Tumgik
#avere la testa sulle nuvole
precisazioni · 1 month
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non riesco a capacitarmi di come la maggior parte delle persone, o almeno così mi pare di capire, viva senza riflettere sulle scelte da intraprendere, senza interrogarsi su ciò che accade intorno e senza considerare il loro rapporto con gli eventi: ho la netta impressione che, a parte la routine, in molti vivano più o meno a caso. non mi riferisco a un'indole impulsiva che, tra parentesi, in molti casi mi appartiene pure, quanto a una mancata voglia di razionalizzare e analizzare, in un ventaglio di azioni e riflessioni che vanno dal decidere cinque minuti prima cosa mangiare per cena, a come essere un buon coinquilino, alle ragioni che spingono gli altri, dal vicino di casa ai completi sconosciuti, a comportarsi in determinati modi: va bene avere la testa in aria, io stesso ne faccio largamente parte, ma se arrivano in età adulta a cascare dalle nuvole come quando erano adolescenti vuol dire che hanno vissuto un privilegio tale da concedersi di non reagire
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yomersapiens · 2 years
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10 di questi giorni!
I primi auguri che mi arrivano sono quelli automatizzati della farmacia di fiducia, forse il luogo dove da dieci anni investo più soldi. No io non investo in bitcoins, o nel mattone, io investo in pastiglie. Sanno tutto di me, ogni pomata per ogni escoriazione. Per questo i loro auguri sono quelli che apprezzo di più. "Matteo stai invecchiando da fare schifo e decadi malamente ma noi ti siamo vicini e ti forniremo antidolorifici che tu pagherai caro e con quei soldi noi andremo in vacanza e avremo cene in tuo onore".
La cosa assurda, ho sempre invidiato i nati in primavera perché loro potevano festeggiare all'aria aperta. Fare un picnic. Solitamente io dovevo stare rintanato in qualche locale, pensare a un tavolo e a chi eleggere meritevole di un invito ma quest'anno no! Complice la fine del pianeta e le temperature ridicolmente elevate posso finalmente anche io fare qualcosa all'aria aperta!
Invece ho pensato bene di salire su un treno e di tornare in Italia, perché il giorno del tuo compleanno le ferrovie austriache ti regalano il viaggio e io sto messo male con i soldi e allora accetto ogni tipo di elemosina, sorridendo e ringraziando. Ho iniziato a vendere parti del mio appartamento. Piccoli pezzi inutilizzati che conservo solo perché mi ricordano qualcosa che ero. Tipo il sintetizzatore. Uno strumento musicale che nelle mani giuste poteva fare grandi cose ma nelle mie ha fatto biii biiiip biiiiii baaa per qualche anno e ora prendeva solo polvere. Il ragazzo che è venuto a provarlo e poi se l'è portato via era davvero gentile. Lo ha accarezzato e rideva quando premeva i tasti, si divertiva a ricreare canzoni di dubbio gusto e mi ha fatto capire che facevo bene a separarmene. La nuova ansia che mi è salita è una vecchia ansia che si ripresenta a tappe decennali. L'ultima volta mi fece lasciare l'Italia, ora mi sta spingendo a liberarmi di tutti i beni materiali che possiedo. Sento ogni oggetto su i miei scaffali come un peso sulle mie spalle. L'appartamento è un guscio di tartaruga e io riesco a tirare fuori la testa a malapena. Devo liberarmi di ogni zavorra e forse trasferirmi sulle nuvole. Una mongolfiera sarebbe l'ideale. Ernesto apprezzerebbe la vista e insieme si viaggerebbe chissà dove.
Ho sbloccato il superpotere definitivo: non mi interessa più scopare. Occasioni ne ho avute nell'ultimo periodo e mi sono sempre tirato indietro. Una volta era tutto un ossessivo bisogno di conquistare, mettere la bandierina, riempire un vuoto. Ora c'è accettazione. Non sei tu, tu sei bellissima, tu meriteresti davvero di ricevere numerosi minuti di intrattenimento da nudi ma io non ne ho voglia. Va bene così. Qualcuna si è arrabbiata e ho pensato alle volte che è capitato a me e a come mi sono sentito e quanto tempo ci ho messo per imparare a controllare i miei istinti e a non essere più comandato da loro. Forse è solo un traguardo che si sblocca invecchiando ma mi fa sentire bene. Una vita passata a ricercare l'approvazione degli altri e a sentirmi bello attraverso lo sguardo innamorato di una persona che non sono io. Ora tutto tace e mi perdo a scrivere per giorni interi una storia lunghissima che non vedo l'ora di pubblicare.
Eravamo seduti a un tavolo di un bar sovraffolato. Lei piena di tatuaggi, a Vienna per caso perché sta esplorando l'Europa per la prima volta da sola completamente. Mi ha detto di essere una strega. Io le ho detto che poteva essere qualunque cosa volesse che tanto io stavo bene così, a bere un negroni parlando con degli sconosciuti per avere spunti per altre storie da scrivere. Mi dice di essere israeliana e poi mi chiede cosa penso dell'Israele. Le dico che non poteva trovare un argomento più facile per rompere il ghiaccio. Abbiamo riso e dopo un sacco di parole mi sono ricordato di quando ospitavo gente in casa senza nessun motivo, solo perché mi andava di aprirmi al mondo. Lei mi dice che quello è il mio modo di viaggiare. Ha ragione, io odio salire sugli aerei ma se posso portare l'India da me lo faccio subito e ricordo la volta che ospitai la professoressa indiana e mi misi al suo servizio per dieci giorni e fu come essere a Delhi senza dovermi spostare più in la del salotto. L'ho invitata a stare da me, si lamentava del russare del compagno di stanza nell'ostello così le ho offerto il divano. Ci sono stati quei 5 secondi in cui ho ipotizzato di tornare su i miei passi e fare la mossa ma poi ho pensato alle conseguenze. Aprirsi. Spogliarsi. Baciarsi. Imparare un altro sapore. Condividere il mio letto. Assaggiare. Ho lasciato perdere, non mi va più di sovrascrivere costantemente i sentimenti. Avete presente quello che si dice del popolo israeliano? Che arrivano in una terra e occupano tutto quello che possono e ti cacciano anche in malo modo? Ecco, credo di averla invitata solo per provare sulla mia pelle questa sensazione. Dopo 10 minuti in casa mia ogni stanza, mattonella, mobile, era invaso da qualcosa di suo. Una serata l'ho passata rannicchiato sulla sedia in cucina perché mi sentivo espulso dal salotto. Ed è stato interessante ridere insieme di tutto ciò. Sentire cosa diavolo le passava per la testa. Sono diventato la Palestina e non appena ho potuto l'ho cacciata via. Ha detto che mi avrebbe scritto una mail per il mio compleanno ma ancora non ho ricevuto niente. A meno che non abbia iniziato a lavorare presso la farmacia locale.
Prima il gatto, poi Israele, infine separarmi dagli oggetti. È come se stessi cercando di non sentirmi più a casa nelle mie quattro mura. Diventare un fantasma che attraversa le pareti e deve risolvere quello che ha lasciato in sospeso durante la vita terrena prima di passare di livello. Ecco un altro futuro che non mi dispiace.
Andrò a parlare del podcast dal vivo questa settimana. Mi hanno chiesto di farlo davanti ad un pubblico. Chi avrebbe mai pensato che i diari nati come post qua su Tumblr alla fine sarebbero diventati oggetto di discussione con persone fatte di carne. È proprio vero che condividere i cazzi propri ti rende più contemporaneo di quello che vorresti. Il giorno dopo invece, mi metterò a leggere delle poesie che ho scritto insieme a un musicista jazz e ci perderemo in un viaggio per superare la notte.
Non voglio più avere una collezione di videogiochi. Tutte quelle console. Una tv. Strumenti musicali. Un armadio pieno di copie dello stesso vestito. I libri che non rileggerò. I vinili che non ascolterò perché voreebbe dire comprare un giradischi e dove lo metto, ho troppe piante adesso. Voglio solo andare in giro con le mie storie. Portando con me Ernesto finché ne avrà voglia, prima di cercare una nuova casa dove stabilirci oppure no, neanche quello credo sia importante. Tanto lui è un delinquente che sta bene ovunque lo metti e quando andiamo in metropolitana dovreste vederlo, niente lo spaventa.
Bisogna solo resistere e accumulare. L'israeliana mi diceva che a differenza sua io faccio un sacco di cose, che vorrebbe anche lei scrivere e avere storie e canzoni e un podcast e chissà quanti altri progetti. Io le ho detto che tutto questo che ora raccolgo, l'ho seminato nel corso di 39 anni di vita. Mica l'ho fatto da un giorno all'altro. Che se ragioni in quest'ottica allora ti rendi conto che non è proprio tantissimo anzi, è quasi niente. Tu sei ancora giovane, devi passarne di anni di tristezza e solitudine prima di vedere qualche frutto. Lei ha guardato i miei frutti e da brava israeliana ha detto che ora erano suoi e si è portata via una storia.
Però appunto, il segreto è sempre resistere e avere pazienza. Avete notato che sono tornate le tette? Vi ricordate di quando le avevano tolte? Tutti sono andati via da qua, per avere una spunta blu a pagamento altrove. Ma noi no, noi siamo rimasti. Giorno dopo giorno a resistere sotto lo sguardo tossico dell'uomo pikachu. Ma ce l'abbiamo fatta. La tempesta è passata, le nuvole si diradano e in cielo, luminosi, compaiono due immensi capezzoli. Indosso gli occhiali da sole e li guardo con orgoglio. Non mi fate più lo stesso effetto di qualche anno fa, ma mi siete mancati. Non sarò io a gioirne ma sono più che felice per i miei compagni di avventure, chi ora barzotto, chi partecipe in altro modo.
Quando mi fanno gli auguri e mi dicono 100 di questi giorni a me sale l'ansia. Facciamo 10, anche meno dai, le aspettative sempre al minimo e a letto presto mi raccomando. Invecchiare è un impegno quotidiano e invecchiare male è una missione di vita per me.
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keikko · 3 months
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Catastrofi Innocenti #3
Fecero la versione di greco e al termine delle tre ore i ragazzi non si reggevano in piedi. Fiamma vide il compagno di banco alzarsi con le gambe tremanti e chiedere con un filo di voce alla prof di andare in bagno. Le due compagne di fronte a lei erano colte dalla trepidazione post-versione e si parlavano sopra per convincersi a vicenda di aver tradotto meglio dell'altre questa e quella frase. Fiamma sedeva sfinita al suo banco, con le gambe divaricate e le braccia penzoloni come un cristo morto, lasciando che tutto il suo peso venisse sostenuto da quel maledetto strumento di tortura moderno. Qualcuno aprì la finestra sotto l'ordine del professore della sesta ora, che era entrato e si era subito tappato naso e bocca indicando vagamente con un gesto frenetico della mano libera in direzione della finestra. Fiamma si alzò molleggiando, attraversò dall'ultima fila il corridoio e scambiò con il prof un'occhiata di intesa, che avrà espresso una stanchezza e uno smarrimento tali che il professore non osò richiamarla quando uscì dalla classe senza pronunciare parola. Percorse i corridoi della scuola con passo strascicato, percependo l'aria più fredda e lasciandosi sciacquare di dosso il calore della fatica appena passata. Voleva andare in bagno, ma un esigenza più forte e profonda le indirizzò i piedi verso la macchinetta. La macchinetta del caffè era il punto di ritrovo di tutti gli studenti di tutta la scuola. Attirava gli sguardi più famelici e demoralizzati e seduceva col suo borbottio incessante la folla demoralizzata. Fiamma si trovò di fronte quel simbolo di pace e speranza e decise di prendersi un cappuccino prima di cadere dalle nuvole e ricordarsi che non si era portata gli spiccioli. Rimase qualche secondo a fissare la macchina, in bilico tra le lacrime o le risate, e allora rimase ammaliata dal rumore borbottante che sembrava massaggiarle il cervello. Comprese che stava delirando e si dette forza per tornare in classe sconfitta quando senti dei passi alle sue spalle e una botta sulla schiena. Ahi, disse penosamente, e si girò per essere investita dal sorriso splendente di Andrea che non si sa perché non rimaneva mai sconvolta da cataclismi collettivi. Le disse che le aveva preso i soldi perché non l'aveva vista molto lucida, e prima che Fiamma potesse contestare e accusare nella mente un possibile furto e una violazione della proprietà personale, Andrea le dette un bacetto sulle labbra e le passò davanti per prendersi un caffè.
Nuovamente Fiamma rimase stordita da tale evidente forma di affetto e stette in silenzio dietro di lei a contemplare il formicolio che sentiva sulle labbra. Le leccò una volta, e poi una seconda volta più lentamente, quasi ingoiandosela quando di scatto Andrea si voltò e la salutò. Fiamma prese il cappuccino e rientrò in classe. Si sentiva ancora debole nonostante avesse ingerito una buona dose di caffeina e per calmare il mal di testa che le scoppiava nelle tempie pigiò le dita sulle vene pulsanti e appoggiò un attimo la fronte sul banco. Si destò dal sonno al suono della campanella e ringraziò il professore di storia per la sua infinita empatia e compassione verso i suoi studenti.
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Un giorno, un tempo lontano da qui..
Decisi di andarmene, lasciarmi tutto alle spalle, per non continuare a sentir più dolore,sofferenza, sai perché quando sei davvero affezionato ad una persona, potrai ricevere mille pugnalate, ma quella persona per te resterà nel bene e nel male il tuo punto di riferimento. A quel tempo avevo 16/17 anni, in quell'età si sa, non hai in testa un cervello di un 25enne, di un 30enne, hai la testa altrove, fuori dalle nuvole, fuori dalla realtà, quindi non sai cosa può succedere un domani, feci un' errore... di sottovalutare la persona che io avevo affianco, e che persona!
Quest'errore mi costò tutta la mia vita, si perché persi una persona per me molto, e quando dico molto perché lo è davvero, fondamentale, e dico, ad oggi raro trovarla così, feci di tutto per rimediare a questo maledetto errore, sbaglio di 16/17enne
Ma purtroppo non c'era nulla più da fare, era andato tutto in frantumi, da lì non ci capii più nulla, si era spento tutto in me, non pensavo a conseguenze, non pensavo al peggiorare la situazione, non pensavo a nulla.
La mia domanda è. Lei mi Amava davvero?
Lei ci teneva a me?
Vorrei avere una risposta in tutto ciò, anche se difficile, ma queste sono le mie domande che ancora oggi c'è questo punto interrogativo.
Mi ricordo una notte, eravamo a casa,quella notte che decidemmo di concepire.
Di iniziarci a creare una cosa tutta nostra.
Una di quelle notti che, cavolo come si fa a dimenticare? Impossibile
Dal giorno dopo erano iniziati problemi, ora come lo diciamo? Andiamo a prendere il test, mandammo un'altra persona a prenderlo.
Se avessi avuto il potere di decidere io a questa ora non saremmo così, e magari con nostro figlio a goderci la vita!
Io stesso incolpai i genitori! E di questo io non ne ho mai perdonato nulla! Perché non pensare che faceva male solo a lei, il figlio era anche mio, ci soffrivo anche io senza fare vedere nulla, avevo la testa di un bimbo, in grado di non prendere decisioni e di proseguire sulla strada che avevamo preso e deciso insieme..
Tutt' Oggi quando io vedo mio Figlio, in quegli Occhi, vedo un bimbo, il mio primo figlio davvero, mai nato.. e quello io solo so la notte come favo a dormire, pensando a come sarebbe stato, pensando a come ci avrebbe cambiato la vita, pensando a come saremmo cresciuti, pensando a varie fasi della vita, questo accade quando c'è egoismo e si pensi solo a se stessi! Ecco quando accade tutto cio..
Nono stando dopo quasi 7 anni, il passato fa parte di me e lo farà sempre! Il passato da come ho imparato io, ti rende più forte si, ma non potrai mai cancellarlo! E un passato che si e vissuti non che si e immaginati. Il passato farà parte di me, e lo porterò sempre con me!
Non so come mai ma qui mi sta uscendo tutto, forse avevo bisogno di parlarne un po', e quel po' avrei preferito parlarne con te, tempo fa'...
So che la persona che lo leggerà, se lo leggerà soprattutto, non potrà fregarsene di meno, ma io avevo la cosa di scriverlo e di parlarne un po'.
Ora mi trovo maturato, molto, con una testa sulle spalle, una famiglia da mantenere, e con tantissime responsabilità, e posso dire che ci sono riuscito, perfettamente, di questo potrò dire solo grazie a me stesso, perché sai dagli errori che si fanno, si guarisce, si affronta, e si ripete, senza fare errori.
Ci sarebbero altre cose da dire, ma per ora mi fermo qui.
-Il Nero preferito che potessi aver incontrato.🐻🌑
Il passato non si scorda, e tu fai parte del passato! Un bacio e un abbraccio a te.
Ricordati che ti ho voluto davvero bene e te ne vorrò sempre, non si potrebbe scordar un bene così grande, da parte mia, son fatto così!
Non riesco a parlare con lei, solo per sapere come stai, cosa fa, null'altro,ma vab
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personal-reporter · 10 months
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Un viaggio nel passato: Le affascinanti origini dei modi di dire più popolari
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I modi di dire sono parte integrante del nostro linguaggio quotidiano, utilizzati per esprimere idee, emozioni e concetti in maniera figurativa. Spesso usiamo queste espressioni senza pensarci troppo, ma dietro di esse si celano storie affascinanti che risalgono a secoli fa. In questo articolo, ci addentreremo in un viaggio nel passato per scoprire le origini dei modi di dire più popolari che ancora permeano il nostro linguaggio moderno. "Avere le mani legate": Questo modo di dire deriva dall'epoca in cui i prigionieri venivano ammanettati o legati per impedire loro di scappare. Nel tempo, l'espressione è stata adottata nella lingua comune per indicare una situazione in cui qualcuno è impotente o incapace di agire. "Mettere il dito nella piaga": L'origine di questa frase può essere rintracciata nel Nuovo Testamento della Bibbia, dove si narra della risurrezione di Gesù e dell'episodio in cui il dubbioso apostolo Tommaso mette il dito nelle piaghe di Gesù per verificarne la reale presenza. Da qui, l'espressione è passata a indicare il desiderio di esaminare una questione controversa o un problema delicato. "Lanciare la prima pietra": Questo modo di dire proviene da un episodio narrato nei Vangeli, in cui una folla si preparava a lapidare una donna adultera. Gesù intervenne dicendo: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". Da allora, questa espressione è stata utilizzata per mettere in guardia coloro che giudicano gli altri senza considerare i propri errori. "Prendere due piccioni con una fava": Questo modo di dire affonda le sue radici nell'antica caccia con l'uso delle balestre. La fava, come munizione, era particolarmente adatta per colpire due piccioni in una sola volta. Nel tempo, l'espressione è stata adottata per descrivere un'azione che produce due benefici contemporaneamente. "Non è tutto oro quello che luccica": Questa celebre citazione proviene dalla commedia di William Shakespeare "Il mercante di Venezia". Il personaggio del Principe del Marocco afferma: "Tutta quella luce d'oro non è oro; e tutte le cose, che splendono come l'oro, non sono oro". L'espressione è diventata un avvertimento per non farsi ingannare dall'apparenza esteriore delle cose. "Essere al verde": Questo modo di dire ha origine nel XVIII secolo, quando a Londra era in circolazione una pista da corsa per cavalli chiamata "The Green". Quando un giocatore era senza soldi, si diceva che fosse "al verde", ossia senza nemmeno un soldo da scommettere sulle corse dei cavalli. "Avere la testa tra le nuvole": L'origine di questa espressione risale al linguaggio poetico e metaforico, dove le "nuvole" rappresentavano l'immaginazione e i sogni. Pertanto, chi "aveva la testa tra le nuvole" era considerato una persona distante dalla realtà, spesso troppo concentrata sui propri pensieri o fantasie. "Avere le mani in pasta": Questo modo di dire affonda le radici nell'arte culinaria. In passato, quando qualcuno lavorava impastando il pane o preparando cibi, si presumeva avesse le mani sporche di farina o pasta. Con il tempo, l'espressione è stata adottata per indicare chiunque fosse coinvolto in qualcosa di segreto o avesse il controllo di una situazione. "Chiudere un occhio": L'origine di questa espressione si trova nell'antica Roma, quando si credeva che l'atto di chiudere un occhio durante un'assemblea pubblica fosse un segno di approvazione tacita o complicità verso ciò che stava accadendo. Oggi, il modo di dire è utilizzato per descrivere chi ignora volontariamente o tollera un comportamento scorretto. "Avere le mani di pastafrolla": Questo modo di dire è di origine italiana e deriva dalla cucina. La pastafrolla è una base per dolci come crostate e biscotti, e per lavorarla è necessario trattarla con delicatezza e attenzione. Pertanto, chi "ha le mani di pastafrolla" è considerato goffo o maldestro. Questi sono solo alcuni esempi dei modi di dire più popolari e delle loro affascinanti origini. Come vediamo, il linguaggio è un tesoro culturale che conserva tracce del passato, delle tradizioni e delle credenze delle civiltà che ci hanno preceduto. Fonti: - https://www.etimo.it/?term=mano - https://www.dizionario-italiano.it/dizionario-italiano.php?lemma=fava - https://it.wikipedia.org/wiki/Il_mercante_di_Venezia - https://www.dizionario-italiano.it/dizionario-italiano.php?lemma=testa - https://www.dizionario-italiano.it/dizionario-italiano.php?lemma=pasta - https://www.etimo.it/?term=occhio - https://www.dizionario-italiano.it/dizionario-italiano.php?lemma=pastafrolla Read the full article
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pazza-ma-di-che · 3 years
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Sembro una tempesta ma ho un cuore di cristallo. Sembro un uragano ma sono delicata come una farfalla. Basta poco per ferirmi…
Starmi accanto è impegnativo, me ne rendo conto. Ho sempre mille idee per la testa e mille sogni dentro al cuore, un sorriso contagioso ma anche lacrime irrefrenabili. Sono insicura e instabile, perennemente indecisa, eccessivamente sensibile, lunatica e irrequieta. Mi commuovo davanti a un tramonto sul mare, per un film alla tv, per una canzone che mi tocca il cuore, per i primi fiocchi di neve. Do’ molto peso alle parole, mi arrabbio facilmente ma mi basta un abbraccio sincero per perdonare. Non so dire addio, non so separarmi da chi amo, detesto i treni che partono. Vivo sospesa come un'equilibrista sopra le mie paure, volteggiando instabile sulle mie incertezze, tentando di non cadere. Ho un uragano di emozioni che si agitano nella mia anima, come un vulcano sempre pronto ad esplodere da un momento all'altro. Sono tutto e il contrario di tutto, spesso sprofondo nell'abisso delle mie contraddizioni, come in un labirinto perdo la strada del ritorno. A volte allontano chi mi ama per difendere me stessa, per paura di soffrire nuovamente, mi mostro forte solo per nascondere le crepe della mia anima e le mie fragilità. Ogni mio ultimo tentativo spesso diventa il penultimo, ogni ultima volta è la penultima. Tendo sempre a restare, resto se amo, resto se ci credo, resto finché il mio cuore resiste. Quando mi rompo ho imparato a non far rumore e a raccogliere i pezzi da sola. Io sono fatta di neve e di mare, di stelle e di tramonti, sono come Alice che insegue il Bianconiglio, vivo sempre costantemente in bilico tra sogno e realtà. . A volte avrei solo bisogno di qualcuno che mi abbracci e si prenda cura di me quando mi perdo e non so dove cercarmi. Sono fuoco e sono vento, a volte sono un controsenso. Sono la luce del sole e l’acqua salata del mare, sono un cielo di stelle, sono vento sulla pelle. Io resto sempre anche quando fa male, perché l’unica cosa che so fare è amare...Sto solo provando a essere tutto il meglio che posso. ..Libera di sognare, di cadere e di rialzarmi. Libera di avere la testa tra le nuvole e gli occhi pieni di stelle. Libera di sbagliare a modo mio e di ridere senza un motivo. Libera di andare controcorrente ma mettendoci sempre il cuore. Sono fatta di sogni e di amore, di pelle e cuore. Libera di essere un gran casino. Libera di essere semplicemente io.
Malefica 🖤😈
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Addio Franco R.I.P.
«Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie... supererò le correnti gravitazionali», la ricerca di un centro di gravità permanente che non ci «faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente»
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La Cura Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore Dalle ossessioni delle tue manie Supererò le correnti gravitazionali Lo spazio e la luce per non farti invecchiare E guarirai da tutte le malattie Perché sei un essere speciale Ed io, avrò cura di te
Gli uccelli Volano gli uccelli volano Nello spazio tra le nuvole Con le regole assegnate A questa parte di universo Al nostro sistema solare Aprono le ali Scendono in picchiata, atterrano Meglio di aeroplani Cambiano le prospettive al mondo Voli imprevedibili ed ascese velocissime Traiettorie impercettibili Codici di geometria esistenziale
L’animale Vivere non è difficile potendo poi rinascere Cambierei molte cose un po’ di leggerezza e di stupidità Fingere, tu riesci a fingere quando ti trovi accanto a me Mi dai sempre ragione e avrei voglia di dirti Che è meglio che sto solo Ma l’animale che mi porto dentro Non mi fa vivere felice mai Si prende tutto anche il caffè Mi rende schiavo delle mie passioni E non si arrende mai e non sa attendere E l’animale che mi porto dentro vuole te
Voglio vederti danzare Voglio vederti danzare Come le zingare del deserto Con candelabri in testa O come le balinesi nei giorni di festa Voglio vederti danzare Come i dervishes turners che girano Sulle spine dorsali O al suono di cavigliere del Katakali E gira tutto intorno alla stanza mentre si danza, danza E gira tutto intorno alla stanza mentre si danza
Cuccurucucù Cuccurucucu paloma Ahia-ia-ia-iai cantava Cuccurucucu paloma Ahia-ia-ia-iai cantava Le serenate all’istituto magistrale Nell’ora di ginnastica o di religione Per carnevale suonavo sopra i carri in maschera Avevo già la luna e urano nel leone “Il mare nel cassetto” “Le mille bolle blu” Da quando sei andata via non esisto più “Il mondo è grigio il mondo è blu” Cuccurucucu paloma
L’era del cinghiale bianco Pieni gli alberghi a Tunisi Per le vacanze estive A volte un temporale Non ci faceva uscire Un uomo di una certa età Mi offriva spesso sigarette turche, ma Spero che ritorni presto l’era Del cinghiale bianco Spero che ritorni presto l’era Del cinghiale bianco
Bandiera bianca Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare Rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro. Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare Quei programmi demenziali con tribune elettorali E avete voglia di mettervi profumi e deodoranti Siete come sabbie mobili tirate giù uh uh. C’è chi si mette degli occhiali da sole Per avere più carisma e sintomatico mistero Uh com’è difficile restare padre Quando i figli crescono e le mamme imbiancano. Quante squallide figure che attraversano il paese Com’è misera la vita negli abusi di potere. Centro di gravità permanente Una vecchia bretone Con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù Capitani coraggiosi Furbi contrabbandieri macedoni Gesuiti euclidei Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori Della dinastia dei Ming Cerco un centro di gravità permanente Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente Avrei bisogno di Cerco un centro di gravità permanente Che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente Over and over again Prospettiva Nevsky E studiavamo chiusi in una stanza La luce fioca di candele e lampade a petrolio E quando si trattava di parlare Aspettavamo sempre con piacere E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba Dentro l’imbrunire E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba Dentro l’imbrunire
Stranizza d’amuri ‘Ndo vadduni da Scammacca I carritteri ogni tantu Lassaunu i loru bisogni E i muscuni ciabbulaunu supra Jeumu a caccia di lucettuli... ‘A litturina da ciccum-etnea I saggi ginnici ‘u Nabuccu ‘A scola sta finennu. Man manu ca passunu i jonna Sta frevi mi trasi ‘nda lI’ossa ‘Ccu tuttu ca fora c’è ‘a guerra Mi sentu stranizza d’amuri… E ti vengo a cercare E ti vengo a cercare Anche solo per vederti o parlare Perché ho bisogno della tua presenza Per capire meglio la mia essenza. Questo sentimento popolare Nasce da meccaniche divine Un rapimento mistico e sensuale Mi imprigiona a te. Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri Non accontentarmi di piccole gioie quotidiane Fare come un eremita Che rinuncia a sé.
Povera patria Povera patria Schiacciata dagli abusi del potere Di gente infame, che non sa cos’è il pudore Si credono potenti e gli va bene quello che fanno E tutto gli appartiene Tra i governanti Quanti perfetti e inutili buffoni Questo paese devastato dal dolore Ma non vi danno un po’ di dispiacere Quei corpi in terra senza più calore? Non cambierà, non cambierà No cambierà, forse cambierà
Sentimiento nuevo Es un sentimiento nuevo Che mi tiene alta la vita La passione nella gola L’eros che si fa parola Le tue strane inibizioni Non fanno parte del sesso I desideri mitici di prostitute libiche Il senso del possesso che fu pre-alessandrino La tua voce come il coro delle sirene di Ulisse m’incatena
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love-nessuno · 3 years
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Apro Facebook e scopro che il mondo intero ce l’ha con Beppe Grillo. Tutti lì a demonizzarlo. Boh, dico io… davvero vi stupite per le sue parole? Davvero c’è chi cade dalle nuvole? Non è sempre Beppe Grillo quello che nel 2014 scriveva in un post “Cosa fareste da soli in auto con la Boldrini?”, dando la stura ai peggiori istinti dei suoi accoliti? Quella volta però andava bene, perché la Boldrini vi stava sulle palle, vero? Dove avevate lasciato, quella volta, il vostro femminismo d’accatto? Perché non vi siete strappati i capelli? Dove eravate, voi altri mastini del politically correct? Perché non vi siete premurati di gridare all’universo la vostra indignazione, magari con una bella ‘story’ su Instagram, quella volta?
E adesso vi stupite? Vi stupite di Beppe Grillo? Sì, Beppe Grillo, quello che nel 2001 diede della ‘vecchia puttana’ a Rita Levi Montalcini. Quello che nel 2016 lanciava l’hashtag ‘#Boschidovesei in tangenziale con la Pina’. Vi lascio immaginare i commenti triviali dei soliti adepti campioni di bon ton (peraltro gli stessi commenti vomitevoli che ancora oggi si vedono ogni tanto sotto i post di Andrea Scanzi). Però, hey, tutto ok: si parlava della Boschi e di Banca Etruria, quindi andava bene darle dalla puttana, era una cosa normale, sul “Fatto Quotidiano” si pubblicavano quelle vignette sessiste che vi facevano divertire tanto (ricordate?) e allora tutti giù a ridere di gusto, a osannarlo: ‘Bravo Beppe!’. Già, bravo Beppe. E bravi voi, che ogni anno puntualmente condividete la foto delle scarpette rosse. Quando forse quelle scarpette avreste dovuto avere il coraggio di lanciarle in testa a qualcuno, molto tempo fa.
Detto ciò, ecco la riflessione a margine: lo sdegno al giorno d’oggi è un’arma che viaggia a corrente alternata. Si fanno piovere roventi filipicche sulle teste dei nemici, ma ci si guarda bene dal rimbeccare gli amici. Un medesimo concetto, espresso da persone diverse, ci provoca reazioni differenti. A seconda delle circostanze, possiamo essere degli schiumanti Savonarola che invocano la forca e il rogo, ma all’occorrenza comportarci anche da pesci in barile e infischiarcene beatamente. Così non stupisce affatto che la reazione dei parlamentari Cinque Stelle, di fronte alle affermazioni di Grillo che hanno fatto gridare allo scandalo il popolo del web, sia stata in qualche modo tiepiedina. Gli stessi parlamentari che per anni hanno sventolato manette, ora si riscoprono garantisti. Andate a dare un’occhiata sulla pagina Facebook del comico, dove schiere di devoti (soprattutto donne) fanno quadrato attorno al loro vate.
Niente di nuovo sotto il sole. I tripli avvitamenti carpiati fanno parte della politica da sempre. Eppure penso che non possiamo e non dobbiamo rassegnarci alla logica del Giano bifronte. L’indignazione è un’antica arte, ma forse dovremmo imparare ad esercitarla nella sua forma più assoluta e sublime, ovvero quella contro noi stessi. Indignarci quotidianamente, costantemente, per ciò che eravamo, per ciò che siamo, per ciò che pensiamo, per ciò che crediamo. Impariamo a mettere in dubbio le nostre più ferme convinzioni, a sospettare dei pensieri incubati dalla nostra mente, a rimangiarci la parola data, riscopriamo il gusto dell’incoerenza, del cambio repentino di opinione, a sostenere una tesi e l’attimo dopo quella opposta. Destiniamo a noi, e a noi soltanto, le strigliate peggiori, le rampogne tonanti, le prediche e le tirate d’orecchi. Biasimiamoci, sempre e comunque, per ogni affermazione uscita dalla nostra bocca, per ogni certezza che alberga in cuor nostro, malediciamo noi stessi, applichiamo su di noi le condanne più severe, e poi crocifiggiamoci e non perdoniamoci nulla, inflessibili spietati, censori della nostra stessa esistenza, moralizzatori e fustigatori dell’io.
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vento-del-nord · 3 years
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Di’, ti ricordi dei sogni?
quand’erano proprio lì,
davanti?
Che distanza, in apparenza,
dagli occhi!
Sembravano alte nuvole,
fantasmi senza un appiglio,
orizzonti irraggiungibili.
Ora guardali, con me,
eccoli dietro di noi.
Se erano nuvole,
siamo su nuvole più alte.
E se orizzonti, lontani,
ora per vederli,
bisogna voltar la testa
perché li abbiamo passati.
Se erano fantasmi,
senti
sulle palme delle mani,
sulle labbra,
quell’orma ancora calda
dell’abbraccio
in cui smisero di esserlo.
Ci troviamo all’altro lato
di quei sogni che sogniamo,
da quel lato che si chiama
la vita che si è compiuta.
E ora,
da tanto aver realizzato
il nostro sognare,
il nostro sogno è in due corpi.
E non bisogna guardarli,
senza che uno veda l’altro,
da lontano, dalle nuvole,
per ritrovarne altri nuovi
che ci spingano alla vita.
Guardandoci faccia a faccia,
vedendoci nel già fatto
sboccia
da quelle gioie compiute
ieri, la gioia futura
che ci chiama. E un’altra volta
la vita si sente un sogno
tremante, ed appena nato.
Salinas
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xsavannahx987 · 3 years
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- Il comandante e la cacciatrice - cap. 5
"I tuoi occhi forzano le mie difese inutili l'hai già capito che ormai mi sto arrendendo...Il tempo si ferma qui sulle tue labbra adesso, tu che senza toccarmi scavi in me, senza guardarmi vedi in me quello che non avrei saputo ritrovare mai. E le tue mani sciolgono le mie paure illogiche, sai che non fuggirò perchè ci sto credendo. Resto in silenzio e tremo già, solo tu sai come si fa a imprigionare qui l'eterno in un momento" MARCO MASINI
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Il mattino portò con sè altra neve. Stando alle previsioni meteo di quella giornata non erano previsti miglioramenti, al contrario era in arrivo una vera e propria tormenta. Il termometro segnava temperature record che non andavano sopra lo zero termico e avrebbe continuato a fare così freddo anche i giorni a venire. Fortunatamente, nonostante la rigidità climatica, tra le mura di Tiamaranta's fortress il calore si sprigionava dai numerosi caminetti accesi che bruciavano legna a pieno regime. Anche la stanza del comandante era ottimamente riscaldata, sebbene ci fosse qualche leggero spiffero tra le pietre antiche. Cullati da quel piacevole tepore, Cullen ed Helena continuarono a dormire fino a mattina inoltrata, quando il comandante si destò per primo ancora abbracciato alla cacciatrice. Si alzò cercando di fare il minimo rumore possibile per evitare che la ragazza potesse svegliarsi. Si vestì in silenzio accompagnato dal crepitio delle fiamme che ardevano e il fruscio degli abiti che indossava continuando a sorridere come non faceva da tanto tempo. Di solito si svegliava sempre con la stessa espressione ogni giorno, quella sottile malinconia che gli dipingeva il volto e tirava quelle cicatrici sulla pelle. Ma stavolta no. Stavolta, sebbene la giornata fosse grigia e nevosa, c'era il sole dentro di sè. Quando fu completamente vestito si voltò a guardare la cacciatrice ancora dormiente e abbracciata al soffice cuscino e ringraziò il cielo di avergliela fatta incontrare. Poi timidamente le sfiorò la fronte con le labbra ed uscì dalla camera, richiudendosi la porta alle spalle
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Sceso nella grande cucina di Tiamaranta's  fortress trovò tutti i membri dell'Organizzazione seduti attorno al tavolo. Chi mangiava, chi beveva semplicemente qualcosa e chi scambiava due chiacchiere. C'era una bella atmosfera quel giorno, ma forse era solo il suo stato d'animo felice a renderla tale. Al suo ingresso tutti i presenti si voltarono, grati di rivedere il loro comandante di nuovo in piedi e in salute. Cassandra fu la prima a domandare come si sentisse, ricevendo una risposta positiva ed un sorriso che non vedeva da anni dipingersi sul viso di Cullen. Dorian e Josephine si mandarono un'occhiata di sottecchi e il mago non potè fare a meno di ridacchiare. "Helena?" domandò poi Cassandra, ricordandosi di ciò che aveva sentito la notte precedente proprio in quella stessa stanza. "Sta ancora dormendo" annunciò Cullen tranquillo, mordendosi il labbro un istante dopo al pensiero di suscitare pettegolezzi su quella sua risposta. Dorian sorrise trionfante in direzione di Josephine, quasi le stesse dicendo di aver avuto ragione senza proferire parola. "Non ha dormito nella stanza che le era stata preparata" fece notare il mago per dare valore tangibile al suo sesto senso. "Ehm...no..." mormorò il comandante arrossendo appena e passandosi una mano dietro la nuca, un gesto che faceva spesso quando qualcuno lo metteva in imbarazzo o lo rendeva nervoso. "Ah no?!" fece ancora Dorian deciso a far confessare Cullen. "Beh, ecco..." commentò l'uomo, ma venne interrotto da Cassandra che ribadì al mago di non desiderare pettegolezzi tra le mura della fortezza.
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Proprio mentre l'imbarazzo sul volto di Cullen era quasi tangibile, Helena varcò la porta della cucina, i capelli ancora un pò arruffati e i vestiti stropicciati, non avendo a disposizione i suoi effetti personali. "Perdonate il mio aspetto, ma non ho le mie cose qui..." annunciò avanzando verso il tavolo dove una caffettiera ricolma sprigionava ancora vapore. "Ho bisogno di un caffè" dichiarò poi prendendo una tazza. "Attendevamo tutti la tua presenza, cacciatrice...qualcuno più di altri" si intromise Dorian, di nuovo il sorriso trionfante sul volto. "Buongiorno Helena" le mormorò Cullen quando la ragazza le passò accanto. "Buongiorno anche a te. Sono felice di vedere che stai meglio" rispose la ragazza cercando di non tradire le sue emozioni. Sorseggiando il caffè bollente la cacciatrice fece presente di voler fare ritorno al suo appartamento il prima possibile, dichiarando di volere, quantomeno, raccogliere i propri effetti personali e chiamare il padrone di casa per disdire il contratto di affitto. "Sei sicura di voler venire a stare qui?" domandò allora Cullen, notando che la ragazza non era molto entusiasta di lasciare la propria residenza. "Non proprio, ma se dobbiamo lavorare tutti insieme credo sia più pratico venire qui" disse piano. "Non voglio che ti senta costretta, ma vorrei...voglio dire..." e sospirò. "Cosa cerchi di dirmi, Cullen?" incalzò Helena desiderosa di conoscere la risposta. Ma il comandante cambiò discorso, non essendo molto abituato ad esternare i propri sentimenti. "Ti accompagno a casa se vuoi e poi deciderai cosa è meglio per te. Va bene?" e tutto ciò che ricevette fu un cenno di assenso da parte di una ragazza un pò delusa nel non aver avuto la risposta che sperava.
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Il rumore della risacca si mischiava a quello delle suole di gomma sulla neve fresca, mentre grossi fiocchi ghiacciati continuavano a scendere abbondantemente dal cielo. Camminavano l'uno accanto all'altra in un silenzioso imbarazzo. Cullen interruppe quel mutismo parlando del meteo e cercando, in un modo o nell'altro, di sciogliere il ghiaccio creato tra loro. "Ti metti a parlare del tempo?" domandò allora Helena, un pò divertita da quel suo modo goffo di iniziare un discorso. "Di cosa vorresti parlare?" annunciò allora il comandante, preso in contropiede. "Non saprei. Da cosa vuoi cominciare?" chiese la cacciatrice, desiderosa di affrontare un determinato argomento. "Innanzitutto devo ringraziarti!" disse Cullen sorridendo nella sua direzione, un sottile imbarazzo nella voce. "So che ti sei presa cura di me tutta la notte. Lo apprezzo molto" Helena sorrise al ricordo della notte appena trascorsa, sebbene le condizioni di salute del comandante l'avessero fatta preoccupare. "Sono felice di vedere che stai meglio. Ho avuto davvero paura..." e questa sua ultima affermazione la imbarazzò. Sapeva che la sua presenza al capezzale dell'uomo non era soltanto frutto di mero altruismo, sebbene cercasse di nasconderlo agli occhi di Cullen per paura di una sua reazione avversa.
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"Non voglio che ti preoccupi per me..." mormorò l'uomo. "Cullen, da come mi dicono ti sei sempre preoccupato per tutti, mettendo da parte te stesso. Per una volta lascia che qualcuno si preoccupi per te." disse Helena guardandolo intensamente negli occhi. Fu allora che Cullen la colse di sorpresa. Si arrestò improvvisamente, gli occhi che fissavano la neve sotto ai suoi piedi e con un gesto rapido la strinse a sè, poggiando la testa sulla spalla della ragazza e respirando affondo il profumo dei suoi capelli. Helena si abbandonò totalmente a quell'abbraccio inaspettato ma desiderato e lo cinse con le braccia, lasciando che fossero i silenzi a parlare al posto loro.
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Quando sciolsero quel contatto, Cullen le accarezzò piano il viso proprio dove un fiocco di neve si era posato sulla pelle fredda di Helena. Gli occhi intensi di lui si persero nuovamente nel mare calmo e limpido di quelli di lei, come accaduto solo 24 ore prima, quando si erano visti per la prima volta. "Non vorrei sembrarti avventato..." dichiarò poi senza distogliere lo sguardo da lei "Ma da quando ti ho vista entrare nel mio studio ho sentito qualcosa...qualcosa che pensavo di non poter sentire più" e lasciò la frase in sospeso affinchè lei potesse recepire il messaggio.
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"Cullen io..." provò a dire qualcosa, ma la frase le morì in gola. Le labbra del comandante calde ed umide si poggiarono dolcemente sulle sue appena dischiuse nel tentativo di terminare cosa aveva intenzione di dire. Rimasero così per un tempo non quantificabile, stretti l'uno contro il corpo dell'altra, incapaci di staccarsi. Quando le loro labbra si distanziarono a fatica, Cullen sospirò. "E' stato...bello..." mormorò timidamente. "E' stato perfetto" dichiarò lei di rimando, completamente rapita dal suo sguardo.
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Arrivarono a San Myshuno a metà pomeriggio. Nella grande città aveva smesso di nevicare da qualche ora e un timido sole si era affacciato oltre le alte nuvole bianche, sebbene la temperatura rimanesse molto rigida. Durante la passeggiata parlarono del più e del meno, come se si conoscessero da sempre innescando maggiormente l'alchimia tra loro. Quel timido bacio aveva sciolto del tutto l'imbarazzo e a giudicare da come si tenevano mano nella mano agli occhi dei passanti apparivano come una qualsiasi coppia di fidanzati. "Lì al penultimo piano c'è il mio appartamento" annunciò Helena indicando con l'indice verso la palazzina in cortina. "Ok..." disse piano Cullen abbassando lo sguardo all'idea di doversi separare da lei, benchè l'avrebbe rivista quella stessa notte per la caccia ai vampiri. "Ti va di accompagnarmi su? Se devo prendere le mie cose, avrò bisogno di due braccia forti" confessò Helena, spinta dal desiderio di non lasciarlo andare. Cullen accettò senza farselo ripetere due volte ed insieme salirono la scalinata d'ingresso del palazzo. L'atrio era freddo e le mura avevano un bisogno urgente di essere ritinteggiate, così come l'ascensore necessitava un intervento di manutenzione. Il comandante rabbrividì all'idea che Helena potesse vivere in un posto così fatiscente, ma quando la ragazza aprì la porta del suo appartamento rimase senza parole. Era piccolo, ma ben disposto e arredato con minuziosa delizia ed ogni piccolo ninnolo racchiudeva un ricordo. Era così caldo e personale, nulla a che vedere con Tiamaranta's fortress che non aveva nulla del luogo accogliente e domestico. Tutto in quell'appartamento parlava di Helena, dalle foto di quando era bambina, alle scarpe gettate in un angolo dell'ingresso. "Beh...questa è casa mia. Non è granchè, ma è casa!" annunciò Helena accendendo la luce del salotto. Cullen continuava a guardarsi attorno, come se volesse assorbire quante più informazioni possibili su di lei solo osservando i dintorni. "Prendo solo poche cose" annunciò poi con una nota di rammarico nella voce all'idea di lasciare l'unico posto dove si fosse sentita finalmente a casa. "Sei sicura di voler venire a stare alla fortezza?" domandò allora Cullen notando il suo malcontento. "E' più pratico" dichiarò la cacciatrice, come aveva fatto qualche ora prima nella cucina di Tiamaranta's fortress. "Non è giusto privarti della tua vita solo perchè hai accettato di far parte della squadra" disse Cullen in tono di vero leader quale era. "Cullen io sono la cacciatrice. La caccia ai vampiri è la mia missione, la nostra missione. Secondo Cassandra sarei più al sicuro alla fortezza con le protezioni magiche di Amelia che qui, in questo appartamento, dove potrei benissimo venire attaccata non appena uscita dal portone" aggiunse tutta d'un fiato per paura di cedere alle emozioni contrastanti su un possibile trasferimento in via definitiva. "Nessuno ti attaccherà fuori da questa casa...non finchè ci sarò io ad attenderti al portone" concluse Cullen, quel suo lato protettivo che Helena stava conoscendo. 
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Fu Helena stavolta a lanciarsi di pancia, spinta da un sentimento nascente. Gettò le braccia attorno al collo del comandante e lo baciò teneramente, con trasporto crescente, finchè i loro baci non si fecero più ardenti, senza trascendere nel volgare. In quel trasporto era racchiuso un sentimento a lungo assopito, nascosto nell'angolo più recondito del cuore di entrambi, che finalmente veniva alla luce con prepotenza, affamato da anni di carestia emozionale. La sensazione di appartenenza che li univa irrimediabilmente fece accrescere il desiderio tra loro e quei baci continuarono ad evolversi in qualcosa di più profondo. Quando Helena fu in grado di staccarsi dalle labbra di Cullen, tutto ciò che riuscì a proferire fu il nome di lui, quasi senza fiato, ansimando appena dalla crescente voglia di quel qualcosa in più, il passo successivo che l'avrebbe legata a quell'uomo a lungo cercato, voluto e finalmente trovato. "...voglio stare con te..." aggiunse poi con un tumulto di emozioni contrastanti che lottavano tra loro: paura, voglia, timidezza, sfrontatezza, erano tutte lì insieme a darsi battaglia, ma unite nello stesso obiettivo. Cullen sorrise di quella confessione, desideroso anch'egli del medesimo pensiero. "...ma ho paura..." disse poi Helena quasi sottovoce. "Io ho più paura di te" confessò Cullen accarezzandole il viso con la punta delle dita. Abbassò lo sguardo come era solito fare quando la timidezza prendeva il sopravvento e questo Helena lo aveva capito fin dal primo approccio. Gli prese la mano tra le sue come a volergli infondere coraggio per tirare fuori il lato sicuro di sè. "Cullen se tu vuoi..." mormorò poi accarezzando il dorso delle sue mani. Il comandante sorrise rialzando lo sguardo e in quell'espressione si riaccese tutto il coraggio e la sicurezza. Sollevò Helena tra le braccia, come fossero due sposi che varcano la soglia del loro nido d'amore dopo le nozze, i muscoli delle spalle tesi ben visibili sotto l'aderente camicia scura.
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La camera da letto di Helena era nella semi oscurità, illuminata soltanto dai pochi raggi del sole che filtravano dai vetri appannati di una piccola finestra. Era ampia e un pò spoglia, completamente in ordine rispetto al resto dell'appartamento, segno che la cacciatrice passava molto poco tempo in quella stanza. Spesso si addormentava sul divano a mattino inoltrato, la tv accesa, coperta soltanto dall'accappatoio del bagno. Non aveva mai portato nessun uomo nella camera. A dire la verità nessuno in generale era mai entrato in casa sua da quando viveva a San Myshuno, tranne il padrone di casa, ovviamente che veniva quando c'era qualcosa da riparare o per riscuotere l'affitto mensile. Cullen era il primo in assoluto a varcare la porta della sua camera da letto ed anche il primo uomo a sdraiarsi tra quelle coperte che profumavano di lavanda.
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Il comandante adagiò Helena sul letto baciandola teneramente mentre le accarezzava i lunghi capelli ancora umidi di neve. Il suo corpo premuto contro quello di lei, mentre le mani della ragazza frugavano alla ricerca dei bottoni della camicia. Li slacciò uno alla volta con calma e precisione fino a sfilargliela dalle larghe spalle e mettendo in risalto gli addominali scolpiti. Il respiro di Cullen accelerò iniziando ad alzare la maglietta di Helena e notando l'intimo che indossava sotto i vestiti. Si liberarono dei restanti lembi di stoffa che coprivano i rispettivi corpi fino a restare completamente nudi e vulnerabili. Pelle contro pelle, stretti in un abbraccio intimo senza proferire alcunché, lasciando parlare tutto il resto.
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Cullen si muoveva adagio sopra di lei, come in una danza accompagnata dal cigolio regolare del letto e dai gemiti di piacere di entrambi. In quell'istante capirono entrambi di essere esattamente dove dovevano stare, nel posto a cui erano destinati. "La migliore storia d'amore è quando ti innamori con una persona inaspettata, nel momento più inaspettato". Le ombre iniziarono ad allungarsi per le strade della grande città mentre il sole scendeva piano dietro i grattacieli più alti ed il momento della caccia si faceva sempre più prossimo. Cullen ed Helena non si curarono del passare del tempo, continuando ad amarsi ancora e ancora, finchè la ragazza non ansimò più forte chiamando il nome di lui e il suo corpo vibrò poderoso. L'estasi raggiunse anche il comandante un secondo dopo di lei. Le sue spalle si rilassarono e si abbandonò completamente contro il corpo della cacciatrice, ansimando piano.
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"Vorrei dirti un milione e forse più parole..." annunciò Cullen riprendendo fiato e guardandola negli occhi, mentre la stringeva a sè, il cuore che batteva all'impazzata. "Dimmele" mormorò lei accarezzandogli il petto imperlato di sudore. "Ti sembrerò un pazzo avventato..." pronunciò abbassando leggermente lo sguardo "Non ho mai provato nulla di simile prima d'ora, ma tu hai abbattuto tutte le mie difese con un semplice sguardo e non avrei mai creduto che potesse succedere in un secondo...io mi sto innamorando". e alzò di nuovo gli occhi per guardare i suoi, sperando e pregando silenziosamente che fosse lo stesso per lei. Helena non riuscì a dire nulla. Una lacrima si affacciò dai suoi occhi chiari e si affrettò a nascondere il viso sulla spalla di lui. Odiava mostarsi così debole e vulnerabile. Era pur sempre la cacciatrice, una donna forte e coraggiosa, una combattente senza paura e la debolezza era un'arma contro di lei per i suoi nemici. "Perdonami..." sussurrò Cullen "Mi sono spinto troppo oltre..." Con gli occhi ancora umidi e il corpo scosso da piccoli singhiozzi, Helena alzò la testa e lo guardò. "Anche io mi sto innamorando di te" sussurrò asciugandosi la guancia col dorso della mano. Il comandante sorrise finalmente rilassato e la baciò ancora.
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Rimasero stretti l'uno all'altra mentre il buio accese i mille lampioni della grande città e Cullen si addormentò, felice come non lo era mai stato. Helena lo guardò a lungo, bellissimo come un dio greco, nudo sul suo letto, la pelle baciata dalla luca argentea della luna. Si vestì in fretta e prese le armi, un paio di paletti e una croce. Poi con un timido bacio sulla guancia di Cullen uscì nel silenzio della sera, pronta ad affrontare qualsiasi vampiro avrebbe incrociato sul suo cammino.
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Autore: @elisanellastanzadisopra
Illustrazione: @alessandrawildcherry (instagram)
Il bosco di Eirin - L’alce
Eirin era solita passare i pomeriggi guardando fuori dalla finestra della sua camera: i gomiti sul davanzale e le mani sotto il mento a tener su la testa. Riusciva a immaginare che il campetto sotto casa fosse un bosco fitto di alberi incantati e abitato da curiose creature non umane. Per la maggior parte del tempo la sua mente era alla prese con simili pensieri, ma non per questo sfuggiva ai suoi occhi ciò che per lei era reale. Un pomeriggio si incamminò per un sentiero del suo bosco. Occhi in su a guardare fin dove arrivavano i rami degli alberi più alti e uno sguardo alle nuvole. Mentre saltellando contava i passi cercando di evitare le margherite e cogliendo di tanto in tanto un papavero rosso dai petali leggeri, qualcosa in mezzo all'erba attirò la sua attenzione. Smise di contare dimenticando dove era arrivata e si mise a contemplare un piccolo bastoncino di legno dalla forma particolare. «Devo averla già vista da qualche parte, forse in un libro». Quella forma le era familiare ma non ne ricordava il significato. Eirin credeva profondamente nel potere comunicativo che poteva esprimere il mondo intorno a sè.
«Se sai osservare, vedrai. Se sai ascoltare, sentirai» era il suo pensiero costante.
Tornò di corsa a casa per cercare tra le pagine dei suoi libri quella sagoma a forma di “zampa di gallina”. Sfogliò le prime pagine di un libro e arrivata a pagina quindici la vide, era proprio lei: la runa algiz che rappresenta protezione, difesa e aiuto. Una runa positiva che le si era palesata davanti in posizione dritta e che, secondo la mitologia, trova la sua rappresentazione nell'alce: simbolo di forza, coraggio e di una profonda spiritualità. Decise che l'indomani sarebbe tornata nel bosco a prendere quel pezzettino di legno, ma non riusciva a contenere l'eccitazione e l'entusiasmo per aver fatto caso ad un simbolo così potente. Sfogò la sua felicità su carta, prendendo una matita e cominciando a disegnare i palchi spessi dell'alce, il muso con una gobba all'ingiù, addormentandosi poi con la matita in mano e il foglio sulle gambe. Sognò di tornare nel bosco a recuperare la runa. Dopo averla presa in mano, si guardò intorno e in lontananza scorse l'alce. L'animale non si fece avvicinare, ma si lasciò guardare e riuscì a infondere una forte energia nel cuore di Eirin.
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pocodormire · 4 years
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sono stanca di non avere testa per niente. ci rido sopra e ci scherzo sul mio essere distratta, sulle nuvole, continuamente con la testa in 3 parti diverse. ho perso il bancomat, non lo trovo da nessuna parte, non so se sono io ad averlo appoggiato da qualche parte senza ricordarmi o se potrebbe essermi stato rubato. sono stanca, ho dormito pochissimo come al solito questa notte, sto ribaltando casa da sopra e sotto e non so che fare
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erosioni · 3 years
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Non chiamarmi Andryusha 2
– Pensa Andrei, pensa… non c’è niente che non si possa sistemare con un po’ di logica… - Purtroppo il cervello non era nelle migliori condizioni per pensare dopo tanto stress e mancanza di sonno. Scrivere a Tanya e proporre di andare a casa sua? Ma lei viveva con altre due ragazze, difficile che avesse casa libera tutto il weekend. Andare da un’altra parte, ma dove? Forse poteva anche trovare un altro posto, ma poi cosa fare della cuginetta? Se non riusciva a sistemare questa cosa Tanya l’avrebbe mandato affanculo una volta per tutte e soprattutto non avrebbero scopato. Ebbe un flash fulmineo con Tanya che si metteva a pecora e muoveva lentamente il culetto per farlo eccitare, sorridendo con quel sorrisetto da troia che sapeva fare… La mano gli scese distrattamente verso il cazzo. – No, no… cerca di rimanere lucido per piacere… - pensò.
Tornò nell’altra stanza. Darina era annuvolata in un angolo col cellulare in mano.
– Darina… scusa se ho reagito male, ma è un brutto periodo. –
-          Andrei… mi dispiace, so che non mi sopporti, non mi sopporta nessuno… -
-          Ma che dici, dai, scommetto che hai un sacco di amici, non vuoi uscire con loro stasera? Dopotutto è venerdì… –-
La ragazzina si illuminò – Veramente posso? Posso? Pensavo che papà ti avesse detto di recludermi a casa… -
Andrei cominciò a sentirsi speranzoso – Ma tu ormai sei grande no? Scommetto che non vedi l’ora di andartene in giro per i cazzi tuoi…
Darina gli si gettò al collo di nuovo – Ooorooo! - 
-          Lo dico anche ioooo! – pensò Andrei esaltato.
Andrei si preparava per la serata allegramente. Controllò di avere i preservativi, la vodka e tutto il resto. Tanya sarebbe arrivata verso le 10 e quindi non sarebbero usciti. Dopo mangiato si sarebbero chiusi in stanza e con un po’ di fortuna, al ritorno di Darina tra sesso vodka e droga sarebbero già stati nel pieno del sonno. Poi l’indomani si sarebbe occupato di spiegare la presenza della cugina e l’avrebbe mandata da qualche altra parte.
La porta del bagno era chiusa da un’ora. – Darinaaaa! Ogni tanto ho bisogno di andare al cesso anche io, che ci fai là dentro? – Un attimo Andryus… Andreiii, esco subito… -  Darina uscì dal bagno che rilasciò una nuvola di vapore, come i laboratori nei film horror. Andrei sbarrò gli occhi. La cugina aveva scarpe altissime con la zeppa, calze e mini nera, un toppino striminzito viola le lasciava la pancia di fuori. Si era truccata pesantemente gli occhi e aveva le labbra rosso fuoco. Collana e orecchini. Completava l’abbigliamento una giacchetta viola con un bavero di pelliccetta che non copriva praticamente nulla.
-          Da… ma vuoi veramente uscire vestita così? –
-          Andrei, non fare come mio padre, almeno tu, come vuoi che esca? Di solito devo fare i salti mortali per andarmi a cambiare a casa delle mie amiche. Almeno stasera sono a posto. Andiamo a ballare, mica in chiesa…
-          Ma i tuoi amici quanti anni hanno?
-          Uffa Andrei, ma che ti importa, non hai detto che devo pensare a divertirmi? Mi vuoi fare la predica?
Andrei si distrasse a guardare nella scollatura della cuginetta. Due bocce non enormi ma di mirabile fattura. Gli arrivò addosso un flash con zio Boyko che lo prendeva a bottigliate urlando: - Ti ammazzo maiale di merda! – Fu sufficiente a scuoterlo. Troppo per un giorno solo.
-          Va bene… va bene… eccoti le chiavi, Darina, quando rientri se la porta è chiusa sto dormendo, quindi vattene diritta a letto senza fare rumore, ok?
-          Oro! Non avevo mai avuto le chiavi di casa! Sei un amore Andryusha!
-          Vattene via! Torna tardi e… non mi chiamare Andryusha!
Darina fece finta di mandargli un bacio e se ne andò verso la sua stanza sculettando nella mini. – Sono proprio un maniaco – pensò Andrei fissandole il culetto a forma di cuoricino rovesciato – Come mai non mi ero accorto che aveva un culo così? Comunque Tanya mi farà dimenticare tutto e chi se ne frega… - Dopo un quarto d’ora sentì sbattere la porta. Darina si era tolta dalle scatole dopo che le aveva spiegato quale autobus doveva prendere per andare in centro. 
Tanya fu puntualissima, segno che anche lei non stava più nella pelle. Andrei le aprì la porta con un inchino scherzoso: - Mia regina… - Con i capelli raccolti dietro le spalle e un vestitino primaverile con le stringhe e un po’ di scollatura le bocce di Tanya decollavano come nuvole verso il cielo erotico del ragazzo. – Ma dove guardi, cavaliere? – Rise lei. Si baciarono uno nelle braccia dell’altro mentre Andrei richiudeva la porta con un calcio. Erano troppo arrapati per pensare alla cena, dopo un sorso di vodka a stomaco vuoto finirono immediatamente sul letto a trafficare con i rispettivi vestiti.
-          Il tuo corpo mi fa impazzire, tu mi fai impazzire… divento pazzo…
-          Ce l’hai duro come una pietra, stringimi forte amore mio. Mi sei mancato tanto…
Il resto si perse tra mugolii. Andrei era riuscito a liberarsi di mutande e pantaloni e stava per penetrare Tanya dopo averle strappato di dosso tutto, tranne i calzini colorati. Lei gli tormentava i capezzoli nella camicia aperta. Il cervello di Andrei era in fiamme peggio del cazzo.
Fu in quel momento che la porta di casa si aprì e Darina si fiondò dentro casa piangendo. Andrei pensò confusamente – Ma non sono neanche le undici… - invece disse lamentosamente – Caaaazzo… - Tanya strillò con quanta voce aveva in gola cercando di coprirsi col lenzuolo. Darina non si preoccupò per niente di quello che si vedeva dalla porta aperta della stanza di Andrei e si infilò in cucina piangendo.
-          E chi è questa? – Gli occhi di Tanya sembravano uscire dalle orbite per la furia
-          P-posso spiegare… è una mia parente…
-          Una tua parente con le chiavi di casa? E perché cazzo sta piangendo?
-          N-non so bene, ora glielo chiediamo…
-          Andrei, sei un maiale e un bugiardo! Stronzo! Chi cazzo è ‘sta troia, eh?
In cucina si sentiva un pianto continuato, una specie di ululato. Tanya raccoglieva i suoi vestiti con stizza.
     – Aspetta aspetta, veramente è mia cugina, mia cugina…
-          Avevi detto ho casa libera, adesso torna questa con le chiavi di casa, vestita da troia! Sei un magnaccia! Stronzo e bugiardo come tutti gli uomini! Porco!
Andrei chiuse gli occhi sperando che fosse un incubo. Per di più aveva ancora il cazzo duro come un tondino di ferro. Darina pensò bene di affacciarsi alla porta della stanza. Il viso era rigato dal trucco sciolto: - Uaaaah… Andryusha ma chi è questa? Perché dice che sono una troia? –
-          Ma quanti anni ha ‘sta puttanella? L’hai rapita dall’asilo infantile? Sei un povero coglione! Andrei se ti rivedo ancora ti ammazzo!
Tanya se ne andò sbattendo la porta così forte che piovvero dei calcinacci dal soffitto. Andrei aveva voglia nell’ordine di farsi una sega e di bersi l’intera bottiglia di vodka appena stappata, ma si accorse di essere abbastanza indecente. Sua cugina era accasciata su una sedia che piangeva e lui era con la camicia aperta, in mutande e con un bozzo ben evidente. Saltò nei jeans e cominciò a riabbottonarsi.
– Darina, ma sei impazzita a tornare a casa così all’improvviso? E perché cazzo stai piangendo? –
-          Uaahh… ho litigato… ho litigato con i miei amici… non mi sopportano… non mi sopporta nessunooooo…  sono tanto tristeee… aaaaaah-
La voce le si strozzo e subito dopo vomitò sulle sue stesse scarpe e per terra.
-          Darinaaaa! Cazzo sei ubriaca fradicia! Che schifo!
Andrei si avvicinò alla ragazza e sentì che puzzava di alcol da far paura. Non se n’era accorto prima perché era troppo preso da Tanya. La aiutò a sollevarsi e la accompagnò in bagno. – Darina… Darina, ascoltami, levati le scarpe e buttale lì, devi vomitare ancora? –
Per tutta risposta la ragazza si piegò sulla tazza del water mentre Andrei fece appena in tempo a reggerle la testa. Ebbe un altro paio di conati, poi la aiutò a tornare in stanza. La buttò sul letto.
-          Andryusha mi dispiace… mi dispiace… sono tanto triste… sono una scema… io ti voglio bene… non voglio che mi vedi così sconvolta… sono una scema…
-          Mh, non smetti mai di parlare neanche da ubriaca… aspetta che ti levo le calze, sono schizzate di vomito…
-          Ti ho rovinato la serata Andryusha… sono una scema, tanto avevo capito che ti vedevi con la tua fidanzata…
-          Non è la mia fidanzata e poi smetti con questo Andryusha del cazzo.
Le abbassò i collant da sotto la mini. Le gambe erano lunghe e ben tornite. Lei teneva gli occhi chiusi. Le accarezzò distrattamente la coscia fino al ginocchio. Si era liberata della giacchetta e sotto il top vedeva i capezzoli che sporgevano, duri. La carezza non le dispiaceva. Il cazzo era ancora in tiro, ma scosse la testa. Ucciso a bottigliate non ci voleva finire.
-          Vado a prenderti due litri di acqua, devi bere, così forse ti passa la sbronza…
Andò in cucina e cercò di riprendersi. Da quando era attratto dalla cugina? Ma era così dolce. E poi lui aveva una voglia di scopare che lo ammazzava. Vabbè doveva resistere, lei non era in condizioni, sarebbe stato come stuprare un cadavere. Tornò in stanza e si accorse che Darina aveva in mano il tubetto dell’Aspirina. – Darina! Lascia perdere quel tubetto-
-          Andryusha, ho preso un’aspirina, mi scoppia la testa, mi viene da piangere per quanto mi fa male…
-          Hai preso una delle pillole? La ragazzina annuì.
– Ti senti bene? - - Mi sento un po’ strana… -
-          Me lo immagino… -
-          Mi aiuti a levarmi questi vestiti? Sono un po’ stanca… -
-          Ti prendo il pigiama va bene? – La ragazzina annuì ancora. Gli occhi erano semichiusi.
Andrei le levò la gonna. Il top aveva l’aria di essere stato indossato senza reggiseno. Doveva farlo? Un’occhiata comunque non sarebbe stata male, lei forse neanche si sarebbe ricordata. Le sfilò il top e contemplò le tettine con i capezzoli ben duri. Darina era semiaddormentata o faceva finta. Prese la maglietta del pigiama per cercare di infilargliela. Le loro teste si avvicinarono. Andrei cedette a baciarla. Lei aprì la bocca senza resistere.
-          Mhh Andryusha… allora mi vuoi un po’ bene?
-          Mi stai facendo impazzire, sai?
-          Impazzisci per piacere… - La mano di Darina, inaspettatamente, raggiunse il bozzo che aveva tra le gambe.
Fu come un segnale di liberazione. In un attimo i loro baci divennero sempre più profondi, le carezze di lei più audaci. Andrei si liberò dei pantaloni e delle mutande. Abbasso le mutandine di Darina e le fu addosso. Darina improvvisamente sembrava aver recuperato le forze, la pillola le stava salendo al cervello. – Andrei, Andrei, lo voglio vedere, fammelo vedere, come sei bello, oh sì – Lo prese in bocca quasi di slancio. Non se la cavava male per essere una principiante.
-          Ahhh… Darina, voglio scoparti, lasciami, voglio sbatterti! Voglio sbatterti come una troia!
-          Sì Andrei, sbattimi, fammi tua per piacere! Voglio scopareeee! Non ce la faccio più! Voglio essere la tua troiaaaa -
Andrei la inchiodò al letto ansimante, spingendole le gambe sulle sue spalle per aprirla completamente. Non aveva neppure il preservativo ma ormai era fuori di testa. La cugina si dimenava come un’ossessa attorno al suo cazzo. Fecero una capriola e lei finì in alto a cavalcarlo gridando: - Ahhhhhh… - Venne in successione due o tre volte, con la bocca spalancata e gli occhi chiusi. Venne anche Andrei, uscendo all’ultimissimo momento e sporcandola tutta. Si abbracciarono e si baciarono ancora pieni di fame di sesso. Dopo qualche momento la ragazza si cominciò a strusciare su Andrei in preda alla smania: - Andrei Andrei, fammi venire ancora per piacere, fammi venire, non ne posso più, sono anni che ci penso… voglio essere solo tua! – Andrei si riprese quel tanto che bastava per penetrarla ancora e poi la fece venire mettendole le dita dovunque. Infine Darina glielo succhiò avidamente mentre la teneva per i capelli dandole il ritmo, finché con un ultimo grido strozzato lui le venne in gola, inondandole la bocca di sborra.
Era quasi l’alba di un nuovo giorno. Andrei pensava vagamente allo zio Boyko che lo uccideva in modo violento a sprangate, ma intanto accarezzava il tenero corpo di Darina. Non aveva dormito per la quarta notte di seguito, forse sarebbe morto comunque per ‘ste cazzo di pillole. Darina si svegliò e aprì un occhio: - Mhhh, Andrei… non preoccuparti di mio padre. Ti voglio troppo bene, alla fine era quello che volevamo tutti e due… tu mi vuoi bene? Un po’? –
Andrei sentì che il cazzo gli stava risorgendo di nuovo potentemente. Prese tra le mani la testa della cuginetta e la guidò verso il centro del suo piacere dicendole: - Ti voglio bene. Sai che ti dico, Darina? Puoi anche chiamarmi Andryusha se vuoi… -
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In sala di registrazione.
Tu e Yoongi lavorate insieme nell’industria della musica da anni ormai. Hai ottenuto il tuo posto nella compagnia a qualche mese dal debutto dei Bangtan e, non occorre mentire a riguardo, all’inizio non eravate certo in ottimi rapporti, specialmente se si considera il fatto che ricoprivi il ruolo di produttrice come avrebbe voluto fare lui sin dall’inizio. Questo per anni ti ha fatto credere che dietro al suo tono freddo si celasse qualche sorta d’invidia o astio nei tuoi confronti ma, ora che lo conosci meglio, ti dai della stupida per aver anche solo pensato potesse essere quel tipo di persona. Così come ti dai della stupida per esserti presa una cotta per lui. Hai provato a dare la colpa a qualsiasi cosa: alla ridicola legge degli opposti, alla sua ammirevole professionalità, al timbro suadente, al fascino da cattivo ragazzo, allo stress accumulato per via delle scadenze troppo a ridosso del tuo compleanno, al meteo, agli ormoni, alla solitudine, al calcolo delle probabilità, a tutto. Eppure niente ti ha dissuasa dal guardarlo, al di là del vetro in sala registrazione, con occhi brillanti ma dalla smorfia assente. “Che dici, la abbassiamo di mezzo tono?” ti domanda in cuffia spezzando questa pessima abitudine che da mesi ti fa distrarre durante l’orario di lavoro. “Fammela ascoltare un’altra volta” rispondi premendo il tasto della console per far arrivare la tua voce alle sue orecchie. Speri di essere apparsa ai suoi occhi come una perfezionista. Non hai lavorato sodo, forse il triplo degli altri colleghi uomini, per apparire come la ragazzina poco professionale con la testa tra le nuvole. “Due” ti suggerisce coinciso riferendosi al numero di battute che si aspetta tu mandi indietro. “Concedimene almeno cinque, andiamo!” Ti lamenti in tono ironico, interpretando la rotazione dei suoi occhi al cielo come un sì. Mandi l’audio, Suga reinterpreta quelle cinque battute nello stesso tono ed alza la testa verso il vetro, una faccia inquisitoria che esclama ‘allora?’ “Se la abbassi di un altro mezzo tono, rischi di perdere troppo fiato prima della quarta. Joon e Hobi possono chiuderla per te ma non credo sia la scelta migliore per il pezzo, perderesti armonia. Dopotutto non è un cypher, non hai bisogno di quel tipo di flow” torni in te esprimendo ad alta voce il pensiero logico che ti passa per la mente. “Posso chiuderla.” “No, non puoi” lo contraddici schietta concedendo la tua attenzione visiva ai comandi in console. “Il tempo che hai non è sufficiente per prendere un respiro da 160 sillabe in 15 secondi.” La sua espressione sembra offesa -lo saresti anche tu se qualcuno ti dicesse che non puoi fare qualcosa- ma non lo ritieni il momento più opportuno per provare a scendere a patti. Vuoi che il pezzo sul quale apparirà il tuo nome nei crediti sia degno di essere collegato al tuo lavoro. “Proviamo così: marco il beat-” “Il beat è già costante.” Sembra che lo faccia per darti fastidio, non perché creda sia una cattiva idea. Il che riesce a farti alterare abbastanza da farti sollevare il sopracciglio. “Aggiungo delle note nella linea della Kick nella 1, 5, e 9″ continui imperterrita. Lo stai avvisando di quello che accadrà, non stai chiedendo il permesso. Se vuole fare lo scontroso, troverà pane per i suoi denti nella tua tenacia. “Dimmi come la senti e fai una prova.″ “Lasciami in tempo a 120 bpm. E aggiungi anche nella 13.” Il demo parte, Suga chiude gli occhi e comincia a rappare nel nuovo pattern musicale; lo vedi dare il meglio di sé, come sempre, e ora che il tuo lato professionale è soddisfatto, quello personale ritorna a galla per farti apprezzare anche il lato umano dell’artista. Qualche ora dopo avete concluso le registrazioni. Yoongi esce dalla cabina stringendo gli occhiali da vista in una mano e strofinandosi gli occhi con l’altra. Sono le dieci di sera, niente di troppo folle; avete decisamente avuto notti più lunghe. Prende posto nulla sedia girevole accanto alla tua, dà un’occhiata rapida ai file che hai copiato ed etichettato per lui sul suo laptop e chiude lo schermo.  “Hai fatto un buon lavoro oggi.” Una delle tante preconfezionate frasi coreane che includono nel pacchetto un senso di gratitudine non verbalmente espresso. Non te lo fai bastare. Vuoi la vendetta. “Ti ho fatto il culo a strisce, Min Yoongi” provochi con un sorrisetto. “Che linguaggio colorito per una signorina” ti prende in giro premendo sul pulsante dell’ironia. Mille volte avete parlato di quanto le etichette, specialmente in quella parte del mondo, siano assurde. Tante volte ti hanno fatta sentire come inadeguata solo perché dicevi parolacce quando eri arrabbiata o per esserti presentata in tuta da ginnastica a lavoro piuttosto che con una gonna o un vestito. Bisogna normalizzare la neutralità di genere, hai sempre affermato. Ed in lui hai trovato un alleato ogni santissima volta. Dio solo sa in quante occasioni abbiate preso in giro il sistema con battute del tipo ‘Ma guarda, oggi sei più truccato di me, che sono una ragazza! Quale scandalo per il Paese!’. Ridi del vostro comune senso dell’umorismo, il cuore indeciso se sciogliersi per il suo lieve sorrisetto o meno, e ruoti la tua sedia verso di lui, squadrandolo per davvero da cima a fondo. “Come mai così eleganti?” Ti viene spontaneo chiedere. “Devi andare ad un appuntamento, per caso?” Il fatto che tu dica queste parole con sarcasmo rivela una grande, gigantesca crepa nel colossale muro della carriera da idol. “Il tuo dentista ne sarà onorato!” “Perché, sarebbe un problema per te?” ti stuzzica riportando gli occhiali sul naso e completando l’outfit da professore. È ricoperto di nero dalla testa ai piedi, il lungo cappotto scuro disegna eleganti curve sulle spalle, il turtleneck morbido risalta in contrasto la linea spigolosa della mandibola, le lenti incorniciano un taglio degli occhi perennemente stanco ma al momento soffice, nonostante le parole pungenti. Non rispondi subito. La cosa ti crea dei problemi. “La compagnia lo sa?” “Sa che non mi importa, certo.” “Non è quello che intendevo ma immagino risponda comunque alla mia domanda.” “Non risponde alla mia, però” ribatte mettendo fine al vostro pingpong di battute.  “Fammi indovinare: ‘Perché dovrebbe’, giusto?” intona imitando la tua cadenza di città. La sicurezza che hai sfoderato durante la registrazione va a farsi benedire. Ti dai una spinta per ruotare la sedia girevole verso la scrivania e torni a fissare lo schermo del tuo laptop, improvvisando spostamenti di cartelle inutili. Lui resta una manciata di secondi a fissarti e poi si alza dal posto in un sospiro intenzionalmente rumoroso. “Tua madre non ti ha mai detto che passare tante ore davanti allo schermo fa male agli occhi?” “Senti un po’ da chi viene la predica” borbotti continuando ad occupare tempo e mente con mansioni fantasma. Mancano meno di una ventina di secondi prima che il file venga trasferito con successo sul drive ma il braccio di Yoongi spunta da dietro le tue spalle e chiude anche il tuo di laptop, guardandoti dall’alto con inespressività. “Prego” sillaba non appena incontra i tuoi occhi spalancati dalla sorpresa.  “Devo finire” si esprime non verbalmente il tuo corpo mandando la mano sul pc per aprirlo nuovamente e riprendere il lavoro. Il tuo orgoglio ferito vuole imporsi ma fallisce; a mezz’aria la tua intenzione viene fermata dalla mano di Yoongi che ti afferra per il polso e costringe la sedia a ruotare su se stessa fino a fermarsi una volta di fronte a lui. China il capo per raggiungere il tuo viso e non ti lascia scampo. Le vostre labbra si scontrano in un amaro impatto che fa del tuo labbro inferiore suo prigioniero; una dolce resa, la tua. Il polso soffre la stretta ma spera di non ritrovare mai più la libertà. La sua bocca è avvolta dalle fiamme dell’Inferno tra le quali la tua lingua si diverte a contorcersi in estasi, nutrendosi del sapore di caffè americano che incontra sulle papille gustative. Il fuoco divampa fino a raggiungere i tuoi organi interni; il cuore arde ed i polmoni si colorano di un nero carbone. Brucia, scotta, fa quasi male. Il poggiatesta ti impedisce di tirare indietro la testa per prendere fiato perciò l’unica opzione che ti resta è quella di muovere la mano verso il suo viso per scostarlo ma la sua presa te lo vieta diabolicamente. Ti sta impedendo di respirare di proposito. Prima che possa subentrare il panico però, il ragazzo si allontana di scatto. Ti osserva mentre inspiri come se fosse una questione di vita o di morte e ti sorride malefico. “Te l’avevo detto che un respiro da 160 sillabe non era un problema per me” commenta istigatore sciogliendo la presa sul braccio. “Ma ne riparliamo domani” chiude quella parentesi tornando con la schiena dritta e dirigendosi verso la porta. Recupera la tua giacca dall’appendiabiti e te la lancia con nochalance. “Andiamo a bere qualcosa” ti dice non facendola sembrare una proposta. “Abbiamo lavorato sodo, ce lo meritiamo.“ Non capisci cosa sia successo, la mancanza di ossigeno ha reso lenta la capacità di processare il tutto. I riflessi però rispondono al posto tuo, afferrando il copri abito e facendoti alzare in piedi per seguirlo.  Dopotutto la notte è giovane. 
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yesiamasoulrebel · 4 years
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e sarò tua per sempre.
Sei arrivato e hai stravolto tutto. Hai riempito le mie giornate vuote con le tue mani calde, con le tue parole sussurrate alle orecchie, con le tue risate contagiose, con il tuo sorriso splendente che mi faceva sorridere ogni volta che lo vedevo, con i tuoi capelli sempre scompigliati, con i tuoi occhi che ogni volta che ridevi diventavo piccoli piccoli, con la tua voce calda che mi manca così tanto, con i tuoi gesti che mi rassicuravano, e le tue parole che mi riempivano il cuore. Sapevi sempre come prendermi. L’hai sempre saputo. Di solito non ci metto poco ad innamorarmi di qualcuno, perché ci vuole tempo e anche se mi affeziono subito alle persone, l’amore è un’altra cosa. Ma di te mi sono innamorata subito, perché mi capivi, mi capivi sempre. E mi stavi sempre vicino. Eri la parte migliore di me.  Credevi in me stessa sempre,  anche quando non ci credevo nemmeno io. Eri li ad aiutarmi a cancellare i miei difetti. Eri li ad asciugarmi le lacrime, a sollevarmi da terra quando cadevo. Eri sempre lì. Ed eravamo noi due contro il mondo, ed eravamo sempre e solo noi due. Poi all’improvviso ti sei allontanato. Ed hai lasciato un vuoto incolmabile dentro me. Un vuoto che non si può riempire con chiunque. Un vuoto che mi fa mancare il respiro. Un vuoto che mi fa passare l’appetito. Un vuoto che mi fa odiare tutto e tutti E a volte perfino te. Ma posso provare ad odiarti quando voglio Ma mi farei solo più male, perché mi prenderei in giro, mi prenderei in giro e basta perché la verità è che ti amo ancora. E forse ti amerò per sempre. Amerò sempre i tuoi difetti: il tuo essere un po’ troppo viziato, il tuo essere ancora un po’ bambino, il tuo essere troppo geloso a volte, il tuo reagire d’impulso senza pensare alle conseguenze, il tuo non affrontare i problemi e posticipare sempre, la tua non organizzazione, il tuo vivere sempre sulle nuvole che poi sulle nuvole c’eravamo insieme. Amerò tutto di te, perché ti amo e non saprei fare altro. E anche se tutti mi dicono di scappare lontano da te, di correre via e non voltarmi indietro mai più, io ci tornerei con te perché nonostante tutto il dolore che mi hai fatto, che ci siamo fatti, l’amore era sempre di più. E adesso mi illudo che potrò dimenticarti, che tra un mese non ti penserò più, non penserò più alle tue labbra sulle mie, alla tua testa sulla mia spalle, alla mia testa sul tuo petto, alla tua mano sulla mia. e a tutti i momenti belli e i ricordi passati insieme, che non scorderò mai. E io mi illudo che potrò stare lontana da te E tu fai lo stesso. Ma la verità è che non riusciamo a passare un giorno, Non uno, Senza pensarci, Senza guardare quella foto, senza scrivere quel messaggio quel messaggio che poi non mandi mai. e ci siamo odiati quando ci siamo lasciati, io ti odiavo per quello che mi avevi fatto e tu mi odiavi perché mi sono andata a rifugiare nelle braccia di un altro. Ci siamo odiati tanto ma non era odio, era solo che non riuscivamo a stare lontani. Perché un amore così non si scorda dall’oggi al domani, non si scorda fumando una canna di troppo o bevendo quel bicchiere di vino in più. Un amore così ti rimane dentro per sempre, e non se ne va e anche se non staremo insieme per sempre e anche se nel tuo letto ci sarà un’altra ragazza bionda come me, oppure con la mia stessa dolcezza, o le mie stesse fragilità, quella ragazza non sarò mai io e quando la guarderai negli occhi vedrai me perché io lo so di averti lasciato tanto. Non sono tanto amore, tanto affetto e tanti ricordi e momenti indimenticabili. Lo so di averti lasciato dentro lo stesso vuoto che ho provato quando ho baciato un altro ragazzo e dentro la mia testa pensavo a te, quando tornata a casa fatta e ubriaca volevo solo scriverti, quando ho parlato con altri ragazzi, altri ragazzi che non sono te, quando ho cercato i tuoi occhi tra quelli degli altri, quando ho risentito la tua voce. E mi manca così tanto sentire la tua voce che mi rassicura, le tue mani che mi stringono, i tuoi occhi che mi sorridono, le tue sculacciate sul mio culo, quando facevamo l’amore, e quella sensazione che provavo ogni volta che entravi dentro me, e mi chiedevi sempre se mi facessi male, perché in fondo io lo so tu non avresti mai voluto farmi del male, ne a letto ne nella vita. E mi manca quando dopo aver fatto l’amore Ero nuda si di te sulla tua spalla E potevo girare nuda per casa E tu lo stesso perché tanto non ci vergognavamo. E andavamo in bagno insieme sempre Perché non potevamo mai stare un attimo divisi. E piangevo sempre quando mi facevi godere Perché ciò che provavo era fortissimo E perché avevo troppa paura di perderlo. E mi manca così tanto baciare quelle labbra, e non vedersi per giorni, mancarsi e poi corrersi incontro come in cerca dell’ossigeno. E mi manca così tanto tutto quello che eravamo, e tutto ciò che saremmo potuti essere. E non ci credo che tutto questo possa finire così E non ci credi nemmeno tu perché troviamo sempre una scusa per riscriverci perché facciamo di tutto per tornare insieme perché mi hai promesso di non scoparti altre ragazze perché ti ho promesso di non colmare la solitudine con chiunque e con qualsiasi cosa. E io confido in te, e tu confidi in me. E io non ci credo che un amore così è un amore destinato a finire E io non ci credo E lo so che non ci credi nemmeno tu. E so che un giorno ci rincontreremo e sarà tutto come la prima volta. E ci ribaceremo e riproveremo tutto, E ricomincerà tutto da capo, e sarà come dimenticarsi tutto, dimenticarsi del resto, dimenticarsi del mondo perché in quel momento ci ricorderemo solo di noi e spero sta volta faremo di tutto per non lasciarci la mano faremo di tutto per restare l’uno al fianco dell’altra e spero stavolta non ci lasceremo e spero risolveremo tutto, qualsiasi problema perché ci completiamo, e sempre lo faremo e insieme possiamo sconfiggere tutto, e insieme siamo forti, e da quando sono sola sono così debole e da quando sei solo sei più debole anche tu. E spero ‘sta volta ci daremo una seconda opportunità dimenticheremo tutto, ci lasceremo tutto alle spalle. Perché il resto non conta un cazzo quando siamo insieme, non ha mai contato un cazzo. E non ci credo a chi dice che non eravamo fatti per stare insieme  perché non esiste la coppia perfetta, esiste chi si sceglie sempre, giorno dopo giorno, nonostante tutto. e io lo so che tu sceglieresti sempre me, anche quando non mi pensi, anche quando fai le cazzate,  solo per attirare la mia attenzione, o solo perché non te ne ho data abbastanza. E non ci credo a chi dice che la minestra riscaldata non funziona, non ci credo perché nella vita succedono tante cose, le persone vengono, vanno, intorno a te ma solo quelle che ti mancano davvero che ti manca tutto di loro, e a loro manca tutto di te, solo quelle sono le persone che meritano di stare al tuo fianco e due persone che si mancano allora si appartengono. e poi è vero che quando perdi una persona capisci davvero quanto vale e io solo dopo che ti ho perso ho capito il tuo valore, e tu solo dopo che mi hai perso hai capito il mio, solo dopo essere stati lontani, aver pianto notti intere, aver passato giorni senza cibo e senza uscire di casa, oppure uscire ma con una maschera, con il sorriso falso di chi sta male e non te lo dice, con le mani fredde e il cuore gelido, solo dopo aver cercato qualsiasi cosa che ti impegnasse la mente per non pensarci solo dopo tutto questo ho capito che volevo te, volevo te nonostante tutto. Volevo solo te. perché nessuno sarà mai come te, perché nessuno potrà mai prendere il tuo posto, niente e nessuno potrà mai colmare quel vuoto che hai lasciato. E lo so che anche per te è così. E ti prego torna da me. Dimostrami che tutto questo che sento lo senti anche te. Dimostrami coi gesti e non solo con le parole che anche tu saresti disposto a fare qualsiasi cosa per me. Dimostrami che quel momento di debolezza sarà per te un trampolino di lancio Perché quando tocchi il fondo puoi solo risalire. Dimostrami che ne vale la pena rischiare ancora tutto, andare contro tutto e tutti, per stare solo con te. Dimostrami che non è vero un cazzo di quello che mi dicono. Dimostrami che mi ami ancora, nonostante tutto. Dimostrami che sei pronto a tutto, dimostrami tutto, dimostramelo  e sarò tua, per sempre.
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corallorosso · 4 years
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LE LITI IN CORTILE Si litiga sotto la Tour Eiffel e all'ombra di Santa Sofia. Macron e Erdogan non se le risparmiano, accusandosi a vicenda di avere problemi mentali. In attesa di un responso medico che certifichi lo stato di salute di entrambi, ciascuno ritira il proprio Ambasciatore in casa dell'altro, per la serie "con te non ci gioco più". Macron ultimamente ha i nervi scoperti e a nulla sono valse finora le iniezioni di camomilla. Ha cominciato qualche ora dopo l'omicidio di Samuel Paty per mano di un criminale, ottenebrato da una pseudo fede religiosa, per scagliarsi pesantemente contro l'Islam, chiudendo decine di Moschee ed espellendo a razzo, qualche centinaio di arabi. Ha proseguito facendo perquisire oltre 50 Associazioni in orbita islamica, comprese quelle sovvenzionate dallo Stato francese e mai messe in discussione. L'ira francese non si é fermata nemmeno davanti a coloro che predicavano calma e di non lasciarsi prendere dalla rabbia. Ha tirato in ballo perfino la Tunisia che naturalmente ha reagito. In particolare, un certo Mohamed Affes, deputato e sostenitore dell'attuale Governo tunisino, ha addirittura pubblicato sulla sua pagina FB, l'immagine di un cane randagio con la testa di Macron e sotto la semplice scritta : " Macron le chien des occidentaux ". Il Presidente francese ha poi messo una toppa al buco, peggiorando ulteriormente la situazione. Tramite Twitter, in arabo, ha scritto che la Francia non si arrenderà mai e che chiunque la sfida avrà di che pentirsene. Il tutto accompagnato da una foto col classico kepi' arabo in testa che ha fatto ulteriormente incazzare gli arabi che hanno ritenuto il gesto, "non amicale", ma una presa per il culo. In questo mondo di isterici, suscettibili e permalosi, non poteva mancare il Califfo turco. Ha messo in dubbio la sanità mentale del collega francese che per ripicca ha ritirato appunto l'Ambasciatore. Per contro-ripicca, anche Erdogan ha ritirato il suo. Per contro-contro-ripicca Macron ha fatto proiettare le vignette di Hebdo contro l'Islam, sulle facciate dei palazzi storici di Parigi. Per contro-contro-contro-ripicca Erdogan ha messo fuori legge il "paté de foie gras" invitando i turchi a non mangiarlo. I poveretti (turchi) che manco sanno cosa sia quella robina li', hanno aderito e ieri sera, hanno sfilato per le vie d'Ankara con in mano delle scatolette di tonno. C'é voluta la notte intera per spiegar loro che il "foie" é un'altra cosa. Questa guerra, qualche risultato l'ha portato In Francia, Macron ha spodestato la destra dall'atavica guerra contro l'Islam, guadagnando consensi elettorali. In Turchia, la lira turca é praticamente crollata, superando la soglia di 8 lire per dollaro (fino a ieri era a 5). Quindi il califfo pagherà tutto quello che importa, quasi il doppio. Con la gioia dei turchi che da domani mangeranno solo caviale importato da Mosca e quindi esente dai rincari. La telenovela "Emmanuel & Recep" continuerà anche nei prossimi mesi, appena si discuterà di Libia, dato che i due, sul suolo, sono nemici. Emmanuel sta con Haftar, Recep con Sarraj. A parte l'ironia, di cui non riesco mai a farne a meno, vi annuncio che s'addensano nuvole scure cariche di pioggia. Prepariamo gli ombrelli perché se piove a Parigi e a Istanbul, qualche goccia arriverà anche a Roma. Claudio Khaled Ser
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