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#nido di seta
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Nido di Seta, an agricultural cooperative that was founded by three young friends in the Calabria region of southern Italy, is working to restore silk farming and traditions that once flourished in the area, but that had been lost in recent times. Regenerative agriculture, a pillar of Gucci's nature-positive approach, rebuilds and strengthens nature rather than depleting it, helping to protect and restore the biodiversity of plants and wildlife while also bringing diverse environmental and social advantages.
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As part of this approach, the House is supporting a pilot project with Nido di Seta, working towards the creation of a new silk supply chain in Italy and the production of Gucci's first scarves made with silk thread that comes from local organic farming practices over the next years.
Source: gucciequilibrium
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simonettaramogida · 3 months
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LIFESTYLE/ NIDO DI SETA STREGA ANCHE GUCCI COSI’ TRE GIOVANI VISIONARI CALABRESI RISPOLVERANO LE ANTICHE TRADIZIONI E RIPRENDONO AD ALLEVARE IL BACO DA SETA
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ochoislas · 1 year
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Amada, loemos una vez más a la lluvia. Descubramos un nuevo abecedario para eso, lo tan loado; y seamos la misma lluvia, las pamplinas, y la hoja de lampazo; verdiblanca flor de alheña, salpicada piedra, y todo lo que recibe la lluvia; el gorrión, también, que observa con ojo fijo, desde su retiro, bajo la rama del olmo, hasta que la lluvia acaba.
Hay una oropéndola que, cabeza abajo, pende de su nido, y tremola un ala naranja... bajo un árbol muerto y quieto como plomo; hay una única hoja, en todo el firmamento de hojas, que la lluvia soltó de su cabillo: se quiebra el tallo, y cae, pero otra hoja hermana la apresa, y se queda colgando; hay un cascabullo de bellota, junto a una seta, que atrapa tres gotas de la derribada nube.
La tímida abeja vuelve a la colmena; la mosca, bajo la ancha hoja de la malvarrosa, cavila pasmada de frío; el caracol pluvioso otea el mundo mojado desde aguachenta piedra... y aún susurran las sílabas del agua: el azud de nube zumba despacio. Esperamos en la habitación oscura, y topo en tu corazón con un goterón de plata —en una hoja de espino—, con Orión en una telaraña, y con el Mundo.
*
Beloved, let us once more praise the rain. Let us discover some new alphabet, For this, the often-praised; and be ourselves The rain, the chickweed, and the burdock leaf, The green-white privet flower, the spotted stone, And all that welcomes rain; the sparrow, too,— Who watches with a hard eye, from seclusion, Beneath the elm-tree bough, till rain is done.
There is an oriole who, upside down, Hangs at his nest, and flicks an orange wing,— Under a tree as dead and still as lead; There is a single leaf, in all this heaven Of leaves, which rain has loosened from its twig: The stem breaks, and it falls, but it is caught Upon a sister leaf, and thus she hangs; There is an acorn cup, beside a mushroom, Which catches three drops from the stooping cloud.
The timid bee goes back to hive; the fly Under the broad leaf of the hollyhock Perpends stupid with cold; the raindark snail Surveys the wet world from a watery stone . . . And still the syllables of water whisper: The wheel of cloud whirs slowly: while we wait In the dark room; and in your heart I find One silver raindrop,—on a hawthorn leaf,— Orion in a cobweb, and the World.
Conrad Aiken
di-versión©ochoislas
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miaoohaus · 5 years
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Tanta gratitudine a Miriam e a Alice di "Nido di Seta" e "Jana Officinae" per aver organizzato e condiviso le loro alchimie e un oceano di informazioni durante il laboratorio di stampa botanica.
Grazie anche al vento jonico per aver creato questo suggestivo pattern al posto mio.
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maxccastelli · 3 years
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Domenico Vivino: Nido di Seta
Domenico Vivino: Nido di Seta
[vc_row][vc_column width=”2/3″][vc_column_text]Domenico ha lasciato con Miriam una vita più cittadina ed urbana, per non dire tipica dei nostri tempi, per dedicarsi insieme a Giovanna alla coltivazione tradizionale dei bachi da seta nel loro paese natale San Floro, un paesino di appena 650 abitanti alle porte di Catanzaro. Nella nostra conversazione tocchiamo i temi ambiente, la vita sana,…
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umi-no-onnanoko · 3 years
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E se il mondo fosse cieco?
Un giorno la ragazza più popolare della scuola,quella più bella e con il massimo dei voti, non trovando altro posto sullo scuolabus che l'avrebbe ricondotta presso la sua abitazione lussuosa fuori città,dovette sedersi di fianco alla sfigata.
"Che situazione imbarazzante" pensò la ragazza,ma fortunatamente per lei quel giorno sul mezzo non era presente nessun altro loro compagno di corso che potesse notare quella scena.
La ragazza seduta al suo fianco la salutó con un sorriso timido ed un cenno del capo ritornando a fissarsi la punta delle scarpe.
A guardarle le due facevano proprio una strana coppia: la prima dai capelli ramati perfettamente lisci ed ordinati dietro le spalle, occhiali da sole abbaglianti come fari, vestita da capo a piedi di lustrini e paiettes guardava con strafottenza la sua compagna di viaggio ondulando il capo in cerca di qualcosa di meglio su cui posare lo sguardo; la seconda dai capelli corti e corvini, un nido di ricci aggrovigliati ai due lati del viso, occhi celesti e una spruzzata di lentiggini teneva le mani lungo il grembo tamburellando con le unghie tutte mangiucchiate sul sedile.
"Che sciatteria" pensò la ragazza popolare scostandosi quanto più le era possibile e notando in quel momento un ragazzo alquanto attraente che era appena salito sullo scuolabus e si era sistemato sul lato opposto a quello in cui era seduta.
La sfigata estresse dal suo zainetto un libro d'arte e si immerse nella lettura,mentre la prima cercava il suo specchietto per sistemarsi il trucco già piuttosto marcato sul volto e sbracciandosi per attirare un altro pesce nella sua rete.
Il ragazzo, tuttavia, non sembrava mostrare alcun interesse per le avances ed anzi infilò le auricolari nelle orecchie.
"Credo che i tuoi soliti modi di fare non attacchino questa volta Luna" la ragazza popolare si voltò verso la sfigata che aveva alzato gli occhi dal libro per parlarle.
Luna,stizzita lanciò uno sguardo indignato al ragazzo ruotando leggermente il busto per rivolgere la sua collera verso la seconda ragazza.
"E cosa vuoi saperne tu sfigata?!"
"So che puoi essere bella quanto vuoi, però dimmi se il mondo fosse cieco quanta gente riusciresti ad impressionare?"
Luna non rispose si alzò dal suo posto inviperita sfoggiando una camminata da modella e scese dallo scuolabus in una nuvola di profumo speziato.
Quella notte fece un sogno strano,agitato, era nuovamente seduta sullo scuolabus, ma nessuno la guardava,eppure il conducente parlava con un ragazzo seduto nei primi posti e le altre conversazioni intorno a lei procedevano.
Nessuno osava degnarla di un solo sguardo, neanche quando al colmo dell'esasperazione si mise in piedi sul seggiolino in plastica dello scuolabus urlando e pretendendo attenzione.
Decise quindi di tornare a sedersi ed allora vide lo stesso ragazzo della giornata, che aveva provato a conquistare:gli si avvicinò, appoggiò la mano dalle lunghe dita affusolate e le unghie smaltate di rosa sulla sua spalla per chiamarlo, ma quando si girò verso di lei…
Si svegliò nel suo letto avvolta da lenzuola di seta grondante sudore e scossa da tremiti, quel ragazzo nel suo sogno non aveva occhi,ma solo due sfere irridescenti che le restituivano uno sguardo vacuo e nella sua testa rimbombavano le parole della sfigata:"puoi essere bella quanto vuoi, però dimmi se il mondo fosse cieco quanta gente riusciresti ad impressionare?"
"Basta" si disse rimettendosi a dormire.
L'indomani all'uscita da scuola,dopo aver salutato le sue fedeli seguaci si diresse verso la fermata dello scuolabus e salì andando a raggiungere il suo solito posto, depositando sul sedile adiacente lo zaino. Tra i sedili davanti intravide la sfigata nuovamente col naso sprofondato nella lettura di quel suo noioso libro sull'arte.
"Pua" pensó "ho di meglio da fare io che riempirmi la testa di queste stupidaggini"
Come il giorno precedente anche il ragazzo che aveva adocchiato si presentò sullo scuolabus..,prontamente Luna tolse lo zaino dal sedile facendo cenno con la mano al ragazzo che il posto era libero e poteva sedersi vicino a lei,ma con sua grande sorpresa…
"È libero questo posto?" chiese alla sfigata che arrossendo sollevò il capo dal libro rispondendo di sì.
"CHE COSA?!" la popolare era scattata in piedi e come un uragano si era scagliata sul povero malcapitato che aveva osato non sceglierla.
"Chiedo scusa non capisco quale sia il problema"
"Il problema è" e dicendo così Luna era a un centimetro dal volto del ragazzo e lo tirava per il colletto della camicia" che come puoi scegliere lei e sederti vicino a lei quando io,la ragazza più bella e popolare della scuola ti offro la possibilità di sedere al mio fianco?"
Il ragazzo sorrise la guardò, solo allora Luna si rese conto che gli occhi neri del ragazzo non si muovevano ma rimanevano fissi in un punto.
Con dolcezza le rispose: " mi dispiace tu arresti il tuo pensiero solo sulla tua bellezza. Io non potrò vedere quanto sei bella è vero, ma so vedere quanta aridità ti porti dentro. Mi dispiace" e così dicendo tornò a rivolgersi alla sfigata
"Potresti continuare a parlarmi del libro di arte che stai leggendo? Ieri eri arrivata ad un punto interessante"
La sfigata annuì e prese a raccontare di cattedrali gotiche, di monumenti romani e dipinti medievali, mentre la popolare punta sul vivo tornava a sedersi.
Quando raggiunse la fermata la sfigata si alzò e la raggiunse.
"Luna tu sei bellissima è vero, ma puoi essere bella quanto vuoi, però dimmi se il mondo fosse cieco come è cieco lui, la tua bellezza non servirebbe,e allora come faresti? ricorda che l'essenziale è invisibile agli occhi e che la bellezza, quella vera è fatta di piccole cose."
Luna sbuffò e scese dal pullman con una lacrima che le rigava il volto,aveva capito.
-umi-no-onnanoko (@umi-no-onnanoko )
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fashionbooksmilano · 4 years
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Gianmaria Buccellati
Capolavori d’arte orafa -Masterworks of the Goldsmiths Art
a cura di Rosa Maria Bresciani Buccellati, contributi di Cristina Acidini, Dora Liscia Bemporad , Paola Venturelli , Susy Marcon, Chiara Tinonin , Gianfranco Grimaldi , Larry French, Lidia Carrion 
Skira, Milano 2017, 272 pagine, 252 ill.a colori, Italiano/Inglese
euro 29,00
email if you want to buy: [email protected]
Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Salone Sansoviniano 23 maggio – 12 novembre 2017
La grazia e l’eleganza dei capolavori d’arte orafa di Gianmaria Buccellati, una tra le più importanti personalità creative dell’haute joaillerie mondiale del XX secolo, protagoniste del volume che accompagna la mostra realizzata in collaborazione con la Fondazione Gianmaria Buccellati. Il desiderio di mantenere viva nella memoria tattile degli artigiani contemporanei la padronanza degli antichi saperi dell’arte orafa fu una delle sfide più importanti che Gianmaria Buccellati ereditò dal padre Mario e che perfezionò al punto di riuscire a realizzare lui stesso grandi innovazioni creando gioielli dalla straordinaria unicità, come dimostra la meravigliosa spilla Drago (1976) nel quale campeggia un iridescente opale messicano. Il volume illustra ampiamente le tecniche esecutive tipiche dello stile Buccellati, come il traforo a tulle o nido d’ape, una tecnica che conferisce ai gioielli leggerezza quasi impalpabile, ben visibile nel Bracciale del padre Mario (1925) e in quello di Gianmaria (2012) e, nella versione a raggiera, nella Collana con broche pendente con giada e orecchini (1984-1985); come l’ars incisoria e le sue straordinarie evoluzioni a firma Buccellati, oppure come l’incisione a ornato e quella a effetto seta, o ancora come la riproduzione della complessa tecnica a sbalzo dell’antica Roma imperiale (esemplare la serie delle Coppe di Boscoreale) e la singolarità dell’incatenazione nella Parure Pizzo Venezia (1992), nata dall’attento studio di un prezioso merletto veneziano.
14/06/20
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academybdsm · 4 years
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Lesson 15 👑
"LA GEISHA"
"Geisha" è l'unione di due kanji che significano "arte" e "persona": tradotto quindi in "persona esperta nelle belle arti e nelle belle maniere" Molte schiave si fregiano del titolo di "Geisha", tuttavia mi preme evidenziare che nell'ambito BDSM, il termine "Geisha" non ha alcun connubio. Contrariamente a ciò che può pensare l’opinione comune, la geisha non è una prostituta, tanto meno una schiava, e il sesso non è parte essenziale del suo ruolo, ma è invece una professionista nell’arte di intrattenere e allietare noiose cene d’affari, banchetti e feste.
L'arte della geisha nasce nel periodo di Tokugawa (1600-1868) in Giappone.
In origine era un uomo di piacere, con il compito di intrattenere uomini d'affari nelle "sale da the' pubbliche e private.
Ben presto anche le donne comparvero nel mondo Geisha assumendone via via il dominio del nome.
La geisha è ritenuta una donna affascinante, raffinata e colta in Giappone.
Viene tolta alla sua famiglia in tenera età (in genere intorno ai 9-10 anni) e fatta entrare in una scuola, dove imparerà a curare al meglio il suo aspetto fisico, a vestirsi in kimono di seta, a truccarsi il viso con un pesante cerone bianco, occhi marcati di nero e bocca rossissima, fino a rendersi quasi una maschera sotto la pesante acconciatura.
Imparerà quindi a muoversi con grazia ed eleganza, a servire da bere in modo raffinato, a conversare con intelligenza, a calibrare ogni minimo gesto per renderlo il più elegante e sensuale possibile. La sua personalità deve rappresentare al tempo stesso, la fragilità della carne e la forza dello spirito: quando lavora controlla tutto il suo essere, in ogni gesto, parvenza, emozione; perfino la modulazione del respiro, ora leggero, lieve, ora vivo, affannoso, seppure impercettibile.
La sua figura deve essere snella e slanciata, così come il suo volto deve apparire pallido ed espressivo.
La sua voce deve avere un tono delicato e raffinato, adattato perfettamente ad ogni scopo e circostanza.
I suoi capelli, di color nero corvino, sono sempre raccolti a forma di nido.
Ai piedi solo delle calze di seta, chiamate “tabi”, da indossare sempre, anche d'inverno, per esprimere la sensualità di un corpo che si nasconde interamente sotto il kimono.
Anche per distinguersi dalla prostituta, la geisha indossa sempre kimono dai colori tenui, poco appariscenti, possibilmente tono su tono, e comunque in sintonia con le stagioni.
Il colletto del kimono, dietro, è sempre posizionato in modo da lasciar scoperta la nuca: un modo molto sensuale per lasciar divagare l'immaginazione del cliente.
La geisha, come ho detto prima, non è da considerarsi una prostituta, se fornisce prestazioni sessuali, lo fa a sua discrezione o come parte di una relazione duratura.
Molte geishe, raggiunta una certa età, sono divenute spose di uomini facoltosi e di alto livello sociale.
Una figura ben distinta dalla geisha è quella della "maiko" (danzatrice), giovanissima donna che studia per divenire geisha.
La maiko è ben riconoscibile dal kimono molto più colorato, con maniche e obi allungato. Anche le maiko sono richiestissime, poiché la loro giovinezza e candore compensano la mancanza di quell'esperienza che soltanto le geisha più affermate possiedono 👑
(Tratto dal web)
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Nuovo post su https://is.gd/jT3Imk
La Terra d'Otranto in un prezioso arazzo (1/3)
di Maria Grazia Presicce e Armando Polito
La superiorità dell’arte si gioca, probabilmente sulla miracolosa convergenza di due elementi contrapposti: da un lato la sinteticità del linguaggio, dall’altro la pluralità semantica che esso racchiude in sè e che, vuoi in modo immediato e superficiale, vuoi in modo più profondo, magari proprio col suo carattere allusivo, riesce a trasmettere. Così anche un manufatto apparentemente senza pretese, nel nostro caso un arazzo, può narrare nello spazio di un solo sguardo quello che in un libro di storia richiederebbe tanti sguardi quante sono le pagine dedicate all’argomento o al problema trattato.
L’arazzo che ci accingiamo a leggere è, se non il più antico documento iconografico della Terra d’Otranto, certamente il più completo, e il suo valore storico appare doppio in quanto testimonia anche una sorta di passaggio di consegne tra l’antica provincia, quella di Terra d’Otranto appunto, e la nuova, quella di Lecce, la cui non dichiarata preminenza è attestata, come vedremo, dal fatto che tutti i dettagli paesaggistici in esso raffigurati si riferiscono a Lecce. Questa sorta di tacita rivendicazione di un primato di prestigio rispetto alle provincie di Brindisi e Taranto sul piano amministrativo con l’acquisizione come suo stemma di quello che era stato della Provincia di Terra d’Otranto (il delfino e la mezzaluna1) è per fortuna compensato dalla citazione di nomi di personaggi non esclusivamente leccesi, a riprova che, al di là di stupidi orgogli campanilistici, la cultura non vive di miopi rivendicazioni in molti casi perfino disgiunte dalla conoscenza storica, quando non nutrite, addirittura, da interpretazioni di comodo, alterazione delle fonti, per non parlare delle innumerevoli superfetazioni succedutesi nel tempo, fino ad arrivare alle bufale pure in questo settore giornalmente propalate dalla stampa (non esclusi i cosiddetti saggi) e dalla rete.
Il prezioso manufatto è custodito nella sala di ricevimento dell’Istituto Marcelline di Lecce2, che ringraziamo qui pubblicamente per la generosa disponibilità dimostrata, senza la quale questa nostra modesta fatica non avrebbe potuto vedere nemmeno l’inizio, ringraziamento tanto più doveroso perché in evidente contrasto con i paletti vari che la burocrazia laica interpone quando si tratta di visionare materiale pubblico, non fosse altro che un semplice atto d’archivio. Non siamo riusciti a reperire documenti che ne attestino la datazione, che si colloca, comunque, tra il 1893 (data del trasferimento dalla vecchia sede) e, prudenzialmente, il 1921, data di spedizione della cartolina in cui è ritratto. Proprio le cartoline d’epoca, quando non diversamente specificato, hanno fornito un notevole supporto, mentre le foto recenti, ad attestare lo stato attuale, sono degli autori.
Nel suo insieme l’arazzo appare come la copertina anteriore di un libro dotato di rilegatura monastica3. Le parti centrali del settore superiore ed inferiore (il primo con lo stemma4), il secondo con la scritta, ne  costituiscono a tutti gli effetti il titolo.
La conformazione di ciascun ovale e di ciascuna cornice sembra echeggiare quella presente in Scipione Mazzella, Descrittione del Regno di Napoli, Cappello, Napoli, 1601, p. 81 (prima immagine). Com’è noto lo stemma della Terra d’Otranto fu adottato, a partire dal 1933 dalla Provincia di Lecce (seconda immagine).
Al di là dei richiami, reali o presunti, ad un libro appena evocati, sul piano squisitamente tecnico si tratta di un ricamo su un canovaccio a nido d’ape minuto in seta e cotone di colore giallo pallido su cui è stato sistemato il disegno preparatorio poi realizzato in oro a rilievo. Tutto si accorda in un’armonia di segni e colori che stupiscono per la minuta precisione e le sfumature  che fanno apparire l’opera quasi pittura.
Al centro dell’arazzo campeggia, e non poteva essere altrimenti, la personificazione della Terra d’Otranto.
Una giovane donna in chitone5 bianco e imatio6 rosso reca nella destra un ramoscello d’olivo e con la sinistra  regge, appoggiato verticalmente a terra, uno scudo sagomato7 su cui campeggia un delfino (è, come abbiamo detto, lo stemma di Terra d’Otranto).
Alla sua destra, adagiata per terra una cornucopia, notorio simbolo dell’abbondanza e ai suoi piedi, un po’ distanti, quelle che si direbbero spighe.
A nostro avviso non è da escludersi un influsso della rappresentazione della Puglia, contaminata con quella dell’Italia, quali si vedono in Cesare Ripa, Iconologia, Farii,  Roma, 1603, rispettivamente alle pp. 266 e 247.
  Al di là delle evidenti allusioni in Ripa al fenomeno del tarantismo, che comporta anche inevitabili differenze nel panneggio, tratti in comune ci sembrano l’acconciatura (anche se nell’arazzo i capelli si direbbero trattenuti da una benda), a parte i dettagli indiscutibili della destra che impugna il ramoscello d’olivo e quello, probabile, delle spighe, pur nella loro differente collocazione.
Quella che segue è, a nostra conoscenza, la seconda personificazione  della Terra d’Otranto e di questa, a differenza di quella dell’arazzo (sul problema torneremo in seguito),  conosciamo  la data di realizzazione: 1882. Si tratta del verso di una medaglia (ideazione del galatinese Pietro Cavoti, modello del leccese Eugenio Maccagnani, incisione del fiorentino Giovanni Vagnetti)8. Le due immagini presentano in comune la posizione dello scudo (non la forma, essendo quello dell’arazzo sagomato, quello della moneta ellittico, simile a quello che i Romani chiamavano parma) retto con la sinistra e la cornucopia; la caratteristica parte terminale, che le dà il nome, nell’arazzo è nascosta dalla parte inferiore della figura femminile e nella medaglia manca il ramoscello d’olivo perché la destra della Terra d’Otranto è impegnata a stringere quella dell’Italia.
  Le due immagini costituiscono quasi una specializzazione locale della figura classica dell’Abbondanza (quella dell’arazzo, più specificamente della Pace, come mostra l’immagine che segue risalente al XVII secolo un’incisione di Carol De Mallery su disegno di M. De Vos stampata da Joan Galle ad Anversa), nella cui rappresentazione la cornucopia è il dettaglio più significativo. E il distico elegiaco che costituisce la didascalia sintetizza i concetti complementari di pace ed abbondanza: Pax alma, ingenuas praesertim quae fovet artes,/orbi suppeditat denique divitias (L’alma pace, che favorisce soprattutto le nobili arti, alla fine procura al mondo ricchezza).      
Per completezza d’informazione va detto che questo processo di personificazione aveva avuto il suo primo timido avvio con l’assunzione delle fattezze di una testa di donna da parte di quella del delfino, come risulta dallo stemma presente a. p. 17 del saggio Antiquitates Neapolis di Benedetto di Falco  inserito nella prima parte del nono tomo del Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae uscito a Lione per i tipi di Pietro Vander Aa nel 1723, a cura di Giovanni Giorgio Grevio e Pietro Burmanno.
(CONTINUA)
___________________
1 Sul tema vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/11/il-delfino-e-la-mezzaluna-prima-parte/
2 Per le notizie storiche sull’istituto vedi http://www.marcellinelecce.it/wp-content/uploads/2016/06/Istituto-Marcelline-Lecce.pdf.
3 Sul tema vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/11/il-delfino-e-la-mezzaluna-prima-parte/
4 Sullo stemma vedi Il delfino e la mezzaluna in http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/05/11/il-delfino-e-la-mezzaluna-prima-parte/ (in calce alla prima parte i collegamenti alle restanti quattro) e Il delfino “stizzoso” dellantico stemma di Terra d’Otranto, in http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/12/30/il-delfino-stizzoso-dellantico-stemma-di-terra-dotranto/
5 Dal greco χιτών (leggi chitòn), che significa tunica.
6 Dal greco ἱμάτιον (leggi imàtion) o εἱμάτιον (leggi eimation), diminutivo di ἱμα (leggi ima) o εἷμα (leggi èima), che significa veste.
7 Così in araldica viene chiamato lo scudo con lembi a frastagli mistilinei. Scudi simili, recanti nella parte centrale una testa di Gorgone, protomi animali o teste di divinità sono visibili in fregi dell’età imperiale.
8 Lo stesso ideatore dichiara nell’opuscolo, da lui curato e scritto per gran parte, Medaglia offerta dalla Provincia di Terra d’Otranto a s. e. Agostino Magliani, ministro delle finanze e senatore del Regno, Stabilimento tipografico Scipione Ammirato, Lecce, 1883 (nello stesso anno ripubblicato con accresciuto numero di pagine per i tipi di Spacciante, sempre a Lecce): Il Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto volle, con unanime e spontanea cortesia, affidarmi l’incarico della Medaglia d’oro e dell’Indirizzo in pergamena, che, per sua speciale deliberazione del 1882, stabiliva doversi offerire al Ministro delle Finanze, AGOSTINO MAGLIANI, fautore di un contratto di mutuo colla Cassa dei depositi e prestiti, necessario ad agevolare, per il tempo e pel dispendio, la costruzione delle strade ferrate da Taranto a Brindisi, e da Zollino a Gallipoli, dalle quali s’impromette gran bene la Provincia e la nostra gran patria. Sulla medaglia vedi pure http://www.fondazioneterradotranto.it/2015/12/12/magliani-agostino-detto-tino-e-la-sua-medaglietta-la-ferrovia-tra-brindisi-e-taranto-lho-portata-io/
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freedomtripitaly · 5 years
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Orgosolo è un paese di circa 4500 abitanti che si trova al centro della Sardegna e fa parte della cosiddetta “Barbagia di Ollolai”, nel cuore della provincia di Nuoro. A circa 620 metri sul livello del mare, è famoso in tutto il mondo per la presenza dei murales -dipinti che decorano le case in tutto il centro storico-, per il paesaggio spettacolare e inconfondibile del Supramonte, e perché spesso è stato al centro di atti legati al banditismo. Ma Orgosolo è anche è la patria del “canto a tenore”, uno stile di canto corale sardo di grande importanza nella tradizione locale, patrimonio dell’Umanità UNESCO. Il centro abitato di distende sulle pendici del monte Lisorgoni, propaggine del massiccio del Gennargentu, dominando le vallate attraversate dal fiume Cedrino. Terra aspra e incoltivabile: ecco la Sardegna più profonda e selvaggia, dove l’odore del mare nemmeno si conosce. Alle spalle una storia di anarchia e vendette, testardaggine e regole, create all’interno della comunità, tra fucili e resistenza. Orgosolo: la storia dei suoi murales Non c’è un pezzo di muro in questo piccolo borgo che non sia dipinto magistralmente dalle mani di uno street artist, e in cui non ci si perda nei colori e nei racconti di quei dipinti mai scontati, mai leggeri. Ci sono donne che manifestano in difesa dei propri diritti, c’è un soldato che non vuole più andare alla guerra, c’è un De Andrè che canta e c’è il racconto di quando gli abitanti di Orgosolo si opposero all’Esercito Italiano vincendo. La storia della gente della Barbagia prende qui forma tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, proprio per cercare di esprimere la propria libertà. Ed è, nel tempo, diventata un’attrazione turistica. Altra tradizione storica è “su lionzu”, una raffinata benda che incornicia il viso femminile negli abiti tradizionali, ricordando vagamente l’Hijab, con un ordito fatto di fili di seta e la trama colorata con lo zafferano. Da Orgosolo alla zona del Supramonte Se volete visitare l’impervio paesaggio che circonda il borgo, dovete per forza avere a fianco una guida esperta in sentieri di trekking, avendo la quasi scontata possibilità di imbattervi in cinghiali selvatici, mufloni, pastori e, come racconta il passato, bande di banditi. Gole, grotte e tacchi calcarei come i monti Novo San Giovanni e Fumani, vi si staglieranno di fronte in modo imponente: sul monte su Biu, sappiate che fanno il nido le aquile. Imperdibili anche il canyon di Gorroppu e la dolina su Suercone, dove la terra ha creato una voragine profonda 200 metri e larga 400. Per quanto riguarda gli appuntamenti, segnatevi sul calendario Ferragosto, quando va in scena la sfrenata corsa di cavalli sa Vardia ‘e mes’Austu, mentre per il periodo successivo all’estate, organizzatevi per un viaggio in Autunno, quando la sa purpuzza, antica ricetta di carne, saprà deliziare anche il vostro palato. https://ift.tt/33udzOj Orgosolo, il paese-museo della Sardegna celebre per i suoi murales Orgosolo è un paese di circa 4500 abitanti che si trova al centro della Sardegna e fa parte della cosiddetta “Barbagia di Ollolai”, nel cuore della provincia di Nuoro. A circa 620 metri sul livello del mare, è famoso in tutto il mondo per la presenza dei murales -dipinti che decorano le case in tutto il centro storico-, per il paesaggio spettacolare e inconfondibile del Supramonte, e perché spesso è stato al centro di atti legati al banditismo. Ma Orgosolo è anche è la patria del “canto a tenore”, uno stile di canto corale sardo di grande importanza nella tradizione locale, patrimonio dell’Umanità UNESCO. Il centro abitato di distende sulle pendici del monte Lisorgoni, propaggine del massiccio del Gennargentu, dominando le vallate attraversate dal fiume Cedrino. Terra aspra e incoltivabile: ecco la Sardegna più profonda e selvaggia, dove l’odore del mare nemmeno si conosce. Alle spalle una storia di anarchia e vendette, testardaggine e regole, create all’interno della comunità, tra fucili e resistenza. Orgosolo: la storia dei suoi murales Non c’è un pezzo di muro in questo piccolo borgo che non sia dipinto magistralmente dalle mani di uno street artist, e in cui non ci si perda nei colori e nei racconti di quei dipinti mai scontati, mai leggeri. Ci sono donne che manifestano in difesa dei propri diritti, c’è un soldato che non vuole più andare alla guerra, c’è un De Andrè che canta e c’è il racconto di quando gli abitanti di Orgosolo si opposero all’Esercito Italiano vincendo. La storia della gente della Barbagia prende qui forma tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, proprio per cercare di esprimere la propria libertà. Ed è, nel tempo, diventata un’attrazione turistica. Altra tradizione storica è “su lionzu”, una raffinata benda che incornicia il viso femminile negli abiti tradizionali, ricordando vagamente l’Hijab, con un ordito fatto di fili di seta e la trama colorata con lo zafferano. Da Orgosolo alla zona del Supramonte Se volete visitare l’impervio paesaggio che circonda il borgo, dovete per forza avere a fianco una guida esperta in sentieri di trekking, avendo la quasi scontata possibilità di imbattervi in cinghiali selvatici, mufloni, pastori e, come racconta il passato, bande di banditi. Gole, grotte e tacchi calcarei come i monti Novo San Giovanni e Fumani, vi si staglieranno di fronte in modo imponente: sul monte su Biu, sappiate che fanno il nido le aquile. Imperdibili anche il canyon di Gorroppu e la dolina su Suercone, dove la terra ha creato una voragine profonda 200 metri e larga 400. Per quanto riguarda gli appuntamenti, segnatevi sul calendario Ferragosto, quando va in scena la sfrenata corsa di cavalli sa Vardia ‘e mes’Austu, mentre per il periodo successivo all’estate, organizzatevi per un viaggio in Autunno, quando la sa purpuzza, antica ricetta di carne, saprà deliziare anche il vostro palato. Orgosolo è un paese di circa 4500 abitanti che si trova al centro della Sardegna, famoso ovunque per la presenza dei murales e per il Supramonte.
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Weaving the Future of Italian Silk with Nido di Seta
Fostering a new silk supply chain in Italy
The history of silk spans thousands of years, inextricably woven into Gucci’s own heritage and found at the heart of the House’s most iconic creations. Though this material embodies the excellence of Made in Italy craftsmanship, its production has been almost entirely lost in the country.
Gucci is supporting its reintroduction in Italy with a pilot project as part of the House’s commitment to promoting regenerative agriculture practices – a key pillar of its nature-positive approach – and where sustainability and innovation go hand-in-hand in silk production and cultivation. An entirely new technique in the silk supply chain is being championed – from the planting of mulberry trees in abandoned landscapes and improving these rural areas through organic farming, to developing new technology for the manufacturing processes, and upskilling farmers and artisans in their silk craft. This initiative will allow the House to source silk from organic farming practices in Italy that can be used in the House’s future collections.
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A Cultural Renaissance Starts at the Il Nido di Seta Farm
Nido di Seta is a farm located in the small hillside village of San Floro in the Calabria region of southern Italy where three young friends, Miriam Pugliese, Giovanna Bagnato, and Domenico Vivino have come together to bring local traditions back to the fore. After their paths diverged, the three came together again and decided to build their future in this small village of 600 inhabitants and restore the traditional mulberry tree planting and cultivation needed for the rearing of silkworms. Historically, San Floro was famous for a very significant production of raw silk in the 17th century, though this heritage had been completely lost in modern times.
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“We keep a reproduction of the property registration map of mulberry groves dating back to 1500. All of Calabria was covered with them and some mulberry groves even dated back to the year 1000. In every Calabrian village and city there is a district name that recalls the mulberry trees in the local dialect and today it’s a rule of thumb that every piece of land, every property, has one or more mulberry trees on it. Regarding the production of the cocoon, however, there are documents showing that starting from the beginning of the 19th century, San Floro produced around 1,500 kg of cocoons every year.”
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The only surviving elements of this rich legacy were the 3,000 abandoned mulberry trees and the memory of the elderly villagers. Miriam and her friends brought back the production of silk, rewinding the threads of history and travelling across the world to exchange best practices with silk institutes in Thailand, India, Switzerland, and France. The friends supported the creation of a small group of local women artisans, each working from a home laboratory based in their own small village. As part of its development, they trained people interested in their new, sustainable production model and also brought thousands of tourists from all over the world to visit their farm to experience how silk is produced first-hand.
Gucci Supports the Project
At the beginning of 2022, a meeting with Gucci saw the future of the friends’ farm grow even brighter. Thanks to this collaboration with Gucci, Miriam and her friends have undertaken an even greater ambition. The goal of the pilot project is to create a new silk-farming supply chain, including the production of Gucci’s first scarves made with silk thread that comes from local organic farming practices over the next years. Using this pilot as a best practices example, Gucci will also be able to look into the expansion of the farmers involved, promoting the adoption of regenerative silk production, ultimately bringing the abandoned silk supply chain in the region back to life. With scientific partners CREA, the Italian public research institute specialized in silkworm breeding and rearing technologies, and Ongetta, the producer of silk yarns, the project’s future, and the multi-benefits it creates, is very promising.
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A Positive Impact on the Community and the Land
The initiative with Il Nido di Seta will allow for the rediscovery of traditional artisanal skills and create job opportunities in marginalized areas, which have a high risk of depopulation due to the lack of available jobs, which is critical to keep the countryside flourishing. The collaboration will also support Miriam in her objective to maintain the network of local artisan women and Il Nido di Seta’s traditional techniques. Culturally, there is a local Silk Museum to preserve this heritage of silk’s history and traditions, and the three friends have also created an Academy to guarantee the passing on of this ancient knowledge to the next generations of artisans.
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Environmentally the project gives back to nature through the planting of mulberry trees, improving the condition of the soil and increasing its ability to sequester carbon from the atmosphere. The tree’s fruit and the residue from the silk production can also be transformed into by-products in a great variety of ways: from jam to cosmetics, encouraging a circular economy through using the resources above and beyond those from the primary silk producing focus.
“With our work we are preventing a tradition, that was a great source of pride for our region, from disappearing into thin air. We are creating an economy taking lessons from our past and now the next exciting challenge is to see the traditions of our ancestors on the international fashion runways,” says Miriam.
Source: gucciequilibrium
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rabbibarbaraaiello · 5 years
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Mille Grazie and Todah Rabah! And a big thank you to Nido di Seta and founders Miriam Pugliese and Domenico Vivino, who developed Calabrian agricultural cooperative devoted to ancient silk manufacturing techniques. Miriam's great interest in the "Tallit," the Jewish prayer shawl, motivated her visit to learn about the ancient Jewish tradition of tallit weaving that was brought to Calabria by Spanish Jews. Learn more about Nido di Seta, visits and tours at: www.nidodiseta.com
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ilcielodipuglia · 5 years
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Compleanno (Christina Rossetti Londra, Regno Unito 5/12/1830 – Londra, Regno Unito 29/12/1894) E' un uccello canoro il mio cuore che ha fatto il nido su una fresca cima - un melo ricco di rami è il mio cuore ricco di frutti come mai fu prima. E' come una conchiglia iridescente su un mare luminoso e trasparente. Più felice di sempre oggi è il mio cuore, perché è giunto l'amore. Fatemi un trono di piume e di seta, di morbide pellicce e drappi rossi, colombe e melagrane sian scolpite intrecciate a cento occhi di pavone, grappoli d'oro e grappoli d'argento in viluppi di bianchi fiordalisi. E' il compleanno della vita mia, l'amore è giunto e non andrà più via.
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ilquadernodelgiallo · 3 years
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Soltanto attenendoci al corso prescritto dal tempo possiamo percorrere rapidamente gli immensi spazi che ci separano gli uni dagli altri. Senza dubbio, disse Austerlitz dopo qualche istante, il rapporto fra spazio e tempo, così come ne facciamo esperienza noi viaggiando, ha ancor oggi qualcosa di illusionistico e illusorio, ed è anche per questo che ogni qualvolta ritorniamo da un viaggio, non sappiamo mai con certezza se davvero siamo stati via. __________ Dall'esempio di simili opere di fortificazione  più o meno così Austerlitz concluse, alzandosi dal tavolo e mettendosi lo zaino in spalla, le osservazioni fatte allora sullo Handschoenmarkt di Anversa - possiamo facilmente vedere come noi, a differenza degli uccelli che per millenni costruiscono sempre lo stesso nido, siamo inclini a spingere le nostre imprese ben oltre ogni ragionevole limite. Prima o poi, disse ancora, bisognerebbe catalogare i nostri edifici, ordinandoli secondo le dimensioni: si scoprirebbe subito che a prometterci almeno un barlume di pace sono proprio quelli collocati al di sotto delle normali dimensioni dell'architettura domestica - la capanna, l'eremo, le quattro mura del guardiano delle chiuse, la specola di un belvedere, la casetta dei bambini in giardino -, mentre di un edificio enorme, come ad esempio del Palazzo di giustizia di Bruxelles, su quello che una volta era il colle della forca, nessuno potrebbe sostenere a mente fredda che è di suo gradimento. Nel miglio dei casi lo si guarda meravigliati, e questa meraviglia è una forma preliminare di terrore, perché naturalmente qualcosa ci dice che gli edifici sovradimensionati gettano già in anticipo l'ombra della loro distruzione e, sin dall'inizio, sono concepiti in vista della loro futura esistenza di rovine. __________ Perfino adesso che sto cercando di ricordare, che ho ripreso in mano la pianta granchiforme di Breendonk e nella didascalia leggo le parole Ex ufficio, Tipografia, Baracche, Sala Jacques Ochs, Cella d'isolamento, Obitorio, Reliquiario e Museo , l'oscurità non si dirada, anzi si fa più fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadono incessantemente nell'oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per così dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi e oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno... __________ A differenza di Elias, il quale stabiliva sempre un collegamento tra malattia e morte da una parte e prova, giusta punizione e colpa dall'altra, Evan raccontava di morti che, colpiti anzitempo dal destino, sapevano di essere stati defraudati di ciò che spettava loro e cercavano quindi di ritornare  in vita. Chi aveva occhio per queste cose, non di rado riusciva a vederli. A tutta prima sembravano persone normali, ma se li si fissava con particolare attenzione, i loro volti sparivano o tremolavano un poco ai bordi. Inoltre, erano quasi sempre di una spanna più piccoli di quanto non fossero da vivi, perché l'esperienza della morte, sosteneva Evan, ci rimpicciolisce, esattamente come una stoffa nuova, quando la si lava per la prima volta, si restringe. __________ Alla parete, sopra il basso banco da lavoro di Evan, disse Auterlitz, pendeva da un gancio il drappo nero portato via dal nonno al feretro quando le figure imbacuccate che lo trasportavano erano passate davanti a lui, ed è certamente stato Evan, disse ancora Austerlitz, a raccontarmi che è un simile velo di seta, e nulla di più, a separarci dall'aldilà. __________ Perfino quando in direzione Penrith-Smith, uomo particolarmente bonario, doveva far assaggiare la bacchetta a uno di noi per via di qualche episodio che gli era giunto all'orecchio, si aveva quasi l'impressione che la vittima concedesse temporaneamente all'esecutore della pena un privilegio che in realtà spettava soltanto alla vittima stessa, destinataria della punizione. __________ Allora, a tredici anni, non ero certo in grado di capirlo, oggi però mi rendo conto che l'infelicità accumulatasi in lui aveva distrutto la sua fede proprio nel momento in cui ne avrebbe avuto più bisogno. Quando d'estate tornai di nuovo a casa, già da settimane non era più in grado di assolvere al suo ufficio di predicatore. Un'unica volta salì ancora sul pulpito. Aprì la Bibbia e, con voce rotta e come se lo facesse soltanto per sé, lesse un versetto dal Libro delle Lamentazioni: He has made me dwell in darkness as those who have benne long dead. La predica che doveva seguire, Elias non la tenne più. Restò lì fermo per qualche tempo a guardare oltre le teste della sua comunità paralizzata dal terrore, con gli occhi immoti di un cieco, così mi parve. Poi ridiscese lentamente dal pulpito e uscì dalla casa del culto. __________ Far visita a uno dei miei conoscenti, in ogni caso poco numerosi, oppure frequentare gente, nel normale senso dell'espressione, era ormai impossibile per me. Mi faceva orrore, disse Austerlitz, dover ascoltare qualcuno e, ancor più, essere io stesso a parlare, e procedendo in tal modo le cose, capii a poco a poco in quale isolamento io vivessi e avessi sempre vissuto, tra la gente del Galles non meno che tra gli Inglesi e i Francesi. Non mi è mai accaduto di pensare alla mia vera origine, disse Austerlitz. Né mai mi sono sentito parte di una classe, di una categoria professionale o di una confessione religiosa. Fra gli artisti e gli intellettuali mi trovavo non meno a disagio che nella vita borghese, e stringere un'amicizia personale già da lungo tempo era un'impresa superiore alle mie forze. Appena conoscevo qualcuno, subito pensavo di essermi consentito un'eccessiva confidenza; appena qualcuno si rivolgeva a me, io cominciavo a prenderne le distanze. Se in generale qualcosa mi legava ancora agli uomini, erano in definitiva soltanto certe forme di cortesia, da me addirittura esasperate, il cui fine - come oggi so, disse Austerlitz - era non l'omaggio all'interlocutore del momento, ma la possibilità di sottrarmi alla consapevolezza di essere sempre vissuto - per quanto indietro riuscissi a risalire con il pensiero - in uno stato di assoluta disperazione. __________ Quanto ai primi tempi trascorsi a Bala sotto la tutela dei coniugi Elias, non sarei più in grado di ricostruirli. Dei nuovi abiti, che mi resero assai infelice, di questo mi rammento, così come dell'inesplicabile scomparsa dello zainetto verde, e di recente ho avuto addirittura l'impressione di ricordare ancora qualcosa dell'atrofizzarsi in me della lingua materna, del suo echeggiare mese dopo mese sempre più fievole e rimasto dentro di me, penso, per qualche tempo almeno, come una sorta di raschiare o batter colpi prodotto da un'entità prigioniera che sempre, quando le si vuol prestare attenzione, si arresta e tace per lo spavento. __________ A mio giudizio, disse Austerlitz, noi non comprendiamo le leggi che regolano il ritorno del passato, e tuttavia ho sempre più l'impressione che il tempo non esista affatto, ma esistano soltanto spazi differenti, incastrati gli uni negli altri, in base a una superiore stereometria, fra i quali i vivi e i morti possono entrare e uscire a seconda della loro disposizione d'animo, e quanto più ci penso, tanto più mi sembra che noi, noi che siamo ancora in vita, assumiamo agli occhi dei morti l'aspetto di esseri irreali e visibili solo in particolari condizioni atmosferiche e di luce. Per quanto mi è dato risalire indietro col pensiero, disse Austerlitz, mi son sempre sentito come privo di un posto nella realtà, come se non esistessi affatto, e mai questa sensazione è stata così forte in me quanto quella sera nella Šporkova, mentre il paggio della regina delle rose mi trafiggeva con lo sguardo. __________ Particolarmente inquietanti mi parvero però le porte e i portoni di Terezìn, che sbarravano tutti l'accesso, come credetti di avvertire, a uno oscurità non ancora violata, nella quale - così pensai, disse Austerlitz - nulla più si muoveva tranne l'intonaco che si sfalda dalle pareti e i ragni che secernono i loro fili, corrono sulle assi con le loro zampette veloci o restano sospesi alle tele in fiduciosa attesa. __________ Che cosa significavano la tovaglia di pizzo bianco, quella dei giorni di festa, appesa allo schienale dell'ottomana, e la poltrona da salotto con la sua fodera di broccato stinto? Quale segreto nascondevano i tre mortai in ottone di varia grandezza che evocavano responsi oracolari, oppure le coppe di cristallo, i vasi di ceramica e le brocche di terracotta, il cartellone pubblicitario di lamiera che recava la scritta Theresienstadter Wasser, lo scrigno con le conchiglie, l'organetto in miniatura, i fermacarte sferici, nelle cui bocche di vetro galleggiavano favolosi fiori subacquei, il modellino di una nave, una specie di corvetta a vele gonfie, la casacca del costume locale, in una leggera stoffa estiva di lino chiaro, i bottoni di corno di cervo, l'enorme copricapo degli ufficiali russi e la relativa uniforme olivastra con le spalline dorate, la canna da pesca, il carniere, il ventaglio giapponese, il paesaggio infinito, dipinto con lievi pennellate intorno a un paralume, e nel quale un corso d'acqua scorreva placido, non si sa se in Boemia o in Brasile? E poi, in una teca non più grande di una scatola da scarpe, quello scoiattolo impagliato, e in certi punti già roso dalle tarme, che a cavalluccio su un ramo mozzo teneva implacabilmente fisso su di me il bottone vitreo del suo occhio e il cui nome ceco - veverka - mi tornò alla memoria da lontano, come quello di un amico da tanto tempo dimenticato. Che cosa poteva significare - così mi domandavo, disse Austerlitz - quel fiume che non ha né sorgente né foce, ma rifluisce costantemente in se medesimo, oppure veverka, quello scoiattolo sempre fermo nella stessa posizione, o ancora il gruppo in porcellana color avorio raffigurante un eroe a cavallo che, in groppa al suo destriero ritto sulle zampe posteriori, si piega all'indietro per sollevare con il braccio sinistra un'innocente creatura femminile, priva ormai anche dell'ultima speranza, e salvarla così da una sciagura non rivelata all'osservatore, ma senza dubbio spaventevole? Altrettanto fuori dal tempo, come quell'attimo salvifico, sospeso nell'eternità e che continua ad aver luogo qui e ora, erano tutti i ninnoli, gli attrezzi e i souvenir arenatisi nel bazar di Terezìn, i quali, per una serie di coincidenze imperscrutabili, erano sopravvissuti ai loro antichi proprietari e scampati al processo della distruzione, sicché ora in mezzo a essi io riuscivo a cogliere solo indistintamente e con fatica la mia ombra. __________ Tutto questo adesso lo capivo, e nel contempo non lo capivo: ogni particolare che, mentre visitavo il museo da una sala all'altra e poi di nuovo all'indietro, si dischiudeva davanti a me - davanti a colui che, come temevo, era rimasto nell'ignoranza per propria colpa - superava infatti di gran lunga la mia capacità di comprensione. __________ Alla fine, disse Austerlitz, quando la ricamatrice si avvicinò per avvisarmi che era ormai ora di chiudere, stavo leggendo per l'ennesima volta su una didascalia che a metà dicembre del 1942, dunque proprio nei giorni in cui Agàta arrivò a Terezìn, erano recluse nel ghetto, su una superficie edificata di un chilometro quadrato al massimo, circa sessantamila persone, e poco dopo, quando mi ritrovai di nuovo fuori sulla piazza deserta, sentii con inequivocabile certezza che quelle persone non erano state condotte via, ma vivevano ancora, stipate nelle case, nei sotterranei e nei solai, salivano e scendevano senza posa le scale, guardavano fuori dalle finestre, si muovevano in gran numero per le strade e i vicoli e, in silenziosa adunata, occupavano addirittura l'intero spazio fra cielo e terra che una pioggia sottile tratteggiava di grigio. __________ A quell'epoca le miniere - così lessi mentre sedevo davanti alla fortezza di Breendonk - erano già state nella maggio parte dismesse, comprese le due più grandi, la Kimberley Mine e la De Beers Mine, e poiché mancavano di recinzione era possibile spingersi - se si aveva il coraggio di farlo - sino al limite più avanzato di quelle enormi cave e guardar giù in un abisso di migliaia e migliaia di piedi. Davvero orrido, scrive Jacobson, era vedere che a un passo dal terreno solido si spalancava un simile vuoto, comprendere che non vi era transizione alcuna, ma solo quella linea di confine, da un lato la vita nella sua ovvietà e dall'altro, di questa vita, l'inimmaginabile antitesi. L'abisso, che nessun raggio di luce riesce ad attingere, è l'immagine impiegata da Jacobson per indicare la storia remota e sommersa della sua famiglia e del suo popolo che di laggiù, ne è ben consapevole, mai potranno risalire in superficie.
W.G. Sebald, Austerlitz
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comeunbacodaseta · 3 years
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LIEVE La sua mano, così bianca e fredda, non l’ho mai sentita accarezzare il mio corpo con tanta dolcezza. Partoriva fremiti sulla mia pelle calda e conduceva i miei gemiti nel sollievo dell’estasi. I suoi occhi, lucidi, a fissare i miei, immobili. Sul suo sguardo si dipinge il sorriso dell’amore. Rimane dolce, incantata, a guardare il suo sole, mentre si muove, ondeggia, riversa su di me i suoi capelli come nei miei sogni più belli. Mi scivola addosso: è seta. Danza, quel corpo fragile che assorbe i miei battiti. Rinnega la vita per donarsi, corpo e anima, all’eterno morire dell’amore che ci annulla come fossimo: niente. Un fiore. Danzi, e sei un petalo bianco sospinto dal vento. Lieve, nei miei lenti sospiri, sorridendo, ti ammiri. Se il mio cuore non ti contiene: immensa, e troppo, di vita e luce. Distruggi il buio che mi nasconde. Bevi dentro me e il mio sogno vivrà della tua illusione. Le tue labbra, velluto che si tinge di porpora e di cuore, mi sfiorano e si schiudono invocando il mio nome. Da nido a nido mi voli nel pensiero: angelo quieto che accogli e asciughi il mio pianto, e mi doni, amando, il tuo malinconico canto. ———————————————————————————— (dal libro “Come un baco da seta” di Davide Angelo Salvatore – Prospettiva Editrice, 2020) ———————————————————————————— (illustrazione di @kristirama: “Occhio di luna”) ———————————————————————————— E’ possibile ordinare il libro nei seguenti store o richiederlo in libreria: www.comeunbacodaseta.com/shop ———————————————————————————— #poesie #scrivere #versi #poesiaitaliana #poesiacontemporanea #poeta #poesiadelgiorno #poesiadistrada #poesieinmovimento #parole #poesiasenzaveli #poetimaledetti #poesiaitalianacontemporanea #poesiapura #poesiaviva #scrivilosuimuri #instapoeti #poetiitaliani #comeunbacodaseta #davideangelosalvatore #sanvalentino #poesiedamore https://www.instagram.com/p/CLRk6bZHcTX/?igshid=3gc3k0n1mty9
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lectio-divina · 4 years
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Storie Brevi (Prevaricazione)
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(immagine via Tumblr/theforensicmagician)
Caro piccione Bertoldo,
ti scrivo per dirti che mi sono imbattuto per caso nel tuo nido, e devo dire che te lo sei costruito davvero bene, è sicuro, resistente, ed anche soddisfacente esteticamente, proprio comodo, quindi ho deciso di darti i canonici tre giorni, al termine dei quali subentro io, e in virtù della legge del più forte se ti trovo ancora lì ti mangio.
Sincerità,
Gatto Anacleto.
Walla Walla, Washington, 24 agosto 2020.
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Tre giorni dopo:
« Senti tu. »
« Chi mi desidera? Ah! Lo stupido cane da guardia dei vicini. »
« Dove credi di andare? »
« Che te ne frega, "vivi e lascia vivere" non si dice così? »
« Io lo so dove stai andando, dai retta, non ci andare, è una trappola. »
« E tu cosa ne sai di dove vado. »
« Lascia che ti dica una cosa, il piccione a cui hai spedito la lettera è pappa e ciccia con un amico mio, uno appena uscito dal canile, ieri sera mi ha ululato della lettera che hai scritto al suo amico, e mi ha detto di dirti di stare in campana, che non gliene frega niente di tornare dentro, se ti trova a terra ti prende e ti sbrana. »
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Piaciuta la storia?
Compra il libro.
Cane Bianco, di Fester Abrams, lo trovi su Amazon, gratis con Kindle Unlimited, da Giunti e da Feltrinelli.
Manhattan, Battery Park, pomeriggio, una giovane donna porta il cane a passeggio, un incontro fortuito, un attimo di leggerezza e il cane scompare. Sera, lobby del Sagram Building, Upper East Side, “Il quartiere delle calze di seta”, il padre della giovane, persona avanti negli anni, ma determinato al limite del coriaceo, esce di casa deciso a ritrovare il cane. Farà l'alba sui marciapiedi, fra personaggi grotteschi e onirici, baristi dei bassifondi e derelitti da strada, ciascuno avrà in mano una traccia, una moneta da scambiare col ricco signore, chi per gioco o empatia, chi per invidia o disprezzo. Sono ore di febbrile ricerca, che condurranno il protagonista verso un finale inaspettato: Che ne è stato del cane bianco?
Un giallo imprevedibile, su cui abbiamo lavorato a lungo, tutti insieme, riversandoci le nostre cure, attente e appassionate, sia per la sostanza che per la forma. Il risultato è una gioia, per gli occhi e per la mente, un piacere che soltanto una piccola casa editrice è in grado di offrire.
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Edito da Lectio Divina edizioni - LOVE AND READ BOOKS -
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