cerca di racimolare tutti i momenti ricordati, seppur con i numeri ella non sia mai stata così brava.  «  Ricordo di averla vista, parlava con qualcuno ma non so dirle con chi. C’era davvero tanta gente, anche ex studenti quindi può immaginare che baraonda ci fosse. Ricordo bene il suo top giallo e i suoi capelli sciolti, spiccava in mezzo a tanti vestiti scuri, era impossibile non notarla. L’ultima volta che l’ho vista era forse l’una di notte, ma non ne sono sicura. Avevo il cellulare scarico e non solo solita portare orologi, dunque non posso confermarle con certezza l’ora, signore.  »   non la conosceva bene, Myriam, aveva scambiato solo qualche parola a lezione e nella sala grande, ma era bella, una bellezza che difficilmente si dimentica. Chissà dove stava in quel momento, chissà se stava bene.  «  Andando via dalla festa... hai incontrato o visto qualcuno? Ci hai parlato? E' molto importante, Marley. Per Myriam, ma anche per te. Potrebbe confermare i tuoi movimenti.  »  quello lo ricorda bene, quindi andando a scrociare prima le gambe intorpidite, eccola aggiustarsi bene sulla sedia e tornare così a prender parola.  «  Sono andata via intorno alle due e mezza o giù di lì. Sono andata via con la mia compagnia di stanza, Kendall Nibley, può chiedere a lei sicuramente glielo confermerà. Non ho parlato con nessuno, mi sono diretta al dormitorio perché mi sentivo davvero tanto stanca dopo una serata di festa.  »  è ciò che è accaduto, ricorda d’essere tornata con lei e di esser crollata quasi subito, troppo stanca per accendere il cellulare o fare altro.  «  E i tuoi compagni di stanza erano in camera quando sei tornato? Svegli? Per caso gradisci un bicchiere d’acqua, Marley?  »  scuote il capo, la maga, il movimento della mano che va a scostare una ciocca ribelle e poi torna a parlare.  «  No la ringrazio, signore, sto bene così. Tornando alla sua domanda ricordo che l’altra mia compagna stesse dormendo profondamente, credo non sia venuta nemmeno alla festa, non mi sembra d’averla vista in giro. Per quanto riguarda Kendall, ci siamo cambiate e abbiamo preso posto nei nostri letti. Io sono crollata subito, di lei non so dirvi altro.  »  quando finirà quella moltitudine di domande, si ritrova a chiedersi nella mente e lui, quasi come le avesse letto nella mente torna a parlare, probabilmente l’ultima domanda prima di congedarla.  «  Abbiamo quasi finito, Marley. Devi comprendermi, è solo che sembrate tutti un po' confusi e le vostre dichiarazioni ne risentono, così come il nostro lavoro. È la prima volta che vi succede di non ricordare nulla o avete già avuto esperienze simili negli anni precedenti?  »   e no, non le è mai accaduta una cosa del genere ed è ciò che le fa scuotere il capo, andando poi a rispondere alla sua domanda.  «  Comprendo perfettamente, signore. Ho sentito dire che molti di noi non ricordano nulla, quindi comprendo il vostro lavoro. E comunque, per rispondere alla sua domanda, non mi è mai accaduto. Ho una memoria di ferro, ricordo sempre i compleanni di tutti e qui siamo tanti! Non mi era mai accaduta una cosa del genere, è stato davvero strano.  »  poi lui si alza, s’avvicina a lei ma non troppo, guarda la donna non troppo distante da lei, un cenno come a farla alzare, perché è ciò che quella gentil signora fa pochi istanti dopo, avvicinandosi a lei.  «  D'accordo, direi che va bene così. La signorina ti accompagnerà in corridoio, dove devo pregarti di non intrattenerti a conversare con nessuno dei tuoi compagni. Grazie, Marley. Ti farò richiamare se avrò bisogno di qualche altra informazione. Ah, un'ultima cosa: hai motivo di credere che qualcuno ce l'avesse con lei?  »  e così la scozzese si alza, le mani che si sciolgono dalla presa che avevano assunto fino a quel momento. SI stringe nelle spalle alla sua ultima domanda, che Myriam le è sempre sembrata una brava ragazza, che non potrebbe far del male a nessuno.  «  Non credo, signore. Non ho mai parlato molto con Myriam, se non per qualche saluto o per qualche appunto delle lezioni. Sembrava una brava ragazza, una di quelle che non farebbe del male nemmeno ad una mosca. Dunque non saprei proprio darle una motivazione od una spiegazione.  »  conclude così, lei e lui non proferisce più parola. La donna l’accompagna fuori, un ultimo sorriso quasi a sembrar rassicurante. L’interrogatorio è terminato, finalmente l’ansia può andar via. Così s’incammina, esce fuori, stringe una sigaretta tra le labbra e scarica via in quel fumo, tutte le paure di quel momento.
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genevieveamelie · 4 years
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𝐓𝐲𝐥𝐞𝐫 & 𝐆𝐞𝐧𝐞𝐯𝐢𝐞𝐯𝐞 𝟎𝟒.𝟎3.𝟐𝟎 --------------------------------------
Era consapevole che il proprio carattere non era dei più facili, e non poche volte si era andato a scontrare con la sorella minore, proprio per quello, proprio per i loro caratteri così forti e determinati. Anche se i due non erano fratelli di sangue Tyler aveva sempre considerato Genevieve come sua sorella. Aveva un senso di protezione nei suoi confronti non indifferente risultando anche molte volte appiccicoso o pesante, ma al ragazzo non era mai importato.
In quel periodo non era stato molto presente a causa del lavoro e degli orari, ma soprattutto a causa della morte di quel ragazzo, di Jacob Ruiz. Essendo lui un veggente, del grado più alto, si era prestato per aiutare a risolvere quel caso che aveva mandato il tilt praticamente tutta la città, ma soprattutto chi aveva dei poteri. Tyler non era tranquillo, affatto, ma non per lui ma più che altro per la minore ecco il perché di quella richiesta.
La conosceva, sapeva quanto potesse essere testarda, quanto quella richiesta non le andasse a genio, lo aveva dimostrato, ma lui era più testardo di lei, ecco perché prima d'andarla a prendere passò a casa dei genitori per prendere la valigia che aveva fatto preparare dalla madre, ma anche per tranquillizzarli, ansiosi come erano dare di matto era la minore delle cose che potevano accadere.
Puntuale come un orologio svizzero il chirurgo era già davanti all'università pochi minuti prima della fine dell'ultima lezione della sorella.
Genevieve Amélie S. Hale
Scegliere di andare a vivere da sola era un passo che prima o poi la fata avrebbe compiuto comunque, qualunque cosa avessero detto i genitori e quel fratellastro che da sempre rappresentava il suo punto di riferimento. Testarda all'inverosimile, Genevieve difficilmente lasciava spazio per un possibile compromesso, soprattutto quando riguardava la sua vita. S'era infatti ritrovata a storcere il naso leggendo i messaggi con Tyler, soprattutto perché quando entrambi si mettevano in mente una cosa, era difficile che uno dei due cedesse, figuriamoci poi se avessero dovuto vivere sotto lo stesso tetto. Il giorno successivo a quello scambio di messaggi aveva cercato di rimanere il più possibile serena a quell'incontro che avrebbe avuto con Tyler, s'era preparata e aveva raggiunto il college come tutti gli altri giorni, nonostante ultimamente la mente fosse occupata da pensieri fin troppo complessi. La vicenda di Jacob aveva sconvolto ogni abitante di Ravenfire, e Genevieve non era stata da meno. La fine delle lezioni, tuttavia, non tardò ad arrivare e quando uscì vedendo il fratello già pronto ad attenderla, la fata non riuscì a non trattenere un sorriso. S'avvicinò così lentamente, uno sguardo acuto per studiarsi per un momento, prima di scoppiare a ridere e dargli un rapido abbraccio per salutarlo. « Puntuale come sempre, eh? » Un tono di voce mellifluo si elevò nel salutare quel volto da bravo ragazzo che aveva suscitato in lei così tante emozioni quando era più piccola, tuttavia, non riuscì a non notare che qualcosa di storto era pronto ad abbattersi non solo di loro, ma principalmente sul di lei umore.
Tyler Hale
Sapeva che chiederle di venire a vivere con lui, o meglio quasi obbligarla, era una bomba ad orologeria. Avevano due caratteri forti, entrambi cocciuto e testardi ma dopo quello che era successo a Jacob, Tyler voleva sapere che sua sorella era al sicuro. Si sarebbe preoccupato in ogni caso, come sempre, ma sarebbe stato più sereno nel vederla tutti giorni e non raramente come succedeva ultimamente. Il proprio lavoro era sfiancante e lui aveva dovuto rinunciare a del tempo con la propria famiglia. Era davanti all'università gia da cinque minuti quando la mora entrò dentro la macchina abbracciandolo. Tyler la strinse a se, le posò un dolce bacio sulla nuca e dopo che si mise la cintura si rimise in strada. 《 Sono mai stato in ritardo ? 》 Le chiese ironicamente, ma entrambi sapevano che dovevano affrontare quel discorso, e quasi sicuramente avrebbero litigato, come sempre, ma poco importava. 《 Senti Gen, fallo per me. Non devi rimanere a casa per sempre, anche perché non ti sopporterei, ma almeno fin quando non si scopre chi è stato ad uccidere quel ragazzo, devo sapere che sei al sicuro. Poi da me hai una camera più grande della tua e io ci sto poco a casa, lo sai. 》
Genevieve Amélie S. Hale
Una volta all'interno dell'abitacolo con Tyler, la fata aveva voltato il viso verso il finestrino per osservare come la vita scorresse velocemente, ma lo sguardo del fratello era sempre lì ad osservarla. Lo sentiva come un faro puntato su di lei, impossibile da ignorare, ma sapeva dentro di sé che la lite che ne sarebbe conseguita non avrebbe portato a nulla di buono. La Hale si ritrovò così ad inspirare sonoramente, il sorriso che era comparso era stato subito sostituito da un'espressione decisamente più stanca, e con un gesto lento, si voltò nella di lui direzione. « Non molli, eh? » Domandò quasi retoricamente. Solo quando lo sguardo le cadde sui sedili posteriori, la fata vide le sue valigie pronte per l'imminente trasferimento. Un sentimento di rabbia e sconcerto cominciò così a nascere nell'animo della giovane che subito si voltò furiosa verso il fratello. « Spero che tu stia scherzando. Che cosa ci fanno le mie valigie in macchina? Avevamo detto che ne avremmo parlato, non che avrei accettato. E ci manca ancora che dovrei rimanere chiusa in casa... Ho la mia vita, Tyler, il college, la palestra e la piscina, non vorrai mica segregarmi in casa per una paura infondata, non è vero? Dio... Lo sapevo che mi avresti incastrato. »
Tyler Hale
《 No che non mollo! 》 Con lei non lo avrebbe mai fatto, da quando quella bambina era entrata nella sua vita, nella propria casa Tyler le era sempre stato accanto, in ogni momento. Entrambi avevano fatto affidamento sull'altro in molte occasioni ma non lo avrebbero mai ammesso. 《 Stanno lì perché sei cocciuta come un mulo. Non ti ho mai detto che devi restare in casa porca miseria! Ho detto questo ? No quindi non mi mettere in bocca parole che non ho detto, sai quanto lo odio. 》 Era entrata in macchina da dieci minuti e già stavano litigando sonoramente. 《 Continuerai a fare tutto ciò che vuoi, università, amici, piscina, quello che stradiamine vuoi, devi solo venire a dormire a casa e avvertirmi se esci e fai tardi e basta. Non ti sto chiedendo molto e lo sai. 》 Erano a pochi minuti da casa del ragazzo quando si dovette fermare ad un semaforo. 《 E calmati! 》
Genevieve Amélie S. Hale
La fata ricordava come il loro incontro, quel semplice sguardo, avesse cambiato le loro vite in modo estremamente migliore, facendoli sperare in qualcosa di decisamente migliore, ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso. In quel momento, Genevieve sentì la rabbia montare dentro di sé, sentì una furia abbattersi su di lei, che la costrinse a voltarsi maggiormente nella sua direzione e stringere con forza i pugni. Come diavolo poteva pensare Tyler che avrebbe accettato senza dire la sua? Come poteva credere che la fata non avrebbe dato di matto alla scoperta delle sue valigie pronte e finite? « Tu continui a voler imporre la tua volontà su di me, Tyler! Sei diventato paranoico. » Nonostante il tono di voce s'era abbassato notevolmente dalla sua iniziale reazione, la fata continuava a scuotere il capo in segno di diniego. Voleva la sua indipendenza, avrebbe voluto andare a vivere da sola per tagliare quel cordone ombelicale che sentiva a volte stringerla fin troppo, e per non parlare di quella distanza che s'era creata ultimamente con il fratello. Si ritrovò così ad inspirare sonoramente, voltò il capo in direzione opposta a quella di Tyler e si girò poi incrociando le braccia al petto. « Ovvero renderti conto di tutto quello che faccio... No, no e ancora no. Sono settimane che siamo più distanti che mai, tu hai la tua vita, i tuoi impegni, come io ho la mia o quello che mi è rimasto, e ora dovremmo riadattarci entrambi per una paura che non sta né in cielo né in terra. Tyler, voglio la mia indipendenza e venire a vivere con te è come fare un passo indietro. E smettila con questa tua calma apparente, mi innervosisci ancora di più. »
Tyler Hale
Tyeler dovette accostare, non riusciva a risponderle come voleva se continuava a guidare, ecco perché si fermò in una piazzola di sosta. < Ti devi calmare, non ti sto dicendo un cazzo, non ti va bene quello che penso, quello che dico o ti sto chiedendo, ma non è la prima volta o sbaglio !? > Era arrabbiando, perché lui doveva mettersi nei suoi panni, ma lei non ci provava neanche, non provava minimamente a capire il proprio punto di vista e questo lo stava facendo, diventare pazzo. < POTEVI ESSERE TU CAZZO! Lo capisci ? capisci che non voglio che ti accada niente, che non ti sto segregando in casa ? Non ti sopporterei, sei già una spina nel fianco normalmente figurati se ti chiudo in casa, impazzirei! > Aveva alzato il tono della voce per poi calmarsi leggermente, entrambi non volevano cedere, ma in qualche modo dovevano fare, dovevano trovare un punto d'incontro. < Secondo te non ci sto male ? Non mi piace la distanza che si è creata tra di noi e lo so che è colpa mia, per il mio lavoro e per i miei impegni. Ma questo non cambia il fatto che ti voglio bene e voglio saperti al sicuro. Quello che ti è rimasto ? ma smettila Gen, nessuno ti ha mai impedito di fare qualcosa o d'essere chi volevi essere con tutti i tuoi sbalzi d'umore. Ti metti un secondi nei mie panni e mandare in un bel posto l'orgoglio eh ? > Tyler voleva il suo bene, voleva tornare ad essere come erano un tempo, amici, confidenti, migliori amici. < Gen non voglio impedirti d'andare a vivere da sola, sono il primo che vuole che tu faccia quell'esperienza perché è stato uno dei momento i più belli della mia vita, ma voglio, anche, che tu sia al sicuro ? Resta con me finchè le rivolte non si calmeranno, finchè non verrà preso l'assassino e poi ti aiuto a trovare casa. Fallo per me, e si ho sbagliato a prendere le tue cose ma sei cocciuta come un mulo! >
Genevieve Amélie S. Hale
Poter parlare come persone normali e civili sembrava assurdo in quella situazione. Le parole urlare prima dalla fata e poi dal veggente non avevano fatto altro che peggiorare la situazione. Inspirò sonoramente, una, due, tre volte, senza nemmeno rendersi conto che ormai avevano accostato sul ciglio della strada, non troppo distanti dall'appartamento di Tyler. La fata si ritrovò così ad appoggiare la nuca sul poggiatesta della macchina, chiudere per un momento gli occhi, e cercare di mettere da parte il suo carattere a volte irruento. In qualche modo ella comprendeva le paure del fratello, addirittura era lei stessa in apprensione per lui ogni volta che si trovava in ospedale o chissà dove, ma no voleva cadere in quel loop che conosceva fin troppo bene. Avrebbe fatto bene a mettere via l'orgoglio? Avrebbe fatto bene ad accettare quella dannata proposta? Sarebbe stato il loro suicidio, lo sapeva, ma per il suo bene poteva farlo, non è vero? Odiava che si fosse creata quella distanza, odiava sentire il suo punto di riferimento come se fosse perso nella nebbia, ma odiava essere rimasta sola. Spesso la fata veniva giudicata superficiale, ma Genevieve era ciò che più lontano poteva essere dall'essere superficiale. « Va bene. » Due semplici parole, un tono di voce decisamente più basso rispetto a prima, e gli occhi ancora chiusi. Sentiva il cuore battere incessantemente, il respiro affannato di Tyler per quell'ennesimo scontro che non aveva trovato nessuno come vincitore, ma agli occhi della fata era il veggente ad alzare la coppa della vittoria. « Ancora non sono d'accordo, ma se è quello che vuoi, va bene verrò a vivere con te. Almeno sarai più tranquillo, ma niente ragazze in casa, sia chiaro. »
Tyler Hale
《 E niente ragazzi in casa. Se dovete studiare è un conto, per altro no. 》 Sapeva che sarebbe stata una dura prova quella, vivere insieme sarebbe stato allucinante, ma lui sarebbe stato tranquillo. Non voleva impedirle di fare tutte le sue cose, uscire con i suoi amici ma Tyler aveva bisogno di sapere che lei fosse al sicuro. Era un sua paura, fin dal momento in cui era entrata nella sua vita aveva fatto di tutto per tenerla al sicuro, e molte volte si preoccupava più lui dei genitori. La sorella aveva ancora gli occhi chiusi quando scese dalla macchina e dopo aver fatto il giro e aperto il suo sportello la prese e l'abbracciò, la strinse a se come ormai non faceva da tempo. 《 Grazie. 》 Era una parola semplice, una parola che racchiudeva in sé tante cose ma sapeva che lei avrebbe capito anche tutti i significati nascosti. 《 Mi spiace non esserci stato in questo periodo Gen. 》
Genevieve Amélie S. Hale
Fin dal primo in cui la fata e il veggente s'incontrarono, sembrarono legati da un'affinità che era difficile spiegare a parole ma che li aveva condotti a diventare parte integrante della vita dell'altra. Che stesse male uno, l'altro c'era sempre con una carezza, una parola, un gesto che scaldava il cuore facendoli avvicinare sempre di più. Il fatto poi che ultimamente si fossero allontanati per circostanze ancora sconosciute era un qualcosa che rattristava la fata, ma doveva ammettere che tornare a vivere assieme a Tyler poteva essere anche il loro modo per ritrovarsi. Chiuse gli occhi per un momento, scese poi dalla macchina ed inspirò a pieni polmoni lasciandosi abbracciare e cullare da quelle braccia forti. « Dispiace anche a me. » Poche semplici parole simil ad un leggero cinguettio furono emesse dalle labbra della fata che, nonostante tutto, si sentiva per la prima volta dopo tanto tempo a casa.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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emmalynthewriter · 4 years
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Dalle immagini alle parole #1
Per mesi non ho pubblicato nulla su questo blog, che ora rischiava di cadere in disuso come il primo, che fra l’altro ho eliminato, ma non voglio che questo faccia la stessa fine, perciò mi sono inventata questa rubrica, con il titolo che leggete sopra. Ogni volta che potrò, sceglierò un’immagine dal web, e partendo da quella, scriverò una piccola storia. A voi la prima, e con essa, l’ardua sentenza.
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                                                Dalla selva al cuore
Le piogge estive erano sempre difficili da prevedere, e i due fratelli Nugget e Noodles non potevano che confermarlo. Ormai erano passati tre giorni, e anche in quella stagione non vedevano altro che gocce di fredda, freddissima acqua cadere da un cielo pieno di nuvole grigie e pesanti. Del tutto inconsueto per quel periodo solitamente caldo, ma ormai quasi non importava. Lento, il tempo scorreva senza sosta, e zampettando fra l'erba e le foglie nella foresta, non riuscivano a calmarsi. Silenziosi, non si lamentavano, nè si rivolgevano la parola, ma fra un passo e l'altro, pensavano. Com'era successo? Perchè? E soprattutto, come avevano potuto? Non lo sapevano, forse non l'avrebbero davvero mai capito, ma nonostante tutto, almeno uno di loro non riusciva a smettere di pensarci. Nervoso, Nugget non accennava a smettere di muoversi, e facendo saettare lo sguardo in tutte le direzioni, si guardava costantemente intorno, preoccupato. Fra un passo e l'altro, annusava alternativamente l'aria e il terreno, ma per pura sfortuna, non riuscì a trovare nè sentire nulla. Non le impronte del suo passato, non quelle delle sue zampe, nè il caratteristico profumo di Melody, la sua vecchia padroncina. Piccola e tenera, aveva circa nove anni, e solo poco tempo prima, aveva commesso uno stupidissimo errore, che agli occhi del piccolo roditore appariva come un tradimento. Non era passato molto tempo, e lo ricordava ancora. Insieme, lui e sua sorella stavano giocando ognuno nella propria gabbietta, al sicuro sulla scrivania nela cameretta della bambina, e all'improvviso, l'avevano sentita entrare. Felici, le si erano avvicinati per salutarla, e squittendo dolcemente, non avevano fatto altro che chiedere attenzioni. Fra i due, Nugget era quello che in genere insisteva di più, arrivando a volte a lottare con la sorella per le attenzioni della bambina, anche se giocosamente e senza mai il vero desiderio di farle male. Sorridendo ogni volta, la piccola Melody lo accontentava, e aprendo la gabbia, lo teneva letteralmente in mano, accarezzandolo lentamente. Affatto gelosa, la sorella gli concedeva quei piccoli momenti di gloria, sicura che la padroncina non l'avrebbe certo dimenticata. Era strano, e ingenua com'era, la cricetina tendeva a non pensarci, o almeno a provare, ma nonostante tutto quella parola, anzi, quel verbo, continuava a riverberarle nella mente. Poco più piccola del fratello, sembrava divertirsi, ma pur non confessandolo ad alta voce, anche lei pensava al passato, al prima, a quello che accadeva a casa con la loro bambina. Lenta, arrancava dietro al fratello, e con lo sguardo fisso in avanti, non osava chiudere gli occhietti scuri. Era strano a dirsi, forse perfino esagerato, ma l'unico spazio verde che lei e il fratello avessero mai visitato era il giardino della casa di Melody, non certo quella dannata foresta, e per quanto ne sapeva, chiudere gli occhi o distrarsi, anche per un solo secondo, avrebbe potuto significare guai. Non sapeva di che genere, ovvio, ma non voleva nemmeno pensarci. Tutt'altro che tranquilla, si affrettò per raggiungere il fratello, e senza volerlo, gli sfiorò una zampa. Lo conosceva, gli voleva bene, e doveva ammettere che vederlo in quel modo, preda dei nervi e della rabbia, spezzava il suo giovane cuoricino. "Nugget, dai, torneremo a casa, ne sono sicura." Provò a dirgli, restando positiva nonostante la situazione. Più giovane del fratello anche se solo di pochi minuti, poteva apparire ingenua, e consapevole, lei stessa non tardava a negarla, ma forse era proprio quel tratto di personalità a non farle perdere la speranza. "Taci, Noodles, sei troppo piccola per capirlo." Sbottò lui in risposta, più teso di prima. "Nugget! Come ti permetti!" replicò lei, ferita. Alle sue parole seguì un silenzio tale da renderli sordi, e senza dire altro, lei decise di allontanarsi. Non aveva fatto niente, tentava solo di conservare l'ottimismo senza farsi accecare dalle emozioni negative, ma nonostante questo, ecco che la realtà le si ritorceva contro, colpendola in pieno e ricordandole che la sua positività, seppur ammirevole e alle volte perfino contagiosa non aveva lo stesso effetto su chiunque le stesse intorno, e che forse era davvero troppo piccola per capire. Triste, zampettò verso una quercia nella speranza di trovare riparo dalla pioggia sotto la sua chioma, e quando si rese conto di avere le zampine dolenti e il pelo fradicio, fece del suo meglio per arrampicarsi, infilandosi a fatica nella cavità di quel tronco, forse scavata da uno scoiattolo o da qualche altro animale. Rimasta sola, pianse tutte le sue lacrime, lontana dall'unico suo simile che fino ad allora avesse avuto accanto, e non le costava ammetterlo, che davvero la capisse. Fu quindi questione di attimi, e a sua volta solo sotto la pioggia battente, Nugget capì. Che stava facendo? Era quello il modo di trattare la sua sorellina? Erano diversi, e lui era più grande, ma questo non gli dava il diritto di comportarsi a quel modo. "Noodles?" chiamò, sinceramente dispiaciuto. In attesa di una risposta, si avvicinò all'albero che aveva scalato, e muto come un pesce, la seguì nei suoi passi. "Noodles, mi dispiace. Avevi ragione, possiamo davvero tornare a casa. Andremo da Melody, proprio come volevi, va bene?" tentò, impegnandosi in quella scalata e alzando la voce per farsi sentire. Scivolando nel silenzio, non attese che di sentire la voce della sorella, ma da parte sua, nessuna risposta. "Noodles?" provò ancora il povero criceto, preoccupato come mai prima d'allora. Parlando con sè stesso, si maledisse più volte per la sua innata mancanza di tatto e autocontrollo, e tremante per il freddo, sentì un brivido corrergli lungo tutta la schiena. Spaventato, non seppe cosa pensare, e voltandosi per un solo attimo, si convinse che la colpa era stata del vento. Poco dopo, oltre il lugubre sibilo di quest'ultimo, una voce.  "Non devi parlarmi. Era la sorella, che rintanata in un angolo di quella cavità, ora si rifiutava di guardarlo. "Ho dettto che mi dispiace, davvero." Insistette lui, serio e sincero sia con lei che con sè stesso. Aveva ragione, era stata ferita, e ora gli toccava scusarsi, ma dentro di sè, nel suo piccolo, piccolissimo cuore, anche Nugget conosceva la verità. Il passato ormai andato gli aveva lasciato ferite ancora aperte, e in preda al dolore aveva deciso di sfogarsi su di lei, ma se quello era un errore, starle vicino non lo era affatto, e anzi, era la cosa giusta. Mosso a compassione, le sorrise appena, e zampettando fino ad arrivarle accanto, le strinse piano una zampina. "Hai freddo?" le chiese, notando che tremava. "E che t'importa?" rispose subito lei, acida. "Avremo anche litigato, ma sarai sempre la mia sorellina. Ti voglio bene, e te ne vorrò per sempre, mi credi?" replicò lui, allargando quel sorriso e terminando quel discorso con una domanda, che solo per un attimo, lo distrasse da una lacrima sfuggita ai suoi occhi e prossima a rotolargli sul muso. "Ti credo, fratellone." In tre parole, l'unica risposta che la piccola riuscì a dare, e attimi dopo, solo la quiete. Stanchi e infreddoliti, i fratellini si addormentarono l'uno accanto all'altra senza smettere di stringersi la zampa, e ore dopo, al mattino, una buona stella decise di sorridere ad entrambi. Sempre attento e preoccupato per la sorella, Nugget fu il primo a svegliarsi, e strofinandosi gli occhietti ancora cisposi, non vide altro che un'immagine distorta, e poi, seppur colto dall'insicurezza, sorrise. Non riusciva a crederci, ma davanti a lui c'era un'altra bambina, un'altra piccola umana sorridente, dall'animo buono e gentile. Non la conosceva, non poteva dirlo con certezza, ma nonostante tutto, e forse anche grazie all'idea degli umani che i ricordi della sua Melody e le parole della sorellina gli avevano regalato, decise di fidarsi. "Ciao, piccini. Voi che ci fate qui?" chiese la bambina, sorridendo debolmente e muovendo una manina come per salutarli. Sorpreso, Nugget non seppe cosa dire, e indietreggiando, sfiorò con una zampa la sorella, scuotendola leggermente. Ridestandosi dal torpore in cui era caduta, anche Noodles scoprì la piccola umana, e incuriosita, si avvicinò per annusarla. "Sei Melody?" chiese, squittendo più volte. Divertita, la bambina non capì, ma in compenso ridacchiò e le accarezzò la testa, e parlandole con il solo uso dello sguardo, il fratello la incoraggiò a farsi avanti. "Avevi ragione. Andremo davvero a casa." Le fece capire, finalmente fiducioso. Annuendo, Noodles mosse qualche passo verso la piccola umana, e in un attimo, si ritrovò a vedere il mondo da un'altra prospettiva. Aiutata da un altro umano molto più grande, l'aveva sollevata, e Noodles riuscì a capirlo solo quando al duro legno si sostituirono due morbide mani. Cauta, fece attenzione a non farle del male con le unghiette, e squittendo ancora, spostò lo sguardo verso il fratello rimasto indietro. "Che sbadata, papà, guarda. Ce n'è un altro. Posso prendere anche lui?" chiese la bimba al padre, speranzosa. "Certo, tesoro, ma solo loro, intesi?" concesse il padre, regalando alla figlia un sorriso lieve ma sincero. "Va bene, solo loro." Gli fece eco la bambina, per poi ricambiare quel sorriso e camminargli accanto. Fra un passo della piccola e l'altro, i due fratellini si strinsero l'uno all'altra, e per tutta la durata di un viaggio verso il verde ignoto di un nuovo giardino, non smisero mai di sorridere, sicuri di essere passati dalla selva al cuore di una bimba.  
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kon-igi · 5 years
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LONG WAY HOME - capitolo sei - Una piccola bottega di orrori
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito Finding Doc - Vol.1 (crossover) Capitolo Due -  Per un pugno di mosche Finding Doc - Vol.2 (crossover) Capitolo Tre - Coraggio… fatti appendere! Capitolo Quattro - Solo come un cane Capitolo Cinque - È tempo di morire
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Luce rossa del tramonto che taglia il vetro irregolare della finestra e si soffonde nella polvere che si agita pigra in mezzo alla stanza. Una lanterna in vetro, spenta, svetta dallo scrittoio ricolmo di confezioni di medicinali, siringhe usate e una bacinella piena di pinze e bisturi. Una donna giace nel letto con la testa sollevata da due cuscini ma non dorme affatto… i suoi occhi cerulei sono sbarrati e il risentimento che alberga in essi è solo appena mitigato dalle lacrime che si stanno raccogliendo per scendere copiose. E poi la voce esce e si spezza e le lacrime scorrono senza più freno.
Si è preso gioco di me. Ha aspettato di cogliere la sua occasione e nel momento di maggiore debolezza ha dovuto splendere sopra di noi e più di noi! -- Nerloki alza la testa dal pavimento, guarda Bechdelia e sembra volerle dire qualcosa ma poi si rimette a dormire -- Tutti quei discorsi sul ka-tet, che noi due eravamo an-tet, che saremmo arrivati fino in fondo assieme e poi quel gesto di tradimento!
Il campanile, poco distante, rintocca le sette di sera. Segue la pendola in corridoio, con tono più lugubre.
Oh… ma certo! Fa comodo avere la mamma gatta che tira fuori gli artigli quando arrivano i cagnacci rabbiosi ma poi la mamma gatta non serve più e deve cavarsela da sola! -- la voce si incrina e rimangono solo le lacrime -- E poi io non capisco una cosa… PERCHE’ CAZZO STAI PELANDO DELLE CIPOLLE MENTRE IO TI STO SPIEGANDO QUANTO TU SIA STATO STRONZO A PROVARE A LASCIARMI INDIETRO?!
Senti, Becky -- faccio io, posando il coltello sul tavolo -- la signora Millicent crede che tu sia una povera vedova sopravvissuta all’attacco della vostra diligenza da parte degli indiani e io qua sono un abusivo ninja arrampicatore di finestre che dorme sul pavimento e si nasconde sotto al letto ad ogni bussar di porta. Vuoi perlomeno salvare le apparenze di minima cordialità e darle una mano nel preparare la cena? Hai idea della fatica che ho fatto nel conglomerare le uniche dannate monete di cui avessi memoria?! Se il mio professore di greco e latino non fosse stato così fanatico da farci imparare a memoria verso e recto di ogni dannata moneta dalla fondazione di Roma fino a Costantino, adesso staremmo provando a pagare con le rotelle di liquirizia Haribo!
-- Allora apri la finestra e fai uscire questa puzza pungente prima che mi si sciolgano gli occhi! Se non fossi mezza paralizzata qua a letto verrei a prenderti a calci con rincorsa e rinculo! Non mi far pentire di aver usato le mie ultime forze e averti tirato dentro lo Squarcio dall’uccello... non che ci fosse granché su cui fare presa, eh!
-- Prima di tutto era la cintura e poi per quella bravata da donna indipendente il cui nome non compare sul libro paga del patriarcato ti sei strappata tutte le suture e c’è mancato poco che tu crollassi sul portico della nostra ospite. Hai visto come ti guarda quando ti porta la cena? Secondo me crede che tu sia una strega col suo spelacchiato gatto demoniaco.
Tua mamma con la fila sulla scale è spelacchiata -- controbatte Nerloki, la cui placida flemma soporifera ci dice che le prossime curve temporali sono tutte sgombre da becchini solerti e tristi mietitori.
Finisco di pelare le cipolle e piazzo fuori dalla porta la pentola, poi mi metto a guardare fuori dalla finestra -- Becky, hai preso l’antibiotico? Lo sai che adesso ti devo fare un’iniezione di diazepam e mannitolo per l’ipertensione endocranica? Capisco che non ti piaccia dormire dieci ore di filato ma il valium è quanto di più vicino al coma farmacologico di cui hai bisogno.
Io lo so perché mi vuoi far dormire! Così mi puoi infilare uno di quei tubi nella -- il rintocco della pendola in corridoio rende misericordiosamente inudibile il termine -- e poi fare i tuoi comodi!
No, guarda -- le dico aspirando una fiala di diazepam con la siringa -- mi cadesse un occhio nello scarico del bidet se mai dovessi tradire la tua fiducia. Sono il Dihn di questo Ka-tet e saremo An-tet finché il Ves-ka Gan non sarà cantato nella sua interezza.
Mi tende il braccio per l’iniezione e mi pare di vedere nei suoi occhi la gemma di una lacrima. E senza che ci sia una sola cipolla nella stanza.
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Dio, che stanchezza -- penso mentre metto via porta-aghi e pinze -- non appena Bechdelia starà un po’ meglio dobbiamo andarcene da questa città perché è solo questione di tempo prima che gli sceriffi federali capiscano che non siamo fuggiti in Messico. E i Navajo sono insuperabili nel seguire le tracce e trovare chi le ha lasciate.
Guardo di nuovo fuori dalla finestra e sorrido -- Hey, Becky… questa la devi proprio vedere! Becky? -- mi volto verso di lei e mi rendo conto che il diazepam ha fatto effetto molto velocemente e che sta dormendo profondamente. Tocco col la punta dello stivale Nerloki acciambellato sul pavimento e trattenendo una risata gli chiedo -- Nerloki… cosa allevano di solito qua in Arizona?
-- Mmm… cavalli, mucche e pecore. Il 95% della filmografia di genere riguarda ladri di cavalli e famiglie di allevatori di mucche e di pecore che si sparano nel culo perché le pecore strappano le radici dell’erba e le mucche rimangono senza. Qualcuno dovrebbe dire ai registi che poi le pecore cagano i semi e quella ricresce più folta e robusta di prima.
-- Quindi nessuno alleva lama?
-- Direi che siamo troppo a Nord di 6000 chilometri. Non credo che qua ci starebbero bene.
-- In effetti quel lama ha un’aria strana. Sarà dieci minuti che se ne sta immobile in mezzo alla strada, guardandosi attorno con aria smarrita.
Lama? -- fa Nerloki tirandosi su e appoggiando le zampe sul davanzale per vedere -- Cosa ci fa un lama in Arizona e… chi diamine gli ha messo in testa un cappello rosso con un fiore giallo?
-- Non lo so davvero. Forse…
CAAAAAAARL!!!
Io e Nerloki ci raggeliamo istantaneamente.
Il lama ha appena urlato un nome con voce lamentosa.
-- Nerloki… mi è passata istantaneamente la voglia di ridere. È la cosa più grottesca che io abbia mai visto! Ti prego, controlla se...
CAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Lo sai che per Sherlock Holmes ‘grottesco’ era l’aggettivo perfetto per definire un caso che puntualmente si risolveva con omicidi e spargimenti di sangue? -- mi fa il canfuretto -- Comunque no, ho controllato sulle curve temporali e come dicono dalle tue parti calma piatta su tutti i fronti.
-- Mmm… ok. Ma, comunque, che ci fa in mezzo alla strada un lama con un cappello in test…
-- Scusa, Doc Kon, non mi sono spiegato bene. Calma piatta su tutti i fronti. Anche nel più gioioso e luminoso dei giorni che il demiurgo mette su questa bella terra è impossibile che le curve temporali siano così nette e precise. Non so se riesco a fartelo capire ma sembra che qualcuno le abbia raddrizzate, intrecciate fra loro e ridipinte con uno smalto nero indurente.
-- Ascolta, Nerloki… io non conglomero niente finché non è chiaro cosa stia succedendo, quindi pensa tu a dare un’occhiata in giro con la Panniscenza e trai una conclusione utile.
CAAAAAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Ok, va bene -- Dunque… a questo livello della Torre non è stata ancora sviluppata una tecnologia digitale di accesso a una conoscenza condivisa quindi devo lanciare una Sonda Inframundia e sperare che qualcuno abbocchi… OH MIO DIO NO! Che schifo! Rimettiti subito le mutande e apri un’altra scheda sul browser… quella chiudila ché poi entra tua mamma. Sì, dai, continui dopo… chi? Io? Sono solo la voce della tua coscienza che non vuole che tu diventi cieco. Bravo, perfetto. Improvvisamente ti è venuta una strana curiosità su un lama con un cappello -- Doc, di che colore è il cappello? -- su di un lama con un cappello rosso con un fiore sopra -- che fiore? Ah...una margherita gialla gigante -- che urla Carl in continuazione. Sì, che curiosità irrefrenabile! Scrivi ‘Lama+hat+carl’ sulla barra di ricerca e poi apri i primi risultati. Bravo, sì… c’è un video. Aprilo e… oh... OH! -- Doc, ascolta… non per farla più grossa di quanto sia ma chiudi la porta a chiave e lasciami guardare il secondo video.
Passa qualche minuto.
-- Cazzo, Doc… spingi l’armadio contro la porta! Ne guardo ancora uno per farmi un’idea più precisa ma -- CAZZO! NO!
-- Doc! Siamo nella merda! Siamo nella conglomerazione di qualcuno molto più potente di me e te messi assieme! E pure più malato ma così potente da fare una Treccia Quantica delle mie curve probabilistiche e dargli il continuum che decide lui!
CAAAAAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Sei lì dentro, Caaaaaarl? Ti prego, smetti di fare quelle cose con gli orfani! È una cosa malata costruire un drago di carne d’orfano!
Comincio a raccogliere freneticamente le nostre cose e a infilarle alla rinfusa dentro la borsa blu di Pochacco, quando mi rendo conto che Bechdelia è inerme nel letto e quindi una fuga è impossibile.
-- Nerloki, devo proteggere Bechdelia. Conosci i Guardiani del Crepuscolo? Ecco, devo usare il loro più potente e terribile incantesimo, il Sarcofago dei Tempi.
-- Ma sei impazzito, Doc?! A parte che questo ti resetterà il sistema limbico per un sacco di tempo e noi non sappiamo contro chi dobbiamo lottare ma poi lo sai bene che è praticamente impossibile aprire un Sarcofago dei Tempi. Così rischi di condannare Bechdelia a un’eternità di follia!
-- Correrò il rischio. Spostati!
-- No, Doc! Te ne pent...
KAMEN’ VREMENI OKUTYVAYET TEBYA SEYCHAS!
E un attimo dopo un’enorme teca di leucozaffiro sigilla il corpo esanime di Becky e piomba sul pavimento in legno con un tonfo che sembra il primo dei tanti rintocchi sull’Orologio dell’Apocalisse.
-- Adesso dobbiamo solo contare sulla nostra testa e le nostre gambe. Vieni, aiutami a spostare l’armadio e usciamo.
Apro la porta e guardo a destra e a sinistra ma la signora Millicent non deve avere acceso le lanterne e quindi il corridoio è immerso nell’oscurità. Anzi, no, vedo che è passata a ritirare la pentola di cipolle affettate e ne ha lasciata una piena di…
Rientro di scatto e -- Nerloki… chi, anzi, cosa diamine è Carl? Davanti alla porta c’è una pentola piena di mani mozzate e sgranocchiate. Credo che siamo diventati improvvisamente gli unici affittuari di questa pensione. Usciamo dalla finestra e caliamoci dalle tettoia!
Usciamo di fretta e ci facciamo scivolare sulle tegole in legno della veranda, pronti a saltare nella strada polverosa, quando, arrivati sul bordo…
CAAAAAAAAAAAAAAARL!!!
Il lama col cappello rosso sta guardando su verso di noi con aria di rimprovero.
-- Caaaaaarl! Questo… questo uccide le persone! Non si fa, Caaaarl!
Io mi paralizzo e guardo con la coda dell’occhio Nerloki. Poi una voce dietro di noi
-- NON HO LA MINIMA IDEA DI COSA TU STIA PARLANDO... UCCIDERE LE PERSONE È LA MIA COSA MENO PREFERITA!
-- Caaaaarl!
-- Ok… è stato un incidente di cui speravo non ti saresti accorto.
Mi volto lentamente verso la finestra che abbiamo lasciato aperta e affacciata ad essa c’è la signora Millicent con uno strano berretto verde in testa… no, non è esatto: c’è un lama con uno strano berretto verde in testa che indossa la faccia scuoiata della signora Millicent.
-- Caaaaarl! Com’è potuto succedere?!
-- Dammi tregua! Non sapevo che pugnalare 37 volte una persona la uccidesse!
-- Caaaaaarl! Questo invece UCCIDE le persone e non dovresti farlo!
-- Ok, ok… sono un idiota. Ti piace la mia nuova faccia?
-- CAAAAAARL!!!
Lentamente scivoliamo giù dalla tettoia e ci lanciamo in strada, mentre il dialogo surreale continua ad andare avanti.
-- Nerloki, cosa facciamo? Riesci a vedere qualcosa?
-- Te l’ho detto che siamo intrappolati in una Conglomerazione altrui! C’è un’unica Treccia Quantica e dobbiamo seguirla!
-- Questo mi ricorda una di quelle brutte partite di Dungeons&Dragons dove il master ti costringe a fare quello che dice lui e ti fa tirare mille manciate di dadi inutili finché non viene il risultato che gli garba! Dimmi perlomeno il nome di chi ha fatto tutto questo.
-- Ehm… Berlusconi.
-- Tu mi stai prendendo per il culo.
-- No, davvero… non so se è lo stesso Berlusconi che intendi tu ma quando interrogo il Continuum è quello il nome che viene fuori.
-- Questo è un brutto incubo. Dove porta la Treccia?
-- Lotto 2, nel 17º blocco… vicino all’Old Kindersley Corral.
-- Old… Old Kindersley Corral? O.K. CORRAL?! In che giorno siamo Nerloki?!
-- Lunedì. Lunedì 26 Ottobre 1881.
-- AAAHHHH!!! SIAMO NELLA MERDA!!
-- Non capisco… sembra che tu lo conosca il contesto di questa Conglomerazione. Sei sicuro che Berlusconi non l’abbia creata su tuo involontario suggerimento?
-- Ascolta, Nerloki… non credo che il Berlusconi di cui stiamo parlando -- sempre che sia quello -- abbia la minima idea cosa sia la sparatoria dell’O.K. Corral. Comunque è una brutta storia vera che per noi può finire bene o male in base a chi dovremmo interpretare. Se solo il Signor Spock fosse qua con noi...
-- Non ti seguo ma… non importa, perché siamo arrivati, Doc.
Siamo giunti al confine di una città che nella luce dell’imbrunire sembra popolato da spettri. I cespugli di salsola mi rotolano davanti, spinti da un vento che crea spiriti di mulinelli intorno ai recinti consumati del Corral.
-- Nerloki… vai dietro quella botte e preparati a shiftare in Altroquando qualora le cose si dovessero mettere male. Ricorda solo dove si trova il Sarcofago dei Tempi con Becky dentro e… so che farai la cosa giusta.
E poi mi accorgo che sono stati lì in piedi per tutto il tempo, in silenzio, aspettando che io fossi pronto.
Il Geteit Chemosit, Il Nero, Uughiio, La Lamante, Il Burattinaio Cadavere, Il Babau, L’Eviscerata, Il Verme Oculare, Lo Sghignazzatore Maledetto, il Blob, l’Uomo Fungo e… ma certo, capisco perché a quella maschera nera e inespressiva Nerloki abbia associato il nome di Berlusconi.
Un compendio animato di tutte le entità che in questi quarantasei anni hanno continuato a perseguitarmi da dietro lo specchio del sogno, opaco nel suo retro e così fragile nell’attesa della Risalita di uno dei suoi abitanti.
Non so nemmeno chi di loro mi abbia fatto più male o chi mi abbia succhiato via più voglia di vivere. La Lamante che con i suoi moncherini amputati cercava di entrare dalla porta del bagno? Il Geteit Chemosit che indossava il corpo di mia madre per venirmi a tagliare la faccia? Lo Sghignazzatore Maledetto, senza labbra e anima? Il Burattinaio Cadavere, che animava i corpi di… basta! Meglio non indulgere nei brutti ricordi, perché il loro Can-Char sta per parlare.
-- Io sono Uno da Dodici e sono Legione. Chiamami col nome che vuoi e che temi di più. Sono Berlusconi e Solitudine e il Coro di voci che nel silenzio ti urla di smettere di respirare e sperare. Mi hai chiamato nel momento del dubbio e della paura e io sono venuto a portarti il tanto desiderato annichilimento. Lì, per terra… raccoglile e illuditi che il loro canto di morte possa salvare la tua vita!
Per terra giace un cinturone di cuoio con due fondine e due sei-colpi dal calcio di noce.
-- Can-Char, Dio della Morte… non saprei che farmene di quelle.
-- Prendile e affronta il tuo destino!
-- Ho detto che non saprei che farmene.
-- PRENDILE E MUORI DA UOMO!
Mi chino, raccolgo il cinturone e me lo lego in vita. I calci di noce sono lisci, caldi al tatto e mi narrano di tonanti vittorie.
Davanti a me sento rumore di intestini che si srotolano, di denti troppo lunghi che stridono tra di loro, di dita mozzate che si contraggono e affannosi respiri liquidi.
Il Chan-Char sembra sorridere sotto la maschera e apre il suo impermeabile nero per mostrare il cinturone con le sue pistole. Gli altri undici non ne hanno certo bisogno.
Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e che mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove sarà andata la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.
E poi gli Undici si avventano e le sue dita scattano.
Ma questo non ha importanza perché le mie mani disvelano il Kata della Pistola, creando in un frammento d’attimo La Rosa dai Dodici Petali di Sangue che fa crollare a terra tutti i miei avversari, nell’Una Esplosione Sacra.
-- Io ho detto che non sapevo che farmene, non ho mai detto di non saperle usare.
-- E io non vi ho ucciso con la pistola ma col mio cuore di bambino spaventato che si è arrampicato tremante sulla china scoscesa della sua vita da adulto! Alzati Can-Char e concludi la tua morte!
-- Io… Figlio mio, aiutami. Toglimi la maschera. Lascia che ti guardi con i miei veri occhi.
-- No, è un trucco che non funziona. Non sei mio padre. DECIDITI A MORIRE!
MAI! -- e in un attimo si solleva in piedi, col foro di proiettile che sibila in mezzo alla gola e urlando ad artigli protratti fa un balzo nella mia direzione.
Ma io lo sapevo e me lo aspettavo. Anzi, ci speravo fortemente. L’agonia del Dio della Morte era la condizione indispensabile per riaverla indietro.
Estraggo fulmineamente la mano dalla tasca, gettando davanti a me un cubo di vetro, e non appena lui ci vola sopra
RASSHIRIT’ SEBYA!
Il cristallino sibilo esplosivo del Sarcofago dei Tempi che si riespande a dimensioni naturali mi sbalza all’indietro e qualcosa mi cade sopra, schiacciandomi. Non qualcosa, qualcuno. Una persona che non mi sarei mai perdonato se non fossi riuscito a riportare indietro.
Adesso… adesso siamo pari -- mi fa Becky in un orecchio, con voce flebile -- Anzi, se non fosse stato per me non… non saresti mai riuscito a metterlo lì dentro... al posto mio.
Mi tiro su da terra, tenendola in braccio, e osservo il Sarcofago di leucozaffiro, in cui ora è incastonato il mio cuore di tenebra, sprofondare lentamente nelle viscere della terra, per tornare a dannarsi eternamente nel regno a cui appartiene.
Doc, Becky! -- ci urla Nerloki venendoci incontro -- Togliamoci subito di qua e nascondiamoci nel fienile accanto alla stazione delle diligenze. Con una buona dose di sonno domani dovresti riuscire a creare un normalissimo dollaro d’oro, quello con la dea Libertà coronata, che oltre a pagarci un passaggio spero potrà portarci la fortuna che ci meritiamo!
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« Secondo te è nato prima l’uovo o l’ippogrifo? »
« Mi piacerebbe averne uno tutto mio, volare con lui quando mi va.. » un po’ vago, tornando a guardare gli ippogrifi che, altezzosi come sono, davvero non li stanno molto considerando, ma del resto nemmeno i due quintini che si limitano a guardarli. « Hai già pensato che fare, per quella cosa nostra? » che pare ‘na mafia detta così e non lo è affatto.
«sinceramente ti direi l’uovo, ma è una cosa così filosofia che probabilmente ho sbagliato» ammette sorridendo mentre guarda dentro il recinto. Lancia però ogni tanto occhiate verso Jedediah ogni tanto per poi tornare sempre alle creature «credo che piacerebbe a tutti, ma è comunque triste vederli qui» ma d’altronde dove altro potrebbe vederli ormai.  «volevo provare a fare una ricerca approfondita su magari un paio di queste creature e fare prima un teorico… portare il teorico alla presentazione e chiedere uno studio sul campo» spiega lei «ma se invece la vuoi buttare sullo studio del territorio, la cosa è più amplia credo che andando per si e per no le creature possibili in quel posto superino la trentina» sospira «e alcune non sono proprio amichevoli a primo acchito» perché per lei lo sono sempre «dipende come vuoi muoverti» a lui la scelta.
« Lasci scegliere a me? » non è tanto sorpreso, ma chiede solo una conferma, una sicurezza. Di solito è lui quello che, da bravo ometto galante ed educato, lascia che siano le ragazze a scegliere, mentre lei è stata così carina e gentile da lasciargli carta bianca. Ma per questo chiede. « A me piacerebbe più studiarli in territorio. » ammette, stringendosi nelle spalle con uno sbuffo d’aria dal naso. « Niente che ci debba far morire, sia chiaro. » Rimane in silenzio per un bel po’, spostando lo sguardo da lei e tornando a guardare la fierezza degli ippogrifi che si muovono lenti ed indisturbati. « Se tu non fossi una metamorphomagus, ameresti comunque così tanto le creature? » le chiede se, in qualche modo, la sua natura abbia condizionato le cose. 
«credi che ci sia una connessione» sulla sua metamorfomagia e il suo amore per gli animali. Sospira per un attimo guardando gli ippogrifi «non ci avevo mai pensato… sai?» a questo genere di connessioni «probabilmente sarei tutta un altra persona… nel senso questo è parte di me» si indica tutta «quindi penso che non so cosa sarei senza una parte fondamentale di me» perchè per lei lo è.
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Lo guarda «com’è crescere normali?» chiede lei con un sorriso curioso, il capo voltato completamente verso di lui «chicche che mi sono persa?» domanda cercando di scoprire qualcosa da lui. Il momento dopo gioca con le iridi mutandole dopo uno sfarffalamento dovuto alla mutazione e il solito fastidio leggero. Lo guarda sorridere e sorride lei stessa «hai tipo un sorriso un sacco contagioso, te lo hanno mai detto»
« Io sono natobabbano, la mia normalità è ancora più diversa da quella di un mago semplice. » che non ha la stessa sua natura da metamorfa. « Per me le mie cose normali erano andare ad Hurling, ballare per le feste in irlanda, ne fanno tante.. e stare coi miei amici quando uscivo da scuola, per dire. Ogni domenica giocavo sempre a scacchi col mio papà, ho provato a fargli vedere quegli dei maghi, ma non gli piacciono tanto.. » regole diverse, cose diverse, ma tanto vale. La sua vita era davvero una vita così. Fatta nel lusso, perché sguazza davvero in una casa grande con tutto quello che voleva e che aveva, ma non aveva la magia e ora si rende conto di non aver avuto da tanto o da sempre un bene ancor più prezioso del galeone. « Ah sì? » ma pensa e si corregge, per fare il vanesio, il finto vanesio « Sì, beh, lo so, grazie! » ecco, perché non poteva non dirlo ma aggiunge subito, mordendosi il labbro inferiore « Di solito sono più le fossette quelle che la gente guarda. » 
«okay penso che questo ti piacerà, ma non… beh non dare di matto…» Alysha lo ha quasi fatto. Cerca di rivivere nella sua mente la voce di Jedediah, con precisione la loro conversazione. L’estensione massima e minima, i toni bassi e come il suo accento ne segna la fonetica. Si schiarisce la voce e si massaggia la gola con la mano «sei un disastro Bekha!» va a dire in una copia magari non perfettissima, ma ben fatta della voce del serpeverde «devi smetterla di salvare cose, pensa a te» cerca di ripetere frasi e parole che ha sentito per quanto non è a pappagallo perchè non se le ricorda. Deglutisce e sospira mentre gli occhi, le palpebre sfarfallano e tornando normali nella forma e nel colore. La voce è una novità che prende ancora troppa concentrazione. Si schiarisce la gola massaggiandosela mentre e lo spia per vedere come l’ha presa.
Si fa invece curioso, tanto curioso, alle sue parole ed annuisce con le labbra schiuse in un sorrisetto furbo che attende la magia. Sempre la sua, di magia. La voce che esce fuori dalla bocca di Rebekha è molto simile a quella di Jedediah e lui aumenta quel sorriso e la bocca che si apre di più « Woohoo! Merlino santissimo! Ma.. È FANTASTICO! » non sta dando di matto ma.. ma gli piace. Le mani unite a fare uno schiocco, gli occhi sorridenti, ma anche sorpresi « No, cioè.. woaahoo, è tipo incredibile, sul serio, te lo giuro. Cioè, tu.. tu… sei fantastica! »
«tipo io e Killian mutiamo entrambi per forti emozioni… per quanto lui sia molto più controllato di me eh» spiega lei affranta «ma i colori non sono uguali… e l’incidente al club di pozioni, la gente che mutava colore alla pelle… anche loro tutti colori diversi… i colori sono molto personali…» spiega lei come a dargli le basi per leggerla, che poi perchè non lo sa mica.
« Due Metamorphomagus sono troppi, insieme. E poi ho più interesse a conoscere te, e tutti i colori che potresti avere ma non dirmeli! Cioè.. non dirmi quale colore vuol dire cosa. Sono curioso, è vero, ma sono anche un buon osservatore e mi piace scoprire la verità da solo. » vero, tira su col naso e si umetta le labbra con una leggera passata della lingua sopra ed un sospiro che si stende dalle narici e che butta fuori dalla bocca schiusa.
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eleanordahlia · 3 years
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     👑     —    𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚 & 𝐜𝐚𝐦𝐢𝐥𝐥𝐞 𝐣𝐨𝐬𝐞𝐟𝐢𝐧𝐞      ❪    ↷↷     mini role ❫      raven's           cafè      07.04.2021  —  #ravenfirerpg
Il discorso che aveva intrapreso con l'amico di sempre Mike, aveva fatto sì che nascesse una nuova consapevolezza nell'animo della newyorchese che, in quella giornata così primaverile, sembrava voler rivivere sensazioni del passato. Aveva ancora molto da imparare, e nonostante gli allenamenti con Ector, sapeva che il lavoro maggiore era lei stessa a doverlo fare. Avrebbe dovuto fare sacrifici, impegnarsi, ma in ballo vi era qualcosa di molto di più di una semplice vittoria. Seduta in una delle sue caffetterie preferite a sorseggiare un latte macchiato e godendosi quegli sprazzi di sole primaverile, Eleanor vide la bionda avvicinarsi. Le sorrise in modo naturale, riconoscendo in lei una delle poche persone con cui sentiva quella sintonia che spesso non sapeva decifrare.
« Allora non sei completamente sparita dalla circolazione. Dai, accomodati! »
Camille Josefine Kebbel
Camille si trovava al Raven's Café, aveva deciso di prendere un tea freddo e poi del cibo da portare a casa, l'avrebbe diviso con Andrea e le sorelle avrebbero cenato insieme per poi guardare qualche programma alla tv o una serie su netflix. Finalmente l'aria iniziava a diventare più calda, la primavera rendeva Ravenfire ancora più magica e la rilassava. Camille stava bene in quel periodo, era davvero felice. A breve avrebbe ripreso gli allenamenti con Jasmine, il lavoro le dava sempre soddisfazioni, era sempre presente per gli amici ed aveva una relazione stabile, insomma se guardava la sua vita a due anni fa non avrebbe immaginato che dopo ciò che le era successo sarebbe riuscita a rialzarsi. Era immersa in quei pensieri quando sentì una voce al suo fianco e in un tavolino vide la Janssen. Eleanor le era sempre piaciuta, sentiva una connessione ed entrambe sapevano il perché, non c'era bisogno di dirlo a voce alta, condividevano lo stesso destino. «Ehi, che bello vederti. Beh si, sono viva. Il lavoro al giornale mi ha sommersa. Come stai?» Mormorò mentre posava il tea freddo al limone sul tavolino della bionda e prendeva posto difronte a lei.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Aveva sempre intravisto nella bionda un certo potenziale, e non sapeva definire il motivo di tale pensiero, ma sapeva che presto o tardi le sue supposizioni avrebbero trovato conferma. Non erano nemmeno necessarie le parole per confermare che quel legame e quella connessione che le giovani sentivano non riguardava nulla di normale, ma era ormai un dato di fatto. Attese che Camille prese posto di fronte a lei, il suo tea freddo in mano prima di portare alle labbra lei stessa il proprio latte macchiato. « Hai decisamente troppi impegni, lo sai? » Commentò lentamente ma senza abbandonare il sorriso sornione che aleggiava sulle di lei labbra. Era da sempre stata considerata una persona accattivante, il suo modo di fare spesso tradiva le sue origini altolocate, i suoi vestiti gridavano soldi in ogni lingua conosciuta, ma Eleanor sapeva che voleva essere una persona decisamente diversa da quella abitava a New York, e in parte lo era perfino. « Direi che sto bene... Tutto sommato. Sto cercando un argomento per la tesi, mancano ormai pochi esami e mi sembra di vedere la luce in fondo al tunnel. Tu invece, sbaglio o dai social mi sono persa qualcosa? »
Camille Josefine Kebbel
«Ecco cosa succede quando lavori per il giornale cittadino e devi occuparti di un intero reparto ovvero quello della moda. Essere redattrice mia cara non è per niente facile, unire più teste con mille idee mi fa impazzire, però amo il mio lavoro e non lo cambierei per nulla al mondo.» Mormorò quando prese posto di fronte alla giovane, Camille amava il suo lavoro, lo faceva con amore immenso per questo erano rari i momenti dove perdeva le staffe con coloro che lavoravano insieme a lei, cercava sempre di trovare soluzioni insieme, erano un team molto unito. Sorseggiò la bevanda fredda e annuì. «Tra cosa sei indecisa esattamente? Magari potrei darti una mano nella scelta. Nei social? Ti riferisci per caso alle foto con il mio ragazzo?» Anche perché non sapeva a cosa potesse riferirsi, la bionda usava si spesso i social ma più per motivare gli altri ad andare avanti con la vita ed a non arrendersi mai. La vita era preziosa ed andava vissuta sempre.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Era un sorriso quello che era nato sulle labbra della newyorchese che osservava con attenzione i movimenti sempre eleganti di Camille. Avevano iniziato quella conoscenza tempo prima, quando le cose beh, erano decisamente diverse e seppur avessero opinioni diverse riguardo taluni argomenti, Eleanor sapeva che poteva contare su di lei, esattamente come la veggente poteva dare con la Janssen. Stringendosi nelle spalle poi, Eleanor si ritrovò ad annuire alle parole della bionda. Le sue parole non erano affatto un'accusa, e conosceva l'impegno di Camille.
« Scommetto che un aiuto sarebbe perfino chiedere troppo. »
Replicò con un sorriso comprensivo. Lei stessa aveva difficoltà a cercare aiuto anche nelle cose più semplici, e in parte il loro carattere era simile.
« E' proprio questo il punto, sono alla deriva. Non saprei nemmeno da dove cominciare, nonostante i disturbi post traumatici siano l'argomento che vedo per la maggiore... Tu hai consigli? E sì, mi riferisco al tuo fidanzamento, direi che le congratulazioni sono d'obbligo! »
Camille Josefine Kebbel
«Beh i disturbi post traumatici non sono un brutto argomento, cosa ti frena?» Aveva un vago sentore di ciò che potesse frenare Eleanor, ovvero che ella potesse soffrirne, la stessa Camille continuava a soffrirne, aveva giornate migliori di altre ma certe volte alcuni ricordi arrivavano più potenti degli altri e le rendevano le giornate un inferno, difficili da affrontare. Erano quelli i giorni dove Camille aveva più difficoltà ad alzarsi dal letto, dove non aveva neanche voglia di aprire gli occhi eppure lo faceva, pian piano andava avanti giorno dopo giorno. «Penso che tu debba scegliere un argomento nel quale sai di poter dare il massimo, nel quale ti senti a tuo agio nel trattarlo, nel fare ricerche. Se i disturbi post traumatici in qualche modo non ti fanno sentire così cambia e scegli altro, nessuno ti verrà mai a dire qualcosa.» La Kebbel abbozzò un sorriso, la tesi era un qualcosa che non andava sottovalutata e sperava che la Janssen potesse trovare l'argomento giusto. «Grazie, senza di lui non sarei riuscita ad affrontare alcuni momenti no. Tu, qualche fiamma all'orizzonte?»
Eleanor Dahlia H. Janssen
Ogni volta che si trovava in compagnia della Kebbel vi erano sempre argomenti che non potevano o comunque non riuscivano ad affrontare. Sia per il timore dell'altra, sia per una sensazione costante che entrambe avvertivano, si basavano sulle sensazioni, quelle emozioni che però rimanevano inespresse a parole. Si limitò così a fare un piccolo cenno del capo in segno di assenso prima di inspirare sonoramente. Ciò che era avvenuto anni prima aveva cambiato radicalmente Eleanor, e lo stesso cambiamento stava avvenendo in Camille, tuttavia entrambe avevano reagito in modo del tutto diverso. « Non lo so, dovrei provare a parlare anche con qualche professore. » Commentò con un leggero cipiglio sulla fronte che s'era formato nel frattempo. Avrebbe passato in rassegna tutti gli argomenti papabili e prima o poi avrebbe trovato una soluzione. Scosse poi il capo a quella domanda, un leggero risolino si formò sulle labbra scarlatte prima di risponderle. « Nessuno all'orizzonte, e ti dirò, forse va bene anche così, devo essere io a bastare a me stessa, e sta diventando il mio mantra. » Le strizzò l'occhiolino prima di piegare il collo da una parte e dall'altra come a farlo scricchiolare. Sentiva la tensione sedimentarsi sulle spalle, ma sapeva che presto o tardi tutto sarebbe andato meglio, o così sperava.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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Lieto Fine (George Weasley x Lettore)
Avvertimenti: menzione di stupro (niente di descrittivo), alcol, è un po’ triste
Richiesta: lol no
Parole: 2238 (sorry è lunghissimo)
A/n: basata su una storia vera (non mia, ma di una persona che conosco e a cui voglio molto bene), leggermente ispirata da “Bad Reputation” di Shawn Mendes. Spero vi piaccia.
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GIF NOT MINE
Il Ballo del Ceppo era dietro l’angolo e, ovviamente, tutta la scuola era al settimo cielo. Ogni giorno almeno una ventina di ragazze ricevevano uno sdolcinato invito da parte di altrettanti ragazzi e (T/n) non ce la faceva più. Sì, per la prima settimana era stato tutto molto romantico: le coppiette che giravano per la scuola a braccetto e il penetrante odore di fiori le facevano venire il buon umore. Era sicura che prima o poi sarebbe arrivato anche il suo momento, che prima o poi George Weasley l’avrebbe fermata in un corridoio e l’avrebbe invitata al ballo. Quando lo vedeva in classe non poteva fare a meno di ripensare a loro due e a come la loro relazione si fosse interrotta bruscamente. Purtroppo l’amarezza non la fermava dal sognare il momento in cui l’avrebbe guardata con i suoi meravigliosi occhi scuri e le avrebbe chiesto di accompagnarlo al ballo. Ovviamente lei avrebbe risposto di sì, quasi con le lacrime agli occhi. Almeno una decina di ragazzi l’avevano invitata ad andare con loro, ma lei li aveva declinati tutti:  ci sarebbe andata con George, e con George soltanto.
Non sapeva esattamente perché ne fosse così convinta, ma ogni giorno che passava la sua sicurezza si tramutava in speranza, e da speranza diventava muta rassegnazione. Era quella la cosa che la faceva soffrire di più: era così convinta che l’avrebbe invitata che le faceva male il cuore vedere quanto la festa si stesse avvicinando e come lei fosse rimasta ancora senza accompagnatore.
-Hey (T/n), tutto bene?- chiese Cho Chang, la sua migliore amica. (T/n) sospirò sconsolata. No, non andava tutto bene. Come poteva andare tutto bene quando la persona che le aveva spezzato il cuore, ma che ancora amava, non la salutava nemmeno per i corridoi? Come poteva andare tutto bene se sarebbe finita per andare al ballo da sola?
-Senti, posso dire a Cedric che ci vado con te, da amiche. Non è un problema-. La ragazza le strinse il braccio con dolcezza. (T/n) sbuffò.
-No, Cho, non voglio rendere infelice anche te. Ci vado da sola, non ti preoccupare.
-Almeno fai colazione-, Cho le versò un bicchiere di succo di pera. –Non devi morire di fame solo per un ballo, dai.
(T/n) sorseggiò il succo dando un’occhiata al tavolo di Grifondoro. Eccolo lì, vicino al suo famosissimo gemello. (T/n) osservò come la luce naturale del sole facesse brillare i suoi occhi e come i suoi denti bianchissimi scintillassero quando rideva.
Dio, era così perfetto! E lei era così stupida per aver pensato anche solo per un secondo che l’avrebbe invitata al ballo. Si disse che doveva aver letto troppe favole perché era certa che il lieto fine  semplicemente non esistesse. Non poteva aspettarsi che il ragazzo con cui aveva condiviso così tanto, e per cui aveva versato così tante lacrime, all’improvviso si pentisse di aver rotto con lei e la invitasse al ballo in ginocchio. Si sentiva così stupida.
-Oh (T/n), è lui che ci perde, okay? Tu sei fantastica e se lui non lo ha capito… beh, è proprio uno scemo- la rassicurò Cho che, evidentemente, aveva seguito il suo sguardo e aveva capito che cosa la sua amica stesse pensando. (T/n) rise.
-Certo, come no. Le solite cose che si dicono ad un’amica con il cuore spezzato- rispose alzando gli occhi al cielo.  Cho la guardò per qualche istante, incerta se sputare il rospo o no, poi le pizzicò il braccio.
-Ahia! E questo per cos’era?!- esclamò (T/n) seccata, ma venne immediatamente zittita dall’amica.
-Lo vedi quel ragazzo lì infondo? Al tavolo di Tassorosso?- bisbigliò indicando il tavolo di fronte a loro.
-Avrò bisogno che tu sia più precisa, ce ne sono a decine, sai com’è…- ribatté (T/n) sarcastica.
-Quello con i capelli castani che sta parlando con Ernie.
(T/n) annuì: erano stati compagni di banco a pozioni per tutto l’anno passato.
-Ho sentito che ti vuole invitare.
-Ha-ha, molto divertente, ora possiamo parlare di cose serie?-. Cho sospirò.
-Sono seria, okay? Me l’ha detto Marietta, è tipo un suo lontano cugino.
Il sorriso abbandonò il viso (T/n). Non le importava granché di andare con Steve Cooper, ma pensò che sarebbe stato meglio che non andarci affatto, per cui, quando il giorno dopo Steve si presentò davanti all’aula di Transfigurazione con una rosa in mano chiedendole di andare al ballo insieme, accettò.
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 Il giorno del Ballo del Ceppo arrivò in fretta. (T/n) aveva sentito che George aveva invitato Alicia Spinnet e la cosa l’aveva fatta stare tanto male che aveva quasi pensato di dare buca a Steve. Ma, dopotutto, perché negarsi una serata di svago? Certo, sarebbe stata dura, ma non avrebbe mollato.
-Non lo so Cho… secondo te come li faccio i capelli? Li raccolgo o li lascio giù?- chiese all’amica guardandosi allo specchio. Indossava un lungo abito rosa pallido con una cintura di brillanti e il busto ricamato, ai piedi portava dei sandali argentati con un po’ di tacco e alle orecchie aveva delle perle molto discrete, ma bellissime, che erano appartenute a sua nonna. I capelli le ricadevano in morbide onde sulle spalle.
-Wow (T/n), sei bellissima.- disse Cho uscendo dal bagno. (T/n) arrossì un po’.
-Decisamente giù i capelli comunque.- aggiunse avvicinandosi all’amica. (T/n) si girò e lasciò che Cho le mettesse un filo di rossetto.  
-Pronta?
-Ponta.
Quando (T/n) e Cho uscirono dalla sala comune di Corvonero trovarono Cedric e Steve ad aspettarle con un bouquet di fiori a testa.
(T/n) accettò i fiori di Steve con un sorriso sommesso, ma quando si accorse che si trattava di camelie il cuore le saltò un battito: George gliele regalava in continuazione, erano le sue preferite. Steve le porse il braccio timidamente, strappandola dai suoi dolorosi ricordi, e (T/n) lo prese sospirando: sarebbe stata una lunga serata.
(T/n) e Steve ballarono a lungo. Lui era molto dolce e (T/n) si sentiva un mostro ad ingannarlo così. Non voleva creargli false speranze, ma avere qualcuno al proprio fianco che desiderava soltanto che lei stesse bene la distraeva dal cercare George con lo sguardo. Non che non lo avesse fatto, anzi, aveva lasciato che i suoi occhi osservassero attentamente la Sala Grande diverse volte. A giudicare dalla vicinanza dei loro corpi George e Alicia si stavano decisamente divertendo. (T/n) sentì qualcosa spezzarsi dentro di lei per l’ennesima volta.
-Tutto bene (T/n)?- la voce apprensiva di Steve la strappò ai suoi pensieri. (T/n) sorrise: quel ragazzo le scioglieva il cuore con la sua dolcezza, ma non era lui.
-Sì, tutto okay. Stavo solo… pensando.
Gli occhi scuri del ragazzo la scrutarono per qualche istante.
-Ti stai annoiando? Vuoi che ti vada a prendere qualcosa da bere?
(T/n) scosse la testa e si avvicinò di un passo a Steve. Sentiva le sue mani sui fianchi leggere come piume, ma non era lo stesso. Il tocco di George era una boccata d’aria fresca, un alito di vento che scompigliava i capelli, un brivido che saliva e scendeva per la schiena, era semplicemente diverso.
Steve doveva aver mal interpretato il suo gesto, perché inclinò la testa e si sporse per baciarla. Nel panico più totale (T/n) voltò il viso e le labbra di Steve finirono per sfiorarle la guancia.
-Scusa Steve, sul serio…- cominciò con voce tremante allontanando il viso dal suo.
-Solo che io non provo lo stesso per te.
Il ragazzo sembrò cascare dalle nuvole e un intenso rossore gli tinse le guance.
-Io… non volevo, m-mi spiace- tentò di scusarsi grattandosi la testa imbarazzato. (T/n) scosse la testa.
-No, dispiace a me di averti illuso. Mi dispiace sul serio.- disse baciandolo velocemente sulla guancia e correndo fuori dalla Sala Grande mentre un conato di vomito la bruciava la gola.
 La Luna dista dalla Terra 384.400 km, ha un raggio di 1737 km e il suo periodo di rivoluzione dura ventisette giorni; la Bastiglia è stata presa nel 1789; un piede corrisponde esattamente a 30,48 cm; l’impero romano d’occidente è caduto nel 476; Grindelwald è stato sconfitto da Silente nel 1945.
I numeri calmavano (T/n). In momenti del genere, quando le emozioni diventavano troppe e si ammassavano nella sua testa tutte assieme, (T/n) si ripeteva tutte le date, distanze, lunghezze che riuscisse a ricordare. E ce n’erano tante.
Era seduta in riva al Lago Nero, i sandali slacciati buttati poco lontano e il viso solcato dalle lacrime. Come aveva potuto essere così ridicola? Così ingenua? Era ovvio che George non avrebbe fatto alcuna fatica a trovare un’altra, mentre lei… Lei non ce la poteva fare. Dopo la loro rottura (T/n) non era nemmeno stata in grado di aprire la bocca per diverse settimane.
-Non respiro! Non riesco a… a respirare, George! Mi sento soffocare, non ce la faccio più!
Il mascara di (T/n) si era sciolto a causa delle sue lacrime, le stesse lacrime che stavano bagnando il maglione di George.
-Ti prego, dimmi che cosa posso fare per aiutarti- mormorò lui carezzandole i capelli. Sentiva il cuore di (T/n) battere all’impazzata contro il suo petto e il suo respiro affannoso nell’orecchio.
(T/n) non sapeva come dirglielo, non sapeva come dirgli che aveva bevuto troppo ad una festa di Serpeverde e che pensava di essere stata stuprata da un ragazzo che non conosceva. Non lo sapeva, non riusciva a ricordare, e il cuore le si stava lentamente lacerando. Era così terrorizzata di aver perso la verginità con uno sconosciuto e per di più contro la sua volontà, che le sembrava impossibile respirare. Come poteva ammettere di aver tradito la fiducia della persona che amava? Come poteva ancora guardarlo negli occhi dopo quello che aveva fatto?  
-(T/n), amore, ti prego, parlami.
-Voglio una pausa, George- riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro. (T/n) sentì il corpo del ragazzo irrigidirsi contro il suo.
-Cosa?
-Mi hai sentito. Ti prego, ti prego vattene.
(T/n) sentì la porta sbattere e il suo cuore spezzarsi nello stesso istante.
  Il sapore amaro che le invadeva la bocca non era una novità: ogni volta che ripensava a quei terribili momenti la bile le ribolliva nello stomaco. Tempo dopo aveva scoperto che alla festa non era successo nulla e che tutti le avevano fatto credere di aver fatto qualcosa, quando invece non era vero.
Certo, aveva voluto dirlo a George, spiegargli perché aveva rotto con lui, raccontargli la verità una volta per tutte, ma lui sembrava non volerne sapere e (T/n) non poteva biasimarlo. Sicuramente qualcuno aveva fatto girare la voce e l’intera scuola era venuta a sapere quello che era accaduto.
(T/n) sentì dei passi avvicinarsi e vide una sagoma scura sedersi accanto a lei.
-Steve, senti, io…- cominciò girandosi verso la persona al suo fianco, ma, quando vide di chi si trattava, la frase le morì in bocca.
-Chi è Steve?- chiese George confuso.
-N-nessuno.- rispose (T/n) con la gola secca e lo stomaco stretto in una morsa di ghiaccio. George le sorrise mesto.
-Ti ho vista correre via, stai bene?
(T/n) rise tra sé e sé. No, non stava bene.
-Adesso t’importa?- ribatté guardandolo negli occhi. Solo in quel momento capì quanto le era mancato poterlo divorare con lo sguardo, senza doversi nascondere.
George cambiò espressione in un millisecondo.
-Mi è sempre importato, (T/n).
(T/n) sentì le lacrime bruciarle la gola, ma fece il possibile per trattenerle. Gli doveva una spiegazione.
-So che ci sono state delle orrende voci su di me in giro, ma voglio che tu sappia che non sono vere. Io non sono… andata a letto con nessuno quella sera.
George prese le gelide mani di (T/n) tra le sue, bollenti in confronto. –Lo so, io…
-Fammi finire.- lo interruppe (T/n) senza più preoccuparsi della propria voce rotta dal pianto. –Io avevo bevuto troppo, è vero. Ma quando avevano cominciato a dire che ero stata con Zachary Quebert, una ragazza è venuta da me e mi ha detto che era stata vicino a me tutta la serata e si ricordava perfettamente che non avevo nemmeno sfiorato quel tipo. Ma io ho avuto paura lo stesso. Non sapevo come dirtelo e ormai avevamo chiuso e… mi dispiace, George.
Lui la guardò negli occhi per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare e (T/n) poté vedere come anche lui stesse piangendo. George l’abbracciò forte, lasciando che le sue lacrime gli bagnassero la camicia. Passò una mano tra quei capelli così familiari e le baciò la fronte.
-Non pensare nemmeno per un attimo che sia colpa tua, perché non lo è.- le mormorò all’orecchio piangendo con lei.
-Non ho mai smesso di amarti, per quello che conta. Ci ho provato sul serio, ho provato con tutto me stesso a lasciarti andare, ma non ce l’ho mai fatta. Ti amo (T/n), ti amo da morire.
(T/n) si allontanò giusto per poterlo guardare negli occhi e immaginò che cosa avrebbe visto qualcuno che si fosse avvicinato a loro in quello momento: due ragazzi che piangevano stretti l’uno all’altra, seduti sulla ghiacciata riva di un lago. Se non fosse stato così straziante, sarebbe potuto sembrare quasi romantico.
-Anche io ti amo, George.
E così, nell’aria gelida di dicembre, dopo mesi interminabili e strazianti, le loro labbra s’incontrarono di nuovo. Fu un bacio disperato, un bacio che sapeva di malinconia, di lacrime, di paura. Quelli che seguirono, invece, sapevano di nuovi inizi, di speranze, di un passato condiviso.
Sì, il lieto fine non esisteva, (T/n) ne era certa, ma ciò non voleva dire che alcune storie non potessero avere un meraviglioso inizio.
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isabelamethyst · 4 years
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#Rᴀᴠᴇɴꜰɪʀᴇʀᴘɢ Rᴏʟᴇ Mɪʟʟɪᴇ Hᴏᴍʙʀɪᴅɢᴇ & Isabel Amethyst M. Hughes Aɢᴇɴᴢɪᴀ Sʜᴀᴅᴏᴡ 23ʀᴅ ᴏꜰ Oᴄᴛ.
*Il percorso sta iniziando a prendere forma, insieme agli indizi. A volte piccoli granelli di sabbia - a volte, invece, enormi macigni. Fino a poco tempo fa, Millie non ha prestato attenzione al fatto che siano state molte le sparizioni in concomitanza con quella di Bruce. E' stato qualcosa cui non ha prestato attenzione. Ha pensato solamente che molta gente si sia persa, nella foresta, magari confusa dall'avvento di quella strana nebbia. E durante gli avvenimenti in se'... La Hombridge era troppo occupata a concentrarsi sulla sparizione del proprio marito e la necessita' di ritrovarlo sano e salvo, per pensare ad altro. Poi, quando tutto ha iniziato a dissiparsi, tra ricomparse e tensione svanita... Millie semplicemente non ci ha piu' posto attenzione. Sino a qualche mese prima. Sino alla sua scoperta allarmante che Bruce non fosse piu' un umano - ma un Dood. Che abbia evoluto i propri poteri a trentatre anni naturalmente e' qualcosa che la mente della donna ha escluso all'istante ed ha dunque iniziato cosi' una crociata contro invisibili mulini a vento. Contro qualcosa che nemmeno lei sa definire. Alla ricerca di risposte a domande che non sa formulare. Eppure, eccoli spuntare come funghi... Tutti gli indizi, pronti per lei e chiunque abbia un minimo d'interesse nel cercarli e fare due piu' due. Come i nomi delle persone scomparse. Facili, facilissimi da trovare. Alcuni li ha ottenuti da fonti personali, altri, dagli archivi della polizia ed i resoconti delle persone scomparse e riportate /proprio/ poco dopo quell'avvenimento particolare della nebbia che ha avvolto Ravenfire. Per uno specifico caso, Millie non ha nemmeno dovuto cercare cosi' tanto a destra e a manca. La famiglia Hughes si e' rivolta proprio a lei, quando la figlia e' scomparsa, alla ricerca di risposte. E quando Isabel e' tornata di propria spontanea volonta', Millie ha chiuso il caso senza farsi troppe domande... Ma ora, ora e' diverso. E cio' che si e' lasciata scivolare dalle mani quasi due anni prima non avrebbe dimenticato, ora. Dunque si e' subito adoperata per mettersi in contatto con gli Hughes, contenta della collaborazione di Isobel. Quando la giovane fa la sua entrata nel suo ufficio, Millie si alza in piedi, accogliendola con un sorriso dolce e caloroso. *
Salve Isobel, e' un piacere conoscerti di persona. Posso offrirti qualcosa? Acqua, un the caldo? Magari un caffe'?
*Le offre mentre le indica con la mano, in un gesto lento ed educato, la poltroncina su cui l'altra si sarebbe potuta sedere. *
Isabel Amethyst M. Hughes
Diversi erano i pensieri che animavano l'animo della newyorchese che più di una volta s'era chiesta perché tutto accadesse. Rifletteva ancora e ancora, credeva che tutto in qualche modo dovesse accadere per una ragione eppure, ciò che era successo due anni prima aveva cambiato radicalmente la propria vita. Senso di stordimento fu la prima reazione che s'abbatté contro di lei, mista a una follia che la portò a credersi perfino pazza ma che tutto sommato dentro di sé sapeva non essere così. Consapevolezza fu ciò che dovette affrontare, un'accettazione che non era semplice e una convinzione che tutto era stato scritto. Ma non era nemmeno questo a turbare Isabel, piuttosto quel rapporto così controverso che legava colei che le aveva dato la vita appena ventun'anni prima. Una donna forte, caparbia, determinata, ma che non sempre brillava per il senso materno, doveva ammetterlo. Una donna che ora, a distanza di anni, ancora non conosceva la verità, e chissà se mai avrebbe potuto scoprirla. Ormai erano giorni che aveva fatto ritorno alla proprima dimora dopo aver trascorso settimane e mesi presso la residenza dei Price, ma erano state le parole di un messaggio lasciato in segreteria a farle aggrottare la fronta e chiedersi se non avesse dovuto partecipare a quell'incontro. Non era strano che Hermione Hughes si fosse rivolta ad un'investigratrice privata al tempo della sua scoparsa, per non parlare dopo l'evasione dalla prigionia del Consiglio, ma ora che si trovava tra quelle quattro mura si chiese se non fosse nient'altro che una trappola. Isabel si guardò attorno con fare circospetto prima di annuire verso la giovane dai capelli ramati.
« Tu devi essere l'investigatrice privata... Millie, giusto? »
Domandò evitando di tendere la mano. Poteva essere un gesto scortese il suo, ma se c'era una cosa che aveva imparato da quando abitava a Ravenfire era non dare nulla per scontato.
« Ti credevo, non so... Più matura. E un caffè, sarebbe perfetto, grazie. »
Millie Veronica Hombridge
*Millie prova grandissimo orgoglio nella propria professione, fama e risultati. Generalmente, risolve ogni caso che le viene assegnato e molto raramente e a forza, Millie è in grado di lasciar andare un caso. E sicuramente non avrebbe lasciato andare quella pista su cui si trova ora. * Si, sono proprio io. *Di nuovo, Millie annuisce e, piegando il capo, mostra un lieve sorriso, a metà tra il pacato e l'orgoglioso. * Sono matura abbastanza, suppongo. L'età raramente c'entra. Faccio questo mestiere da sedici anni. *Le spiega, ancora una volta, l'orgoglio della donna nella propria carriera è molto papabile nelle sue parole. Annuendo, poi, ella si muove a recuperare un caffè per la ragazza, tornando da lei con la tazza in mano ed un paio di bustine di zucchero nell'altra. * Scusa, non abbiamo latte. Dunque spero vada bene. *Così dicendo, Millie torna a sedersi di fronte alla ragazza. * OK, veniamo al dunque... Grazie per essere qui, Isabel. Apprezzo davvero la tua disponibilità. *Millie Sospira, lasciando alla ragazza qualche secondo per prepararsi alle sue domande. * Dunque, quasi due anni fa i tuoi genitori sono venuti da me a denunciare la tua scomparsa. Per poi ritirare il caso qualche giorno dopo. So che non sei stata l'unica a sparire, in quello stesso periodo. *Millie le lancia un'occhiata, facendo un'altra pausa. Decide poi di dirle qualcosa di personale, qualcosa che non avrebbe voluto dire sino a quel momento, ma che pensa possa aiutare la ragazza a sentirsi più a suo agio. * ... Anche mio marito è scomparso, quella stessa notte. E altre persone. È personale, per me... E dunque voglio chiederti se saresti favorevole ad aiutarmi.
Isabel Amethyst M. Hughes
Isabel doveva ammettere che non si aspettava minimamente che l'investigatrice assunta da sua madre fosse così giovane eppure la newyorchese aveva notato quei pochi dettagli che facevano apparire la Hombridge determinata. Appariva sicura di sé e in qualche modo la Hughes ne era affascinata e al contempo intimorita. Si ritrovò così ad aggrottare inizialmente la fronte mentre Millie andò a prenderle una tazza di caffè, domandandosi il motivo della sua convocazione. Era rimasta vaga la detective ma la curiosità stava facendo fremere e non poco la giovane dai capelli corvini. « Va bene anche amaro, non è un problema. E non ho messo in dubbito la tua professionalità, anzi... » Commentò nascondendo poi le labbra dietro alla stessa tazza che le aveva portato poc'anzi. Assaggiò la bevanda scura e quella intensità che avrebbe sempre adorato, ma fu quando giunsero le parole successive che Isabel si bloccò. Aveva fatto tanto per dimenticare quella brutta storia, ma gli effetti erano ancora lì, sulla propria pelle. Ricordava perfettamente ogni cosa, e tutto era divenuto più chiaro molto tempo dopo ma era ancora lì, vivido nella sua mente. « Altre persone, sì... » Pensava a James, a Logan, a Camille, le stesse persone che erano i suoi più cari amici e che in qualche modo ora erano anche qualcos'altro. Si ritrovò così a distogliere lo sguardo, posarlo sulle gambe di una sedia lontana cercando di trovare le giuste parole. « Perché? Tuo marito ti avrà raccontato qualcosa... »
Millie Veronica Hombridge
*Millie scrolla le spalle, per poi rivolgere alla ragazza un lieve sorriso, chinando il capo in segno di scuse. * Mi dispiace, non volevo sembrare scortese... Sono abituata a sentirmelo dire in modo... Negativo, ecco. *Ammette, arricciando le labbra in una piccola smorfia. Non le e' affatto nuovo, che la gente la sottivaluti perche' e' giovane o perche' e' una donna - dunque supponendo a prescindere che abbia meno talento. Spesso si e' trovata in tale situazione e da sempre tenta di combatterne l'ingiustizia. Ma ha imparato sin da giovanissima a trarne anche vantaggio. L'ignoranza altrui ed il suo talento, insieme alla sua bellezza, le ha tratto guadagno. Nondimeno, la Dood, non ha mai abbassato la testa di fronte alla discriminazione. Ma, in quel caso e con quella giovane, chiaramente non e' quello il caso. Annuisce infine, osservando meglio la ragazza, cercando di saggiarne i lineamenti e le espressioni... Ed accarezzandone lo spettro emotivo con i propri poteri, senza essere tuttavia invadente. Altri. Millie manca ancora di cosi' tante informazioni... * Mio marito mi ha raccontato la propria versione. Ma ognuno prova cose diverse e ha sperimentato cose diverse... Non posso basarmi solo sulla sua testimonianza. *No. Anche perche' sentire solo cio' che Bruce ha da dire a riguardo le fa solamente venire voglia di ammazzare chiunque gli abbia fatto qualcosa. E se vuole venirne a capo, deve fare del suo meglio per essere oggettiva. * Vorrei sapere... Cosa ricordi tu... Cosa hai da dire tu... Se posso permettermi di essere cosi' diretta.
Isabel Amethyst M. Hughes
Era incuriosita la newyorchese, ma non era l'unica sensazione che avvertiva in quel momento. Era spaventata, come se si dovesse aspettare la peggio reazione da parte della donna, oppure da se stessa, era difficile dirlo. Avrebbe voluto alzarsi e andarsene, cancellando dalla memoria ciò che le era capitato, ma ciò significava anche negare quanto ciò che era successo appena un anno e mezzo prima non l'avesse cambiata. Si limitò così a distogliere lo sguardo, godendo del calore della tazza che teneva in mano mentre avvertiva il suo battito diventare dapprima sempre più forte e, a poco a poco, più regolare. « Non era una critica negativa, piuttosto un complimento. Perché però vuoi avere solamente adesso tutte queste informazioni? E' trascorso più di un anno dal nostro rapimento... » Era scettica la giovane dai capelli corvini, osservava con attenzione gli occhi grandi della Hombridge, e per quanto si sentisse a suo agio assieme a lei, sapeva anche che tenere un basso profilo l'avrebbe mantenuta in vita. Si ritrovò a chiudere gli occhi, un lungo sospiro a pieni polmoni, e in un attimo nella di lei mente ricordò quei frammenti che ancora oggi spesso la tenevano sveglia di notte. Ricordava ogni cosa, la cella, fredda e angusta, le urla di tortura, e poi il dolore, quel dolore indicibile che l'aveva perfino portata a credere di essere pazza. Ma non era questo che la faceva sudare la notte, era la fame di sangue e di paura che ne era conseguita. « Era una semplice festa cittadina, una sagra che si tiene ogni anno, fatta di festa, di musica e di colori sgargianti che fanno da anteprima alla primavera quando in un attimo qualcosa cambia. Tutti urlano, cominciano a correre, c'è il panico e c'è gente che comincia a comportarsi in modo strano... Gente che aggredisce, gente dolorante a terra, e in un attimo è il caos. Non mi sono mai chiesta che cosa fosse successo realmente quella notte, so solo che in un attimo da che ero a casa, mi sono ritrovata prigioniera in una cella di pietra... »
Millie Veronica Hombridge
*Millie rimane un momento in silenzio, pensando attentamente a cosa rispondere alla giovane. Apprezza immensamente il suo modo di fare. Nonostante abbiano avuto modo di scambiarsi poche battute, la Dood trova la ragazza incredibilmente sveglia. E le piace, notare quel tratto in giovani donne. Per quella ragione, sa anche di dover scegliere con cautela le proprie parole. Non sa se tutti coloro che sono scomparsi siano... Cambiati. E non sa spiegare perche', piu' di un anno prima, non ha preso in considerazione di indagare. Non verso tutti gli altri... Sospira dunque, pensando che forse, una mezza verita' sia la cosa migliore. * Perche' sono egoista. Qualcuno ha fatto del male a mio marito... E voglio sapere chi. Solo poi, ho iniziato a vedere un... Pattern, tra il suo ed altri casi. *Spiega, senza sapere come altro giustificarsi. Perche' la verita' e' proprio quella... All'epoca, non ha pensato che fosse importante... Ma ora, se ne ricrede. * E mi dispiace di non averci posto attenzione prima, per quello che vale. So che... Diverse persone sono coinvolte. E molti non hanno avuto una voce, sino ad ora. *Commenta sospirando. Avrebbe fatto di meglio, ora. Avrebbe aiutato chiunque avrebbe potuto. Perche' oramai e' chiaro che il suo obiettivo non e' solo giustizia verso Bruce, ma anche verso tutti gli altri che si sono fatti avanti. Annuisce, poi, alla storia della ragazza ed attende un secondo, prima di procedere. * Come sempre... Non devi rispondere se non te la senti. Ma ricordi altro, di quella... Prigionia? So che... so che puo' essere difficile.
Isabel Amethyst M. Hughes
Parlare ad alta voce di ciò che era successo un paio d'anni prima era un qualcosa che provocava sensazioni contrastanti nell'animo della Hughes. Se da un lato sentiva la liberazione di un peso che non sapeva nemmeno di portare, dall'altro sentiva la paura insidiarsi in modo sempre più profondo dentro di lei: che cosa avrebbe dovuto fare? Ricordava esattamente che cosa era successo, le sensazioni che aveva provato durante i momenti in ospedale erano incise nella sua memoria e difficilmente avrebbe potuto cancellarle, ma quando aveva provato a parlare con James la prima volta s'era sentita persa. Comprendeva perfettamente le motivazioni che spingevano la donna ad indagare, chiunque nella sua situazione lo avrebbe fatto, ma ciò che si chiese Isabel fu perché non farlo prima? Perché far passare così tanto tempo? « Comprendo il tuo punto di vista... Tieni a tuo marito, ed è normale che tu voglia sapere la verità. Ma ciò che mi chiedo, è perché ora? » Non comprendeva perfettamente perché avesse aspettato tanto, ma conosceva il motivo per cui si trovasse lì. Il rapporto con sua madre Hermione poi non era dei migliori, ormai era un fatto certo, ma il fatto che avesse incaricato perfino un'investigatrice privata non sapeva come farla sentire, indispettita? O semplicemente consapevole che quel legame era recuperabile in qualche modo? Era in presa da mille dubbi in quel momento, ma doveva concentrarsi, sapeva di doverlo fare. « Sono ricordi che cerco di dimenticare da quando mi hanno ritrovato in preda alla follia nel bosco qualche tempo dopo. Ho creduto davvero di essere pazza... » Confessò la giovane prima di tirare indietro il capo con gli occhi chiusi. Aveva usato un tono di voce più basso, quasi rotto da una commozione che non sapeva nemmeno di riuscire a provare, eppure eccola lì, a solcare una gota perfettamente truccata. Sperava che la giovane dai capelli colore dell'oro non vedesse quanto fosse difficile per lei affrontare quel passato, ripercorrerlo in un modo che tuttava sapeva fosse necessario. Era migliorata molto durante gli ultimi allenamenti, sapeva che prima o poi avrebbe ottenuto qualche risultato, ma sapeva anche che parte integrante del suo modo di essere era legato al suo passato. « Ricordo che vi erano altre persone con me, vedevo altre due celle di fronte alla mia ma non ricordo esattamente chi ci fosse. Sentivo urla disumane che si alternavano a silenzi che facevano venire i brividi, forse perfino più delle urla... Ho creduto di vivere un incubo, ma questo è tutto ciò che ricordo, sono semplici fotogrammi in un mare di oscurità. »
Millie Veronica Hombridge
*Millie abbassa lo sguardo, chiudendosi nei propri pensieri per qualche istante. La domanda di Isabel e' chiara e dritta al punto. E per quanto la Dood possa trovare risposte decenti da suggerire… Anche un certo senso di vergogna la assale. Vergogna per l'egoismo dimostrato. Perche' non le e' interessato di fare luce sugli avvenimenti sino a che la situaione non e' divenuta "personale". E quello… Quello le sembra un gesto imperdonabile verso tutti coloro coinvolti. Millie dunque sospira, ritrovandosi a riflettere e cercare qualcosa da dire. * Ora, perche' solo di recente questa situazione e' divenuta… Personale, per me. E mi rendo conto di quanto questo possa suonare egoista. Ma genuinamente, ora voglio aiutare - salvo qualunque mia personale ragione. *Millie poi ammutolisce, lasciando l'altra parlare. La sua mente recepisce e registra ogni informazione che le viene riferita - ma non azzarda a prendere appunti, per non sembrare scortese. Nella sua mente, si dipinge l'immagine di cio che Isobel racconta. Ed I suoi poteri vibrano, solleticati dale emozioni improvvisamente provate dalla ragazza. Ma la Dood si trattiene dall'osare invader oltre lo spettro emotive della ragazza. Eppure le sue parole sono sufficienti a dipingere un'immagine tremenda nella sua mente. Ed il sangue le si congela nelle vene, al pensiero che quelle urla potessero essere appartenute proprio a Bruce... Le fa venire voglia di vomitare. Millie annuisce dunque ed abbassa lo sguardo, cercando di decider come procedure. Non avrebbe potuto domandarle esplicitamente se ella ha sviluppato dei poteri. E' contro le regole in qualunque ambito, persino quello… E nel caso ella fosse rimasta umana ed incosapevole - Millie avrebbe sicuramente potuto fare piu' male che bene. Eppure… Aveva bisogno di sapere. Sollevando lo sguardo tutt'attorno, maledice mentalmente il fato - visto che quando servirebbe un veggente, paiono non essere mai in vista. * Ricordi dove ti hanno ritrovata? *Domanda, cercando di pensare a qualunque cosa che non fosse quella stupida domanda: "per caso hai sviluppato poteri ora, uh?". E si rende perfettamente conto che sia passato un anno e mezzo dall'accauto e quindi, sapere dove ella si sia ritrovata, nella foresta, e' circostanziale. Totalmente inutile forse. Cio' non l'avrebbe fermata dal tentare comunque di andare a dare un'occhiata al luogo. Esattamente come ha fatto con Bruce. I pezzi delle testimonianze paiono ancora troppo sparsi… Impossibili da decifrare. Ma Millie e' sempre piu' convinta del fatto che esistono dei colpevoli. E un giorno li avrebbe trovati. Fosse anche l'ultima cosa che fa. Troppi giovani sono rimasti coivolti e cambiati per sempre, feriti nel corpo e nell'animo. E troppo della sua vita personale e' stato invaso, quasi perso, quasi distrutto per sempre.* Voglio trovare I colpevoli. Voglio fargliela pagare. *Le rivela, guardandola negli occhi ed annuendo. La decisione di Millie e' visibile nel suo sguardo quanto nella sua espressione seria. Allo stesso modo, la sua aura trasmette la medesima decisione. *
Isabel Amethyst M. Hughes
Mantenere un basso profilo, cercare di non dare nell'occhio era un qualcosa che aveva imparato in fretta quando uscì finalmente dall'ospedale tempo prima. Aveva capito fin dal principio che meno persone sapevano la sua nuova natura, meglio sarebbe stato ma non aveva messo in conto che qualcun altro avrebbe potuto scoprirlo. Era stata perfino arrestata mesi prima, poco dopo ciò che ancora la turbava, ma non era nemmeno questo che teneva sveglia di notte la Hughes, ma quella era un'altra storia. Si ritrovò così a socchiudere gli occhi, inspirare pesantemente eppure non riuscì a non ammirare l'onestà della detective. In tanti avrebbero raccontato menzogne solamente per il loro tornaconto personale, eppure Millie aveva preso la strada dell'onestà. « Apprezzò l'onestà, dico davvero, ma... » Non sapeva nemmeno Isabel come proseguire. Avrebbe voluto dirle che era troppo tardi, che non vi era più spazio per la vendetta, ma a che cosa sarebbe servito? Distolse poi lo sguardo prima di posarlo altrove. « Nei boschi... Non ricordo dove fossi esattamente. Ed è ammirevole che tu voglia in qualche modo avere giustizia, e fare vendetta, ma adesso... Adesso devo andare. » Avrebbe voluto confessare che da quel rapimento era morta una giovane donna piena di aspettative, carica di sogni e ne era uscita un ammasso di paure, mista ad un mostro assettato di sangue e paura, ma sapeva di dover rimanere in silenzio. Sentiva il petto alzarsi e abbassarsi in modo sempre più forte e veloce, e quando si alzò dalla sedia osservò nuovamente la donna. 
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Quanti pensieri aveva la giovane di casa Seered quando giunse in quel luogo che considerava la sua personale pace dei sensi. Il profumo di legna, infatti, e di pizza si sentiva in ogni dove provocando quel senso di fame che difficilmente avrebbe tenuto sotto controllo ancora a lungo. Tante erano le passioni di Laurel, dal disegno allo shopping, ma mai avrebbe rinunciato alla pizza o a un hamburger, e il fratello sapeva meglio di chiunque altro. Prese posto su uno dei tavolini fuori prima di continuare il disegno che aveva iniziato poco prima di uscire. Si trattava di una sponda del lago, dove le fronde degli alberi sembravano accarezzare lo specchio d'acqua e creare quelle piccole minuscole onde irresistibili da disegnare. Faceva scivolare la matita con una concentrazione tale per cui non sentì nemmeno il giovane arrivare e solo quando vide una mano agitarsi davanti al suo campo visivo, Laurel riuscì a staccarsi e guardare Dylan con un leggero guizzo alle labbra.
« Scusami, dovevo assolutamente finirlo... »
Dylan Marcus L. Seered
S'agitava ancora la tempesta nell'animo di Dylan, una tempesta che aveva travolto ogni cosa sino ad allora ben ordinata dalla fredda logica di cui dal primo vagito era seguace, con violenza, lasciando nulla di più che polvere, cenere e macerie. Erano stati mesi difficilissimi quelli per il giovane veggente dalla fulva chioma, la sua famiglia aveva subito uno scossone non indifferente e le cose s'erano fatte ancor più complesse di quanto già non fossero, costringendo anche lui a scoprire carte che per dieci anni erano state ben celate, destinate ad essere giocate al momento opportuno. Ed era giunto quest'ultimo, era giunto nel momento in cui il colpo di stato era stato organizzato ed egli s'era ovviamente schierato apertamente al fianco di sua sorella Ashley, da sempre ritenuta da lui la più adatta a ricoprire il ruolo di rappresentante dei veggenti, dimostrando al loro padre quanto in realtà non gli fosse mai stato fedele, ma lo avesse assecondato unicamente per tenerlo buono mentre tramava alle sue spalle. Non s'era assolutamente pentito di tal mossa, ma era innegabile che il costo che aveva dovuto pagare era stato altissimo e le conseguenze d'esso le stava vivendo ora, sulla sua pelle, senza tuttavia parlarne a nessuno: tutti avevano già i loro problemi, i suoi doveva gestirli da solo. S'era infatti enormemente indurito il muscolo cardiaco che in petto gli dimorava, impregnato ora di un profondo desiderio di vendetta nei confronti di chi, per ventiquattro anni, aveva fatto di lui e delle sue sorelle burattini ai suoi ordini, spezzando speranze, sogni, gioie, tutto: Edward avrebbe pagato sino all'ultimo dei suoi peccati. Ed era per questa ragione che aveva intensificato gli allenamenti, non poteva proteggere nessuno né affrontare nessuno se non diveniva più potente, era solo un quarto livello e no, non andava bene. Certo, lui dei poteri non s'era mai interessato troppo, in realtà gli erano sempre stati sgraditi, ma ora non poteva più esimersi, doveva divenire un Seered a tutti gli effetti, proprio come l'adorato paparino per anni aveva agognato. Tuttavia, aveva giurato a se stesso di non divenir mai un essere ignobile come il genitore, di conseguenza stava facendo di tutto affinché il rapporto con le sue sorelle non risentisse, quel giorno sarebbe toccato alla più piccola, Laurel. Da lei si stava recando, sapeva che fosse ghiotta di pizza, dunque le aveva dato appuntamento dove essa veniva prodotta, così da poter trascorrere insieme il tempo, in tranquillità. « Laurel, Laurel! Da quando non presti più la dovuta attenzione al tuo fratello preferito? Mi ritengo offeso. » Affermò, fingendo un disappunto che in realtà non provava affatto. Non poteva, però, dirsi contento per lo stato d'animo della giovane, gli pareva fosse divenuta più taciturna, introversa, non voleva si sentisse sola o abbandonata. « Sei brava, sai? Potresti diventare una grande artista. Dimmi, va tutto bene? » Anche se probabilmente Edward avrebbe impedito anche a lei di realizzare i suoi sogni, come aveva già fatto con lui e con Valerie. Stavolta però, Dylan era pronto a contrastarlo, le cose erano molto cambiate ormai.
Laurel Tempest A. Seered
La preoccupazione negli occhi del fratello era ben visibile quando quest'ultimo si palesò nel suo campo visivo. Preoccupazione che era infondata agli occhi della veggente ma che comprendeva perfettamente: in fondo anche Laurel era preoccupata per le sue sorelle, e quel sentimento che intercorreva tra di loro era impossibile da spezzare. Posò con cura la matita che fino a poco prima reggeva nella mano destra e ridacchiò non un leggero movimento del capo a quella battuta. Erano settimane che non incontrava Dylan, per un motivo o per l'altro, eppure in cuor suo sapeva di dover ammettere che la colpa era anche sua: s'era isolata. La situazione con la sua famiglia e il golpe avvenuto qualche mese prima avevano incrinato non poco quella apparente spensieratezza tra fratelli. Ognuno di loro aveva i propri problemi da affrontare, eppure vi era un'unica cosa che li accomunava, nessuno di loro trascorreva troppo tempo tra quelle quattro mura che un tempo consideravano casa, Laurel in primis. « Oh andiamo... Tu devi scegliere tra ben tre sorelle, dovrei essere io a sentirmi offesa. » Disse la veggente prima di riporre anche il blocco nella sua tracolla che aveva momentaneamente poggiato al lato della sedia. Era incredibile come riuscisse a trovare sempre un luogo dove disegnare, dove prendersi quella spensieratezza che ormai era stata strappata via tempo prima. Nonostante, infatti, non avesse ancora deciso cosa fare del suo futuro, la Seered sapeva che il disegno avrebbe fatto parte di lei per sempre, ed era l'unica certezza a cui sentiva di affidarsi in quel momento. « Va tutto bene, Dylan... Non dovresti agitarti, sai? E poi anche se sono la piccola di casa, non sono più una bambina, dico davvero. E ti ringrazio, ma lo sai meglio di me, ancora non ho deciso... Diamine non sono nemmeno convinta di aver scelto arte contemporanea al college! E tu, piuttosto? Sono settimane che non ci incrociamo nemmeno per sbaglio... »
Dylan Marcus L. Seered
Non passava giorno, da quando il caos s'era abbattuto sulla città e sulla sua famiglia in particolare, che Dylan non pensasse d'esser stato un pessimo fratello, non solo per la giovane che aveva ora dinanzi alle iridi scure e ch'era la più piccola di casa, ma anche per le restanti due sorelle, Ashley e Valerie. Era ben conscio che tutta la distanza che sentiva bene essersi instaurata tra tutti loro fosse unicamente colpa di un padre tiranno ed insensibile che altro non aveva fatto che aizzarli gli uni contro gli altri come fossero stati bestie feroci ed affamate, tuttavia non riusciva a togliersi dalla testa, l'unico maschio di Edward Seered, che in parte fosse responsabile anche lui, considerando il mutamento caratteriale che stava subendo e che inevitabilmente lo aveva costretto a chiudersi sempre più in sé ed ad indurirsi. Stava cercando di porre rimedio, in ogni caso, non voleva fare ancora il gioco del genitore e divenire una sua copia proprio ora che il suo dominio era venuto meno, doveva accorciare i metaforici chilometri che lo separavano dalle sorelle, da Laurel soprattutto. « Difatti ho così tanta difficoltà a scegliere tra voi tre che ho deciso di dare un pezzo del mio cuore a tutte! Così non dovrete litigarvi il vostro amato fratellino. » Rispose, con evidente ironia, certo che anche la minore scherzasse. Non avrebbe mai potuto, infatti, privilegiare una di loro, erano tutte importanti allo stesso modo per lui, avrebbe sacrificato la sua stessa vita pur di tenerle al sicuro da tutto e tutti, aveva addirittura ripreso ad allenarsi con intensità con il chiaro scopo di fare capire ad Edward che non era più un bimbetto incapace e che non gli avrebbe mai più reso la vita semplice. « Non ti considero una bambina, piuttosto una giovane e meravigliosa donna che sta iniziando a camminare da sola, ma di cui comunque non intendo perdermi un attimo. Non ti opprimerò mai, ma puoi contare su di me per tutto. E visto che mi fido ciecamente di te e so che non mi tradiresti mai, ho qualcosa di cui parlarti. » Laurel non era mai stata coinvolta troppo negli affari di casa, tutti tendevano sistematicamente ad ignorarla, ma lui no, lui voleva coinvolgerla nella sua vita attivamente e farla sentire parte di essa: era dunque il momento di svelarle il suo più grande segreto.
Laurel Tempest A. Seered
L'indecisione che aleggiava nella mente della veggente era ormai risaputa ai componenti della famiglia Seered, che più di una volta aveva tartassato con dubbi e domande senza fine. Non era infatti convinta della sua scelta, eppure sapeva che le piaceva disegnare, almeno fino a quel momento. Ciò che ne sarebbe stato del suo futuro, non poteva dirlo con esattezza, tante strade erano pronte ad aprirsi davanti a lei ma quale fosse quella giusta era ancora un mistero. Lo sapeva bene il giovane che ora le stava di fronte, l'unica persona di genere maschile che fosse realmente per le un punto di riferimento e che ora più che mai stava dimostrando davvero a tutta la famiglia. Il sorriso più sincero comparve sulle di lei labbra prima di ridacchiare con quella spensieratezza che ormai sembrava un ricordo lontano. Le mancava molto il fratello maggiore, sapeva anche qualcosa bolliva in pentola, ma mai una volta avrebbe ficcanasato nelle sue cose, avrebbe parlato lui nei modi e nei tempi che meglio avrebbe creduto. « Un amato fratellino estremamente sfuggente! » Commentò la veggente prima di diventare a poco a poco più seria mentre le parole del fratello cominciarono quasi a spaventarla. Laurel non era mai stata coinvolta negli affari di famiglia, e in qualche modo le era sempre andata bene così eppure lo sguardo di Dylan tradiva una scintilla che dimostrava che quel discorso sarebbe stato importante, molto importante. « Mi stai spaventando, fratello... Che succede? »
Dylan Marcus L. Seered
Lo aveva sempre detestato Dylan, aveva sempre odiato che la più piccola delle sue sorelle non venisse né considerata né tantomeno coinvolta negli affari di famiglia, scartata a priori come fosse uno scarpone vecchio ed inutile solo perché di livello basso. Era ancora molto giovane, Laurel, avrebbe avuto modo e tempo per migliorare, ma come poteva farlo se nessuno le dimostrava che anche lei era importante alla pari di tutti? Era chiaro che molto spesso si fosse sentita abbandonata, ed aveva ragione, Edward le aveva distrutto la vita nel medesimo modo in cui aveva fatto con i restanti di loro, aizzandoli gli uni contro gli altri, togliendogli la speranza, i sogni, tutto: era stato un pessimo genitore. Tuttavia, benché forse poco apprezzato per ciò, Dylan stava facendo di tutto pur di rimediare ai danni che quell'uomo aveva fatto, fortificando i rapporti con le sue sorelle sono ad allora trascurati, aveva iniziato con Valerie, ora toccava alla piccola di casa. « Lo so, sono stato più assente del solito, scusami. Non è stato per disinteresse nei tuoi confronti, anzi, sai bene che sono qui, anche se non tendo a farti interrogatori asfissianti perché non voglio farti sentire sotto esame perenne. Ho le mie ragioni che sto per spiegarti. » Era vero, lui era radicalmente opposto ad Edward, non stava con il fiato sul collo della minore, le permetteva di vivere, di camminare da sola, di errare anche, cosicché potesse crescere adeguatamente forte. Poi fece calare per un attimo il silenzio, prese un lungo respiro e sollevò le iridi nelle sue, pronto a dirle tutto. « A novembre dello scorso anno ho conosciuto un ragazzo, tra noi è scattato immediatamente qualcosa ed è stato inevitabile finire insieme. Il problema sta nella sua natura, è un dooddrear, capirai dunque bene che niente deve arrivare alle orecchie di nostro padre. Tu, Ashley e pochi altri siete gli unici a sapere. » Confessò con tono basso, certo che Laurel non si sarebbe scandalizzata nel sapere che suo fratello aveva un ragazzo e non una ragazza, era sempre stata conscia che fosse pansessuale e di conseguenza non badasse ad un organo genitale. Probabilmente era altro che l'avrebbe preoccupata, era pronto ad ascoltarla.
Laurel Tempest A. Seered
La veggente sentiva quella sensazione alla base della schiena dove le si annidavano le emozioni, dalla rabbia alla paura, ed in quel momento in qualche modo era preoccupata da ciò che avrebbe potuto dire il fratello maggiore. Un piccolo cipiglio s'era creato sulla fronte nel mezzo delle sopracciglia rendendo la Seered ancor più preoccupata. Era pronta ad ascoltare ogni cosa, ad accettare qualunque cosa Dylan fosse pronto a confessare ma l'argomento era più che sconosciuto. Prese un sorso d'acqua prima di allungare una mano e posarla sul braccio del fratello. Sapeva quanto tenesse alla famiglia, quanto volesse aggiustare gli errori del padre, e di certo non gli faceva una colpa della sua assenza. « Non devi scusarti né tanto meno giustificarti con me Dylan... Non devi correre da me ogni volta, so che non ho avuto lo stesso trattamento di Valerie, o anche solamente il tuo... Ma non per questo non devi cercare di riparare agli errori di nostro padre. » Credeva seriamente nelle proprie parole, e sapeva che l'assenza del fratello maggiore non derivava affatto dal suo menefreghismo. Tutti avevano una vita, tutti avevano impegni più o meno assidui, ma non poteva non ammettere che le avessero fatto piacere quelle semplici affermazioni. Solo quando lo vide pronto a proseguire, Laurel lasciò andare la presa sul di lui braccio ed attese con trepidazione. Non attese più di qualche istante prima che ogni cosa diventasse più chiara nella di lei mente, prima di rendersi conto che il suo amato fratello sembrava aver trovato la sua anima gemella. Non era scioccata dal fatto che fosse un ragazzo, sapeva benissimo che Dylan era pansessuale, e mai una volta l'avrebbe giudicato, non era nemmeno il tipo, eppure ciò che realmente preoccupava la rossa era la razza. « Oh Dylan... Non dovevi tenerlo nascosto così tanto a lungo. Non dovevi aver paura della nostra reazione, perché sai che per ogni tua decisione sia io che Ashley ti sosterremo! Ma... un dooddrear? E' proprio di famiglia, eh? » Inspirò a lungo prima di portare nuovamente la mano sul braccio del fratello e dargli così tutto il suo sostegno. Sapeva che la situazione non era facile e poteva solamente immaginare quanto dovesse arduo dover affrontare l'ignoranza dei più, ma non voleva che questo potesse essere motivo di frattura tra loro.
Dylan Marcus L. Seered
« Beh, in realtà sono piuttosto felice che tu non abbia subito il mio trattamento, non vorrei mai che tu vedessi il tuo sogno ridotto in polvere dinanzi ai tuoi occhi perché " strimpellare due note non è all'altezza di un Seered". » Non v'era ovviamente invidia in tali parole, — che invidia poteva esserci per una ragazzina cresciuta ignorata da chiunque? Nessuna — anzi, sollievo traspariva da esse, poiché no, neppure al suo peggior nemico augurava di vedersi depredato dei suoi sogni, delle sue speranze, di ciò che lo faceva sentire vivo unicamente a causa di un dannato cognome che altro non era che un agglomerato di lettere come molti per lui, non certamente qualcosa di cui fare sfoggio. Aveva vissuto una vita da incubo, il rosso, una vita costretto a fare cose che non desiderava, a partire dall'imposizione di studiare pediatria, passando per feroci allenamenti per potenziare i doni derivanti dalla veggenza, finendo con il divieto assoluto di suonare anche una sola nota in casa o fuori: splendido il trattamento che aveva ricevuto, non c'era dubbio. Ecco perché, nonostante la disperazione iniziale, aveva alla fine preso in mano la sua vita, facendo sì ciò che il genitore voleva, ma non scordando i suoi desideri: suonava ancora in gran segreto, al lago, lontano da lui e postava tutto sotto falso nome su YouTube. Poi il discorso si spostò sulla sua situazione sentimentale, la reazione di Laurel fu esattamente ciò che si aspettava, dolce, di supporto, degna del sostantivo sorella e del legame che li univa. Addirittura gli strappò un sorriso, a quanto pareva sì, era di famiglia amare dooddrear. « Spero che tu ci smentisca. Grazie piccola, ora mangiamo questa pizza, so che sei qui per questo! » Concluse, con l'animo decisamente più sereno e leggero. Era felice di essersi aperto con Laurel, estremamente felice.
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merrowloghain · 4 years
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«Cioè.» vuole capire meglio, «Tu ti sei inventata una pomiciata solo per non dire che stavi parlando con un quadro?» ma sei scema?, l`inciso. «Merr.» la richiama all`ordine, «Forse non sei ancora così popolare.» come me, coff, «Ma ti fai notare.» lei l`ha notata, dopotutto, «Hai... il fuoco.» qualsiasi cosa questa voglia dire.
Sospira nel cogliere quell`inciso che la fa inclinare all`indietro, portando le braccia a sostenere il busto, mentre gli molla un ghignetto che sembra tutto un programma «Senti, mi sono presa una valanga di punizioni quest`anno, per cose che non ho nemmeno fatto. Non voleo rischiare di farmi punire ancora solo perchè volevo dare una mano...a ripensarci, quest`anno è stato davvero assurdo e duro.» scuote il capo, sbirciando in direzione del finestrino «Ho guadagnato qualche persona interessante, ma ne ho perse a valanga.» commenta asciutta, ma lei la richiama all`ordine con quella frase che le fa corrucciare la fronte perplessa «Si, in punta di bacchetta, per appiccarlo alle tende di Cadel.» ops, l`ha detto? L`ha detto. «Io non voglio farmi notare, davvero. Vorrei solo...» eh, come glielo spiega «Aiutare» cosa? Chi? «Cioè non che io possa farlo» autostima sottozero «però ci provo..tipo con i piccoli.» sbuffa dal naso «Che poi devo ancora capire perchè mi seguano.» i misteri di Hogwarts «Anche tu hai... il fuoco» commenta infine, in un risolino che dimostra un`accezione differente forse, rivolta verso la McLeod «Vorrei averti conosciuta prima.» come Ovid, come William, come ogni cosa bella nella sua vita, lei arriva sempre troppo tardi, o forse non arriva affatto. Disincrocia la gamba destra solo per mollarle il tacco dell`anfibio sulla coscia sinistra, in un tentare di spingerla via con delicatezza, ma in un disagiatissimo modo per poterle dire tutto: mi manchi, ti voglio bene, non te ne andare, vai al Gramo McLeod.
«Se le hai perse forse significa che non erano così importanti.» solleva appena le spalle, piegando il capo a lato fin quasi a fargli toccare la stessa spalla, «Altrimenti avresti lottato per tenertele vicine.» esattamente come ha fatto lei con la Ambjornsen e quel ricordo che le ha regalato durante il ballo della sera prima e che ha rimesso tutto in gioco. Ride sul fuoco alle tende, ma non investiga oltre, le cose da dormitorio lì devono rimanere e la mafiatassa su questo è piuttosto rigida. «Perchè non vuoi farti notare?» l`ippogrifo se ne stupisce decisamente. Gli occhietti che si sgranano lo rendono palese, «Che male c`è?». Ascolta il resto prima di uscirsene con un «Senti.» che schizza sincero, come tutto dalla bocca della McLeod, «Cosa te ne frega? Cioè, davvero. Sei fatta così, vai bene così. Perchè devi lottare per fare una cosa che...» si stoppa, sbuffa, «Ti piace prenderti cura dei più piccoli? Fallo. Ti mettono in punizione per quello? Continua a farlo. Hai la tua testa, usala, del resto non importa.» Eleanor arriccia le labbra. «Un giorno forse ti farò vedere il mio fuoco.» il Dono, anche se in quel modo suona un po` a doppio senso, e di certo non aiuta l`ammiccare della tassorosso, che scoppia poi a ridere, divertita. «Ehi, mi hai conosciuta. E` questo che conta.» e si becca quella stivalata nella gamba. Eleanor schiude le labbra come se fosse colpita/inorridita dal gesto, ma poi sfrutta il movimento e i muscoli del dorso e delle rene per spingersi in avanti e allargare le braccia per stringere la Loghain in un abbraccio – se l`altra permette – lungo e particolarmente forte. «Ti voglio bene, Merr.» nessun problema ad ammetterlo, anche se poi si scioglie e la spinge con un «Ora vai, altrimenti mi commuovo facile.» anche se poi è un sorriso affettuoso che le regala, in quell`ultimo viaggio di ritorno da quella che è stata casa per ben sette, lunghi, intensi anni.
«Forse si.» non "forse" ma più "sicuramente" visto il carattere della Grifondoro, sempre così protettiva e combattiva verso le poche cose o persone che si meritano la sua attenzione. Alle sue domande però si ritrova a corrucciare il capo, lasciandola continuare nella sua arringa anche solo per poterla rimirare così, con quelle ultime perle che le regala, quando ancora sono entrambe studentesse sullo stesso treno che le allontana da Hogwarts. Si gode il panorama della McLeod che le ammicca, limitandosi ad annuire ed a spiegare semplicemente «Se ti notano sei un bersaglio assicurato.» ecco perchè «E finchè colpiscono me, chissene... ma in guerra ci sono sempre vittime collaterali.» ecco perchè vuole nascondersi, magari sotto un masso o dietro un arazzo: per proteggere chi ama dalla melma che le capita addosso. «Non vedo l`ora» replica quindi riguardo al mostrarle il suo fuoco, facendo appena in tempo prima di vedere l`altra spingersi in sua direzione ed agguantarla in un abbraccio che non solo non si aspettava, ma che la trova rigidissima in un primo momento, prima di sgretolare quel gelo che l`avvolge mano a mano che resta tra le braccia di Eleanor. E` inevitabile: le mani salgono ad aggrapparsi alle sue spalle, passando da dietro sulla schiena, per poter stringersela addosso in una stretta adamantina che non vorrebbe più sciogliersi, mentre gli occhi grandi le cominciano a pizzicare agli angoli. Alla sua dichiarazione d`affetto così schietta, però, le sfugge un piccolissimo vocalizzo d`accuso, mentre le palpebre calano e si strizzano per evitare che il peggio accada «Seh.» commenta il suo ultimo dire, sciogliendo a malincuore quell`abbraccio ma cercando con le labbra di raggiungere la sua guancia sinistra per posarle un piccolo bacio a stampo che sa tanto di tenerezza e di reale affetto «Ti voglio bene anche io, Ele.» ma non la guarda più, perchè sta già correndo ai ripari nel non mostrarle quelle lacrime che già minacciano di rompere le dighe delle sue iridi grigie. Si rimette in piedi e fa per uscire, fermandosi sulla soglia solo per voltarsi con mezzo volto e borbottare «Ci vediamo tra non troppo.» e si, sembra una promessa, mentre s`allontana lungo il corridoio, con passi pesanti e lenti.
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bleeding-waterfalls · 4 years
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Day 43978:
Sono un sacco di giorni che non scrivo nulla, ma sono davvero tanto incasinata con l'uni. La sessione inizia domani (anche se abbiamo ancora tirocinio e corsi ADE e il primo esame che darò io è tra due settimane) e io non mi sento affatto pronta, sta situazione del cavolo mi ha risucchiato tutte le energie e il mio cervello non collabora. Poi ci si mette mia madre che più bipolare di lei non si può. Oggi era tutta contenta perché mi vengono tutte le sintesi di chimica organica, ma sta sera che mi sono messa lì a suonare il piano e ho fatto 5 minuti di pausa perché mi faceva male il mignolino inizia con "ma sei sempre sul telefono a guardar cazzate, non hai costanza, non riesci a mantenere un interesse per più di un mese, non farai niente nella tua vita" e via dicendo... Dio quanto odio quando fa così. È sempre la solita storia, passo da essere la migliore di tutti ad essere la merda peggiore del mondo (Riccardo vibes coff coff). Anche questo ovviamente ha un impatto sul mio studio e sulla qualità del mio studiare. Almeno quando si poteva andare in uni non vedevo nessuno della famiglia per tutto il giorno e potevo vivere serena, sta convivenza forzata mi sta facendo diventare matta. È diventata peggio di quando andiamo in camper per più di un mese che siamo confinati insieme e in 7 metri e 20 senza un minimo di privacy. ODIO. A volte rimpiango di non essere entrata a Pavia, maledetto trauma cranico. Però se ci fossi andata non avrei avuto più Safy e il mio Diakonat, quindi è meglio essere rimasta qui, anche se avrei potuto risparmiarmi lo scivolone tossico di novebre-febbraio.
Eh vabbeh. Devo solo trovare la forza in qualche modo. Perché attualmente ho attorno solo cose distruttive che la mia forza la risucchiano. E alzati la mattina prestissimo anche domenica. Fai meditazione/training autogeno per cercare di autoconvincerti che in qualche modo funziona e riuscirai a studiare. E mangia di nascosto un biscotto insieme a quel caffè, perché per tua madre sei grassa anche se pesi 48 kg. Aiuta tua sorella con la scuola, aiutala nelle interrogazioni e falle le verifiche ma non fargliele perfette. E fai chimica organica. Aiuta tua sorella. E pranza di fretta perché c'è tirocinio alle 13. Ascolta cose che dovresti vedere in ospedale ma che dai video non capisci niente. Aiuta tua sorella. Studia quella merda di istologia. Aiuta tua sorella. Aiuta tua sorella. Cena ma contieniti perché sennò tua madre inizia a dire cose di poco gusto. Suona il piano. NO FSRE ASSOLUTAMENTE PAUSA ANCHE SE IL MIGNOLO TI FA UN MALE CANE, DEVI SUONARE FINCHÉ NON DIVENTA NERO. Prendi Safy e vai ad ascoltare audio per aiutarti ad essere più calma e serena. Addormentati. Incubi. Incubi. Incubi. Carezza a Safy per calmarti. Nanna. Incubi. Sveglia. Ripeti da capo. Ogni giorno. Ogni giorno. La domenica puoi andare in maneggio un paio di ore. Ma ti porti i libri dietro. Studi. I cavalli possono mangiare da soli. Tanto, stanno da soli tutti i giorni ogni giorno. Hai proprio ragione.
Mi dà un sacco di fastidio. Odio questa quarantena. Odio sto virus. Odio sta situazione di merda, cazzo.
Voglio dare gli esami in maniera normale. Poi viaggiare ad agosto e riposarmi un pochino. Ma non sarà possibile. Perché l'università sarà online almeno fino a gennaio 2021. GRAZIE, VI ODIO.
Ne usciremo tutti ciechi, con evidenti lombalgie, obesità, atrofizzati come non mai. Ye. Però intanto possiamo andare ad ammassarci in via Torino senza mascherina in tavoli da 20 ma all'università non sia mai. Bello. Davvero.
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genevieveamelie · 4 years
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     🍀🌹    —    𝐍𝐄𝐖 𝐏𝐎𝐒𝐓      𝐠𝐞𝐧𝐞𝐯𝐢𝐞𝐯𝐞 𝐚𝐦𝐞́𝐥𝐢𝐞   &    𝐞𝐥𝐢𝐬𝐞      ❪     ↷↷      mini role ❫      e r  b o r i s t e r i a      07.04.2020   —   #ravenfirerpg
Gli ultimi accadimenti avevano scosso fortemente la fata facendola avvicinare ancor di più a quella sua condizione che non sempre aveva accettato così di buon grado. Spesso si era sentita spaesata, specialmente quando era più piccola, eppure sfida dopo sfida, Genevieve aveva affrontato ogni ostacolo fino a diventare una giovane con una personalità piuttosto forte. Certo, aveva contribuito l'influenza positiva della sua famiglia, in particolar modo Leen e Tyler, ma sapeva che doveva fare ancora tanta strada prima di riuscire a sentirsi completa. Il recente omicidio che aveva scosso in modo così forte la comunità di Ravenfire era ancora nell'aria, le ripercussioni erano pronte a scatenarsi su ogni abitante, ma i dubbi erano ancora lì per essere analizzati minuziosamente. Genevieve e le altre fate avevano cercato di dare il loro contributo, ma soprattutto quell'esperienza aveva fatto sì che la fata riscoprisse la passione per le erbe mediche. Ecco il motivo che l'aveva portata in quel negozio, attratta da quella scienza non scritta che le infondeva calma. Attenta agli ultimi ingredienti che avrebbe dovuto comprare, si volse quando osservò una testa bruna avvicinarsi, e solo quando la mise a fuoco capì di chi si trattasse. Erano trascorse alcune settimane dal loro ultimo incontro, a volte la fata perfino si pentiva del proprio comportamento, ma non poteva negare che prima o poi quel confronto sarebbe dovuto arrivare.
« Elise... »
Elise Reagan
Ravenfire aveva scosso i suoi abitanti per l'ennesima volta e nel caos più totale vi erano state diverse vittime, tra cui la stessa Elise, che fortunatamente fu salvata da un certo Richard e curata da un chirurgo, amico di quest'ultimo. Per un momento aveva avuto paura, paura di morire, paura di perdere i suoi cari, e fu quando vide la sua migliore amica che i suoi occhi brillarono come non avevano mai fatto prima, forse perché si era resa conto di come la vita sarebbe potuta finire da un giorno all'altro, senza ch'ella avesse avuto il tempo di salutare chi amava, senza alcun futuro a cui aspirare. [ ... ] I giorni erano passati e la veggente era sfortunatamente tornata a casa. Sì, sfortunatamente, perché si era trovata così bene in quella di Spencer, senza alcun assillo da parte della propria famiglia, com'era invece successo non appena aveva messo piede a casa Reagan. I rapporti con la sorella si erano incrinati, inoltre stava iniziando a considerare la sua dimora come una prigione da cui voleva evadere, ecco perché la maggior parte delle volte se ne stava chiusa dentro la sua stanza e la restante usciva. Quel giorno aveva scelto la seconda opzione e passeggiando per le strade della cittadina, decise di entrare in erboristeria con l'intento di comprare qualche prodotto naturale per la sua pelle. Alla fine, chi bella vuol apparire, un poco deve soffrire, giusto? Improvvisamente però una voce familiare la richiamò ed Elise, sorpresa dalla presenza della fata, ricambiò il suo saluto con un grande sorriso. 《 Gen, hey! Come stai? 》
Genevieve Amélie S. Hale
Quella pace dei sensi che la fata trovava ogniqualvolta si recava in quel luogo era indicibile. Il fatto di poter sentire il profumo di quelle spezie, quelle fragranze e ogni ingrediente utile per tisane e medicamenti, rendeva l'erboristeria, uno dei luoghi preferiti di Genevieve ma anche di tutte le fate. L'omicidio di Jacon Ruiz aveva scosso e non poco tutta la comunità sovrannaturale, ma ciò che più faceva riflettere era il fatto che tutti in qualche modo fossero ora coesi per trovare il colpevole. Fate, veggenti e dooddrear stavano cercando di collaborare come meglio potevano, e le faccende personali venivano messe in secondo luogo in quel momento, ma l'incontro con l'ex amica, era un qualcosa che la Hale non si sarebbe mai aspettata. Mostrò un accenno di sorriso, s'avvicinò di qualche passo e spostò alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio destro. « Io... Bene grazie. E tu? » Le due s'erano allontanate per chissà quale motivo, ma l'orgoglio della fata era sempre di impiccio e ora si trovavano come se fossero due sconosciute. « Non pensavo di trovarti qui... Appassionata di rimedi naturali? »
Elise Reagan
Nella vita di Elise vi erano state persone di passaggio e persone che avevano lasciato un segno, una traccia. A volte però, questa traccia si era incrinata, lasciando spazio a litigi o semplici incomprensioni che interrompevano l'amicizia che si era venuta a creare tra la veggente e la persona in questione. Una di queste fu Genevieve, con la quale Elise /un tempo/ era tanto amica. Tuttavia, per motivi superflui, che fossero legati alla scuola e al lavoro, o ad altri interessi, le due si erano allontanate, rincontrandosi per la prima volta /dopo tanto tempo/ ad una festa di compleanno. Quel giorno /invece/ le due si erano incontrate nuovamente, solo da tutt'altra parte, all'erboristeria, luogo amato da entrambe, seppur per ragioni leggermente diverse. 《 Si va avanti. 》 Questa era la risposta che utilizzava da quando era stata vittima dell'incidente, perché alla fine era la verità. Non stava bene, non del tutto almeno. 《 Sì, ho iniziato ad utilizzare prodotti naturali da qualche anno e mi sono accorta di esserne ormai dipendente. 》 E ne era entusiasta. Da quando era entrata lì dentro ogni suo "difetto" era migliorato e continuava a migliorare.
Genevieve Amélie S. Hale
Il carattere della fata spesso poteva apparire superficiale di primo acchito, ma la verità era che difficilmente faceva avvicinare le persone. Il suo mondo apparentemente perfetto era costellato di impegni all'università, pomeriggi interi in piscina per i suoi allenamenti e turni da bagnina, uniti a qualche momento alla corte fatata. Eppure aveva sofferto dell'assenza di Elise, del fatto che, chissà come o perché, s'erano allontanate. Apparivano come due estranee in quel momento. Inspirò sonoramente la fata, prima di alzare un angolo delle labbra in un'espressione perplessa di fronte a quelle parole, e preoccupata che fosse successo qualcosa di grave. « Sicura? » Domandò sperando di non apparire insistente. Nonostante tutto, teneva realmente ad Elise. Con uno sguardo ai prodotti che sembrava aver adocchiato la giovane, Genevieve sorrise contagiosa. Era da sempre attenta ai prodotti naturali, come era giusto che fosse per una fata, ma per Genevieve il make up, i prodotti di skincare erano un qualcosa a cui non avrebbe mai e poi mai rinunciato. « Sai, sono contenta di sentirtelo dire... E' un qualcosa a cui sono particolarmente legata. » Ricambiò quel suo sorriso che tuttavia non giungeva fino agli occhi e solo dopo un lungo sospiro, la fata cercò le giuste parole. Era già la seconda volta che si incontrava per caso, e Ravenfire per quanto fosse grande non lo era abbastanza per far sì che non si scontrassero nuovamente. « Elise, ascolta, io... Mi dispiace per come ci siamo perse di vista. »
Elise Reagan
Entrambe fiere di sé, probabilmente non avrebbero mai ammesso la mancanza dell'una e dell'altra, eppure in quel preciso istante Elise notò scattare qualcosa nella fata, qualcosa legato proprio alla mancanza: affetto, protezione, interesse nei confronti della veggente, e fu in quel momento che anche quest'ultima si sentì strana, propensa ad accoglierla nuovamente nella sua vita. Ormai il passato era passato, se si fosse bloccata a pensare ciò, non avrebbe mai vissuto come desiderava. 《 Sì, sono sicura, tranquilla. Penso sia stato un brutto periodo per tutti. 》 Mormorò con un'alzata di spalle, sperando l'altra avesse intuito a ciò che intendeva la Reagan. Non glielo avrebbe detto direttamente, non avrebbe voluto sembrare scorbutica, ma forse evitare l'argomento sarebbe stato meglio. La scena vissuta era ancora fresca nella sua mente, nonostante i tanti sforzi di dimenticarla. 《 Oh sì, devi essere contenta e fiera di me. Hanno migliorato molto la mia pelle. 》 Disse, chiudendo per un attimo gli occhi e accarezzandosi il viso con il palmo della mano. Il tutto scherzando, mostrandole un sorriso simile ad un ghigno. Per sfuggire all'imbarazzo di quell' incontro improvviso, Elise aveva preso a scherzare, ma non si sarebbe mai aspettata che di punto in bianco l'altra pronunciasse /quasi a fatica/ quell'ultima frase. 《 Dispiace anche a me...e uhm... Mi piacerebbe recuperare il tempo perso. 》 L'aveva detto davvero? Il suo orgoglio dov'era andato a finire?
Genevieve Amélie S. Hale
Tante cose si potevano dire di Genevieve ma l'orgoglio era una di quelle qualità che potevano diventare davvero difficili da gestire, soprattutto quando si ritrovava di fronte ad una persona con cui aveva condiviso tanto e che ora sembra essere una sconosciuta. Non ricordava nemmeno il motivo per cui si fossero allontanate, entrambe avevano il loro bel caratterino, ma spingersi a scusarsi era un qualcosa di assolutamente inaspettato perfino ai suoi stessi occhi. Genevieve si strinse appena nelle spalle e quel sorriso che era appena accennato divenne decisamente più ampio non appena udì la di lei risposta. « Piacerebbe anche a me... » Avrebbe voluto invitarla magari a prendere un frullato insieme come facevano tempo prima, ma se voleva che le cose andassero per il verso giusto, la fata avrebbe dovuto fare un passo per volta. Si voltò per prendere una crema con estratto di aloe ed altri ingredienti naturali e la porse all'amica. « Prova questa... Sono certa che te ne innamorerai. E sono contenta di averti visto... Magari... Magari, ci vediamo uno di questi giorni. » Si limitò a dire la Hale prima di salutare l'ex amica e uscire velocemente. Non era mai stata brava con le relazioni amicali, ma sapeva che Elise non era affatto una ex amica, ma una possibile amicizia ritrovata.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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federicodeleonardis · 4 years
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Uno sguardo dal ponte, due interventi “autorevoli”su Facebook: Minini e Barrese
Sono profondamente indignato, sono stupefatto, non ho parole per esprimere cosa provo 1.
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. Non seguo i social, non so maneggiarli, una certa nausea mi prende a vedere sempre gattini o cagnolini conditi da discorsi che vogliono essere mordaci o spiritosi e non lo sono affatto e che nel migliore dei casi, raro, sono intelligenti (alcuni amici malati di facebook lo sono e quindi i loro interventi, a volte interessanti, leggibili, ma mi rifiuto di cadere nella trappola del cattivo gusto della pagina, la distribuzione grafica delle immagini senza nessun criterio estetico, pura informazione, puro spiattellamento di colori e forme volgari, frammisti a frasi e lettere demenziali che le intersecano senza alcun intento compositivo, il tutto condito da faccette infantili che sorridono idiote e da like impersonali di massa.
Bene, sono snob e me ne vanto. E sono anche uno stronzo perché approfitto del penchant piuttosto deprimente della mia dolce metà verso il pettegolezzo digitale per lasciare a lei il compito di segnalarmi se per caso pescasse qualcosa di interessante: sono snob, ma non cretino.
Ieri lo ha fatto e che cosa ha pescato? Toh, l’intervento di un antico conoscente (di circa 30 anni fa), che stimo come grafico, sull’articolo di un gallerista non certo dei peggiori sulla piazza (anche se con la sua bellissima moglie, dalla capigliatura imperiale che mi ricordava il magnifico Ritratto (di una non meglio specificata Signora col generoso petto in primo piano) di Palma il Vecchio, oggi al Poldi Pezzoli di Milano, ha generato una figlia che ahinoi ne ha seguito le orme certamente in peggio). Antonio Barrese risponde a Massimo Minini! Udite udite (andate a leggerli su Facebook o se preferite aprite questi link:  [email protected] e poi   [email protected]  ).
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Sono profondamente indignato, stupefatto, depresso al punto che vorrei non aver mai seguito la vocazione di scultore. Vorrei avere la voce di un leone e mettermi a ruggire all’indirizzo di questi personaggi, ambedue noti e affermati nel piccolo mondo che li riguarda. Mi affido a questo foglio per calmare i bollenti spiriti, per dare uno sfogo alla mia aggressività, repressa da una situazione che ha tappato la bocca a tutti e in cui tutti, chi colpevolmente, chi per debolezza, chi per impotenza obiettiva, sono vittime. Il Grande Gallerista (andate a rileggervi i nomi dei suoi pari nella conferenza “profetica” di cui parla), dopo aver sproloquiato di mercato, mercanti, galleristi e supermercati dell’arte, afferma che se la Fiera di Basilea viene annullata ci sarà un crollo generale che farà molte vittime e sotto la valanga resteranno tutti: “belli e brutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri” . In altre parole, sta arrivando Sansone!
Viva Sansone, ci voleva lui perché i Grandi Manovratori volgessero la loro attenzione ad altro che le Fiere, che ne so, Pannoloni per adulti, Ciucciotti per anziani infantili, Boscaioli 2, e lasciassero l’arte agli artisti,  azzerando con una raffica di pallottole virali quella pletora di speculatori minori che hanno intrattenuto rapporti di lingua in bocca col mercato (nel migliore dei casi) o addirittura loschi, con la mafia (nel peggiore). Ma  è lecito domandare all’esternatore: tu dov’eri all’epoca della Vacche Grasse durata fino alla comparsa di Sansone? “Siamo stati sorpresi come pivelli nel momento sbagliato”. Forse tu sei una verginella? Non ti rivolgevi da pari a pari ai Grandi Galleristi, novella Cassandra, nel convegno di cui tu parli? Cosa facevi tu per l’arte, chi hai aiutato, sostenuto gratuitamente, quale novello matta clark, quale rebecca horn con le pezze al culo hai portato avanti, quale voce è venuta fuori dalla tua scuderia di cavalli di razza? Certo in “un mondo di lupi” devi lottare alla pari, ma i lupi sono solo gli altri? L’alibi non mi sembra valido. Un buon gallerista è un modesto promotore di talenti sconosciuti, ripeto, modesto: manda avanti qualcuno che da tempo aveva previsto l’andazzo e lo combatteva, col suo linguaggio e perché no, anche con la tua tanto decantata “mente”. Parli di arricchimento di quest’ultima come scopo principale dell’arte , fai appunto la verginella quando i buoi sono scappati: l’ovvietà ritardata è la peggiore delle ipocrisie e ha ragione Barrese a darti addosso sull’ossimoro della liaison di questo termine con la ricchezza.
Ma veniamo a quest’ultimo, cosa propone? L’ artista cinetico-programmatico che, ripeto, stimo pur non condividendone affatto l’indirizzo , trascinato dall’indignazione afferma che gli artisti dovrebbero essere pagati profumatamente, perché il loro mestiere è insostituibile, prezioso per la società, per la quale lavorano al futuro. Sei uno pratico, Antonio, navigato, non ti facevo tanto ingenuo, la questione è seria.
Pagati? Ho sentito bene? Se gli artisti fanno il loro lavoro per essere pagati siamo alle solite: il cane si mangia la coda, o meglio il lupo mangia l’agnello e siamo al punto di partenza. L’artista dovrebbe sempre fare un altro mestiere per vivere. Intanto dovrebbe vivere, prendere sul serio la vita, coi suoi rischi e le sue meraviglie, altrimenti non ha niente da dire. E poi eventualmente, se ce l’ha , produrre arte. Non solo mente e ricchezza fanno a pugni, ma su un altro ring se la battono anche mestiere e impegno artistico. L’arte non è un lavoro, un mestiere, un’occupazione (programmata o meno) per la quale chiedere un rendiconto: basta a se stessa e non va tutti i mesi a ritirare la pensione. Altra cosa è la competenza: ma questa certamente non la decide il mercato, bensì la storia. La società del futuro decreterà se quell’artista è stato profeta, se ha effettivamente indicato una via. Se con la gioia di aver scoperto e indicato una soluzione per un futuro migliore, una gioia che lo ha aiutato non tanto a sbarcare il lunario, quanto a superare le bastonate che gli infliggono i cretini (siano essi Papi intrallazzoni o presuntuosi che affermano che il naso del David è troppo lungo), ha il diritto di essere ricordato su una piccola targhetta all’angolo di una via: Giardino Wanda Osiris, largo Mike Buongiorno, via Adriano (Celentano: lasciatemi ridere un poco,  visto che mi sto calmando: proprio queste amenità ci regala l’attualità. Se andiamo di questo passo altro che Corona ci vuole!)
Per terminare con una nota di realtà che riguarda proprio la nostra peste e la poesia: ricoverato in una casa di riposo per anziani handicappati, da tempo affetto dalla sindrome che lo accomunava a Hoelderlin, ieri asfissiato da Sansone è morto Benedetti: Tersa morte 3se l’è portato via. Onore a te Mario: lo avevi previsto. Alla maniera degli antichi, ti dedicheremo una stella:
 Via Ferrante Aporti
 E’ rimasto affumicato dalle bombe
il muro fino all’Osteria. Macchie
macchie lisce inosservate senza
nomi, senza fiori, nessuno lo sa.    
 Il vecchissimo oste passa e ripassa
e non mi vede, non mi chiede
che cosa ci faccio in piedi lì fuori.4
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Note
1. Immagine di una scultura visibile nella Galleria Lorenzo Vatalaro di Milano /2. D.F. Wallace /3. Guanda   / 4. Per la cronaca: proposta all’Assessore alla Cultura di Milano la conservazione almeno di una parte del muro di cui parla Benedetti e una targa, nemmeno una telefonata da Ferrovie Grandi Lavori: la sepoltura della memoria è di molto precedente l’arrivo di Sansone.
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